I ragazzi che si amano
I ragazzi che si amano si baciano in piedi
Contro le porte della notte
E i passanti che passano li segnano a dito
Ma i ragazzi che si amano
Non ci sono per nessuno
Ed è la loro ombra soltanto
Che trema nella notte
Stimolando la rabbia dei passanti
La loro rabbia il loro disprezzo le risa la loro invidia
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
Essi sono altrove molto più lontano della notte
Molto più in alto del giorno
Nell’abbagliante splendore del loro primo amore
Jacques Prévert
Intervista.
Il Papa alle persone Lgbt: Dio non rinnega nessun figlio Papa Francesco risponde alle domande del gesuita padre Martin: una Chiesa selettiva, di sangue puro, non è una madre ma una setta.
di Riccardo Maccioni (Avvenire, lunedì 9 maggio 2022)
Dio non rinnega nessuno dei suoi figli. È uno dei passaggi centrali della breve “intervista” concessa dal Papa al gesuita padre James Martin sulla Chiesa e le persone Lgbt. Il religioso da tempo impegnato pastoralmente in questo ambito aveva inviato alcune domande al Pontefice e, appena ricevute, ha pubblicato le sue risposte sul sito “Outreach” ovvero “sensibilizzazione”. In particolare, al quesito: “Qual è la cosa più importante che le persone Lgbt devono sapere di Dio?”, il Papa risponde in modo molto semplice e altrettanto chiaro: «Dio è Padre e non rinnega nessuno dei suoi figli. E lo stile di Dio è vicinanza, misericordia e tenerezza. Lungo questa strada troverai Dio».
La Chiesa è madre, non una setta
La seconda domanda riguardava la comunità ecclesiale. “Cosa vorrebbe che le persone Lgbt sapessero della Chiesa?”.«Vorrei - risponde Francesco - che leggessero il libro degli Atti degli apostoli. Là troveranno l’immagine della Chiesa vivente». Infine: “Cosa può dire a un cattolico Lgbt che ha subito un rifiuto da parte della Chiesa? «Vorrei che lo vedesse non come “il rifiuto della Chiesa”, ma da parte di “persone nella Chiesa”. La Chiesa è madre e convoca tutti i suoi figli. Prendiamo ad esempio la parabola degli invitati alla festa: i giusti, i peccatori, i ricchi e i poveri, eccetera. Una Chiesa selettiva, di “sangue puro” non è la Santa Madre Chiesa, ma piuttosto una setta».
Chi è padre Martin
Gesuita statunitense, 61 anni, padre James Martin è impegnato da tempo nella pastorale della persone Lgbt cui, tra l’altro, nel 2017 ha dedicato il volume “Costruire un ponte”. Come la Chiesa cattolica e la comunità Lgbt possono entrare in un rapporto di rispetto, compassione e sensibilità. “Building a Bridge” cioè “Costruire un ponte” è anche il titolo di un film documentario su Martin presentato l’anno l’anno scorso al Tribeca film festival di New York.
IL "DIO DI AMORE" DI (OVIDIO E) BRUNETTO LATINI E "L’AMORE CHE MUOVE IL SOLE E LE ALTRE STELLE" DI DANTE.... *
Su Brunetto Latini, “Poesie”, a cura di Stefano Carrai
di Claudio Giunta (Domenicale del Sole 24 ore, 20 marzo 2016)
Il Tesoretto di Brunetto Latini non è certamente quel misconosciuto «capolavoro della letteratura allegorica» che diceva Jauss (ma come mai lo abbiamo preso sul serio?), ma è un modo eccellente per avvicinarsi alla poesia dei primi secoli; e questa nuova edizione a cura di Stefano Carrai è un modo eccellente per avvicinarsi al Tesoretto.
Si tratta di un poemetto, 2944 versi in tutto, scritto da Brunetto Latini al principio degli anni Settanta del Duecento. È uno strano ibrido. Comincia come un racconto di viaggio (il poeta-protagonista si trova a Roncisvalle, e qui incontra uno studente bolognese che gli comunica la sconfitta dei guelfi a Montaperti), prosegue come un trattato didascalico (la Natura personificata illustra al poeta l’ordinamento del cielo e della terra), poi come un trattato morale (il poeta incontra in successione le virtù, il dio d’Amore, il poeta Ovidio), e finisce con una bizzarra ‘Penitenza’, circa 500 versi in cui Brunetto riflette sulla caducità delle cose umane ed esorta un amico a cambiare vita come lui l’ha cambiata («che sai che sén tenuti», scrive, «un poco mondanetti»); dopodiché il racconto riprende e il protagonista si trova sul monte Olimpo, dove incontra il grande Tolomeo, «maestro di storlomia». Qui il testo s’interrompe di colpo.
Al di là però del contenuto, né originale né profondo, e al di là dello stile, senza veneri (anche perché imprigionato in una gabbia metrica da filastrocca: coppie di settenari a rima baciata), il Tesoretto è un testo interessantissimo perché è davvero un repertorio di topoi immaginativi, un campione di medievalità: c’è il viaggio nella foresta, c’è un mondo fantastico all’interno del quale il personaggio-poeta può dialogare via via con la Natura, con Ovidio o con Tolomeo, ci sono le ipostasi delle virtù e delle percezioni, che pescano dall’identico immaginario da cui hanno pescato gli sceneggiatori di Inside Out (Desianza=Joy, Paura=Fear): «Desïanza ... sforza malamente / d’aver presentemente / la cosa disïata / ed è sì disvïata / che non cura d’onore / né morte né romore, / se non che la Paura / la tira ciascun’ora, / sì che non osa gire / né solo un motto dire».
Il commento di Carrai è un commento esatto e intelligente. Sembra poco, ma è tantissimo, perché i commenti alla poesia (e soprattutto alla poesia antica) sono spesso un po’ stupidi. Chi ha studiato per anni un autore o un testo non si rassegna facilmente a farsi da parte, cioè a tacere una volta chiarito ciò che nel testo c’è da chiarire, ed eventualmente a far riflettere il lettore su ciò che il testo può dire sul suo autore o sulla mentalità dell’epoca in cui venne scritto: non si rassegna, gli viene, come diceva il dottor Johnson, «la fregola di dire qualcosa anche quando non c’è nulla da dire», o peggio - e la cosa è specialmente frequente nel campo della medievistica - gli viene la fregola di trovare verità nascoste, di sciogliere gli enigmi, il che porta spesso a postulare enigmi là dove non ce ne sono, onde una ridda di ipotesi e contro-ipotesi da stancare un causidico. E poi, a riempire le pagine, valanghe di ‘riscontri intertestuali’, come se importasse qualcosa che il poeta X ha preso quella parola dal poeta Y o dal poeta Z. Carrai invece non scaraventa sul lettore tutto il contenuto delle sue schede, spiega il testo dove occorre, e dove non riesce a spiegare prospetta delle ipotesi d’interpretazione, appoggiandosi - per consentire o per dissentire - a chi del Tesoretto si è occupato prima di lui.
Al Tesoretto Carrai fa seguire, com’è consuetudine, il Favolello, che è un altro breve poemetto in settenari baciati, più pedestre nel contenuto (è uno scialbo trattatello sull’amicizia), ma interessante soprattutto perché cita come amici-destinatari due rimatori contemporanei, Rustico Filippi e Palamidesse di Bellindote. E al Favolello segue, nel volume (che appunto per questo s’intitola Poesie: è l’opera omnia in volgare italiano di Brunetto), l’unica canzone di Brunetto che ci venga tramandata dai manoscritti, S’eo son distretto, strana poesia d’amore e devozione che alcuni hanno interpretato come un documento dell’omosessualità dell’autore (con ovvi riflessi sull’interpretazione di Inferno XV) e altri, direi più plausibilmente, come canto nostalgico per la patria, Firenze, dal quale il guelfo Brunetto viene bandito dopo Montaperti.
Manca, e avrebbe invece dovuto esserci, la canzone responsiva di Bondie Dietaiuti (così, nel Medioevo, si dissolvevano le tenzoni poetiche: gli scribi copiavano i corpora personali degli autori obliterando i testi missivi e responsivi dei loro corrispondenti, che in questo modo si disperdevano; ma in un’edizione moderna non si vede perché le tenzoni non debbano essere date nella loro integrità).
Il discorso sul Tesoretto e sul Favolello non è chiuso. Sono testi facili solo all’apparenza, specie a causa delle contorsioni che il metro e lo schema delle rime impongono all’autore. Di certi hapax resta poco chiaro, nonostante lo sforzo degli interpreti, il significato. Altri termini sono ambigui (per esempio non parafraserei con ‘verità’, con Contini e Carrai, il drittura di Favolello 7 «e fàllati drittura»: ‘giustizia’, che è il senso che drittura ha usualmente, mi pare più aderente al contesto). E certi passi dovranno forse essere riconsiderati in una futura edizione critica. Per esempio, ai vv. 1275-79 tutti gli editori postulano un (credo inattestato altrove) ablativo assoluto: «E vidi ne la corte, / là dentro, fra le porte, / quattro donne reali / che corte principali / tenean ragione ed uso». Dove «corte principali» vorrebbe dire ‘nella prima corte’. Ma dato che le «donne» di cui si parla sono virtù, e che principales è l’aggettivo che nel Medioevo spesso si predica delle virtù, in genere le cardinali, ci si deve domandare se la lezione corretta non sia piuttosto, con minimo emendamento, «come principali», cioè ‘come signore, regine di quella corte di giustizia’ (e sarebbe un altro errore d’archetipo, da aggiungere a quelli registrati da Pozzi e Contini nei Poeti del Duecento).
Forse potremmo chiudere, invece, il discorso sui rapporti tra Brunetto e Dante, salvo che non saltino fuori nuovi testi che permettano di riconsiderare sotto nuova luce la questione. Questione che è nota ad ogni studente liceale: Dante mette Brunetto all’Inferno, tra i sodomiti, ma non dice nulla della sua colpa (il che sorprende fino a un certo punto, dato che non sempre Dante lo fa), né di questa colpa si parla nelle fonti che non dipendono da Dante (il che non sorprende per niente: ci si aspetta che l’omicidio o la simonia lascino traccia nelle cronache, non necessariamente le inclinazioni sessuali).
Sodomia va allora inteso figuratamente, come ‘peccato contro la propria lingua materna’ (perché Brunetto, fiorentino, ha scritto il suo Tresor in francese)? Oppure come peccato politico (perché Brunetto non avrebbe «riconosciuto la sacra autorità dell’Impero»)? Mi sembra che la soluzione proposta da Zanato e ora da Carrai resti la più sensata: dato che Brunetto ci appare in compagnia di «Prisciano, Francesco Accursio e Andrea de’ Mozzi, [cioè] del gruppo di intellettuali, perlopiù pedagoghi ed ecclesiastici, che si sono resi colpevoli di pratiche omosessuali», non c’è ragione di pensare che lui non si sia macchiato dello stesso - non metaforico - peccato.
Non andrei oltre; né speculerei, per le ragioni che ho già accennato, sulla ‘memoria’ della poesia brunettiana nel canto XV. Il poeta Brunetto non aveva niente da insegnare a Dante, perché il peggior Dante (per esempio quello un po’ lezioso di Inferno IV: «Venimmo al piè d’un nobile castello, / sette volte cerchiato d’alte mura, / difeso intorno d’un bel fiumicello...») è migliore del migliore Brunetto. E l’idea che quando Dante mette in scena un altro poeta si serva - attraverso accorte allusioni - delle parole che quel poeta ha adoperato nelle sue opere mi sembra davvero un’idea tutta nostra, un’idea da filologi moderni, che mettiamo a forza nella testa di scrittori molto meno sottili di noi.
E questo vale anche per la testimonianza che molti (anche Carrai) considerano più probante: l’avvio del canto XV, «Ora cen porta l’un de’ duri margini...», nel quale si condenserebbero «gli echi di mosse identiche del Tesoretto, vv. 1183-84 “Or va mastro Burnetto / per un sentiero stretto”, e 2181-82 “Or si ne va il maestro / per lo camino a destro”». Ma direi di no: è una formula di transizione che si trova molte volte nella poesia narrativa francese, per esempio nel Girart de Rossillon («Ere s’en vait Girarz egal solel / per un estreit sender...» (l’identica immagine del sentiero stretto che si trova in Brunetto Latini), nella chanson de toile Gaiete et Oriour («Or s’an vat Oriour stinte et marrie»), nel Macaire franco-veneto, «Ora se voit sor un corant destrer». Langue, insomma, non parole, come nella poesia medievale capita non dico sempre, ma quasi.
* Sul tema, nel sito, si cfr.:
LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO DEI "DUE SOLI". DANTE "corre" fortissimo, supera i secoli, e oltrepassa HEGEL.
GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro Abramo"
Federico La Sala
Il cardinale John Henry Newman sarà santo
Il Papa riconosce il miracolo dell’intellettuale inglese convertito dall’anglicanesimo. Diventa venerabile il porporato ungherese Giuseppe Mindszenty perseguitato dal comunismo
di Redazione (La Stampa, 13/02/2019)
Roma. Il beato John Henry Newman, il cardinale teologo e poeta inglese della seconda metà dell’800 che si convertì dall’anglicanesimo al cattolicesimo, diventerà santo. Francesco ha approvato oggi il miracolo attribuito alla sua intercessione in un’udienza con il cardinale Angelo Becciu, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, durante la quale il Pontefice ha approvato anche le virtù eroiche del cardinale ungherese Giuseppe Mindszenty, che fu arcivescovo di Esztergom e primate di Ungheria, costretto agli arresti domiciliari dal regime comunista filosovietico e poi esule a Vienna, dove è morto nel 1975.
Grande intellettuale, la cui opera è ancora oggi oggetto di studi e approfondimenti, Newman era cappellano di Oxford prima di convertirsi al cattolicesimo. Anticipatore del rapporto fra fede e ragione e di numerosi temi del Concilio Vaticano II (fra cui la valorizzazione del laicato, la sfida educativa e il dialogo ecumenico) e fondatore in Inghilterra dell’Oratorio di San Filippo Neri, fu creato cardinale da Pio IX. Nel 2010 era stato Papa Benedetto XVI a beatificarlo in occasione del suo viaggio apostolico nel Regno Unito. Francesco ora lo canonizza.
Il cardinale ungherese Mindszenty fu invece un grande oppositore dei regimi comunisti e anche della Ostpolitik della Santa Sede, ossia al dialogo con i Paesi del Blocco dell’Est portata avanti dal cardinale Agostino Casaroli. Nato a Csehimindszent, nella campagna ungherese, ordinato prete nel 1915, venne nominato vescovo di Veszprém nel 1944 e imprigionato dai nazisti. Nel 1945 fu promosso arcivescovo di Esztergom e primate d’Ungheria; Pio XII lo creò cardinale nel ’46. Quando l’Ungheria divenne un Paese satellite dell’Unione Sovietica, Mindszenty si oppose strenuamente al comunismo che individuò in lui un nemico da eliminare. Nel 1948 il porporato fu prelevato in episcopio dalla polizia e arrestato; in prigione fu sottoposto a torture, umiliazioni e violenze fisiche per poi essere condannato all’ergastolo dopo un fino processo. Trascorse otto anni tra carcere e arresti domiciliari, controllato a vista dalle guardie che gli impedivano pure di pregare. Fu liberato nel 1956 ma si rifugiò nell’ambasciata statunitense di Budapest, non potendo partecipare ai Conclavi del ’58 e del ’63.
Tra gli altri decreti firmati oggi dal Pontefice figurano anche quelli di due servi di Dio italiani dichiarati venerabili: il sacerdote bresciano Giovanni Battista Zuaboni, fondatore dell’Istituto Secolare Compagnia della Sacra Famiglia, e la suora toscana Serafina Formai (al secolo Letizia), fondatrice della congregazione delle Suore Missionarie del Lieto Messaggio.
Diventano venerabili anche due gesuiti: un martire dell’Ecuador, Salvatore Vittorio Emilio Moscoso Cardenas, ucciso “in odium Fidei” a Riobamba nel 1897, e lo spagnolo Emanuele García Nieto, morto a Comillas nel 1974, e la religiosa colombiana Maria Berenice Duque Hencker (al secolo Anna Giulia), fondatrice della Congregazione delle Suore dell’Annunziazione.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
COR AD COR LOQUITUR (Il cuore parla al cuore): IL MOTTO EPISCOPALE DEL CARDINALE NEWMAN
ADAMO ED EVA, MARIA E GIUSEPPE UGUALI DAVANTI A DIO: L’ALLEANZA DI FUOCO. SI’ ALLE DONNE VESCOVO: LA CHIESA ANGLICANA SORPASSA LA CHIESA "CATTOLICA". Il cattolicismo "andropologico" romano è finito
Federico La Sala
L’esperto.
Newman? Un ponte fra la Chiesa di Roma e gli anglicani
Parla lo studioso inglese Roderick Strange. «Da convertito ha portato nella Chiesa di Roma una sensibilità tutta inglese, dimostrando come sia possibile essere inglesi e cattolici allo stesso tempo»
di Silvia Guzzetti, da Londra (Avvenire, mercoledì 13 febbraio 2019)
Fare le piccole cose della vita di tutti i giorni bene e coscienziosamente senza puntare a nulla di eccezionale o esagerato. Questa la santità secondo John Henry Newman, il cardinale inglese che presto sarà santo. «Il grande teologo scrisse due paginette su questo argomento in un volume curato da don William Neville, il cappellano che lo assistette mentre moriva», spiega Roderick Strange, grande esperto di Newman, al quale ha dedicato tre libri, A mind alive (“Una mente viva”), Newman and the Gospel of Christ (“Newman e il Vangelo di Cristo”) e John Henry Newman. A portrait in letters (“John Henry Newman. Un ritratto in lettere”).
«Il suo approccio alla santità ha anticipato la piccola via di santa Teresa di Lisieux - dice don Strange -. E questo santo così inglese non puntava certo alla fama e avrebbe sorriso della decisione della Chiesa cattolica di canonizzarlo». «Non ho nulla del santo», scriveva Newman nel 1850, cinque anni dopo essere diventato cattolico, a una donna che suggeriva la possibilità che venisse contato tra i grandi della Chiesa.
Come avrebbe reagito Newman al riconoscimento del miracolo che lo porterà ad essere proclamato santo?
L’idea l’avrebbe confuso e sorpreso e, nello stesso tempo, anche divertito. Certo, lavorava duramente per avvicinarsi alla perfezione indicata dal Signore. Come tutti i veri santi era profondamente consapevole dei suoi limiti e delle sue debolezze e anche delle cose che sbagliava.
Come era Newman?
Riservato, sobrio, modesto. John Henry Newman è il santo inglese per eccellenza. Non a caso è il primo, in quasi cinque secoli, ad essere elevato all’onore degli altari dopo i martiri del sedicesimo e diciassettesimo secolo. Per trovarne un altro, prima di lui, dobbiamo risalire a san Tommaso Moro, John Fisher e alle centinaia di altri che hanno sacrificato la vita per mantenere la fiammella della fede cattolica accesa durante la riforma di Enrico VIII.
Perché un santo inglese dopo così tanto tempo?
Papa Francesco promuove l’idea che ci sono modi diversi di essere cattolici in diversi Paesi e regioni. Non c’è dubbio che il modo di essere cattolico di Newman era strettamente intrecciato con il suo essere inglese.
Perché Newman venne accusato di non essere un vero cattolico una volta entrato a far parte della Chiesa di Roma?
Perché era molto aperto nel suo modo di vivere il cristianesimo rispetto ad altri anglicani diventati cattolici nello stesso periodo. Frederick Faber, per esempio, il fondatore del “Brompton Oratory”, ancora oggi una delle chiese più famose di Londra, amava le devozioni italiane e cercava di importarle in Inghilterra. Nell’Ottocento i cattolici venivano guardati con diffidenza e si parlava della «missione italiana in Inghilterra», ovvero del tentativo dei fedeli di Roma di trasformare gli inglesi in italiani nel loro modo di professare il cristianesimo. Non era questo l’approccio di Newman che cercava sempre di risalire ai padri della Chiesa ovvero a quelle che riteneva le fonti vere del cristianesimo.
Che cosa lo distingueva dagli altri anglicani diventati cattolici a metà 1800?
Federick Faber e anche il cardinale Henry Edward Manning erano degli appassionati difensori del potere temporale del Papa. Al futuro santo Newman gli aspetti politici del cattolicesimo non interessavano. Un esempio fra tanti. Mentre i vescovi inglesi pensavano che i cattolici dovessero frequentare università gestite dalla Chiesa, Newman era convinto che dovessero andare nelle università statali e studiare insieme a chi non credeva. Era molto pratico e sapeva che l’unica possibilità concreta che avevano di assicurarsi un’istruzione universitaria era frequentare gli atenei che già esistevano. Newman diceva anche che le università pubbliche non potevano essere ambienti più corrotti di un esercito o del mondo degli affari, ambienti che i cattolici potevano frequentare. Per queste sue opinioni veniva considerato con sospetto, anche se la Chiesa di Roma, ufficialmente, non aveva ancora preso posizione sulla questione delle università.
È possibile immaginare Newman come un patrono dell’ecumenismo e pensare che la Chiesa cattolica e quella anglicana siano oggi più vicine?
Non c’è dubbio. Spero che la Chiesa d’Inghilterra possa riconoscere che quello che Newman ha portato alla Chiesa cattolica faceva parte della sua identità anglicana. Il grande teologo è sempre stato molto coerente. Era giunto alla conclusione che, per essere un vero seguace di Cristo, bisognasse appartenere alla Chiesa cattolica ma era anche persuaso che una grande parte di quello in cui credeva fosse compatibile con le sue radici anglicane. È significativo che, una volta diventato cattolico, abbia ripubblicato i suoi sermoni anglicani senza modificarli. Penso che molti anglicani vedano Newman come un vero ponte tra le due Chiese. Qualcuno che ha portato nella Chiesa di Roma una sensibilità tutta inglese, dimostrando come sia possibile essere inglesi e cattolici allo stesso tempo.
La scelta di un papa inquieto
di Gian Enrico Rusconi (La Stampa, 11.10.2018)
«L’aborto è come affittare un sicario». E’ un’immagine pesante, non facilmente comprensibile e vagamente diffamatoria quella usata dal Papa. Ma l’aborto viene da lui senz’altro omologato al «disprezzo della vita» quale si esprime nel lungo elenco delle guerre, degli sfruttamenti di ogni genere, di tutti gli abusi per opportunismo. Si tratta di parole gravi che contano, pronunciate da un maestro della comunicazione diretta e coinvolgente come Papa Francesco.
Eppure sulla base della sua esperienza pastorale, il Pontefice dovrebbe sapere che l’aborto non è semplicisticamente riducibile a «un problema per risolvere il quale si fa fuori una vita umana». E’ un’esperienza angosciosa intima.
Soprattutto Bergoglio ignora che «il problema» o «il diritto» all’’interruzione della gravidanza è riconosciuto dalla legge secondo determinate e ben precise condizioni. Essa riguarda «una gravidanza che comporti un serio pericolo per la salute fisica o psichica della donna, in relazione al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o alla previsione di anomalie o malformazioni del concepito. L’accesso all’intervento abortivo è dalla legge garantito in quelle circostanze, cosicché parlare di libertà di aborto è una forzatura che la legge non consente». Così ha scritto qualche giorno fa su questo giornale Vladimiro Zagrebelsky, augurandosi che non si ritorni a contrapposizioni irragionevoli, aggressive e diffamatorie.
Invece ci risiamo, e proprio per bocca del Papa. Adesso ci manca solo l’intervento di Matteo Salvini.
E’ triste dover fare questa battuta. Ma ferme restando le ragioni di principio dell’opposizione del Pontefice e del mondo cattolico all’interruzione della gravidanza, è innegabile che essa risenta del mutamento del clima politico e culturale del Paese. E che ci sia la tentazione di approfittarne per riaprire una questione che sembrava risolta nel rispetto reciproco delle convinzioni etiche.
Questa tentazione è un segnale importante dell’ avanzare di una democrazia illiberale nel nostro Paese. Si fanno prepotenti i segnali di insofferenza della classe politica al governo per ridurre o condizionare gli spazi di libertà di espressione della stampa. In maniera più pasticciata e subdola vengono alterati i diritti costituzionalmente riconosciuti ai richiedenti asilo, ai profughi, ai migranti. A questo proposito però esiste il consenso detto e non detto della popolazione e dello stesso mondo cattolico - con l’eccezione di pochi gruppi che rischiano però di godere di una visibilità mediatica fine a se stessa.
In tema di migrazione, accoglienza e integrazione dei migranti la stessa voce del Papa così forte, insistente, perentoria e persino provocatoria sino ad un anno fa, sembra in qualche modo ridimensionata. Si è fatta più realistica. Spero che questa mia affermazione non venga maliziosamente fraintesa.
Papa Bergoglio si trova in una situazione eccezionalmente difficile dentro e fuori la Chiesa. Nei suoi contatti e comunicazioni esterne talvolta si ha l’impressione che, senza abbandonare la sua tipica giovialità, sia profondamente turbato.
Questo turbamento si esprime anche nel suo schietto linguaggio tradizionale che mette continuamente in guardia qui e ora contro la presenza e l’opera del demonio. In fondo è lui il sicario dell’aborto.
Il vescovo ai fedeli Lgbt: «Vi riconosco»
«Vi riconosco fratelli». Lo ha detto Marcello Semeraro, vescovo di Albano, e segretario del C9 (il comitato scelto dal Papa), ai fedeli gay, lesbiche e transessuali riuniti sabato nel quinto Forum nazionale dei cristiani Lgbt ad Albano Laziale. Semeraro ha insistito anche sullo spirito di «accoglienza» della Chiesa ricordato più volte dal Pontefice.
Il suo discorso alla comunità Lgbt - pubblicato poi per la prima volta sul sito della diocesi - al quale ieri ha dedicato ampio spazio anche il quotidiano della Cei Avvenire, è un ulteriore segnale di apertura nei confronti dei omosessuali e transessuali da parte del Pontificato di Francesco.
* Corriere della Sera, 10.10.2018
Per una pastorale inclusiva.
«Lgbt? Per accogliervi conta che siate cristiani»
Insomma, meglio puntare sul sostantivo - cristiani - che sull’aggettivo lgbt. Così si è espresso il vescovo Semeraro al Forum nazionale dei cristiani Lgbt
di Luciano Moia (Avvenire, martedì 9 ottobre 2018)
«Siete gruppi cristiani e ciò mette in atto un titolo di fraternità. “Cristiano è il mio nome”, scriveva Paciano di Barcellona nel quarto secolo: questo permette a tutti i cristiani di chiamarsi per nome. È questo il titolo per il quale vi riconosco fratelli. È verità di sempre, è la verità del Battesimo che ha impresso in noi un sigillo di figliolanza e di fraternità (carattere battesimale) che nulla, neppure il peccato, riuscirà mai a distruggere».
Insomma, meglio puntare sul sostantivo - cristiani - che sull’aggettivo lgbt. È un passaggio del lungo, caloroso intervento rivolto sabato dal vescovo di Albano, e segretario del C9, Marcello Semeraro, al Forum nazionale dei cristiani Lgbt che per tre giorni ha radunato, proprio nel Comune sui Castelli romani, oltre duecento persone. Tanti giovani ma anche tanti genitori e operatori pastorali. Mamme e papà alla ricerca di una parola di conforto per comprendere sempre meglio il proprio ruolo in situazioni mai semplici né scontate, al di là di certa retorica sull’ormai raggiunto livello di tolleranza diffusa.
Sacerdoti ed educatori attenti nello sforzo di mettere a fuoco come dare concretezza alle indicazioni di Amoris laetitia (n.250), sulla necessità di offrire a chi manifesta tendenze omosessuale «gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita».
Da tutti gli interventi è emersa l’urgenza di un approfondimento antropologico, biblico e teologico del fenomeno omosessualità; la necessità - anche sulla base di quanto sollecitato da Semeraro - di una pastorale inclusiva e non più di nicchia, oggi promossa e realizzata in modo quasi carbonaro per difendersi dai possibili attacchi di chi non perde l’occasione per stracciarsi le vesti e gridare allo scandalo; l’opportunità che le comunità cristiane vivano l’accoglienza e l’effettivo riconoscimento della dignità personale dei figli di Dio nelle forme concretamente possibili, ma senza mai perdere di vista la logica del discernimento.
Per sintetizzare questi bisogni il vescovo di Albano ha preso spunto anche dal documento inviato alla Segreteria del Sinodo da alcuni giovani lgbt, in cui si auspica da parte della Chiesa una maggiore vicinanza e si chiede di continuare ad interrogarsi per capire cosa proporre ai giovani che «decidono di costituire coppie omosessuali» eppure continuare ad essere vicini alla Chiesa.
Semeraro ha ricordato che questi giovani si sentono spesso feriti ma ha aggiunto: «I “feriti” siamo anche noi adulti che ci proponiamo di accompagnarvi e sostenervi», ma proprio la fragilità può aiutare a scoprire tenerezza, solidarietà, coscienza dei propri limiti. A proposito della necessità di un rinnovamento della teologia, Daniela Di Carlo, pastora valdese di Milano, ha spiegato che in un logica cristiana non soltanto qualsiasi esclusione suona inaccettabile, ma anche un’accoglienza che metta tra parentesi sessualità e affettività, come se questi due componenti non fossero parte integrante della persona.
Sulla stessa linea Cristina Simonelli, presidente del coordinamento delle teologhe italiane, che ha a sua volta lamentato un’eccessiva tiepidezza della ricerca teologica e ha parlato di vere e proprie «omissioni della teologia morale», ma anche di quella esegetica, che, a suo parere, ha a lungo dimenticato di interrogarsi sulla sessualità se non per ribadire concetti desunti da quella che ha definito «sessuofobia introiettata».
E, a proposito di castità, ha detto che è sempre opportuno parlarne ma in modo equilibrato, non solo per predicare astinenza ma anche per sollecitare delicatezza e rispetto reciproco. «Serve una purificazione della memoria da parte della Chiesa - ha concluso la teologa - perché oggi troppe persone omosessuali si sentono ancora disprezzate, offese, oppure sono costrette a mimetizzarsi perché considerate sgradite nel loro ambiente ecclesiale ».
In precedenza, dopo un saluto in video da parte di padre James Martin - il gesuita redattore della rivista America - avevano offerto la loro testimonianza la predicatrice metodista Greetje Van der Veer, la comunità della parrocchia Regina Pacis di Reggio Emilia e la comunità delle suore domenicane Unione San Tommaso di Firenze che da una decina di anni ospita gli incontri del gruppo Kairos. Da tutti l’auspicio di una «conversione pastorale» in una logica di accoglienza reciproca «sotto lo sguardo benedicente di Dio».
Alle decine di genitori cristiani con figli omosessuali arrivati per ascoltarlo, il vescovo di Albano, Marcello Semeraro, ha ricordato la bellezza di una generatività che riesce ad accogliere anche in situazioni complesse, inattese, a volte difficili. Quando un ragazzo omosessuale manifesta il suo orientamento - coming out - i genitori che lo accolgono e lo rassicurano sul proprio affetto «compiono un atto generativo e rigenerativo».
Allo stesso modo, ha spiegato Semeraro, la Chiesa può dire davvero di amare un figlio «quando lo tiene tra le braccia». Ma si verifica davvero sempre così? Cosa succede in una famiglia quando un figlio, una figlia, racconta il suo disagio? E qual è il “tasso medio” di accoglienza nelle comunità cristiane nei confronti delle persone lgbt?
Le testimonianze dei genitori evidenziano situazioni tutt’altro che scontate in cui, accanto ad alcune realtà accoglienti, esistono tante esperienze di sofferenza, anni di nascondimento, lunghe attese, interrogativi angoscianti, vissuti intrecciati di timore e di apprensione per il futuro dei figli.
Altro che sguaiatezze e carnevalate da gay pride, come qualcuno aveva inopportunamente definito il Forum di Albano laziale. Nelle intense giornate dell’incontro, coordinato sotto il profilo pastorale da padre Pino Piva, gesuita, referente per la formazione degli accompagnatori ignaziani, si è pregato e discusso, messo in comune esperienze e documenti. Ovunque un clima di compostezza e di misura, consono alla problematicità di una situazione in cui le domande, anche sotto il profilo umano, pastorale e teologico, sono sicuramente più numerose delle risposte.
Anche i gruppi in cui mamme e papà hanno avuto l’opportunità di raccontarsi, hanno condensato tanti interrogativi e tante questioni aperte. Come emerso per esempio dal racconto di due genitori siciliani che per anni sono stati costretti a nascondere le scelte del figlio poi, quando la situazione è diventate esplicita, sono stati invitati in modo più o meno palese a tenersi ai margini dalla comunità. Più con gli sguardi e gli atteggiamento che non con le parole. Soltanto negli ultimi anni, nel nuovo clima di accoglienza voluto da papa Francesco, è stato possibile ricucire i fili di rapporti che - hanno riferito - rimangono comunque complessi, sempre in equilibrio precario.
«E le stesse difficoltà le viviamo sul piano civile». Situazione confermata anche da tanti altri genitori, di diverse diocesi, a conferma che tra Nord e Sud, specialmente nella provincia profonda, le differenze sul piano dell’accoglienza delle diversità non sono poi così nette. Eppure dai genitori con figli omosessuali è arrivata la richiesta di non essere lasciati soli, di essere riconosciuti come fratelli da parte delle comunità, di essere aiutati ad offrire alla Chiesa il proprio impegno e la propria disponibilità.
Oms toglie transessualità da lista malattie mentali
Entra nel nuovo capitolo ’condizioni di salute sessuale’
di Redazione ANSA *
ROMA - La transessualità non è più classificata dall’Oms come malattia mentale. "L’incongruenza di genere è stata rimossa dalla categoria dei disordini mentali dell’International Classification of Diseases per essere inserita in un nuovo capitolo delle ’condizioni di salute sessuale’", spiega l’Organizzazione Mondiale della Sanità, sottolineando che "è ormai chiaro che non si tratti di una malattia mentale e classificarla come tale può causare una enorme stigmatizzazione per le persone transgender". La decisione di lasciarla in un capitolo dell’International Classification of Diseases (ICD), spiega ancora l’Oms, nasce dall’esistenza di un notevole bisogno di importanti cure sanitarie che può essere soddisfatto se la transessualità rimane all’interno dell’Icd stesso. La transessualità, spiega Lale Lay, coordinatrice del team che gestisce le problematiche di adolescenti e popolazioni a rischio, è stata collocata "in un capitolo di nuova creazione, per dare spazio a condizioni collegate alla salute sessuale e che non necessariamente hanno a che fare con altre situazioni codificate nell’Icd".
Alla base della decisione c’è "l’aver capito che non si tratta di una condizione mentale e lasciare l’incongruenza di genere in quel capitolo avrebbe creato biasimo e condanna" per i transgender, ma "è stato inserito comunque in un altro capitolo" per "garantire l’accesso agli adeguati trattamenti sanitari".
Questo potrebbe "portare ad una migliore accettazione sociale degli individui" e, a cascata, "migliorare l’accesso alle cure perché riduce la disapprovazione sociale".
Gb: scatta Turing Law, ’riabilita’ i gay
Cancella migliaia di condanne del passato. E onora matematico
di Redazione ANSA *
LONDRA Entra in vigore la legge che sancisce la ’riabilitazione’ giudiziaria di migliaia di "gay e bisessuali" condannati nel regno in anni neppure tanto lontani.
Ribattezzata ’Turing Law’, era stato promessa fin dal 2013, quando a ricevere ’l’assoluzione postuma’ fu il solo Alan Turing: geniale matematico inglese, la cui storia e’ stata portata sul grande schermo dal film ’The Imitation Game’, che durante la II Guerra Mondiale contribuì a scardinare i cifrari segreti nazisti di Enigma. Salvo finire suicida dopo un processo nel 1951 per "comportamento indecente con un 19enne".
In Gb l’omosessualità è stata punita per secoli come un crimine: fino al 1967 in Inghilterra e Galles, fino al 1980 in Scozia, fino al 1982 in Irlanda del nord. L’iniziativa riguarda potenzialmente 49.000 uomini giudicati all’epoca colpevoli per comportamenti oggi non più reato e potrà essere invocata dagli eredi, con il diritto a ottenere la cancellazione delle relative sentenze di condanna dall’anagrafe giudiziaria.
Qualche anziana vittima delle leggi del passato ha tuttavia rigettato l’opportunita’, dicendo di volere "le scuse, non il perdono". La norma e’ valida a partire da oggi dopo essere stata inserita nel Policing and Crime Bill in seguito al cosiddetto Royal Assent, riporta la Bbc
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CHIESA
Suore sposate
La tristezza del papa
di KRZYSZTOF CHARAMSA*
Recentemente due suore si sono unite in matrimonio. Hanno promesso amore e fedeltà una all’altra. Da cittadine lo hanno fatto in un atto di unione civile, ora finalmente riconosciuto dallo Stato.
Da cattoliche credenti lo hanno fatto in una celebrazione di matrimonio religioso assistite da un sacerdote coraggioso.
Due suore lesbiche mostrano che la comunità omosessuale, incompresa e offesa per secoli, costituisce oggi una chiamata profetica per la Chiesa: esige dalla Chiesa il necessario ripensamento della sua posizione sull’amore umano, confrontandola con l’attuale stato del sapere scientifico ed esperienziale dell’umanità. Infatti, l’amore non può essere riservato solo a una parte dell’umanità, quella eterosessuale, come attualmente obbliga a pensare il magistero della Chiesa.
La Congregazione per la Dottrina della Fede nelle “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali” (2003) impone a tutti i cattolici di ritenere che le relazioni omosessuali non sono umane e non possono esprimere amore, perché «mancano della forma umana e ordinata delle relazioni sessuali».
Chi riflette senza pregiudizi anche solo sulla storia delle due suore innamorate, intende quanto è grossolana la falsità su cui la Chiesa fonda la sua attuale dottrina circa l’omosessualità.
La dottrina “priva” le persone omosessuali di capacità di sentimenti, di affetti e di esperienze d’amore coerenti con il loro orientamento sessuale, mentre la realtà dimostra il contrario.
Osservando la storia delle due suore innamorate e ricordando altre storie di sacerdoti o religiosi gay e religiose lesbiche innamorati, la gente inizia a rendersi conto che non esiste solo l’amore eterosessuale, ma in ugual misura esiste l’amore omosessuale e lesbico.
Quell’amore ha diritto di essere vissuto, proclamato pubblicamente e protetto dalla società e dalla Chiesa. Paradossalmente, mentre la Chiesa si definisce comunità d’amore, fa di tutto affinché l’amore di una parte dell’umanità sia rifiutato, disprezzato, offeso, ma anche negato, ritenuto “impossibile”. Ogni espressione dell’amore omosessuale secondo la Chiesa deve essere denigrato come non-esistente, nascosto come tabù o al massimo vissuto nell’armadio ipocrita (nel closet).
Le due suore hanno avuto il coraggio dell’amore, nonostante la stigmatizzazione da parte della loro Chiesa. Hanno annunciato che non sono uniche, ma che molte religiose nei conventi cattolici vivono esperienze amorose simili a quelle che hanno portato queste due donne credenti al matrimonio.
Ciò che sconvolge in questa storia è solo la reazione della Chiesa. Ciò che inquieta è la reazione di papa Francesco. Infatti, secondo quanto abbiamo appreso dall’apocalittico messaggio di mons. Giovanni Angelo Becciu, sostituto della Segretaria di Stato vaticana: «Quanta tristezza sul volto del papa quando gli ho letto la notizia delle due suore spose».
Ma triste in tutta la vicenda è solo la reazione della mia Chiesa. Davanti alle storie d’amore la Chiesa avrebbe il dovere di una profonda e rinnovata riflessione. Dovrebbe fermarsi nel silenzio rispettoso e riflettere se non ha perso di vista qualcosa che la aiuterebbe a capire la realtà, che stiamo vivendo e che spunta nelle storie d’amore. Dovrebbe domandarsi se non ha offuscato qualcosa di essenziale nella natura umana e se non ha ignorato il sapere umano attuale, stigmatizzando le minoranze sessuali, riducendole a questioni ideologiche o di moda passeggera.
Inquietante è la tristezza del papa, che aveva promesso di essere aperto a studiare la realtà senza pregiudizi. Aveva promesso l’accoglienza non “a parole vuote”, ma l’accoglienza che significa lo sforzo di comprensione della verità dell’altro. Inquietante è la tristezza del papa che sembrava aperto a studiare il sapere umano sulle minoranze sessuali e a smettere di ripetere solo le falsità da tempo superate. Nella sua tristezza egli torna a combattere la realtà e la dignità umana dell’amore, mentre si doveva scrutarla, comprenderla, discernerla.
Forse dovrebbe essere triste il Vaticano e l’intera società cattolica per non aver inteso i segni dei tempi, rinchiudendosi in una mancanza di umanità nei confronti delle persone non eterosessuali, che per ora vengono offese dalla vigente dottrina della Chiesa, che le “priva” di capacità di amore umano. Ora le persone omosessuali: religiose, religiosi, sacerdoti, laiche e laici, stanno mostrando alla Chiesa che sono capaci di amare e non intendono più nascondere il loro amore, che è cristiano e benedetto.
Concedo che per l’umanità la scoperta di quel sano e naturale amore, come espressione di sani e naturali orientamenti sessuali non eterosessuali, è una rivoluzione copernicana. Necessita tempo di comprensione, sforzo intellettuale e formativo, come fu nel processo di superamento della schiavitù. Necessita una Chiesa aperta alla ragione e papi che invitano la Chiesa a pensare.
L’umanità sta affrontando quel processo di civiltà, riconoscendo la dignità e i diritti che spettano alle persone non eterosessuali e chiedendo loro perdono per i secoli di incomprensioni e di offese.
Molte persone omosessuali, suore, preti e laici, attraverso i loro coming out (= uscite dall’oscurità dell’armadio della negazione di sé e del proprio orientamento sessuale) e attraverso le loro storie d’amore partecipano in quel processo coraggioso per un’umanità migliore.
Solo la mia Chiesa, le sue gerarchie e le istituzioni, si sono arroccate nel bastione della tristezza. Ora a pieno titolo in quella “triste tristezza” li presiede niente meno che papa Francesco, il papa della gioia, della comprensione, dell’accoglienza...
Evagrio Pontico aveva inserito la tristezza nel primo elenco di peccati capitali. Poi la tradizione cristiana ha rivisto quell’elenco, riducendo il numero dei peccati al biblico “sette” e cancellando l’“ottava” tristezza.
Oggi, osservando il perdersi della mia Chiesa in mezzo ai segni dei tempi, credo che si dovrebbe tornare al più presto alla tavola dei vizi dei primi secoli: la tristezza è il peccato della Chiesa incapace di usare la ragione e il cuore. È il suo rifugio dalla realtà, il nascondiglio davanti alla dignità dell’amore umano, che va compreso e di cui nessuno può essere privato “in nome di Dio”.
Caro papa Francesco, promettevi la gioia dello studio e della riflessione ecclesiale, libera da pregiudizi, oggettiva e serena, capace di comprendere la realtà. Perché stai tornando alla anti-evangelica realtà della tristezza? Quella tristezza non ci porta da nessuna parte, perché non viene dal Dio dell’Amore.
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Adista Segni Nuovi NOVEMBRE 2016 • N. 38
Online il portale LGBT: conquista da divulgare
di Chiara Saraceno (la Repubblica, 12.07.2016)
DOPO una falsa partenza oltre un anno fa, ritardi in parte dovuti a motivi tecnici, ma in larga misura a motivi istituzionali e politici, da qualche giorno è finalmente online il Portale di informazione anti-discriminazione Lgbt (http://www.portalenazionalelgbt.it/).
Organizzato attorno a sette aree tematiche, il sito vuole essere un punto di incontro e di confronto, « plurale e pluralistico » , che « attraverso i contributi di studiosi afferenti a diverse discipline, la collezione di dati normativi, giurisprudenziali e di prassi amministrative, la raccolta di materiale utilizzato in strategie di divulgazione e di comunicazione » mira a creare uno spazio di discussione condivisa su quelle « tematiche che riguardano i diritti e le libertà di molte persone, la loro identità ed il modo di svolgere le loro relazioni e di declinare le proprie affettività » .
In un contesto politico e culturale segnato da forti divisioni, malintesi e vera e propria ignoranza su omosessualità e transessualità, è importante che vi sia un luogo “ neutro” in cui si forniscano informazioni, mettano a confronto le situazioni in diversi paesi, presentino riflessioni pacate anche quando non da tutti condivise.
È importante che di questo spazio si sia presa la responsabilità lo stesso governo. Il portale, infatti, non è il frutto di una iniziativa privata, di qualche gruppo o associazione. È uno degli strumenti previsti dalla Strategia nazionale Lgbt, in attuazione di una raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa del 2010, al fine di « promuovere una maggiore conoscenza della dimensione Lgbt per contrastare ogni forma di discriminazione basata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere ».
