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SHOAH, NEGAZIONISMO, E VERITA’ DI STATO: LA LOGICA DEL "MENTITORE" ISTITUZIONALIZZATA!!! UNA TRAPPOLA MORTALE PER LA LIBERTA’ E LA COSTITUZIONE ...

IL NEGAZIONISMO, LA SHOAH, E LA VERITA’ DI STATO: UNA VITTORIA POSTUMA DI HITLER. Sul tema, interventi di Sergio Luzzatto, Marco Politi, e un’intervista a Carlo Ginzburg - a c. di Federico La Sala

“L’unica cosa che non ci serve è riempire le galere di mentitori e far pensare al mondo che per farci credere abbiamo bisogno della scorta della polizia” (Anna Foa).
venerdì 22 ottobre 2010 di Federico La Sala
[...] Una legge che difende penalmente la verità storica “sarebbe la vittoria postuma dei regimi totalitari sconfitti al prezzo di un immane conflitto mondiale”. Sergio Romano ha ricordato l’appello di Blois, redatto nel 2008 quando si pensava che gli stati membri dell’Unione dovessero punire chi avesse “grossolanamente minimizzato” genocidi, crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Gli storici francesi risposero che “in uno Stato libero non spetta ad (...)

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> IL NEGAZIONISMO, LA SHOAH, E --"LA VERITà NEGATA" ("DENIAL"). Se l’orrore di Auschwitz finisce in tribunale (di Mazzino Montinari). Irving-Lipstadt, è un film il duello legale che ha sconfessato il negazionismo (di F. Caprara)

martedì 18 ottobre 2016

Se l’orrore di Auschwitz finisce in tribunale

Alla Festa di Roma «La verità negata», il film di Mick Jackson che racconta la storia vera del processo intentato nel 1996 dal negazionista inglese David Irving contro la studiosa americana Deborah E. Lipstad

di Mazzino Montinari (il manifesto, 18.10.2016)

ROMA Nel 1996 il negazionista inglese David Irving intentò una causa contro la casa editrice Penguin Books e la professoressa statunitense Deborah E. Lipstadt, rea di averlo diffamato nel libro Denying the Holocaust. Per la docente di Studi ebraici moderni e dell’Olocausto dell’Università di Atlanta, Irving era un apologeta del nazismo che nei suoi scritti aveva falsificato i fatti, negando non solo il coinvolgimento di Hitler con la questione ebraica ma lo sterminio stesso.
-  Lo scontro giuridico tra due persone si trasformò rapidamente in una questione di ben altra portata, anche per la natura specifica del diritto britannico che affida alla difesa, quindi al presunto diffamatore, l’onere di dimostrare la propria innocenza. In altre parole, il processo, che si sarebbe tenuto quattro anni dopo, metteva Lipstadt nella scomoda posizione di dover dimostrare che lo sterminio degli ebrei fosse realmente accaduto.

Questa è la premessa de La verità negata (Denial) di Mick Jackson, presentato alla Festa del Cinema di Roma e in uscita nelle sale il 17 novembre. Un lavoro sul negazionismo che resta distante, in termini di coraggio e linguaggio cinematografico, da opere come ad esempio Il signor morte di Erroll Morris, che raccontava la storia di Fred Leuchter, l’ingegnere che progettava sedie elettriche e che in qualità di esperto nel «dare morte» stilò un rapporto farneticante, ritenuto credibile da Irving, nel quale si escludeva la possibilità che gli ebrei fossero stati uccisi in massa dentro le camere a gas. Tratto dal libro della stessa Lipstadt, Denial: Holocaust History on Trial, il film si limita a riportare i fatti accaduti in quei quattro anni, concentrandosi sul punto di vista della professoressa di Atlanta e sulla squadra di avvocati che affrontò Irving in aula.

Dando spazio, in questo modo, anche a un confronto, talvolta ironico, tra due approcci sostanzialmente diversi: da un lato, la docente statunitense in tuta da ginnastica che la sera fa jogging e, però, prende molto sul serio se stessa e il valore delle testimonianze dei sopravvissuti; dall’altro gli avvocati inglesi, amanti del buon vino, cerimoniosi nel loro indossare la parrucca durante i dibattimenti e freddi calcolatori nell’affrontare un processo dove l’unica cosa che conta è vincere, anche a costo di costringere le ragioni delle vittime al silenzio.
-  La verità negata, in realtà, più che essere un film sullo sterminio degli ebrei sembra un thriller giudiziario ben interpretato da un cast di primissimo livello, con tanto di epilogo finale nel quale si aspetta spasmodicamente il verdetto, quasi si trattasse di un episodio di Law and Order. Tutto viene giocato intorno alla scelta degli avvocati di non chiamare a deporre né Lipstadt né i sopravvissuti di Auschwitz, per impedire a Irving di umiliarli con le sue tesi insulse e dar luogo a uno spettacolo nefando.

