Diritti a rate
di Alessandro Robecchi (il manifesto, 09.02.2007)
Ed ecco un’altra questione urbanistica: il raddoppio della base vaticana all’interno della Margherita. La sinistra radicale tiene in ostaggio il governo e tutto il paese, ma non riesce a evitare né la base americana a Vicenza né la base vaticana nella Margherita, né (tra un po’) che se ne vada la base sua.
Il papa in persona ha chiesto se una domenica sì e una no potrà affacciarsi da una finestra del Quirinale, tanto per sottolineare l’apertura e il dialogo con lo Stato italiano. L’altra domenica riceverà in udienza privata i grandi sostenitori della famiglia tradizionale, primi tra tutti i leader del centro-destra che di famiglie ne hanno due.
In questo clima sereno e collaborativo, il consiglio dei ministri ha approvato la bozza sui Pacs, una nuova carta sulla distribuzione rateale dei diritti. Alcuni diritti che col matrimonio avreste subito, con i Pacs (pardon, Dico) vi verranno offerti tra tre anni, in pacco anonimo. Se fate i bravi, dopo nove anni vi recapitano altri diritti (tipo l’eredità). Se riuscite a resistere accanto alla vostra compagna o compagno fino a quando si sistemerà la complessa materia della pensione di reversibilità, forse tra qualche anno vi daranno anche quella. Per agevolarvi aumenteranno l’età pensionabile, così non aspetterete invano. Si discute ancora sull’articolo uno della legge, che regge tutto il resto.
Due che convivono (omo, etero, misti, pinguini, mutanti) dovranno dichiararsi all’anagrafe, come vuole Pollastrini, o soltanto sussurrarselo all’orecchio, come vuole Rutelli? E come chiamarli? Uno sposato si chiama coniugato, uno non sposato si chiama scapolo. E i conviventi? Un suggerimento viene dalla Santa Sede: si potrebbe chiamarli stronzi, una proposta che raccoglie consensi.
Naturalmente le coppie di fatto non potranno adottare bambini, ma nessuno impedirà agli omosessuali di prendere un cane o un criceto, il che dimostra che la Chiesa è disposta alla mediazione. In caso di malattia, il convivente potrà assistere il suo partner in ospedale, ma in caso di chirurgia verrà operato pure lui, anche se perfettamente sano (l’anestesia sarà riservata soltanto alle coppie regolarmente sposate).
Il Consiglio dei Ministri, ha approvato all’unanimità, nel corso di una toccante cerimonia in cui tutti indossavano vesti purpuree, anelli d’oro ed eleganti copricapi in tinta. Dico: amen
Sul tema, nel sito, cfr.:
Ahi Costantin di quanto mal fu madre
di EUGENIO SCALFARI *
Tra le tante questioni che affliggono il nostro paese, insolute da molti anni e alcune risalenti addirittura alla fondazione dello Stato unitario, c’è anche quella cattolica. Probabilmente la più difficile da risolvere. Personalmente penso anzi che resterà per lungo tempo aperta, almeno per l’arco di anni che riguardano le tre o quattro generazioni a venire. Roma e l’Italia sono luoghi di residenza millenaria della Sede apostolica e perciò si trovano in una situazione anomala rispetto a tutte le altre democrazie occidentali. Se guardiamo agli spazi mediatici che la Santa Sede, il Papa, la Conferenza episcopale hanno nelle televisioni e nei giornali ci rendiamo conto a prima vista che niente di simile accade in Francia, in Germania, in Gran Bretagna, in Olanda, in Scandinavia e neppure nelle cattolicissime Spagna e Portogallo per non parlare degli Usa, del Canada e dell’America Latina dove pure la popolazione cattolica ha raggiunto il livello di maggiore densità.
Da noi le reti ammiraglie di Rai e di Mediaset trasmettono sistematicamente ogni intervento del Papa e dei Vescovi. L’"Angelus" è un appuntamento fisso. Le iniziative e le dichiarazioni dei cattolici politicamente impegnati ingombrano i giornali, il presidente della Repubblica, appena nominato, sente il bisogno di inviare un messaggio di "presentazione" al Pontefice, cui segue a breve distanza la visita ufficiale. Tutto ciò va evidentemente al di là d’una normale regola di rispetto e dipende dal fatto che in Italia il Vaticano è una potenza politica oltre che religiosa. Ciò spiega anche la dimensione dei finanziamenti e dei privilegi fiscali dei quali gode il Vaticano, la Santa Sede e gli enti ecclesiastici; anche questi senza riscontro alcuno negli altri paesi.