La responsabilità è, appunto, in capo all’Unar, che nel 2012 ne aveva affidato la realizzazione alla amministrazione comunale di Torino, capofila, insieme a quella di Roma, della rete Re. a. dy - la Rete nazionale delle pubbliche amministrazioni anti- discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere. Era stato così istituito un gruppo nazionale di lavoro, composto da esperti e da rappresentanti di 29 Associazioni Lgbt. A questo è stato successivamente aggiunto un Comitato scientifico.
Un’organizzazione complessa, che testimonia la cautela con cui ci si è mossi in un terreno che in Italia è purtroppo minato ad ogni passo e che può in parte giustificare gli enormi ritardi con cui si è arrivati alla messa online, per altro ancora parziale, del portale.
I difensori della “ famiglia naturale” e i nemici di una “ teoria gender” che esiste per lo più solo nella loro testa sono sempre sul piede di guerra. Lo si è visto anche in questi giorni, dopo l’annuncio della ministra Giannini sulle linee guida per le scuole che si riferiranno anche alla parità di genere e alla non discriminazione. O a Torino, dove una neo- eletta del Pd ha pensato bene di attaccare la nuova sindaca per aver identificato nelle “ famiglie”, al plurale, l’oggetto dell’interesse di un assessorato.
La cautela rischia tuttavia di essere francamente eccessiva se la messa online avviene nella clandestinità più totale. A differenza di un anno fa, quando la ( falsa) partenza fu annunciata con una conferenza stampa e un buon battage comunicativo, ne sono al momento informati solo i soggetti che vi hanno direttamente lavorato; la circolazione informale della notizia è affidata ai social.
Se si digita “portale nazionale lgbt”, infatti, ancora stamani ( ieri per chi legge) si è rimandati alla notizia dello scorso anno. Non se ne trova traccia neppure sui siti dell’Unar e del Dipartimento per le pari opportunità, che pure ne sono i responsabili. Non c’è neppure un comunicato stampa, tantomeno un link al sito.
Tenere il portale nella clandestinità istituzionale non servirà a placare i guardiani della famiglia naturale e della sessualità “ normale”. Rischia invece di indebolire l’immagine e soprattutto l’azione dell’Unar, del Dipartimento e della presidenza del Consiglio come istituzioni garanti di una informazione corretta, di un confronto pluralistico e di atteggiamenti non discriminatori. Coraggio. C’è ancora tempo per recuperare quello perduto.
L’ex monsignore gay: «Così mi sono rivelato So che Dio mi accetta»
Il libro di Charamsa e la scelta di fare coming out
di Elena Tebano (Corriere della Sera, 28.06.2016)
«Racconterò tutto in un libro» aveva detto Krzysztof Charamsa, teologo gay del Sant’Uffizio, all’indomani del coming out sul Corriere della Sera che a ottobre gli è costato l’abito talare e la carica di ufficiale della Congregazione per la Dottrina della fede. Quel libro, La prima pietra. Io, prete gay, e la mia ribellione all’ipocrisia della Chiesa , arriva giovedì sugli scaffali delle librerie italiane, edito da Rizzoli. «Un’autobiografia che sarà forse accusata di essere incentrata soltanto sull’esperienza della sessualità» la descrive ora dalle sue stesse pagine l’ex monsignore polacco 44enne.
Ma chi si aspetti aneddoti e particolari rischia di rimanere deluso. C’è un accenno all’incontro con Eduard Planas, l’uomo catalano con cui oggi condivide la vita a Barcellona e che è stato fondamentale per il suo coming out. «Lui - racconta - sapeva tutto quello che possono sapere gli amanti di una notte» e nient’altro: non che l’uomo che stringeva tra le braccia era un prete. «Però io non volevo più nascondermi. Ma perché desideravo svelarmi? - si chiede -. Non volevo perderlo, mi ero innamorato. E quella notte avevo visto Dio che mi amava, mi abbracciava, mi accettava».
C’è la descrizione del percorso che lì l’ha portato, a partire dalla sua prima storia con un uomo iniziata quando già aveva preso i voti: «Un prete italiano: si era innamorato di me e fece il suo coming out». Dichiarazione d’amore dapprima respinta da Charamsa con «paroloni su come ciascuno di noi porti dentro di sé le proprie difficoltà e sul fatto che tutto vada dominato con la forza della ragione». Per poi tornare sui suoi passi un mese dopo: «Questo uomo mi ha aperto a me stesso, ha innescato il processo della mia uscita dalla gabbia imposta dalla Chiesa, è stata la scintilla di cui avevo bisogno» scrive adesso l’ex monsignore di quella storia («la mia prima relazione omosessuale»).
Ma c’è più di ogni altra cosa la testimonianza di un doloroso percorso intellettuale e spirituale per giungere ad accettare la propria omosessualità, che l’ha portato a una frattura insanabile con quella Chiesa in cui nutriva una fede incrollabile perché incrollabile era (ed è) la sua fede in Dio. Proprio perché il suo amore e la sua dedizione verso la Chiesa erano totali, ora è fortissima la rabbia per quello che Charamsa percepisce come un tradimento e come la «scoperta» che l’istituzione alla quale ha dedicato la vita era incompatibile con un aspetto centrale della sua persona. Anche per questo
La prima pietra contiene parole durissime nei confronti della Chiesa e del suo clero, che non possono non ferire chi nutre un sentimento cattolico. «Questo libro - dichiara - è anche “la” biografia di una Chiesa, che domina le persone, le sottomette, inculca loro il senso di colpa e promette la salvezza. “Se pubblicamente rinuncerai alla tua sessualità, ti salverai”. Da cosa vorrebbe salvarmi? Dalla felicità di vivere, dalla serenità, dall’accettazione di me stesso, dalla tolleranza, dagli artisti gay, dai baci di Michelangelo?» chiede.
Il suo diventa così un atto di accusa senza appello contro la dottrina cattolica della sessualità (etero e gay) e contro le gerarchie ecclesiastiche. Charamsa ne descrive gli atteggiamenti, compreso quello che definisce «l’odio verso papa Francesco» diffuso «nel Sant’uffizio», in termini tanto sconvolgenti quanto impossibili da verificare per il lettore. Fino a raccontare anche - dall’interno e con un mea culpa - la sua mancata denuncia di un prete che avrebbe abusato di un suo parente quando questi era adolescente.
Lo fa con toni inaccettabili per chi si riconosce nella Chiesa di Roma. Convinto di essere dalla parte (giusta) di Dio, che non ci possa essere conciliazione e che i molti - secondo le sue stime - omosessuali «buoni preti, dovrebbero abbandonare l’istituzione che si permette continuamente di offenderli». Forse è il suo limite più grande, perché gli impedisce di parlare a quella Chiesa di cui è comunque ancora figlio. E a cui molti fedeli chiedono oggi di confrontarsi con questi temi.
IL MESSAGGIO EVANGELICO, IL PARADOSSO ISTITUZIONALE DEL MENTITORE, E LA CATASTROFE DELL’EUROPA. “Come fu possibile la hitlerizzazione dell’Imperativo Categorico di Kant? E perché è ancora attuale oggi?” (Emil L. Fackenheim, Tiqqun. Riparare il mondo).:
L’amore ai tempi di Sant’Agostino
risponde Corrado Augias (la Repubblica, 28.05.2016)
LA RAGIONE sottostante a certi atteggiamenti da parte di uomini che non ne avrebbero in apparenza titolo, viene da molto lontano. Nella sua versione più antica la si vede nel famoso precetto di Sant’Agostino: dilige et quod vis fac - cioè: ama e fai ciò che vuoi. Che significato ha amare nel senso usato dal primo, grande filosofo cristiano (354-430)?
Con forte slancio poetico, un giorno Agostino disse ai suoi fedeli: «Ama e fa’ ciò che vuoi; sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore; sia in te la radice dell’amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene».
Non c’è film o sceneggiato sul vescovo di Ippona in cui questa poetica esortazione non venga mostrata. In realtà quei versi sono molto meno benevoli di quanto la parola amore li faccia apparire; il santo vescovo dice in sostanza che l’amore giustifica anche l’esercizio dell’autorità. Amare davvero qualcuno vuol dire volere il suo bene, il bene sommo, rappresentato dall’eterna salvezza. Lecito quindi, anzi doveroso, forzare per amore chi sbaglia a entrare nell’ortodossia; anche qui abbiamo un imperativo celebre “Compelle entrare”.
Ancora più esplicito diventa l’invito quando Agostino chiarisce in cosa consista l’esercizio della carità: «Sia fervida la carità nel correggere, nell’emendare... Non voler amare l’errore nell’uomo, ma l’uomo; Dio infatti fece l’uomo, l’uomo invece fece l’errore. Ama ciò che fece Dio, non amare ciò che fece l’uomo stesso... Anche se qualche volta ti mostri crudele, ciò avvenga per il desiderio di correggere ».
Quando dice che la carità «infierisce», Agostino usa il verbo latino saevire che vuol dire infuriare, incrudelire.
Saevus significa feroce; da saevire deriva “sevizia”. Il termine carità può avere questa valenza ambigua. Si sarà notato che papa Francesco ne usa uno più mite: misericordia.
Il nuovo confine del diritto d’amare
di Michela Marzano (la Repubblica, 12.05.2016)
DOPO trent’anni di attese, silenzi, smarrimenti e voltafaccia, anche in Italia, oggi, abbiamo finalmente una legge sulle unioni civili. Colmando così un incomprensibile vuoto normativo.
UN VUOTO normativo che aveva per troppo tempo impedito al nostro Paese di accompagnare la vita delle persone omosessuali verso un orizzonte di libertà, dignità e uguaglianza. Per trent’anni, ogni qualvolta si iniziava anche solo a parlare della possibilità di permettere alle persone omosessuali di condividere gli stessi diritti e gli stessi doveri delle persone eterosessuali, il processo legislativo si bloccava. Pacs, Dico, Cus, Didoré: sono tante le sigle dei progetti di legge che si sono susseguiti in Parlamento, e dietro i quali si nascondono migliaia di ore di discussione prima che le proposte si impantanassero e morissero, lasciando senza speranza centinaia di migliaia di nostri concittadini che aspettavano con ansia che la politica facesse il proprio dovere. In nome dell’uguaglianza di tutte e di tutti, indipendentemente dall’orientamento sessuale. Ma anche in nome della pari dignità e della comune umanità. Nonostante i molteplici pronunciamenti della Corte Costituzionale. Nonostante persino la condanna dell’Italia, nel 2015, da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo.
Oggi, dunque, si colma finalmente una lacuna. Sperando che possano cicatrizzarsi le ferite di coloro che, da anni, aspettavano che venisse riconosciuto il proprio diritto di amare e di costruire una famiglia. Tutto bene, allora? Purtroppo no. Visto che, ancora una volta, si è dovuto scendere a compromessi. E che invece di ancorare la legge all’articolo 29 della nostra Costituzione - come accade per il matrimonio - l’unione civile viene definita come una “specifica formazione sociale” e trova il proprio fondamento nell’articolo 2 e nell’articolo 3 della Costituzione che assicurano la protezione dei diritti inviolabili dell’uomo e affermano il principio costituzionale di uguaglianza. Arrivando così al paradosso che due persone omosessuali che stipulano quest’unione civile, pur avendo accesso alla quasi totalità dei diritti e dei doveri di due coniugi, non potranno essere considerati una famiglia.
In che senso? Nel senso che, nel testo, sono stati chirurgicamente espunti tutti i riferimenti, a parte quello presente al comma 12, alla “famiglia” e alla “vita familiare”. Fino alla beffa non solo di eliminare l’espressione “dovere di fedeltà” - come se l’amore omosessuale, per natura, fosse incapace della stessa profondità, continuità e unicità dell’amore eterosessuale - ma anche di lasciare i figli e le figlie delle persone omosessuali privi della protezione giuridica necessaria al proprio benessere e alla propria serenità. Perché non riconoscere lo statuto di “famiglia” a tutte quelle coppie, con o senza bambini, che sono già da tempo “famiglie”, costruiscono come qualunque altra coppia eterosessuale un progetto di vita familiare, affrontano le difficoltà della vita come chiunque, crescono e accudiscono i propri bambini e le proprie bambine come qualunque padre e qualunque madre? Certo, c’è ancora chi immagina che esista un’unica definizione di famiglia e che, citando a sproposito l’articolo 29, continua a ripetere che la famiglia sarebbe sempre e solo una “società naturale”.
La nostra Costituzione, però, non definisce affatto la famiglia come un’“entità naturale”. La nostra Costituzione parla della famiglia come di una “società naturale fondata sul matrimonio”, sganciando attraverso quest’ossimoro la famiglia, come spiegò all’epoca Aldo Moro, dalla dipendenza e dalla tutela dello Stato cui era stata invece sottoposta durante il ventennio fascista. Perché allora far finta che queste famiglie non siano famiglie, illudendosi che se qualcosa non esiste all’interno di una legge allora non esiste affatto? Perché negare protezione e serenità a tutte quelle bambine e a tutti quei bambini che vivono nelle famiglie arcobaleno e che continueranno a esistere anche se la legge li ignora? Modellare l’unione civile sul matrimonio non avrebbe voluto dire togliere valore al matrimonio, come hanno sostenuto in molti. Avrebbe voluto dire riconoscere alla vita familiare omosessuale la dignità che le è propria, senza discriminare.
Certo, lo ribadisco: questa legge è importante. Anzi, importantissima. Visto che arriva dopo trent’anni di vuoto legislativo e di battaglie perse. Visto che a partire da oggi tante persone potranno veder riconosciuti i propri diritti e la propria dignità. Visto che, anche culturalmente, si tratta di un messaggio importante indirizzato, con la forza simbolica della legge, a tutti coloro che continuano a immaginare che l’omosessualità sia un difetto, una devianza o una menomazione.
L’omosessualità è solo un orientamento sessuale, diverso da quello eterosessuale ma del tutto equivalente. È solo una delle tante differenze che caratterizzano ognuno di noi e che non può e non deve impedire a una persona di essere considerata uguale a un’altra in termini di dignità, di opportunità e di diritti. Da oggi, sarà più difficile non vergognarsi quando anche solo l’idea di insultare una persona omosessuale dovesse sfiorare la mente di chi pensa che esista un unico modo di essere o di amare.
Era il minimo che potesse fare il nostro Paese, anche per tutti coloro che, dopo anni di battaglie, non sono più tra noi e non potranno festeggiare questo momento. Come diceva però il Presidente Barack Obama nel 2013, il nostro viaggio non sarà concluso finché i nostri fratelli gay e le nostre sorelle lesbiche non sanno trattati come chiunque altro di fronte alla legge. Se siamo stati creati uguali, anche l’amore con cui ci leghiamo l’uno all’altro deve essere uguale.
Più diritti non offendono nessuno
L’Italia svolta, sì alle unioni civili
Renzi: scritta una pagina storica.
Salvini: non rispettare la legge.
Meloni: io le celebrerò
di Ugo Magri (La Stampa, 12.05.2016)
L’11 maggio 2016 è una di quelle date che tutti ricorderemo. Perché l’ultimo sì della Camera alle unioni civili segna uno spartiacque tra il prima e il dopo, tra quando non si poteva nemmeno concepire una «formazione sociale» di sesso identico e adesso che invece si può. Per una volta la politica, il tanto bistrattato Parlamento bersagliato dai populismi, ha saputo cimentarsi in quest’impresa che rivoluziona la società e aggiorna il costume nazionale.
Ma soprattutto, cambia la vita di tanti. Delle coppie che tra poche settimane, a partire dai primi di luglio, non appena il governo avrà emanato il suo decreto transitorio, potranno fissare un appuntamento in municipio con l’ufficiale dello stato civile e promettersi sostegno a vicenda. Nella buona e nella cattiva sorte. In quanto di questo fondamentalmente si tratta, di una legge che aggiunge dignità e sicurezza, conferisce garanzie e diritti a chi non ne aveva, senza però toglierne ad altri. Che dunque realizza il sogno di qualunque democrazia liberale, dove si vuole accrescere la felicità collettiva sommando le libertà individuali e abbattendo i divieti. Da ieri, sia detto senza che suoni retorico, siamo tutti quanti un po’ più liberi.
È la ragione per cui nessuno dovrebbe sentirsi offeso né ferito. La Cirinnà è una legge che dalle ore 19,40 di ieri appartiene all’Italia intera, compresi quanti fino a un attimo prima non erano stati d’accordo. Tutti hanno titolo per dichiararsi vincitori, non solo Renzi che senza dubbio ha il merito di averci creduto con forza e ora può aggiungere al proprio carnet una conquista civile di quelle maiuscole, paragonabile al divorzio e alla legge 194 sull’aborto. Insieme con Renzi hanno vinto pure quanti ritengono, a torto o a ragione, che il Paese non sia ancora pronto per le adozioni gay e sono riusciti a farne terreno di un approfondimento a parte, destinato a proseguire.
Hanno vinto i militanti Lgbt che, mentre ieri in Aula si votava, distribuivano coccarde arcobaleno davanti a Montecitorio e certo avrebbero desiderato un riconoscimento più pieno, una legittimazione meno avara sul piano delle parole, visto che di matrimonio non si parla mai. Però la sostanza è quella. E in fondo non escono sconfitti neppure i sostenitori del Family Day che, con le loro mobilitazioni, si confermano una presenza ancora in grado di premere sul legislatore. Ha fatto sentire la propria voce la Chiesa, attraverso un innovativo Sinodo sulla famiglia che, per chi crede, è arrivato provvidenziale nel vivo del confronto e, per chi non crede, resta comunque frutto della lungimiranza di Papa Francesco. Ma pure i laici per una volta hanno onorato la propria tradizione e hanno magnifiche ragioni per sentirsene orgogliosi.
Nell’insieme questa legge, attraverso le tensioni da cui è nata, i compromessi di cui i protagonisti sono stati capaci, ha fatto vivere una pagina nobile alla nostra coscienza civile. È stata una bella lotta di idee, e tante altre così ce ne vorrebbero.
I tabù del mondo
Si fa presto a dire famiglia
La vita umana non è la vita di una pianta o di un animale, ha bisogno di casa, radici, appartenenza non si accontenta della biologia, si nutre dell’amore dell’Altro, esige di essere riconosciuta
Ma tutto questo non ha nulla a che vedere con il sesso dei genitori o con la capacità di generare
Esiste davvero qualcosa come un istinto materno o un istinto paterno o forse queste formulazioni contengono una profonda contraddizione in termini?
di Massimo Recalcati (la Repubblica, 01.05.2016)
Famiglia è ancora una parola decente che può essere pronunciata senza provocare irritazione, fanatismi o allergie ideologiche? Famiglia è ancora una condizione fondamentale e irrinunciabile del processo di umanizzazione della vita oppure è un tabù da sfatare? Se c’è stato un tempo nel quale essa appariva circondata da un alone di sacralità inviolabile non rischia forse oggi di essere condannata come una sopravvivenza ottusa della civiltà patriarcale? Sono solo i cattolici più intransigenti a sostenere la sua esistenza come indispensabile alla vita umana?
Dal punto di vista laico della psicoanalisi la famiglia resta una condizione essenziale per lo sviluppo psichico ed esistenziale dell’essere umano. La vita umana ha bisogno di casa, radici, appartenenza. Essa non si accontenta di vivere biologicamente, ma esige di essere umanamente riconosciuta come vita dotata di senso e di valore. Lo mostrava “sperimentalmente” un vecchio studio di Renè Spitz sui bambini inglesi orfani di guerra che dovettero subire il trauma della ospedalizzazione ( Il primo anno di vita del bambino, Giunti 2009).
La solerzia impeccabile delle cure somministrate dalle infermiere del reparto nel soddisfare tutti i bisogni cosiddetti primari dei bambini non erano sufficienti a trasmettere loro il segno irrinunciabile dell’amore. Effetto: cadute depressive gravi, anoressia, abulia, marasma, stati di angoscia, decessi. Se la vita del figlio non è raccolta e riconosciuta dal desiderio dell’Altro, resta una vita mutilata, cade nell’insignificanza, si perde, non eredita il sentimento della vita. Non è forse questa la funzione primaria e insostituibile di una famiglia? Accogliere la vita che viene alla luce del mondo, offrirle una cura capace di riconoscere la particolarità del figlio, rispondere alla domanda angosciata del bambino donando la propria presenza.
La clinica psicoanalitica ha riconosciuto da sempre l’importanza delle prime risposte dei genitori al grido del figlio. Non si tratta solo di soddisfare i bisogni primari perché la vita umana non è la vita di una pianta, né quella dell’animale, non esige solo il soddisfacimento dei bisogni, ma domanda la presenza del desiderio dell’Altro; vive, si nutre del desiderio dell’Altro. La vita umana non vive di solo pane, ma dei segni che testimoniano l’amore.
L’attualità politica ci impone a questo punto una domanda inaggirabile: tutto questo concerne la natura del sesso dei genitori? Essere capaci di rispondere alla domanda d’amore del figlio dipende dalla esistenza di una coppia cosiddetta eterosessuale? La famiglia come luogo dove la vita del figlio viene accolta e riconosciuta come vita unica e insostituibile - ogni figlio è sempre “figlio unico”, afferma Levinas, - è un dato naturale, un evento della biologia? Siamo sicuri che l’amore di cui i figli si nutrono scaturisca, come l’ovulo o lo spermatozoo, dalla dimensione materialistica della biologia? Esiste davvero qualcosa come un istinto materno o un istinto paterno o forse queste formulazioni che riflettono una concezione naturale della famiglia contengono una profonda e insuperabile contraddizione in termini?
Se, infatti, quello che nutre la vita rendendola umana non è il “seno”, ma il “segno” dell’amore, possiamo davvero ridurre la famiglia all’evento biologico della generazione? Non saremmo invece obbligati a considerare, più coerentemente, che un padre non può essere mai ridotto allo spermatozoo così come una madre non può mai essere ridotta ad un ovulo?
La domanda si allarga inevitabilmente: cosa significa davvero diventare genitori? Lo si diventa biologicamente o quando si riconosce con un gesto simbolico il proprio figlio assumendosi nei suoi confronti una responsabilità illimitata? Le due cose non si escludono ovviamente, ma senza quel gesto la generazione biologica non è un evento sufficiente a fondare la genitorialità. In questo senso Françoise Dolto affermava che tutti i genitori sono genitori adottivi.
Generare un figlio non significa già essere madri o padri. Ci vuole sempre un supplemento ultra-biologico, estraneo alla natura, un atto simbolico, una decisione, un’assunzione etica di responsabilità. Un padre e una madre biologica possono generare figli disinteressandosi completamente del loro destino. Meritano davvero di essere definiti padri e madri? E quanti genitori adottivi hanno invece realizzato pienamente il senso dell’essere padre e dell’essere madre pur non avendo alcuna relazione biologico-naturale coi loro figli?
Questo ragionamento ci spinge a riconsiderare l’incidenza del sesso dei genitori. Ho già ricordato come l’amore sia a fondamento della vita del figlio. Ma l’amore ha un sesso?
Prendiamo come punto di partenza una formula di Lacan: “l’amore è sempre eterosessuale”. Come dobbiamo intendere seriamente l’eterosessualità? Questa nozione, per come Lacan la situa a fondamento dell’amore, non può essere appiattita sulla differenza anatomica dei sessi secondo una logica elementare che li differenzia a partire dalla presenza o meno dell’attributo fallico.
L’amore è eterosessuale nel senso che è sempre e solo amore per l’Altro, per l’eteros. E questo può accadere in una coppia gay, lesbica o eterosessuale in senso anatomico. Non è certo l’eterosessualità anatomica - come l’esperienza clinica ci insegna quotidianamente - ad assicurare la presenza dell’amore per l’eteros! È invece solo l’eterosessualità dell’amore a determinare le condizioni migliori affinchè la vita del figlio possa trovare il suo ossigeno irrinunciabile.
L’EUROPA, IL CRISTIANESIMO ("DEUS CHARITAS EST"), E IL CATTOLICESIMO COSTANTINIANO ("DEUS CARITAS EST").Una storia di lunga durata...
I FIGLI
di KHALIL GIBRAN *
E una donna che portava un bimbo al seno disse,
Parla con noi dei Figli.
E lui disse:
I vostri figli non sono vostri figli.
Essi sono i figli e le figlie della brama della Vita per la vita.
Essi vengono attraverso voi ma non per voi.
E benché essi siano con voi essi non appartengono a voi.
Voi potete dare loro il vostro amore, ma non i vostri pensieri,
Poiché essi hanno i propri pensieri.
Voi potete custodire i loro corpi, ma non le loro anime,
Poiché le loro anime dimorano case di domani, che non potrete visitare, neppure in sogno.
Potrete essere come loro, ma non cercate di farli simili a voi,
Poiché la vita procede e non si ferma a ieri.
Voi siete gli archi dai quali i vostri figli, come frecce vive, sono scoccate lontano.
L’Arciere vede il bersaglio sulla strada dell’infinito, ed Egli con forza vi tende
affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane.
Piegatevi nelle mani dell’Arciere con gioia:
Poiché come egli ama la freccia che vola, così Egli ama l’equilibrio dell’arco
* da: " Il Profeta" di Khalil Gibran
Amano
Giovanni De Mauro, direttore di (Internazionale, 22.01.2016)
Basta cercare di spiegare a delle bambine e a dei bambini di otto anni il dibattito sulle unioni civili che occupa le prime pagine dei giornali da qualche settimana (anzi, da secoli, la prima proposta di legge risale al 1988) per rendersi conto di quanto sia assurdo: c’è chi vuole impedire a due persone che si amano di sposarsi e avere dei figli solo perché sono omosessuali.
D’altra parte siamo rimasti davvero in pochi, con Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Slovacchia. Tutti gli altri, e in particolare i paesi europei a cui ci piace tanto paragonarci, hanno da tempo trovato forme e modi per regolare le unioni delle coppie omosessuali. Senza che questo abbia provocato contraccolpi devastanti nella società.
Già sul divorzio e sull’aborto la classe politica italiana aveva dimostrato la sua incapacità di stare al passo con i tempi, di interpretare i bisogni e gli orientamenti dei cittadini che dovrebbe rappresentare. E oggi la semplice domanda che andrebbe rivolta ai 630 deputati e ai 315 senatori italiani è: da che parte state? Dalla parte di chi nega i diritti o da quella di chi i diritti li difende e li garantisce?
La famiglia mummificata
di Massimo Villone (il manifesto, 20.01.2016)
I bambini in difficoltà si nascondono dietro mamma e papà. I governi dietro i presidenti della Repubblica e i giudici di costituzionalità. Accade per le unioni civili. Una maggioranza malmessa è in affanno. È in difficoltà lo stesso premier, che più volte ha certificato il problema come risolto. Evidentemente scambiando l’assertività dei tweet con i risultati. Partono allora in soccorso commentatori autorevoli e autorevolissimi. Uguali sì, ma non troppo, simili, certo, ma senza esagerare. 2Meno male che almeno il Quirinale non conferma i dubbi del Presidente sul ddl Cirinnà. Ne siamo lieti, anche se la domanda rimane su chi, come e perché abbia messo in giro quelle voci, e se il Quirinale ne fosse consapevole.
La politica, alla fine, non vive solo di dichiarazioni. E qui impatta su una sentenza della Corte costituzionale (138/2010). Ho già scritto su queste pagine che la Corte non rese un buon servizio a sé stessa e alla Carta fondamentale. La Corte lesse la nozione di matrimonio ex art 29 Cost. alla luce del codice civile del 1942. Un testo, dunque, anteriore alla stessa Costituzione, e una interpretazione storica che calava sul tessuto normativo della Carta una ingessatura fatale.
Per l’interprete è buona regola dare alle Costituzioni - testi fatti per durare - una lettura evolutiva, per adattare la norma alla mutevolezza dei tempi. Se non avesse fatto così la stessa Corte costituzionale, nel nostro paese avremmo ancora una diversa sanzione per l’adulterio dell’uomo e quello della donna (sent. 64/1961 e 126/1968). E se non avesse fatto così il legislatore (l. 442/1981) potremmo ancora avere il delitto d’onore, per cui qualcuno certo troverebbe un fondamento costituzionale.
Altri giudici di costituzionalità hanno saputo dare al tema delle coppie omosessuali una lettura molto più aperta, e vicina al sentire di oggi. Basta leggere le sentenze della Corte Suprema degli Stati uniti, ed in specie l’ultima e fondamentale (Obergefell v. Hodges, 26 giugno 2015) per cogliere una ben diversa ampiezza di orizzonti. Eppure, quel paese ha avuto esperienza anche di leggi fortemente repressive. Le ha superate, con una lettura della Costituzione in chiave egualitaria, costruita sui diritti fondamentali di ogni persona.
Oggi in Italia ci si appiglia a una sentenza del giudice di costituzionalità per dissimulare un problema politico. È un errore. La stessa Corte costituzionale ha anche affermato che due persone del medesimo sesso hanno il diritto di formare una coppia, nella prospettiva di una stabile comunione di vita e di affetti. A questo punto che si chiami matrimonio o meno non ha importanza. Perché nell’ambito di quella coppia i diritti delle persone che la compongono non possono essere definiti dalla qualificazione giuridica della coppia. Sono diritti delle persone che ne fanno parte, a partire dalla filiazione. Non si deve misurare una distanza dal matrimonio che ne renda visibile la differenza. Si deve invece considerare quali siano i diritti inviolabili dei componenti della coppia come formazione sociale ai sensi dell’art. 2 della Costituzione.
Il punto focale non è dunque sulla qualificazione formale della coppia, ma sui diritti delle persone che la compongono. La prima non può limitare o negare i secondi. È assurdo e polveroso il dibattito in corso, dalla stepchild adoption all’affido più o meno rafforzato. Esprime tutta l’ipocrisia di un cattolicesimo provinciale che crede di difendere la famiglia attraverso la sua definizione giuridica. La famiglia si difende - e tutti vogliamo difenderla - garantendo la qualità della vita di chi ne fa parte. -Sono forti le famiglie dove i giovani possono permettersi di sposarsi, mettere su casa, avere un lavoro, una decente assistenza sanitaria, una buona scuola per i figli, una assistenza dignitosa per gli anziani. Sono deboli le famiglie dove degrado, povertà, fame sono ostacoli insuperabili.
E dunque Renzi mostri gli attributi, se li ha. Non lasci il problema in mano a qualcun altro, come usa fare con le questioni difficili. Se no, vorremmo presentare al ddl Cirinnà un emendamento sull’orfanezza (secondo il dizionario, condizione di chi è orfano). Una normetta volta a consentire agli italiani di dichiararsi orfani: del governo Renzi.
La polemica
Tutti gli alibi che inquinano le unioni civili
Si sta discutendo di dignità e identità delle persone Non tutto è negoziabile
di Stefano Rodotà (la Repubblica, 20.01.2016)
LA discussione sulle unioni civili avrebbe bisogno di limpidezza e di rispetto reciproco, invece d’essere posseduta da convenienze politiche, forzature ideologiche, intolleranze religiose. Di fronte a noi è una grande questione di eguaglianza, di rispetto delle persone e dei loro diritti fondamentali, che non merita d’essere sbrigativamente declassata, perché altre urgenze premono. I diritti, dovremmo ormai averlo appreso, sono indivisibili, e quelli civili non sono un lusso, perché riguardano libertà e dignità di ognuno.
Bisogna liberarsi dai continui depistaggi. La maternità surrogata, vietata fin dal 2004, viene evocata per opporsi all’adozione dei figli del partner, penalizzando proprio quei bambini che si dice di voler tutelare e tornando così a quella penalizzazione dei figli nati fuori dal matrimonio eliminata dalla civile riforma del diritto di famiglia del 1975. E si dovrebbe ricordare che la Costituzione parla della famiglia come società “naturale” non per evitare qualsiasi accostamento alle unioni tra persone dello stesso sesso.
MA PER impedire interferenze da parte dello Stato in «una delle formazioni sociali alle quali la persona umana dà liberamente vita », come disse Aldo Moro all’Assemblea costituente. Altrimenti ricompare la stigmatizzazione dell’omosessualità, degli atti “contro natura”.
L’impegno significativo del presidente del Consiglio per arrivare ad una disciplina delle unioni civili rispettosa di quello che la Corte costituzionale ha definito come un diritto fondamentale a vivere liberamente la condizione di coppia si è via via impigliato nel prevalere delle preoccupazioni legate alla tenuta della maggioranza. Il riconoscimento effettivo di diritti fondamentali viene così subordinato ad una esigenza propriamente politica che sta svuotando la portata della nuova legge.
E non si può dire che si cerchi di procedere con la cautela necessaria, data la delicatezza dell’argomento, perché la cautela si è trasformata nel progressivo abbandono di una linea rigorosa, nel gioco delle concessioni verbali che tuttavia inquinano il senso della legge in punti significativi.
È indispensabile riprendere una strada coerente con il fatto che si sta discutendo di dignità e identità delle persone, dunque di una materia dove non tutto è negoziabile.
Il legislatore sta oscillando tra concessioni improprie e irrigidimenti ingiustificati. Una assai discutibile e discussa sentenza del 2010 della Corte costituzionale viene eretta a baluardo inespugnabile, che non consentirebbe neppure di adempiere a quel dovere positivo di riconoscimento pieno dei diritti delle coppie tra persone dello stesso sesso imposto all’Italia da una sentenza di condanna del 2015 della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Per sfuggire a questa responsabilità, più si va avanti più si delinea una situazione in cui il legislatore sta costruendo una sua gradita impotenza. Non posso intervenire perché avrei bisogno di una legge costituzionale. Non posso intervenire perché devo ancora considerare il codice civile come un riferimento ineludibile. Non posso muovermi nel nuovo contesto costruito dai principi e dalle regole europee. Non posso intervenire perché l’opportunità politica variamente mascherata me lo preclude. Nessuno di questi argomenti regge.
Nel 2013 la Corte di Cassazione ha detto esplicitamente che le scelte in questa materia sono affidate al legislatore ordinario. Ricostruire il principio di riferimento nel fatto che il codice civile parla ancora di diversità di sesso nel matrimonio è un errore di grammatica giuridica perché si dimentica che la Costituzione si pone in una posizione gerarchicamente superiore al codice civile e bisogna interpretare la Costituzione partendo dal principio di eguaglianza.
Proprio la forza di questo principio ha determinato un radicale cambiamento del sistema istituzionale europeo. La Carta dei diritti fondamentali ha cancellato il requisito della diversità di sesso sia per il matrimonio, sia per ogni altra forma di costituzione della famiglia, e ha ribadito con forza che non sono ammesse discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale. Se si guarda più a fondo nel nostro sistema, neppure l’accesso al matrimonio egualitario sarebbe precluso al legislatore ordinario.
In questo nuovo mondo, che pure le appartiene e nel quale ha liberamente deciso di stare, l’Italia è recalcitrante ad entrare. E così conferma un ritardo culturale, che in altri tempi aveva vittoriosamente sconfitto, anche in occasioni difficili come quelle dell’approvazione delle leggi sul divorzio e dell’aborto, senza restare prigioniera delle preoccupazioni della Chiesa, che oggi tornano in maniera inquietante e inattesa.
Di nuovo lo sguardo si fa ristretto, la riflessione culturale si rattrappisce e non si riesce a dare il giusto rilievo al fatto, sottolineato con forza dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che ormai la maggioranza dei Paesi del Consiglio d’Europa riconosce le unioni civili e che aumentano continuamente gli Stati dov’è riconosciuto il matrimonio tra persone dello stesso sesso - Francia, Spagna, Portogallo, Stati Uniti, Danimarca, Inghilterra, Irlanda, Svezia, Norvegia, Svizzera, Olanda, Belgio, Lussemburgo, Slovenia, Argentina, Brasile, Uruguay, Sudafrica. Strada che questi Paesi non percorrono con avventatezza, ma riflettendo con serietà, e che dovrebbero essere un riferimento per sfuggire alla superficialità con la quale troppo spesso in Italia si affrontano questioni serie come quelle riguardanti le adozioni coparentali ( stepchild adoption). Tema, questo, che trascura del tutto le dinamiche degli affetti, la genitorialità come costruzione sociale e che, a giudicare da alcuni improvvidi emendamenti al disegno di legge in discussione al Senato, rischia di lasciare bambine e bambini in un avvilente limbo, che di nuovo nega dignità ed eguaglianza.
Ancora e sempre l’eguaglianza, che la Corte costituzionale non ha adeguatamente considerato in quella sentenza del 2010, la cui interpretazione dovrebbe essere seriamente riconsiderata a partire dal nuovo contesto istituzionale europeo. Perché no? Ricordiamo che, con una violazione clamorosa del principio di eguaglianza, nel 1961 la Corte costituzionale dichiarò legittima la discriminazione tra moglie e marito in materia di adulterio. La Corte sui ravvide nel 1968, mostrando che l’eguaglianza e la vita non possono essere consegnate alla fissità di una decisione.
Un legislatore, che sta costruendo la sua impotenza, dovrebbe piuttosto riflettere sulla sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che, nel 2015, ha ammesso il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Ferma restando la legittima manifestazione di ogni opinione, i giudici americani hanno affermato il loro dovere di sottrarre i diritti fondamentali alle «vicissitudini della politica».
"Corrotti perdono pudore e dignità, provino vergogna"
Esce libro. "Mai emarginare i gay, ogni creatura è amata da Dio"
di Fausto Gasparroni (Ansa, 12 gennaio 2016)
ROMA "Sì, io credo che questo sia il tempo della misericordia". E’ quasi un vademecum per il Giubileo il libro-intervista di papa Francesco con Andrea Tornielli, "Il nome di Dio è misericordia" (Piemme, pp. 120, 15.00 euro), uscito oggi in 86 Paesi e presentato a Roma con ospiti come Roberto Benigni e il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin. "La Chiesa mostra il suo volto materno, il suo volto di mamma, all’umanità ferita - vi afferma Bergoglio -. Non aspetta che i feriti bussino alla sua porta, li va a cercare per strada, li raccoglie, li abbraccia, li cura, li fa sentire amati".
Nell’agile volume c’è tutta la visione di Francesco sulla misericordia, vero balsamo per "l’umanità ferita" del terzo millennio, cui ha voluto dedicare l’Anno Santo straordinario ponendola al centro della stessa idea di cristianesimo: "la misericordia è la carta d’identità del nostro Dio. Dio di misericordia. Dio misericordioso. Per me questa è davvero la carta d’identità del nostro Dio". Rivelando tra l’altro come una prima idea dell’Anno giubilare l’ebbe in embrione in una tavola rotonda tra teologi ai tempi di Buenos Aires: "si discuteva su che cosa il Papa potesse fare per avvicinare la gente, di fronte a tanti problemi che sembravano senza soluzione. Uno di loro disse: ’Un giubileo del perdono’. Questo mi è rimasto in mente". Forte l’accento posto dal Papa sul valore del sacramento della penitenza, sui confessori che devono avere "tenerezza" e "non allontanare" la gente che "soffre". E se, da una parte, "andare a confessarsi non è come andare a portare il vestito in tintoria", dall’altra i confessionali "non devono mai essere stanze di tortura". "A volte desidererei poter entrare in una chiesa e sedermi ancora in confessionale", confida Francesco. La stessa giustizia terrena "è più giusta, realizza davvero se stessa", se attuata "con la misericordia". Ecco quindi la crescita nella coscienza mondiale del "rifiuto della pena di morte". Bene anche "quanto si sta cercando di fare per il reinserimento sociale dei carcerati". La misericordia divina, insomma, "contagia l’umanità".
Tuttavia le parole più forti del Pontefice sono ancora sulla piaga della corruzione, un peccato che "viene elevato a sistema, diventa un abito mentale, un modo di vivere". "Il corrotto - denuncia Francesco - è così chiuso e appagato nella soddisfazione della sua autosufficienza che non si lascia mettere in discussione da niente e da nessuno. Ha costruito un’autostima che si fonda su atteggiamenti fraudolenti: passa la vita in mezzo alle scorciatoie dell’opportunismo, a prezzo della sua stessa dignità e di quella degli altri". Per il Papa, "il corrotto ha sempre la faccia di chi dice: ’Non sono stato io!’. Quella che mia nonna chiamava ’faccia da santarellino’". Il corrotto, in altre parole, "è quello che s’indigna perché gli rubano il portafoglio e si lamenta per la scarsità di sicurezza che c’è nelle strade, ma poi truffa lo Stato evadendo le tasse e magari licenzia i suoi impiegati ogni tre mesi per evitare si assumerli a tempo indeterminato oppure sfrutta il lavoro in nero. E poi si vanta pure con gli amici di queste sue furbizie". E’ quello "che magari va a messa ogni domenica, ma non si fa alcun problema nello sfruttare la sua posizione di potere pretendendo il pagamento di tangenti". La corruzione, insomma, "fa perdere il pudore", mentre "il corrotto spesso non si accorge del suo stato, proprio come chi ha l’alito pesante e non se ne rende conto". Il Papa lo ripete più volte: "peccatori sì, corrotti no!", perché nell’animo dei secondi non c’è il pentimento e la richiesta di perdono. "Dobbiamo pregare in modo speciale, durante questo Giubileo - aggiunge -, perché Dio faccia breccia anche nei cuori dei corrotti donando loro la grazia della vergogna, la grazia di riconoscersi peccatori bisognosi del Suo perdono".
Bergoglio torna con chiarezza anche sul tema dei gay: "persone omosessuali", vuole che le si chiami, perché "prima c’è la persona, nella sua interezza e dignità. E la persona non è definita soltanto dalla sua tendenza sessuale: non dimentichiamoci che siamo tutti creature amate da Dio, destinatarie del suo infinito amore". "Puoi consigliare loro la preghiera, la buona volontà, indicare la strada, accompagnandole", risponde a una domanda sulla sua esperienza di confessore. E a proposito della sua celebre frase "Chi sono io per giudicare?" afferma: "Avevo detto in quella occasione: se una persona è gay, cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla? Avevo parafrasato a memoria il Catechismo della Chiesa cattolica, dove si spiega che queste persone vanno trattate con delicatezza e non si devono emarginare".
Rodotà, il divenire universale dell’autonomia individuale
Saggi. «Diritto d’amore» di Stefano Rodotà per Laterza. Dalle unioni civili alla laicità dell’istruzione. Un libro che segnala come la legge non può colonizzare la vita affettiva e la sessualità di uomini e donne. L’amore non rinuncia al diritto. Lo usa come un mezzo per realizzare una sua pienezza. Questo è possibile perché la sua storia è storia politica
di Roberto Ciccarelli (il manifesto, 07.01.2016)
È arduo per un giurista parlare del diritto di amare, dato che la disciplina che rappresenta ha usato l’amore come premessa di un progetto di controllo delle donne, ridotte a proprietà del coniuge, mentre la politica continua a decidere sulla vita di uomini e donne. E tuttavia, scrive Stefano Rodotà nel suo ultimo libro Diritto d’amore (Laterza, pp.151, euro 14), l’amore non rinuncia al diritto. Lo usa come un mezzo per realizzare una sua pienezza. Questo è possibile perché la sua storia è storia politica.
Proprietà, credito e obbedienza: questa è la triade usata dal «terribile diritto», il diritto privato, per assoggettare l’amore - e la vita delle persone - alla razionalità dello Stato e al dominio della legge. Rodotà conduce da sempre una critica instancabile a questo modello. Per lui il diritto d’amore, come tutti i diritti, non nasce dall’arbitrio soggettivo, né da un fondamento naturalistico, ma dal legame tra il diritto e la realizzazione di un progetto di vita. Il diritto è legittimato dalle persone che decidono di riconoscerlo e lo usano per affermare l’autonomia e la libertà di tutti, non solo la propria.
Ciò non toglie che il diritto e l’amore, il desiderio di unirsi a un’altra persona, indipendentemente dal suo sesso, mantengano una distanza irriducibile. Quasi mai, infatti, il diritto è un complice della vita. Anzi, esiste per disciplinare gli affetti e per creare il modello del cittadino laborioso, maschio, proprietario. L’amore, invece, non sopporta regole o norme. Preferisce crearle da sé, nell’esperienza delle relazioni, seguendo un divenire che difficilmente può essere contenuto in un’unica disciplina valida per tutti. Per questa ragione il diritto ha preferito confinare «l’amore senza legge in uno stato di eccezione», come ha scritto un grande giurista francese, Jean Carbonnier.
L’autonomia irrinunciabile
In questo stato di eccezione prevale l’originaria ispirazione del diritto privato - cioè la riduzione della passione a cosa e della persona a proprietà di qualcuno. Orientamenti presenti ancora oggi in alcune sentenza della Corte Costituzionali o in fatali decisioni come quella sulla legge 40 sulla fecondazione assistita approvata dal governo Berlusconi.
A tutela dell’autonomia e della libertà delle persone, Rodotà usa la Costituzione e dai suoi articoli fondamentali traccia un uso alternativo del diritto che distrugge i valori di cui la stessa carta fondamentale è espressione. A questo punto è quasi inevitabile per il giurista raccontare la storia dei movimenti che hanno fatto esplodere il perimetro formalizzato dei poteri e della legge nel secondo Dopoguerra. Prima il movimento femminista, oggi i movimenti Lgbtq a cui Rodotà dedica un intero capitolo. Il diritto di amare è diventato una questione politica di rilievo perché alimenta la ricerca dell’autonomia delle persone. Il conflitto è emerso, fortissimo, sulle unioni civili come, di recente, hanno dimostrato i movimenti Lgbtq che hanno organizzato una «marcia dei diritti» per criticare l’insufficienza, addirittura le potenziali discriminazioni presenti nel disegno di legge Cirinnà che il governo intende approvare.
