In Spagna, nonostante l’opposizione della Chiesa, la legge è entrata nel costume
di Sandrine Morel
in “Le Monde” del 13 gennaio 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)
Sette anni e 23 000 matrimonio omosessuali dopo, che cosa resta del dibattito sulle unioni tra persone dello stesso sesso che aveva scosso la Spagna, al tempo del voto sulla legge, nel 2005? “Nulla”, dichiara decisamente la presidentessa della Federazione lesbiche, gay, transessuali e bisessuali (FELGTB), Boti Garcia, che parla oggi di “normalizzazione assoluta”.
Circa il 70% degli spagnoli sono oggi favorevoli al matrimonio gay rispetto al 60% in occasione del voto sulla legge. Le unioni si celebrano in pace, come le adozioni di figli da parte di coppie omo. E la battaglia giudiziaria è stata richiusa con la risoluzione del Tribunale costituzionale, il 6 novembre 2012, a favore del “matrimonio egualitario”. Ma il percorso fu seminato di trappole. Nel 2003 le organizzazioni gay e lesbiche cominciano la lotta presentando delle richieste di matrimonio gay nei comuni. Per parlare ad una sola vice, si uniscono in seno ad una stessa piattaforma, la FELGTB.
Nei mesi precedenti le elezioni del marzo 2004, fanno pressione sul partito socialista, allora all’opposizione, per “trasmettere l’idea che non eravamo cittadini differenti e che di conseguenza non dovevamo avere diritti differenti”, spiega la signora Garcia. Ottengono che il provvedimento figuri nel programma elettorale di José Luis Rodriguez Zapatero.
Una volta eletto, il giovane presidente si affretta a mantenere la promessa fatta in campagna elettorale: uno schema di progetto di legge viene redatto alla fine del 2004. L’idea è di effettuare una semplice sostituzione nel codice civile dei termini che definiscono il matrimonio come l’unione di un uomo e di una donna con la parola “coniugi”. “La cosa più bella di questa legge è che è esattamente la stessa del resto della società”, assicura la signora Garcia. Nel marzo 2005, il testo comincia, tra vive polemiche, il suo percorso legislativo.
La Chiesa, che gode ancora di un potere e di un’influenza considerevole, utilizza tutti gli strumenti in suo possesso per impedirne l’approvazione. Ma il governo socialista non si lascia impressionare. Né dai volantini distribuiti durante le messe o dalle petizioni firmate all’uscita dalle scuole cattoliche. Né da certi giudici che paragonano pubblicamente il matrimonio gay ad un’unione tra un uomo e un animale. E neanche dalla manifestazione massiccia del 18 giugno 2005 che riunisce a Madrid 1,5 milioni di persone secondo gli organizzatori, 180 000 secondo la polizia.
Convocata dall’associazione ultraconservatrice e cattolica Forum delle famiglie, vi partecipano anche vescovi accanto a rappresentanti di peso del Partito popolare (oggi al potere), tra cui gli attuali ministri dell’agricoltura, Miguel Angel Arias Canete o delle infrastrutture, Ana Pastor. La signora Garcia se ne ricorda come se fosse ieri. “I vescovi con la loro tonaca nera e la croce che brillava al sole, traspiravano omofobia, racconta ancora scossa. In piazza Colon, hanno fatto salire sul palco anche dei bambini, contro i nostri diritti...”
Nonostante queste pressioni, il 30 giugno 2005, la Spagna diventa il terzo paese europeo a legalizzare il matrimonio gay, dopo i Paesi Bassi e il Belgio. La legge viene votata con 187 voti a favore e 147 contrari. L’11 luglio viene celebrato il primo matrimonio tra due uomini. Tuttavia gli attacchi continuano. La Conferenza episcopale spagnola moltiplica le critiche e dal Vaticano l’ex presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, il cardinale colombiano Alfonso Lopez Trujillo, invita i funzionari municipali a non sposare le coppie omosessuali. Mentre diversi giudici, invocando una “impossibilità morale” o mettendo in discussione la costituzionalità del testo, rifiutano di scrivere i matrimoni gay nel registro civile.
Una cinquantina di deputati del Partito Popolare decidono in settembre di deporre un ricorso davanti al Tribunale costituzionale, facendo planare sulle unioni già celebrate una spada di Damocle. “Per sei anni, abbiamo vissuto in un’insicurezza immensa, non solo delle nostre coppie, ma dei nostri figli”, sottolinea la signora Garcia. Nel novembre 2012, il tribunale ha chiuso il dibattito.
Materiali per riflettere:
VIVA LA SPAGNA, LA SPAGNA DEMOCRATICA. UOMINI E DONNE, CITTADINI E CITTADINE...
IL CATTOLICESIMO CON LA CROCE UNCINATA
UOMO-DONNA: "I SOGGETTI SONO DUE, E TUTTO E’ DA RIPENSARE" (Laura Lilli, 1993)!!!
AL DI LA’ DEI FONDAMENTALISMI LAICI E RELIGIOSI: UNA SECONDA RIVOLUZIONE COPERNICANA
La battaglia perduta della Chiesa
di Danièle Hervieu-Léger*
in “Le Monde” del 13 gennaio 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)
Il discorso ostile della Chiesa sul “matrimonio per tutti” conferma la sua incapacità di adattamento alle nuove vie della famiglia
Nel dibattito sul matrimonio per tutti, non sorprende che la Chiesa cattolica faccia sentire la sua voce. Sorprende di più che eviti con cura ogni riferimento ad una proibizione religiosa. Per rifiutare l’idea del matrimonio omosessuale, la Chiesa invoca infatti una “antropologia” che la sua “esperienza in umanità” le dà titolo di riferire a tutti gli uomini, e non solo ai suoi fedeli.
Il nocciolo di questo messaggio universale è l’affermazione secondo la quale la famiglia coniugale - costituita da un padre (maschio) e da una madre (femmina) e da figli che essi procreano insieme - è la sola istituzione naturale suscettibile di fornire al rapporto tra coniugi e tra genitori e figli, le condizioni della sua realizzazione.
Assegnando a questa definizione della famiglia una validità “antropologica” invariante, la Chiesa difende in realtà un modello di famiglia che essa stessa ha prodotto. Ha cominciato a dare forma a questo modello fin dai primi tempi del cristianesimo, combattendo il modello romano di famiglia che si opponeva allo sviluppo delle sue imprese spirituali e materiali, e facendo del consenso dei due sposi il fondamento stesso del matrimonio.
Nel modello cristiano del matrimonio - stabilizzato tra il XII e il XIII secolo -, si presuppone che il volere divino si esprima in un ordine della natura, assegnando all’unione il ruolo della procreazione e mantenendo il principio di sottomissione della donna all’uomo. Significherebbe far torto alla Chiesa non riconoscere l’importanza che questo modello ha avuto nella protezione dei diritti delle persone e dello sviluppo di un ideale di coppia fondato sulla qualità affettiva della relazione tra i coniugi. Ma la distorsione operata facendone il riferimento insuperabile di ogni coniugalità umana è così resa solo più palpabile.
Infatti questa antropologia prodotta dalla Chiesa entra in conflitto con tutto ciò che gli antropologi descrivono invece della variabilità dei modelli di organizzazione della famiglia e della genitorialità nel tempo e nello spazio. Nel suo sforzo per tenere a distanza la relativizzazione del modello familiare europeo indotto da questa constatazione, la Chiesa non ricorre solo all’aiuto di un sapere psicanalitico esso stesso costituito in riferimento a quel modello.
Trova anche, nell’omaggio insistente reso al codice civile, un mezzo per dare un sovrappiù di legittimazione secolare alla sua opposizione ad ogni evoluzione della definizione giuridica di matrimonio. La cosa è inaspettata, se si pensa all’ostilità che essa manifestò a suo tempo all’istituzione del matrimonio civile. Ma questa grande adesione si spiega se ci si ricorda che il codice napoleonico, che ha eliminato il riferimento diretto a Dio, ha però fermato la secolarizzazione alla soglia della famiglia: sostituendo all’ordine fondato in Dio l’ordine non meno sacro della “natura”, il diritto si è fatto esso stesso il garante dell’ordine immutabile che assegna agli uomini e alle donne dei ruoli diversi ed ineguali per natura.