Infine il rapporto di magistero che la gerarchia ecclesiastica esercita sulle istituzioni ovunque vi sia una rappresentanza di cattolici militanti e la funzione di guida politica che di fatto orienta i partiti di ispirazione cattolica e quindi cospicui settori del Parlamento.
La questione cattolica è dunque quella che spiega più d’ogni altra la diversità italiana. Spiega perché noi non saremo mai un "paese normale". Perché una parte rilevante dell’opinione pubblica, della classe politica, dei mezzi di comunicazione, delle stesse istituzioni rappresentative, sono etero-diretti, fanno capo cioè e sono profondamente influenzati da un potere "altro". Quello è il vero potere forte che perdura anche in tempi in cui la secolarizzazione dei costumi ha ridotto i cattolici praticanti ad una minoranza. "Ahi Costantin, di quanto mal fu madre...".
La questione cattolica ha attraversato varie fasi che non è questa la sede per ripercorrere. Basti dire che si sono alternate fasi di latenza durante le quali sembrava sopita, e di vivace ed aspra riacutizzazione.
Il mezzo secolo della Prima Repubblica, politicamente dominato dalla Democrazia cristiana, fu paradossalmente una fase di latenza. La maggioranza era etero-diretta dal Vaticano e dagli Stati Uniti, il Pci era etero-diretto dall’Unione Sovietica. Entrambi i protagonisti accettavano questo stato di cose, insultandosi sulle piazze e dai pulpiti, ma assicurando, ciascuno per la sua parte, un sostanziale equilibrio. Quando qualcuno sgarrava, veniva prontamente corretto.
Ma la fase attuale non è affatto tranquilla, la questione cattolica si è riacutizzata per varie ragioni, la prima delle quali è l’emergere sulla scena politica dei temi bioetici con tutto ciò che comportano.
La seconda ragione deriva dalla linea assunta da Benedetto XVI che ritiene di spingere il più avanti possibile le forme di protettorato politico-religioso che il Vaticano esercita in Italia, per farne la base di una "reconquista" in altri paesi a cominciare dalla Spagna, dal Portogallo, dalla Baviera, dall’Austria e da alcuni paesi cattolici dell’America meridionale. Le capacità finanziarie dell’episcopato italiano forniscono munizioni non trascurabili per sostenere questo disegno che ha come obiettivo l’esportazione del modello italiano laddove ne esistano le condizioni di partenza.
A fronte di quest’offensiva le "difese laiche" appaiono deboli e soprattutto scoordinate. Si va da forme d’intransigenza che sfiorano l’anticlericalismo ad aperture dialoganti ma a volte eccessivamente permissive verso i diritti accampati dalla "gerarchia". Infine permane il sostanziale disinteresse della sinistra radicale, che conserva verso il laicismo l’antica diffidenza di togliattiana memoria.
Si direbbe che il solo dato positivo, dal punto di vista laico, sia una più acuta sensibilità autonomistica che ha conquistato una parte dei cattolici impegnati nel centrosinistra. Ma si tratta di autonomia a corrente variabile, oggi rimesso in discussione dalla nascita del Partito democratico e dai vari posizionamenti che essa comporta per i cattolici che ne fanno parte. Con un’avvertenza di non trascurabile peso: secondo recenti sondaggi nell’ultimo decennio i cattolici schierati nel centrosinistra sarebbero discesi dal 42 al 26 per cento. Fenomeno spiegabile poiché gran parte dell’elettorato ex Dc si trasferì fin dal 1994 su Forza Italia; ma che certamente negli ultimi tempi ha accelerato la sua tendenza.