Storia di un incontro
In questa partita rientra anche il conflitto sull’educazione alle differenze nelle scuole: da una parte, c’è un movimento vasto che sostiene la laicità dell’istruzione pubblica e la critica dei ruoli sessuali per tutelare la libertà dei bambini e degli insegnanti. Dall’altra parte, c’è una reazione furibonda che attraverso il meme dell’«ideologia del gender» - una narrazione tossica strumentale e infondata - ha saldato un ampio movimento conservatore con le istanze più reazionarie del cattolicesimo e mira a colpire la laicità dell’istruzione e la libertà nelle scelte d’amore.
Come accade nei suoi libri, Rodotà unisce la storia dei movimenti a quelle della Costituzione italiana e della carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea alla quale ha contribuito. L’incontro con i movimenti serve al diritto per «conoscere se stesso, il proprio limite, l’illegittimità di ogni sua pretesa di impadronirsi della vita - scrive Rodotà -. Emerge così uno spazio di non diritto nel quale il diritto non può entrare e di cui deve farsi tutore, non con un ruolo paternalistico, ma con distanza e rispetto». Dal punto di vista dei movimenti, il diritto serve a riconoscere e a coltivare una tensione nel darsi regole che possono cambiare, seguendo una geometria delle passioni interna alle relazioni tra il soggetto e la sua vita.
In questo quadro è fondamentale il ruolo delle minoranze: il movimento omosessuale, insieme a quello femminista, quello Lgbtq, interpretano lo stesso modo di fare politica: per vincere i movimenti si coalizzano con altri soggetti attivi nella società al fine di ottenere un riconoscimento sociale e istituzionale. Le conquiste sulle libertà personali sono valide per tutti, come hanno dimostrato l’aborto e il divorzio. Il diritto d’amore si inserisce in questa nobile vicenda e risponde a un’esigenza che ha dato il titolo a un altro, notevole, libro di Rodotà: il diritto ad avere diritti.
Tensioni singolari
Auspicio, affermazione performativa, atto di cittadinanza: il diritto ad avere diritti è una formula che caratterizza l’azione coordinata delle minoranze e afferma i diritti universali di tutti: il welfare state, l’ambiente, i beni comuni, per esempio. L’universalismo singolare dei diritti si pratica sottraendosi dall’identità maggioritaria fissata per legge (Deleuze la definiva «divenire minoritario») e, allo stesso tempo, nella creazione di un diritto all’esistenza che sfugge ai principi della morale dominante e agli assetti del potere organizzato dal diritto. Questa duplice azione rivela l’esistenza di uno spazio rivoluzionario. Rodotà lavora alla sua riapertura, in un momento non certo felice di arretramento generale.
Diritto d’amore è infine un libro che va letto insieme a quello dedicato da Rodotà alla solidarietà. Da tempo il giurista è impegnato in una ricostruzione genealogica delle passioni e delle pratiche volte alla costituzione di una soggettività caratterizzata da un rapporto di reciprocità, irriducibile al narcisismo o alla naturalizzazione dei ruoli. Parla di uguaglianza e ne rintraccia la storia nelle pratiche della solidarietà e nella dignità della persona. In questa fittissima tessitura, l’amore è un «rapporto sociale», mentre la sua tensione singolare «a bassa istituzionalizzazione» spinge a creare mondi nuovi. Questa può essere considerata una risposta all’invocazione di Auden: «La verità, vi prego, sull’amore».
Attenzione a parlare in nome della natura
Ancora oggi si contrabbandano come «naturali» posizioni del tutto soggettive
di Nuccio Ordine (Corriere della Sera, 03.01.2016)
Tra gli slogan che caratterizzano i vari «Family day» e il dibattito di questi giorni sulle unioni civili e le adozioni, campeggia anche quello a difesa della cosiddetta «famiglia naturale»: è «naturale» solo la famiglia al servizio della riproduzione, mentre qualsiasi coppia (legata da unioni «sterili») non deve essere considerata socialmente e giuridicamente una famiglia. Anche sul piano delle relazioni, c’è chi ha stabilito che è «naturale» solo l’amore eterosessuale e che, invece, debba essere considerato «contronatura» qualsiasi forma di amore tra esseri dello stesso sesso.
Bisogna leggere il prezioso volume intitolato Natura, pubblicato da il Mulino (pp. 244, e 18), per capire quanto sia pericoloso arrogarsi il diritto di parlare in nome della «Natura». Roberto Bondì e Antonello La Vergata - allievi di Paolo Rossi (1923-2012), grande storico della scienza e delle idee, a cui è dedicato il lavoro - hanno avuto il merito di mostrare come i termini «natura» e «naturale», ambigui e sfuggenti, siano stati utilizzati, nel corso dei secoli, nelle accezioni più diverse.
Dagli esordi della filosofia (i pensatori «presocratici») fino alle più recenti riflessioni sulle questioni ambientali (Vandana Shiva), il dibattito sulla natura non ha mai conosciuto pause: non sarebbe stato possibile discutere sui principi e sulle finalità, sulla creazione e sul panteismo, sulla matematizzazione e sul meccanicismo, sul vitalismo e sull’organicismo, sulla morale e sulla bellezza, sull’evoluzionismo e sull’ecologia senza ricorrere a una necessaria prospettiva interdisciplinare, in cui filosofia e teologia, estetica e etica, biologia e cosmologia, matematica e fisica interagiscono (mi verrebbe da dire «naturalmente») tra loro.
Nel volume non mancano riferimenti alle opposte personificazioni della natura: benigna e matrigna (ma sulle abusate formule scolastiche si veda ora Gaspare Polizzi, Io sono quella che tu fuggi. Leopardi e la Natura, Edizioni di Storia e Letteratura, pp. 144, e 7), generosa e avara, trasparente e occulta. Ne viene fuori un affascinante percorso, in cui la problematicità e la polisemia dei termini «natura» e «naturale» si pongono come un necessario invito a evitare qualsiasi tentativo di semplificazione.
Molti filosofi e studiosi della natura (si pensi, per esempio, al rogo di Giordano Bruno o alla sofferta abiura di Galileo) hanno sacrificato la libertà e la vita per difendere l’eliocentrismo, per ribadire che chi vuole conoscere la «natura» non deve ricorrere alle metafore dei libri sacri ma allo studio scientifico della natura stessa.
Quegli errori commessi nel corso della storia tornano oggi in forme diverse quando vengono contrabbandate come «naturali» posizioni (etiche, religiose, comportamentali) che sono solo soggettive. Chi parla, insomma, in nome della «natura» confonde, spesso, le proprie regole morali (che riguardano esclusivamente le scelte di una microcomunità) con ciò che dovrebbe essere da tutti riconosciuto come una oggettiva legge, indipendente dalla volontà degli uomini.
L’omofobia? E’ una malattia da curare
di Giovanni Sabato (l’Espresso, 24 settembre 2015)
«Per secoli si è discusso se l’omosessualità fosse una malattia. Ora scopriamo che la vera malattia da curare è l’omofobia». Non usa mezzi toni Emmanuele Jannini, sessuologo all’Università di Roma Tor Vergata e presidente della Società italiana di andrologia e medicina della sessualità, nel riassumere senso dello studio pubblicato su “The Journal of Sexual Medicine”.
Con Giacomo Ciocca e altri colleghi delle Università di L’Aquila, Firenze, e Roma La Sapienza, Jannini ha sottoposto a oltre 550 studenti universitari italiani un test che misura i livelli di omofobia e altri questionari che individuano vari aspetti della personalità. Scoprendo che l’omofobia non è così rara come forse ci si poteva aspettare in un gruppo di giovani universitari, e che, come invece era ampiamente previsto, è più diffusa fra i maschi.
Ma soprattutto che è favorita da una serie di precise caratteristiche psicologiche. Sono tendenzialmente più omofobe le persone con livelli più alti di psicoticismo, un aspetto della personalità caratterizzato dalla paura, che porta ad atteggiamenti di ostilità e rabbia e in alcuni può essere un prodromo di vere e proprie psicosi; o con meccanismi di difesa immaturi (le strategie con cui affrontiamo minacce e difficoltà); o che hanno difficoltà nel rapportarsi agli altri per quello che gli psicologi chiamano "uno stile di attaccamento insicuro".
«In poche parole, emerge che gli omofobi sono soprattutto maschi insicuri, da un lato paurosi e dall’altro immaturi» riassume Jannini. «Se vogliamo è un po’ una scoperta dell’acqua calda, ma nessuno scienziato finora l’aveva dimostrato. Questo identikit coincide bene con un aspetto peculiare dell’identità di genere maschile che è quello della fragilità, dell’incertezza. Sappiamo che di default una persona si sviluppa secondo un modello femminile: solo se nel feto si attiva un complicato processo genetico e ormonale lo sviluppo viene dirottato per generare un corpo e un cervello maschili. L’identità di genere maschile è estremamente fragile e ha bisogno di continue conferme. A questo si aggiunge che un po’ tutti, per varie ragioni, tendiamo a confondere l’identità di genere e l’orientamento sessuale: è invalsa l’idea che il gay è effeminato, un “mezzo uomo” (mentre peraltro i dati scientifici dicono l’opposto: il pubblico si sorprende sempre quando a una conferenza mostro che i gay hanno in media genitali più grossi e livelli di testosterone più alti, oltre che un’attività sessuale molto più frequente). Così di fronte a un “maschio effeminato” l’omofobo va in crisi perché sente minacciata la sua stessa identità di genere, si risveglia in lui la paura di non essere abbastanza maschio».
Per decenni, come è noto, anche nel mondo della psicologia sono state accettate teorie non dimostrabili che consideravano l’omosessualità una patologia. Finché, a metà Novecento, non si è provato a definire in concreto quali caratteristiche psicologiche distinguessero un omo da un eterosessuale. E si è constatato che non ce n’erano. Provare a distinguere fra i due con test di personalità o altri test psicologici era un po’ come cercare test che distinguano un tifoso dell’Inter da uno del Milan: l’unico modo è fare domande legate direttamente alle preferenze, sessuali o calcistiche. Così l’omosessualità è stata derubricata dai manuali di psicopatologia, e la ricerca ha iniziato a spostarsi sull’altro fronte: non ci si chiede più perché una persona è omosessuale, ma perché provi ostilità, paura, disgusto verso l’omosessualità. Una domanda cui questo studio contribuisce ora a rispondere.
«Naturalmente questo non vuol dire che gli omofobi siano tutti psicopatici» precisa Jannini. «Ma qualche problema ce l’hanno. Noi per la prima volta diciamo che, se c’è da cercare dei segni di malattia, questi vanno cercati nell’omofobo. Hanno segni che indicano una debolezza del sistema psichico, quindi è più facile trovare un malato psichiatrico lì che altrove».
Altrettanto naturalmente, non tutte le persone con queste caratteristiche diventano omofobe. «Incertezza, paura, e soprattutto debolezza, sono fattori di rischio che rendono assai più sensibili ai messaggi omofobi che possono venire dalla società, dalla famiglia, dalla scuola, dalla battuta estemporanea in classe alle pressioni sistematiche di certe predicazioni religiose».
In quest’ottica, sostiene Jannini, per prevenire o moderare l’omofobia serve un’educazione sentimentale e sessuale che insegni fin da piccoli a non aver paura di se stessi, delle proprie emozioni e delle differenze con gli altri. «Un’educazione che è finalmente prevista nella riforma scolastica, la “Buona scuola”: per la prima volta c’è un richiamo importante alla tolleranza e al rispetto della differenza, e si mette in evidenza una serie di comportamenti che vanno respinti, inclusa l’omofobia. Ed è assurdo che ci sia chi si oppone vedendo in questa educazione una fantomatica “ideologia del gender”. Che non può esistere perché, anche se davvero ci fossero manipoli di cospiratori che congiurano per creare un esercito di gay e di lesbiche nelle scuole, nessuno saprebbe dirgli come farlo. Non si conosce alcun modo per modificare l’orientamento sessuale di una persona, bimbo o adulto, che sia con l’educazione scolastica o con le cosiddette terapie riparative per “curare” i gay. Se i cospiratori del gender pensassero di riuscirci facendo giocare i maschietti con le bambole e le femminucce con i soldati, resterebbero molto delusi».
Prima la Costituzione poi il catechismo, vale anche per le scuole cattoliche
di MARIA MANTELLO *
Un ragazzo fuori dalla classe con tanto di sedia e di banco dove possa stanziare durante l’orario di lezione lontano dai compagni: in uno spazio di solitudine... perché gay dichiarato.
Una umiliazione nella violazione della sua dignità di essere umano che si consuma a Monza nell’ “Ente Cattolico Formazione Professionale” (E.C.Fo.P) di Via Manara 34.
La ghettizzazione inizia giovedì 24 settembre e ha termine il lunedì successivo di fronte all’intervento dei carabinieri a cui la madre del ragazzo si rivolge per denunciare quanto stava accadendo al figlio.
Il Centro di formazione professionale di Via Manara 34 è annesso alla chiesa di S. Biagio, il cui parroco, don Marco Oneta è anche il presidente dell’Ecfop, che in Lombardia ha diverse altre sedi.
I centri di formazione professionale non fanno capo al Ministero dell’Istruzione, ma alle Regioni che in base all’art. 117 della Costituzione si occupano di “istruzione artigiana e professionale”. Le Regioni riconoscono gli enti privati di formazione professionale, a cui affidano la gestione dei corsi, coprendone ogni spesa: stipendi del personale, attrezzature di servizio, materiali didattici, ecc. Insomma, nel settore della formazione professionale, le Regioni hanno esclusivamente un ruolo sussidiario, ovvero di erogatrici di pubblico denaro. Un modello - per inciso- che la “buona scuola” renziana sta esportando nei cicli ordinari del sistema scolastico (dalla scuola d’infanzia ai licei).
Ma torniamo al caso dell’ Ecfop di Monza.
A far conoscere l’umiliazione inflitta al ragazzo gay è stata la stampa locale, che ha riportato nel dettaglio l’accaduto, comprese le incredibili dichiarazioni rilasciate in interviste e comunicati dal direttore Adriano Corioni, che dice di aver separato l’alunno gay perché «influenza negativamente gli altri ragazzini». Ovviamente - quanta cura! - lo avrebbe fatto anche per il bene del ragazzo stesso. Tanto bene, che il ragazzino gay è tornato a casa in lacrime, e fermamente intenzionato a non tornare più in quella scuola. Di qui l’intervento della famiglia di cui abbiamo detto prima.
Quando la vicenda ha cominciato a rimbalzare sui media, il direttore Corioni ha cercato di tutelarsi affermando: «Vi assicuriamo che non facciamo discriminazioni sessuali né razziali. La nostra attenzione è alla formazione professionale dei giovani, seguendo il dettame della pastorale della Chiesa cattolica».
Ecco il punto. Per una scuola cattolica il faro non è la Costituzione, ma la dogmatica curiale e il suo catechismo, che stigmatizza l’omosessualità come «oggettivo disordine morale», (canone 2357) e condanna gli omosessuali all’espiazione del “peccato” vivendo nel «sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione» (canone 2358).
Così, il direttore del centro professionale cattolico, si deve essere sentito un novello S. Giorgio (come non pensare al corto di Fellini “Le tentazioni del dott. Antonio”!) nel perseguire in quel suo alunno adolescente una doppia “colpa”: essere gay e per giunta dichiarato.
La dirigenza dell’Ecfop di Monza si deve essere sentita come investita da spirito militante alla diffusione della dottrina curiale cattolica. Un baluardo per non incrinare la pregiudiziale omofoba.
Di qui la crociata per mettere all’indice il ragazzino gay, gettando sulle fragili spalle di quell’adolescente la croce a cui inchiodarlo: quel banco d’isolamento.
Una vergogna per ogni più elementare concezione di umana educazione, che deve porre l’attenzione sul singolo, nel diritto dovere al riconoscimento della sua dignità.
Ma la direzione Ecfop preferisce la veste del medievale inquisitore per annichilire un ragazzo coraggioso. Un ragazzo che vuole essere riconosciuto per quello che è, e che sta combattendo la battaglia per il fondamentale diritto umano ad essere proprietario della sua vita.
Allora, vale appena ricordare che “formazione integrale della persona” - di cui si parla in ogni statuto di qualsivoglia scuola cattolica - non vuol dire omologazione ai precetti cattolici.
Si dismettano i sogni medievali teocratici. La libertà e la democrazia sono state conquistate con lacrime e sangue... Oltre i roghi e le gogne di Santa Romana Chiesa!
Sopra al catechismo e alle gerarchie vaticane c’è la Costituzione con i suoi principi fondamentali: anche contro i razzismi sessisti.
Ecco allora un buon esercizio che in un banco da solo potrebbe fare quel direttore: scrivere almeno cento volte l’art. 3 della Costituzione che vincola alla rimozione degli ostacoli - discriminazioni sessuali comprese - per promuovere la formazione del Cittadino.
Del cittadino democratico, caro direttore, non del credente cattolicista!
Maria Mantello
Gay: Strasburgo condanna Italia, riconosca unioni. Salvini: "Altre le emergenze"
Corte diritti umani accoglie ragioni di tre coppie omosessuali
di Redazione ANSA
STRASBURGO
21 luglio 2015
L’Italia deve introdurre il riconoscimento legale per le coppie dello stesso sesso. L’ha stabilito la Corte europea dei diritti umani. I giudici di Strasburgo hanno condannato l’Italia per la violazione dei diritti di tre coppie omosessuali.
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per la violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare di tre coppie omosessuali, che da anni vivono insieme in una relazione stabile. E ha stabilito che lo Stato dovrà versare a ognuno di loro 5 mila euro per danni morali. La Corte di Strasburgo ritiene che l’Italia debba introdurre il riconoscimento legale per le coppie dello stesso sesso perché considera che "la protezione legale disponibile attualmente a coppie dello stesso sesso non solo non garantisce i bisogni fondamentali per una coppia che sia in una relazione stabile, ma non dà neanche sufficienti certezze". A fare ricorso alla Corte europea dei diritti umani sono state tre coppie di omosessuali che vivono insieme da anni rispettivamente a Trento, Milano e Lissone (provincia di Milano). Tutte e tre hanno chiesto ai loro Comuni di fare le pubblicazioni per potersi sposare ma si sono viste rifiutare la possibilità. La sentenza di oggi della Corte di Strasburgo diverrà definitiva tra 3 mesi se i ricorrenti o il Governo non chiederanno e otterranno un rinvio alla Grande Camera per un nuovo esame della questione.
Legali soddisfatti per la sentenza,servono garanzie - "È un risultato molto positivo che dice che una forma istituzionalmente definita a garanzia va data". Lo affermano gli avvocati Massimo Clara, Marilisa D’Amico e Cesare Pitea, legali di due delle tre coppie al centro del pronunciamento della Corte di Strasburgo sui matrimoni gay. "Il governo - aggiungono - è stato condannato ad un risarcimento. La decisione non impone vincoli sullo strumento da individuare, si tratti di matrimonio, Dico o altro, ma uno strumento serve".
Salvini, emergenze per etero e omosessuali sono altre - La Corte di Strasburgo condanna l’Italia perché non riconosce le coppie gay. Non una parola sull’immigrazione, sulle tasse, sulle pensioni, sulla disoccupazione. Penso che le emergenze, per eterosessuali e omosessuali, siano queste. La Corte di Strasburgo ha rotto le palle! Non sarà un burocrate europeo a decidere il Futuro nostro, e dei nostri figli". Lo scrive su Facebook il leader della Lega, Matteo Salvini.
A Strasburgo pendono altri 4 ricorsi contro Italia - Quella di oggi potrebbe essere solo la prima di una serie di sentenze con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo si pronuncerà sulla necessità di introdurre nell’ordinamento nazionale una norma che riconosca le unioni civili. Davanti ai giudici di Strasburgo sono infatti pendenti altri quattro ricorsi riguardanti la registrazione di matrimoni contratti all’estero e uno in cui si chiede di condannare l’Italia perché ha impedito il ricongiungimento familiare di una coppia formata da un cittadino italiano e dal suo compagno neozelandese. La Corte di Strasburgo ha già comunicato al governo i ricorsi presentati da varie coppie (di cui una formata da donne e le altre da uomini) che essendosi sposate in Canada e Olanda hanno chiesto alle autorità italiane di registrare l’atto di nozze. Tutte le coppie si sono viste rifiutare la trascrizione perché la legge italiana non riconosce il matrimonio tra persone dello sesso sesso. Le coppie si sono quindi rivolte alla Corte di Strasburgo sostenendo che l’Italia sta violando il loro diritto al rispetto della vita privata e familiare, al matrimonio e a non essere discriminati perché nella legislazione non è prevista alcuna forma di riconoscimento legale della loro unione. In pratica, le stesse argomentazioni sostenute dai ricorrenti a cui oggi Strasburgo ha dato ragione. L’altra causa pendente davanti alla Corte è invece incentrata sull’impossibilità per un cittadino della Nuova Zelanda di ottenere un permesso di soggiorno come membro della famiglia per raggiungere il suo compagno italiano. Nel suo ricorso, la coppia - che ha finito per trasferirsi per ora in Olanda - accusa l’Italia di averli discriminati sulla base del loro orientamento sessuale rispetto agli altri cittadini.
Nozze gay legali in tutti gli Stati americani
La sentenza della Corte suprema apre la strada all’approvazione dei matrimoni nell’intero Paese
Un’altra vittoria della Casa Bianca dopo il via libera all’Obamacare: “Ora siamo un’unione migliore”
di Paolo Mastrolilli (La Stampa, 27.06.2015)
Tree Sequoia, 76 anni, era dietro al bancone dello Stonewall Inn di Manhattan, quando il 28 giugno 1969 la polizia assaltò il suo bar perché era un ritrovo di gay: «Tutto è cominciato qui, con quell’atto di violenza. Lo scontro, le nostre proteste, la nascita del movimento per i diritti degli omosessuali. Abbiamo lottato duramente per arrivare dove siamo oggi. Quindi è giusto celebrare qui il riconoscimento della nostra dignità, per noi e per le generazioni future».
Allora persino vestirsi da donna era un reato, mentre da ieri i matrimoni gay sono legali in tutti gli Stati Uniti. Lo ha deciso la Corte Suprema, con una sentenza storica che cambia la società americana. Come era già accaduto per l’aborto nel 1973, caso Roe vs. Wade, anche sulle unioni omosessuali sono stati i giudici a dover dire l’ultima parola.
Ancora vietate in 14 Stati
I matrimoni fra persone dello stesso sesso erano già legali in 36 Stati americani e nel District of Columbia, ma altri 14 continuavano a vietarli e non riconoscerli, soprattutto al sud. Alcune coppie di Kentucky, Michigan, Ohio e Tennessee hanno fatto causa contro il divieto, e la Corte Suprema ha deciso di ascoltarla. Leader dell’iniziativa Jim Obergefell, un agente immobiliare di Cincinnati diventato attivista dei diritti gay, dopo che era stato costretto a sposare il suo compagno John, morente di Asl, sul tarmac dell’aeroporto Marshall di Baltimora-Washington, perché a casa sua in Ohio non poteva.
Ieri la Corte ha emesso la propria sentenza, con 5 giudici favorevoli e 4 contrari. Il voto decisivo è stato quello di Anthony Kennedy, un conservatore nominato dai repubblicani, che però in questo caso si è unito ai 4 colleghi liberal. Spiegando la sua posizione, Kennedy ha scritto che non era più possibile «condannare gli omosessuali a vivere in solitudine, esclusi da una delle istituzioni più antiche della nostra civiltà. Chiedono di avere dignità uguale agli altri davanti alla legge. La Costituzione garantisce loro questo diritto». I 4 giudici conservatori hanno pubblicato quattro risposte diverse, in cui sostengono che decidere la questione dei matrimoni gay non toccava a loro, ma ai politici. Quindi è la democrazia stessa a soffrire, per il meccanismo con cui si è arrivati alla legalizzazione.
Il presidente festeggia
Il presidente Obama all’inizio della sua carriera era scettico sui matrimoni gay, al punto che il vice Biden lo aveva scavalcato e imbarazzato, anticipando che la Casa Bianca li avrebbe appoggiati. Ieri però ha celebrato la sentenza parlando nel Rose Garden della residenza presidenziale: «Gli Stati Uniti sono basati sull’uguaglianza fra i loro cittadini. Grazie a questa decisione, oggi siamo una unione migliore». Poi ha chiamato Obergefell per fargli i complimenti in diretta tv: «Sei stato un esempio per tutti. La tua leadership ha cambiato il Paese».
Secondo i dati della Ucla, negli Stati Uniti ci sono circa 390.000 coppie gay sposate, nei 36 Stati che finora lo consentivano. Le loro unioni però non erano riconosciute negli Stati che le vietavano, e molte migliaia di persone non potevano sposarsi. Alcuni ancora resistono, come il Mississippi, dove il governatore ha definito la sentenza «un’usurpazione dei nostri poteri». Ma ora, ha risposto Obama, «gli omosessuali non sono più cittadini di seconda classe. L’America deve essere orgogliosa di questo passo storico».
di CHIARA SARACENO (la Repubblica, 21.06.2015)
Quale sarà il grave pericolo per i bambini che ieri ha fatto scendere in piazza decine di migliaia di persone al grido di "salviamo i nostri figli"?
A SENTIR loro è l’indistinzione dei sessi, che sarebbe la conseguenza sia di una educazione che insegni a maschi e femmine a rispettarsi reciprocamente e a non chiudersi (e non chiudere l’altra/o) in ruoli stereotipici e rigidi, sia del riconoscimento della omosessualità come un modo in cui può esprimersi la sessualità, della legittimità dei rapporti di amore e solidarietà tra persone dello stesso sesso e della loro capacità genitoriale.
Stravolgendo le riflessioni di sociologhe/i, filosofe/i, antropologhe/i, persino teologhe/i sul genere come costruzione storico-sociale che attribuisce ai due sessi capacità, destini (e poteri) diversi e spesso asimmetrici, attribuiscono ad una fantomatica “teoria del genere” e alla sua imposizione nelle scuole - e la parola gender spiccava ieri sui cartelloni innalzati in piazza - la negazione di ogni distinzione tra i sessi e la volontà di indirizzare i bambini e i ragazzi verso l’omosessualità o la transessualità, quasi che l’orientamento sessuale sia esito di scelte intenzionali e possa essere orientato dall’educazione.
Timore, per altro, paradossale e contraddittorio in chi pensa che solo l’eterosessualità sia lo stato di natura. Rifiutando di distinguere tra conformazione sessuata dei corpi, ruoli sociali, orientamento sessuale, considerano chi propone questa distinzione come un pericoloso sostenitore tout court dell’androginia indifferenziata. Timorosi della “normalità”, e dello stigma e del disgusto che l’accompagnano, sono a loro agio solo nella perfetta, e unidimensionale, sovrapposizione delle tre dimensioni, che non dia adito a dubbi, in cui ciascuno “ sta al proprio posto”, assegnato da una natura priva di varietà, storia, cultura,intenzioni.
Per questo ce l’hanno tanto con l’omosessualità e il riconoscimento delle coppie omosessuali, perché non vi vedono solo uomini e donne che sono attratti da e amano persone del proprio sesso pur sentendosi rispettivamente maschi e femmine, ma uomini e donne che sconfinano dal proprio sesso, che non ne riconoscono le regole, sul piano della sessualità, ma anche della identità, incrinando perciò l’ordine di un mondo in cui maschile e femminile sono nettamente separati e l’eterosessualità non è solo una forma di sessualità, ma una norma sociale che assegna a ciascuno i propri compiti e posto in base al sesso di appartenenza.
In agitazione continua contro ogni proposta di riconoscimento delle coppie dello stesso sesso, a prescindere dalla affettività e solidarietà che le lega non diversamente dalle coppie di sesso diverso (migliaia di emendamenti alla proposta di legge Cirinná), da qualche tempo hanno aperto un fronte anche nei confronti della scuola, dalla materna in su.
Se la prendono con le iniziative che mirano a contrastare sia il bullismo omofobico sia la stereotipia di genere (due fenomeni distinti, anche se la seconda può favorire il primo) e ad aiutare i bambini e ragazzi a comprendere la varietà delle forme famigliari in cui di fatto vivono.
Purtroppo, come a suo tempo per l’educazione sessuale di cui hanno con successo impedito avvenisse a scuola, hanno trovato ascolto presso il ministero dell’educazione e la ministra Giannini, che dopo la manifestazione di ieri sarà ancora più attenta alle pressioni di chi non vuole che si tocchino questi temi a scuola.
Resta da vedere che cosa ha da dire il presidente Renzi, se si farà impaurire anche lui, che si propone come un innovatore, rimandando ancora una volta il riconoscimento delle coppie dello stesso sesso e lasciando fuori dalla “buona scuola” quei temi che, se affrontati serenamente e con consapevole legittimità, aiuterebbero ad evitare molte paure e molte violenze.
La Chiesa irlandese dopo il referendum «Dobbiamo fare i conti con la realtà»
Nozze gay, l’arcivescovo di Dublino Martin: prendere atto di questa «rivoluzione sociale»
di Paola De Carolis (Corriere della Sera, 25.05.2015)
LONDRA Il primo Paese al mondo a cambiare la costituzione a favore delle nozze gay con un referendum: quando l’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, parla di «rivoluzione sociale» non esagera. L’esito irlandese - i sì hanno vinto con il 62% dei voti - conferma che il Paese è proiettato verso la modernità e che il rapporto con la Chiesa cattolica è cambiato radicalmente.
Sembra quasi impossibile, oggi, credere che l’omosessualità sia stata illegale, sulla cosiddetta isola verde, sino al 1993, o che nel referendum sul divorzio, nel 1987, la maggioranza della popolazione abbia votato no (il divorzio venne approvato nel 1995). Quanta strada in poco tempo.
Per la Chiesa, secondo Martin, è arrivato il momento di riflettere. «Dobbiamo renderci conto di quale sia la realtà e smettere di negare l’evidenza», ha sottolineato l’arcivescovo. «Capisco perfettamente come possono sentirsi oggi uomini e donne gay o lesbiche. Noi della Chiesa dobbiamo prendere atto del fatto che la maggior parte di coloro che hanno votato sì ha trascorso 12 anni nelle nostre scuole cattoliche. La sfida adesso è capire come comunicare il nostro messaggio alla popolazione».
Una sfida particolarmente difficile sullo sfondo del calo delle presenze in chiesa. Se negli Anni 70 il 90% della popolazione si recava a messa la domenica, il totale oggi è sceso al 32%. Secondo l’arcivescovo, a Dublino è ancora inferiore: 18%. La relazione tra popolazione e Chiesa ha sofferto sicuramente a causa degli scandali sulla pedofilia nonché i casi di violenza psicologica e fisica di preti e suore nelle scuole, nelle case di cura, negli ospedali, ma il cambiamento è anche frutto di una modernizzazione che ha portato l’Irlanda negli anni del «miracolo della tigre celtica» a livelli di agiatezza economica mai visti e che ha aperto il Paese ad altre influenze.
L’Irlanda di oggi è più liberale, aperta verso altre culture e altri modi di pensare. Sono soprattutto i giovani ad aver votato sì in un referendum che ha portato alle urne più persone di quello per approvare l’accordo di pace del Venerdì Santo. Per Tom Curran, segretario generale del partito di governo Fine Gael, «è un giorno meraviglioso». E’ fedele, ha un figlio gay. «Siamo tornati ai valori di decenza, onestà e uguaglianza», ha detto. «Tutti i miei figli adesso hanno gli stessi diritti».
Il referendum non va necessariamente letto come un no alla Chiesa: pur essendo contraria a una ridefinizione del matrimonio, la Chiesa, ha sottolineato l’arcivescovo, «non è chiusa per nessuno». Lui ha votato no, ma mesi fa, quando si è trattato di organizzare la campagna per il referendum, rinunciò al ruolo di coordinatore. «Non ho nessuna voglia di far ingurgitare le mie vedute agli altri», spiegò con semplicità. «Chi non mostra amore e comprensione verso gay e lesbiche insulta Dio. Dio ama tutti».
In sordina, insomma, anche la Chiesa cambia. A gennaio, padre Martin Dolan, parroco della chiesa di St Nicholas, a Dublino, dichiarò durante la predica non solo di essere a favore della nozze gay, ma anche di essere omosessuale. Dieci anni fa non sarebbe stato possibile. Nella Dublino del 2015 i fedeli si sono alzati in piedi e gli hanno battuto le mani.
Fuori la Chiesa dalle lenzuola d’Irlanda
di Deborah Dirani (L’Huffington Post, 27/05/2015)
Che enorme occasione di evangelizzazione ha perso, ancora una volta, la Chiesa di Roma definendo la vittoria dell’amore irlandese una sconfitta per l’umanità. E che infinita tristezza racchiudono le parole del suo Segretario di Stato, un servo di Dio, in teoria. Un servo di quel Dio che raccontano essere buono e misericordioso, incline al perdono e dispensatore di infinito amore. Così lo raccontano, così ce lo propongono dal giorno in cui veniamo al mondo in quella parte di mondo in cui quel Dio lì ancora resiste. Per quanto? Per quanto potrà resistere l’incoerenza di questa chiesa che si riempie la bocca della necessità dell’amore e si chiude gli occhi davanti a una sua umana forma?
L’umanità non è sconfitta per il riconoscimento del diritto di sposarsi tra persone dello stesso sesso, l’umanità è sconfitta ogni volta che non accetta se stessa, in tutte le sue infinite sfumature. L’umanità è sconfitta ogni volta che si ostina, granitica, a non accettare la propria evoluzione. Lo chiamano oscurantismo, io necessità di controllo sociale. Del resto non sono certo la prima a identificare nelle religioni la beatificazione di questa umanissima esigenza: l’ordine sociale va mantenuto, ad ogni costo. Anche se questo costo sono donne ammalate bruciate su un rogo, infedeli trapassati da una spada, miscredenti infiammati o ostracizzati. Il rogo e la spada sono memoria lontana (mai abbastanza), l’ostracismo è il presente di una congregazione di anziani incapaci di mettere in pratica ciò di cui parlano.
Non sono cattolica, non lo sono per la mia impossibilità di accettare l’ineluttabilità di un destino che non mi posso scegliere, innanzitutto. Non lo sono per la poca misericordia nella quale continuo a imbattermi tra i massimi rappresentanti di questa vecchia Chiesa. No, non parlo dei preti di periferia, di quelli che si preoccupano più della vita che del suo ordine: quelli so che ci sono e a loro destino la mia più profonda e sincera ammirazione. Parlo di quei pii uomini ostinati a confondere la salvezza delle anime devote con la quotidianità della vita, con la necessità inviolabile che ogni essere umano ha di amare e di vedere legittimamente riconosciuto il suo amore.
Sotto le lenzuola la Chiesa, lo Stato e la politica non hanno il diritto di entrare: nessuno può decidere sulla liceità di un amplesso, nessuno può definire giusto un sentimento stigmatizzandone al contempo una delle sue possibili sfumature. L’omosessualità è vita, nonostante non sia in grado di generarne. Continuare a negarne la dignità è un errore talmente colossale da meritare, questo sì, le fiamme dell’inferno.
Pietro Parolin, portavoce del pensiero della Chiesa di Cristo, è molto triste per la vittoria del referendum sulle unioni gay avvenuta in un pio Stato quale è l’Irlanda. Ad avercelo vicino mi premurerei di passargli un fazzoletto per asciugarsi le lacrime, quindi gli consiglierei di essere molto felice perché quella che lo rattrista in realtà è la vittoria del principe dei suoi valori: l’amore. Non mi preoccuperei di snocciolargli il rosario delle empietà di cui la sua Chiesa continua a macchiarsi, tra preti che amano un po’ troppo i bambini e cercano di soffiare a Robert Mapplethorpe un posto nell’Olimpo dei fotografi del nudo.
Non mi preoccuperei neanche di ricordargli che tanti di quei bambini troppo amati sono diventati degli adulti incapaci di amare a causa di qualche innamorato con la tonaca. A che serve rinfacciare gli orrori commessi a chi ne è ben consapevole, nonostante l’omertoso silenzio dietro il quale per tanto tempo ha trovato un sicuro rifugio? Com’è, pure che diceva il Figlio di Dio? Ah, ecco: "Chi è senza peccato...". No, a Pietro Parolin offrirei una birretta, gli proporrei un brindisi: "Alla salute dell’amore, Monsignore!". Perché nonostante lei e quelli come lei alla fine vince lui, non dovunque, ma non dispero. Il tempo e la storia sono dalla mia parte.
Anche lei, o chi verrà dopo di lei, Monsignore, sarà costretto a piegare il capo davanti alla meravigliosa realtà della natura umana che ama. Non importa chi e non importa come: anche lei piegherà il capo e onorerà chi mette in pratica nella sua vita la parola di quel Dio di cui lei è devoto. Nel frattempo, Monsignore, mi premurerò di farle arrivare una buona scorta di fazzolettini, prevedo che in futuro gliene serviranno molti, moltissimi. E meno male!
IL CRISTIANESIMO NON E’ UN CATTOLICISMO!!! In Vaticano c’è ancora la Sfinge, "Edipo" e la peste .....
UNA NOTA PER aiutare Luca Diotallevi "a capire meglio l’affermazione, certo molto dura, del cardinal Parolin (Segretario di Stato vaticano) che ha definito l’esito del referendum irlandese sul matrimonio tra persone dello stesso sesso «una sconfitta per l’umanità»".
Matrimonio gay
L’errore di unificare le varietà dell’amore
La stessa costituzione italiana insegna che i diritti si tutelano riconoscendo le differenze, non negandole
di Luca Diotallevi (Corriere della Sera, 01.06.2015)
Che il matrimonio sia per lo Stato un «contratto» e solo per la Chiesa qualcosa d’altro è uno dei punti fermi della laicità. La questione, però, si può guardare anche da un altro punto di vista. La laicità non se ne abbia a male.
Per la Chiesa l’amore coniugale di un uomo e di una donna è un sacramento, ma diverso dagli altri sei. Infatti, la Chiesa non insegna che Gesù ha istituito («inventato») il matrimonio. Insegna invece che lo ha trovato ed elevato; che ha cioè riconosciuto, dentro il matrimonio, la qualità di base del sacramento. San Paolo e san Tommaso scrivono pagine straordinarie sul valore santificante dell’amore coniugale in sé. La Chiesa, insomma, non ha istituito, ma ha semplicemente riconosciuto la dignità dell’amore fedele - e non solo «contrattuale» - tra un uomo e una donna. Accetta che questo amore contenga, e che manifesti in una dimensione pubblica, una Grazia che non è stata Lei, la Chiesa, a metterci.
Non diversamente avviene per la politica. Lutero, quando volle dare al principe un potere senza limiti, contribuendo così alla nascita dello Stato moderno, affidò allo Stato una completa competenza anche sul matrimonio. Così si compì - come ha scritto John Witte - la nascita del matrimonio come «contratto». Del resto, lo Stato «assoluto» non tollerava nessuna istituzione autonoma: né quella del matrimonio, né quelle dell’università o dei mercati.
Una volta ridotto a «contratto», il matrimonio è una forma che gli individui - dopo aver accettato la «privatizzazione» della particolarità del loro amore imposta dallo Stato - riempiono di ciò che vogliono. La Chiesa che si fa regime o la politica che si fa Stato non tollerano troppa libertà per l’amore coniugale, né per l’amore in generale, a partire dall’amicizia. (De Tocqueville, venendo dall’Europa statalista, scopriva in un’America diversa la pratica dell’«amicizia civile»).
A questo punto, però, è possibile un’osservazione: molto secolare e poco laica. Questa osservazione può aiutare a capire meglio l’affermazione, certo molto dura, del cardinal Parolin (Segretario di Stato vaticano) che ha definito l’esito del referendum irlandese sul matrimonio tra persone dello stesso sesso «una sconfitta per l’umanità».
Nessun amore è mai una sconfitta. Mai, infatti, i diritti di una persona dipendono da come ama e da chi ama. La sconfitta sta, invece, nella perdita della coscienza della pluralità delle forme di amore (coniugale, amicale, genitoriale, ecc...). La sconfitta è il non saper più riconoscere, anche sul piano legale, la varietà degli amori e le loro differenze. Ciò si verifica inevitabilmente quando ad amori diversi si impone l’unica generica forma del contratto.
In realtà, non è affatto necessario contrattualizzare tutte le relazioni sociali per difendere anche al loro interno i diritti delle persone, soprattutto di quelle più deboli. Ad esempio, non dobbiamo pensare come un contratto il rapporto tra un genitore e un figlio per difendere i diritti dell’uno dagli abusi dell’altro.
Se, per un attimo, abbandoniamo il punto di vista laico, ci accorgiamo che ci sono tante forme di amore, ciascuna diversa dall’altra. Ci accorgiamo che, per difendere i diritti delle persone, non serve annullare la differenza tra le varie forme di amore. Semmai, ciò che serve è riconoscere queste differenze, come la Costituzione italiana prescrive e insegna.
Forse unioni civili che siano mere fotocopie dell’istituto del matrimonio tolgono più di ciò che danno. La Costituzione italiana insegna infatti a concepire la Repubblica come un insieme di tanti tipi di relazioni diverse, ciascuna con un proprio profilo istituzionale. Insegna che i diritti si tutelano meglio riconoscendo e responsabilizzando le differenze, non negandole. Questa è la via secolare, diversa dalla via laica.
Lo Spirito del mondo
di Vito Mancuso (la Repubblica, 25.05.2015)
VIENE da lontano l’esito del referendum irlandese con cui oltre il 62 per cento dei votanti ha detto sì alle nozze gay. Viene dalla lotta a favore dei diritti umani.
UNA lotta iniziata più di due secoli fa nel nome dell’uguaglianza e che ha portato a una serie di conquiste sociali tra cui il suffragio universale, la libertà di stampa, la libertà religiosa, l’istruzione per tutti, la parità uomo-donna nel diritto di famiglia, il superamento legale di ogni discriminazione razziale e altri traguardi di questo genere, tutti riconducibili al valore dell’uguaglianza di ogni essere umano. Sabato l’ha ribadito la maggioranza degli irlandesi: “Yes Equality”.
In queste trasformazioni dei costumi e del diritto si manifesta l’evoluzione della cultura e del pensiero prodotta da ciò che Hegel denominava “Spirito del mondo”, nel senso che noi non siamo i padroni delle nostre idee, ma sono le idee a entrare in noi.
C’è però una differenza rispetto al filosofo tedesco, e cioè che ora il primato non è più dello “Spirito oggettivo” rispetto allo “Spirito soggettivo”, ma al contrario. Assistiamo a una radicale riscrittura dei rapporti tra singolo e società: il primato non è più della società e delle sue istituzioni a cui il singolo si deve uniformare come nei secoli passati, ma è piuttosto del singolo a cui la società deve sapersi adattare servendone la felicità e la realizzazione. Prima erano i singoli a piegarsi alle istituzioni, ora sono le istituzioni a piegarsi ai singoli, modificando persino la Costituzione, come in Irlanda.
Il valore in gioco era il diritto di ogni essere umano all’amore integrale. Fino a poco tempo fa nei Paesi più avanzati del mondo (ma in Italia ancora oggi) se una persona nasceva con un orientamento sessuale di tipo omosessuale si vedeva negato il diritto all’amore integrale, che non si accontenta di esprimersi solo come passione privata ma desidera uno statuto pubblico, nel senso che esso entra a definire l’identità sociale di una persona, non più singolo, ma legato a un’altra persona in permanente comunità di vita. È questo desiderio dell’amore di acquisire una dimensione pubblica che porta le persone a sposarsi, e non semplicemente a convivere.
Chi desidera sposarsi non riesce più a pensare se stesso a prescindere dall’altro e chiede alla società di riconoscere pubblicamente il suo nuovo statuto, mutando per così dire la sua carta d’identità sociale e dicendo al mondo: “non sono più solo io, io sono unito con l’altro”. Questo è ciò che io chiamo “amore integrale” e che ritengo essere un diritto costitutivo di ogni essere umano. L’aspirazione all’amore integrale deve essere riconosciuto come diritto inalienabile che ogni essere umano acquisisce alla nascita, un diritto nativo, radicale, di cui nessuno può essere privato.
Ormai il tempo è compiuto anche da noi per sostenere nel modo più esplicito che tutti hanno il diritto di realizzarsi nell’amore integrale, senza distinzione. Il ritardo italiano non va colmato procedendo solo al riconoscimento delle unioni civili senza parlare di matrimonio, ma occorre procedere al matrimonio anche per le coppie gay, perché sono in gioco l’uguaglianza e il diritto nativo all’amore integrale.
Il senso complessivo di questo movimento è altamente evangelico, perché sempre, quando trionfa la singolarità della persona rispetto alla logica di Stato delle istituzioni e delle tradizioni, si afferma il punto di vista di Gesù, il quale sosteneva che il sabato era per l’uomo e non l’uomo per il sabato, e che per questo venne eliminato dal potere istituzionale.
