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Poesia della settimana

I ragazzi che si amano - di Jacques Prévert

venerdì 11 agosto 2006 di Vincenzo Tiano
I ragazzi che si amano
I ragazzi che si amano si baciano in piedi
Contro le porte della notte
E i passanti che passano li segnano a dito
Ma i ragazzi che si amano
Non ci sono per nessuno
Ed è la loro ombra soltanto
Che trema nella notte
Stimolando la rabbia dei passanti
La loro rabbia il loro disprezzo le risa la loro invidia
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
Essi sono altrove molto più lontano della notte
Molto più in alto del giorno
Nell’abbagliante splendore del loro primo (...)

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> I ragazzi che si amano --- Il nuovo confine del diritto d’amare. Più diritti non offendono nessuno. L’Italia svolta, sì alle unioni civili.

giovedì 12 maggio 2016

Il nuovo confine del diritto d’amare

di Michela Marzano (la Repubblica, 12.05.2016)

DOPO trent’anni di attese, silenzi, smarrimenti e voltafaccia, anche in Italia, oggi, abbiamo finalmente una legge sulle unioni civili. Colmando così un incomprensibile vuoto normativo.

UN VUOTO normativo che aveva per troppo tempo impedito al nostro Paese di accompagnare la vita delle persone omosessuali verso un orizzonte di libertà, dignità e uguaglianza. Per trent’anni, ogni qualvolta si iniziava anche solo a parlare della possibilità di permettere alle persone omosessuali di condividere gli stessi diritti e gli stessi doveri delle persone eterosessuali, il processo legislativo si bloccava. Pacs, Dico, Cus, Didoré: sono tante le sigle dei progetti di legge che si sono susseguiti in Parlamento, e dietro i quali si nascondono migliaia di ore di discussione prima che le proposte si impantanassero e morissero, lasciando senza speranza centinaia di migliaia di nostri concittadini che aspettavano con ansia che la politica facesse il proprio dovere. In nome dell’uguaglianza di tutte e di tutti, indipendentemente dall’orientamento sessuale. Ma anche in nome della pari dignità e della comune umanità. Nonostante i molteplici pronunciamenti della Corte Costituzionale. Nonostante persino la condanna dell’Italia, nel 2015, da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo.

Oggi, dunque, si colma finalmente una lacuna. Sperando che possano cicatrizzarsi le ferite di coloro che, da anni, aspettavano che venisse riconosciuto il proprio diritto di amare e di costruire una famiglia. Tutto bene, allora? Purtroppo no. Visto che, ancora una volta, si è dovuto scendere a compromessi. E che invece di ancorare la legge all’articolo 29 della nostra Costituzione - come accade per il matrimonio - l’unione civile viene definita come una “specifica formazione sociale” e trova il proprio fondamento nell’articolo 2 e nell’articolo 3 della Costituzione che assicurano la protezione dei diritti inviolabili dell’uomo e affermano il principio costituzionale di uguaglianza. Arrivando così al paradosso che due persone omosessuali che stipulano quest’unione civile, pur avendo accesso alla quasi totalità dei diritti e dei doveri di due coniugi, non potranno essere considerati una famiglia.

In che senso? Nel senso che, nel testo, sono stati chirurgicamente espunti tutti i riferimenti, a parte quello presente al comma 12, alla “famiglia” e alla “vita familiare”. Fino alla beffa non solo di eliminare l’espressione “dovere di fedeltà” - come se l’amore omosessuale, per natura, fosse incapace della stessa profondità, continuità e unicità dell’amore eterosessuale - ma anche di lasciare i figli e le figlie delle persone omosessuali privi della protezione giuridica necessaria al proprio benessere e alla propria serenità. Perché non riconoscere lo statuto di “famiglia” a tutte quelle coppie, con o senza bambini, che sono già da tempo “famiglie”, costruiscono come qualunque altra coppia eterosessuale un progetto di vita familiare, affrontano le difficoltà della vita come chiunque, crescono e accudiscono i propri bambini e le proprie bambine come qualunque padre e qualunque madre? Certo, c’è ancora chi immagina che esista un’unica definizione di famiglia e che, citando a sproposito l’articolo 29, continua a ripetere che la famiglia sarebbe sempre e solo una “società naturale”.

La nostra Costituzione, però, non definisce affatto la famiglia come un’“entità naturale”. La nostra Costituzione parla della famiglia come di una “società naturale fondata sul matrimonio”, sganciando attraverso quest’ossimoro la famiglia, come spiegò all’epoca Aldo Moro, dalla dipendenza e dalla tutela dello Stato cui era stata invece sottoposta durante il ventennio fascista. Perché allora far finta che queste famiglie non siano famiglie, illudendosi che se qualcosa non esiste all’interno di una legge allora non esiste affatto? Perché negare protezione e serenità a tutte quelle bambine e a tutti quei bambini che vivono nelle famiglie arcobaleno e che continueranno a esistere anche se la legge li ignora? Modellare l’unione civile sul matrimonio non avrebbe voluto dire togliere valore al matrimonio, come hanno sostenuto in molti. Avrebbe voluto dire riconoscere alla vita familiare omosessuale la dignità che le è propria, senza discriminare.

