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Eu-ropa-sia !!!

L’ASIA CHE SI MUOVE ... E L’EUROPA CHE VIVE ALLA GIORNATA ! Un’intervista allo storico VALERIO CASTRONOVO, su un suo recente lavoro.

sabato 22 luglio 2006 di Federico La Sala
[..] Le necessarie riforme - strutturali, ma anche culturali - non sono state poi messe in cantiere. L’Europa deve darsi una scossa, ora che ha acquistato la consapevolezza che i traguardi che ha fin qui raggiunto non sono affatto irreversibili. Dobbiamo passare ai fatti, dimostrare che abbiamo ancora energia, risorse, fiducia in noi stessi [...]
Le Tigri assaltano,noi arranchiamo Ma per lo storico Castronovo reagire si può: «Purché ci si rimetta in gioco»
E ora l’Europa rincorre l’Asia
di (...)

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> L’ASIA CHE SI MUOVE ... E L’EUROPA CHE VIVE ALLA GIORNATA ! Un’intervista allo storico VALERIO CASTRONOVO, su un suo recente lavoro.

sabato 22 luglio 2006

La nuova via della seta L’Himalaya è diventato valicabile. Da poche settimane è stato riaperto il passo di Nathu La che unisce il Sikkim e il Tibet. E’ una via di comunicazione fondamentale per gli scambi tra l’India e la Cina di Romeo Orlandi (il manifesto, 21.07.2006)

Dal tetto del mondo una notizia di sapore esotico suggella un evento di valore storico: la riapertura del passo di Nathu La tra il Sikkim ed il Tibet la ha un valore che travalica il semplice passaggio di grano, coperte e prodotti farmaceutici. E’ invece la conferma che nelle relazioni tra India e Cina l’Himalaya è diventata valicabile; che un teatro di guerra si è trasformato in una pacifica via commerciale. Dopo 44 anni i due paesi sembrano tornati allo spirito di Bandung, quando Nerhu e Zhou En Lai si proclamarono campioni dei Non Allineati per poi lanciarsi in un’inimicizia che, dalla guerra del 1962, solo da poco tempo ha cominciato a sbiadire.

Lo spettacolare riavvicinamento di India e Cina degli ultimi anni ha questa volta motivazioni diverse. Sono state messe da parte le ideologie terzomondiste perchè un rapido sviluppo economico è la loro comune ambizione. Ben presto, comunque nella prima metà di questo secolo, i due giganti asiatici saranno la prima e la terza economia al mondo. Per la prima volta dopo oltre un secolo le economie più ricche, in primis quella statunitense, non saranno quelle più grandi. Sarà un cambiamento epocale: India e Cina riprenderanno il loro posto nella storia. Nel 1820 producevano insieme il 50% del Pil mondiale, se il conteggio tiene conto della parità del potere d’acquisto nei vari paesi. L’analoga percentuale nel 1973 era dell’8%, una cifra platealmente incongrua perché riferita a metà della popolazione mondiale. Quando India e Cina torneranno ai livelli di 2 secoli fa le lancette del tempo saranno rimesse in ordine.

Queste considerazioni, seppure impressionanti, sono comunque acquisite. Che le nazioni più popolose siano anche le più grandi economicamente, essendo il Pil una grandezza quantitativa, sembra appartenere all’ordine naturale delle cose. Cosa succederà invece se India e Cina, inaugurando un’era di pace, daranno un valore strategico - politico, economico, militare- alla loro voglia di riscatto? Che ripercussioni si avranno sull’Occidente se il forte nazionalismo dei due paesi si rafforzerà reciprocamente? E’ noto che le due economie appaiono complementari. Entrambe registrano un peso calante dell’agricoltura nella formazione del Pil. La Cina eccelle nei settori manifatturieri, l’India nei servizi. Il Dragone ha costruito una serie impressionante di sovrastrutture; l’Elefante ha acquisito una grande reputazione in settori moderni come l’informatica, l’elettronica, la farmaceutica. Molti territori sono ancora arretrati, le campagne sono povere, ma la Cina abbonda di fabbriche e l’India di ingegneri. I due paesi hanno abbandonato vecchie ideologie ed hanno liberato le forze produttive, contendendosi i tassi di sviluppo più alti al mondo. Soprattutto l’India ha ridotto l’impatto di una miscela di burocrazia ed inefficienza che l’aveva fatta giudicare con amaro disinteresse.