Auschzitz diventa allora non il laboratorio del totalitarismo e il buco nero dell’umanità, ma un semplice luogo del crimine, dove rintracciare le prove di un delitto avvenuto tanti anni prima. Come morirono gli ebrei nei campi di concentramento? Quale funzione avevano le camere a gas? Le risposte le conosciamo molto bene, ma non per questo la verità e l’autenticità dei fatti possono dirsi al sicuro.


Irving-Lipstadt, è un film il duello legale che ha sconfessato il negazionismo

di Fulvia Caprara (La Stampa, 18.10.2016)

La prima conversazione tra la scrittrice e docente Deborah E. Lipstadt e l’attrice premio Oscar Rachel Weisz, che la interpreta nella Verità negata, il film di Mick Jackson ieri in anteprima alla Festa del cinema, è durata 45 minuti e ha dato il via a un lungo processo di avvicinamento e conoscenza: «Mi sono accorta che Rachel ha cercato di comprendere a fondo come sono fatta, studiando l’intonazione della mia voce, facendo di tutto per mettersi nei miei panni... Ho saputo anche che poi, in un’intervista, per far capire bene che tipo sono, mi ha definito una “vera rompiballe”». Alla confessione segue immediato sorriso, perché Lipstadt, 69 anni, newyorkese, volata nella capitale per presentare il film (nei cinema il 17 novembre, stesso giorno in cui uscirà il libro omonimo, edito da Mondadori) è particolarmente soddisfatta della trasposizione cinematografica della sua storia: «Il pericolo del negazionismo è sempre dietro l’angolo e può riguardare tutti i campi. È avvenuto con l’Olocausto, si è ripetuto con il genocidio degli armeni, con le stragi in Ruanda, nel ’94 e in tanti altri casi. Si dice sempre “mai più” e invece tutto continua a succedere di nuovo».

Sceneggiato da David Hare (candidato all’Oscar per The reader - A voce alta») il film segue fedelmente le tappe della vicenda. In seguito alla pubblicazione nel Regno Unito di Denying the Holocaust: The Growing Assault on Truth and Memory, la professoressa Lipstadt è citata in giudizio per diffamazione da David Irving, lo studioso specializzato sul tema Hitler e Seconda guerra mondiale, che negava l’esistenza dell’Olocausto.

Secondo la legislazione britannica il compito di dimostrare la propria innocenza tocca alla presunta colpevole, il paradosso, quindi, è che Lipstadt deve difendere se stessa dimostrando, attraverso prove inconfutabili, che l’Olocausto non è un’invenzione. Tocca all’avvocato Richard Rampton (Tom Wilkinson), che si occupa del caso insieme a una squadra di collaboratori motivati e appassionati, ricostruire, nei minimi particolari, il funzionamento delle camere a gas, l’utilizzo delle capsule di cianuro, il fatto che, a differenza di quanto sosteneva Irving (Timothy Spall), i veleni usati nei lager non servivano a sterminare pidocchi, ma esseri umani. All’inizio, il rapporto con l’assistita Lipstadt non è affatto idilliaco, durante la visita ad Auschwitz, che risulterà fondamentale per la costruzione dell’arringa finale, l’avvocato appare poco rispettoso della sacralità del luogo.

In più, durante i 32 giorni di udienze in tribunale, la scrittrice è obbligata a non aprire bocca e le richieste dei sopravvissuti ai campi, che vogliono offrire le loro deposizioni, vengono totalmente ignorate: «Il processo ha segnato una svolta importante - dichiara la scrittrice -, così come è accaduto per quello di Norimberga. Il negazionismo è una forma di antisemitismo. Come si vede bene nel film, Irving è un razzista e il razzismo, basta ascoltare certe uscite di Donald Trump, non è affatto morto».

L’arrivo sugli schermi della Verità negata ha sollecitato sgradevoli reazioni da parte dello storico inglese: «Sul suo sito web - racconta il regista - ha provato a fare ironie usando, al posto del titolo “Denial”, la parola “Dental”, ma la verità è che, dal processo in poi, la figura di Irving è stata fortemente ridimensionata».


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