Cominciamo a parlare del fatto che i MERCATI DEL LAVORO SONO TRE. Una nota di commento del reportage di Fabrizio Gatti
di Attilio Mangano (Milano, 01.09.2009)
"Sono almeno cinquemila. Forse settemila. Nessuno ha mai fatto un censimento preciso. Tutti stranieri. Tutti sfruttati in nero. Rumeni con e senza permesso di soggiorno. Bulgari. Polacchi. E africani. Da Nigeria, Niger, Mali, Burkina Faso, Uganda, Senegal, Sudan, Eritrea. Alcuni sono sbarcati da pochi giorni. Sono partiti dalla Libia e sono venuti qui perché sapevano che qui d’estate si trova lavoro. Inutile pattugliare le coste, se poi gli imprenditori se ne infischiano delle norme. Ma da queste parti se ne infischiano anche della Costituzione: articoli uno, due e tre. E della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Per proteggere i loro affari, agricoltori e proprietari terrieri hanno coltivato una rete di caporali spietati: italiani, arabi, europei dell’Est. Alloggiano i loro braccianti in tuguri pericolanti, dove nemmeno i cani randagi vanno più a dormire. Senza acqua, né luce, né igiene. Li fanno lavorare dalle sei del mattino alle dieci di sera. E li pagano, quando pagano, quindici, venti euro al giorno. Chi protesta viene zittito a colpi di spranga"
Ogni volta che L’ISTAT presenta cifre e dati sul mercato del lavoro in Italia tutti sanno che sono falsi o incompleti. Ma nessuno sembra occuparsi seriamente di quella parte del mercato del lavoro che viene chiamata LAVORO IN NERO. Forse sarebbe ora di dire e di spiegare che in Italia, ma non solo, esistono TRE mercati del lavoro, tra loro compartimentati ( anche se certo esistono passaggi interni da uno all’altro). IL MERCATO DEL LAVORO GARANTITO, quello che spesso l’ISTAT denuncia come in crisi e in diminuzione, riguarda le grandi e medie aziende, spesso anche le piccole, più il pubblico impiego e i servizi, è quello che in qualche modo vede la presenza del sindacato e di una contrattazione ufficiale, centrale e articolata (contratto aziendale). In seconda linea esiste IL MERCATO DEL LAVORO PRECARIO, che comunque presenta molteplici sfaccettature e non consente un discorso unico, è evidente infatti che un conto è il lavoro precario di giovani venti-venticinquenni che spesso tra un lavoro e un altro studiano per esami universitari o si prendono una vacanza e un’altra cosa sono i trenta-quarantenni precari DA SEMPRE , che sono già passati attraverso venti o più esperienze lavorative e che nel loro futuro non vedono altro. Il movimento di SAN PRECARIO ha contribuito a far conoscere bisogni e lotte, culture e domande di questo tipo di precariato. Va detto che in ogni caso, per quante riserve e obiezioni si possano fare, questo secondo mercato del lavoro è un mercato in un certo senso di" transizione", in cui una parte spesso consistente vive una sua esperienza lavorativa di formazione e addestramento che spesso sfocia nell’assunzione più o meno definitiva. Per queste ragioni sono legittime le riserve sul fatto che si possa parlare di un vero e proprio secondo mercato con una sua fisionomia classica. Il mercato del LAVORO NERO , invece, quello che " sfugge" a controlli e indicatori, è a sua volta per definizione transitorio, si sa da sempre di scantinati dove vengono fatti i vestiti chepoi andranno a inondare i mercatini rionali, insieme ad altri prodotti, in primo luogo le famose " imitazioni" di prodotti famosi con firma d’autore. C’è infine tutta la leggendaria, invisibile e folkloristica trama di redditi multipli che costituisce l’economia familiare in cui magari la madre ha una pensione come bracciante, il padre anche, i figli risultano disoccupati e però tutti insieme i componenti, quattro-cinque.sei del nucleo familiare lavorano in nero, col risultato di cinque o sei redditi aggiuntivi. Tutte le volte che ISTAT o altri presentano un quadro generale dell’economia meridionale in cui il sessanta o il settanta per cento dei giovani risultano disoccupati ( eppure tutti dotati di auto o moto, pc, dvd, cellulare) viene da obiettare che se fosse davvero così sarebbero a lottare e a manifestare, mentre sono essi stessi parte integrante di quel FAMILISMO AMORALE già denunziato negli anni cinquanta. La cosa nuova di questi ultimi venti anni riguarda lo spostarsi del lavoro in nero agli emigrati clandestini, se prima in Lombardia nell’industria edile e nei cantieri primeggiavano i famosi operai bergamaschi, oggi muoiono a decine nei cantieri giovani emigrati di cui non si sa nemmeno se fossero assunti, si sa solo del tipico infortunio sul lavoro.
Quello che però non si sa e non si dice è il rapporto fra emigrante " clandestino" e capitalismo MAFIOSO col suo caporalato, il fatto che c’è un filo occulto che lega il mercante locale che organizza il viaggio clandestino dell’emigrato e il piccolo mafioso locale che poi lo farà lavorare come in queste storie del foggiano, c’è una rete di affari, di scambi, di connivenze, di protezione. Per un clandestino che fortunosamente riesce a superare controlli e addentrarsi nel paese andando a trovare il parente, l’amico,il conoscente di paese, che costituisce il primo riferimento di ospitalità e alloggio, ce ne sono altri due già impiantati in loco, come il magrebino del racconto, piccoli caporali di una rete clandestina di affari che comprende di tutto ( compresa la prostituzione), c’’è insomma una economia clandestina che funziona e coinvolge decine di migliia.forse anche centinaia di migliaia, di persone che ne dipendono giorno per giorno. Quanto contino i legami etnici, religiosi, parentali e quanto invece una comunità in cui lo sfruttamento e il crimine convivono con il mero lavoro di sopravvivenza, un groviglio inestricabile di legalità e illegalita, traffici e contrabbando, violenze e ricatti. Quando il ministro degli interni GIULIANO AMATO ha parlato per la prima volta di trafficanti di carne umana e di schiavi ha solo indicato la punta dell’iceberg. La storia sconvolgente e tristissima di tanti clandestini non merita solo pietà, spesso questa pietà nasconde altro, giustifica, assolve, compatisce, fingendo di non vedere il filo che lega le cose. Chi è meridionale e conosce minimamente le mafie e le camorre sa invece benissimo quanto sia forte l’infliuenza di questa rete, di questa economia, di questa ideologia. E sa anche che non serve proprio a niente chiudere gli occhi e non capire che si tratta di criminalità organizzata.