Il riferimento preservato all’ordine non istituito della natura ha permesso di affermare il carattere “perpetuo per destinazione” del matrimonio e di proibire il divorzio. Questa estensione secolare del matrimonio cristiano operata dal diritto ha contribuito a preservare, al di là della laicizzazione delle istituzioni e della secolarizzazione delle coscienze, l’ancoraggio culturale della Chiesa in una società nella quale non le era concesso dire la legge in nome di Dio nell’ambito politico: l’ambito della famiglia restava infatti l’unico sul quale poteva continuare a combattere la problematica moderna dell’autonomia dell’individuo-soggetto.
Se la questione del matrimonio omosessuale può essere considerata come il luogo geometrico dell’esculturazione della Chiesa cattolica nella società francese, è dovuto al fatto che tre movimenti convergono in questo punto per dissolvere i residui di affinità elettiva tra la problematica cattolica e quella secolare del matrimonio e della famiglia.
Il primo di questi movimenti è l’estensione della rivendicazione democratica al di fuori della sola sfera politica: una rivendicazione che raggiunge la sfera dell’intimità coniugale e della famiglia, che fa valere i diritti imprescrittibili dell’individuo rispetto ad ogni legge data dall’alto (quella di Dio o quella della natura) e rifiuta tutte le disuguaglianze fondate in natura tra i sessi.
Da questo punto di vista, il riconoscimento giuridico della coppia omosessuale si inserisce nel movimento che - dalla riforma del divorzio alla liberalizzazione della contraccezione e dell’aborto, dalla ridefinizione dell’autorità genitoriale all’apertura dell’adozione alle persone celibi/ nubili - ha fatto entrare la problematica dell’autonomia e dell’uguaglianza degli individui nella sfera privata.
Questa espulsione progressiva della natura fuori dalla sfera del diritto è essa stessa resa irreversibile da un secondo movimento, che è la rimessa in discussione dell’assimilazione, acquisita nel XIX secolo, tra l’ordine della natura e l’ordine biologico. Questa assimilazione della “famiglia naturale” alla “famiglia biologica” si è iscritta nella pratica amministrativa e nel diritto.
Da parte della Chiesa, lo stesso processo di biologizzazione è sfociato, in funzione dell’equivalenza stabilita tra ordine della natura e volere divino, nel far coincidere, in maniera molto sorprendente, la problematica teologica antica della “legge naturale” con l’ordine delle “leggi della natura” scoperte dalla scienza. Questo schiacciamento rimane al principio della sacralizzazione della fisiologia che segna le argomentazioni pontificie in materia di proibizione della contraccezione o della procreazione medicalmente assistita. Ma, all’inizio del XXI secolo, è la scienza stessa che contesta l’oggettività di tali “leggi della natura”.
La natura non è più un “ordine”: è un sistema complesso che unisce azioni e retroazioni, regolarità e incognite. Questo nuovo approccio fa andare in frantumi i giochi di equivalenza tra naturalità e sacralità di cui la Chiesa ha armato il suo discorso normativo su tutte le questioni riguardanti la sessualità e la procreazione. Le resta quindi, come sola legittimazione esogena e “scientifica” di un sistema di proibizioni che ha sempre meno senso nella cultura contemporanea, il ricorso intensivo e disperato alla scienza degli psicanalisti, ricorso più precario e soggetto a contraddizioni, ce ne rendiamo conto, delle “leggi” dell’antica biologia.
La fragilità dei nuovi montaggi sotto cauzione psicanalitica attraverso i quali la Chiesa fonda in assolutezza la sua disciplina dei corpi viene messa in luce dalle evoluzioni della famiglia coniugale stessa. Perché l’avvento della “famiglia relazionale” ha, in poco più di mezzo secolo, fatto prevalere il primato della relazione tra gli individui sul sistema di posizioni sociali fondate sulle differenze “naturali” tra i sessi e le età.
Il cuore di questa rivoluzione, nella quale il controllo della fecondità ha una parte immensa, è la separazione del matrimonio dalla filiazione, e la correlativa pluralizzazione dei modelli familiari composti e ricomposti. Il diritto di famiglia ha omologato questo fatto importante e ineluttabile: ormai non è più il matrimonio che fa la coppia, è la coppia che fa il matrimonio.
Questi tre movimenti - uguaglianza dei diritti fin nell’ambito intimo, decostruzione del supposto ordine della natura, legittimità dell’istituzione ormai fondata sulla relazione degli individui - si cristallizzano insieme in una esigenza irreprimibile: quella del riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso, e del loro diritto, tramite l’adozione, di formare una famiglia.
Di fronte a questa esigenza, le argomentazioni sostenute dalla Chiesa - fine della civiltà, perdita di punti di riferimento fondativi dell’umano, minaccia di dissoluzione della cellula familiare, indifferenziazione dei sessi, ecc. - sono le stesse che furono usate, a suo tempo, per criticare l’impegno professionale delle donne al di fuori del focolare domestico o per combattere l’instaurazione del divorzio consensuale.
È poco probabile che la Chiesa possa, con questo tipo di armi, arginare il corso delle evoluzioni. Oggi, o domani, l’evidenza del matrimonio omosessuale finirà per imporsi, in Francia come in tutte le società democratiche. Il problema non è sapere se la Chiesa “perderà”: essa ha già perduto - molto al suo interno, e anche nella gerarchia lo sanno.
Il problema più cruciale che essa deve affrontare è quello della propria capacità di produrre un discorso che possa essere ascoltato sul terreno stesso degli interrogativi che si pongono sulla scena rivoluzionata della relazione coniugale, della genitorialità e del rapporto familiare. Quello, ad esempio, del riconoscimento dovuto alla singolarità irriducibile di ogni individuo, al di là della configurazione amorosa - eterosessuale o omosessuale - nella quale è impegnato.
E ancora quello dell’adozione, che, da parente povero della filiazione qual era, potrebbe diventare al contrario il paradigma di ogni genitorialità, in una società, in cui, indipendentemente dal modo in cui lo si fa, la scelta di “adottare il proprio figlio”, e quindi di impegnarsi nei suoi confronti, costituisce la sola difesa contro le perversioni possibili del “diritto ad avere un figlio”, che minacciano le coppie eterosessuali non meno delle coppie omosessuali. In questi diversi ambiti, ci aspettiamo una parola rivolta a persone libere. Il matrimonio omosessuale non è certo la fine della civiltà. Ma potrebbe costituire una pietra miliare drammatica quanto lo fu l’enciclica Humanae Vitae nel 1968 nel cammino verso la fine del cattolicesimo in Francia, se il discorso della Chiesa rimane solo quello della proibizione. E questa non è un’ipotesi solo teorica.
*Danièle Hervieu-Léger
Sociologa, Directrice d’études alla EHESS (Ecole des hautes études en sciences sociales). Ha diretto dal 1993 al 2004 il Centro di studi interdisciplinari dei fatti religiosi (CNRS/EHESS) e ha presieduto l’EHESS dal 2004 al 2009.