La Chiesa gerarchica però non l’ha ancora capito. Non l’ha capito nel 1789 quando il movimento è iniziato, e non l’ha capito in questi giorni in Irlanda con i vescovi che hanno lanciato un appello per il «rispetto dei valori della famiglia tradizionale ». I singoli credenti invece sì. A meno infatti di non ritenere che essi in una nazione tra le più cattoliche al mondo siano solo il 37,9%, occorre riconoscere che per la maggioranza dei fedeli le posizioni della gerarchia cattolica non hanno rilevanza quando sono in gioco questioni etiche e diritti umani.
L’arcivescovo di Dublino ha detto che «la Chiesa ora deve fare i conti con la realtà». È vero, e spero che qualcosa avverrà. Ma ancora più importante è che i conti con la realtà li faccia la politica italiana, dando al nostro Paese una legge che consenta a ogni cittadino di vivere, nella pienezza del matrimonio, il diritto nativo all’amore integrale.
Un confronto davvero libero sui nuovi diritti civili
di Aldo Cazzullo (Corriere della Sera, 18.05.2015)
L’ Italia è l’unico Paese dell’Occidente a non avere una legge che riconosca le unioni civili. E sulla cittadinanza conserva norme concepite quando era un Paese di emigranti, e non un Paese - anche - di immigrati. Il richiamo del presidente Sergio Mattarella contro l’omofobia e «ogni discriminazione» è arrivato nel momento opportuno. Sarebbe sbagliato attribuire al presidente parole che non ha detto e intenzioni che non ha manifestato. Il Quirinale non interverrà nella definizione delle nuove regole che il Parlamento è chiamato a scrivere, per sanzionare crimini ma anche per riconoscere diritti.
Ma può avere un ruolo significativo, a maggior ragione perché sul Colle si è insediato un uomo di formazione cattolica; proprio ora che è finita la stagione dei veti di Oltretevere. Questo non significa ovviamente che la Chiesa sia pronta a riconoscere le coppie di fatto. Ma il clima non è più di scontro frontale. E il tempo è propizio per un confronto libero. In molti, ricordando che le ultime elezioni politiche non hanno dato una maggioranza parlamentare né alla sinistra né alla destra, sostengono che in questa legislatura sia impossibile introdurre nuovi diritti civili. È vero il contrario. Proprio perché non esiste alle Camere un orientamento culturale e politico prevalente, questa è la stagione giusta per trovare un minimo comune denominatore, una maggioranza vasta che vada oltre gli schieramenti precostituiti e approvi norme destinate a durare, e non a essere spazzate via nella legislatura successiva. Già lo si è visto sul divorzio breve. Inoltre, le categorie storiche di destra e sinistra, già logore di loro, in questo campo aiutano poco a capire; non a caso il matrimonio omosessuale con diritto di adozione è rimasto in vigore nella Spagna governata dai popolari e nell’Inghilterra conservatrice.
In Italia un simile cambiamento non troverebbe una maggioranza in Parlamento, e probabilmente neppure un ampio consenso nella società. Però la discussione deve essere aperta e rispettosa delle varie culture e sensibilità. Il dissenso non può essere demonizzato. Chi difende le proprie idee non può essere tacciato di omofobia, ma neppure di libertinaggio. È giusto discutere di tutto. Ad esempio le parole di Domenico Dolce e Stefano Gabbana sono state irrise, ma indicavano una questione su cui è lecito interrogarsi: oggi una coppia omosessuale o una donna sola possono andare all’estero e avere un figlio grazie a ovuli donati (o comprati) e uteri in affitto; ma una coppia omosessuale o una donna sola non possono andare in un orfanotrofio italiano ad adottare un bambino.
La discussione però dura da tempo, e non può essere infinita. Prima della fine della legislatura si dovrà trovare un accordo, diciamo pure un compromesso, parola di cui non si deve avere paura, perché non rappresenta il tradimento di un ideale ma la conquista di un terreno comune; che dovrebbe allargarsi anche al tema cruciale del fine vita. Il governo Renzi fa bene a rivendicare una funzione propulsiva, ma dovrà evitare forzature. Anche a proposito della nuova legge sulla cittadinanza.
Oggi il figlio di italiani è italiano anche se non vive e non vivrà mai nel nostro Paese: potrà ad esempio contribuire a decidere come spendere tasse che non paga. Invece il figlio di stranieri nato in Italia non è italiano e non lo diventa per troppo tempo: questo anacronismo genera estraneità e irresponsabilità; è difficile per i nuovi italiani riconoscersi in una comunità di valori da cui si viene esclusi. Siamo un Paese troppo permeabile per introdurre lo ius soli. La fase storica impone rigore e serietà, compenetrazione di diritti e di doveri. Ma è possibile fin da ora legare la cittadinanza al completamento di un ciclo di studi: deve essere la scuola dell’obbligo, oggi troppo spesso evasa anche dai figli di italiani, a trasmettere la lingua e i princìpi - a cominciare dall’uguaglianza tra l’uomo e la donna - conquistati con il travaglio di generazioni, che non vanno dispersi ma diffusi.
È una «grande società» quella che possiamo costruire, in cui nessuno verrà discriminato per i suoi orientamenti sessuali e per il colore della sua pelle. L’occasione è adesso.
Omofobia, Mattarella: "E’ disumanità". Obama: "Tutti devono poter vivere senza paura"
In occasione della nona Giornata internazionale istituita dal Parlamento Europeo, il capo dello Stato incoraggia "chi continua a battersi contro ogni forma di discriminazione basata sull’orientamento sessuale". Boldrini, varare presto legge per contrastare questo odioso fenomeno *
ROMA - "Le discriminazioni, le violenze morali e fisiche, non sono solo una grave ferita ai singoli ma offendono la libertà di tutti, insidiano la coesione sociale, limitano la crescita civile. Dobbiamo promuovere il rispetto delle differenze laddove invece la diversità scatena reazioni intolleranti. E dobbiamo parlarne con i giovani, perché purtroppo continuano a registrarsi atti di bullismo contro ragazze e ragazzi, che talvolta spingono alla disperazione". Lo scrive il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della Giornata nazionale contro l’omofobia e la transofobia. "Si tratta di espressioni di disumanità insopportabili - aggiunge - che vanno contrastate con un’azione educativa ispirata alla bellezza di una società aperta, solidale e ricca di valori".
Dagli Stati Uniti anche il messaggio di Barack Obama: "I diritti di lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBT) sono diritti umani. Tutti devono poter vivere senza paura, violenza, discriminazione, indipendentemente da chi sono e da chi amano", affermano con una nota il presidente americano e la first lady Michelle Obama. "Orgoglioso" dei passi che gli Usa hanno compiuto per rendere una priorità i diritti LGBT nel mondo, ha continuato, "questa battaglia non sarà vinta in un giorno. Ma continueremo a lavorare in questa direzione negli Usa e all’estero".
La battaglia contro la discriminazione. Continuare a battersi contro la discriminazione è anche il pensiero del presidente italiano. "In occasione della nona Giornata internazionale contro l’omofobia e la transfobia, istituita per iniziativa del Parlamento Europeo nel 2007, desidero incoraggiare quanti in questi anni si sono battuti e continuano a battersi contro ogni forma di discriminazione basata sull’orientamento sessuale delle persone" afferma Mattarella. "Il principio di uguaglianza, sancito dalla nostra Costituzione e affermato nella Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea, non è soltanto un asse portante del nostro ordinamento e della nostra civiltà. Esso costituisce un impegno incessante per le istituzioni e per ciascuno di noi. Rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della personalità umana è una responsabilità primaria, dalla quale discende la qualità del vivere civile e della stessa democrazia", continua il presidente. Campagna anti omofobia della Gay Help Line: "Felicità è un diritto"
Boldrini, varare presto legge. "L’omofobia non è accettabile in una società democratica" dice il presidente della Camera, Laura Boldrini. "Mi auguro - aggiuge - che anche il nostro Paese possa quanto prima dotarsi di una legge in grado di contrastare questo odioso fenomeno. Da sola non basterà certo a sradicare e a neutralizzare i pregiudizi, contro i quali è necessario un profondo lavoro culturale, ma intanto colmerà un troppo lungo vuoto normativo. Essere europei significa anche garantire a tutti gli stessi diritti". "Non può accadere - prosegue il presidente dall Camera in una nota - che nelle scuole i ragazzi e le ragazze omosessuali debbano subire così frequentemente atti di violenza e bullismo. Ed è egualmente intollerabile ogni forma di discriminazione basata sull’orientamento sessuale che continua a manifestarsi nello sport, come testimoniano anche le cronache di questa settimana. La giornata mondiale contro l’omofobia e la transfobia, che si celebra oggi, non può avere nel nostro Paese nulla di rituale o di scontato, perchè continuano ad arrivare troppo spesso preoccupanti segnali di intolleranza".
Bullismo. "Le discriminazioni, le violenze morali e fisiche, non sono solo una grave ferita ai singoli ma offendono la libertà di tutti, insidiano la coesione sociale, limitano la crescita civile. Dobbiamo promuovere il rispetto delle differenze laddove invece la diversità scatena reazioni intolleranti - aggiunge il capo dello Stato -. E dobbiamo parlarne con i giovani, perché purtroppo continuano a registrarsi atti di bullismo contro ragazze e ragazzi, che talvolta spingono alla disperazione. Si tratta di espressioni di disumanità insopportabili che vanno contrastate con un’azione educativa ispirata alla bellezza di una società aperta, solidale e ricca di valori".
"Cammino di libertà". "Contro l’inciviltà delle discriminazioni e delle violenze molta strada è stata fatta, eppure il cammino è ancora lungo - dice Mattarella -. E’ il cammino di una libertà come pieno sviluppo dei diritti civili, nella sfera sociale come in quella economica, nelle sfera personale come in quella affettiva. Libertà anche come responsabilità. E’ compito della società nel suo insieme abbattere i pregiudizi dell’intolleranza. E costruire al loro posto una cultura che assuma l’inclusione come obiettivo sociale, che applichi il principio di eguaglianza alle minoranze, che contrasti l’omofobia e la transfobia, perché la piena affermazione di ogni persona è una ricchezza inestimabile per l’intera comunità".
La storia. La Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, ricorda come il 17 maggio del 1990 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) eliminò l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali. Ci vollero ancora quattro anni perché la decisione divenisse operativa, con la successiva edizione del Dsm (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), il quarto, stilato nel 1994. L’Ue ha fatto propria questa data nel 2007, con una risoluzione del Parlamento europeo e il 17 maggio è diventata la Giornata internazionale da dedicare ogni anno al contrasto dell’omofobia e della transfobia.
Le iniziative. L’Arcigay è mobilitata da giorni in molte città, con iniziative e campagne di sensibilizzazione. Oggi a Trieste, Galatina, Gallipoli, Arezzo, Perugia, Catania, Napoli, Grosseto, Vicenza, Taranto, Mantova, Reggio Calabria, Livorno. Il prossimo weekend, 23-24 maggio, sarà la volta di Messina e L’Aquila.
"Io non giudico l’amore": la sigla del Padova Pride 2015
* la Repubblica, 17 maggio 2015 (ripresa parziale)
Gay, la filosofia svela i pregiudizi: "Perché il matrimonio same sex non è contro natura"
Nicla Vassallo pubblica un nuovo saggio a favore del matrimonio gay. La filosofa, stimata per i suoi contributi innovativi in diversi campi di studio - dall’epistemologia alla metafisica ai gender studies - prova a fare chiarezza su omofobia e diritti umani
di PASQUALE QUARANTA (la Repubblica, 12 maggio 2015)
"Gay e lesbiche debbono potersi sposare, se desiderano, e non c’è argomentazione valida contro, sempre che l’eterosessualità non permanga un dogma". Parola di Nicla Vassallo, ordinaria di Filosofia teoretica all’università di Genova, che con il suo nuovo libro Il matrimonio omosessuale è contro natura: Falso! (Laterza) demolisce molti luoghi comuni: dalla minaccia del matrimonio gay alla famiglia tradizionale alla complementarità tra uomo e donna. “Chi osteggia l’omosessualità e il matrimonio same sex - scrive Vassallo - dà prova non solo di irrazionalità, ma di vera e propria barbarie”.
Nel nostro paese si discute di matrimonio same-sex sotto diversi profili: psicologico, sociologico, politico, religioso. In pochi, invece, affrontano l’argomento sotto il profilo filosofico. Perché?
Perché la buona filosofia ci impone di ragionare bene e quando si ragiona bene si trovano solo pregiudizi contro il matrimonio same-sex.
Il suo libro sembra “sposare” un certo pensiero naturalista che ascrive ad ogni cosa naturale le caratteristiche di bene, di bontà, di autenticità. Ma se anche dimostrasse che l’omosessualità è naturale, o comunque non è contro natura, saremmo punto e a capo, io credo. Non sono forse naturali anche i terremoti, le malattie, e finanche la morte?
Il mio volume si oppone al facile richiamo totalizzante della natura: nel regno naturale esistono molte specie che tra loro intrattengono relazioni omosessuali, eppur tra loro non ci si sposa, poiché il matrimonio rimane un contratto stabilito tra umani, intrisi di cultura. Nel matrimonio non vi è nulla di naturale, e in troppi confondono natura, con comportamenti equivalenti al buono o alla tradizione. Della natura ci debbono parlare le scienze. Del matrimonio occorre comprendere il decorso nel tempo e nelle varie culture. Non si è mai data un’unica tipologia di matrimonio. E ciò non esclude affatto che alcuni matrimoni, specie eterosessuali (per quanto ne sappiamo), siano terremoti che infine conducono a grandi sofferenze. Gay, Nicla Vassallo: "Filosofia contro pregiudizi"
Nei dibattiti sui diritti delle persone omosessuali ci si trova sempre in Italia, prima o poi, a doversi confrontare con la religione cattolica. C’è da aspettarsi un’apertura della Chiesa su questo tema?
Mi pare un errore imputare alla Chiesa cattolica colpe che ha solo parzialmente. Parecchie religioni, inclusa quella cattolica, si sono attestate con decisione contro il matrimonio same-sex. Però nessuna Chiesa può incidere sulla possibilità e necessità del matrimonio civile, etero e omo. Sempre che si tratti di Chiese sensate, coerenti con se stesse, e prive di focosi fanatismi, e che la distinzione tra Chiesa e Stato venga tracciata con netta chiarezza. Questo per limitarmi al cosiddetto Occidente.
Per quanto riguarda i paesi di origine islamica invece?
La crudeltà praticata nei confronti di lesbiche e gay dovrebbe essere condannata in modo deciso. Come da noi dovrebbero venir posti in discussione donne e uomini etero che si accompagnano con donne e uomini di omofobe convinzioni (occidentali, musulmani e altro senz’altro inclusi). L’omofobia è una malattia psichica e al contempo somiglia da vicino ad altre malattie-ideologiche: basti pensare a cosa è accaduto a lesbiche e gay sotto i regimi dittatoriali - il nazismo, e non solo - con le vittime che ha mietuto, rimane quello che la nostra mente non dovrebbe mai dimenticare.
La teoria gender è diventata nelle ultime settimane un vero e proprio tormentone mediatico: di cosa si tratta e qual è la posta in gioco?
Se inseriamo l’espressione “ideologia di genere” in un motore di ricerca comprendiamo che essa resta una sorta di invenzione: nulla da spartire con la critica filosofica. La teoria gender prevederebbe che maschi e femmine abbiano educazione, modelli e ruoli sociali differenti, a partire dal mero sesso di appartenenza. Ma le caratteristiche che generalmente si fanno discendere dai sessi sono costruzioni sociali e culturali. Possiamo, e forse dobbiamo, essere contro la differenza sessuale come contro la differenza di genere, perché tali differenze impongono stereotipi, disparità tra i sessi e discriminazioni verso chi non si adegua. È in gioco il controllo sui corpi e il diritto all’autodeterminazione nelle scelte affettive e sessuali. Ma, a mio avviso, anche questa presa di posizione non comporta essere contro il matrimonio omosessuale.
I vescovi minacciano la famiglia
risponde Furio Colombo (il Fatto, 01.02.2015)
ASCOLTARE IL VESCOVO Bagnasco è imbarazzante, perché senti ripetere una frase insensata. Una famiglia non può minacciarne un’altra per il solo fatto che, nella vita privata, ha messo i mobili in un altro modo. È possibile che un pittore, solo o con prole, sia una minaccia per la famiglia di un ingegnere, che sta sullo stesso pianerottolo, ma con orari e momenti di vita e di esperienza molto diversi? Credereste a qualcuno che vi dice che una famiglia di sportivi è una minaccia ai coinquilini che si alzano tardi, mangiano molto e non credono nella palestra?
Se restiamo sul lato del senso comune e della quotidiana esperienza di vita, sappiamo tutti che, almeno in teoria, ognuno di noi è una minaccia per l’altro. Per esempio avere un vicino di casa che fuma sull’ascensore e non vuole sentire ragioni non sarà forse una minaccia, ma è un disturbo non da poco. Così come l’eccessivo amore per il rock a pieno volume o l’abitudine di appendere quadri a mezzanotte (succede, vi prego di credere).
Ma che per una famiglia con moglie e bambini con matrimonio in Chiesa e regolarmente trascritto in municipio, un’altra famiglia dello stesso caseggiato in cui due persone (magari due uomini o due donne) si vogliono bene, vivono insieme, stanno bene insieme, costituirebbe una minaccia (che vuol dire un pericolo) per l’altra famiglia (e guai se il loro legame venisse trascritto in municipio) non vi sembra una affermazione un po’ squilibrata?
Un conto è il credere fermamente che questa o quella cosa sia un peccato. Un conto è disprezzare e discriminare il tuo prossimo, privandolo di alcuni essenziali diritti civili, per il fatto che, nella sua vita privata, ha uno stile di vita diverso e non tiene conto della tua religione.
Né legge né diritto (salvo la Sharìa) mi permette di dire a un altro essere libero come deve vivere la sua vita personale e privata, e con chi, e secondo quali modalità. L’affermazione (le coppie di fatto e gay sono una minaccia per le altre famiglie) è bugiarda, perché non corrisponde a nulla di vero o di accaduto.
I vescovi minacciano la famiglia
risponde Furio Colombo (il Fatto, 01.02.2015)
ASCOLTARE IL VESCOVO Bagnasco è imbarazzante, perché senti ripetere una frase insensata. Una famiglia non può minacciarne un’altra per il solo fatto che, nella vita privata, ha messo i mobili in un altro modo. È possibile che un pittore, solo o con prole, sia una minaccia per la famiglia di un ingegnere, che sta sullo stesso pianerottolo, ma con orari e momenti di vita e di esperienza molto diversi? Credereste a qualcuno che vi dice che una famiglia di sportivi è una minaccia ai coinquilini che si alzano tardi, mangiano molto e non credono nella palestra?
Se restiamo sul lato del senso comune e della quotidiana esperienza di vita, sappiamo tutti che, almeno in teoria, ognuno di noi è una minaccia per l’altro. Per esempio avere un vicino di casa che fuma sull’ascensore e non vuole sentire ragioni non sarà forse una minaccia, ma è un disturbo non da poco. Così come l’eccessivo amore per il rock a pieno volume o l’abitudine di appendere quadri a mezzanotte (succede, vi prego di credere).
Ma che per una famiglia con moglie e bambini con matrimonio in Chiesa e regolarmente trascritto in municipio, un’altra famiglia dello stesso caseggiato in cui due persone (magari due uomini o due donne) si vogliono bene, vivono insieme, stanno bene insieme, costituirebbe una minaccia (che vuol dire un pericolo) per l’altra famiglia (e guai se il loro legame venisse trascritto in municipio) non vi sembra una affermazione un po’ squilibrata?
Un conto è il credere fermamente che questa o quella cosa sia un peccato. Un conto è disprezzare e discriminare il tuo prossimo, privandolo di alcuni essenziali diritti civili, per il fatto che, nella sua vita privata, ha uno stile di vita diverso e non tiene conto della tua religione.
Né legge né diritto (salvo la Sharìa) mi permette di dire a un altro essere libero come deve vivere la sua vita personale e privata, e con chi, e secondo quali modalità. L’affermazione (le coppie di fatto e gay sono una minaccia per le altre famiglie) è bugiarda, perché non corrisponde a nulla di vero o di accaduto.
Meglio se un vescovo non dice bugie, no? Infatti, in questo modo sono i vescovi che minacciano la famiglia, e la pace, il rispetto fra le famiglie.
Cinema
‘Pride’, il movimento Lgbt e l’attualità di una storia che non si è mai ripetuta
di Paolo Hutter (il Fatto, 15 dicembre 2014)
Un episodio dimenticato del grande sciopero dei minatori inglesi del 1984 e degli anni caldi e difficili del movimento Lgbt (allora solo gay and lesbians) inglesi. Un film, Pride, fatto benissimo, pieno di humour e passione, fratello di Priscilla e di Milk, che probabilmente avete visto, e di Der Kreis, Le circle, che probabilmente non avete visto (in Priscilla il confronto diretto tra l’allegra brigata dei brillanti e scioccanti gay di città e il rude e grezzo paesino di provincia; in Milk e in Le circle una storia di militanza gay novecentesca nella quale tutti leggono una storia di liberazione collettiva).
L’originalità della vicenda, vera, e del film stanno nell’inconsueta dialettica: non più non solo tra liberazione omosessuale e omofobia ma tra queste e il movimento operaio e sindacale. E nella ulteriore dialettica di genere, che vede nelle donne para-femministe dei minatori le protagoniste principali del dialogo.
Il film potrebbe anche avere successo. Come scrive Paola di Giuseppe sul sito Indie Eye “Cosa meglio di una storia vera di solidarietà, tolleranza, scoperta delle somiglianze che ci accomunano al “diverso”, potrebbe rubare la scena ai tradizionali cinepanettoni, pronti ad essere sfornati sulle tavole degli Italiani? C’è garbo, humor da vendere, ci si commuove anche un po’ e, soprattutto, si ricorda.”. Il film ha fatto scoprire anche a me - che pure all’epoca ero giornalista e anche militante di Arci Gay - una vicenda che non conoscevo, e un personaggio geniale, alla cui intuizione e determinazione si deve tutto ciò: Mark Ashton. Ho anche scoperto che a lui, subito dopo la sua morte giovane, è dedicata la poetica e fortissima canzone For a Friend di Jimmy Sommerville, che chiude la colonna sonora del film (tenere le sue parole semplici e universali, nelle quali si identifica chi ha appena perso una persona cara).
La solidarietà attiva e l’incontro tra un pezzo del movimento gay lesbico e un pezzo, o una zona, del movimento dei minatori deve affrontare e nel film affronta le inevitabili contraddizioni delle diversità e del pregiudizio. Divide il movimento dei minatori e divide il movimento gay lesbico che poi tornano come un’onda a ricomporsi. Senza alcuna pignoleria o tiritera militante il film è politicamente precisissimo. L’intuizione del ragazzo gay rosso Mark Ashton e di chi lo ha seguito ha realizzato per una volta un sogno ricorrente dei militanti lgbt di sinistra: la possibilità-unità delle minoranze oppresse, oppure l’unità tra gay e operai o insomma un rapporto diretto di alleanza con un altro soggetto, un’altra causa che sia più riconducibile al sociale. Non ho mai visto veramente realizzato niente del genere, al di là delle pubbliche relazioni “politicamente corrette” delle elite militanti. Conosco il tentativo pervicace del cileno Rolando Jimenez di affermare un Dia de la Diversidad, un giorno delle minoranze, ma è difficile pensare che mai un semplice mapuche (gli indios del Cile) si possa identificare coi gay in una comune condizione di “diversi”. Neanche i minatori, i semplici scioperanti, si sono identificati in una comune condizione di diversi.
A rendere concreta e realmente vissuta una altrimenti un po’ cervellotica aspirazione è stato un tipico pragmatismo anglosassone: la colletta. I Glsm (gay lesbians support miners) non si sono dedicati a comizietti sul rapporto tra eros e lotta di classe ma hanno raccolto tanti soldi per i minatori e glieli hanno portati sottolineando che erano soldi gay. Non si usava ancora la parola crowfunding ma il supporto era nella colletta, nella sottoscrizione, nel denaro. Nella sua semplicità è rimasto un episodio unico, che io sappia, nella storia mondiale del movimento. Ci tenevo a scriverlo, perché mi sembra che nessuno lo abbia ancora detto.
Il film è così abile, brillante, intuitivo e appassionato da andare oltre alla unicità e al contesto storico dell’episodio. Sembra che tutto ciò possa ancora e ovunque e comunque accadere: perché gli ingredienti di quella iniziativa e di quel disgelo sono validi indipendentemente da quel contesto e sono quelli della possibilità che i pregiudizi (non solo quelli omofobici) si sciolgano di fronte al contatto umano diretto e corroborato da una intelligenza collettiva.
Omosessualità chi ha paura di un libro a scuola
di Massimo Recalcati (la Repubblica, 30.04.2014)
QUELLI della mia generazione si ricorderanno forse improbabili corsi di educazione della sessualità di tipo botanico. Uno strano “esperto della materia” mostrava dei semi sulla cattedra. E LE loro possibili combinazioni da cui sarebbero scaturiti i caratteri del nuovo nato. I corpi sessuali in carne ed ossa restavano coperti e solo enigmaticamente allusi. Erano anni dove la censura morale prevaleva ottusamente provando ad esorcizzare il demone del sesso. Era l’Italia cattolico-fascista che dopo la contestazione del ‘68 avrebbe però ben presto lasciato il posto ad un altro padrone.
Questo nuovo padrone - quello che Pasolini denominava negli anni Settanta “nuovo fascismo” - non agirà più in nome della censura ma offrirà una immagine della libertà senza limiti. Il suo imperativo non risponderà più alla logica del dovere e del sacrificio ma a quella di un godimento senza argini.
Nel nostro ultimo ventennio questa rappresentazione della libertà troverà la sua enfatizzazione più radicale e, al tempo stesso, più fatua. È una constatazione banale: basta girare in un qualunque aeroporto italiano per trovarsi davanti agli occhi corpi di donne seminude e ammiccanti a promuovere prodotti coi quali non hanno alcuna relazione di senso.
La discreta solitudine dei semi sulla cattedra ha lasciato il posto ad una proliferazione di immagini sessuali o a sfondo sessuale che hanno ormai invaso la nostra vita più ordinaria. Ecco perché la denuncia nei confronti di alcuni professori del liceo Giulio Cesare di Roma che avevano proposto ai loro allievi un percorso di letture su temi di attualità, tra cui quella della differenza di genere, non può non colpire. Non l’opportunità dell’iniziativa di quei docenti -ai miei occhi totalmente legittima -, ma proprio l’atto che la vuole denunciare come “pornografica”. Il nuovo fascismo sembra qui lasciare il suo passo ad un ritorno del vecchio.
L’ideale di una sessualità anatomicamente e naturalmente eterosessuale, una educazione morale rigidamente normativa, accompagnata dall’omofobia e dall’esaltazione della virilità, sono stati invocati contro i professori degeneri. Grave errore di giudizio.
Come non vedere che se c’è una salvezza dallo scempio iperedonista che ogni giorno ci invade facendo dei corpi erotici carne da macello, se c’è una salvezza dalla violenza che scaturisce da una rappresentazione tutta fallica della sessualità, essa non è nel ritorno ad un Ordine giustamente defunto, ma proprio nel libro, nella lettura, nella vita della Scuola.
È attraverso, il libro, la lettura, la Scuola che si gioca infatti la vera prevenzione ai rischi della barbarie e della dissipazione in un godimento senza soddisfazione. Il libro incriminato non è un libro pornografico, ma un libro che racconta la storia di una formazione e di una filiazione.
Un libro di letteratura non è mai pornografico ma, casomai, erotico nel senso che anima il desiderio di sapere. Resta sullo sfondo la vera questione: come si può parlare a Scuola di sessualità senza ricorrere alla tristezza dei semi sulla cattedra e al suo moralismo implicito, ma senza nemmeno -come accade oggi -ridurre tutto all’altrettanto arida descrizione senza veli della spiegazione scientifica di come, per esempio, funzionano gli organi genitali.
L’educazione alla sessualità dovrebbe preservare sempre il velo del mistero. Cosa di meglio allora della letteratura e della poesia? La sessualità senza amore ha il fiato corto sia essa cosiddetta omosessuale o eterosessuale. Quando invece l’amore feconda il sesso non c’è mai gesto erotico che rischi l’oscenità. Sia esso cosiddetto omosessuale o eterosessuale.
Piano europeo anti-omofobia
Ulrike vince la sua battaglia
Dal parlamento di Strasburgo una tabella di marcia per combattere tutte le discriminazioni sessuali
di Ivo Caizzi (Corriere della Sera, 05.01.2014)
DAL NOSTRO INVIATO STRASBURGO - L’Europarlamento promuove la tutela dei diritti delle persone Lgbti, termine usato per comprendere lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersex. Gli eurodeputati hanno approvato a Strasburgo la richiesta alla Commissione europea e ai 28 governi della Ue di stabilire una specifica tabella di marcia.
L’obiettivo è introdurre una politica globale contro l’omofobia e le discriminazioni basate sugli orientamenti sessuali in «tutte le attività e in tutti i settori» dove è in corso l’elaborazione di politiche future o il monitoraggio dell’attuazione del diritto europeo. Spiccano le sollecitazioni ad intervenire sul bullismo nelle scuole e ad applicare la libera circolazione dei cittadini all’interno della Ue, consentendo di convalidare le unioni tra persone dello stesso sesso quando si trasferiscono da uno Stato membro all’altro.
L’Europarlamento considera la condizione delle persone Lgbti ancora molto difficile in Europa, richiamando un sondaggio condotto nel 2013 dall’Agenzia Ue dei diritti fondamentali. Indica nel 47% i gay, lesbiche, bisessuali, transgender e intersex che affermano di sentirsi discriminati o di essere stati molestati. Il 26% ha denunciato di essere stato «aggredito fisicamente».
Il rapporto, curato dall’eurodeputata austriaca Ulrike Lunacek dei Verdi, è passato a larga maggioranza con 394 voti a favore, 176 contrari e 72 astensioni. «L’omofobia non deve più essere tollerata in Europa - ha commentato Lunacek -. Molti di noi, lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali hanno vissuto, per troppo tempo, la propria vita nella paura. Paura di tenersi per mano in strada, paura di essere insultati, paura di essere buttati fuori dalle nostre case, scuole o posti di lavoro. Nella mia relazione si evidenzia che l’Unione Europea deve agire in tal senso, in modo che anche noi si possa godere dei diritti garantiti a tutti nella Ue».
Gli eurodeputati hanno segnalato una serie di obiettivi precisi da raggiungere con la tabella di marcia, sempre rispettando le competenze degli Stati membri. Riguardano la tutela nel diritto di famiglia e della libertà di circolazione, le discriminazioni sul lavoro, l’istruzione, la sanità, la libertà di espressione, i beni e i servizi, i crimini d’odio e l’asilo. Particolarmente diffuso sarebbe l’atteggiamento persecutorio nelle scuole contro alunni Lgbti da parte di compagni.
La relazione Lunacek chiede alla Commissione europea di «promuovere l’uguaglianza e la lotta alle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere in tutti i suoi programmi dedicati all’istruzione e ai giovani».
I Paesi membri dovrebbero coordinare interventi contro il bullismo anche con materiali didattici. Parità di trattamento e pari opportunità andrebbero attuate e monitorate nelle attività lavorative, sensibilizzando le organizzazioni di datori di lavoro e i sindacati sui diritti delle persone Lgbti.
Un settore molto delicato viene considerato quello della sanità, sia per le carenze nelle politiche strategiche della Ue, sia relativamente alla formazione del personale medico. Viene chiesto alla Commissione europea di collaborare con l’Organizzazione mondiale della sanità per depennare i disturbi dell’identità di genere dalle malattie mentali. Il diritto all’integrità fisica dovrebbe imporre di vietare la sterilizzazione forzata, dove è prevista per consentire i cambiamenti di sesso. Fondamentale appare il problema dell’indicazione del sesso sui documenti di identità e nelle patiche amministrative.
La normativa penale contro il razzismo e la xenofobia dovrebbe essere estesa ai «crimini di odio» collegabili all’orientamento sessuale. L’Europarlamento considera necessario anche un monitoraggio continuo nei Paesi extraeuropei per favorire le richieste di asilo alle persone Lgbti discriminate e perseguitate nei luoghi d’origine.
I gay e la scienza, la pagina nera della discriminazione di Turing
di Giovanni Caprara (Corriere della Sera, 27.12.2013)
Sono occorsi 61 anni perché la regina d’Inghilterra riscattasse l’onore e la figura del padre dell’intelligenza artificiale Alan Turing, ingiustamente accusato e colpevolizzato per la sua omosessualità. Ma il suo non è l’unico caso nella storia della scienza. Altri, da Leonardo da Vinci a Isaac Newton, da Alexander von Humboldt ad Anna Freud, si sono dovuti confrontare con una società che li osservava attentamente. I momenti in cui vivevano, però, erano diversi e la loro omosessualità fu socialmente percepita in modo differente. Le reazioni ai loro comportamenti non incisero negativamente sul lavoro di ricerca.
Turing invece soffrì così profondamente da suicidarsi con il veleno (forse una mela con cianuro di potassio, secondo una leggenda) quando aveva 41 anni. Così, tragicamente, scompariva una delle menti più geniali, iniziatore della computer science. La regina Elisabetta alla vigilia di Natale ha elargito il suo «perdono» attraverso il Royal Prerogative of Mercy annunciato dal segretario alla giustizia Chris Grayling, che ha parlato del trattamento ingiusto e discriminatorio subito da Turing spiegando che l’illustre matematico doveva essere ricordato e considerato per il suo eccezionale contributo allo sforzo bellico e per l’eredità scientifica.
Turing, già famoso per le sue scoperte, fu arruolato con altri scienziati nei primi anni Quaranta, tutti riuniti in un palazzo di mattoni immerso nel verde di Bletchley Park, vicino ad Oxford. Lì nascosti, segretamente riuscirono a decrittare i codici della macchina Enigma attraverso la quale i nazisti trasmettevano i loro messaggi alle forze armate. Fu uno sforzo prodigioso che permise agli alleati di sopraffare le navi italiane nel Mediterraneo, i sommergibili nell’oceano Atlantico e le forze nemiche in Africa contribuendo in modo definitivo alla vittoria.
Il suo apporto rimase segreto e nel 1952 Turing fu accusato di «indecenza» per aver avuto rapporti con un uomo. Uno scandalo che la legge puniva con iniezioni di ormoni: era la castrazione chimica. Così, mentre vedeva il suo seno crescere come conseguenza degli ormoni, a Turing venne tolta la facoltà di lavorare ai progetti di ricerca più avanzati e segreti. Fino a che nel ‘54 il giovane dai capelli neri ben pettinati che andava in bicicletta a Bletchley Park per salvare la patria, si tolse la vita diventata per lui impossibile.
Nel silenzio ufficiale emerse soltanto la «colpa» e nessun merito. Anche se per la scienza era sempre più evidente il suo contributo fondamentale alla nascita dell’informatica (contribuì alla realizzazione del primo computer) mentre poneva le basi dell’intelligenza artificiale. Tanto che porta il suo nome il famoso test per distinguere se una macchina può essere classificata intelligente.
Verso la fine dello scorso decennio ha raccolto 30 mila firme la petizione tra gli scienziati che chiedeva al governo un intervento di riabilitazione. Nel 2009 il primo ministro Gordon Brawn, ammettendo che Turing fu vittima di un trattamento ingiusto, aggiunse perfidamente che «avrebbe dovuto sapere» che stava commettendo un reato secondo la legge del tempo. Ma la raccolta firme degli scienziati non si è fermata, ha toccato quota 35 mila - compresa quella dell’illustre astrofisico Stephen Hawking - e finalmente l’appello ha raggiunto la regina che ha concesso il perdono. Così si chiude una brutta storia della società britannica, fatta di accanimento su un ricercatore giudicato tra i 100 più importanti del ventesimo secolo.
Del resto nessuno accusò Leonardo da Vinci di farsi accompagnare dai giovani allievi Francesco Melzi e Gian Giacomo Caprotti detto Salai. Non ci sono state persecuzioni o indagini nei confronti di Cartesio o Newton, ritenuti omosessuali pur non essendo mai stata raccolta una prova definitiva.
Altrettanto per Nicola Tesla il fisico americano concorrente di Marconi. E nell’Ottocento, il grande naturalista ed esploratore prussiano Alexander von Humboldt che influenzò i lavori di Darwin oltre ad essere tra i fondatori della meteorologia, non fu certo perseguito nonostante le sue note amicizie maschili tra cui il celebre chimico francese Gay-Lussac di cui a scuola studiamo le leggi. Così come nessuno ha mai puntato il dito contro Anna Freud, figlia del padre della psicanalisi e fondatrice della psicologia infantile, per la sua presunta omosessualità. Rimaneva solo la vicenda di Alan Turing, una pagina nera nella storia umana della scienza. Per fortuna ora la regina d’Inghilterra ha voltato pagina.
Usa, la Corte Suprema spiana
la strada ai matrimoni omosessuali
maurizio molinari
corrispondente da new york
E’ incostituzionale la legge che definisce il matrimonio come l’unione fra un uomo e una donna, e il bando delle nozze gay in California deve essere abolito: con queste due sentenze, emesse a pochi minuti di distanza l’una dall’altra, la Corte Suprema di Washington consegna altrettante vittorie alla campagna per la parità dei diritty fra gay e etero negli Stati Uniti.
La prima sentenza riguarda la legge “Defense of Marriage Act” del 1996. Con un verdetto di 5 a 4, scritto dal giudice Anthony Kennedy, viene definita “incostituzionale” perché affermare che il matrimonio è solo l’unione fra un uomo e una donna “viola la pari tutela davanti alla legge di tutti i cittadini che il governo deve garantire”. Inoltre, secondo il testo scritto da Kennedy e sostenuto dai quattro giudici liberal della Corte Suprema, “il Defense of Marriage Act viola il diritto degli Stati di legiferare sul tema del matrimonio”.
L’altra sentenza, scritta dal giudice John Roberts che è anche il presidente della Corte Suprema, riflette un’opinione bipartisan su “Proposition 8” ovvero il bando delle nozze gay approvato con un referendum in California nel 2008. La tesi espressa da Roberts è che a decidere su “Propotision 8” deve essere una Corte della California ma l’indicazione data è a favore dell’abolizione, destinata a consentire il ritorno alla legalità delle nozze gay. Su questa posizione, che accomuna la difesa del diritto degli Stati a legiferare sul matrimonio e il sostegno alle nozze gay, si è ritrovata una maggioranza di 5 giudici che include oltre al presidente il conservatore Antonin Scalia e i liberal Ruth Bader Ginsburg, Stephen Breyer, Elena Kagan.
Fuori dalla sede della Corte Suprema i militanti per i diritti gay hanno reagito alle sentenze con espressioni di giubilo. Il presidente americano Barack Obama ha saputo delle sentenze della Corte Suprema mentre era a bordo dell’Air Force One in volo verso il Senegal. “Applaudo la decisione della Corte Suprema di abolire il Defense of Marriage Act perché si tratta di una legge che discrimina - dichiara Obama - trattando le coppie gay e lesbiche come se fossero di una classe inferiore. La Corte Suprema ha corretto quanto era sbagliato ed ora l’America è un posto migliore”. Da qui l’omaggio alle “coppie che si sono battute a lungo per ottenere il riconoscimento della parità dei diritti” e la disposizione al ministero della Giustizia per “mettere in atto legalmente” il pronunciamento della Corte Suprema.
* La Stampa, 26.06.2013
Diritti dei gay la nostra vergogna
di Michela Marzano (la Repubblica, 27 giugno 2013)
L’abolizione da parte della Corte suprema degli Stati Uniti del Defence of Marriage Act è molto più che una vittoria storica per l’affermazione dei diritti degli omosessuali.
Come ha giustamente commentato il presidente Obama, si tratta di una vittoria collettiva, la vittoria della libertà di tutti. È solo nel momento in cui tutti i cittadini vengono trattati nello stesso modo, infatti, che la libertà di ognuno diventa reale ed effettiva. Tutti liberi di essere se stessi e di amare una persona dello stesso sesso, indipendentemente dalle aspettative sociali, dai dogmi religiosi e dagli stereotipi culturali. Senza più vergogna. Senza più doversi nascondere o fingere.
Perché la legge, ormai, non solo non tollera l’omofobia e la transfobia, ma non può nemmeno più imporre ai cittadini di accettare l’ordine simbolico della “famiglia tradizionale”. Che pensare allora dell’Italia, ormai ultima della classe in Occidente in tema di diritti e libertà individuali, che non ha neppure un ministro delle Pari opportunità? Come giustificare l’assenza di una legge non solo sui matrimoni gay e le unioni civili, ma anche sui reati di omofobia e transfobia? Come si fa a tollerare ancora l’odio nei confronti di chi non ha altra colpa che quella di amare una persona dello stesso sesso?
Il vero problema dell’Italia, in cui alcuni diritti non sono ancora accessibili a tutti, è proprio quello della mancanza di libertà e di uguaglianza. Nel nostro paese, nonostante le grandi dichiarazioni di principio, i cittadini continuano di fatto ad essere distinti in due categorie: da un lato quelli di serie A, ossia gli eterosessuali che, in quanto conformi alle norme vigenti, vengono considerati e trattati come “normali”, “adeguati” e “degni”; dall’altro lato quelli di serie B, ossia gli omosessuali che, proprio perché non-conformi alle norme, vengono considerati e trattati come “anormali”, “devianti”, “indegni”. Un popolo di “quasi adatti”, per utilizzare le parole dello scrittore Peter Hoeg, che dovrebbero smetterla di domandare gli stessi diritti di tutti gli altri. Non si può mica volere tutto e il contrario di tutto - pensano ancora taluni, spiegando che non si può al tempo stesso voler essere liberi di non conformarsi alle aspettative altrui e voler essere trattati come tutti gli altri. Non si può mica essere al tempo stesso diversi e uguali - cercano di argomentare altri, senza capire che l’uguaglianza dei diritti è proprio l’uguaglianza nella diversità.
L’Italia è arretrata. Nonostante gli sforzi fatti in questi ultimi decenni dalle associazioni Lgbt e dai difensori delle pari opportunità per tutti i “diversi”, i pregiudizi persistono. La differenza continua a far paura. Rimette ancora troppo in discussione quello che si conosce, o che si pensa sapere, spingendo a rifiutare ciò che è “altro” rispetto a sé, ai propri codici, alle proprie abitudini.
Ecco perché c’è tanta urgenza di leggi che riconoscano i diritti degli omosessuali e dei trans, e che permettano di dire in modo chiaro da che parte stanno la libertà e l’uguaglianza, e da che parte invece continua a stare la vergogna: in un paese democratico e liberale non ci si può vergognare di quello che si è o di chi si ama; ci si dovrebbe piuttosto vergognare di non permettere a tutti, nonostante le differenze, di essere uguali e liberi
Una pedagogia dell’accoglienza
di Alessandra Bialetti Gregori*
Il coming out, ovvero la rivelazione a se stessi e agli altri della propria identità omosessuale, rappresenta un fattore di benessere per la costruzione identitaria, un fattore protettivo di crescita armonica, ma anche un momento di crisi degli equilibri familiari ed amicali.
La crisi, tuttavia, va letta in un’ottica di risorsa e non di incidente di percorso: costituisce la possibilità, per l’intero nucleo familiare, di rivedere le proprie posizioni, scendere nel profondo di se stessi a contatto con le proprie paure, stereotipi e pregiudizi per trovare nuove strategie relazionali fondate su un rapporto di verità.
Al momento del coming out tutta la famiglia “si colora di omosessualità” dovendo ridefinire se stessa sia internamente, sia esternamente nei confronti di una società che vive un’omofobia più o meno manifesta.
Il coming out è momento di confusione emotiva molto forte: l’omeostasi familiare subisce un trauma profondo, traballano i riferimenti valoriali fino a quel momento perseguiti, si vive un senso di colpevolizzazione per aver messo al mondo un figlio “sbagliato” o, nel caso del genitore omosessuale, per non poter essere più una buona guida. Questa ferita nelle relazioni familiari, tuttavia, si può trasformare in feritoia ovvero rappresentare quella porta in cui addentrarsi per giungere alla piena realizzazione e a nuovi rapporti familiari.
Non si vuole assolutamente parlare di pedagogia della prevenzione etichettando nuovamente l’omosessualità come patologia, ormai derubricata dal Dsm, manuale diagnostico dei disturbi mentali, nel lontano 1973.
Si intende invece propugnare una pedagogia dell’accoglienza in cui la persona omosessuale possa vivere pienamente se stessa in tutte le sue manifestazioni, compreso naturalmente l’orientamento omosessuale, elemento della personalità ma non tratto caratterizzante.