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Un fenomeno degno di interesse è quello del recente associazionismo delle famiglie. Non nuovo, ma fortemente rilanciato e unificato dal "forum" che scelse come organizzatore politico e portavoce Savino Pezzotta, da poco reduce dalla lunga leadership della Cisl e riportato alla ribalta nazionale dal "Family Day" che promosse qualche mese fa in piazza San Giovanni il raduno delle famiglie cattoliche.
Da allora Pezzotta sta lavorando per trasformare il "forum" in un movimento politico. "Non un partito" ha precisato in una recente intervista "ma un quasi-partito; insomma un movimento autonomo che potrà eventualmente appoggiare qualche partito di ispirazione cristiana che si batta per realizzare gli obiettivi delle famiglie. Sia nei valori che sono ad esse intrinseci sia per i concreti sostegni necessari a realizzare quei valori".
L’obiettivo è ambizioso e fa gola ai partiti di impronta cattolica, ma Pezzotta amministra con molta prudenza la sigla di cui è diventato titolare. Dico sigla perché al momento non sappiamo quale sia la sua realtà organizzativa e la sua effettiva spendibilità politica.
Sembra difficile che il nascituro movimento delle famiglie possa praticare una sorta di collateralismo rispetto ai settori cattolici militanti nel Partito democratico: la piazza di San Giovanni non sembrava molto riformista, le voci che l’hanno interpretata battevano soprattutto su rivendicazioni economiche ma non basterà riconoscergliele per acquistarne il consenso e il voto. A torto o a ragione le famiglie e le sigle che le rappresentano ritengono che quanto chiedono sia loro dovuto. Il voto elettorale è un’altra cosa e non sarà Pezzotta a guidarlo. Ancor meno i vari Bindi, Binetti, Bobba nelle loro differenze. Voteranno come a loro piacerà, seguendo altre motivazioni e inclinazioni, influenzate soprattutto dai luoghi in cui vivono e dai ceti sociali e professionali ai quali appartengono.
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Un elemento decisivo della questione cattolica e dell’anomalia che essa rappresenta è costituito dalla dimensione degli interessi economici della Santa Sede e degli enti ecclesiastici, del loro "status" giuridico e addirittura costituzionale (il Trattato del Laterano è stato recepito in blocco con l’articolo 7 della nostra Costituzione) e dei privilegi fiscali, sovvenzioni, immunità che fanno nel loro insieme un sistema di fatto inattaccabile. Basti pensare che la Santa Sede rappresenta il vertice di un’organizzazione religiosa mondiale e fruisce ovviamente d’un insediamento altrettanto mondiale attraverso la presenza dei Vescovi, delle parrocchie, degli Ordini religiosi, delle Missioni. Ma, intrecciata ad essa c’è uno Stato - sia pure in miniatura - che gode d’un tipo di immunità e di poteri propri di uno Stato e quindi di una soggettività diplomatica gestita attraverso i "nunzi" regolarmente accreditati presso tutti gli altri Stati e presso le organizzazioni internazionali.
Questa doppia elica non esiste in nessun’altra delle Chiese cristiane ed è la conseguenza della struttura piramidale di quella cattolica e della base territoriale da cui trasse origine lo Stato vaticano e il potere temporale dei Papi. Non scomoderemo Machiavelli e Guicciardini, Paolo Sarpi e Pietro Giannone per ricordare quali problemi ha sempre creato il potere temporale nella storia della nazione italiana, nell’impossibilità di realizzare l’unità nazionale quando gli altri paesi europei avevano già da secoli raggiunto la loro ed infine lo scarso senso dello Stato che gli italiani hanno avuto da sempre e continuano abbondantemente a dimostrare. Sarebbe storicamente scorretto attribuire unicamente al potere temporale dei Papi questo deficit di maturità civile degli italiani, ma certo esso ne costituisce uno dei principali elementi.
Purtroppo il temporalismo è una tentazione sempre risorgente all’interno della Chiesa; sotto forme diverse assistiamo oggi ad un tentativo di resuscitarlo che si esprime attraverso la presenza politica diretta dell’episcopato nelle materie "sensibili" il cui ventaglio si sta progressivamente ampliando.
Negli scorsi giorni l’atmosfera si è ulteriormente riscaldata a causa di una frase di Prodi che esortava i sacerdoti a sostenere la campagna del governo contro le evasioni fiscali e lamentava lo scarso contributo della Chiesa ad un tema così rilevante.