Ha pubblicato, tra l’altro: "Vers un nouveau christianisme" (éd. Cerf, 2008), "Le Retour à la nature" (éd. de l’Aube, 2005) e "Catholicisme, la fin d’un monde" (Bayard, 2003)
Der Tagesspiegel online - 15 maggio 2010
Spagna
Vittoria differita per Francisco Franco
(traduzione dal tedesco di José F. Padova) *
Le dittature lasciano il segno, negli animi sopra, nelle fosse comuni sotto la terra. Dopo la loro fine i conti restano in sospeso per anni e anni, o non si chiudono mai. In Spagna alla terribile Guerra civile 1936-39 ha fatto seguito la repressione, più crudele perché fatta a freddo, di “quelli della sinistra”, durata fino alla morte del despota nel 1974. I calcoli delle vittime, per forza imprecisi, superano le 100.000. Zapatero ha fatto un primo tentativo di revisione, compresa la riesumazione dei resti mortali (di moltissime fosse comuni si è perduta l’ubicazione!). Un colpo molto forte contro i simpatizzanti fascisti lo ha dato Balthazar Garzón, giudice istruttore noto per aver incriminato Pinochet e la Giunta argentina per crimini contro l’umanità. La reazione non si è fatta attendere: la Corte Suprema spagnola ha sospeso, per ora, il giudice perché avrebbe travalicato le sue competenze. La notizia in Italia non ha avuto il rilievo che merita e il perché lo possiamo ben capire.
Fra i molti apparsi all’estero accludo un articolo del Tagesspiegel e un link a un altro scritto di Die Zeit del marzo 2009.(José F. Padov)
Il giudice-star spagnolo Garzón è sospeso - perché ha indagato su delitti commessi in violazione dei diritti umani. Con le sue indagini contro dittatori in tutto il mondo e anche contro l’ex despota spagnolo di destra Francisco Franco, Garzón era diventato la coscienza, proiettata sul mondo, della nazione.
http://www.tagesspiegel.de/politik/spaeter-sieg-fuer-franco/1838714.html
Il giudice delle indagini più efficiente del Paese, che ha fatto tremare terroristi, boss della mafia e criminali di stato, deve lasciare il suo posto. Così ha deciso il Consiglio Superiore della Magistratura spagnolo, che ha sospeso Garzón, 54 anni, il quale lavora da 22 anni al Tribunale Nazionale come giudice delle indagini.
Le proteste dei parenti di vittime della dittatura franchista hanno potuto fare poco e altrettanto le manifestazioni di solidarietà dei gruppi per i diritti delle persone, dei Premi Nobel e degli studiosi di diritto internazionale di molti Paesi. Nella capitale Madrid vanno sulle barricate contro il divieto, per il più famoso cacciatore di criminali di Spagna, di esercitare la sua professione: “Indagare sui delitti della dittatura di Franco non è un delitto!”, gridano. Con le sue indagini contro i dittatori in tutto il mondo e anche contro l’ex despota spagnolo Francisco Franco, Garzón era diventato la coscienza, proiettata sul mondo, della nazione.
La sua temporanea destituzione costituisce per il giurista la più grande sconfitta della sua carriera. E questo è soltanto il primo colpo contro lo scomodo giudice delle indagini, che con la sua azione imperterrita contro politici corrotti di tutti i partiti in Spagna si è fatto molti influenti nemici. Il secondo attacco è già avviato e consiste in un processo, che presto avrà inizio, per “usurpazione di funzioni pubbliche” - un procedimento giudiziario che è stato provocato da una denuncia da parte di gruppi dell’ultradestra, presenti nella sfera d’influenza dei simpatizzanti di Franco, ancora sempre numerosi.
Garzón avrebbe commesso la sua “usurpazione di funzioni pubbliche”, essi sostengono, perché avrebbe osato investigare - del resto unico giudice in tutta la Spagna -sui gravi crimini contro i diritti dell’umanità commessi dalla dittatura di Franco. Di questi crimini contro il diritto internazionale delle genti, finora inespiati, fa parte l’assassinio sistematico di più di 100.000 oppositori di sinistra durante i primi anni del regime franchista. Le loro spoglie mortali furono sotterrate in fosse comuni e fino ad oggi non sono ancora riemerse. Sorprendentemente la denuncia dei seguaci di Franco contro l’indagatore antifranchista, che all’inizio pareva assurda, ha trovato sostenitori molto influenti: nella Corte Suprema, che adesso mette Garzón sul banco degli imputati; nel maggior partito conservatore d’opposizione di Spagna, che ospita molti veterani di Franco e che ha ancora conti aperti con Garzón a causa di accuse di corruzione contro pezzi grossi del partito. E infine anche nel governo socialista - al quale non è piaciuto che Garzón abbia scosso il tabù sociale e voglia tirar fuori la salma di Franco da sotto il tappeto della storia. Una discutibile legge di amnistia del 1977 ha garantito l’impunità agli sgherri di Franco - nonostante questo contraddica il diritto internazionale, come nel frattempo ha stabilito il Tribunale europeo per i diritti dell’uomo.
Con la sua sospensione dovrebbe incontrare difficoltà anche il piano di Garzón di trasferirsi al Tribunale Penale Internazionale dell’Aja e proseguire così ancor più degnamente la sua carriera di pubblico accusatore. Il capo della Procura del Tribunale, Luis Moreno Ocampo, aveva offerto a Garzón, esperto in diritti dell’uomo, di lavorare per lui come consulente. Il Tribunale penale, di recente costituzione, ha il compito di indagare sui crimini contro i diritti dell’uomo commessi in tutto il mondo.
Garzón, che già negli anni ’90 aveva svolto indagini sull’ex dittatore cileno Augusto Pinochet e la precedente giunta militare argentina e che così divenne noto come il “cacciatore dei tiranni”, ha fama mondiale come promotore della “giustizia universale”, ovvero della punizione su scala mondiale dei crimini contro l’umanità. Nel caso dovesse essere effettivamente condannato dalla Corte Suprema della sua patria, la sua carriera come giurista potrebbe avere fine - e questo significherebbe una tardiva vittoria di Franco, i cui eredi con la liquidazione di Garzón si sbarazzerebbero del loro più pericoloso nemico in tempo di democrazia.
Ndt.: vedi anche http://www.ildialogo.org/estero/articoli_1238702409.htm
Un testo storico fondamentale è: Hugh Thomas, Storia della guerra civile spagnola, Einaudi, 1963.
* Il Dialogo, Giovedì 27 Maggio,2010 Ore: 14:19
CATTOLICI SENZA DIRITTI
di Atrio
Due pesi e due misure: nel 60.mo della dichiarazione dei diritti umani, la chiesa continua a negarli al suo interno.
Questo articolo del teologo spagnolo juan josé tamayo è stato pubblicato sul sito internet spagnolo di informazione religiosa progressista “atrio” (10/12/2008). Titolo originale: “derechos humanos en la iglesia: la incoherencia vaticana”*
La celebrazione del sessantesimo anniversario della Dichiarazione dei Diritti umani invita a riflettere sulla situazione dei diritti umani nella Chiesa Cattolica, una delle istituzioni che storicamente ha opposto maggiore resistenza alle libertà moderne.
La Legge Fondamentale dello Stato della Città del Vaticano, promulgata nel febbraio del 2001, stabilisce nel suo 1.mo articolo che “il Papa detiene nella sua persona la pienezza del potere legislativo, esecutivo e giudiziario”.
Dopo il Concilio c’era l’intenzione di scrivere una Legge Fondamentale della Chiesa, ma il progetto non andò in porto. Solo nel 1983 venne promulgato il Codice di Diritto Canonico che, sebbene sia valido solo per la Chiesa Latina, praticamente con i suoi 1752 articoli (o canoni) è la Magna Carta della Chiesa cattolica. Qui non c’è la divisione dei poteri, ma la potestà suprema: “Il vescovo della Chiesa di Roma, in forza del suo ufficio, ha potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente” (can. 331).
Di conseguenza, la cultura dei diritti umani è assente dalla sua organizzazione, che si configura con una struttura bipolare (chierici e laici, Chiesa docente e Chiesa discente, gerarchia e popolo di Dio), funziona in modo gerarchico-piramidale (pastori-gregge) e rifiuta la democratizzazione sostenendo che è di istituzione divina e che ha fini spirituali. Cosa che, di primo impatto, cozza con il titolo di capo di Stato della Città del Vaticano che ostenta il papa. Per questo la trasgressione dei diritti umani nella Chiesa cattolica non è una patologia, ma una pratica strutturale, inerente al paradigma ecclesiastico attuale che non corrisponde all’intenzione del fondatore né alle origini del cristianesimo.
