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SPAGNA."Sono una cittadina spagnola, mica del Vaticano". Il Tribunale superiore della giustizia delle Canarie (Tsjc) ha condannato l’arcivescovado a pagare oltre 16 mila euro di risarcimento per aver fatto svolgere indagini sulla vita privata di un’insegnante di religione, licenziata nel 2000 - a cura di pfls

sabato 28 luglio 2007.
 

[...] Maria del Carmen Galayo Macias, insegnante di religione dal 1988 al 2000, ha avuto riconosciuto la mancanza di giusta causa nel suo licenziamento, ma ancora non la riassunzione nel suo ruolo. "Sono molto contenta, ma anche molto triste", ha commentato, amareggiata perchè le è stato proibito di fare quello che più le piace. "Sono stata anni senza lavoro - ha detto -, in difficoltà economiche e psicologiche, e senza aver ucciso né violentato nessuno. Non avevano diritto di fare quello che hanno fatto. Sono una cittadina spagnola, mica del Vaticano".

Il caso era stato sollevato nel 2002, con la denuncia della donna di fronte al massimo tribunale iberico perchè determinasse l’esistenza di un eventuale conflitto tra gli Accordi Chiesa-Stato del 1979 e la Carta fondamentale del 1978 [...]


Canarie, è scontro fra Stato e Chiesa

di Alessandro Chiappetta*

Il caso- L’arcivescovado delle Canarie risarcirà un’insegnante di religione licenziata perchè conviveva con un uomo: il Tribunale ha dichiarato inammissibili le indagini sulla vita privata della donna. I vescovi iberici annunciano ricorso e vanno all’attacco della nuova legge di Zapatero sulla scuola, marcatamente laica

Il Tribunale superiore della giustizia delle Canarie (Tsjc) ha condannato l’arcivescovado a pagare oltre 16 mila euro di risarcimento per aver fatto svolgere indagini sulla vita privata di un’insegnante di religione, licenziata nel 2000 "perché conviveva con un uomo che non era suo marito". Niente di paragonabile all’esborso miliardario della diocesi di Los Angeles, costretta a indennizzare le vittime di decenni di orrori pedofili, ma la sentenza crea un precedente importante nei rapporti tra scuola e istituzioni religiose, in particolare nella Spagna portabandiera di una nuova laicità.

La storia la racconta El Pais: Maria del Carmen Galayo Macias, insegnante di religione dal 1988 al 2000, ha avuto riconosciuto la mancanza di giusta causa nel suo licenziamento, ma ancora non la riassunzione nel suo ruolo. "Sono molto contenta, ma anche molto triste", ha commentato, amareggiata perchè le è stato proibito di fare quello che più le piace. "Sono stata anni senza lavoro - ha detto -, in difficoltà economiche e psicologiche, e senza aver ucciso né violentato nessuno. Non avevano diritto di fare quello che hanno fatto. Sono una cittadina spagnola, mica del Vaticano".

Il caso era stato sollevato nel 2002, con la denuncia della donna di fronte al massimo tribunale iberico perchè determinasse l’esistenza di un eventuale conflitto tra gli Accordi Chiesa-Stato del 1979 e la Carta fondamentale del 1978. In quell’occasione, la Corte Costituzionale aveva riconosciuto alla Chiesa cattolica il diritto di destituire la Galayo Macias, per aver violato la dottrina cattolica, convivendo con un uomo con il quale non era sposata, dopo la separazione legale dal marito.

