Testimoni
L’abbé Pierre: ci ha tanto illuminato
di Jacques Noyer, vescovo emerito di Amiens (in Témoignage Chrétien del 25 gennaio 2007)
Ringraziamo Giancarlo Martini, responsabile del sito www.finesettimana.org, per averci segnalato il seguente articolo da loro tradotto e pubblicato nella loro rassegna stampa.
Sul settimanale francese Témoignage Chrétien è apparso un articolo sulla figura dell’abbé Pierre, recentemente scomparso, da parte del vescovo emerito di Amiens Jaques Noyer. In Francia, ben più che in Italia, la scomparsa dell’abbé Pierre ha suscitato enormi emozioni e reazioni. L’articolo, tradotto e proposto, risente della situazione francese, ma le osservazioni svolte dal vescovo sono stimolanti anche per la gente di chiesa italiana.
L’abbé Pierre: ci ha tanto illuminato
di Jacques Noyer, vescovo emerito di Amiens (in Témoignage Chrétien n. 3237 del 25 gennaio 2007)
Non ha mai nascosto la sua fede cristiana. Non ha mai taciuto il suo essere prete. Non ha mai rimesso in discussione la sua appartenenza alla Chiesa cattolica. Al contrario, ci ha svelato la sua intimità contemplativa col Cristo da cui traeva l’energia. Ha mostrato la sua fedeltà alla preghiera semplice dei credenti più umili. Non ha mai rinnegato l’esempio ricevuto nella sua famiglia lionese e che ha dato senso alla sua vita.
Le folle gli rendono omaggio. I media parlano solo di lui. I politici di ogni sponda si uniscono nel rispetto. I saltimbanchi esprimono una forte emozione parlando di lui. E i vescovi? E le Chiese? Non li ho ancora sentiti. Sarò ancora, come mi diceva al telefono l’abbé Pierre quando ha pubblicato le sue ultime confidenze (Mio Dio, perché? edito in Italia da Garzanti), l’unico vescovo a difenderlo? No, ho già sentito Jacques Gaillot. E, ne sono certo, prima ancora che questo giornale sia pubblicato, voci ben più solenni della mia si saranno fatte sentire.
Ma non è a loro che sono stati tesi i primi microfoni: non si è ritenuto che fossero loro i più vicini, i più interessati. Si era detto più volte che nella Chiesa la sua parola era stata libera e scomoda. Si è ricordato che aveva ammesso di aver avuto nella sua vita qualche debolezza sessuale. E’ per questo che la Chiesa esita a esprimere i suoi sentimenti? No, non arrivo a credere che vi si coltivi a tal punto la paura della sincerità e la severità per il peccatore.
Ciò che mette a disagio la gente di Chiesa, è che l’abbé Pierre in modo troppo evidente è un annunciatore e testimone di Vangelo. Non ha mai parlato a nome di una Legge, ma ha guardato lo sconosciuto che giaceva nel fosso. Non ha predicato una dottrina; ha invitato ad aprire gli occhi su coloro che soffrono e a far crescere in noi la rivolta del cuore. Non ha mai difeso un’istituzione, ma ha amato delle persone concrete. Non chiedeva ai cristiani di essere cristiani; chiedeva agli uomini di essere uomini.
Non ha mai rifiutato la politica, né la carità, né i media, né la notorietà, e neppure la violenza, ma non ha mai lasciato che i suoi obiettivi si impantanassero in queste paludi. Era una coscienza, risvegliatrice di coscienze.
Né una buona coscienza perché mai soddisfatta, né una cattiva perché mai disperata. Una coscienza! Un po’ come il Cristo che viene nel mondo ad illuminare tutti gli uomini. E se gli è capitato di avere parole discordanti sul celibato dei preti, l’omosessualità, il preservativo e altri temi, non è stato in nome di una teologia. E’ perché aveva incontrato uomini infelici, malati disperati, anime oppresse dal peso dei loro segreti.
Ci possiamo augurare che la gente di Chiesa senta attraverso di lui, attraverso le generosità che ha fatto sorgere, attraverso l’emozione dei più umili, il richiamo ad una Chiesa “a servizio e povera”, come si diceva al tempo del Concilio. Poiché è proprio quello che è stato abbozzato allora: aprire le finestre per vedere la realtà del mondo, mettersi in ascolto di ciò che gli uomini attendevano, preferire, alle sottigliezze della dottrina, il dialogo e il servizio. Il Vangelo non ci dice forse che la Legge è scritta nel cuore di ogni uomo e che l’incontro dell’altro, in particolare del povero, del prigioniero, del malato, dell’abbandonato, ha la capacità di farla sorgere senza neppure che il nome di Gesù sia pronunciato? Da Coluche ai fratelli Legrand[1], l’abbé Pierre ha già dei successori per risvegliare la coscienza di tutti davanti alla miseria dei nostri fratelli. Ci sarà qualcuno per aiutare la Chiesa ad uscire dalla sua buona o cattiva coscienza, affinché essa possa restare, come lo è stata spesso, uno dei luoghi dove si risveglia la coscienza dell’uomo?
Note
[1] Coluche (Michel Gérard Joseph Colucci, 1944-1986), conosciuto come comico impertinente e critico sulla società contemporanea, è stato il fondatore dei “Ristoranti del cuore”, dove si offre a chi ne ha bisogno la possibilità di mangiare gratuitamente. La celebre salopette con cui si presentava al pubblico gli era stata data dalla comunità di “Emmaus”.
I fratelli Legrand (Augustin, 31 anni, attore, Jean-Baptiste, 30 anni, produttore cinematografico e presidente dell’associazione “Enfants de Don Quichotte”, Joseph, 21 anni, studente in scienze politiche, con l’amico Pascal Oumakhlouf, 36 anni), avendo preso coscienza della realtà dei “senza fissa dimora” hanno installato il 16 dicembre scorso una lunga fila di tende lungo il Canal Saint-Martin a Parigi, per accogliere queste persone, ma anche per sensibilizzare l’opinione pubblica e sollevare il problema a livello politico.
* www.ildialogo.org, Mercoledì, 07 febbraio 2007