Certo, lo ribadisco: questa legge è importante. Anzi, importantissima. Visto che arriva dopo trent’anni di vuoto legislativo e di battaglie perse. Visto che a partire da oggi tante persone potranno veder riconosciuti i propri diritti e la propria dignità. Visto che, anche culturalmente, si tratta di un messaggio importante indirizzato, con la forza simbolica della legge, a tutti coloro che continuano a immaginare che l’omosessualità sia un difetto, una devianza o una menomazione.

L’omosessualità è solo un orientamento sessuale, diverso da quello eterosessuale ma del tutto equivalente. È solo una delle tante differenze che caratterizzano ognuno di noi e che non può e non deve impedire a una persona di essere considerata uguale a un’altra in termini di dignità, di opportunità e di diritti. Da oggi, sarà più difficile non vergognarsi quando anche solo l’idea di insultare una persona omosessuale dovesse sfiorare la mente di chi pensa che esista un unico modo di essere o di amare.

Era il minimo che potesse fare il nostro Paese, anche per tutti coloro che, dopo anni di battaglie, non sono più tra noi e non potranno festeggiare questo momento. Come diceva però il Presidente Barack Obama nel 2013, il nostro viaggio non sarà concluso finché i nostri fratelli gay e le nostre sorelle lesbiche non sanno trattati come chiunque altro di fronte alla legge. Se siamo stati creati uguali, anche l’amore con cui ci leghiamo l’uno all’altro deve essere uguale.


Più diritti non offendono nessuno

L’Italia svolta, sì alle unioni civili

-  Renzi: scritta una pagina storica.
-  Salvini: non rispettare la legge.
-  Meloni: io le celebrerò

di Ugo Magri (La Stampa, 12.05.2016)

L’11 maggio 2016 è una di quelle date che tutti ricorderemo. Perché l’ultimo sì della Camera alle unioni civili segna uno spartiacque tra il prima e il dopo, tra quando non si poteva nemmeno concepire una «formazione sociale» di sesso identico e adesso che invece si può. Per una volta la politica, il tanto bistrattato Parlamento bersagliato dai populismi, ha saputo cimentarsi in quest’impresa che rivoluziona la società e aggiorna il costume nazionale.

Ma soprattutto, cambia la vita di tanti. Delle coppie che tra poche settimane, a partire dai primi di luglio, non appena il governo avrà emanato il suo decreto transitorio, potranno fissare un appuntamento in municipio con l’ufficiale dello stato civile e promettersi sostegno a vicenda. Nella buona e nella cattiva sorte. In quanto di questo fondamentalmente si tratta, di una legge che aggiunge dignità e sicurezza, conferisce garanzie e diritti a chi non ne aveva, senza però toglierne ad altri. Che dunque realizza il sogno di qualunque democrazia liberale, dove si vuole accrescere la felicità collettiva sommando le libertà individuali e abbattendo i divieti. Da ieri, sia detto senza che suoni retorico, siamo tutti quanti un po’ più liberi.

È la ragione per cui nessuno dovrebbe sentirsi offeso né ferito. La Cirinnà è una legge che dalle ore 19,40 di ieri appartiene all’Italia intera, compresi quanti fino a un attimo prima non erano stati d’accordo. Tutti hanno titolo per dichiararsi vincitori, non solo Renzi che senza dubbio ha il merito di averci creduto con forza e ora può aggiungere al proprio carnet una conquista civile di quelle maiuscole, paragonabile al divorzio e alla legge 194 sull’aborto. Insieme con Renzi hanno vinto pure quanti ritengono, a torto o a ragione, che il Paese non sia ancora pronto per le adozioni gay e sono riusciti a farne terreno di un approfondimento a parte, destinato a proseguire.

Hanno vinto i militanti Lgbt che, mentre ieri in Aula si votava, distribuivano coccarde arcobaleno davanti a Montecitorio e certo avrebbero desiderato un riconoscimento più pieno, una legittimazione meno avara sul piano delle parole, visto che di matrimonio non si parla mai. Però la sostanza è quella. E in fondo non escono sconfitti neppure i sostenitori del Family Day che, con le loro mobilitazioni, si confermano una presenza ancora in grado di premere sul legislatore. Ha fatto sentire la propria voce la Chiesa, attraverso un innovativo Sinodo sulla famiglia che, per chi crede, è arrivato provvidenziale nel vivo del confronto e, per chi non crede, resta comunque frutto della lungimiranza di Papa Francesco. Ma pure i laici per una volta hanno onorato la propria tradizione e hanno magnifiche ragioni per sentirsene orgogliosi.

Nell’insieme questa legge, attraverso le tensioni da cui è nata, i compromessi di cui i protagonisti sono stati capaci, ha fatto vivere una pagina nobile alla nostra coscienza civile. È stata una bella lotta di idee, e tante altre così ce ne vorrebbero.


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