Il papa e i vescovi cattolici difendono i diritti umani nella società e ne denunciano la trasgressione, ma disconoscono e non rispettano i diritti dei cristiani e delle cristiane in seno alla Chiesa. Difendono la libertà nella società, ma si dimenticano della libertà cristiana, riconosciuta in molteplici forme nei testi fondamentali del cristianesimo. Come si può negare la libertà ai cristiani e alle cristiane quando Paolo di Tarso dichiara: “Cristo ci ha liberato per essere liberi” (Gal 5,1)? È l’incoerenza vaticana. Vediamone alcuni esempi.
Le donne sono escluse dal sacerdozio, dall’episcopato e dal papato e dai posti di responsabilità ecclesiale, con la giustificazione che Gesù era maschio e che può essere rappresentato solo da maschi. Si fa diventare Gesù di Nazaret un maschilista quando è stato quello che ha messo in moto il movimento egualitario di donne e uomini. La Congregazione per la Dottrina della Fede ha minacciato di scomunica il teologo nordamericano Roy Bourgeois perché ha affermato che le donne hanno la stessa dignità degli uomini per essere sacerdoti e che nella Bibbia non c’è niente che si opponga all’ordinazione delle donne. La sua risposta è stata che il sessismo e il razzismo sono peccati e che la discriminazione di genere è immorale. Come si può praticare la discriminazione contro le donne impunemente nella Chiesa cattolica quando Paolo di Tarso ha scritto, a metà del primo secolo, che “non c’è greco, né schiavo, né libero, né uomo, né donna, perché tutti sono uno in Cristo Gesù” (Gal 3,26)?
Si obbligano i sacerdoti ad essere celibi e a rinunciare al matrimonio quando teologicamente e storicamente non esiste un vincolo intrinseco fra sacerdozio e celibato. Non si riconoscono né si rispettano libertà quali quelle di espressione, ricerca, insegnamento e stampa. Ci sono decine di teologhe e teologi condannati per i loro scritti e le loro dichiarazioni pubbliche, che, inoltre, vengono obbligati a sottomettere a censura previa tutto quello che scrivono. In qualche caso, libri pubblicati “con i nullaosta” ecclesiastici vengono ritirati dal commercio. Anche l’opzione per i poveri è condannata talvolta con pene severissime, come nel caso della teologia della liberazione - demonizzata dal cardinal Ratzinger quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede nell’Istruzione su alcuni aspetti della teologia della liberazione - e di alcuni suoi principali rappresentanti, per esempio Leonardo Boff. I processi contro i teologi e le teologhe non sono precisamente un esempio di trasparenza e di rispetto dei diritti umani; al contrario, gli accusati constatano come questi processi violino sistematicamente i diritti riconosciuti dalla giustizia civile. Si sentono soli davanti al pericolo, senza difesa né possibilità d’appello. Inoltre, la sentenza è dettata a priori.
E non contenta di reprimere i diritti umani all’interno della Chiesa, la gerarchia cattolica si oppone all’esercizio di alcuni diritti e libertà fondamentali nella società: il diritto al libero esercizio della sessualità, condannando l’omosessualità, opponendosi alla sua totale depenalizzazione e generando con le sue condanne atteggiamenti omofonici. Condanna la ricerca sulle cellule staminali embrionali a fini terapeutici, pratica che alcuni leader della Chiesa cattolica paragonano agli esperimenti nazisti nei campi di concentramento. Nega i diritti riproduttivi e sessuali delle donne.
I rappresentanti della Chiesa cattolica giocano un ruolo molto attivo contro i diritti delle donne nelle Conferenze Internazionali su Ambiente, Sviluppo e Povertà, Emancipazione della donna, ecc., facendo causa comune con altre realtà religiose integriste. Succede che, in questi casi, estendono la proibizione di questi diritti a tutti i cittadini e le cittadine. Ancor più, si oppongono alle leggi che regolano questi diritti, sollecitando che non siano rispettati, perché considerano che sono contrari alla legge naturale. Si ripete l’atteggiamento di condanna delle libertà e dei diritti umani adottato dalla gerarchia cattolica durante il secolo XIX e buona parte del XX. Sembra che la storia della Chiesa sia tornata indietro e che si sia fermata a due secoli fa.
Due fatti recenti mettono a nudo l’insensibilità del Vaticano in questo campo: il suo rifiuto di firmare la convenzione dell’Onu sui diritti delle persone disabili e l’opposizione alla proposta avanzata dalla Francia alle Nazioni Unite di depenalizzare totalmente l’omosessualità nel mondo, visto che in vari Paesi l’omosessualità viene punita con la pena di morte. Non accettare la depenalizzazione implica la condanna a morte di gay e lesbiche che vivono in questi Paesi. Con il suo atteggiamento, il Vaticano sta violando in modo flagrante il primo fra tutti i diritti umani: quello alla vita. Che credibilità ha quando reclama il diritto per i non nati se legittima la pena di morte di cittadini e cittadine a causa del libero esercizio della loro sessualità?
La celebrazione del 60.mo anniversario della Dichiarazione dei Diritti Umani mi sembra una buona occasione perché la Chiesa cattolica nel suo insieme, a partire dai suoi dirigenti, faccia un “esame di coscienza” sulla violazione dei diritti umani al suo interno, manifesti un fermo proposito di ammenda, elabori una carta dei diritti e delle libertà dei credenti e metta in pratica i principi della Dichiarazione a tutti i livelli della sua organizzazione. Recentemente il Vaticano ha ampliato il catalogo dei peccati, ma non ne ha inserito uno che certamente è un “peccato mortale”: la trasgressione dei diritti umani in seno alla Chiesa.
Articolo tratto da
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Se la Chiesa esige uno "Stato cristiano"
di Carlo Galli (la Repubblica, 22.12.08)
Era parecchio tempo che non si sentiva utilizzare, nel dibattito pubblico, il termine "statolatria" (culto dello Stato): se ne è servito l’arcivescovo Angelo Amato per polemizzare contro l’Educazione alla cittadinanza, nuova materia di insegnamento nella Spagna di Zapatero. Per il prelato si tratta di un "indottrinamento laicista" che rinnova, in forme mutate, la pretesa dello Stato di esercitare sui cittadini un’autorità non solo legale, esteriore, ma anche pedagogica e morale, interiore. Uno Stato che fa concorrenza a Dio. Un tempo, con "statolatria" la cultura cattolica definiva polemicamente il fascismo, col quale la Chiesa si era conciliata ma di cui non poteva accettare il ruolo "totale" che esso assegnava alla statualità, e anche gli esiti politici dell’idealismo tedesco e italiano. Lo Stato è per Hegel «l’ingresso di Dio nel mondo», e per Gentile è «Stato etico»: lo Stato realizza il compimento della vita dell’uomo, è la fonte della sua esistenza storica, morale e politica, è l’orizzonte di ogni legittimità.
Espressione estrema della lotta moderna contro il principio d’autorità ecclesiastico, lo Stato etico viene prima del singolo e dei suoi diritti soggettivi, e, con la sua prassi educativa, porta l’arbitrio dei privati ad aderire pienamente e consapevolmente (e qui starebbe la vera libertà) a quella vita collettiva (la "nazione") di cui lo Stato è l’espressione storica più piena e razionale. Contro questo culto dello Stato si muovevano i socialisti, che nello Stato vedevano soprattutto l’aspetto giuridico del dominio di classe, i liberali (non tutti) ostili al superamento della centralità etica, giuridica e politica del singolo soggetto, e appunto anche il cattolicesimo che al potere autoreferenziale di uno Stato così inteso opponeva l’autonomia della Chiesa e della persona, entrambe di origine divina.