Oggi, invece, il verdetto del Tsjc riprende un’altra ordinanza della Corte Costituzionale, che affermava che l’insegnamento religioso presuppone per i docenti "una retta dottrina e la testimonianza della vita cristiana", senza entrare nel merito della vicenda della Galayo Macias, e lasciando l’onere della scelta al Tribunale superiore, nella cui sentenza si fa riferimento soprattutto alla privacy dell’insegnante. Un "diritto fondamentale" leso dalla decisione di non rinnovarle il contratto per l’anno accademico 2000/2001, per cui il provvedimento dell’episcopato va considerato "nullo", obbligando l’episcopato a risarcire la donna con 10.385,49 euro per l’interruzione del contratto e 6.010,12 euro per i danni morali. Eppure le motivazioni della sentenza lasciano comunque qualche perplessità. Nella lettera di licenziamento inviata dall’arcivescovado, si sottolineava come l’insegnante fosse inadeguata al suo ruolo perché stava vivendo "nel peccato". Secondo El Pais, però, la sentenza ammette che "vivere nel peccato" può giustificare il licenziamento, ma non è consentito che si indaghi sulla vita privata delle persone per scoprirlo.

La Conferenza Episcopale spagnola ha già annunciato che farà ricorso alla Corte Suprema, e magari di nuovo alla Corte Costituzionale, in ultima istanza, aumentando i rischi che possano passare almeno altri sette anni prima che la vicenda si concluda e l’insegnante possa tornare ad esercitare la sua professione. Nel frattempo in Spagna si discute sul problema della potestà della Chiesa, che si riserva di giudicare l’idoneità degli insegnanti non soltanto in base alla conoscenza della materia e alla capacità formativa, ma anche pretendendo di tenere conto delle convinzioni personali, dei comportamenti privati, e dei vincoli affettivi, familiari, perfino sessuali. Inevitabile quindi, che la riforma dell’istruzione (Ley Organica de la educacion) voluta da Zapatero sia malvista dalle gerarchie ecclesiastiche. La legge rivoluziona il mondo della scuola, apportando novità considerevoli proprio sull’insegnamento della religione, e introducendo una nuova discussa materia, chiamata "educazione alla cittadinanza".

Vero pomo della discordia, la nuova disciplina può diventare secondo i vescovi una specie di "formazione statale obbligatoria della coscienza" e portare "all’imposizione del relativismo e dell’ideologia di genere", e a cui i prelati si sono fermamente opposti, contrastando la decisione di Zapatero con un documento stilato dal Consiglio permanente della Confederazione Episcopale. Secondo il progetto di legge, la materia dovrebbe essere obbligatoria per almeno un anno nella scuola primaria e un anno nella secondaria, spaziando da argomenti che vanno dalle istituzioni della democrazia alla globalizzazione, dalla circolazione stradale ai diritti umani. E sono proprio i diritti umani a irrigidire la Chiesa spagnola, temendo che tra questi rientri anche l’accettazione di quelle "nuove famiglie" e dei matrimoni omosessuali, che la Spagna, dopo Canada, Belgio e Olanda, ha recentemente legalizzato. Il timore che principi "laici" diventino concetti fondanti dell’istruzione nazionale, in certi casi in contrasto con dogmi, precetti e tradizioni della religione cattolica, spaventa i vescovi spagnoli, già alle prese con le battaglie sull’eutanasia e sulla limitazione dei diritti civili. In realtà, la riforma non piace alla Chiesa che perde in questo modo il controllo totale e talvolta subalterno che aveva sugli insegnanti di religione. I vescovi conservano la prerogativa di nominarli autonomamente, ma la loro attività verrà ora disciplinata dallo statuto dei lavoratori, come quella di ogni altro insegnante, tutti chiamati ora a rendere conto del proprio lavoro solo agli organi di Stato. Aspettando i verdetti definitivi, la vicenda Galay Macias può forse aiutare il dibattito e la riflessione sui rapporti tra Stato e Chiesa in Spagna, soprattutto nel campo dell’istruzione: dal 1998 l’assunzione di 17 mila insegnanti di religione dipende dallo Stato, ma la possibilità della Chiesa di giudicarne l’idoneità crea il conflitto tra istruzione pubblica di stato e la "catechesi" dottrinale di una confessione religiosa. Un paradosso scomodo che la Spagna laica e aconfessionale di questi anni è stanca di dover accettare.

* APRILEONLINE.IT27 luglio 2007


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