In ambito cattolico spesso si tende a privilegiare l’aspetto riparativo, il prevenire l’insorgere di una patologia all’interno della famiglia, il caricare i genitori di tali pesi educativi da imbrigliare totalmente le positive risorse esistenti in ogni nucleo familiare anche se bloccate da un momento di crisi.
È importante sottolineare che pedagogia dell’accoglienza non vuol significare accettazione. Tale termine, infatti, celerebbe al suo interno l’insidia della categorizzazione dell’omosessualità come malattia da curare o “disgrazia” da sobbarcarsi.
Parlare invece di pedagogia dell’accoglienza porta a mettere a fuoco il riconoscimento del valore e dignità della persona così come essa è con le sue pulsioni affettive e con un progetto di vita che preveda anche una relazione stabile e, in alcuni casi, il desiderio di genitorialità.
Accogliere, quindi, non è accettare passivamente, ma rendersi protagonisti di nuove relazioni familiari in cui il dialogo, l’ascolto empatico del vissuto dell’altro, la condivisione del lutto di un sogno eterosessuale che non si realizzerà più e del conseguente timore di isolamento e ghettizzazione costituiscono le variabili di un nuovo percorso pedagogico che miri esclusivamente alla piena realizzazione e benessere della persona.
Pedagogia dell’accoglienza è pedagogia della verità. La famiglia, a confronto con l’omosessualtià, è chiamata a compiere un cammino di autenticità, unica condizione per uscire da un clima di menzogna, nascondimento, isolamento, senso di colpa e incamminarsi verso una chiarezza e trasparenza che i figli e genitori omosessuali richiedono come condizione necessaria per il riconoscimento di se stessi e per affrontare, in un’alleanza familiare, il difficile e destabilizzante clima sociale.
È la clandestinità comunicativa, prima ancora di quella sociale, a mettere in serio pericolo le relazioni familiari e la realizzazione personale. Chiarezza e trasparenza rispetto al proprio orientamento sessuale, rappresentano l’unica via, quando se ne ritiene giunto il momento opportuno, per elaborare paure, fantasmi, non detti che minano alla radice ogni rapporto interpersonale. È acquisire quegli strumenti necessari per affrontare e accettare la nuova realtà.
Il rischio della non verità è un silenzio carico di interpretazioni e domande che, se non inserite in un contenitore emotivo rassicurante, non fanno altro che amplificare il giudizio omofobo proveniente dalla società.
Pedagogia dell’accoglienza è pedagogia della presenza e della pazienza. Presenza che si fa compagna di viaggio nel percorso di identificazione della persona omosessuale fino alla sua entrata in società, elaborando i sensi di colpa di avere fallito come genitori e di aver messo al mondo un figlio con un problema in più. Pazienza nell’accogliere se stessi come si è, valorizzando la diversità come ricchezza per poi affrontare un immaginario collettivo che ancora non riesce a vedere l’essere “differente” come una ricchezza nelle relazioni interpersonali e sociali.
Pedagogia dell’accoglienza è educazione alla resilienza, ovvero quella capacità fondamentale, per l’essere umano, di resistere agli urti interni ed esterni rimanendo fedele a se stesso e alla propria essenza: spetta alla famiglia attivare la capacità resiliente della persona omosessuale in modo che possa poi promuovere pienamente se stessa.
Pedagogia dell’accoglienza è pedagogia dell’integrazione completa della persona. L’identità infatti, è costituita da vari livelli: personale ovvero come il soggetto si percepisce; fisico che parla di un corpo che agisce l’identità sessuale; sociale, attribuito dal gruppo sociale di appartenenza e psicologico costituito dalle caratteristiche psicologiche personali.
Nella persona omosessuale il cammino di integrazione di queste varie componenti risulta particolarmente difficoltoso in quanto l’identità personale contrasta con quella fisica, che veicola un corpo ricco di impulsi inizialmente giudicati sbagliati e sporchi, e con quella sociale non riconosciuta e stigmatizzata dal gruppo di maggioranza, ovvero il mondo eterosessuale.
Accogliere la persona omosessuale significa allora collaborare a questo delicato cammino di integrazione lasciando interagire le varie componenti in modo armonico per giungere alla strutturazione di una personalità aperta, flessibile, non giudicante ed autogiudicante ma promuovente la profonda essenza della persona.
In tale cammino di integrazione risulta particolarmente importante la dimensione spirituale, considerata unanimemente, fattore protettivo di una crescita sana. L’essere umano è essere relazionale che nasce, cresce e si sviluppa all’interno di una relazione con se stesso, con gli altri e con un Altro trascendente che interpella il senso della propria esistenza.
Nel caso della persona omosessuale la dimensione spirituale, ma più propriamente un cammino di fede, è ancora uno spazio da promuovere e sostenere laddove percepisce il suo essere sbagliata rispetto ad una Chiesa che difficilmente entra in dialogo con la diversità e una comunità che mostra tutto il suo limite nell’accogliere e promuovere relazioni sane al proprio interno.
L’integrazione tra fede, intesa come rapporto di dialogo e fiducia verso il trascendente, e omosessualità è condizione necessaria per elaborare un progetto di vita che integri totalmente la persona per ciò che è aprendo l’orizzonte su relazioni stabili di cura, accudimento, protezione all’interno di coppie o famiglie omosessuali.
Il bisogno spirituale è intrinseco nell’essere umano tanto quanto il suo orientamento sessuale e comprende sia la certezza di essere protetti da qualcosa più grande di se stessi e della propria umanità, sia un forte senso di comunità e condivisione che permette di affrontare i momenti di difficoltà.
La pedagogia dell’accoglienza si estende dalla famiglia a tutto il nucleo sociale: è un “problema” di tutti e di ciascuno perché la crescita spirituale di un gay o di una lesbica può facilitare la crescita psicologica complessiva e costituire una risorsa anche per le comunità parrocchiali in cui il “diverso” è portatore di una ricchezza che concorre al bene di tutti.
Occorre camminare ancora molto su questo punto: è uno spazio di dialogo ancora da riempire non di silenzi ma di fattivi gesti di avvicinamento e comprensione. Mancano ancora gli strumenti per comprendere la situazione, strumenti per sostenere la persona omosessuale in un cammino di accoglienza di se stessa e di piena partecipazione alla vita di una Chiesa che si rivolga e si inginocchi ai piedi dell’umano riscoprendo la sua vera missione educativa e pedagogica: il servizio alla vita.
Contrariamente a quanto si dice prevenire non è meglio che curare, accogliere è meglio che prevenire. In fondo Gesù di Nazareth non è stato l’iniziatore e il promotore della pedagogia dell’accoglienza?
* Formatrice alla relazione d’aiuto e di coppia, alla comunicazione e all’ascolto per educatori insegnanti, anuimatori e genitori
* Adista Segni Nuovi n. 09 del 09/03/2013
I diktat vaticani e la finestra di Ratzinger
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 6 febbraio 2013)
Basterebbe poco. Che Benedetto XVI si affacciasse domenica su piazza San Pietro ed esclamasse: “Va deplorato con fermezza che le persone omosessuali siano oggetto di espressioni malevole e di azioni violente. Simili comportamenti meritano la condanna dei pastori della Chiesa, ovunque si verifichino. La dignità propria di ogni persona dev’essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni”.
Lo ha scritto da cardinale, come prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede. Ripeterlo da Papa, ricordando - come nel 1986 - che ogni mancanza di rispetto verso i gay è “lesiva dei principi elementari su cui si basa una sana convivenza civile”, significherebbe rompere con l’antica ideologia omofoba della gerarchia ecclesiastica.
Perché se è vero che l’omofobia ha radici lontane, culturali oltre che religiose, e non appartiene ad una sola confessione, è altrettanto vero che in Italia il Vaticano alza da anni ossessivamente le barricate contro i diritti dei gay. Contro l’accettazione del libero orientamento sessuale, contro una legge sulle coppie di fatto, contro una legge che contrasti l’omofobia.
Al punto che prima di Natale papa Ratzinger ha definito aspramente la legalizzazione dei matrimoni omosessuali “una ferita grave contro la giustizia e la pace”. Frase sentita come offesa da milioni di uomini e donne, gay ed eterosessuali. Né ha aiutato l’accoglienza cordiale del Papa - in udienza generale - alla presidente del Parlamento ugandese, Rebecca Kadiga, esaltata fautrice di una legge che prevede la pena di morte per i gay (respinta peraltro dai vescovi cattolici dell’Uganda).
Il nuovo ministro per la Famiglia vaticano, mons. Vincenzo Paglia, ha aperto nei giorni scorsi con coraggio una finestra sull’esigenza di riconoscere i diritti delle coppie di fatto, gay ed eterosessuali. Ma ora tocca al Papa sancire questo nuovo corso.
La piena acquisizione dei diritti da parte degli omosessuali è la frontiera di civiltà del XXI secolo. O si sta di qua o di là. Vale anche per le forze politiche. Sarebbe ora che i parlamentari di centro-destra si ribellassero all’acquiescenza ai vecchi diktat vaticani. E i neo-centristi Monti, Riccardi e Casini battessero un colpo
La pari dignità dei figli di Dio
di Vito Mancuso (la Repubblica, 05.02.2013)
Nella sua prima conferenza stampa da responsabile vaticano per la famiglia monsignor Vincenzo Paglia ha infatti pronunciato parole che, in Vaticano, sull’argomento spinosissimo dei diritti civili delle coppie gay, io non ricordo siano mai state pronunciate.
Naturalmente, nelle sue parole al primo posto non poteva non esserci la difesa del primato della famiglia tradizionale, come è giusto che sia nell’impostazione cattolica e non solo cattolica, visto che il primato della famiglia tradizionale è un’impostazione condivisa da tutte le grandi tradizioni spirituali dell’umanità, sia religiose sia filosofiche, che non hanno mai conosciuto un matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Ma non può non sorprendere il fatto che monsignor Paglia abbia parlato di un necessario riconoscimento dei diritti civili delle coppie di fatto, includendo esplicitamente tra queste, oltre alle coppie eterosessuali, anche quelle omosessuali. «I diritti individuali vanno garantiti », ha detto, aggiungendo che vanno trovate «soluzioni di diritto privato», «all’interno del codice di diritto privato», per tenere conto anche degli aspetti «patrimoniali ».
È la prima volta che un ministro vaticano riconosce esplicitamente e pubblicamente l’esistenza delle coppie omosessuali rendendole soggetto di diritti? A me pare di sì, e non posso non salutare questa affermazione come un significativo passo in avanti.
Ricordo infatti che la Santa Sede si è espressa sempre in modo contrario rispetto alla tutela delle coppie omosessuali anche a livello di diritto privato: in Italia tutti ricordano la ferma opposizione contro il progetto del governo Prodi a proposito dei cosiddetti “dico”, mentre nel 2008 l’osservatore permanente della Santa Sede all’Onu, monsignor Celestino Migliore, si espresse contro un progetto della Francia che chiedeva la depenalizzazione universale dell’omosessualità, contrarietà ribadita nel 2011 dall’osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio dell’Onu a Ginevra monsignor Silvano Tomasi.
Ieri invece, in Vaticano, monsignor Paglia ha dichiarato che «un conto è il tema del matrimonio gay, sul quale è nota la nostra posizione, un altro sono le discriminazioni. Nel mondo ci sono forse 25 Paesi dove l’omosessualità è reato. Mi augurerei che come Chiesa combatteremo tutto questo».
Una sterzata abbastanza netta rispetto all’intransigenza esibita finora, anche in considerazione del fatto che alla fine del 2012 papa Benedetto XVI in un’udienza pubblica aveva ricevuto una politica ugandese di nome Rebecca Kadaga, promotrice di azioni legislative particolarmente dure contro la convivenza degli omosessuali. Monsignor Paglia ha detto invece che occorre riaffermare «la pari dignità di tutti i figli di Dio, tutti in questo senso sono santi, perché hanno il sigillo di Dio, nessuno non ce l’ha; e dunque tutti sono intoccabili », parole che hanno fatto risentire un po’ di profumo evangelico nelle sale del potere vaticano.
Il cardinal Martini aveva espresso una posizione analoga. Dopo aver sottolineato che «Dio ci ha creati uomo e donna, e perciò la dottrina morale tradizionale conserva delle buone ragioni» di modo che «la coppia omosessuale in quanto tale non potrà mai essere equiparata in tutto al matrimonio», aveva aggiunto: «Sono pronto ad ammettere il valore di un’amicizia duratura e fedele tra due persone dello stesso sesso », quindi «non è male che due persone abbiano una certa stabilità e in questo lo Stato potrebbe anche favorirli; non condivido la posizione di chi, nella Chiesa, se la prende con le unioni civili».
Fino a ieri la posizione di chi se la prende con le unioni civili era ampiamente maggioritaria nella Chiesa cattolica. Dopo le aperture del nuovo Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia le cose sono cambiate?
di Nadia Urbinati (la Repubblica, 7 febbraio 2013)
La svolta della Chiesa di Roma sul riconoscimento dell’eguaglianza dei diritti civili degli omosessuali è indubbiamente un evento importante. Come ricordava Vito Mancuso su questo quotidiano, mai era successo che un prelato ammettesse che i diritti civili sono eguali per tutti in materia di convivenza.
Lo ha fatto monsignor Vincenzo Paglia, il nuovo Presidente per il Pontificio Consiglio per la Famiglia. Il pronunciamento è importante perché centrato sull’eguale rispetto delle persone e la condanna della discriminazione che la criminalizzazione dell’omosessualità genera, come verifichiamo quotidianamente anche nel nostro Paese. Una battaglia di civiltà, sulla quale papa Benedetto XVI si è varie volte pronunciato mettendo in luce le sofferenze che ancora troppi governi infliggono a chi sceglie di vivere una relazione non eterosessuale.
Ma il riconoscimento che chi vive una “amicizia” omosessuale debba godere degli stessi diritti civili degli altri individui non significa riconoscimento della coppia omosessuale. Diritti sacrosanti della persona come tale e non diritti di veder legalizzata la convivenza con una persona dello stesso sesso: un fatto di giustizia rispetto al quale è uno scandalo che anche Stati democratici avanzati, come il nostro, siano ancora tanto inadempienti. Trovare “soluzioni di diritto privato”, all’interno del “codice civile” per questioni legate al “patrimonio” (trasmissione ereditaria e comunità dei beni), è l’abc dello stato di diritto, soprattutto un coerente intervento in materia di diritto di proprietà. Ma diritti civili della persona, sacrosanti, non sono ancora diritti alle unioni fra le persone. Non si può pretendere che la Chiesa dia la benedizione a tutto ciò che vogliamo e desideriamo; ma sarebbe un errore di valutazione pensare che con questo pronunciamento la Chiesa si sia spinta fino al punto di dare la propria benedizione alle coppie non eterosessuali.
Monsignor Paglia spiega che il no della Chiesa al matrimonio gay è coerente alla legge perché “la Costituzione italiana parla molto chiaramente, ma prima ancora era il diritto romano che stabiliva cosa fosse il matrimonio”. Quindi la legge civile è la prima responsabile di questa discriminazione, non la dottrina religiosa. Si dovrebbe aggiungere che non tutti i codici sono quello italiano e che quindi la posizione della Chiesa è in linea non tanto con la legge civile, ma con la legislazione italiana - ci possono essere soluzioni diverse e tuttavia in perfetta sintonia con il diritto civile come si è visto in Francia.
Ma è poi vero che la Costituzione italiana sia così esplicita e univoca nel respingere il matrimonio eterosessuale o meglio ancora nel definire il matrimonio?
Leggiamo l’art. 29 della nostra Costituzione: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”. Come si vede, la Costituzione non specifica l’identità sessuale dei coniugi o la composizione della famiglia. Certo, si potrebbe sostenere che questa non specificità linguistica fosse indice della mentalità dei costituenti, nella quale non rientrava molto probabilmente né l’opzione di coppia omosessuale né la fecondazione artificiale o l’adozione da parte di coppie non eterosessuali. Che senso aveva specificare ciò che era ritenuto naturale, normale, ovvio? Una costituzione è viva perché consente alle generazioni che verranno la libertà di farla propria, di interpretarla secondo le esigenze del loro tempo, con i diritti civili come bussola. Il silenzio della nostra Costituzione sulla definizione di matrimonio e di famiglia è un segno della sua saggezza più che una dichiarazione dogmatica su che cosa sia il matrimonio, ed è una garanzia della nostra libertà politica di decisione.
La Costituzione ci orienta a interpretare che cosa sia “negoziabile” e assegna alla comunità politica (il governo democratico) l’autorità di dichiarare, nella legge civile, che cosa sia non-negoziabile. Il tema della laicità (dell’autonomia della legge civile dalle credenze religiose) non sta tanto nella separazione tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio, ma nel decidere chi stabilisce questa separazione e come la si negozia. In questa negoziazione consiste la vita democratica. Della quale la Chiesa è parte con la sua opinione e la sua libertà di partecipare alla costruzione degli orientamenti politici come tutte le altre associazioni della società civile.
L’interpretazione della Costituzione riflette la lotta politica e le differenze di opinione che operano liberamente nella società. Le istituzioni non sono sigillate o rese impermeabili alla società civile (cosa che è non solo impossibile, ma sarebbe inoltre indesiderabile in una democrazia rappresentativa). L’esito di questo scambio, di questa tensione interpretativa, è la formulazione di leggi o decisioni che siano in sintonia con lo spirito della Costituzione, il quale è molto più elastico di quanto non appaia e, soprattutto, non sepolto nella mente dei costituenti ma vivo nella nostra. E la definizione del matrimonio è una questione non chiusa come ci suggerisce monsignor Paglia, ma aperta a interpretazioni che non sono per nulla scontate o “non negoziabili”.
Cosa accadrebbe se Napolitano affermasse che il dramma è la castità ecclesiastica?
di Alessandro Consonni *
Con la scusa dell’etica morale, non passa giorno che il Vaticano interferisca nella politica del nostro Paese!
L’Italia è condizionata dai Cattolici e dal Vaticano in ogni sua scelta LAICA!
L’integralismo Cattolico è tale e quale quello Islamico!
Francia: primo sì alla legge sulla nozze gay.
Bagnasco: vicini al baratro, Italia non imiti Parigi
Un voto, quello francese, accolto con tono drammatici dal presidente della Conferenza episcopale in Italia:
“Siamo vicini al baratro”, ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, “l’Italia non deve prendere esempio da queste situazioni che hanno esiti estremamente pericolosi.
Non seguiamone le orme”.
E ancora: “L’Europa ha dimenticato le proprie radici cristiane, le radici della propria cultura e della propria civiltà.
Volendo sistematicamente eliminare la religione dal proprio orizzonte crede di conquistare delle libertà nuove.
Molti paesi europei hanno varato leggi sbagliate su vita, famiglia, libertà, non crescono in civiltà più umana e solidale, semmai più individualista e più regressiva”.
Mi chiedo cosa accadrebbe se un giorno Giorgio Napolitano o l’attuale Presidente del Consiglio Mario facessero una affermazione di questo tipo:
Troviamo drammatico e estremamente pericoloso per l’equilibrio psicologico dei sacerdoti e delle suore la castità!
Cosa accadrebbe se lo Stato Italiano in un guizzo di LIBERTA’ LAICA affermasse che un fondamento del Cristianesimo Cattolico come la Castità è un pericoloso DRAMMA?
Perché ogni giorno il Vaticano interferisce nelle scelte LAICHE italiane e NESSUNO della politica Italiana si RIBELLA?
Cari Amici, semplicemente perché nel nostro Paese Governa il Vaticano!
La prova dimostrativa?
Cari Amici, nel nostro Paese tutti gli schieramenti politici in questi giorni rincorrono i 700.000 VOTI delle coppie di fatto e gay!
Omosessuali e coppie di fatto saranno l’ago della bilancia dei risultati elettorali e fanno gola a destra tanto quanto a sinistra!
Tutti gli schieramenti politici di destra come di sinistra promettono e si impegnano a REGOLARIZZARE le unioni di fatto e gay!
Questo chiaramente è un DRAMMA e un BARATRO per chi come Bagnasco ha nel proprio DNA l’integralismo religioso!
Cari Amici, il DRAMMA e il BARATRO sono l’integralismo Cattolico e il BIGOTTISMO IPOCRITA che rende il nostro Paese medioevale come lo Stato di Santa Romana Chiesa!
* reset-italia.net, 03.02.2013
A Parigi ieri hanno sfilato i partigiani del «matrimonio per tutti»
Dalla Francia una lezione di civiltà
di Alberto Mattioli (la Stampa, 28.01.2013)
A Parigi ieri hanno sfilato i partigiani del «matrimonio per tutti», leggi anche per coniugi dello stesso sesso. La legge che l’istituisce approda domani all’Assemblée nationale e i favorevoli sono andati in piazza per darle una spinta: 400 mila secondo gli organizzatori, 125 mila per la Prefettura. Replicavano alla «manifestazione per tutti» dei contrari, che il 13 gennaio ha portato nelle strade della capitale un’altra folla, un milione di persone oppure 340 mila, a seconda di chi l’ha contata.
Come al solito, ognuno dà i suoi numeri. Però in entrambi i casi sono stati cortei affollati, colorati, allegri, civili e tolleranti, pieni di cani e di bambini, di canti e di cartelli, di sfottò e di slogan, ma senza incidenti, senza violenza, senza provocazioni inutili. Chi la pensa diversamente è sempre stato trattato non come un nemico, ma come un avversario.
Così, gli anti sono stati attentissimi a evitare scivolate omofobe o strumentalizzazioni politiche; i pro si sono astenuti da trasformare il loro corteo nel gay pride o dall’infierire contro le Chiese. Il dibattito, nelle piazze e sui giornali, in tivù e in Parlamento, è vivacissimo ma senza toni apocalittici. François Hollande ha ripetuto che quella di istituire il matrimonio per tutti era la trentunesima delle sue sessanta promesse elettorali e che quindi intende mantenerla. Però ha ricevuto i portaparola degli «anti» perché anche quelli che non la pensano come lui hanno il diritto di farglielo sapere e lui il dovere di ascoltarli.
Insomma, torna la Francia che ci piace: la Francia delle battaglie civili, la Francia dei diritti dell’uomo, la Francia che si batte per i principi. Questa Francia riscopre la bella politica, quella che non si occupa soltanto del potere, ma soprattutto degli ideali che dovrebbero ispirarlo.
Si pensava che la Francia fosse anestetizzata dalla crisi, troppo ipnotizzata dalle fabbriche che chiudono e dai disoccupati che aumentano per potersi appassionare per un diritto contestato. E invece eccola qui, in strada con passione e allegria in nome di un principio. Pro o contro, poco importa, anche perché la legge si discuterà com’è giusto in Parlamento e non c’è il minimo dubbio che il Parlamento l’approverà. Importa invece, e molto, che ci sia un’opinione pubblica che ha ancora voglia di appassionarsi a una questione di civiltà. Ognuno con le sue ragioni, ma rispettando quelle dell’altro.
La lezione che arriva da Parigi è che oggi la politica può essere anche questo. Può essere un dibattito di idee e una battaglia di principio, non solo il desolante rinfacciare i Cosentini propri ai Mussari altrui e viceversa, e poi sono Scilipoti per tutti. La politica, quella vera, è provare a volare alto, a confrontarsi sulle grandi questioni, a guardare un po’ più in là del proprio naso e dei propri piccoli interessi di bottega. E anche scendere in piazza in nome dei diritti di qualcuno che poi, in una democrazia, diventano subito i diritti di tutti.
CARA "ANTONELLA"
concordo con il tuo "volare alto!!! E’ faticoso, è rivoluzionario come lo é stato Gesù di Nazaret!". E proprio per evitare di cadere più in basso di quanto già siamo caduti e recuperare "la Grandissima Grazia del Discernimento", ti pregherei di svegliarti dal sonno dogmatico e di riflettere un po’ su queste due note:
COSTANTINO, SANT’ELENA, E NAPOLEONE. L’immaginario del cattolicesimo romano.
M. saluti e buona giornata,
Per la Redazione,
Federico La Sala
Quanto è difficile educare al sentimento dell’uguaglianza
di Delia Vaccarello (l’Unità, 23 gennaio 2013)
Non facciamo un mostro del prof di religione di Venezia che ha imbastito una lezione sulla omosessualità zeppa di conclusioni forzate e lesive. Tra queste: essere gay o lesbica è una scelta reversibile quindi chi si trova in queste condizioni «dovrebbe farsi curare in appositi centri».
L’omofobia e l’ignoranza sull’orientamento sessuale e l’identità di genere purtroppo sono diffuse nelle scuole e gridare al «mostro» significa ritenere di essere dinanzi ad una eccezione. Ma non è così, nella scuola di oggi il rispetto e la preparazione sulla questione gay non sono la regola.
I fatti: un docente di religione del liceo classico Marco Foscarini di Venezia invitato a parlare dai ragazzi dell’argomento distribuisce appunti a mano con informazioni sbagliate e sostenendo tesi discriminatorie, i ragazzi pubblicano il testo su facebook e scoppia il caso. Il rettore del liceo ricorda la tradizione democratica dell’istituto, la Curia (da cui il docente dipende) dice che il prof voleva avviare una riflessione ma esprime rammarico se qualcuno si è considerato offeso. Le associazioni gay protestano, gli studenti organizzano un presidio per domani pomeriggio in campo San Geremia.
Lavoro da oltre sei anni in progetti di «educazione sentimentale come educazione alla cittadinanza» proprio per le scuole di Venezia, progetti promossi dall’assessorato «Politiche giovanili e pace» guidato oggi da Gianfranco Bettin che vede l’impegno su questi e altri temi di Alberta Basaglia. Tali progetti nati come attività dell’«Osservatorio lgbt» e svolti con Sara Cavallaro e Fabio Bozzato sono veri e propri laboratori che mirano a far esprimere i ragazzi su amore, sentimenti, emozioni a 360 gradi.
Una delle lacune più grandi è proprio la mancanza di familiarità degli studenti con i temi che riguardano il mondo interiore. Invitati in vario modo a esprimersi sull’amore i ragazzi a poco a poco parlano di “amori” al plurale, quindi anche di omosessualità, spesso riuscendo a fare a meno dell’arma altrimenti sempre carica del giudizio e di chiavi di lettura troppo stereotipate. Siccome vivono immersi in un pensiero che non è privo di pregiudizi ora li utilizzano ora li rifiutano, prendendosi la fertile libertà di contraddire anche se stessi.
Lo fanno da protagonisti e non vengono mai considerati contenitori da riempire con nozioni sulla omosessualità. Insieme a loro guardiamo film, apriamo il confronto stimolando associazioni libere, costruiamo un racconto, una campagna manifesti, una rappresentazione teatrale, una videoinchiesta (vedi http://queervenice.blogspot.it/ ).
L’educazione sentimentale come educazione alla cittadinanza non consiste nell’imporre un pensiero «giusto» da sovrapporre nelle menti dei ragazzi a uno «sbagliato». A che servirebbe? Qualunque incontro che voglia costruire il rispetto su questioni che tirano in ballo amore e relazioni fondamentali non può diventare una lezione di regole.
Ci sono ragazzi che la pensano come il prof di religione del liceo Foscarini, che dicono «un rapporto tra due uomini o tra due donne è contro natura perché non possono mettere figli al mondo», quasi tutti quando parlano di gay e lesbiche dicono «loro» e mai «noi», come se si parlasse di extraterrestri.
Immaginiamo come possano sentirsi i ragazzi e le ragazze innamorati di un coetaneo del proprio sesso che in classe sono vissuti come estranei e perciò si avviluppano in mille silenzi.
Occorre fare in modo che in tutti il pregiudizio prenda il posto di un atteggiamento sereno, che si crei quel clima per cui ciascuno si senta parte del gruppo. Non serve «convincerli», è necessario invece fugare i timori e sciogliere le rigidità di cui sono fatti i pregiudizi. Fare di un professore un «mostro» è volere ignorare che il pensiero discriminante sui gay è diffuso, come le paure su cui fa leva.
Molti degli appunti del docente partono da premesse sbagliate e approdano a predizioni forzate (gli amori gay sono brevi, in Olanda ci sono le nozze gay e c’è il partito dei pedofili...), di certo non devono essere materia di insegnamento.
Ma il prof di religione del Foscarini anziché essere falsamente indifferente o restare zitto si è preso la briga di scrivere con zelo ciò che pensa. Un’occasione per aprire un dialogo franco e aperto con gli altri docenti e continuare ad educare gli studenti al sentimento profondo dell’uguaglianza.
«I bambini non sono merce»
di Luca Kocci (il manifesto, 13 gennaio 2013)
Contro natura, disumana, contraria ad ogni evidenza antropologica. Sono gli aggettivi che le gerarchie ecclesiastiche e gli organi di stampa cattolici hanno usato per definire la sentenza della Corte di Cassazione che l’altro ieri ha confermato l’affidamento alla madre - ora legata sentimentalmente e convivente con un’altra donna - del figlio piccolo, negando che vivere all’interno di una coppia omosessuale sarebbe stato «dannoso» per «l’equilibrato sviluppo» del bambino.
L’affidamento e «l’adozione dei bambini da parte degli omosessuali porta il bambino ad essere una sorta di merce», ha detto ieri ai microfoni di Radio Vaticana monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia e «padre spirituale» della Comunità di Sant’Egidio del ministro Riccardi, «il bambino deve nascere e crescere all’interno di quella che, da che mondo è mondo, è la via ordinaria, cioè con un padre e una madre». Talvolta questo contesto può frantumarsi, aggiunge il «ministro della famiglia» del Vaticano - che nella Curia romana è considerato un "progressista" -, ma «inficiare questo principio è pericolosissimo per il bambino e per l’intera società». «Suggerisco a monsignor Paglia di leggersi un po’ di letteratura scientifica e di rendersi conto di persona di come crescono i bambini nelle famiglie gay», gli risponde l’ex presidente dell’Arcigay Aurelio Mancuso, fondatore della rete per i diritti civili Equality Italia.
«Sentenza pericolosa», titolava ieri Avvenire, affidando il commento al giurista Carlo Cardia, già paladino dell’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche, che parla di «essenziale diversità e complementarietà tra il padre e la madre» che introducono il bambino «nel più vasto orizzonte degli affetti, dei sentimenti, delle relazioni, dandogli sicurezza, solidità, capacità di realizzarsi pienamente». Invece la sentenza della Cassazione «considera il bambino come soggetto manipolabile, attraverso sperimentazioni che sono fuori della realtà naturale, biologica e psichica».
Un bambino, prosegue, «privato artificiosamente della doppia genitorialità, vede venir meno la dimensione umana e affettiva necessaria per la crescita e il suo armonico sviluppo», si intravede «un profilo disumanizzante» che «comporta il declassamento dei suoi diritti». «Evidentemente Avvenire, pur di non dar ragione a due donne che vogliono educare in libertà il loro figlio, preferiva il genitore islamico che aveva abbandonato il bambino», commenta Franco Grillini.
Netta anche la condanna dell’Osservatore romano: riconosce che un bambino può crescere anche con uno o senza genitori, però aggiunge che non bisogna «creare queste situazioni soltanto perché in alcuni casi non si provocano danni». E comunque, scrive il quotidiano del papa, il nodo resta l’omosessualità: «L’umano è il maschile e il femminile», non possono negarlo nemmeno le coppie omosessuali, che però escludono dalla relazione questa polarità con una scelta «autoreferenziale». Per cui «la peculiarità della genitorialità come espressione del matrimonio eterosessuale deve essere ribadita»: «È dimensione costitutiva della condizione umana». Schematico don Antonio Mazzi: «La Cassazione va contro natura».
Mentre è articolato il ragionamento di Gianni Geraci, portavoce del Guado, uno dei primi gruppi italiani di omosessuali credenti: «Quello che è un valore, ovvero una famiglia con un padre e una madre, non può essere considerato l’unico valore, anche perché l’esperienza ci mostra che talvolta quel nucleo si rompe, o non si realizza, ma il bambino cresce ugualmente sereno», spiega al manifesto. «Piuttosto che condurre inutili e dannose battaglie ideologiche, bisogna pensare soprattutto al bene dei minori. Per questo è urgente una legge che consenta l’adozione anche da parte di un single. Sarà poi una sua scelta, e un suo diritto, decidere con chi educarlo».
Don Franco Barbero, della comunità di base di Pinerolo, sul suo blog racconta la storia di Morena, «figlia felice di due lesbiche»: «È fidanzata. Una bella e gioiosa giovane donna. Quando la incontro, la vedo felice come una ragazza cresciuta in un contesto d’amore. Ha persino convertito dall’omofobia il suo fidanzato. È il più bel commento alla sentenza della Cassazione».
"I bambini crescono bene anche nelle famiglie gay"
la svolta della Cassazione
di Elsa Vinci (la Repubblica, 12 gennaio 2013)
Basta pregiudizi. «Un bambino può crescere in modo sano ed equilibrato anche con una coppia omosex, non vi sono certezze scientifiche o dati di esperienza che provino il contrario». La sentenza, definita «storica» dall’Arcigay, è quella con cui la Corte di Cassazione ha legittimato l ’affido di un bimbo a una coppia formata da due donne. La presidente della prima sezione civile, Maria Gabriella Luccioli, aveva aperto il solco della giurisprudenza nel marzo dell’anno scorso, quando sancì che «i gay hanno diritto a una vita familiare». Adesso afferma quanto «il mero pregiudizio possa essere dannoso per lo sviluppo di un minore».
Così è stato respinto il ricorso di un padre musulmano. L’uomo, un egiziano che vive a Brescia, si era rivolto alla Suprema Corte per contestare la sentenza d’appello che nel luglio 2011 aveva affidato la figlia alla ex compagna. Il padre lamentava che la donna fosse andata a vivere con una assistente sociale della comunità per tossicodipendenti in cui, anni prima, era andata a disintossicarsi. «Non è idoneo per mia figlia essere educata in un contesto formato da due donne legate da una relazione omosessuale», contestava. Proprio lui che si era allontanato dalla bimba quando aveva solo 10 mesi, si è messo a invocare l’articolo 29 della Costituzione e, sottolineando di essere musulmano, il diritto del minore ad essere educato secondo i principi religiosi di entrambi i genitori.
La Corte gli ha ricordato che con la sua condotta violenta - aggrediva l’ex compagna - è stato lui piuttosto a turbare la figlia. Poi si è sottratto agli incontri protetti con la piccola e ha assunto «un comportamento non improntato a volontà di recupero e poco coerente con la richiesta di affidamento condiviso». Sulla relazione omosessuale dell’ex convivente, la Cassazione ha sottolineato come «alla base delle doglianze del ricorrente non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza, ma solo mero pregiudizio». Insomma «si è dato per scontato ciò che invece è da dimostrare». Maria Gabriella Luccioli, prima donna a essere nominata presidente di sezione della Suprema Corte, è nota per importanti innovazioni nel diritto di famiglia.
Esultano le associazioni omosex, ma restano divisi i politici. E c’è lo sconcerto della Conferenza episcopale: «Non si può costruire una civiltà sui tribunali», dice monsignor Domenico Sigalini, presidente della commissione Cei per il Laicato. Scontate le critiche di Carlo Giovanardi e Maurizio Gasparri del Pdl, ma da un altro esponente del Popolo della libertà, Giancarlo Galan, arriva un giudizio opposto. «Questa sentenza è un passo avanti - dice - Perché lo Stato laico deve ascoltare i cittadini e nessun altro».
Per Ignazio Marino, del Pd, la Corte ha sancito un principio di civiltà: «La capacità di crescere un figlio non è prerogativa esclusiva della coppia eterosessuale ma riguarda anche gli omosessuali e i single. L ’importante è che l’adozione venga disposta nell’interesse del minore». Non è favorevole il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, che auspica però «maggiore tutela per le coppie di fatto». Contrario anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che nello specifico tuttavia giudica la sentenza «sacrosanta». Medici e specialisti invitano a valutare di volta in volta ma il Movimento italiano genitori invoca «i principi di natura». Mentre la polemica si infiamma, le associazioni omosessuali chiedono alla futura maggioranza di legiferare in merito.
In Europa l’adozione per gli omosessuali è legale in diversi paesi: Gran Bretagna, Spagna, Svezia, Belgio, Olanda. Nel 2008 la Corte di Strasburgo ha stabilito infatti che anche i gay hanno diritto alla genitorialità, lasciando ai paesi dell’Unione la libertà di decidere. Le legislazioni restano molto diverse.
La dignità necessaria alle unioni gay
di Bernard-Henri Lévy (Corriere della Sera, 11 gennaio 2013)
Il dibattito sul matrimonio gay ha preso una piega strana e talvolta inquietante. Sorvolo sugli ipocriti che fingono di rimpiangere i bei tempi dell’omosessualità deviante, ribelle, e refrattaria a «entrare nella norma». Sorvolo sulla condiscendenza delle anime belle secondo cui «il popolo», in tempi di crisi, avrebbe altre gatte da pelare piuttosto che queste storie di borghesi bohémien (non si osa dire di pederasti). Sorvolo infine sul comico panico di chi ritiene che il matrimonio gay (ribattezzato a torto matrimonio «per tutti» dai suoi sostenitori troppo prudenti, e privi del coraggio di dire pane al pane, vino al vino) sia una porta aperta alla pedofilia, all’incesto, alla poligamia.
Non si può invece sorvolare su quanto segue.
1) Sul modo in cui è percepito l’intervento delle religioni in tale baruffa. Che le religioni debbano dire il loro parere su una vicenda che è sempre stata, e lo è ancora, al centro della loro dottrina, è normale.
Ma che questo parere si faccia legge, che la voce del gran rabbino di Francia o quella dell’arcivescovo di Parigi sia più di una voce fra tante altre, che ci si nasconda dietro alla loro grande ed eminente autorità per chiudere la discussione e mettere a tacere una legittima domanda di diritti, non è compatibile con i principi di neutralità sui quali, da almeno un secolo, si suppone sia edificata la nostra società. Il matrimonio, in Francia, non è un sacramento, è un contratto.
E se è sempre possibile aggiungere il secondo al primo, e ciascuno può stringere, se lo desidera, un’unione supplementare davanti al prete, non è di questo che tratta la legge sul matrimonio gay.
Nessuno chiede ai religiosi di cedere sulla loro dottrina. Ma nessuno può esigere dal cittadino di regolare il proprio comportamento sui dogmi della fede. Si crede di andare in guerra contro il comunitarismo ed è la laicità ad essere discreditata: che cosa ridicola!
2) Sulla mobilitazione degli psicoanalisti o, in ogni caso, di alcuni di loro, che si ritiene dovrebbero fornire agli avversari della legge argomentazioni scientifiche e, forti della loro autorità, provare che questo progetto causerebbe un altro malessere, stavolta mortale, nella civiltà contemporanea.
Bisogna dirlo e ripeterlo: la scienza freudiana non è uno scientismo; l’ordine simbolico che opera nell’inconscio non è un ordine biologico; e fare del complesso di Edipo l’altro nome del triangolo ben noto dei servizi familiaristi (papà, mamma ed io, la «piccola famiglia incestuosa» dell’ordine eterosessuale di cui parlava Michel Foucault...) fu probabilmente un peccato di gioventù della psicoanalisi: ma da tempo essa lo ha scongiurato e non esiste ormai un analista serio che riduca filiazione e trasmissione a questioni di pura «natura».
Leggete la letteratura sull’argomento. Non ci sono indicazioni, per esempio, che suggeriscano una predisposizione all’omosessualità in caso di adozione da parte di una coppia gay. Non ci sono effetti perversi particolari quando si strappa un bambino da un sordido orfanotrofio e lo si trasferisce in una famiglia con un solo genitore o con genitori omosessuali amorevoli. E se pure questo dovesse provocare un turbamento, lo sguardo che la società impregnata di omofobia porta sul bambino sembra sia infinitamente più sconvolgente della apparente indistinzione dei ruoli nella famiglia così composta... 3) Sulla famiglia, appunto. La sacrosanta famiglia che ci viene presentata, a scelta, come la base o il cemento delle società.
Come se «la» famiglia non avesse già tutta una sua storia! Come se ci fosse un solo modello, e non invece molti modelli di famiglia, quasi omonimi, che si succedono dall’antichità ai nostri giorni, dai secoli classici ai secoli borghesi, dall’età delle grandi discipline (quando la cellula familiare funzionava, in effetti, come ingranaggio del macchinario del controllo sociale) a quella del «diritto alla ricerca della felicità» di cui parlava Hannah Arendt in un testo del 1959 sulle «unioni interrazziali» (in cui il matrimonio diventa un luogo di pienezza e di libertà per il soggetto)!
Come se la banalizzazione del divorzio, la generalizzazione della contraccezione o dell’interruzione volontaria di gravidanza, la moltiplicazione delle adozioni e delle famiglie single, il fatto che oggi siano più numerosi i bambini nati fuori dal matrimonio che da coppie sposate, come se la disgiunzione, infine, del sessuale dal coniugale, non avessero fatto vacillare il modello tradizionale ben al di là di quello che mai farà una legge sul matrimonio gay che, per definizione, riguarderà solo una minoranza della società!
La verità è che gli avversari della legge sempre più difficilmente riescono a dissimulare il fondo di omofobia che governa i loro discorsi.
Preferiamo una posizione di dignità (perché fondata sul principio di universalità della regola di diritto), di saggezza (talvolta il diritto serve a prendere atto di una evoluzione che il Paese ha già voluto e compiuto) e di fiducia nell’avvenire (chissà se non toccherà ai gay sposati, non di impoverire, ma di arricchire le arti di amare e di vivere di una società alla quale, da mezzo secolo, hanno già dato tanto?).
Possa il legislatore decidere serenamente e senza cedere alla pressione delle piazze né all’intimidazione dei falsi sapienti: è in gioco, in effetti, ma non nel senso che ci viene detto, l’avvenire di quella bella illusione che è la convivenza democratica.
(traduzione di Daniela Maggioni)
L’omofobia serve agli adolescenti per sentirsi veri uomini
di Delia Vaccarello (l’Unità, 9 gennaio 2013)
A cosa serve il bullismo omofobico? la violenza a scuola è un fulmine nel cielo sereno della convivenza scolastica o invece ha radici fortissime? Dinanzi alle differenze a chi giova rispondere con la violenza? A questi e ad altri interrogativi, Giuseppe Burgio, ricercatore in campo pedagogico da anni impegnato sulle questioni legate all’orientamento sessuale, risponde in maniera netta: l’omofobia serve agli adolescenti per sentirsi veri uomini.
Nel saggio Adolescenza e violenza. Il bullismo omofobico come formazione alla maschilità (ed. mimesis), Burgio dimostra che il bullismo omofobico è una tappa nel processo di costruzione della virilità: chi lo esercita ricava il vantaggio di aderire allo stereotipo del maschio come si deve. Disprezzare ciò che è «passivo» e «femminile» (caratteristiche associate all’omosessualità) diventa un elemento cruciale, così in adolescenza l’odio per i gay si rivela un modo di esorcizzare la tentazione di essere «dipendenti» quindi «femminucce» attraverso l’identificazione della virilità con l’aggressività.
un fenomeno non isolato
L’omofobia non sarebbe un fenomeno isolato, messo in atto a scuola dai ragazzi che «scherzano pesante» ma diventa necessario ai ragazzi eterosessuali per definirsi all’altezza di quella virilità simbolica che la società e la cultura impongono di interpretare. Prendendo in esame testimonianze dirette Burgio si concentra sugli attori della relazione - vittime, aggressori, contesto scolastico - e analizza alcuni aspetti importanti tra cui spicca «il disgusto maschile»: nei racconti si parla di sputi e di altre violenze che avvengono nei gabinetti (dove ci sono sporcizia e cattivi odori), una collocazione che dimostra il bisogno di marcare un confine nei riguardi dei gay, considerati persone che provocano ribrezzo contro le quali schierarsi. Poiché a livello «fantastico» il contatto con l’omosessuale «sporca» la virilità, il ragazzo gay viene degradato, associato allo squallore, per sottolineare ancora di più la differenza rispetto al coetaneo etero con il vantaggio di proclamarsi «veri maschi».
Ancora, un elemento costante nelle testimonianze è «il pettegolezzo derogatorio»: oltre all’insulto, infatti, assume un ruolo predominante «il dirlo in giro». L’omosessualità di un compagno va resa nota attraverso un turbinio di voci e, peggio, va provata attraverso invasioni della privacy, come il furto di telefonini e diari, nonché vere e proprie trappole. Un compagno etero, ad esempio, provoca l’amico che sente invaghito di lui fino ad illuderlo di dargli un bacio: «il mio ex compagno di banco, ex amico, ex persona di cui ero innamorato, ci ha provato con me in maniera molto esplicita e spudorata per vedere se io ero gay, io ho ceduto e appena sono andato per baciarlo si è scostato, mi ha allontanato, si è alzato e se ne è andato e poi mi ha sputtanato con tutti quanti...».
atteggiamento inquisitorio
L’atteggiamento inquisitorio nei riguardi di chi è sospettato di omosessualità risulta necessario perché avere accanto un ragazzo gay diventa per molti etero un’esperienza minacciosa. Inutile sottolineare la tortura cui l’adolescente omosessuale viene esposto.