Ma che cosa significa il ricorso polemico al termine "statolatria" nel dibattito di oggi, quando lo Stato, con ogni evidenza, non ha più quelle pretese? Quando lo Stato etico è un’esperienza sconfitta dalla storia, e tutta la riflessione politica e morale, si orienta altrove per individuare le coordinate della libertà individuale e collettiva? Qual è la ragione di questo anacronismo lessicale? Siamo davanti, di fatto, all’equiparazione dello Stato laico contemporaneo allo Stato etico, all’assimilazione dell’educazione dei giovani alla cittadinanza democratica con la trasmissione autoritaria di specifici contenuti dottrinari, al timore che quando lo Stato educa al rispetto dei diritti realizzi una limitazione della libertà personale e collettiva, che il potere sia ormai (secondo le parole dell’arcivescovo) "biopolitico", che cioè si intrometta nella vita intima delle persone.
Ora, in questa argomentazione sono evidenti alcuni limiti: il primo è che tutto ciò sembra ricalcare le polemiche ecclesiastiche ottocentesche contro l’istruzione pubblica promossa dallo Stato, vista come una violazione dei diritti delle famiglie. Il secondo è che la Chiesa definisce "biopolitica" la legge di uno Stato, ma non la propria impressionante serie di divieti, che vincolano gravemente i diritti dei singoli credenti a determinare in modo autonomo come vivere, amare, procreare, morire. Il terzo limite è infine che qui si interpreta polemicamente come un contenuto ideologico particolare (e pericoloso) proprio quel principio di laicità dello Stato che è al contrario la condizione universale formale che fonda e garantisce la coesistenza dei singoli soggetti e dei gruppi sociali. Lo Stato laico (quale cerca di essere la Spagna) non può non insegnare ai giovani il pluralismo e la tolleranza. E non può non spiegare, a tutti i cittadini, che la legittimità del legame politico democratico e dei doveri che ne derivano sta nel fatto che le leggi dello Stato rispettano e valorizzano i diritti umani, civili, sociali e politici, e non servono ad affermare un’identità religiosa o culturale (né, ovviamente, etnica), neppure se è quella della maggioranza. Questo non è l’insegnamento di un’ideologia che fa dello Stato un idolatrico concorrente di Dio, ma della libertà dei moderni, e dei contemporanei.
E se non si vuole comprendere che la laicità dello Stato non è un opinabile valore fra gli altri ma è la decisione fondamentale della civiltà moderna che realizza la tutela politica della libera espressione sociale di ogni possibile fede e cultura, dell’uguale dignità dei più vari progetti di vita purché non implichino violenza e dominio su altri; se si critica e si combatte come statolatria, come culto dello Stato, l’esistenza e l’azione di uno Stato che rende possibili tutti i culti (e anche il rifiuto dei culti) e tutte le culture; allora in realtà non si vuole, al di là delle espressioni verbali, uno Stato laico ma uno Stato cristiano, o almeno uno Stato che di fatto privilegia il cristianesimo. Come la distinzione fra laicità e laicismo, così il ricorso al termine "statolatria" è quindi più che una scelta linguistica: è un chiaro segno, fra molti altri, di un preciso indirizzo di politica ecclesiastica di cui farebbero bene a essere consapevoli tutti quei laici che del ruolo dello Stato hanno ancora un concetto adeguato.
Ansa» 2008-12-18 14:53
VATICANO: IN SPAGNA INDOTTRINAMENTO LAICO E STATOLATRIA
CITTA’ DEL VATICANO - In Spagna sta avanzando l’indottrinamento laico, la "statolatria", ovvero l’ingerenza dello Stato nella vita personale di ognuno. A denunciarlo, con parole molto forti in un’intervista alla rivista "Il Consulente Re", è mons. Angelo Amato, attuale prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, già ex segretario della Dottrina della Fede, ed amico personale di Papa Ratzinger.
’’Ovviamente qui a Roma noi sappiamo bene di questo grave problema’’, ha osservato il presule, che quasi certamente diverra’ cardinale nel prossimo concistoro. ’’Fortunatamente - ha aggiunto - possiamo contare su una Chiesa spagnola che ha approfondito seriamente il problema e ha dato una risposta pubblica e chiara, in base al principio cattolico della difesa della liberta’ religiosa e dei principi della dignita’ della vita e di ogni persona’’.
’’La questione - ha aggiunto - e’ che in tutta Europa si sta introducendo la categoria della cosiddetta biopolitica. Lo Stato cioe’ entra sempre piu’ nella vita personale di ognuno: obbliga le famiglie a scegliere determinate scuole con determinate materie, non d’istruzione ma d’indottrinamento’’. ’’Avanza - ha aggiunto - la statolatria, che, apparentemente eliminata, rientra dalla finestra. Certo la Chiesa in Spagna e’ molto reattiva, sta reagendo molto bene con grande dignita’ e grande fermezza a un’intrusione statale assolutamente illegittima sul tema dell’educazione dei propri giovani’’. Sono considerazioni che mons. Amato ha fatto, partendo dalle cosidette ’’leggi etiche’’ del governo Zapatero, tra cui l’introduzione nelle scuole dell’ ’’Educazione alla cittadinanza’’.
L’offensiva neodogmatica
Ogni giorno di più la Chiesa di Benedetto XVI mostra un volto arcigno alle donne e agli uomini del suo tempo. Accusa di «statolatria» il governo spagnolo, colpevole di «indottrinamento laico».
di Gad Lerner (la Repubblica, 19.12.2008)
Scomunica le sentenze della magistratura italiana sul caso Englaro, paragonandole a una condanna a morte. Proclama l’impossibilità del dialogo interreligioso, raccomandando di «mettere tra parentesi la propria fede» quando ci si confronta con le altrui confessioni. Il papa stesso si erge a maestro di dottrine politiche affermando ? nell’insolita, entusiastica, lettera a Marcello Pera ? che l’unica cultura liberale possibile sarebbe quella radicata nell’immagine cristiana di Dio. Sposando così la forzatura identitaria del "dobbiamo dirci cristiani" e vincolando le scelte etiche della collettività al principio unilaterale dell’agire "come se Dio ci fosse". Il Dio trinitario cristiano, naturalmente, per l’ennesima volta nominato invano.
L’attacco diretto alla Spagna segnala il disorientamento con cui la Chiesa reagisce alla perdita del ruolo di guida esclusiva della morale pubblica, nell’epoca della biopolitica. Sfiduciato nella sua capacità di esercitare una testimonianza evangelica, Benedetto XVI punta sul rafforzamento di un fronte laico conservatore che assuma la dottrina cattolica come ideologia dell’"ordine naturale"; per influenzare così le scelte inedite che le democrazie sono chiamate a compiere di fronte ai progressi tecnico-scientifici e all’evoluzione dei comportamenti familiari.
Ma il tono virulento che ormai contraddistingue l’attuale pontificato ? più politico che teologico ? rivela tutta la sua debolezza proprio quando deve fare i conti con le vicissitudini storiche da cui tale debolezza scaturisce. Non a caso il predecessore Giovanni Paolo II aveva impostato il Giubileo del bimillenario cristiano su un tema controverso come la "purificazione della memoria", vincendo le perplessità della Congregazione per la Dottrina della fede. Se la gerarchia cattolica oggi soffre un deficit di credibilità in Spagna, ciò non deriva anche dalla sua infausta alleanza col franchismo? E non a caso, nell’Italia clericale ma scristianizzata di oggi, abbiamo dovuto assistere a una reazione tanto stizzita dopo le parole di Gianfranco Fini sulla vergogna del 1938. Un’offensiva autoassolutoria che sarebbe stata impensabile solo qualche anno fa.