Credo che Prodi, da buon cattolico, abbia pronunciato quella frase in perfetta buonafede ma, mi permetto di dire, con una dose di sprovveduta ingenuità. Lo Stato non rappresenta un tema importante per i sacerdoti e per la Chiesa. Ancorché i preti e i Vescovi siano cittadini italiani a tutti gli effetti e con tutti i diritti e i doveri dei cittadini italiani, essi sentono di far parte di quel sistema politico-religioso che a causa della sua struttura è totalizzante. La cittadinanza diventa così un fatto marginale e puramente anagrafico; salvo eccezioni individuali, il clero si sente e di fatto risulta una comunità extraterritoriale. Pensare che una delle preoccupazioni di una siffatta comunità sia quella di esortare gli italiani a pagare le tasse è un pensiero peregrino. Li esorta - questo sì - a mettere la barra nella casella che destina l’otto per mille del reddito alla Chiesa. Un miliardo di euro ha fruttato all’episcopato italiano quell’otto per mille nel 2006. Ma esso, come sappiamo, è solo una parte del sostegno dello Stato alla gerarchia, alle diocesi, alle scuole, alle opere di assistenza.
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Come si vede la pressione cattolica sullo Stato "laico" italiano è crescente, si vale di molti mezzi, si manifesta in una pluralità di modi assai difficili da controllare e da arginare.
Le difese laiche - si è già detto - sono deboli e poco efficaci: affidate a posizioni individuali o di gruppi minoritari ed elitari contro i quali si ergono "lobbies" agguerrite e perfettamente coordinate da una strategia pensata altrove e capillarmente ramificata. Quanto al grosso dell’opinione pubblica, essa è sostanzialmente indifferente. La questione cattolica non fa parte delle sue priorità. La gente ne ha altre, di priorità. È genericamente religiosa per tradizione battesimale; la grande maggioranza non pratica o pratica distrattamente; i precetti morali della predicazione vengono seguiti se non entrano in conflitto con i propri interessi e con la propria "felicità". In quel caso vengono deposti senza traumi particolari.
Perciò sperare che la democrazia possa diventare l’"habitus" degli italiani è arduo. Gli italiani non sono cristiani, sono cattolici anche se irreligiosi. Questo fa la differenza.
* la Repubblica, 5 agosto 2007
Il Guardian svela i piani di attacco contro l’Iran entro la primavera. Washington schiera le portaerei. Nel Golfo è escalation
Russia e Usa, l’ombra della "guerra fredda". Putin attacca Bush: "Fate i padroni del mondo"
di PIETRO DEL RE *
Il mondo ha un solo padrone, per questo è un luogo meno sicuro. Così, alla Conferenza internazionale sulla sicurezza di Monaco, il presidente russo Vladimir Putin attacca frontalmente la politica statunitense. "Un solo centro di potere, un solo centro di forza: questo non ha nulla a che vedere con la democrazia", ha dichiarato Putin, citando la decisione di Washington di installare un sistema antimissilistico in Polonia e in Repubblica Ceca. Immediata la risposta della Casa Bianca, che esprime "sorpresa e disappunto" di fronte a un attacco di inedita durezza. Toni che echeggiano altri tempi, come ha ricordato il senatore Joseph Lieberman: "Un discorso, quello di Putin, retorico e tarato ancora sulla Guerra Fredda". E John McCain, possibile candidato alla nomination repubblicana: "Il mondo è multipolare e non vi è posto per i confronti inutili. Spero che la Russia lo capisca".
Preoccupa la Russia l’attivismo globale del secondo mandato Bush, e in primo piano rimane il teatro mediorientale. Le indiscrezioni di un imminente attacco contro l’Iran si moltiplicano. Tutti lo negano in seno all’Amministrazione americana, dal presidente Bush al segretario della Difesa Robert Gates, al segretario di Stato Condi Rice, ma i preparativi per una nuova guerra sarebbero già in fase avanzata. Il crescente dispiegamento delle forze Usa nel Golfo consentirebbe di lanciare raid aerei entro marzo, anche se fonti " bene informate", citate ieri dal quotidiano britannico Guardian, indicano come scadenza anche "il prossimo anno, poco prima della fine del secondo mandato di Bush".