A cambiare la situazione - oltre che una scuola del futuro dove programmi, docenti e personale ausiliario, non colludano con gli stereotipi della «virilità autentica» -, ci stanno pensando anche i ragazzi. L’omosessuale che dichiara se stesso e il proprio desiderio non si pone più come vittima e non fornisce più al ragazzo etero uno specchio rovesciato utile a definirsi. Il ragazzo gay che si sfila dal gioco «vittima aggressore», spinge gli etero a non considerare il proprio percorso così scontato, con l’esito auspicato di incrinare la corazza degli stereotipi.
È possibile - conclude Burgio - che la rottura del legame tra violenza e maschilità possa ricodificare la virilità a livello simbolico, e far sorgere «una maschilità che non si vergogni di riconoscere come proprie anche la cura, la relazionalità, la mitezza». Per far questo occorre ripensare il maschile, fornire ai ragazzi modelli diversi e articolati, far comprendere che per diventare adulti bisogna necessariamente «attraversare» la condizione di sentirsi «confusi e smarriti», che è ben più fertile del mascherarsi dietro corazze, violenze, stereotipi. Occorre una nuova educazione alla maschilità, i cui primi «discepoli» saranno i maschi già adulti.
Care amiche, cari amici,
vi invito a vedere l’intervento di Christiane Taubira, ministro della Giustizia in Francia, che risponde a un deputato conservatore contrario ai matrimoni tra persone dello stesso sesso.
Cliccando sul lungo link che segue, troverete il video (dura 4 minuti circa):
http://pubblicogiornale.it/mondo/onorevole-monsieur-vive-in-un-igloo-taubira-sulle-nozze-gay/
Mi sembra che questo intervento a braccio sia un buon punto da cui ripartire per dare nuovo slancio alla nostra lotta per i diritti civili in Italia. Una lotta che non riguarda una minoranza sociale discriminata ma una questione pi generale di democrazia, di rapporti tra di noi.
Buona visione e buone feste,
Pasquale Quaranta
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GAY CREDENTI: NELLE PAROLE DEL PAPA ARROGANZA, IGNORANZA E ISTIGAZIONE ALL’OMOFOBIA *
36979. ROMA-ADISTA. «Ogni anno nuovo porta con sé l’attesa di un mondo migliore». Lo dice Benedetto XVI nel suo messaggio per la XLVI Giornata Mondiale della Pace, che il 1° gennaio prossimo consegnerà ai capi di Stato. Un mondo migliore, sogna il papa, senza fondamentalismi e fanatismi, in cui le religioni aiutino a «favorire la comunione e la riconciliazione» tra gli esseri umani. Ma anche un mondo in cui la pace sia edificata su «principi» precisi e “non negoziabili”, ammonisce il papa, che non fanno capo solo alle «verità di fede» promosse della Chiesa cattolica, ma che sono «inscritti nella stessa natura umana, riconoscibili con la ragione». Praticamente, una sorta di “dna morale”. «L’azione della Chiesa nel promuoverli - chiarisce - non ha dunque carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le persone, prescindendo dalla loro affiliazione religiosa. Tale azione è tanto più necessaria quanto più questi principi vengono negati o mal compresi, perché ciò costituisce un’offesa contro la verità della persona umana, una ferita grave inflitta alla giustizia e alla pace».
Ad accendere il disagio di molti che hanno letto il messaggio, non è stata tanto l’arroganza del papa nel volersi porre come fonte di verità insindacabili anche per i non cattolici, quanto il successivo elenco delle cose che “infliggono una ferita alla giustizia e a alla pace”. E in particolare il punto in cui afferma: «La struttura naturale del matrimonio va riconosciuta e promossa, quale unione fra un uomo e una donna, rispetto ai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale».
«Incredulità e rammarico»
«È doloroso sentire dei distinguo così netti e radicali, che non danno speranza alle persone omosessuali, proprio da chi della speranza dovrebbe essere il primo alfiere». Così il gruppo romano di omosessuali e transessuali credenti, Nuova Proposta, ha accolto il passaggio di Benedetto XVI sulle «forme radicalmente diverse di unione». Nelle parole del papa emerge chiaramente «la negazione senza speranza della prospettiva di vita piena per le persone omosessuali e transessuali», nonché il misconoscimento dell’affettività «come patrimonio e valore per la società intera». Perché, si chiede Nuova Proposta, Benedetto XVI ha deciso di «inquinare» un messaggio per la pace con «indicazioni così nette, piene di esclusione, che non danno speranza» alle tante persone ancora oggi «vittime di odio, violenza e discriminazione» a causa del loro orientamento affettivo? Al contrario di quanto afferma Ratzinger, l’amore di due persone, e il loro progetto di vita insieme, non provocherebbe alcun danno alla pace, anzi «immetterebbe nella società un surplus di energie vitali e positive altrimenti imprigionate in una vita di silenzio e negazione». L’omofobia nelle gerarchie cattoliche allontana «persone che spesso sono fratelli e sorelle nella fede in Cristo e aspettano da sempre che la Chiesa guardi a loro con umanità e accoglienza, ma un’accoglienza vera, quella che si mette in pratica guardando all’altro con gli occhi del cuore e non con quelli della legge».
Parole scorrette, dagli esiti nefasti
Amaro anche il commento di Gianni Geraci (portavoce dei credenti omosessuali del Gruppo del Guado di Milano), che il 15 dicembre scorso ha scritto una Lettera aperta a Benedetto XVI. Secondo il papa, è l’interpretazione di Geraci, «la pace c’è solo quando si sentono come propri i bisogni e le esigenze altrui e si rendono partecipi gli altri dei propri beni». Una «stridente contraddizione», con il seguito, visto che Ratzinger invita i legislatori a non riconoscere formalmente le unioni omosessuali, per preservare pace e giustizia. E sembra far finta di non sapere che «i Paesi che più si adoperano per costruire la pace a livello internazionale sono quelli che, per primi, hanno adottato delle leggi che rendono il matrimonio “giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione”». Inoltre, dice Geraci al papa, «quando critica le leggi che riconoscono le unioni omosessuali non fa riferimento al Vangelo, ma fa riferimento a quella che Lei considera una retta ragione che, però, più per ignoranza che per malanimo, in questo caso tanto retta magari non è».
E c’è un altro danno, ancor più grave, provocato dalle parole del papa: «Come la mettiamo con i tanti fanatici che nel suo articolato messaggio leggono solo una dura condanna delle leggi che riconoscono le unioni omosessuali e che, spinti dal loro fanatismo fanno poi di tutto per perseguitare le persone omosessuali?». Forse è il caso, suggerisce Geraci, che il papa cominci a conoscere un po’ più da vicino la realtà che condanna con tanta veemenza. «Si tratta di un invito che Le viene da un cattolico che Le vuole bene e che non vuole che, tra qualche anno, quando Lei si troverà di fronte a nostro Signore, venga interpellato per le conseguenze gravissime (in termini di discriminazioni, di sopraffazioni e di violenze) che possono avere le parole che ha scritto nel suo messaggio di quest’anno». Quando il papa, conclude, «parla di diritti delle coppie omosessuali non solo non segue una retta ragione, ma rischia di non seguire nemmeno il Vangelo».
Omofobi di tutto il mondo unitevi!
Parole insensate e pericolose anche secondo un comunicato del 14/12 di Flavio Romani, presidente nazionale dell’Arcigay: il papa, scrive, «arma infatti gli omofobi di tutti i Paesi con un invito ad una crociata senza quartiere contro il matrimonio tra persone dello stesso sesso». Nonostante nel mondo si stia affermando l’esatto opposto degli auspici di Benedetto XVI, la Chiesa cattolica continua a promuovere «una teocrazia che rincorre su questi temi il peggior integralismo», dimostrando tra l’altro «assenza di argomentazioni realistiche e sensate». «Benedetto XVI continua a rappresentarsi come un apostolo di ingiustizia, divisione e discriminazione ai danni delle persone omosessuali, lesbiche e transessuali», conclude Romani, ricordando che il 1° dicembre - proprio nei giorni del dibattito sul messaggio per la Giornata della Pace - il papa ha accolto una delegazione di magistrati ugandesi, capitanati dalla presidente del Parlamento ugandese, Rebecca Kadaga ferma sostenitrice nel Paese africano di una proposta di legge “contro i comportamenti sessuali devianti”, che descrive l’omosessualità come «malattia mentale» e prevede la pena capitale per gli omosessuali “recidivi”. Il papa, dice Romani, «è tristemente coerente».
“Sono stato frainteso”
Pochi e maldestri i tentativi di salvare le intenzioni del papa. Secondo p. Federico Lombardi (direttore della Sala Stampa vaticana) il messaggio di Benedetto XVI è stato «travisato» e ne è stata data una «lettura parziale». Per questo, ha affermato, le reazioni sono state «scomposte e sproporzionate». Probabile, ma quel passaggio c’è, per quanto breve e disperso in un mare di buone intenzioni.
Non entra nel merito delle affermazioni nemmeno Sergio Marelli (membro del Coordinamento del Forum Permanente Terzo Settore), in un’intervista a Radio Vaticana (15/12). Secondo Marelli, quello del papa è «un messaggio che dà alquanto fastidio» perché, nel suo cuore, denuncia un modello di sviluppo dannoso ma imperante: quel «“liberismo economico radicale”, che propugna dei falsi diritti, l’affermazione della tecnocrazia, anche a prezzo, dice il messaggio, dell’erosione della funzione sociale dello Stato e delle reti di solidarietà della società civile». «Sviare l’attenzione su altri argomenti - come l’aborto e i diritti delle coppie omosessuali, conclude Marelli - forse, può essere una maniera strumentale per leggere questo grande messaggio di Benedetto XVI».
Tra le difese più “divertenti”, quella di pontifex.roma.it. «Parole sincere, evangeliche e di grande spessore morale», si legge il 15 dicembre sul sito tradizionalista che fa proprie le parole del papa puntando il dito contro «preti ignoranti e cattolici laicisti nonché governi crudeli e scellerati» che hanno promosso, o intendono farlo, leggi sul matrimonio omosessuale. Secondo pontifex, le unioni gay corrispondono ad un «attentato alla società e ad un’offesa alla verità». Ma tranquilli, conclude, perché «si può superare ogni male con adeguate cure e guide pastorali, con fede. W il Papa, W Cristo Re!».
“Diversamente conservatori” nella Chiesa
«Abbiate il coraggio di difendere i valori cristiani della famiglia», esorta il vescovo di Locri-Gerace, mons. Giuseppe Fiorini Morosini, preoccupato per la secolarizzazione dilagante nella società, tanto quanto il suo supremo capo. E, come il papa, respinge un’idea di famiglia diversa dalla «unione di un uomo e una donna, benedetta da Dio con il sacramento del matrimonio e riconosciuta dallo Stato come cellula fondamentale della sua stessa stabilità». Convivenze e divorzi nemmeno a parlarne. Ma, a differenza di Ratzinger, apre alla possibilità che «le libere unioni di affetto tra le persone, anche dello stesso sesso, possono e debbono aver riconosciuti i loro diritti civili». “Ovviamente”, «senza che si pretenda che assurgano alla dignità di matrimonio e di famiglia». (giampaolo petrucci)
* Adista Notizie n. 47 del 29/12/2012
Lettera aperta a Benedetto XVI che ha attaccato nuovamente il riconoscimento delle unioni omosessuali
di Gianni Geraci
in “http://gruppodelguado.blogspot.it/” del 21 dicembre 2012
Mi rendo conto di correr il rischio di apparire petulante, ma, a distanza di una settimana dalla mia ultima lettera aperta, sono costretto a scriverLe ancora.
Lo faccio dopo aver letto il testo del Suo discorso alla Curia romana in cui è tornato a parlare a sproposito dei matrimoni omosessuali.
Non so chi le spiega certe cose, ma se non gliel’hanno detto i suoi collaboratori, qualcuno deve pur spiegarglielo che l’identità sessuale è una cosa, mentre l’orientamento sessuale è un’altra cosa. La frase di Simone de Bevoir che lei ha citato nel suo discorso ha senz’altro a che fare con l’identità sessuale, ma non c’entra niente con l’orientamento sessuale e, tanto meno, c’entra con il riconoscimento delle unioni tra le persone dello stesso sesso.
Analogamente, non entro nel merito della sua affermazione che parla di «profonda erroneità» che porta l’uomo a negare «di avere una natura precostituita dalla sua corporeità», ma mi permetto di farle notare che anche questa frase non ha niente a che fare con l’orientamento omosessuale, visto che gli omosessuali non hanno nessun problema a identificarsi con il genere che emerge dalle loro caratteristiche fisiche.
Quando parla di questi argomenti, Santità, non si accorge di confondere le persone transessuali (che sì, hanno dei problemi a identificarsi con il genere che emerge dalla loro corporeità) con le persone omosessuali (che non hanno nessun problema da questo punto vista, ma che, invece, per motivi misteriosi, a differenza della maggioranza eterosessuale, sono attratti dalle persone del loro stesso genere).
Se, al posto di ascoltare gli esperti che la consigliano, ascoltasse le persone omosessuali e le persone transessuali, si troverebbe di fronte a situazioni ben curiose, come quella di un mio amico che, quando era uomo, aveva dei grossi problemi nell’identificarsi con il suo corpo maschile, ma che non ha mai avuto dubbi sul fatto di essere attratto dalle donne, tant’è che quando è diventata una donna ha continuato a cercare una donna con cui costruire una relazione di coppia.
Vede, Santità, tra i tanti drammi che vivono le persone omosessuali uno dei più grandi è quello di trovarsi sistematicamente di fronte a persone che parlano "di loro" senza aver mai parlato "con loro" dicendo cose che non hanno niente a che fare con le esperienze che vivono.
Ed è davvero un peccato che tra queste persone, da qualche tempo a questa parte, ci sia anche Lei.
Gianni Geraci (portavoce Gruppo del Guado)
Il papa contro il matrimonio gay Un diritto non è mai un pericolo
di Chiara Saraceno (la Repubblica, 21.12.2012)
È per lo meno singolare che tra gli attentati alla pace, alla giustizia e alla dignità umana il Papa abbia messo ai primi posti l’estensione alle persone omosessuali del diritto a sposarsi. Era già una forzatura, cui per altro Giovanni Paolo II ci aveva abituato, equiparare il diritto all’aborto e a chiedere di essere aiutati a morire alle uccisioni che si effettuano in guerra e ai genocidi che spesso accompagnano le guerre civili. Perché si confondono feti con esseri umani già compiuti, vittime con carnefici, la libertà di disporre di sé con la violenza su altri.
Anche chi non approva l’aborto e l’eutanasia dovrebbe preoccuparsi di questa operazione in cui tutto viene mescolato senza distinzione, con il rischio non già che si salvi qualche feto perché diventi un bambino non voluto, o che qualche malato terminale venga tenuto in vita ad oltranza, ma che guerre e genocidi perdano il loro carattere di violenza arbitraria e cieca, ove le vittime sono pure casualità, specie se appartengono ai gruppi più deboli.
Sta già succedendo, in quest’epoca in cui le guerre - dichiarate o meno - sono dappertutto e ciascun belligerante vede, nel migliore dei casi, solo i propri morti, mentre quelli altrui sono tutti solo “nemici” - dai lattanti in su. Non c’è proprio bisogno che ci si metta anche il Papa, con tutte le migliori intenzioni, a dare manforte a questo clima di assuefazione ottusa.
Se poi si aggiunge alla lista degli attentati alla pace e alla vita e dignità umana la questione dei matrimoni omosessuali davvero la confusione, l’incapacità, o il non desiderio, di operare distinzioni risultano in una denuncia generica e inefficace del problema che a parole si dice di voler affrontare.
È difficile anche a chi è contrario ai matrimoni tra omosessuali cogliere un qualche nesso tra una legge che li consenta e l’operare per la pace. A meno che il pontefice non voglia suggerire che l’approvazione di una legge simile produrrebbe guerra civile, ciò che è smentito da quanto (non) è avvenuto nei Paesi che hanno una legge del genere. Mentre, viceversa, molti Paesi che vietano l’aborto (e anche la contraccezione), puniscono le donne che vi ricorrono e mettono al bando gli omosessuali sono governati da dittature violente e talvolta anche guerrafondaie. A differenza del pontefice, non intendo postulare che esista un nesso tra riconoscimento del diritto ad abortire, ad usare la contraccezione, a sposarsi tra omosessuali e il mantenimento della pace. I rapporti causa ed effetto sono molto più complessi di queste rozze semplificazioni.
Continuare a evocare i temi dell’aborto, dell’eutanasia, della omosessualità come temi validi per la denuncia di qualsiasi cosa vada male nel mondo rischia di marginalizzare proprio l’attenzione per ciò che va male, in questo caso per un mondo attraversato da guerre ricorrenti e continue, abitato da signori della guerra che non riposano mai. Certo, dà l’impressione che al pontefice e alla gerarchia cattolica interessi di più porre il proprio veto sulle legislazioni degli Stati democratici, in tema di diritti di libertà nell’ambito della sessualità e della riproduzione, che non condannare le guerre (o le incursioni) preventive e le violenze sulle popolazioni inermi. Più che un monito contro i signori della guerra, sembra un monito contro la laicità dello Stato, del tutto in consonanza con quello lanciato dal cardinale Scola alcuni giorni fa.
Papa benedice promotrice legge che prevede pena di morte per gay in Uganda
di Redazione *
Una legge contro l’omosessualità - da approvare - che tra le ipotesi prevede la pena di morte. Succede in Uganda, uno dei 37 paesi nel mondo che considerano nel loro codice penale l’essere gay un reato. Il presidente del parlamento ugandese, Rebecca Kadaga, lo scorso 12 novembre aveva annunciato che questa norma sarebbe stata un ”regalo di Natale” per tutti gli ugandesi anti gay. La signora, come si legge sul sito del parlamento del paese africano, è stata ricevuta e benedetta ieri dal Papa che oggi, nel suo messaggio per la Giornata mondiale della pace, ha definito i tentativi di accomunare i matrimoni gay a quelli fra uomo e donna “un’offesa contro la verità della persona umana” e “una ferita grave inflitta alla giustizia e alla pace”. Nella foto si vede Benedetto XVI accanto alla speaker.
La legge anti-gay, “The Kill gay bill” duramente contestata, potrebbe essere approvata nei prossimi giorni e per questo sta crescendo la pressione del popolo del web. L’ultimo dato relativo alla petizione on line è che oltre un milione di persone hanno firmato l’appello promosso dalla web community Avaaz.org; “Ultime ore per fermare l’orribile legge anti-gay in Uganda” si legge sulla home page. “Chiediamo ai leader dell’Uganda e ai suoi maggiori paesi partner di unirsi a noi nel condannare ogni persecuzione e difendere i valori della giustizia e della tolleranza”, si legge nel testo della petizione.
Il disegno di legge, presentato dal deputato David Bahati, propone pene detentive più lunghe per gli atti omosessuali rispetto a quelle attualmente in vigore, tra cui l’ergastolo, ma nella sua bozza originale era prevista anche la pena di morte nei casi di omosessualità aggravata; se a commettere il reato per esempio è un malato di Hiv o se si hanno rapporti con minorenni. Nel presentare la legge la Kadaga, lo scorso 12 novembre aveva annunciato che sarebbe stata un ”regalo di Natale”. Il testo, definito lo scorso anno ”odioso” dal presidente americano Barack Obama, ha già scatenato una serie di proteste da parte di alcuni leader mondiali che hanno minacciato di sospendere gli aiuti in favore di Kampala. Chi dovesse vivere con una persona del suo stesso sesso, in caso di approvazione della legge, rischierebbe 14 anni di galera.
“Quello che oggi papa Benedetto XVI ha anticipato quale messaggio per la Giornata Mondiale della Pace che si celebrerà l’1 gennaio 2013 è probabilmente il peggiore di sempre: arma infatti gli omofobi di tutti i paesi con un invito ad una crociata senza quartiere contro il matrimonio tra persone dello stesso sesso” commenta Flavio Romani, presidente nazionale Arcigay, secondo il quale “leggere pero’ nelle altisonanti parole del pontefice che il matrimonio tra persone dello stesso sesso è una minaccia per la giustizia e per la pace, oltre a qualificare da sé il messaggio, testimonia l’assenza di argomentazioni realistiche e sensate da parte della Chiesa Cattolica sull’argomento”.
Per Romani “il matrimonio anche per gay e lesbiche ha vinto e si sta affermando in tutto il mondo, in paesi governati sia da conservatori che da progressisti, e arriverà anche in Italia, al di la’ di questo canto del cigno. Certo, dopo il laico pronunciamento di ieri del Parlamento europeo a favore di unioni civili e matrimonio per persone dello stesso sesso votato democraticamente a maggioranza, non ci attendevamo di meglio da una teocrazia che rincorre su questi temi il peggior integralismo.
Il messaggio anticipato oggi è tristemente coerente con la benedizione data ieri in Vaticano alla delegazione parlamentare ugandese guidata dalla portavoce Rebecca Kadaga, una delle più forti promotrici della ‘Kill the Gay Bill’, la legge che il parlamento ugandese si appresta ad approvare e che prevede la pena di morte per ‘omosessualità aggravata’. Con queste due azioni - conclude - Benedetto XVI continua a rappresentarsi come un apostolo di ingiustizia, divisione e discriminazione ai danni delle persone omosessuali, lesbiche e transessuali. E’ necessario che la società civile e i rappresentanti politici, a tutti i livelli, facciano sentire le loro parole di condanna di fronte ad atti e parole così gravi”.
*Il Fatto Quotidiano 14 dicembre 2012 Commenti (862)
Le parole contro i gay allontanano la pace
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 15 dicembre 2012)
Benedetto XVI si lancia nuovamente contro i matrimoni gay. Legittimarli, afferma, sarebbe una “ferita grave contro la giustizia e la pace”. Così “il Papa alimenta l’odio contro i gay”, ha replicato d’impeto Paola Concia, perché sono “parole pericolose, che esprimono qualcosa di profondamente violento”. Dice la parlamentare pidiellina che rappresentare come minaccia “noi cittadini, che siamo senza diritti, significa fomentare aggressività contro i gay”.
Si fa fatica a comprendere l’urgenza di inserire una frase così dura - inevitabilmente destinata a ferire in primo luogo i gay credenti e portata al paradosso di indicare come nemica della pace una coppia omosessuale - nel tradizionale Messaggio per la giornata della pace inviato ogni anno alla comunità diplomatica. Stride con il suo motto “Beati i costruttori di pace” né si amalgama con l’ampiezza dei temi di un documento, incentrato sulla convivenza in un mondo percorso da forti tensioni sociali. Ormai è una guerra sistematica, quella condotta da Benedetto XVI sui principi che già da cardinale definì “non negoziabili”. Il fatto è che - si tratti di unioni civili o di matrimoni gay - le società contemporanee e la gran massa dei credenti contemporanei si sono lasciati alle spalle l’idea dell’omosessualità come perversione. Persino uno scrittore cattolico osservante come Messori ha dichiarato che le persone omosessuali non possono essere considerate uno “scarto” nel progetto divino.
Gli anatemi rivelano in realtà l’allarme vaticano per l’estendersi dei matrimoni gay in paesi cattolicissimi come la Spagna, il Portogallo, l’Argentina e - da pochi giorni - anche l’Uraguay, dove la Camera dei deputati ha approvato la nuova legge con 81 sì su 87 voti. (La legge passa ora al Senato uruguayano).
Con l’occhio alla prossima legislatura il Gay Center italiano si augura che le “parole del Papa non suonino per la politica in Italia come un diktat”, perché le unioni gay non “minacciano” la famiglia. Nel Messaggio il pontefice ribadisce che il matrimonio è solo “fra un uomo e una donna” e volerlo rendere giuridicamente equivalente a “forme radicalmente diverse di unione...(è) un’ offesa contro la verità della persona umana”. Su questa linea Benedetto XVI si scaglia contro il “preteso diritto all’aborto e all’eutanasia”, esclamando che “chi vuole la pace non può tollerare attentati e delitti contro la vita”. Comunque, il pontefice esorta governi e parlamenti a riconoscere il diritto all’obiezione di coscienza agli operatori chiamati a occuparsi di aborti ed eutanasia.
Consapevole degli echi polemici, l’Osservatore Romano interviene con un editoriale del direttore Giovanni Maria Vian, secondo cui la “Chiesa non è affatto isolata nell’esprimere preoccupazione e dissenso sulle nozze gay”. In Francia, dove Hollande sta introducendo i matrimoni gay, afferma Vian, stanno convergendo con le posizioni cattoliche ortodossi, protestanti, ebrei, musulmani e intellettuali laici. La guerra vaticana contro le unioni gay mette in ombra - ed è un peccato - la forte denuncia del Messaggio nei confronti della crescente svalutazione dei diritti dei lavoratori rispetto ad un “mercato” idolatrato.
Benedetto XVI usa parole che Raffaele Bonanni si vergognerebbe di pronunciare: “Sempre più il lavoro e il giusto riconoscimento dello statuto giuridico dei lavoratori non vengono adeguatamente valorizzati, perché lo sviluppo economico dipenderebbe soprattutto dalla piena libertà dei mercati”. Per il pontefice è negativo che il lavoro sia “considerato una variabile dipendente dei meccanismi economici e finanziari”.
Al contrario per ragioni socio-economiche e politiche e soprattutto in nome della dignità dell’uomo bisogna “perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro, o del suo mantenimento, per tuttì”. Non è accettabile che in un’ottica egoistica ed individualistica di massimizzazione del profitto e del consumo si vogliano “valutare le persone solo per la loro capacità di rispondere alle esigenze della competitività”
Baubérot: «Matrimonio per tutti: finalmente un vero tema di laicità!»
di Jean-Jeacques Peyronel
A proposito del «matrimonio per tutti» di cui si è parlato anche al sinodo della Regione Provenza- Alpi-Corsica-Costa Azzurra, il sociologo francese Jean Baubérot, che è membro attivo della Chiesa riformata di Francia, ha scritto sul suo blog (http: //blogs. mediapart. fr/ blog/ jeanbauberot/ 051112) un articolo intitolato «Matrimonio per tutti: finalmente un vero tema di laicità! », in cui scrive tra l’altro:
«Dietro alle opposizioni - ieri al divorzio, oggi al matrimonio per tutti - sta un problema fondamentale: che cos’è un essere umano? Un essere umano nella sua “dignità”, nella sua umanità? Si può definire a priori, una volta per tutte e in modo immutabile, le caratteristiche fondamentali di un essere umano e del comportamento umano? Oppure l’umanità è un’avventura che si svolge nella storia, che comporta una storicità? In breve, per dire le cose in modo un po’ sapiente, esistono o no delle invarianti antropologiche, dei limiti antropologici che sfuggono alla storicità? Alcuni accettano questa domanda e sostengono che, siccome esistono le due posizioni, la società non deve scegliere tra una e l’altra. Ora, da un lato non scegliere vuol dire semplicemente far prevalere la prima posizione; dall’altro lato, tutte le società democratiche hanno già scelto e si basano sull’idea che, a ogni periodo storico, spetta alla società politica definire la frontiera tra l’umano e l’inumano, porre i limiti antropologici da non superare. Del resto è proprio in questo che le società democratiche, anche se sono generalmente incompletamente laiche (e la Francia non sfugge a questa generalità), sono però fondamentalmente delle società laiche... Mi si dirà che il rifiuto del matrimonio tra persone dello stesso sesso fa l’unanimità fra le religioni. Direi più esattamente «fra le autorità religiose», il che non è esattamente la stessa cosa... Le “religioni” si oppongono: è loro diritto e, in regime di laicità, esse possono esprimere pubblicamente tale diritto finché vogliono. Non solo il “matrimonio per tutti” è un vero tema di laicità ma è un tema per il quale la laicità funziona bene dato che l’espressione della religione nello spazio pubblico non è contestata, che non si pretende che la religione sia unicamente “faccenda intima” che non avrebbe il diritto di manifestarsi pubblicamente. Una laicità morbida, quindi, il che non impedisce di ricordare alcune regole. Prima di tutto, che le autorità politiche (e mediatiche) la smettano di parlare de “la Chiesa”, come se ne esistesse solo una, come se fossimo ancora al Medio Evo con un “potere temporale” e un “potere spirituale”. Chiamare la Chiesa cattolica “la Chiesa” (e il progetto di legge socialista commette questo grave errore!), vuol dire ratificare implicitamente la pretesa di un certo cattolicesimo di costituire la sola e unica Chiesa, vuol dire disprezzare la situazione di grande pluralità religiosa, cristiana compresa. Bisogna ricordare che la legge del 1905 è la legge di separazione “tra le Chiese e lo Stato” e non “tra la Chiesa e lo Stato” come pretende un manuale di storia! Se tutte le convinzioni, religioni incluse, hanno diritto alla libera espressione, nessuna prevale di fronte al suffragio universale... Esiste una differenza tra diritto d’espressione e volontà di dominio... Una laicità di libertà perché dare il diritto del matrimonio agli omosessuali non toglie nulla agli eterosessuali, e non obbliga in nulla un omosessuale. Ciò non toglie nulla alle chiese e alle altre religioni: separate dallo Stato, esse fanno ciò che vogliono e nessuno, in Francia, pensa di costringerle a organizzare una cerimonia religiosa per celebrare un matrimonio tra persone dello stesso sesso. Anche qui, la laicità viene rimessa sui propri piedi: è sul terreno della libertà (e non su quello della repressione) che la laicità si impone alle religioni». (jjp)
Matrimonio gay: no alla collusione dell’odio
Contro una “Santa Alleanza” retrograda
di Collettivo *
“Le Monde” del 18 novembre 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)
Non passa giorno senza che i gay e le lesbiche francesi siano pubblicamente insultati. Si potrebbe datare l’apparizione di questa aggressione permanente dal 4 febbraio 2005, quando un deputato UMP ha osato dichiarare a loro riguardo: “Dico che sono inferiori moralmente”. È stato l’inizio di una litania astiosa proseguita con una dichiarazione parallela a proposito del matrimonio gay: “E perché non delle unioni con animali?”, nel pieno dei lavori della commissione per le leggi dell’Assemblée Nationale (25 febbraio 2011).
Queste frasi hanno potuto essere pronunciate perché certe persone sono “senza complessi”. Si ritengono autorizzate a dire tutto ciò che pensano, se questo si può definire pensare. Il responsabile di questa degradazione del modo di esprimersi in pubblico è l’ex presidente della Repubblica, la cui campagna elettorale è stata caratterizzata dall’omofobia. Fin dalla sua dichiarazione di candidatura, in piena crisi mondiale, non ha parlato prima di tutto di economia, no, il primo punto da lui presentato è stato il rifiuto del matrimonio gay (11 febbraio).
Alcuni giorni dopo (19 febbraio) dichiarava che i gay “non amano la Francia”. L’idiozia di simile affermazione, considerando la storia, da Luigi XIII al maresciallo Lyautey, non ha trattenuto dal parlare un uomo che, per finire, ha schernito i gay, dicendo che sono in contraddizione nel volere il matrimonio, visto che rivendicano il “diritto alla differenza” (17 aprile). Somiglianza, differenza, qualunque cosa i gay e le lesbiche dicano, hanno torto. Peggio, non ne hanno il diritto. Visto che glielo si rifiuta.
Non bisogna quindi sorprendersi del fatto che i discendenti politici del “sarkozysmo” si siano scatenati all’annuncio del progetto di legge timidamente definito “matrimonio per tutti”, come se le parole gay e lesbica fossero vergognose. Durante il dibattito per la presidenza dell’UMP, Fillon ha dichiarato la sua “opposizione totale al matrimonio omosessuale”,seguito da Copé che ha affermato che “non celebrerà nessun matrimonio omosessuale” (25 ottobre). Tre giorni dopo, lo stesso Copé ha pensato di organizzare delle manifestazioni contro il matrimonio gay.
Si è unita a lui su questo punto quella che alcuni hanno soprannominato sua sorella di latte, Marine Le Pen (1° novembre), che ha poi chiesto un referendum sulla questione (4 novembre); la prossima proposta sarà la gogna? L’offesa è non solo quotidiana, ma pluriquotidiana: lo stesso 4 novembre il deputato Laurent Wauquiez prometteva l’abrogazione se la destra tornasse al potere. Il 5, la deputata Valérie Pécresse prevedeva l’annullamento dei matrimoni. La crescente forza dell’insulto politico è manifestata molto bene dal numero dei deputati e dei senatori UMP che hanno firmato una petizione contro il matrimonio gay: erano 82 nel gennaio 2012, e 180 in ottobre.
Da dove arriva l’idea che il matrimonio gay metterebbe in pericolo la Francia? I dieci paesi del mondo in cui esiste hanno forse visto orde di gay e di lesbiche dipingere di rosa le statue de grandi? David Cameron che dice: “Sono a favore del matrimonio gay perché sono conservatore” (10 ottobre) è forse un cattivo britannico? Un cattivo conservatore? Un cattivo uomo? Barack Obama, che, nel suo discorso di elezione, ha dichiarato: “Che voi siate (...) gay o eterosessuali, potete realizzarvi in America” (7 novembre), vuole forse la distruzione della civiltà occidentale?
I politici francesi che fanno quelle dichiarazioni demagogiche, solleticano un elettorato che dovrebbero invece educare. François Mitterrand ha ottenuto il suo status di statista affermando, mentre era candidato alla presidenza e sapeva che la maggioranza dei francesi era contraria, che avrebbe chiesto l’abrogazione della pena di morte se fosse stato eletto. Nel caso del matrimonio gay, la maggioranza della popolazione lo approva.
I rappresentanti di tutte le religioni si sono uniti nella corsa all’insulto. Il 14 settembre, il cardinale di Lione associava il matrimonio gay alla poligamia e all’incesto. Il 3 novembre era l’arcivescovo di Parigi e cardinale che, in nome della democrazia partecipativa, approvava manifestazioni contro questo matrimonio che “distruggerebbe le basi della nostra società”. Lascio a ciascuno di voi qualificare come vuole un uomo che chiama democrazia partecipativa delle manifestazioni di piazza e invita a parteciparvi, mentre il papa viene eletto da 120 cardinali che non rendono assolutamente conto ad un miliardo di fedeli.
Non insisteremo sul silenzio non partecipativo del clero quando di trattava di impedire i torrenti di pedofilia che hanno portato quasi all’annientamento delle Chiese irlandesi e statunitensi, per non parlare solo dei paesi in cui gli scandali sono diventati pubblici. Usando in maniera molto dubbia la parola “lobby”, il cardinale e arcivescovo di Parigi sa di che cosa parla, poiché, in questo caso come in molti altri, la sua Chiesa fa “lobby” in maniera accanita. Sembrerebbe che per lui “lobby” sia un gruppo che difende interessi che non gli piacciono.
Il cardinale è stato preceduto, il 19 ottobre, da venticinque pagine scritte contro il matrimonio gay dal grande rabbino di Francia e seguìto, il 6 novembre, da una dichiarazione nello stesso senso fatta dal presidente del Consiglio francese del culto musulmano (CFCM). La collusione dell’odio è così patente che il Consiglio francese del culto musulmano, che non sapevamo essere così ecumenico, rinvia, sul suo sito, agli attacchi degli altri culti. La Federazione protestante di Francia assicura che il matrimonio gay “non è un regalo da fare alle generazioni future” in una petizione firmata anche dai ministri delle Chiese luterana, greca, anglicana e armena. Occupandosi di faccende di diritto civile che non le riguardano in considerazione della separazione di Chiesa e Stato, questi culti desidererebbero forse l’unione delle Chiese e dello Stato per un migliore ostracismo dei gay e delle lesbiche?
I media riproducono questi attacchi con una premura che sembra rasentare la compiacenza. Anche qui, attacchi quotidiani contro i gay e le lesbiche, e rarissime pubblicazioni di interventi che presentano il punto di vista opposto. Il 3 ottobre, Le Figaro ha pubblicato diverse pagine contro il matrimonio gay basate sui “psi” [ndr.: psicanalisti, psicologi, ecc.], di cui invita di solito a diffidare. Ogni giorno è tornato alla carica, pubblicando ad esempio un appello di sindaci che intenderebbero “scioperare” contro una legge che non è neppure ancora stata votata. Dov’è il rispetto della legalità giustamente sostenuto da un giornale conservatore?
Il 28 ottobre, Le Monde pubblicava l’intervista di un teologo cattolico membro del Comitato consultivo nazionale di etica, diretta contro i gay: “Gli omosessuali vogliono entrare nella norma sovvertendola”. Che l’autore di un’asserzione di tale disprezzo possa essere membro di un comitato di etica è motivo di stupore. Avrà senza dubbio dimenticato le pratiche dei primi cristiani che hanno sovvertito le istituzioni dell’Impero romano fino ad impadronirsene. Tutti questi insulti non avrebbero potuto essere espressi cinque anni fa. Gli indugi del governo e il rinvio della votazione della legge fanno sì che, fino al momento del voto, gli insulti continueranno. Abbiamo deciso di non sopportarli più pazientemente. Non firmiamo petizioni di professione.
Tra noi ci sono gay, lesbiche, eterosessuali. Alcuni di sinistra, altri di destra, alcuni cristiani, altri ebrei, altri agnostici. Indipendentemente dal loro orientamento sessuale, alcuni hanno figli. Alcuni sono celibi o nubili, altri sposati. Nessuno deve render conto a nessuno sul proprio modo di vivere. La maggior parte ha avuto genitori eterosessuali e, tra loro, alcuni hanno avuto un’infanzia infelice. Non accusano di questo l’eterosessualità. Alcuni hanno genitori omosessuali e hanno avuto un’infanzia felice. Non ne attribuiscono il merito all’omosessualità. Non abbiamo i pregiudizi dei nostri nemici.
I gay e le lesbiche rendono servizi alla Francia non meno di strani teologi o politici senza idee. I populisti omofobi si rendono conto che le loro diatribe facilitano il passaggio all’azione? Che, se delle persone, che si presuppone siano responsabili, parlano in maniera irresponsabile, la brutalità si sentirà giustificata? In tutto questo, il matrimonio è un pretesto. Una volta che sarà acquisito, l’omofobia non cesserà, ed è quella che bisogna criminalizzare. Se c’è qualcosa di pericoloso in una società è la lobby della stupidità e dell’odio.
*
Collettivo
Charles Dantzig, scrittore;
Dominique Fernandez, scrittore;
Christophe Honoré, regista;
Olivier Poivre d’Arvor, direttore di France Culture;
Ludivine Sagnier, attrice;
Danièle Sallenave, scrittrice
Altri sottoscrittori del testo:
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No ad una Chiesa che agisce come una lobby contro il matrimonio omosessuale!
di William Marx e Gilles Philippe*
in “Le Monde” del 7 novembre 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)
Poiché il cardinale André Vingt-Trois invita i fedeli cattolici a scrivere agli eletti per partecipare al dibattito sull’apertura del matrimonio alle coppie dello stesso sesso, noi abbiamo il dovere di metterli in allerta sulle vere intenzioni della Chiesa. Anche se infatti è legittimo che un’istituzione religiosa intervenga in questa discussione, bisognerebbe però sapere ciò che chiede veramente e chi rappresenta.
A voler credere ai vescovi, si tratterebbe solo di opporsi ad una deriva demagogica riguardante il solo matrimonio, ed ogni accusa di omofobia è rifiutata con indignazione: non si tratterebbe affatto di colpire i diritti esistenti degli omosessuali.
Ma ne siamo proprio certi? Se si vuole veramente sapere ciò che vogliono i vescovi, non bisogna concentrarsi sui loro appelli alle Scritture e ad una argomentazione di ordine antropologico non pertinente. La Bibbia è del tutto priva di autorità in una repubblica laica, e inoltre ignora totalmente l’amore omosessuale, conosce solo degli atti carnali che punisce con la morte. Se bisogna ispirarsi ad essa per condannare l’omosessualità, castighiamo anche chiunque “giaccia con una donna che ha le mestruazioni”, e facciamo della donna un semplice “aiuto” per l’uomo, come proclama la Genesi. Nelle Scritture non c’è alcun modello familiare valido per noi oggi. Quanto agli argomenti antropologici, la famiglia come la conosciamo esiste solo da due secoli al massimo, e la Chiesa l’ha messa al centro del suo messaggio da meno tempo ancora.
Per sapere ciò che i vescovi vogliono veramente, basta leggere ciò che hanno già scritto sull’argomento.
Non dimentichiamo che nel 1999 avevano dichiarato guerra al progetto di unione civile e avevano seguito strettamente una istruzione vaticana del 1992 che condannava l’omosessualità come “comportamento per il quale nessuno può rivendicare un qualsiasi diritto” né qualsiasi “legislazione civile” tale da proteggerla. Non dimentichiamo che nel 2003 questa condanna è stata ripetuta dalla Santa Sede.
“gruppo di oppressione”
Non dimentichiamo che l’istruzione del 1992, ancora in vigore, vuole proibire agli omosessuali di occupare posti di insegnante, di allenatore sportivo o di militare. Non dimentichiamo che nel 1991 il catechismo dei vescovi francesi ha dichiarato “malata” una società “che pretende di riconoscere l’omosessualità come una cosa normale”. Non dimentichiamo che nel 2005, in totale contraddizione con il precetto pastorale che distingue gli atti dalle persone, il Vaticano ha rifiutato il sacerdozio agli omosessuali, anche se vergini e casti.
Non dimentichiamo che nel 2008 lo stesso Vaticano è stato il solo Stato occidentale a non firmare la dichiarazione sottoposta all’ONU dalla Francia, che chiedeva “che i diritti umani fossero applicati allo stesso modo ad ogni essere umano, indipendentemente dall’orientamento sessuale o dell’identità di genere”.
Non dimentichiamo che nel 2011 i vescovi americani si sono levati contro la soppressione della regola che obbligava i militari a nascondere il loro orientamento omosessuale sotto pena di espulsione. Non dimentichiamo che in Camerun, dove l’omosessualità è ancora considerata un reato, l’episcopato continua con l’accordo tacito della Santa Sede ad opporsi alla sua depenalizzazione, nonostante i crimini e gli arresti sordidi di cui in quello Stato sono vittime gli omosessuali.
È forse il Camerun che i vescovi francesi vogliono proporre come modello legislativo al nostro paese? Purtroppo, tutto lo fa pensare: ecco gli annessi e connessi del dibattito richiesto dalla Chiesa. Nella migliore delle ipotesi, nel mondo ideale da lei sognato, gli omosessuali, condannati alla continenza, non si dichiarerebbero mai pubblicamente e vivrebbero nella più totale solitudine e nella menzogna più completa.
Certo, la maggior parte dei fedeli fa una lettura diversa del Vangelo e non seguiranno la gerarchia su questa strada. Poco importa alla Chiesa, tuttavia, poiché chiede un dibattito all’esterno, ma lo rifiuta all’interno: è un mese che chiediamo di incontrare il parroco della nostra gentile parrocchia parigina per discutere di questi temi - invano. Come se gli omosessuali non fossero fedeli degni di questo nome e come se la Chiesa, che nega loro ogni esistenza al suo interno, preferisse parlare di loro piuttosto che parlare loro direttamente.
Invece, invita i cattolici a scrivere ai loro eletti per esprimere la posizione della gerarchia. Ma questa democrazia da cui i vescovi vogliono trarre profitto, non la vogliono per loro stessi: non dimenticate che loro non vengono eletti. Allora, è legittimo accordare la minima importanza ad un simile “gruppo di oppressione”?
*William Marx è saggista, professore l’università Paris-Ouest-Nanterre-la Défense;
Gilles Philippe è linguista, professore all’università di Losanna
“Nella mia chiesa comunione anche ai gay”
il prete di strada sfida il vescovo di Firenze
di Maria Cristina Carratù (la Repubblica, 22 ottobre 2012)
Per loro è stato un gesto intimo e silenzioso, ma le gerarchie ecclesiastiche potrebbero prenderlo come una sfida inaccettabile. Si chiamano Ambra, Alice, Silvano, Luciano e Davide, Irene e Cristina, e si sentono «persone qualunque», dicono, anche se «per la Chiesa non lo siamo del tutto».
Per la Chiesa ufficiale, almeno, visto che alle Piagge, quartiere fiorentino di periferia dove l’unico punto di riferimento per tante vite difficili è il Centro sociale Il Pozzo di don Alessandro Santoro, sono di casa, come persone e come credenti. E ieri, nel prefabbricato che ogni domenica si trasforma in chiesa, quando don Santoro ha fatto girare il calice con le ostie consacrate, anche loro, gli «esclusi», hanno fatto la comunione, insieme a tutti gli altri. Offrendo una sponda «al prete che ci ha fatto riavvicinare alla Chiesa», dopo anni di lontananza obbligata in quanto credenti omosessuali, condizione che il magistero bolla come «oggettivamente disordinata» e tale da precludere l’accesso ai sacramenti, in primis l’eucaristia.
Da anni alle Piagge gli omosessuali vengono «accolti», come anche il magistero raccomanda, però qui partecipano ai corsi prematrimoniali per i fidanzati, e possono fare la comunione senza che nessuno pretenda «certificati di omosessualità» con cui escludere dal sacramento i gay dichiarati.