Ho provato disagio di fronte alla raffica di dichiarazioni lanciate all’unisono da storici cattolici che pure avevano scritto pagine tutt’altro che reticenti quando il clima era diverso. A sentirli ora, irriconoscibili, è parso quasi che la vicenda delle leggi razziali non riguardasse la Chiesa, e anzi la Chiesa potesse andare orgogliosa del modo in cui si comportarono allora i suoi principali esponenti.
Tale superba rappresentazione di sé medesima, aggravata dall’uso di parole sprezzanti nei confronti di chi osa metterla in dubbio, si scontra con una mole di documenti incontrovertibili e noti da tempo. Basterebbe rileggere la corrispondenza tra il gesuita Pietro Tacchi Venturi e il segretario di Stato della Santa Sede, Luigi Maglione, nelle settimane successive alla caduta del fascismo. Quando gli alti prelati si adoperarono per evitare che Badoglio cancellasse in toto la normativa sugli ebrei, «la quale secondo i nostri principii e le tradizioni della Chiesa cattolica ha bensì disposizioni che vanno abrogate, ma ne contiene pure altre meritevoli di conferma». Di fatto nel 1943 il Vaticano chiedeva solo la "riabilitazione" degli ebrei convertiti. Che gli altri restassero pure discriminati: le leggi razziali andavano corrette ma non soppresse.
Del resto sette anni prima, il 14 e il 19 agosto 1938, l’Osservatore romano aveva pubblicato due articoli in cui ? dopo aver vantato le benemerenze accumulate dai papi in difesa degli ebrei nel corso della storia ? rivendicava le proibizioni cui essi venivano assoggettati, motivate non da "ostracismo di razza", bensì dalla «difesa della religione e dell’ordine sociale, che si vedeva minacciato dall’ebraismo». Questo era il modo in cui la Chiesa pensò di reagire alla svolta razzista del regime. Perché stupirsene, visto che negli stessi giorni il governo Mussolini rassicurava per iscritto padre Tacchi Venturi con le seguenti, beffarde parole: "Gli ebrei non saranno sottoposti a trattamenti peggiori di quello usato loro per secoli e secoli dai papi». Erano trascorsi meno di settant’anni dalla definitiva chiusura del ghetto di Roma.
Oggi che il dialogo ebraico-cristiano è di nuovo ostacolato dalla pretesa teologica di conversione del popolo di Gesù, sarebbe bene che, invece di sbandierare una dura opposizione alle leggi razziali che purtroppo non c’è mai stata, gli uomini di Chiesa ricordassero la dottrina antigiudaica vigente nel 1938 (e sconfessata solo nel 1965): cioè l’accusa di "deicidio" con cui venivano spiegati diciannove secoli di discriminazioni. Tanto è vero che il Vaticano denunciava come perniciose le posizioni di leadership culturale assunte dagli ebrei nelle democrazie occidentali. Come stupirsi se poi la società italiana tollerò l’infamia delle leggi razziali?
Tutto ciò è stato materia dolorosa di riflessione nella Chiesa cattolica, da Giovanni XXIII a Giovanni Paolo II. Ma ora di nuovo scatta l’anatema. Contro Gianfranco Fini, inchiodato alle sue origini fasciste. E contro Walter Veltroni, colpevole di avergli dato ragione. Colpisce il richiamo all’ordine rivolto ieri da Avvenire ai dirigenti cattolici del Partito democratico: perché non criticate il vostro segretario, lasciando tale incombenza solo alla pattuglia dei "teodem"?
L’offensiva neodogmatica della Chiesa arcigna non può fare a meno di questi richiami caricaturali all’infallibilità. Il dubbio è bandito, fede e ragione coincidono così come dottrina e natura. Che si tratti di bioetica, di ordinamento familiare, di finanziamento delle scuole cattoliche, o di interpretazioni storiche.
Stranamente tale severità viene meno solo allorquando i politici amici contraddicono i precetti evangelici dell’accoglienza e sparano accuse di "catto-comunismo" sui vescovi che li richiamano. Perché la Chiesa arcigna s’illude di lucrare vantaggi dal conservatorismo laico, e lo supporta a costo di trasmettere disagio in chi vive il cristianesimo come testimonianza di vita. In diversi incontri pubblici cui ho partecipato nelle settimane scorse dentro sedi parrocchiali e istituzionali, mi è capitato per la prima volta di sentire applausi rivolti a sacerdoti e fedeli che criticavano apertamente il papa.
la Repubblica, 2.12.2008
Parla il filosofo spagnolo Fernando Savater
Crocifisso. Una legge per abolirlo
I vescovi e il potere
La Spagna è un Paese in cui il principio di aconfessionalità e laicità dello Stato è solennemente sancito dalla Costituzione democratica votata trent’anni fa.
La Chiesa è in crisi e alla fine dovrà accettare di veder ridimensionato il proprio ruolo
MADRID. «Macché guerra del crocifisso. Diciamo la verità, se si fosse trattato di una statua di Buddha, sarebbe stato esattamente uguale. Qui il problema non è il crocifisso, non credo che esista nessuna ostilità preconcetta a quello che rappresenta. Quello che sì esiste, ed è pienamente giustificato, è un’avversione totale e incondizionata al fatto che si impongano dei simboli». In Spagna, il filosofo Fernando Savater può essere considerato l’intellettuale laico per eccellenza per come ha sempre difeso, con estremo spirito critico, il principio della aconfessionalità dello Stato. «L’unica cosa veramente chiara sulla laicità della nostra democrazia», ha scritto appena un mese fa su El País, «è la sua insufficienza».
Professor Savater, ma allora perché quello della presenza dei crocifissi nelle scuole continua a essere un tema che scalda tanto gli animi?
«La risposta è molto semplice: per la vera e propria deformazione del problema che viene fatta, come al solito, dalla gerarchia ecclesiastica. Qui non esiste nessuna "cristofobia", come vogliono farci credere. Non c’è nessuna Chiesa assediata o rifiutata. La realtà è che non esiste nessun motivo in base al quale i crocifissi dovrebbero continuare a restare appesi nelle pareti delle scuole spagnole. Questo è un paese in cui il principio di laicità e aconfessionalità dello Stato è solennemente sancito nella Costituzione democratica votata giusto trent’anni fa. Sarebbe ora di cominciare finalmente ad applicarlo. Loro, se vogliono i crocifissi, dispongono delle scuole cattoliche e confessionali: è l’unica sede dove è logico e naturale che vengano esposti».
Non crede, quindi, che i contrasti che questa questione continua a suscitare possano derivare dalla reazione di rifiuto che la Chiesa ha provocato in molti spagnoli per il suo sostegno alla dittatura franchista?
«In qualche caso è possibile, ognuno ha le sue idee ed è ipotizzabile che ci sia ancora chi conserva un ricordo negativo di quell’epoca in cui il crocifisso era lì a simboleggiare un’educazione cattolica imposta dallo Stato. Se c’è una reazione di rifiuto è giustificabile, ma dubito che ci sia chi voglia alimentare nuove tensioni».
A suo giudizio, allora, è la Chiesa che alimenta la strategia della contrapposizione frontale?
«È l’unica strada che ha per difendere una posizione che è ormai diventata indifendibile. Questo Stato è laico, e dovranno finire per accettarlo. Il problema è che la Spagna continua a essere, nonostante tutto, uno dei paesi in cui la Chiesa cattolica gode di più privilegi e di un riconoscimento pubblico smisurato rispetto alla sua presenza reale nei comportamenti quotidiani dei cittadini. Qui vigono ancora gli accordi antidemocratici stipulati nel 1979 con la Santa Sede e che un governo realmente progressista avrebbe dovuto rivedere da tempo. E si è persino aumentato il contributo economico alla Chiesa che, attraverso le imposte, pagano tutti i cittadini spagnoli».
Eppure, professor Savater, il governo socialista di Zapatero ha fatto della laicizzazione dello Stato la propria bandiera, tanto che è visto dalla gerarchia ecclesiastica come il fumo negli occhi.