Il mese scorso, in supporto della "Uss Eisenhower", il Pentagono ha inviato nel Golfo un secondo gruppo di battaglia guidato dalla portaerei "Uss John Stennis". Le forze Usa della regione hanno appena ricevuto nuovi missili Patriot e altre cacciatorpediniere. Pochi giorni fa, infine, Bush ha sbloccato le riserve petrolifere per un eventuale uso da parte della Us Army.
Come avvenne per l’Iraq, i più guerrafondai sono i neoconservatori dell’American Enterprise Institute e il vice presidente Dick Cheney: sono loro che spingono per attaccare Teheran. Contrari all’apertura di un nuovo fronte sono invece sia il Pentagono sia il Congresso a maggioranza democratica.
Come per prevenire lo scoop del Guardian, due giorni fa Robert Gates aveva affermato di non essere minimamente intenzionato a muovere guerra contro l’Iran. Poche ore dopo, tuttavia, Vincent Cannistraro, ex funzionario della Cia e del National Security Council, smentiva tali dichiarazioni nell’intervista al giornale inglese: "Stiamo pianificando la guerra. È incredibilmente pericoloso. Gli obiettivi sono stati selezionati. La campagna di bombardamenti aerei contro i siti nucleari è assai avanzata". Dello stesso parere è il colonnello Sam Gardiner, ex ufficiale dell’Air Force: "Gates ha detto che non c’è pianificazione per una guerra. Sa che non è vero. Tutte le decisioni prese nelle ultime settimane sono coerenti con ciò che uno farebbe se stesse preparando una campagna aerea".
Sempre ieri, stavolta sul Washington Post, è apparsa la notizia che qualche giorno fa gli iraniani avrebbero arrestato terroristi di Al Qaeda provenienti dal Pakistan e diretti in Iraq per compiere attentati. I presunti futuri kamikaze sarebbero stati rinchiusi in carcere. Ma negli Stati Uniti c’è chi teme che le pressioni americane su Teheran potrebbero spingere il regime degli ayatollah a liberare i terroristi. Infine, l’Iran ha annunciato ieri di avere prodotto un drone, ossia un aereo senza pilota con un raggio d’azione di 700 chilometri da utilizzare in operazioni di spionaggio, in particolare sulle forze americane ai confini con la Repubblica islamica.
* la Repubblica, 11 febbraio 2007.
Il presidente della Cei annuncia un documento scritto, "chiaro e vincolante" con cui i vescovi italiani ribadiranno la loro totale opposizione al ddl del governo
Dico, Ruini: "Presto una nota impegnativa per tutti i cattolici"*
ROMA - Il presidente della Cei, Camillo Ruini, oggi ha annunciato - a proposito dei Dico - "una parola meditata, una parola ufficiale, che sia impegnativa per coloro che accolgono il magistero della Chiesa e che possa essere chiarificatrice per tutti".
Il cardinale, che ha fatto questo annuncio a margine del convegno nazionale dell’Opera romana pellegrinaggi, non ha precisato però i tempi di questa nota dei vescovi italiani. Alla richiesta di un (ennesimo) commento sul disegno di legge sulle convivenze di fatto, Ruini ha risposto: "sS queste cose sono state già dette da parte nostra tante cose importanti e, credo, tutto ciò che è necessario. Quindi è inutile che io aggiunga qualche battuta estemporanea".
"Potrà essere importante - ha proseguito subito dopo - una parola meditata, una parola ufficiale che sia impegnativa per coloro che accolgono il magistero della Chiesa e che potrà essere chiarificatrice per tutti".
E dunque, l’offensiva della Chiesa contro la proposta di legge sulle unioni di fatto - con l’istituzione dei cosiddetti dico - va avanti con forza. Anzi, si intensifica. Perché stavolta, come ha lasciato intendere Ruini, si tratterà non di semplici dichiarazioni rilasciate in pubblico, ma di una memoria scritta, "chiara e vincolante" - secondo le parole del numero uno della Cei - per tutti i cattolici.
* la Repubblica, 12 febbraio 2007