Il clima di ieri, però, dentro la baracca del Pozzo, era decisamente diverso, perché era la prima domenica da quando è stata resa pubblica la seconda delle due lettere su «Chiesa cattolica e omosessualità», dopo quella sullo stesso tema inviata in settembre da tre preti e da una suora fiorentini (don Fabio Masi, don Giacomo Stinghi, suor Stefania Baldini, e dallo stesso Santoro) all’arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori. Il quale, per singolare circostanza, è anche presidente della Commissione per il messaggio finale del Sinodo, dove dovranno trovare una qualche cittadinanza le aperture espresse nei giorni scorsi da alcuni vescovi sui divorziati risposati, anch’essi esclusi dai sacramenti.
Nella lettera, diffusa anche fra i parrocchiani e inviata a tutte le parrocchie di Firenze, i firmatari hanno annunciato di porsi in «obiezione di coscienza di fronte alle norme» del Catechismo della Chiesa sull’omosessualità (richiamate invece da Betori in risposta alla prima loro missiva) «per spingere tutti» hanno spiegato «a riconsiderare quella realtà allargando la riflessione». E ricorrendo a un termine che suona come una sfida al «si faccia purché non si dica» tollerato dalle autorità ecclesiastiche, pronte a scendere in campo quando la trasgressione diventa aperta e pubblica.
Come è avvenuto ieri alle Piagge, con grande soddisfazione di Luciano Tanganelli e Davide Speranza, 50 e 32 anni, sposati civilmente a New York e padri di due gemelli, o Cristina Ciulli e Irene Panzani che è incinta di sei mesi, sposate anche loro all’estero, «tornate in chiesa dopo anni di lontananza grazie a Santoro che ci ha accolto senza se e senza ma», o di Ambra Colacione, studentessa 21enne: «Dopo aver vissuto da piccola una fede convinta, dai 15 anni, quando mi sono dichiarata, ho sentito solo condanna» spiega, «ora finalmente faccio di nuovo la comunione, con uno spirito diverso», di Silvano Santi, anche lui studente, che pone «il nostro problema in un quadro più generale, che riguarda il modo in cui la Chiesa è Chiesa».
Di obiezione di coscienza non si parlava ancora nella prima lettera all’arcivescovo, in cui i tre preti e la suora, citando molti passi biblici, sottolineavano come la Scrittura «offra una cornice più alta» della sola condanna (presa invece a riferimento dal Catechismo) «in cui porre anche questo aspetto della vita», cioè l’omosessualità. E che il «cammino della scienza», la «nuova sensibilità dei credenti» e «l’evoluzione della visione antropologica cristiana» impongono ormai alla Chiesa «di non considerare verità assolute quelle che poi, come è accaduto in passato, dovrà riconoscere come errore».
All’appello al dialogo, Betori aveva replicato non direttamente ai firmatari, come loro chiedevano, ma durante una riunione del clero, ammonendo che «le iniziative personali che si distaccano dalla disciplina della Chiesa universale generano solo confusioni, e fanno oggettivamente male alle persone», e che «la fede, la morale, la disciplina sono patrimonio della Chiesa e non possono essere aggiustate a nostro arbitrio».
Da qui la seconda lettera, e, ieri, «il caso Piagge», di fronte a cui è probabile che le autorità ecclesiastiche non stiano più solo a guardare
’Sacramenti ai gay, pronti all’obiezione di coscienza’
di Maria Cristina Carratù (la Repubblica, 16 ottobre 2012)
«Obiezione di coscienza». È la parola-chiave della nuova lettera - la seconda - inviata la scorsa settimana all’arcivescovo Giuseppe Betori dai tre preti e dalla suora che già ai primi di settembre avevano sollevato, in un testo indirizzato alla massima autorità ecclesiastica fiorentina, la questione dell’accesso degli omosessuali ai sacramenti, in particolare l’eucaristia, sempre negato dalla Chiesa. Una lettera a cui Betori non ha risposto direttamente, come i firmatari avevano chiesto, ma all’ interno del suo discorso al clero all’ eremo di Lecceto, e, riferendosi anche al Catechismo, ribadendo il deciso no della Chiesa ad una apertura.
E adesso, in una seconda lettera all’arcivescovo, don Fabio Masi, don Giacomo Stinghi, don Alessandro Santoro e suor Stefania Baldini tornano sull’argomento con accenti ancora più decisi. Dopo aver chiesto inutilmente la pubblicazione in anteprima del testo («per rispetto dell’ arcivescovo») sul settimanale diocesano Toscanaoggi, hanno deciso di inviare per posta sia la prima, che la seconda lettera, che la risposta di Betori, a tutti i preti e agli oltre 200 consigli pastorali delle parrocchie fiorentine.
La prima volta, Masi, Stinghi, Santoro e Baldini avevano centrato il loro intervento sulla necessità che la Chiesa accettasse di storicizzare e contestualizzare la posizione della Bibbia sull’omosessualità. Lo avevano fatto tenendo conto delle nuove visioni sul tema, anche scientifiche, e soprattutto avevano dichiarato che nelle loro comunità gli omosessuali sono già ammessi alla comunione, nella nuova lettera parlano esplicitamente di «obiezione di coscienza»: non come «disprezzo delle regole», spiegano, ma come «amore e riconoscimento sofferto della comunità di cui uno è parte, aperto anche ad accettare le conseguenze della posizione che ha preso».
Perché, si chiedono i preti e la suora, «in altri campi i capi della Chiesa la onorano e la consigliano, e qualcuno dice addirittura che è la forma più alta di amore e di rispetto della legge», e in questo caso no? «La Chiesa di Firenze, anni addietro», si ricorda, «ha avuto modo di approfondire il senso dell’obiezione di coscienza, e noi siamo figli di quel periodo».
Nella lettera si fa riferimento anche alle parole pronunciate dall’ arcivescovo a Lecceto («L’attenzione alle condizioni delle persone» aveva detto Betori «non può mai portare a un travisamento della verità», la quale deriva dalla «visione antropologica proposta dalla rivelazione», e non lascia spazio a troppi distinguo: «Proprio il bene delle persone richiede sì accoglienza, ma prima di tutto il dono della verità senza confusioni»), per sostenere che «nel cammino della Chiesa non c’è stata una ’visione antropologica’ definita compatta, immutata e immutabile», ma «per grazia di Dio» la visione espressa in certe epoche del passato «si è evoluta ed è cresciuta».
I quattro ne sono convinti: «Noi parlando non rivendichiamo un diritto, ma esercitiamo un dovere: è la Chiesa che ha diritto di conoscere la nostra esperienza». La sfida è aperta, la parola torna all’arcivescovo
La terapia del cuore
di Natalia Aspesi (la Repubblica, 12.10.12)
Come poeta (La confusione è precisa in amore, nottetempo) cita Robert Frost, Un poema è l’arresto del disordine. Come psicoanalista (La personalità e i suoi disturbi, Il Saggiatore) cita film come Spider di David Cronenberg per illustrare ai suoi studenti la schizofrenia. Come autore di Citizen gay (Il Saggiatore), il saggio che viene ripubblicato alla fine di ottobre, cita Michel Foucault: “Se si vedono due omosessuali, o meglio due ragazzi che se ne vanno insieme a dormire nello stesso letto, in fondo si tollera, ma se la mattina dopo si svegliano col sorriso sulle labbra, si tengono per mano, si abbracciano teneramente e affermano così la loro felicità, questo non glielo si perdona”.
Vittorio Lingiardi, 52 anni molto eleganti, medico psichiatra e psicoanalista, direttore della Scuola di specializzazione in Psicologia Clinica alla Sapienza, darà una delle dieci “Lezioni d’amore” (ideate da Ginevra Bompiani e David Riondino), iniziate il 27 settembre al Teatro Tor di Nona.
«La mia lezione, dedicata all’amore platonico, sarà il 7 novembre e partendo dal Simposio tratterà il tema dell’omoerotismo. Si sa che nel Simposio è una donna-sacerdotessa, Diotima, a dare a Socrate lezioni d’amore, e io userò questo espediente narrativo per riflettere sui sentimenti di amicizia, e talvolta d’amore, che spesso uniscono donne eterosessuali e uomini anche apertamente gay. Una storia affascinante che ha per protagonisti per esempio, Maria Callas e Pier Paolo Pasolini, Dora Carrington e Lytton Strachey, Ingeborg Bachmann e Hans Werner Henze, Patti Smith e Robert Mapplethorpe.
«Strane coppie, di cui il cinema racconta spesso il legame di amicizia profonda e solidale, che può anche avere risvolti romantici se non addirittura sessuali, e portare pure al matrimonio, al diventare genitori, oltre la barriera delle preferenze sessuali.
«Penso al sadomasochismo di tenebra di Riflessi in un occhio d’oro tra Liz Taylor e Marlon Brando, ed era il 1967, quando l’omosessualità non veniva rappresentata apertamente, al triangolo di tormenti di Domenica maledetta domenica, 1971, tra Glenda Jackson, Peter Finch e Murray Head, all’amicizia travolgente e un po’ frivola tra Ruzienti pert Everett e Julia Roberts in Il matrimonio del mio migliore amico, del 1997. Queste coppie, poco studiate dalla psicanalisi, oggi sono popolari anche nelle fiction televisive, come “Commesse”, “Il bello delle donne”, “Girls who likes boys who likes boys”. Come scrive John Ramster nel romanzo Un uomo per amica, “Un uomo gay, single, non misogino, con un quoziente di intelligenza superiore a 95, trascorre la maggior parte del tempo con donne etero”. La strana coppia aiuta a riflettere su identità e sessualità che non seguono la regola patriarcale, e mette in crisi i ruoli di genere tradizionali, il noto binarismo maschile/femminile, attivo passivo, contribuendo a raccontare le infinite pluralità della femminilità e della mascolinità».
La relazione paziente-terapeuta, la necessaria costruzione di un’alleanza e di un legame tra di loro, può avere i tempi e modi di un innamoramento?
«Come tutte le relazioni a due, anche questa può sfiorare modi e ritmi del di- scorso amoroso. Freud parlava di “forze assolutamente esplosive” alle quali dobbiamo “prestare un’attenzione scrupolosa, come un chimico”. Sono forze che possono esprimere sentimenti affettuosi ma anche affetti erotizzati che, se riconosciuti e non “agiti”, aiutano a capire anche bisogni e desideri attuali del paziente. La psicoanalisi è in parte nata sull’amore di pazienti donne per i loro analisti, come racconta A dangerous method di Cronenberg ».
Perché è proibito l’amore tra psicoterapeuta e paziente?
«Sarebbe un tradimento della psicoanalisi, l’azione che prende il posto dell’analisi dei sentimenti e delle loro ragioni. La stanza della terapia è un laboratorio per comprendere se stessi e la propria storia, non per vivere una vita parallela, alternativa a quella che non si riesce a vivere fuori dall’analisi. L’analista non deve “amare” il o la paziente, ma capire con lui o lei di che cosa parla quando parla d’amore. La psicoanalisi è una “professione impossibile” che deve saper tenere insieme intimità e astinenza: se una di queste posizioni viene tradita, non siamo più nel campo dell’analisi».
Se durante la terapia il paziente si innamora (non del terapeuta, ovvio), è un bene o un male?
«Un obiettivo del lavoro analitico è “imparare ad amare”. Spesso è “imparare a lasciarsi amare” cosa forse più difficile. Si potrebbe dire che uno dei compiti dell’analisi è accogliere un amore prigioniero del passato per trasformarlo nell’amore per una nuova relazione».
Cosa è la “terapia riparativa”?
«E’ una brutta espressione che descrive il lavoro di sedicenti terapeuti che vogliono “riparare” qualcosa che non è né rotto né sbagliato, il paziente o la paziente omosessuale, per farlo diventare eterosessuale. Si tratta di interventi basati su pregiudizi morali o religiosi che non hanno nulla di scientifico e che partono dalla convinzione che l’omosessualità sia una patologia da curare, mentre, come la definisce l’Organizzazione Mondiale della Sanità, è “una variante naturale del comportamento umano”. Tutte le associazioni scientifiche ne condannano la pratica che oltre a rivelarsi molto dannosa per la salute psicologica del paziente, non ha alcuna possibilità di successo. Il sito noriparative. it raccoglie le firme di migliaia di studiosi».
Alla sua formazione scientifica, fa orrore la cosiddetta “posta del cuore”?
«Leggo con curiosità la posta del cuore proprio perché psicoanalista. L’analista deve stare nella stanza di analisi, sapendo che la pratica si svolge lì e solo lì. Ma, come dice James Hillman, deve saper tenere una finestra sempre aperta sul mondo, stare in dialogo tra interno ed esterno. E poi si sa, il discorso amoroso è fatto di frammenti, e li possiamo trovare e decifrare ovunque. Anche nella posta del cuore o in una canzone di Mina».
Non pensa che si parli troppo d’amore?
«Forse sì. L’amore, che spesso ama il silenzio, sembra sempre più protagonista, forse sostituisce la povertà della politica di oggi. Ma pensandoci meglio, credo che il discorso che ora ci appassiona, al cinema come in psicoana-lisi, è un discorso amoroso e politico al tempo stesso. Basta pensare alla centralità che ha il tema dei diritti affettivi di gay e lesbiche, come coppia e come genitori. Quindi è su un tema “amoroso” che si gioca una grande partita politica e forse anche molte elezioni, e gli Stati Uniti lo dimostrano. Per dirla con la filosofa Martha Nussbaum, è il passaggio dalla politica del disgusto a quella dell’umanità».
Sempre accogliere, mai escludere...
di Raymond Gravel
in “www.lesreflexionsderaymondgravel.org” del 27 settembre 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)
26a domenica del Tempo Ordinario - Anno B
Domenica scorsa eravamo invitati ad accogliere il piccolo, il debole, il povero, il bambino, e a farci servitori di tutti. Oggi, siamo invitati a non escludere colui o colei che vive il vangelo in maniera diversa e che non fa parte del nostro gruppo, della nostra Chiesa. Non possiamo più riservare Dio ad alcuni, a degli eletti, a delle élite. Non possiamo più fissare Dio in una religione, in un gruppo, in un sacerdozio, in una Chiesa. Non possiamo più arricchirci mentre ci sono poveri nella miseria. Quando si va verso Dio, verso la sua Parola, quando si aderisce all’insegnamento del Cristo del vangelo, lo Spirito crea cose nuove, crea la novità, e nulla e nessuno può impedirglielo.
Il vangelo di questa domenica ci dice tre cose:
1. Nessuno è proprietario di Dio o di Cristo: “Giovanni, uno dei Dodici (quindi un apostolo, un vescovo, un dirigente, un responsabile della Chiesa), disse a Gesù: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva” (Mc 9,38). L’evangelista non dice: ’perché non ti seguiva’, ma ’perché non ci seguiva’. Che pretesa! Non è più la fede in Cristo che conta: è la fede agli apostoli che Giovanni rivendica. Una parola così si attualizza facilmente oggi. Le gerarchie ecclesiastiche del primo secolo assomigliano stranamente agli apostoli di oggi e ai responsabili della nostra Chiesa.
Quando, dall’alto della nostra statura, diciamo che il mondo si sta perdendo, perché ha abbandonato l’istituzione Chiesa, ci appropriamo di Dio come se ci appartenesse. E tuttavia, le nostre società dette laiche che si ispirano ai valori cristiani di apertura, di accoglienza, di rispetto, di dignità, di uguaglianza, di tolleranza, di giustizia, sono più vicine a Dio e alla sua Parola di quanto lo siamo noi stessi. Personalmente, quando sento certi capi della Chiesa condannare le persone che difendono gli omosessuali, i divorziati-risposati, le donne che hanno subìto un aborto, le persone umiliate dalla vita, mi dico: ma per chi si prendono? Assomigliano stranamente agli apostoli del vangelo che vogliono impedire alle persone di agire in nome di Cristo.
Purtroppo, per troppo tempo, nella Chiesa si è deciso “per” Dio, al posto di Dio, imponendo ai credenti dottrine, principi, regolamenti che hanno favorito molto di più l’ingiustizia, l’esclusione, l’intolleranza, la disuguaglianza... Mettendo la dottrina prima del vangelo, abbiamo perso le basi stesse della nostra fede cristiana, che deve esprimersi attraverso il rispetto dell’altro, l’accoglienza incondizionata, la giustizia, l’uguaglianza, l’apertura, la tolleranza, il perdono, la misericordia, l’amore gratuito, la dignità di tutti, la fiducia e la speranza.
Il vangelo deve venire prima di tutte le dottrine; se no, non è più il vangelo. È Cristo che dobbiamo seguire e non gli apostoli. Gli apostoli devono condurci a Cristo. E se la dottrina crea degli esclusi, bisogna abolirla, modificarla, adattarla.
Già nell’Antico Testamento si sapeva che Dio non appartiene a nessuno. Nel brano del libro dei Numeri che leggiamo oggi, Mosè trova il proprio incarico troppo pesante, tanto più che il popolo si lamentava in continuazione. Mosè forma allora un consiglio di saggi, 70 persone, che sono invitate nella Tenda dell’Incontro, il tempio, la Chiesa del suo tempo, per una celebrazione della Confermazione in cui la Spirito di Dio sarà dato loro, affinché diventino profeti e possano condividere il compito di Mosè. Ma ecco che due dei settanta non si recano alla celebrazione. Sono Eldad e Medad, restano a casa loro.
Ma l’autore del libro dei Numeri ci dice che anche loro hanno ricevuto lo Spirito di Dio, benché non fossero presenti alla celebrazione della Confermazione. Allora Giosuè, il servo di Mosè, interviene: “Mosè, mio signore, impediscili!” (Nm 11,28). Come se Dio non potesse dare il suo Spirito senza l’autorità di Mosè. Conosciamo la risposta di Mosè: “Sei tu geloso per me? Volesse il Signore porre su di loro il suo spirito per far sì che fossero tutti profeti nel suo popolo!” (Nm 11,29).
2. Lavorare per Cristo, significa seguirlo. La risposta di Gesù all’apostolo Giovanni: alla persona che lavora per me “non impediteglielo, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome, e subito possa, parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi” (Mc 9,39-40). La risposta di Cristo alla Chiesa di oggi è la stessa che ha dato a Giovanni: la famiglia formata da persone provenienti da precedenti separazioni, la coppia divorziata risposata che educa i figli di entrambi, secondo i valori evangelici, lavorano per Cristo; sono Chiesa anche loro. L’omosessuale che si impegna in nome della sua fede cristiana a rendere il mondo più giusto e più fraterno, lavora per Cristo; anche lui è Chiesa. Il prete che vive una relazione d’amore e che svolge bene il suo ministero, lavora per Cristo; anche lui è Chiesa. Le donne che sono state ordinate prete su una barca e che sono a servizio delle loro comunità cristiane, lavorano per Cristo; anche loro sono Chiesa. Allora, perché escludere quelle persone, con il pretesto che non seguono le regole che ci siamo dati. Non sono le regole la cosa importante... L’essenziale, è seguire Cristo.
Può anche capitare che quelle persone siano più profeti di coloro che lo sono ufficialmente, secondo le regole dell’istituzione. È la prima lettura a dircelo. L’autore del libro dei Numeri precisa, parlando delle 68 persone che si sono recate alla celebrazione per essere confermate: “Quando lo Spirito si fu posato su di loro, quelli profetizzarono, ma non lo fecero più in seguito” (Nm 11,25b). In fondo, non è perché hanno seguito delle regole e risposto ai criteri di selezione, che diventano automaticamente profeti. È dalle loro azioni che si riconoscono i veri profeti. È vero anche oggi. Ci sono coppie di persone provenienti da precedenti unioni che sono segni d’amore, più di quanto non lo siano delle coppie sposate, che sono ancora insieme ma che non si amano. Allo stesso modo, ci sono persone che si impegnano sul piano sociale e che sono più cristiani di molte altre che vanno in chiesa tutte le domeniche. Ricordo alcune dichiarazioni dei giudici della Corte Suprema del Canada quando hanno espresso la loro decisione riguardo al matrimonio omosessuale... Le loro dichiarazioni erano molto più vicine al vangelo di quelle che venivano dal Vaticano. È incredibile. Ma è la realtà!
3. Avvertimento per i capi della Chiesa. L’evangelista Marco mette in guardia colui che rifiuta, condanna, esclude un piccolo, un povero, una persona umiliata dalla vita. Questo avvertimento riguarda innanzitutto i capi della Chiesa poiché sono solo loro che possono rifiutare, condannare ed escludere i piccoli; i comuni cristiani non hanno quel potere: “Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare” (Mc 9,42). È dura come sentenza! È la maniera forte degli Hells Angels. Se la si applicasse oggi, penso che saremmo sorpresi di vedere certe persone in fondo all’oceano. E a questo punto Marco menziona tre membra che possono servirci a compiere la nostra missione o che possono nuocere e impedirci di assumerla: la mano, il piede e l’occhio...
La mano: può servire per condividere o per tenere per sé Il piede: può servire per andare verso gli altri o per fermarsi e non andare più avanti L’occhio: può servire per vedere l’altro, aprirsi alla sua realtà, accoglierlo e comunicare con lui, oppure per chiudersi nei confronti dell’altro, per giudicarlo, per condannarlo, per escluderlo. Ciò che Marco ci dice, in fondo, è che se queste membra non ci aiutano a compiere la nostra missione, sarebbe meglio perderle per non perdere noi stessi.
Concludendo, una parola sulla seconda lettura di oggi, la lettera di Giacomo, in cui l’autore ci dice di fare attenzione alla ricchezza: anch’essa ci può chiudere su noi stessi, impedirci di condividere, renderci ingiusti verso gli altri e renderci indifferenti alla miseria e al bisogno degli altri: “Dei lavoratori hanno mietuto sulle vostre terre e voi non li avete pagati; il loro salario grida vendetta, e le proteste dei mietitori sono arrivate alle orecchie del Signore onnipotente” (Gc 5,4). “Avete vissuto sulla terra in mezzo a piaceri e delizie, e vi siete ingrassati per il giorno della strage” (Gc 5,5). “Avete condannato il giusto e lo avete ucciso, ed egli non vi ha opposto resistenza” (Gc 5,6).
E per finire, vorrei condividere con voi la riflessione dell’esegeta francese Jean Debruynne: “Immediatamente, il gruppo degli Apostoli, per bocca di Giovanni, reclama la superiorità esclusiva di Gesù. Vogliono l’esclusività dei diritti d’autore sui fatti e sui gesti di Gesù. Pretendono di essere i soli a poter dare il passaporto, la carta d’identità cristiana. Gesù, al contrario, annuncia loro il superamento del possesso. Voler pretendere di rinchiudere il Vangelo, significa voler impedirgli di essere vangelo. Lo Spirito di Dio è libero. Nessuno potrà obbligarlo a seguire la via gerarchica. La preoccupazione degli Apostoli è di escludere. Quella di Gesù è di chiamare e di aprire”.
di don Fabio Masi, don Alessandro Santoro, don Giacomo Stinghi, suor Stefania Baldini *
“Due persone che si amano non sono uno scandalo”
"Il numero di ‘Toscana Oggi’ del 24 Giugno 2012 dedicava largo spazio all’argomento dell’omosessualità e delle coppie di fatto eterosessuali, con alcuni articoli del giornale e diverse lettere al Direttore, queste ultime critiche nei riguardi della posizione ufficiale della Chiesa sull’argomento.
Ci sembra che gli articoli del Settimanale diocesano non facciano che ripetere sull’omosessualità le norme ecclesiastiche di sempre, senza approfondire l’argomento che negli ultimi anni si è notevolmente sviluppato e chiarito e che ha ancora bisogno di ricerca.
Il nostro intervento vuole dare testimonianza della diversità di posizioni che ci sono oggi di fronte a questo tema, nella riflessione laica e anche nelle Chiese. Noi, e insieme a noi anche teologi, vescovi e laici cristiani, non ci riconosciamo in quell’analisi che traspare dagli articoli di ‘Toscana Oggi’. Quello che ha portato ad un cambiamento radicale nella comprensione dell’omosessualità è stato un tragitto importante. Nel passato l’omosessualità era considerata un ‘vizio’ praticato da persone ‘etero’ in cerca di piaceri alternativi, e come tale condannata. Ma allora si parlava di ‘comportamenti omosessuali’; soltanto nel secolo scorso si è cominciato a parlare di ‘condizione omosessuale’ e non solo di ‘atti’, inducendo alcuni ad ipotizzare che l’omosessualità fosse da considerare non un vizio ma una ‘malattia’.
In questi ultimi anni è maturato un modo di comprendere l’omosessualità radicalmente diverso, che ormai, con varie sfaccettature, è accettato da quasi tutti. Si parla dell’omosessualità come di un elemento pervasivo della persona che la caratterizza nella sua profonda identità e le fa vivere la sessualità in modo ‘altro’.
E’ importante che la Chiesa riconosca positivamente il cammino della scienza nella conoscenza dell’uomo e non dichiari verità assolute quelle che poi dovrà riconoscere errate, come è accaduto in passato. Questi fatti ci inducono a vedere l’omosessualità in un orizzonte nuovo e ad affrontarla con uno sguardo morale diverso. Su questo tema la Bibbia non dice né poteva dire nulla, semplicemente perché non lo conosceva, così come non dice nulla sull’ecologia e sull’uso della bomba atomica. Comunque nella cultura biblica, come in tutta l’antichità, è totalmente assente l’idea di ‘persona omosessuale’, si parla solo di ‘comportamenti’ e non di ‘condizione omosessuale’, ed è chiaro che vengono condannati non solo perché infecondi, ma anche in quanto legati alla violenza o alla prostituzione sacra.
A questo riguardo sono opportune alcune precisazioni sulla Sacra Scrittura spesso citata per stigmatizzare il rapporto omosessuale. Nel Nuovo Testamento solo Paolo chiama ‘contro natura’ il rapporto omosessuale (Romani 1, 26-27) ma bisogna tener presente che egli si riferisce, più che all’aspetto fisico, al fatto che l’omosessualità minava l’ordine sociale di allora, quando era la donna, per natura, a dover essere ‘sottomessa’ all’uomo. Fra l’altro è cambiata anche la nostra comprensione del concetto di ‘natura’: l’idea di ‘natura’ come realtà già conclusa non corrisponde più al modo di sentire odierno.
Ormai è anche abbastanza chiaro che quegli episodi dell’Antico Testamento su cui ancora si basa la condanna dell’omosessualità hanno un altro significato: negli episodi di Sodoma (Genesi 19) e di quello simile di Gabaa (Giudici 19) il crimine non sta tanto nell’omosessualità, quanto nella violenza e nella volontà di umiliare e rifiutare lo straniero.
Nell’Antico Testamento invece ci sono segnali molto importanti e molto belli, non esplicitamente riferiti all’omosessualità, ma piuttosto al cammino di maturazione che il popolo ebraico compie rispetto all’emarginazione di gruppi e di persone. La Bibbia ci offre così una cornice più larga in cui porre anche questo aspetto della vita.
Dio ‘sceglie’ il popolo ebraico perché sia segno, in mezzo agli altri popoli, della sua volontà di giustizia che vuole salve tutte le creature. Poi Israele, con l’illusione di essere sempre più all’altezza della missione che Dio gli ha dato, al suo interno opera altre ‘scelte’ emarginando gruppi considerati ‘impuri’. Nel Deuteronomio, per esempio, (23, 2-9) si elencano le categorie escluse dall’Assemblea del culto: gli eunuchi, i bastardi e i forestieri. Ma il cammino verso i tempi messianici è un cammino verso l’inclusione, perché i tempi messianici sono per tutti, come si legge nel Terzo Isaia (56,1.3-5): Osservate il diritto e praticate la giustizia..... Non dica lo straniero che ha aderito al Signore: «Certo mi escluderà il Signore dal suo popolo!» Non dica l’eunuco: «Non sono che un albero secco!». Perché così dice il Signore: “Agli eunuchi, che osservano i miei sabati, si comportano come piace a me e restan fermi nella mia alleanza, io darò un posto nel mio Tempio per il loro nome. Questo sarà meglio che avere figli e figlie perché io renderò eterno il loro nome. Nulla potrà cancellarlo”.
Questo capovolgimento di Isaia è una pietra miliare! Non ha alcun valore davanti a Dio lo stato oggettivo di natura o di cultura in cui uno si trova: uomo, donna, omosessuale, eterosessuale, bastardo, straniero, genio o di modesta intelligenza; ciò che conta è osservare il diritto e praticare la giustizia, ciò che conta è amare il Signore e i fratelli.
Non vogliamo dire che Isaia in questo passo alludesse agli omosessuali, non poteva per i motivi che abbiamo detto prima. Ma noi non dovremmo vedere l’omosessualità in questa luce? Compito della Chiesa è allargare le braccia, includere e non emarginare, amare le persone piuttosto che salvare i principî. Ha detto il Maestro: “Il Sabato è stato fatto per l’uomo, non l’uomo per il Sabato”. (Marco 2,27)
Di questo cambiamento hanno preso atto anche i Capi della Chiesa cattolica che più volte hanno dichiarato di non condannare gli omosessuali ma l’omosessualità, e questo per loro è un passo in avanti. In realtà non se ne capisce il significato! sarebbe, come dire ad uno zoppo: "Non abbiamo nulla contro il tuo ’essere zoppo’, basta che tu cammini diritto o che tu stia a sedere!"
A proposito dell’essere sterili o fecondi, Gesù ha detto che è il cuore che deve essere fecondo e Paolo dirà che si entra nel popolo di Dio per fede, non per diritto ereditario. Ma allora chi può onestamente definirsi fecondo? Chi può farsi giudice della fecondità altrui o della propria? La sterilità ci può colpire tutti.
Questo modo di accogliere profondamente la vita di ogni essere umano lo abbiamo imparato dalla Chiesa! Per i discepoli di Gesù non si tratta tanto di difendere principî, di custodirli rigorosamente come gli angeli con la spada di fuoco davanti all’albero della vita, ma di ‘scrutare’ la vita delle donne e degli uomini del nostro tempo, per farla progredire verso la pienezza. Si tratta di esser fedeli non ad un Dio noto e posseduto, ma ad un Dio ‘che viene’. Ha detto Gesù: “Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete valutarlo?” (Luca 12, 56)
A noi sembra che proprio dalla Chiesa dovrebbe arrivare un riconoscimento del modo nuovo di comprendere l’omosessualità, con un segno di accoglienza e di profondo rispetto per i sentimenti di amore di chi vive personalmente questa condizione. Due persone che si amano non sono un attentato alla società né il tradimento del Vangelo. Gli scandali vanno cercati altrove! Rifacendosi da una parte a queste fonti bibliche e dall’altra all’esperienza umana che viviamo ogni giorno con queste persone, sentiamo evangelico e naturale accogliere in pienezza di comunione queste differenti forme di amore. Le sentiamo parte integrante del nostro cammino di comunità di fede e di vita, e con loro, così come con tutti gli altri, partecipiamo insieme alla Comunione sacramentale e comunitaria.
Il Libro della Sapienza (11, 24-26) ci offre un tratto stupendo del Creatore, che dovrebbe essere ‘luce sul nostro cammino’: “Tu, Signore, ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure creata. Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi? O conservarsi se tu non l’avessi chiamata all’esistenza? Tu risparmi tutte le cose, perché tutte son tue, Signore, amante della vita”."
La Chiesa, Martini e i gay
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 24 marzo 2012)
Nell’arco di neanche un mese tre colpi di maglio sono calati sulla pretesa della Chiesa di bloccare in Italia una legge sulle coppie di fatto. Prima c’è stato il clamoroso funerale di Lucio Dalla a Bologna: celebrato in cattedrale con tutti i crismi, permettendo al compagno omosessuale del defunto omosessuale di commemorarlo a pochi passi dall’altare.
Poi, il 15 marzo, è venuta la sentenza della Corte di Cassazione, che pur respingendo la trascrizione in Italia di un matrimonio omosessuale celebrato all’estero, ha sancito per la coppia gay, in presenza di specifiche situazioni, il diritto a un “trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata”.
ORA SI FA sentire direttamente dall’interno della Chiesa il cardinale Martini, affermando che non ha senso demonizzare le coppie omosex e impedire loro di stringere un patto. Con la pacatezza che lo contraddistingue l’ex arcivescovo di Milano sfida, dunque, quella “dottrina Ratzinger” che consisterebbe nell’obbligo dei politici cattolici di uniformarsi ai “principi non negoziabili” proclamati dalla cattedra vaticana, impedendo il varo di una legislazione sulle unioni civili e meno che mai sulle unioni gay.
Da molti anni Carlo Maria Martini esercita la sua notevole libertà di giudizio, esortando con mitezza la Chiesa a non scambiare il nocciolo della fede con la fossilizzazione di posizioni non sostenibili per il sentire contemporaneo. Vale anche per la posizione da adottare nei confronti dei rapporti omosessuali, dove l’istituzione ecclesiastica è ferma da anni in mezzo al guado. Perché quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede Joseph Ratzinger aveva emanato documenti per esortare al rispetto delle persone omosessuali e ripudiare ogni tipo di discriminazione, irrisione e persecuzione. Ma al tempo stesso aveva ribadito che la pratica omosessuale rappresenta una grave offesa all’ordine morale: di qui la condanna senza appello delle relazioni uomo-uomo oppure donna-donna. Con la conseguenza di sabotare in Italia i tentativi dell’ultimo governo Prodi di approvare una legge sulle coppie di fatto.
Nel libro Credere e conoscere (ed. Einaudi), dove dialoga con il chirurgo cattolico Ignazio Marino esponente del Pd, il cardinale Martini afferma invece che vi sono casi in cui “la buona fede, le esperienze vissute, le abitudini contratte, l’inconscio e probabilmente anche una certa inclinazione nativa possono spingere a scegliere per sé un tipo di vita con un partner dello stesso sesso”. Nel mondo attuale, sostiene il porporato, questo comportamento non può venire “né demonizzato né ostracizzato”. E perciò Martini si dichiara “pronto ad ammettere il valore di un’amicizia duratura e fedele tra due persone dello stesso sesso”.
L’EX ARCIVESCOVO di Milano, peraltro, sottolinea il significato profondo del fatto che Dio ha creato l’uomo e la donna e quindi il valore primario del matrimonio eterosessuale e aggiunge anche di non ritenere un “modello” l’unione di coppia dello stesso sesso. E tuttavia, attento ai bisogni delle persone nella loro umanità, il cardinale afferma che se due partner dello stesso sesso “ambiscono a firmare un patto per dare una certa stabilità alla loro coppia, perché vogliamo assolutamente che non sia?”. Le motivazioni del matrimonio tradizionale, spiega, sono talmente forti che non hanno bisogno di essere puntellate con mezzi straordinari.
D’altronde molti nella Chiesa, vescovi e parroci, la pensano come lui. Anche se non parlano. Nel 2008 la rivista dei gesuiti milanesi Aggiornamenti sociali pubblicò uno studio per dire che - ferma restando la dottrina - dal punto di vista del bene sociale era positivo dare la possibilità alle coppie gay di avere una relazione stabile regolamentata dal diritto. E quindi era giusto legiferare in materia.I VERTICI ecclesiastici, sulla questione, chiudono occhi e orecchie.
Eppure è un segnale che alla televisione, intervenendo a Otto e mezzo, il leader cattolico Pier Ferdinando Casini si sia detto pubblicamente d’accordo con la sentenza della Cassazione, rimarcando che le “coppie omosessuali hanno diritto alla loro affettività e a essere tutelati nei loro diritti”. Casini ha fatto un esempio concreto: “Se convivo da trent’anni con una persona, in tema di asse ereditario bisogna essere sensibile a quella persona che ha convissuto con me”. È uno dei motivi per cui una legge è necessaria. Ed è bene che in parlamento si torni a parlare di alcune proposte di legge sin qui congelate.
L’esercito Usa ha il suo primo generale gay *
L’esercito americano ha il suo primo generale gay. Con una cerimonia al cimitero nazionale di Arlington in Virginia, la colonnella Tammy Smith e’ stata promossa a generale di brigata. A porle la stelletta sull’uniforme la consorte Tracey Hepner.
La promozione di Smith, al momento l’omosessuale dichiarata di grado piu’ alto a servire nell’esercito, e’ arrivata a meno di un anno dall’abolizione del ’don’t ask, don’t tell’, la politica che impediva ai militari di dichiararsi apertamente gay. Hepner e Smith si sono sposate lo scorso anno a Washington D.C., prima si erano frequentate per nove anni.
Dopo l’abolizione del ’don’t ask, don’t tell’, il ministro della Difesa Leon Panetta con un video su YouTube ha ufficialmente ringraziato i militari gay per il servizio svolto. Lo scorso giugno, il Pentagono ha ospitato il suo primo Gay Pride mentre a luglio ha consentito a tutti i militari gay di sfilare in uniforme alla parata del Gay Pride a San Diego in California.
Unioni civili, si riparte dal voto di Milano
di Jolanda Bufalini (l’Unità, 28 luglio 2012)
Una maratona di 11 ore e mezzo per far rientrare Milano nell’alveo più proprio della sua cultura laica, pragmatica, riformista, inclusiva, «un provvedimento amministrativo di buon senso, degno di una capitale europea», dice Paola Concia. Milano non è la prima città ad istituire il registro delle unioni civili, con il suo carico di valenza simbolica e di accesso ai servizi comunali. Sono una ottantina le città che l’hanno preceduta e, fra queste, Torino, Genova. A Napoli, ieri quattro coppie di fatto, fra le quali una gay hanno detto il loro «sì» firmando il registro nella sala della giunta di palazzo San Giacomo.
Milano, però, oltre ad aver voltato pagina rispetto agli anni oscurantisti delle giunte di centro destra, nota Aurelio Mancuso (Equality), rilancia il tema della legge nazionale. Anche per il modo in cui si è arrivati al voto: un compromesso che ha consentito all’ala liberal del Pdl di votare a favore e ai cattolici dissidenti del Pd di astenersi.
Compromesso che le associazioni Glbt non disprezzano affatto, considerando il voto milanese un «passo avanti di civiltà». Sottolineano, con il sindaco Pisapia, che non si tratta né di matrimonio gay né della sua anticamera, anzi la parlamentare omosessuale Paola Concia polemizza: «Pretestuoso e demagogico cercare di affossare il provvedimento, come se questi signori, non sapessero che c’è una prerogativa esclusiva del legislatore nazionale». E, proprio per questo, «è necessario arrivare al più presto possibile all’approvazione di una legge nazionale, che dia diritti certi e concreti a tutti i cittadini omosessuali italiani».
L’Arcigay milanese Marco Morti chiede al Pd di chiarire le sue posizioni: «In questa occasione in maggioranza i contrari non erano determinanti, ma cosa sarebbe successo a livello nazionale?». Anche Ivan Scalfarotto, vicepresidente Pd, mette in guardia il partito dal preoccuparsi di questioni terminologiche come quella che ha portato ad espungere dal testo milanese l’espressione «famiglia anagrafica» che indica nella burocrazia comunale, per esempio, le convivenze degli studenti: «La politica che fa questo teatrino sui termini è una politica che racconta una società che non esiste più».
Ignazio Marino si augura che il voto di Milano influenzi il dibattito del Pd: «È nel solco di quanto dichiarato recentemente da Bersani. Il nostro esempio su questo tema dovrebbe essere la modernità, rappresentata da Obama e Hollande. Nel resto d’Europa, ben 20 Paesi, dal Portogallo, alla Finlandia, dalla Francia alla Germania, alla cattolicissima Irlanda e alla Slovenia, hanno adottato normative che garantiscono e tutelano i diritti di tutte le coppie, comprese quelle omosessuali. Per il Pd è fondamentale operare scelte sempre più chiare ed innovatrici, altrimenti le sue esitazioni diverranno la sua più grande debolezza».
Per l’assessore milanese alla cultura Stefano Boeri «il percorso sull’eguaglianza di genere va proseguito e accelerato fino ad arrivare a una legge nazionale che riconosca libertà di matrimonio anche alle coppie gay». Il problema vero, per Marino «è chiarire che i diritti non sono una concessione. In Italia non solo non ci si è occupati di unioni civili ma anche di altri settori cruciali per la vita dei cittadini. Pensiamo alla ricerca, alle cellule staminali, al fine vita, alla legge 40, agli ospedali pubblici e all’applicazione della legge 194». Cose non contingenti e altrettanto importanti dello spread.
Il tema delle urgenze economico-sociali è agitato da qualche esponente Fli, come Briguglio, forse preoccupato delle relazioni con l’Udc: «Le unioni civili non disegnano il profilo di Fli, soprattutto in questo momento di disperazione economica e sociale in cui le priorità mi sembrano francamente altre». Ma non la pensano così né Chiara Moroni né Flavia Perina, che attacca Alemanno: «Invece di cavalcare posizioni di retroguardia, dovrebbe riflettere su un dato: «Roma capitale del diritto, è stata espropriata da Milano» e considera «maturi i tempi per una legge che disarmi gli opposti estremismi e trovi soluzioni di tipo europeo».
Il voto trasversale di Milano ha agitato le acque anche nel Pdl, per Gasparri il voto di Milano «è una farsa», mentre Alessandra Mussolini si augura «che altre città ne seguano l’esempio».
Iniziative arcobaleno nella giornata mondiale
«Basta omofobia»
Il 17 maggio 1990 l’Oms cancellò l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali
di Delia Vaccarello (l’Unità, 16.05.2012)
COS’È L’OMOFOBIA? SE IL TERMINE È ORMAI DIFFUSO NEL LINGUAGGIO COMUNE NON VUOL DIRE CHE SE NE CONOSCA DAVVERO IL SIGNIFICATO. In genere è considerato un atteggiamento frutto di raptus e messo in atto da individui ai margini. Invece l’omofobia è un fenomeno culturale, che non si riduce all’aggressione o all’insulto, ma è una svalutazione, con conseguente automatica esclusione, delle persone che amano individui del proprio sesso. Un atteggiamento «culturale» che ci sovrasta e che, troppo spesso , viene ancora considerato la norma, pur con bizzarri distinguo tipo: ho tanti amici gay, che facciano le loro cose ma dentro le mura di casa.
INVITO DEL MINISTRO ALLE SCUOLE
Domani si celebra la giornata mondiale contro l’omofobia, una ricorrenza promossa dall’Unione europea ormai dal 2007. Il 17 maggio 1990 infatti l’Organizzazione mondiale della sanità cancellava l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali. Le iniziative sono già in campo da giorni. Sabato scorso un convegno organizzato da «Nuova Proposta» a Roma con tantissimi interventi di associazioni ed esperti coinvolti ha fatto il punto sulla situazione in campo educativo, politico, lavorativo.
Domani alla Camera verranno fatti i numeri, verranno diffusi cioè i dati sulle convivenze di gay e lesbiche frutto dell’ultimo censimento. E il ministro Profumo ha invitato i presidi a celebrare la giornata. Sparsa in tutto il Paese, la mole di iniziative è impressionante. Si ripete con successo la serie di veglie in ricordo delle vittime dell’omofobia, a cominciare dall’incontro di preghiera che si terrà a Firenze organizzato dal gruppo Kairos per il sesto anno consecutivo ispirato al versetto della Prima Lettera di Giovanni, «Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre» (1Gv 2,9). Iniziative simili si terranno in molte città, anche a Palermo e quest’anno in parrocchia (vedi www.gionata.org). Banchetti informativi, presentazione di libri, proiezioni, fiaccolate si alterneranno da Nord a Sud.
Sul sito di arcigay (www.arcigay.it) l’elenco, seppure incompleto, è lunghissimo. Tra gli altri, molto ricco il pro- gramma di eventi culturali a Ferrara, che prevede anche dibattiti sui testi di Rigliano e altri «Curare i gay?» (Cortina) e di Margherita Graglia «Omofobia» (Carrocci).
Segnaliamo anche l’iniziativa di Venezia dal titolo «Parole d’amore», incontro e proiezione di una video-inchiesta realizzata con i ragazzi delle superiori, ne parlano tra gli altri Giovanni Bachelet, Gianfranco Bettin, Alberta Basaglia, Sara Cavallaro, Luca Trappolin. Si tratta di un evento che si inserisce nel progetto portato avanti ormai da anni di «educazione sentimentale come educazione alla cittadinanza»: una ricerca con gli studenti finalizzata a sensibilizzare i giovani sui temi dell’amore in tutte le sue espressioni, dando ad ognuna cittadinanza. Celebrazioni anche nel verde.
Domenica 20 maggio nei parchi di Avellino, Ferrara, Firenze, Genova, Milano, Palermo, Roma, Torino e Venezia, si svolgerà «Tutti uguali, tutti diversi», la festa di tutti i nuclei: omosessuali e eterosessuali, monoparentali, sposati e conviventi. Legambiente e Famiglie Arcobaleno organizzano giochi e laboratori creativi, favole e musica, spettacoli di burattini, cacce al tesoro, merende gustose per bambini, bambine e famigliari di tutte le età.