«Il vero guaio è che il Partito socialista è specialista nel fare sempre un passo avanti e due passi indietro. Assume impegni concreti, elabora grandi affermazioni di principio che poi, troppo spesso, restano per aria».
Sul caso dei crocifissi, hanno detto che dovrebbero essere rimossi.
«Ma anche lì si sono sbagliati. È assurdo che il ministro dell’Educazione dichiari che la decisione dev’essere affidata alle singole scuole. Che un crocifisso venga rimosso o resti appeso alla parete a seconda che ci sia o no un genitore che lo chiede. Se si sceglie questa strada, allora sì che si può scatenare una guerra. Se esiste una normativa, che sia valida per tutti, si applica e basta. E’ questa l’unica soluzione».
Per i vescovi, potrebbe essere il pretesto per lanciare nuove mobilitazioni di piazza, come già hanno fatto contro i matrimoni gay e l’abolizione dell’obbligatorietà dell’ora di religione a scuola.
«Non credo che arriveranno a tanto, non penso che ci saranno nuove mobilitazioni. Tanto più che, se ne saranno resi conto, riescono a mobilitare sempre di meno. Questa Chiesa è in crisi, e alla fine dovrà accettare di veder ridimensionato il proprio ruolo. Che gli piaccia o no».
Sarà un cammino probabilmente ancora molto lungo.
«Immagino di sì, un cammino lungo. Ma questo è qualcosa che sapete molto bene anche in Italia, dove la Chiesa continua ad avere un ruolo e una presenza molto simile, se non superiore, a quella che esercita nella società spagnola».
Accuse di "cristofobia". Anche il Vaticano attacca
I socialisti propongono: estendere la rimozione in tutta la Spagna
Veto del crocifisso a Valladolid
La guerra dei vescovi contro Zapatero
di ALESSANDRO OPPES *
MADRID - "A volte è necessario saper dimenticare". Parla con tono pacato, il cardinale Antonio Maria Rouco Varela, ma le sue parole sono taglienti come lame. Dimenticare la Guerra Civile, dimenticare la dittatura, è il nuovo obiettivo proclamato dal presidente della Conferenza episcopale, per evitare di "dar adito a scontri che potrebbero finire per essere violenti".
L’accusa non è neanche tanto velata, e nel mirino, ancora una volta, c’è il governo socialista di José Luis Rodríguez Zapatero. Colpevole, per il cardinale ultra-conservatore di Madrid, di alimentare lo scontro sociale, di ostacolare la "riconciliazione" nazionale per il fatto di aver promosso una legge, quella sulla "Memoria storica", che ha l’obiettivo di restituire dignità alle vittime del franchismo.
Rouco si presenta con questa nuova sfida davanti all’assemblea plenaria dei vescovi, ancora scossi per la decisione presa giorni fa da un giudice di Valladolid di far rimuovere tutti i crocifissi dalle pareti di una scuola pubblica. "La nostra società è malata", aveva tuonato poche ore prima il cardinale primate di Spagna, Antonio Carizares, parlando di "cristofobia". E il malumore espresso a gran voce da alcuni prelati rischia già di trasformarsi in un coro di protesta dell’intera Chiesa cattolica spagnola.
Anche dal Vaticano l’Osservatore Romano ha commentato la sentenza di Valladolid: "Che si consideri un crocifisso offensivo in occidente è sintomo di amnesia e necrosi culturale" scrive nel suo editoriale il quotidiano del Vaticano. "E in Spagna questo impulso autodistruttivo assume espressioni violente".
Nessuna reazione a caldo dal palazzo della Moncloa, sede del governo, ma a parlare senza peli sulla lingua - esprimendo quella che è con ogni probabilità l’opinione dello stesso premier Zapatero - è il numero due del Psoe, José Blanco: "Mi sorprende che chi sta promuovendo canonizzazioni in relazione a persone di quell’epoca, ora faccia appello all’oblio e al perdono. Non si può cancellare la memoria del nostro paese e alcuni soffrono di amnesia in funzione del fatto che gli convenga o meno". I socialisti si schierano poi anche a favore della rimozione dei crocifissi dalle scuole pubbliche perché, dice Blanco, ricordando di essere "credente", "bisogna rispettare il credo religioso di tutti".
Lo scontro si profila durissimo, e i vescovi sembrano decisi ad affrontare a muso duro la svolta "laicista" del governo Zapatero. In linea con le posizioni espresse in questi anni in Parlamento dal Partito popolare, contrario a "riaprire vecchie ferite", il cardinale Rouco Varela vede una soluzione nel ritorno allo "spirito di riconciliazione, sacrificato e generoso" degli anni della transizione alla democrazia. Anni in cui, in base a un patto non scritto, la società spagnola scelse di evitare di fare i conti con il passato per favorire il consolidamento delle istituzioni democratiche.
Ma, arrivato al potere nel 2004, Zapatero aveva giudicato maturi i tempi per ridare spazio alla memoria, promuovendo un risarcimento morale delle vittime e favorendo la ricerca dei resti delle migliaia di desaparecidos. Ma il presidente della Conferenza episcopale la pensa in maniera completamente opposta. "Dimenticare" è la nuova parola d’ordine, per ottenere "un’autentica e sana purificazione della memoria" che liberi i giovani "dagli ostacoli del passato, senza gravarli dei vecchi litigi e rancori".
Reazioni anche Italia alla sentenza del giudice di Valladolid. "La laicità dello Stato è un principio troppo serio per essere ridicolizzato, come è avvenuto in Spagna", ha detto il leader dell’Udc Pierferdinando Casini. Per Roberto Calderoli, ministro per la Semplificazione Normativa, "il crocifisso non è solo un simbolo religioso, ma è il simbolo della nostra civiltà".
* la Repubblica, 25 novembre 2008.
DOPO PAPA WOJTYLA, CONTRO LO SPIRITO DI ASSISI, RESTAURAZIONE TOTALE E CRISTOFOBIA IN VATICANO. Una nota del 2003: La cacciata del Crocifisso - di Moni Ovadia.
"Quando furono promulgate le leggi razziali in Italia nell’autunno del 1938, il provveditorato agli studi inviò solerti funzionari in tutte le scuole del Regno per verificare che fossero rigorosamente applicate. [...] Si racconta che in una certa aula scolastica di un istituto elementare, uno di questi funzionari svolgesse con zelo il suo compito di epuratore della razza maledetta e con espressione grifagna ingiungesse: CHI HA IL PADRE EBREO LASCI IMMEDIATAMENTE L’AULA. Tre bimbi con l’aria smarrita si alzarono, raccolsero libri e quaderni, si infilarono il cappottino ed uscirono mesti dalla classe. Verificata l’esecuzione dell’ordine, il funzionario proseguì perentorio: CHI HA LA MADRE EBREA LASCI TOSTO L’AULA. Un solo bambino riccioluto con l’incarnato pallidissimo, gli occhi sgranati, incredulo raccolse le sue cose ed uscì. A questo punto fiero di sé il solerte sgherro con soddisfatta pomposità esclamò: CHI HA IL PADRE E LA MADRE EBREI LASCI IMMANTINENTE QUEST’AULA ARIANA.
Nell’innaturale silenzio che seguì a quest’ultimo ukase, tutti udirono un cigolio che proveniva dalla parete alle spalle della cattedra. Col fiato sospeso tutti i presenti tesero le orecchie e intesero distintamente il suono metallico di un chiodino che cadeva sul pavimento. A questo punto, guidati dallo sgomento impresso sui piccoli volti dei loro alunni, il funzionario della pubblica istruzione ed il maestro si volsero verso la cattedra appena in tempo per scorgere il crocifisso guadagnare con dolenti balzelloni l’uscio e sparire.