Del mondo, Cina ed India sono la fabbrica e l’ufficio, l’opificio ed il call center che si cercano con frequenza. Il loro interscambio commerciale, seppure ancora modesto, ha raggiunto 19 miliardi di dollari nel 2005, con un incremento del 37% sull’anno precedente. E’ possibile che presto la domanda di prodotti a basso prezzo della popolazione indiana venga soddisfatta dalla nazione confinante. E’ inoltre probabile che una parte crescente delle ricerca elettronica venga trasferita dall’India alla Cina, come hanno già anticipato i giganti del settore Infosys, Tata e Wipro.

Nella loro grande diversità, i due colossi asiatici devono il loro sviluppo a forti politiche economiche. Le classi al potere ed al governo hanno compiuto scelte innovative e radicali per dare respiro all’economia, relegata per decenni al ruolo di "scienza triste". Decisioni politiche cogenti le hanno dato pari dignità rispetto alla politica Ecco perché il Pil, la ricchezza collettiva, è cresciuto a ritmi straordinari. Non si è trattato dunque di un «miracolo asiatico», quanto l’applicazione sistematica e rigorosa (ovviamente più rigida in Cina) di direttive politiche che si sono innestate su un tessuto arretrato e povero. Per ironia della sorte, i 2 paesi che crescono più velocemente al mondo (addirittura i primi 3 se si considera il Vietnam) vedono i rispettivi Partiti Comunisti al governo. Che non hanno subìto ma tratto vantaggio dalla globalizzazione.

E’ inevitabile che produzioni mature e labour intensive saranno trasferite dove il costo dei fattori è più basso, la dotazione industriale valida, la manodopera immensa e disciplinata: è il caso del Cina. E’ inoltre avviato un processo di delocalizzazione del terziario che vede nell’India la destinazione più immediata. I servizi legali, finanziari, assicurativi e medici trovano nel subcontinente il luogo più redditizio. Produrremo camicie in Cina e riceveremo i nostri estratti conto dall’India. Dal primo paese acquisteremo, attraverso il secondo pagheremo. Viene così rimesso in discussione l’auspicio comune in Occidente che un trasferimento della produzione poteva essere compensato, in termini di reddito ed occupazione, dall’emersione di un’economia di servizi. Oggi, anche quest’ultima si può trasferire, forzando l’Occidente a ripensare in maniera ineludibile il proprio futuro.

Cosa succederà se le 2 economie trarranno per sé i vantaggi delle rispettive specializzazioni? Il modello di business tipico delle multinazionali potrebbe essere presto messo in discussione. Il loro approccio, basato sulla combinazione di costi bassi e marketing sofisticato, potrebbe rivelarsi poco redditizio in India dove la popolazione è poco attenta al marchio ed al design. Nel momento in cui si affaccia ai consumi per la prima volta in maniera consistente, New Delhi potrebbe rivolgersi ai prodotti Made in China, la cui qualità non è più confinata in valori modesti . Ugualmente in Cina, la produzione indiana di software sta erodendo quote di mercato ai rivali statunitensi, perché offre una combinazione più appetibile di qualità-prezzo. In sintesi, sta apparendo all’orizzonte il pericolo che i due grandi mercati, forse misurati con eccessiva disinvoltura come «i più grandi del mondo», saranno aggredibili dalle imprese occidentali solo per una fascia minoritaria della popolazione. La sfida sarà addirittura più pressante quando le industrie indiane e cinesi riusciranno, sulla base di economie di scala crescenti, a ridurre i loro costi di R&D, specializzandosi nella distribuzione, nel design, nel branding. Sarà quello il momento della possibile conquista dei mercati più sofisticati e più ricchi.

Se la riconquista di posizioni nello scacchiere geo-economico di India e Cina sembra inarrestabile, non necessariamente ciò si converte in una perdita di opportunità, anche per le aziende italiane. E’ verosimile che verso i due paesi avrà luogo un aumento delle nostre esportazioni di beni di consumo, finora relegate a valori marginali. L’affermarsi di una classe abbiente ed il miglioramento degli assetti distributivi non potranno che migliorare l’insoddisfacente situazione attuale. Tuttavia è sul versante degli investimenti che si giocherà la partita più importante. L’Italia ha ancora una soglia tecnologica più avanzata e può inserirsi nei flussi economici sopra l’Himalaya con le doti che ancora non sono appannaggio di economie emergenti. Unire le capacità produttive e le innovazioni del terziario alla tradizione ed alla reputazione del made in Italy sembra la strada obbligata per non lasciar confinata ad un’economia di nicchia l’irrompere sulla scena internazionale dei due colossi asiatici.


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