Le scuse dello psichiatra
«Un errore la ricerca sui gay da curare»
di Alessandra Farkas (Corriere della sera, 19.05.2012)
NEW YORK - «L’omosessualità di gay e lesbiche può essere curata». Era il 2001 quando, a un convegno della American psychiatric association (Apa) il dottor Robert Spitzer illustrò la sua controversa tesi secondo cui è possibile, per alcuni individui estremamente motivati, cambiare il proprio orientamento sessuale da gay a eterosessuale. Il fatto che a pronunciare quelle parole fosse il celeberrimo docente della Columbia University, considerato dai manuali il padre della psichiatria moderna e lo psichiatra più influente del 20° secolo, contribuì solo ad accreditare la legittimità di tale provocatoria argomentazione. Nessuno poteva accusarlo di pregiudizio anti-gay.
Nel 1973 era stata proprio la crociata personale dell’allora 41enne Spitzer a indurre l’Apa a rimuovere l’omosessualità dalla lista dei «disturbi mentali». Poi, nel 2001, quello studio bollato come «un tradimento» dai gay di tutto il mondo. Undici anni più tardi, lo psichiatra ha chiesto loro scusa per l’errore commesso. Cercando persino, senza riuscirvi, di pubblicare una ritrattazione sulla stessa rivista scientifica che nel 2001 aveva ospitato il saggio originale, denunciato come «pericoloso» dall’Organizzazione mondiale della sanità.
Il mea culpa di Spitzer, oggi 80enne e gravemente malato di Parkinson, è avvenuto in un’intervista al New York Times. «Giacevo sveglio nel letto alle 4 del mattino, quando ho deciso che era giunto il momento di farlo», afferma Spitzer, «mi alzai annaspando nel buio e con enorme difficoltà, data la mia condizione, raggiunsi la scrivania dove presi carta e penna». Quando il direttore della rivista Archives of Sexual Behavior si rifiutò di pubblicare la sua ritrattazione, Spitzer ha chiamato il Times. «Dovevo chiedere scusa alla comunità gay per i miei studi che sostengono tesi fasulle sull’efficacia delle terapie riparatorie», incalza, «e voglio anche chiedere scusa a tutte le persone gay che hanno perso tempo ed energia sottoponendosi per colpa mia a tali inutili terapie».
Il Comune di Battipaglia ha vietato la pubblicazione del manifesto contro l’omofobia previsto per il 17 maggio dalla Commissione Pari Opportunità dell’ente (CPO).
Il manifesto mostra il bacio di due uomini e riporta lo slogan Pari opportunità. Per tutti!
di Pasquale Quaranta *
Si tratta, come potete vedere con i vostri occhi *, di un’immagine che invita a vivere i propri sentimenti alla luce del sole e che avrebbe al pi stimolato un dibattito sullargomento: perch molte persone gay e lesbiche vivono le loro relazioni nella clandestinit? Mancano di coraggio? Sono spaventate dal contesto ostile che le circonda?
Nonostante la CPO abbia votato a favore della pubblicazione del manifesto, il Comune ha posto un veto sulla stampa per non ledere il rapporto con il partito guida della coalizione, l’Udc.
Lo scorso anno fu la CPO a preferire unimmagine pi "politicamente corretta" che mostrava lunione delle mani di due uomini. Questanno invece, nonostante il voto favorevole di 6 commissarie su 10 presenti, il manifesto stato censurato dallamministrazione comunale. Contrario su tutti il giovane assessore Paolo Cuozzo con delega alle pari opportunit che si fatto portavoce del Sindaco e dell’amministrazione comunale: che la CPO abbia votato favorevolmente per la pubblicazione del manifesto ha ribadito l’assessore - non conta perch a decidere sono il sindaco e lamministrazione comunale.
Ma se la CPO non ha autonomia decisionale, nonostante nello statuto sia specificato che essa apolitica e apartitica, a cosa serve il nostro lavoro?
Il manifesto contro lomofobia del 17 maggio 2012 avrebbe promosso anche la seconda edizione di Liberi tutti, rassegna di letteratura gay, lesbica e trans ideata in collaborazione con Legambiente e lassociazione culturale Aut Aut: ha ancora senso proporla oggi sotto legida del Comune di Battipaglia?
Per queste ragioni, daccordo con Legambiente di cui sono delegato nella CPO dal 2010, ho rassegnato le mie dimissioni nella convinzione di poter continuare la battaglia per i diritti civili altrove con maggiore autonomia e maggiore libert.
Pasquale Quaranta
* Commissario dimissionario della Commissione Pari Opportunit del Comune di Battipaglia
* Per vedere il manifesto censurato clicca sul link seguente:
http://www.legambienteventoinfaccia.it/comune-di-battipaglia-censura-bacio-gay/
"Celebrate la giornata contro l’omofobia"
L’invito di Profumo ai presidi italiani
Il 17 maggio cade la ricorrenza istituita dal Parlamento europeo nel 2007 e per la prima volta il governo promuove l’iniziativa negli istituti. La Concia: "Quando era ministro la Gelmini non volle mai incontrarmi"
di MARCO PASQUA *
ROMA - Un invito alle scuole a celebrare la giornata internazionale contro l’omofobia, in programma per il prossimo 17 maggio. È il ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, attraverso una circolare, a rivolgere un appello agli istituti italiani affinché partecipino attivamente alla giornata istituita nel 2007 dal Parlamento europeo. "E’ la prima volta che avviene qualcosa del genere", commenta Paola Concia, deputata del Pd.
"Siamo di fronte ad un atto fondamentale e rilevantissimo", dice soddisfatto Paolo Patané, presidente nazionale Arcigay. "Quando la Gelmini era ministro, cercai di parlarle del problema dell’omofobia a scuola, ma non accettò mai di incontrarmi", rivela oggi la Concia.
Un’iniziativa, questa del ministero, che rappresenta dunque una novità assoluta e si inserisce nell’ambito della campagna "Smonta il bullo". Lanciata nel 2007 per contrastare il fenomeno del bullismo tra i banchi scolastici (dall’allora ministro Giuseppe Fioroni), non aveva però una sezione specifica per l’omofobia, che è stata aggiunta nei mesi passati, su impulso di Profumo e del sottosegretario Marco Rossi Doria.
Tra i primi atti del ministero, subito dopo l’insediamento di Mario Monti, c’è stata l’istituzione di un gruppo di lavoro sulle Pari Opportunità, che ha messo all’ordine del giorno il tema dell’omofobia. A ispirare il lavoro di questo team, le parole del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che in occasione della giornata contro l’omofobia del 2011, si disse preoccupato "per il persistere di discriminazioni e comportamenti ostili nei confronti di persone con orientamenti sessuali diversi. Si tratta di atteggiamenti che contrastano con i dettami della nostra Costituzione e della Carta dei diritti fondamentali della Ue". La circolare del direttore generale , Marcello Limina, datata 10 maggio, è indirizzata ai Dirigenti delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado. "L’Unione Europea ha indetto per il 17 maggio di ogni anno - sottolinea il funzionario del ministero - la Giornata internazionale contro l’omofobia (risoluzione del Parlamento Europeo del 26 aprile del 2007) ossia contro ogni forma di atteggiamenti pregiudiziali basati sull’orientamento sessuale. La giornata rispecchia i principi costitutivi sia dell’Unione Europea sia della Costituzione italiana: il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, l’uguaglianza fra tutti i cittadini e la non discriminazione. Sono le condizioni che consentono alla società di promuovere l’inclusione di tutti e di ciascuno e di battersi contro ogni offesa alle persone".
Si evidenzia, a tale proposito, il ruolo fondamentale svolto dagli istituti scolastici: "La scuola si cimenta ogni giorno con la costruzione di una comunità inclusiva che riconosce le diversità di ciascuno. E’, infatti, ad un tempo, la prima comunità formativa dei futuri cittadini e un luogo importantissimo per la crescita e la costruzione dell’identità di ciascuna persona. Così, le scuole favoriscono la costruzione dell’identità sociale e personale da parte dei bambini e dei ragazzi, il che comporta anche la scoperta del proprio orientamento sessuale. Il loro ruolo nell’accompagnare e sostenere queste fasi non sempre facili della crescita risulta decisivo, anche grazie alla capacità di interagire positivamente con le famiglie".
L’impegno contro gli atti omofobi deve essere una priorità per i docenti: "Le scuole, nello svolgere tale prezioso lavoro educativo ogni giorno, contrastano ogni forma di discriminazione, compresa l’omofobia". Per questo "il ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca intende supportare il lavoro dei docenti impegnati quotidianamente nella formazione dei propri alunni sulle problematiche relative a tutte le tipologie di discriminazione, in particolare, attraverso strumenti informativi presenti sul sito www.smontailbullo.it 2 e assicurando un primo supporto a tutti i ragazzi, i docenti e le famiglie attraverso il numero verde 800.669.696".
L’invito ai docenti e dirigenti scolastici che abbiano già realizzato progetti o iniziative sul tema delle discriminazioni omofobiche, anche in collaborazione con Associazioni ed Enti del territorio, è quello di darne comunicazione al sito "Smonta il Bullo". "Iniziative e progetti segnalati dalle scuole saranno successivamente pubblicati in un apposito spazio del sito dedicato alle ’buone pratiche’ che servirà a una riflessione corale delle scuole, anche nella prospettiva del confronto europeo su questi temi", fanno sapere dal ministero.
Un plauso all’iniziativa arriva dall’Arcigay: "La circolare - dice il presidente, Paolo Patané - rappresenta un atto fondamentale che ha in se stesso l’evidenza del suo grande spessore, laddove richiama la nostra Costituzione e la Carta dei diritti dell’Unione europea. Mi sembra che sia rilevantissimo per tre ragioni: perché per la prima volta fa della giornata mondiale contro l’omofobia un tema che doverosamente deve vivere nelle scuole un teatro essenziale; perché dimostra che stare in Europa non può voler dire solo occuparsi di pareggio di bilancio; e perché offre alle scuole un riferimento preciso all’interno del Ministero nel contrasto al bullismo. C’è poi il dato politico: un governo definito ’tecnico’ ha avuto il coraggio di salire di livello e di ricollocare un tema di giustizia come quello del contrasto all’omofobia e del diritto alla realizzazione della propria personalità in un contesto chiave come quello scolastico, sottraendolo ai beceri conflitti ideologici e riconoscendogli finalmente dignità oggettiva. Questo è l’orizzonte a cui guardiamo e su cui pretendiamo che i partiti che presto si confronteranno per il governo del Paese, dimostrino altrettanto spessore culturale e politico".
Soddisfatta Paola Concia, che ricorda di aver presentato una proposta di legge per l’istituzione di un osservatorio contro le discriminazioni e il bullismo presso il Miur (sottoscritto da circa cinquanta parlamentari bipartisan): "Sono felicissima e ringrazio sia il ministro che il sottosegretario Marco Rossi Doria, entrambi molti sensibili a questi temi. E’ una svolta, dopo gli anni della Gelmini. L’omofobia si combatte con le leggi ma anche con l’educazione, tra i banchi di scuola".
Per Giacomo Guccinelli, responsabile Rete Giovani Arcigay, quello del ministero è "un utile investimento sulle generazioni future" perché contribuisce "alla diffusione e alla valorizzazione di una cultura del rispetto, dell’inclusione e della valorizzazione di ogni tipo di differenza in ambito scolastico".
* la Repubblica, 15 maggio 2012
Se i gay sono solo un milione
di Chiara Saraceno (la Repubblica, 18 maggio 2012)
Il rapporto sulla popolazione omosessuale nella società italiana, reso noto ieri dall’Istat, mostra una realtà in movimento, fortemente differenziata e non priva di contraddizioni. Comunque più aperta della cultura politica dominante, che sembra ancora fare tanta fatica sia a riconoscere i diritti degli omosessuali, inclusi quelli ad avere una vita affettiva in cui ci sia posto anche per la sessualità, sia a riconoscere l’esistenza di gravi discriminazioni nei loro confronti. La maggioranza degli intervistati, infatti, dichiara che le persone omosessuali, e ancora più quelle transessuali, sono oggetto di discriminazioni e la stragrande maggioranza ritiene che le discriminazioni sul lavoro, o nell’accesso all’abitazione perché si viene rifiutati come inquilini, siano ingiuste e illegittime.
Molto alta (oltre il 70%) è anche la percentuale di coloro che non ritengono che l’omosessualità sia una malattia, una situazione di immoralità e una minaccia per la famiglia, con buona pace, non solo delle gerarchie ecclesiastiche cattoliche e dei vari Giovanardi e Roccella di turno, ma anche degli altri paurosissimi politici, inclusi quelli del Pd, che evitano sempre di prendere posizioni chiare, per tema di perdere l’appoggio della Chiesa, ma anche voti. Timore infondato, sembrerebbe, dato che quasi il 63% degli intervistati è favorevole a che due conviventi omosessuali abbiano gli stessi diritti di una coppia sposata.
Fin qui si disegna una popolazione in larga maggioranza favorevole a riconoscere alle persone omosessuali i diritti di tutti, anche se rimane una consistente minoranza viceversa più o meno contraria. Le cose sono tuttavia più complicate se si entra nel dettaglio e si va più a fondo. La difesa dei diritti diventa più incerta quando si tratta di avere personalmente un vicino di casa, un medico, un collega, un amico omosessuale. Ancora di più si riduce nell’ipotesi che ad essere omosessuale sia un insegnante. Anche il diritto all’affettività è temperato da una richiesta di discrezione che non viene rivolta alle persone eterosessuali. Al punto che, se oltre il 90 per cento degli intervistati ritiene accettabile e normale che una coppia eterosessuale si tenga per mano e si scambi un fuggevole bacio per strada, solo poco più del 46 per cento lo trova un comportamento accettabile da parte di una coppia dello stesso sesso. Il riconoscimento del diritto alla affettività, inoltre, non sempre si accompagna alla accettazione della sessualità omosessuale.
Infine, il riconoscimento di diritti alle coppie omosessuali non si estende nella stessa misura al riconoscimento della possibilità di sposarsi e ancor meno di adottare, che sono accettati solo da una, pur consistente, minoranza. Si tratta di ambivalenze e persino contraddizioni significative, che segnalano come sia ancora difficile per una persona omosessuale abitare normalmente lo spazio sociale.
La consapevolezza di queste difficoltà probabilmente ha anche influenzato le risposte degli intervistati sul proprio orientamento sessuale. Solo poco più di un milione di persone si è dichiarato omosessuale o bisessuale, una percentuale che, sulla base delle evidenze nazionali e internazionali, probabilmente sottostima il fenomeno. Del resto, anche tra chi si è dichiarato omosessuale o bisessuale (sotto assoluta garanzia di anonimato, anche nei confronti dell’intervistatore), solo una minoranza lo ha detto ai familiari. Il timore della non accettazione segna fortemente la vita di queste persone, costringendole a fingersi diverse da quello che sono.
Non va tuttavia sottovalutato il fatto che una quota rilevante di chi prova disagio di fronte alla omosessualità è favorevole a riconoscere diritti non solo ai singoli, ma alle coppie omosessuali.
Riconoscere la legittimità di rapporti e comportamenti che non si condividono è un segno di civiltà e di democrazia. Va aggiunto che esiste una forte eterogeneità negli atteggiamenti all’interno della popolazione. C’è maggiore apertura in chi vive nel nord e soprattutto al centro. Le donne sono più aperte degli uomini, anche tra i giovani, che pure sono in generale più aperti alla accettazione dei diritti degli omosessuali, inclusa la normale manifestazione di amore e incluso il matrimonio, delle persone in età matura o anziana. Un elemento in più per non lasciare che le decisioni sulla questione dei diritti degli omosessuali venga guidata dai gusti, disgusti e paure di una generazione di politici anziani e prevalentemente maschi.
L’educazione sessuale
Occorre portare l’educazione sessuale alla vera altezza dell’erotica
Risponde Umberto Galimberti *
Benedetto XVI ha affermato che l’educazione sessuale nelle scuole di alcuni paesi europei è una minaccia alla libertà religiosa. Le cose però non stanno così, giacché la morale, compresa quella sessuale, viene inevitabilmente trasmessa dall’intera società (costumi, mezzi di comunicazione di massa, ecc.) Gli insegnanti sono costretti ad affrontare temi che toccano la sfera della sessualità, perché è difficile restare neutrali davanti a problemi quali l’aborto, la contraccezione, l’omosessualità, le coppie di fatto, ecc. In realtà Benedetto XVI ha il timore, sacrosanto essendo il Papa, che nelle scuole venga trasmessa una morale sessuale diversa da quella cattolica. Ma siamo certi che questa sia rispettosa delle libertà individuali?
Renato Pierri ex docente di religione cattolica
renatopierri@tiscali.it
Benedetto XVI forse ha ragione. Nelle scuole bisognerebbe insegnare la morale sessuale della Chiesa cattolica. Nessun rapporto con la persona amata, anche se si è in età matura, persino per tutta la vita, se non si è sposati (art. 2353 del Catechismo). E, in mancanza di rapporti, attenzione a non masturbarsi, perché "la masturbazione è un atto intrinsecamente e gravemente disordinato" (art. 2352). Gli omosessuali, da accogliere con compassione, sono chiamati alla castità (art. 2358). Quindi nessun rapporto per tutta la vita con persone della stessa identità di genere. Atto "intrinsecamente cattivo", invece, anche per persone sposate in Chiesa, ricorrere al condom al fine di non procreare (art. 2370). Una donna che abortisce, anche nel caso in cui il feto sia affetto da malattia gravissima, oppure concepito a seguito di uno stupro, è un assassina come Caino (Giovanni Paolo II - Evangelium vitae). L’elenco sarebbe lungo, ma questo basta per rendersi conto che l’educazione sessuale cattolica è una minaccia alla libertà della persona.
Francesca Ribeiro
ribesca@tiscali.it
Quando la Chiesa si libererà dall’ossessione sessuale avrà più tempo per parlare di Dio e più capacità di persuadere che Dio è amore. Non nell’accezione protettiva e consolatoria secondo la quale Dio ama gli uomini che ha creato e redento, ma nel senso che senza un sprazzo di trascendenza, di cui Dio è la metafora, la sessualità perde la sua densità, la sua forza, il suo senso, la sua potenza. Questo bisogna insegnare ai giovani. E in questo deve consistere l’educazione sessuale affinché i ragazzi non si limitino alla pura meccanica dei corpi, ma sappiano, al di là del possesso e della loro appropriazione, leggere l’accadere di un mondo quale appare guardato con gli occhi dell’eros.
La negazione della sessualità, la sua proibizione, il silenzio sui temi sessuali, utile solo a custodirne l’ignoranza che non ha mai fatto fare un passo avanti a nessuno nella storia, non sono praticabili in quell’età in cui la natura sprigiona tutta la sua potenza sessuale in quei corpi giovani. E allora, se educazione ci deve essere, affinché la sessualità si esprima a livello umano e non solo animale, è necessario quel raggio di trascendenza, a cui ho accennato, che consente ai corpi di non chiudersi tristemente nel cerchio stretto della loro solitudine che si fa oppressiva, ma sappia articolare la passione in quella polifonia di linguaggi capace di trasfigurare la nudità nell’estasi della partecipazione, in modo da risvegliare la carne dalla sua opacità e, da puri funzionari della specie come natura ci prevede, ci faccia scoprire, proprio nell’atto sessuale, come individui, caratterizzati da un nome proprio che solo l’altro può chiamare.
E tutto ciò, vorrei dire a chi teme l’educazione sessuale intesa come qui ho cercato di illustrare, è profondamente religioso, se è vero quel che leggiamo nel Cantico dei Cantici (7, 12-13): "Vieni mio diletto, usciamo alla campagna, pernottiamo nei villaggi: di buon mattino andremo nei vigneti, vedremo se gemma la vite, se sbocciano i fiori, se fioriscono i melagrani, là ti darò i miei amori".
Educazione sessuale significa allora insegnare ai giovani come si passa dal corporeo all’incorporeo, per scoprire nel sorriso un offerta, nello sguardo una reciprocità di intenzioni, nel gesto quell’indistinta mescolanza di bellezza e tenerezza che consente di esprimere quella che poco prima era una timida gioia nascosta che la sessualità sprigiona. Non è una bella cosa insegnare tutto questo ai giovani, invece di proibire quello che la natura non consente a loro di ignorare?
* la Repubblica/D, 30.04.2011
Il teologo David Berger:
“Papa Benedetto XVI è gay”
Secondo lo studioso “quando si parla tra studiosi in privato, tutti concordano sull’omosessualità di Ratzinger”. Indignati i cattolici
di Emiliana Costa *
“Papa Ratzinger è gay”. La scioccante dichiarazione è di David Berger, il teologo tedesco che nel novembre scorso era salito alla ribalta delle cronache per aver fatto coming out e aver lanciato input pruriginosi sull’omosessualità di molti preti nella chiesa cattolica. A distanza di pochi mesi, Berger è tornato con un pettegolezzo choc sulle inclinazioni sessuali di Benedetto XVI. E lo ha fatto dalle colonne del mensile gay “Fresh”.
Secondo il teologo “quando si parla tra studiosi in privato, tutti concordano sull’omosessualità di Ratzinger. Lui viene da una cultura clericale nella quale il tema dell’amore per persone dello stesso sesso era totalmente tabù. Quello che odia in sé lo proietta sugli altri e lo disprezza”.
Nel suo libro “Una sola illusione: un teologo gay nella Chiesa cattolica”ci sarebbero anche le dichiarazioni della giornalista Valeska von Roques, secondo cui Benedetto XVI durante la sua attività di cardinale avrebbe avuto storie omosessuali con alcune guardie svizzere.
“Il Papa - ha aggiunto Berger - è costantemente preoccupato dell’omosessualità, la prima cosa che ha fatto nel 2005 è stato un documento contro i preti gay, per lui sono pericolosi”. Secondo il teologo, Benedetto XVI avrebbe avuto contatti regolari con cardinali omosessuali.
Mentre sul web, la notizia rimbalza da un portale all’altro, il mondo cattolico si indigna davanti a simili dichiarazioni. Il sito cattolico kath.net sostiene che quella di Berger sia pura diffamazione di un uomo potente come papa Ratzinger. Anzi alcuni sono molto taglienti e ribattono che la tesi di Berger dimostrerebbe come l’omosessualità spenga il cervello.
Kreuz.net definisce Berger una “latrina omosessuale”, in quanto “avrebbe insultato il Papa nello squallido mensile omosessuale descrivendolo come un sodomita”.
* REPORTER: Emiliana Costa, 15 aprile 2011
Corso di educazione alle differenze affettive e sessuali
Il Cirps Consortium, consorzio universitario della Sapienza, Università di Roma e il Dipartimento di ricerche filosofiche dell’Università di Roma Tor Vergata propongono un corso di formazione professionale intitolato “Corso di educazione alle differenze affettive e sessuali”.
Il corso si propone di informare e sensibilizzare, in particolar modo i giovani, sulle identità di genere e sugli orientamenti sessuali, anche alla luce delle più recenti acquisizioni scientifiche. Saranno analizzate criticamente le rappresentazioni della realtà omosessuale e transessuale veicolate dai mezzi di comunicazione di massa nel rispetto del diritto dei fruitori mediali ad accedere ad un’informazione corretta.
Durante il corso, ampio spazio verrà dedicato alla riflessione sulle cosiddette “best practices” (buone prassi). Un’azione positiva in tal senso sarà l’istituzione e l’avviamento di un Osservatorio permanente sulla comunicazione e l’informazione veicolata dai mass media sugli orientamenti sessuali (OMO, Osservatorio Media e Omosessualità). Un’altra azione positiva sarà l’istituzione del Premio giornalistico “Penna Arcobaleno”, fondato dall’Osservatorio sopra menzionato, conferito ai professionisti dell’informazione-comunicazione che hanno trattato il tema dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere con competenza e professionalità.
Il progetto (Corso di formazione, Osservatorio e Premio giornalistico) finanziato dalla Provincia di Roma e dall’Unione Europea è stato ideato dal giornalista Pasquale Quaranta con il coordinamento tecnico di Valeria Troya, esperta in progettazione europea (Cirps Consortium) e di René Buonocore, mediatore linguistico-culturale (Cirps Consortium).
"La proposta formativa - spiega Pasquale Quaranta - consta di 60 ore di lezione in aula più 3 mesi di tirocinio e si articola in tre moduli: sociale, salute e benessere, sicurezza. Il corso fornisce strumenti d’intervento per allievi motivati a muoversi nell’ambito dell’informazione e comunicazione non stereotipata rispettosa delle identità di genere e degli orientamenti sessuali. Gli argomenti trattati vanno dal bullismo omofobico tra i banchi di scuola agli studi gay e lesbici in ambito accademico, alla comunicazione glbt; dal minority stress al coming out in famiglia, fino alla genitorialità omosessuale; dai pronunciamenti della giurisprudenza alle leggi vigenti; dai femminielli nella cultura napoletana al transessualismo; dalla prostituzione maschile alle politiche di riduzione del danno; dalle infezioni a trasmissione sessuale al mobbing sul luogo di lavoro".
Il Corso di educazione alle differenze affettive e sessuali è supportato, tra gli altri, da Agedo (associazione genitori di omosessuali), Arcigay, Arcilesbica, Famiglie Arcobaleno (associazione genitori omosessuali), Rete Lenford (avvocatura per i diritti glbt), Certi diritti (Associazione radicale), Circolo Mario Mieli di Roma.
“La possibilità - conclude Pasquale Quaranta - di avere un confronto tra giovani e ricercatori, studiosi e autori, attivisti e militanti, esponenti della cultura, dell’informazione-comunicazione, permetterà di fornire indicazioni utili ai corsisti che riceveranno un’educazione al rispetto delle differenze affettive e sessuali”.
Il bando del corso, che resterà aperto fino al 14 marzo 2011, è consultabile al link http://www.cirpsconsortium.net/05ServPersDiffAffettive.aspx
La sede, le date e l’orario delle selezioni saranno indicate il 16 marzo 2011. Le lezioni si teranno a partire dal 28 marzo 2011 presso la sede del Cirps Consortium (Palazzo Doria Pamphilj), in Piazza della Costituente a Valmontone (RM). La partecipazione al corso è gratuita ed è prevista un’indennità di frequenza per i disoccupati pari a 3 euro per ogni ora di corso effettivamente frequentata, previa presenza ad almeno il 70% del monte ore del corso. Al termine del corso, gli allievi che avranno superato le prove d’esame, conseguiranno un attestato di frequenza valido agli effetti della Legge Regionale n. 23 del 25 febbraio 1993. Per ulteriori informazioni rivolgersi allo 06 959938216 begin_of_the_skype_highlighting 06 959938216 end_of_the_skype_highlighting - www.cirpsconsortium.net
CITTADINI SOVRANI. NÉ DI PIÙ NÉ DI MENO
di Paolo Farinella, prete
Manifestazione del 5 dicembre 2009, ore 16,00 Largo Lanfranco (Davanti alla Prefettura) Genova *
Sono qui come cittadino sovrano orgoglioso di esserlo e senza paura di difendere questa mia dignità che non mi deriva dal potere, ma ce l’ho per nascita ed è un diritto inalienabile riconosciuto dalla Costituzione alla quale deve essere sottomesso ogni potere e ogni parlamento. Anche a costo della morte, anche a costo di andare sulle montagne non rinuncerò mai a questa libertà e a questa sovranità che è colorata dal rosso del sangue dei martiri della Resistenza a cui si aggiunge il sangue dei magistrati e degli avvocati e dei cittadini che per difendere la legalità sono stati ammazzati come cani.
La loro memoria grida davanti alla nostra coscienza. O stiamo dalla loro parte o stiamo dall’altra. Non c’è via di scampo. Una nuova tirannia oggi sovrasta l’Italia e noi non possiamo permetterlo. A coloro che scrivono lettere anonime con minacce anche di morte, dico apertamente: non ho paura di voi che vi nascondete sempre dietro l’anonimato, dietro la vostra vergogna. Io ci sono e ci sarò sempre e nessuno riuscirà a farmi tacere in difesa della giustizia, del diritto, della libertà e della libertà di coscienza. Nessuno. Fino a tre giorni dopo la morte, io parlerò.
Parlo anche come prete perché lo sono e sono orgoglioso di esserlo e nessuno né vescovi né papi riusciranno a non farmelo essere. Poiché qualcuno mi accusa di essere eretico, voglio tranquillizzare i cattolici presenti: le cose che dico sono dottrina tradizionale della Chiesa. Se gli altri, compresi i vescovi, se le dimenticano, gli eretici sono loro, non io.
Nel vangelo di Lc si dice che alcuni farisei simpatizzanti misero in guardia Gesù da Erode che voleva farlo uccidere («Erode ti cerca») e Gesù rispose: «Andate a dire a quella volpe che io scaccio gli spiriti maligni» (13,31-32). Con la complicità e il sostegno della mafia uno spirito maligno si è impossessato del nostro Paese e noi come laici in nome della Costituzione e come credenti in nome del Vangelo abbiamo il dovere e il diritto di scacciarlo: «La difesa del bene comune esige che si ponga l’ingiusto aggressore in stato di non nuocere» (CCC 2265).
Diciamo a Bertone, che va a braccetto come un fidanzatino con Berlusconi ad inaugurare mostre, che Paolo VI nella Populorum progressio del 26 marzo del 1967 al n. 31 prevede come lecita «l’insurrezione rivoluzionaria nel caso di una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali di una persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del paese» (cf anche Giovanni Paolo II, L’Istruzione Libertatis conscientia (Libertà cristiana e liberazione, 22.3.1986).
Non ci troviamo forse di fronte alle prove generali di una tirannia? Lo Stato democratico e le Istituzioni repubblicane sono state invase dai barbari e da mafiosi, che di ogni principio morale e democratico hanno fatto e stanno facendo scempio immondo. Il barbaro per eccellenza, lo spirito immondo, la volpe di oggi, che fa i gargarismi con l’acqua benedetta, mentre fa accordi con la mafia, si chiama Silvio Berlusconi anzi Berluskonijad perché è un misto tra il comunista Putin del kgb e il reazionario iraniano Ahmadinejad. E’ lui l’ultimo sovietico rimasto in Italia. Infatti la Russia del dittatore Putin e i paesi arabi più retrivi dove non esiste democrazia, sono i posti più prediletti da lui Addirittura dorme anche nel letto di Putin. Rifiutato dalle cancellerie democratiche del mondo, avete un presidente del consiglio che si rifugia in Bielorussia, dove ha osannato il dittatore Lukashenko che il mondo civile non ha mai riconosciuto. Tra dittatori si capiscono. Oggi è partito per Panama, mentre sarebbe ora che partisse per san Vittore. Dico vostro presidente del consiglio perché io l’ho ripudiato pubblicamente il 6 luglio 2009.
Per lui parole come democrazia, verità, eguaglianza, diritti, serietà, legalità, ecc. sono bestemmie perché l’uomo è abituato fin dalla nascita a vivere di falsità, a nutrirsi di illegalità, ad architettare soprusi, a complottare con la mafia, a mettere in atto ogni sorta di prevaricazione con un unico e solo scopo: l’interesse privato e l’ingordigia del suo super ego. Ora siamo all’attacco finale: lo chiamano «processo breve», ma è un solo l’abolizione del processo per annullare la giustizia perché c’è un’emergenza: bisogna impedire i processi che lo vedono imputato per reati gravissimi commessi prima di entrare in politica. Per capire di che si tratta e per divulgare in modo semplice, leggete la pagina che oggi sul Secolo pubblicano il Comitato per lo Stato di Diritto e Giustizia e Libertà hanno pubblicato, a pagamento, una pagina bella oggi sul Secolo XIX, dove potete vedere le conseguenze.
Io credo però che l’obiettivo non sia però il processo breve, ma il totale affossamento della giustizia: in questi giorni ne abbiamo le prove: Cosentino è indagato per Mafia e la maggioranza nega l’arresto; Dell’Utri è stato condannato in primo grado, Schifani (il nome stesso è un programma) frequentava e difendeva mafiosi e ora i pentiti parlano di Berluskonijad e del parto scellerato che sta alla base della fondazione del partito-azienda. I rapporti con la mafia sono naturali e quanto pare i mafiosi gli ha fatto da padrini nella sua nascita come imprenditore-truffatore. Sono motivi sufficienti perché il governo voglia dichiarare illegale ogni indagine per delitti di mafia, pagando così il pedaggio che egli e la sua famiglia e i suoi compari devono a «cosa loro» perché quella cosa non è e non sarà ma i «cosa nostra».
Tutti sanno che questa frenesia di interrompere il processo è condannata dal diritto e anche dalla morale tradizionale della Chiesa che esigono una giusta proporzione tra le parti in giudizio e la ricerca della verità morale. Noi sappiamo che la Corte Suprema lo bollerà ancora una volta, ma a lorsignori basta guadagnare tempo per andare in prescrizione. Lo sanno e proprio perché sono esperti in depistaggio, lo hanno usato per fare venire la diarrea al PD che c’è cascato. Ora aspettiamo i dossier arrivati dalla Bielorussia.
Bersani è la bella addormentata nel bosco che aspetta il bacio del principe che non arriva nemmeno travestito da rospo. Enrico Letta, il nipote del cardinal Mazzarino-Gianni Letta, Gentiluomo di Sua Santità, ha detto che è un diritto di B. difendersi «dal processo». Dovrebbe dimettersi non perché ha detto questo, ma perché è ignorante in fatto di giurisprudenza. Bocciato senza appello, all’ergastolo anche oltre la morte. Da quando ha cominciato a frequentare cattivi cattolici il PD è diventato come la maionese: si monta e si sgonfia in un baleno. Ora hanno la fregola delle riforme e di sedersi al tavolo del dialogo. Con questa gente non si può dialogare. Devono andare a casa, anzi in galera. Mafia e P2 sono al governo e stanno preparando le condizioni per impadronirsi definitivamente del Paese e delle nostre coscienze.
Le nostre coscienze non le avranno mai, perché noi saremo pronti ad andare anche sulle montagne a resistere perché non accettiamo e non accetteremo di essere governati da mafiosi, corrotti, frequentatori di minorenni e utilizzatori finali di prostitute e dall’avvocato Ghedini che paghiamo noi, mentre difende il ladro che ci ha rubato non solo una parte considerevole di denaro sottratto a noi (è fresca la notizia che la finanziaria taglia 103 milioni sui libri di scuola), ma ci deruba anche l’onore all’estero, la dignità sociale e la nostra sovranità di cittadini in casa.
Non possiamo rassegnarci. Non possiamo rassegnarci al luogo comune che la «politica è cosa sporca». E’ una trappola! Non è la Politica ad essere sporca, ma alcuni uomini e donne sporchi che la insozzano e coloro che li hanno votati sono correi e dovrebbero prendere un ergastolo per uno. Per noi Politica è il modo più nobile e diretto di servire il nostro popolo, senza servirsi di esso.
Vogliamo che Berlusconi e chiunque delinque, sia processato secondo lo statuto della nostra Costituzione. Vogliamo conoscere la verità sulla corruzione dei giudizi e dei testimoni. Vogliamo conoscere la verità sulle stragi della mafia. Vogliamo conoscere quanto la mafia sia dentro gli affari di Berlusconi. Vogliamo sapere con inequivocabile certezza se il presidente del consiglio sia un capobastone, un ricattato o una vittima.
Pretendiamo una magistratura libera, indipendente, senza condizionamenti di sorta. Vogliamo vivere in un Paese democratico, in un Paese civile, in un Paese dignitoso. Vogliamo riappropriarci del nostro orgoglio di cittadini sovrani e non permettiamo ad una manica di mafiosi di sottomerci come schiavi. Costi quel che costi, anche a costo della vita. Ai cattolici presenti io, Paolo prete cattolico tradizionalista dico: è parte della nostra missione nel mondo compiere e rendere attuale il programma politico del Magnificat della Madonna che celebreremo il giorno 8 dicembre: non ha senso andare in chiesa l’8 dicembre, se poi vanifichiamo le parole di Maria di Nàzaret, donna rivoluzionaria:
«51 Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
52 ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
53 ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
54 Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
55 come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre» (Lc 1,51-55).
Queste parole hanno una traduzione laica, rivolta a tutti, credenti e non credenti che abitano, anzi che sognano un Paese autenticamente laico, dove la separazione tra Religione e Stato debba essere rigorosissima. Ecco a voi come parola d’ordine di questa sera, le parole di Pier Paolo Pasolini a 37 anni dalla morte: «E noi abbiamo una vera missione, in questa spaventosa miseria italiana, una missione non di potenza o di ricchezza, ma di educazione, di civiltà» (P. P. Pasolini). Nulla di più, nulla di meno.
Genova, dal palazzo della Prefettura, sabato 5 dicembre 2009, ore 16,00-18,00
*Il Dialogo, Mercoledì 09 Dicembre,2009 Ore: 16:13
Dalla, il compagno in chiesa rompe il velo dell’ipocrisia
di Michele Serra (la Repubblica, 5 marzo 2012)
Con la compostezza, il dolore e la legittimità di un vedovo, il giovane Marco Alemanno ha reso pubblico omaggio al suo uomo e maestro Lucio Dalla in San Petronio, dopo l’eucaristia, se non rompendo almeno scheggiando il monolito di ipocrisia che grava, nell’ufficialità cattolica, sul "disordine etico" nelle sue varie forme, l’omosessualità sopra ogni altra.
È importante prenderne atto. Anche se è altrettanto importante sapere che fuori dalla basilica, nel denso, sconfinato abbraccio che i bolognesi hanno dedicato a Dalla, i suoi costumi privati non costituivano motivo di dibattito. Se non per lodare e rimpiangere la dimestichezza di strada e di osteria che Dalla aveva con "chiunque", il suo promiscuo prendere e dare parole, tempo e compagnia, la sua disponibilità umana. Ma dentro San Petronio la vita privata di Lucio, la sua omosessualità pure così poco ostentata, e mai rivendicata, creava un grumo che Bologna ha provveduto a sciogliere nella sua maniera, che è compromissoria, strutturalmente consociativa. Città rossa e vicecapitale del Papato, massonica e curiale, borghese e comunista. Un consociativismo interpretato al meglio (cioè senza malizia, per pura apertura di spirito) proprio da Dalla, che era amico quasi di tutti, interessato quasi a tutti. Non avere nemici è molto raramente un merito. Nel suo caso lo era.
In ogni modo si capisce che quel grumo, specie per una Curia che da Biffi in poi si è guadagnata una fama piuttosto retriva, non era semplice da gestire. Il vescovo non era presente, il numero due neppure, "altri impegni" incombevano e sarebbe infierire domandarsi quale impegno, ieri, fosse più impellente, per ogni singolo abitante della città di Bologna, di andare a salutare Lucio. L’omelia è stata affidata al padre domenicano Bernardo Boschi, amico personale del cantante, che non avendo zavorre istituzionali sulle spalle ha potuto e saputo essere affettuoso, rispettoso e libero, dunque prossimo alla città e ai suoi sentimenti.
L’ingrato compito di mettere qualche puntino sulle "i", per controbilanciare la quasi sorprendente "normalità" di una cerimonia così solenne, e insieme così semplice, nella quale il solo laico a prendere la parola, a parte il teologo Vito Mancuso, è stato il compagno di Dalla; quel compito ingrato, dicevo, se l’è caricato in spalla il numero tre della Curia, monsignor Cavina, che nel suo breve discorso introduttivo ha voluto ricordare che «chi desidera accostarsi al sacramento dell’Eucarestia non deve trovarsi in uno stato di vita che contraddice il sacramento».
Concetto che, rivolto alla cerchia di amici di Lucio presenti in chiesa, e ai tanti "freaks" che affollavano chiesa e sagrato anche in memoria della dimestichezza che avevano con Dalla, e Dalla con loro, faceva sorridere: più che severo appariva pateticamente inutile, perché dello "stato di vita" delle persone, dell’essere canoniche o non canoniche le loro scelte amorose e affettive, a Lucio non importava un fico secco, né si sarebbe mai sognato, nelle sue recenti e purtroppo finali incursioni nella teologia, di stabilire se a Dio le scelte sessuali interessino quanto interessano a molti preti.
Comunque - e tutto sommato è il classico lieto fine - il breve monito di monsignor Cavina a tutela dell’eucaristia e contro gli "stati di vita che contraddicono quel sacramento" (?!) è passato quasi inosservato e inascoltato. Come un dettaglio burocratico.
Marco Alemanno ha incarnato in una chiesa, e in una cerimonia che più pubblica non si sarebbe potuto, tutta la dignità di un amore tra uomini. Semmai, c’è da domandarsi quanti omosessuali cattolici meno famosi, e meno protetti dal carisma dell’arte, abbiano potuto sentirsi allo stesso modo membri della loro comunità.
L’augurio è che la breve orazione di Marco per Lucio costituisca un precedente. Per gli omosessuali non cattolici, il dettato clericale in materia non costituisce il benché minimo problema: francamente se ne infischiano. Ma per gli omosessuali cattolici lo costituisce, eccome. Ed è a loro, vedendo Marco Alemanno pregare per il suo uomo accanto all’altare, che corre il pensiero di tutte le persone di buona volontà.
La Chiesa e Dalla il muro abbattuto
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 7 marzo 2012)
Alla fine resta il simbolo potente dei funerali di Dalla, che segnano il crollo del muro tenacemente difeso dalla Chiesa per anni e anni nei confronti dell’omosessualità. La Chiesa cattolica vive di simboli. E ora un solo segno rimane scolpito nella memoria collettiva: la curia arcivescovile di Bologna non ha avuto il coraggio di impedire solenni esequie cristiane ad un gay praticante. Non ha avuto la forza di negare il discorso funebre - praticamente a pochi metri dall’altare - al suo compagno innamorato. Non ha nemmeno potuto usare l’omelia per censurare il “peccatore” affidato alla “misericordia” dell’Aldilà. Il Muro di Berlino si è sbriciolato quando i dirigenti della Ddr hanno ammesso che non c’erano più armi per tenerlo in piedi.
Così è successo a Bologna. Dinanzi al corpo di un credente discreto si sono frantumate le tortuose distinzioni, solitamente invocate, tra il rispetto per l’essere umano e la condanna inappellabile del “grave disordine morale” rappresentato (per il catechismo ratzingeriano) dalla condotta omosessuale. Da oggi in ogni diocesi i familiari e i compagni o le compagne di un cristiano gay rivendicheranno il diritto ad avere esequie eguali.
Per capire l’impatto dell’evento va ricordato che se Milano nei decenni trascorsi è stata con i suoi cardinali Martini e Tettamanzi la capitale di un cattolicesimo che voleva respirare oltre i dogmi dottrinali, Bologna all’opposto è stata la casamatta di una interpretazione regressiva della dottrina. Ancora poche settimane fa il cardinale Caffarra chiedeva il ritiro delle associazioni cattoliche dalla consulta familiare cittadina, perché il Comune si era permesso di invitarvi una rappresentanza gay.
Domenica le barricate anti-gay ecclesiastiche si sono liquefatte nella constatazione che, rispetto al percorso spirituale di Dalla, le sue relazioni e il suo orientamento sessuale erano totalmente nonrilevanti. Anzi, nel susseguirsi di testimonianze commosse sul mondo interiore di Lucio - da parte di francescani, domenicani e di un monaco pensatore come Enzo Bianchi - è apparsa ancora più siderale la distanza tra il sentire reale dei cattolici italiani e l’irrigidirsi inutile (e muto) della gerarchia ecclesiastica.
Su Avvenire la lettrice Nerella Buggio scrive che le scelte di Dalla non riguardano nessuno “perché siamo liberi e ognuno è libero di fare le scelte più opportune; se si tratta di un cattolico sarà eventualmente un problema suo, se la vedrà con il suo confessore e con Dio, non spetta certo a noi giudicarlo...”. Il terreno su cui si incrociano in Italia laicità e cattolicesimo profondo è questo.
Lo stesso cardinale Bagnasco, rovesciando la linea tenuta da Ruini sul caso Welby, lo rende evidente quando dichiara che “di fronte ai morti preghiamo gli uni per gli altri, sempre”. Ora il punto non è passare il tempo a discutere dell’ipocrisia della Chiesa istituzionale o del perché gli italiani siano abituati a gestire senza outing i propri affari personali.
La questione da affrontare è un’altra. Se persino i vertici ecclesiastici avvertono l’insostenibilità della pubblica riprovazione di una vita gay, non si comprende perché lo Stato italiano tardi ancora a varare una legge che riconosca a due partner omosessuali di stringere pubblicamente un patto di vita in comune.
L’accordo trasversale per un contratto tipo Pacs era già pronto in Parlamento nel 2004 (convergenti Franco Grillini per il centrosinistra e Dario Rivolta di Forza Italia). La maggioranza del Paese era d’accordo. Poi il cardinale Ruini bloccò tutto. Si allinearono supini Berlusconi e co. e quegli eterni segmenti di centro-sinistra, che confondono fede e subalternità al Vaticano. Il Parlamento resterà inerte oggi in un’Italia ancora più evoluta? Sarebbe notevole se un centinaio di parlamentari bipartisan, dando un senso al 4 marzo, rilanciassero una legge per le coppie di fatto. Pier Ferdinando Casini, che ha assistito ai funerali non certo con l’imbarazzo di pregare per una persona “contro-natura”, potrebbe firmare anche lui in nome del futuro Partito della Nazione.