Noi ebrei l’abbiamo sempre saputo, l’uomo che in effigie è rappresentato agonizzare sulla croce, è un ebreo. Suo padre terreno e sua madre erano ebrei. Lo era naturalmente suo fratello Giacomo. Ebraica fu la sua formazione e la sua pratica. Ebrei furono i suoi discepoli e a lungo i suoi seguaci furono solo ebrei.
Ebrei furono i primi martiri cristiani. Dopo quasi due millenni di elusione, questi fatti sono riconosciuti e dichiarati a chiarissime lettere dalla Chiesa. Non all’epoca buia della persecuzione e dello sterminio nazista. Allora milioni di innocenti condotti al macello forse avrebbero sperato nella rimozione dei crocefissi da ogni luogo per denunciare l’orrore. Non accadde.[...] Ma l’attuale Pontefice ha assunto su di sé come capo della Chiesa Cattolica la responsabilità delle passate perversioni, ha solennemente riconosciuto le colpe e chiesto perdono"(Moni Ovadia, La cacciata del crocifisso, L’Unità, 1.11.2003, p. 28).
Canizares: cristofobia in Spagna
E anche l’Osservatore Romano critica la sentenza di Valladolid. *
"E’’ in atto una cristofobia", che si configura come una "malattia sociale". Questo il commento dell’’arcivescovo di Toledo, Antonio Canizares, sulla decisione di un giudice di Valladolid di far rimuovere i crocifissi dalle aule di una scuola pubblica della cittadina spagnola. Tra le "malattie della società" il porporato indica anche "l’’aborto, l’’eutanasia, la sperimentazione sugli embrioni, e l’’utilizzo degli stessi per interessi economici".
Per il porporato, "si vuole imporre una nuova cultura, un progetto di umanità che comporta una visione antropologico-radicale che cambia la visione che costituisce la nostra identità" così come è stata ricevuta "dai nostri predecessori". Tra i mali di oggi anche "la dimenticanza di Dio che è dimenticanza e negazione dell’’uomo, benchè non lo si voglia riconoscere. Tutto questo conduce e sta facendoci soffrire una vera situazione patologica". "Sono tempi duri e difficili quelli che viviamo - ha commentato l’’arcivescovo di Toledo - e nessuno può prevedere cosa ci preserva il futuro".
Canizares verrà quasi sciuramente chiamato, entro breve tempo, dal Papa alla guida della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. L’’ arcivescovo di Toledo ha ricevuto la porpora proprio dalle mani di Benedetto XVI e in patria è noto come uno dei piu’’ tenaci sostenitori dell’’attuale Pontefice tanto da essere soprannominato "il piccolo Ratzinger".
Anche l’arcivescovo di Valladolid si è espresso. Il crocifisso non ferisce nessuno: per questo monsignor Braulio Rodriguez Plaza, contesta la decisione di un giudice che ha imposto la rimozione dei crocifissi dalle aule di una scuola pubblica della città spagnola, nonostante la posizione contraria del consiglio scolastico. "Di questo passo - afferma il presule ai microfoni di ’Radio vaticana’ - dovremo chiedere il permesso per dire ’Io credo in Dio e in nostro Signore Gesù Cristo’?". "Per me - afferma il vescovo - la sentenza è stata un dispiacere e so che il Consiglio scolastico è formato da brave persone. Mi sembra che il crocifisso in una cultura come la nostra non vada a ferire nessuno, perché il Crocifisso è solo amore e pace".
Per Rodriguez Plaza "in base a questa sentenza qualunque segno religioso potrebbe essere cancellato e tolto in qualsiasi luogo, perché potrebbe ferire la suscettibilità e la sensibilità di molta gente. Allora faccio l’esempio di una città europea come Bruges, dove ci sono angoli, vie, incroci in cui sono collocate tante piccole immagini della Vergine, di Cristo e non credo che la gente anche non religiosa, non cristiana, si dia pena per questo. Sono sicuro che mi diranno che qui la questione è diversa... si tratta di un’aula, di una scuola dove stanno dei bambini...". "Allora, di questo passo, dovremo chiedere il permesso per dire ’Io credo in Dio e in nostro Signore Gesù Cristo’? Non lo so, se vogliamo arrivare a questo...", afferma il presule. "Io voglio continuare a mostrare i simboli religiosi, perché mi pare che anche questo faccia parte della libertà religiosa a cui tutti teniamo".
Sull’Osservatore Romano lo scrittore spagnolo Juan Manuel Prada scrive: «Che si giunga a considerare un crocefisso offensivo in Occidente si può solo interpretare come un sintomo allarmante di amnesia o necrosi culturale» sostenendo come la sentenza del tribunale spagnolo «consacra giuridicamente la rinuncia di una Europa disorientata, irrazionalmente in preda a un impulso di autodistruzione».
L’Europa, argomenta Juan Manuel de Prada, sta rinunciando «al lascito che rende nobili e che è riassunto in quella semplice croce». «A nessuna persona in pieno possesso delle proprie facoltà - si legge ancora - sfugge che il segno della croce non viola nessun diritto fondamentale; tuttavia da qualche tempo l’invocazione di diritti e libertà si sta trasformando in Spagna in un pretesto giuridico che maschera un sentimento di odio religioso e di "cristofobia", come in modo molto appropriato lo ha definito il cardinale Canizares, sentimento che d’autorità avrebbe l’obbligo di perseguire, invece di concedergli una copertura giuridica».
«Da qualche tempo in Spagna, prosegue Prada, «l’alone di odio attorno alla Chiesa di Dio si è mascherato di giuridicità, sostituendo l’accanimento cruento di altre epoche non troppo lontane con un’apparenza più sibillina e asettica». Per l’Osservatore romano il crocefisso non può essere offensivo né per i cristiani né per i non cattolici, perché «riassume le più nobili vocazioni dell’uomo» alla carità e al mistero dell’infinitezza dell’altro. «Il crocefisso - è la posizione espressa infine dal Quotidiano vaticano - può offendere solo quanti vogliono, e in questo consiste in realtà il laicismo, per quanto si nasconda dietro alibi giuridici, che lo Stato diventi un nuovo dio, con potere assoluto sulle anime».
* La Stampa/SAN PIETRO E DINTORNI di Marco Tosatti, 24/11/2008
Mons. Amato critica il governo Zapatero e le sue "leggi etiche" in un’intervista
alla rivista Consulente Re. "Per fortuna la Chiesa spagnola è reattiva"
Il Vaticano attacca la Spagna
"Indottrinamento laico e statolatria" *
CITTA’ DEL VATICANO - In Spagna sta avanzando l’indottrinamento laico, la "statolatria", cioè l’ingerenza dello Stato nella vita personale di ognuno. A sostenerlo è monsignor Angelo Amato, l’attuale prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, già ex segretario della Dottrina della Fede, ed amico personale di Papa Ratzinger.
In un’intervista alla rivista "Il Consulente Re" il presule esprime questo giudizio sulla Spagna partendo dalle cosidette "leggi etiche" del governo Zapatero, tra cui l’introduzione nelle scuole dell’"Educazione alla cittadinanza".
"Ovviamente qui a Roma noi sappiamo bene di questo grave problema", ha osservato monsignor Amato, che quasi certamente diverrà cardinale nel prossimo concistoro. "Fortunatamente - ha aggiunto - possiamo contare su una Chiesa spagnola che ha approfondito seriamente il problema e ha dato una risposta pubblica e chiara". Monsignor Amato definisce la Chiesa spagnola "molto reattiva" perché sta rispondendo "con fermezza a un’intrusione statale assolutamente illegittima sul tema dell’educazione dei propri giovani".
Il problema, secondo l’esponente della Santa Sede, è "che in tutta Europa si sta introducendo la categoria della cosiddetta biopolitica: lo Stato cioè entra sempre più nella vita personale di ognuno". Questo significa, ad esempio, che lo Stato "obbliga le famiglie a scegliere determinate scuole con determinate materie, non d’istruzione ma d’indottrinamento".
* la Repubblica, 18 dicembre 2008