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Ex - "Impero"...

ISTITUIRE LA GIORNATA DELLA MEMORIA per 500mila Africani uccisi dalla presenza coloniale italiana in LIBIA, ETIOPIA, E SOMALIA. UNA PROPOSTA DELLO STORICO ANGELO DEL BOCA

venerdì 14 luglio 2006 di Federico La Sala
[...] Quanto alla Giornata della memoria per i 500mila africani uccisi, ci sembra che essa abbia un valore non soltanto simboli­co. Noi siamo convinti che potrebbe avere riflessi non effi­meri su popolazioni che non soltanto lottano contro la povertà e l’Aids, ma anche cercano disperatamente anche una propria identità [...]
IL MITO DELLA ROMANITÀ E IL FASCISMO: MARGHERITA SARFATTI E RENZO DE FELICE.

La giornata della memoria
In (...)

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> ISTITUIRE LA GIORNATA DELLA MEMORIA per 500mila Africani uccisi dalla presenza coloniale italiana --- Addis Abeba 1937, ventimila vittime degli italiani brava gente. L’eccidio dimenticato.

domenica 22 luglio 2018

Addis Abeba 1937, ventimila vittime degli italiani brava gente

L’eccidio dimenticato raccontato in un libro dello storico inglese Campbell

di Masolino D’Amico (La Stampa, 21.07.2018)

Di ritorno dall’Etiopia dove aveva avuto un breve incarico, un antico corteggiatore di mia madre le aveva portato qualche souvenir. Di quel dono facevano parte anche due o tre libri ben rilegati e in apparenza preziosi, scritti in una lingua indecifrabile.

Venivano dalla biblioteca del Negus, erano bottino di guerra, e una volta restaurato l’antico regime mia madre li portò all’ambasciata d’Etiopia perché fossero restituiti al legittimo proprietario. Credo che all’epoca quelle prede la mettessero a disagio, ma i suoi sentimenti sarebbero certo stati più accesi se avesse saputo quello che alla maggior parte dei connazionali della sua generazione era stato tenuto accuratamente nascosto.

Sì, qualche verità su quella impresa coloniale mia madre aveva subodorato, benché l’aggressore avesse minimizzato il fatto che l’Etiopia non era un territorio vasto e inesplorato ma un Paese di antichissima civiltà cristiana, iscritto alla Società delle Nazioni e perfettamente autonomo; che l’invasione non aveva giustificazione alcuna; che la guerra, dichiarata in spregio alla diffida dell’Onu (precedente incoraggiante per Hitler) era stata condotta con metodi proibiti dei trattati internazionali. Ma di certi episodi particolarmente imbarazzanti non si ebbe sentore.

In seguito la storiografia internazionale e in qualche misura anche la nostra avrebbe riaperto qualche partita, ma forse senza che le coscienze ne prendessero troppo atto. Io per esempio, che mi considero un cittadino ragionevolmente informato, non avevo mai sospettato che noi italiani fossimo stati responsabili «di atrocità che osservatori scriventi prima dell’olocausto nazista paragonarono solo a quei massacri armeni del 1895-6 e del 1915, che avevano scandalizzato il mondo». Cito dalla prefazione a uno studio inglese appena uscito, Il massacro di Addis Abeba (Rizzoli). L’autore, Ian Campbell, è un storico che vive e insegna in Etiopia, e sull’argomento ha già pubblicato due libri; questo, definitivo, contiene la summa di una ricerca durata 25 anni.

L’attentato di due irredentisti etiopi scatenò tre giorni di caccia all’uomo

L’episodio in questione durò tre giorni, a partire dal 19 febbraio 1937. In quella data il maresciallo Rodolfo Graziani, viceré d’Etiopia dal maggio dell’anno prima, quando l’invasione era stata completata, aveva deciso di ristabilire una cerimonia tradizionale annualmente celebrata dall’Imperatore, consistente nella distribuzione di elemosine a preti, poveri, storpi, vedove con bambini e via dicendo, nel recinto del palazzo governativo della capitale. Era prevista una gran folla, e per evitare disordini le truppe italiane avevano collocato uomini e mitragliatrici nei punti nevralgici.

Durante il rito due irredentisti gettarono delle bombe a mano, nove in tutto, senza uccidere nessuno ma facendo un certo numero di feriti, tra cui Graziani, che fu subito portato via (si sarebbe ristabilito in un paio di mesi). Presi dal panico, temendo l’inizio di una sollevazione, gli italiani reagirono aprendo subito il fuoco; il punto è che non si fermarono più. Pazientemente, esibendo foto, citando continuamente le sue fonti, che sono molteplici a partire dalle testimonianze di superstiti non solo indigeni, per più di duecento pagine molto fitte il professor Campbell ricostruisce momento per momento i fatti che seguirono, e che si possono sintetizzare come segue. Lì per lì gli italiani spararono alla cieca su tutti gli etiopi presenti, compresi i dignitari ligi al nuovo regime, compresi i preti, i mendicanti, le donne e i bambini, fino a ammazzare quasi tutti gli indigeni che si trovavano nei terreni del palazzo governativo.

L’eccidio durò circa un’ora e mezza e fece circa 3000 vittime. Dopodiché fu data la caccia a tutti gli etiopi che trovarono nel resto della città; e per tre giorni civili disarmati e indifesi di ogni sesso ed età furono macellati indiscriminatamente. Centinaia di case furono date alle fiamme, spesso con dentro i loro abitanti; quelle meno povere, dopo essere state saccheggiate. Alla mattanza presero parte, oltre alle feroci camicie nere, parecchi nostri connazionali in borghese, servendosi di armi improvvisate, come badili, zappe, persino manovelle di avviamento delle automobili. La moglie di uno degli attentatori si era rifugiata in un monastero; gli italiani andarono anche lì e sterminarono tutti, monaci e comunità, per un totale di altre 3mila persone. Quando quel raptus collettivo si fermò, il totale - oggi accertato - dei morti era di quasi 20mila, un quinto della popolazione della città.

Campbell, che non fa sconti nella descrizione della crudeltà degli occupanti, non è peraltro tenero nemmeno sui suoi connazionali, i quali così come erano stati conniventi con la guerra coloniale di Mussolini (meglio i fascisti dei minacciosi comunisti), misero a tacere le prime voci di indignazione che qualcuno in Occidente tentò di raccogliere; e finita la guerra, malgrado le istanze dell’Etiopia liberata, impedirono che l’Italia, ora alleata, venisse processata per genocidio accanto ai responsabili della Shoah. Così a rispondere di quei tre giorni di delirio omicida e di quei quasi ventimila morti non fu mai chiamato nessuno, nemmeno un solo individuo. Ma si sa, noi italiani siamo brava gente.


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