I vestiti nuovi dell’Imperatore
di Hans Christian Andersen
Molti anni fa viveva un imperatore, il quale amava tanto possedere abiti nuovi e belli, che spendeva tutti i suoi soldi per abbigliarsi con la massima eleganza. Non si curava dei suoi soldati, non si curava di sentir le commedie o di far passeggiate nel bosco, se non per sfoggiare i suoi vestiti nuovi: aveva un vestito per ogni ora del giorno, e mentre di solito di un re si dice: - E’ in Consiglio! - di lui si diceva sempre: E’ nello spogliatoio - Nella grande città, dove egli abitava, ci si divertiva molto. ogni giorno arrivavano stranieri, e una volta vennero due impostori; si spacciarono per tessitori e dissero che sapevano tessere la stoffa piu straordinaria che si poteva immaginare. Non solo i disegni e i colori erano di singolare bellezza, ma i vestiti che si facevano con quella stoffa avevano lo strano potere di diventare invisibili a quegli uomini che non erano all’altezza della loro carica o che erano imperdonabilmente stupidi.
Sarebbero davvero vesti meravigliosi! - pensò l’imperatore - Con quelli indosso, io potrei scoprire quali uomini nel mio regno non sono degni della carica che hanno; potrei distinguere gli intelligenti dagli stupidi. Ah! si! mi si deve tessere subito questa stoffa! - E diede molti soldi in mano ai due impostori perchè incomiciassero a lavorare. Essi montarono due telai, fecero finta di lavorare, ma non avevano assolutamente niente sul telaio. Chiesero senza complinenti la seta più bella e l’oro piu brillante, li ficcarono nella loro borsa e lavorarono con i telai vuoti, senza smettere mai, fino a tarda notte.
Adesso mi piacerebbe sapere a che punto è la stoffa! - pensò l’imperatore; ma in verità si sentiva un po’ agitato all’idea che una persona stupida, o non degna della carica che occupava, non avrebbe potuto vederla. Egli, naturalmente, non pensava di dover temere per sè; tuttavia preferì mandare un altro, prima, a vedere come andava la faccenda. Tutti gli abitanti della città sapevano dello straordinario potere della stoffa, e ognuno era desideroso di conoscere quanto incapace o stupido fosse il proprio vicino di casa.
Manderò dai tessitori il mio vecchio, bravo ministro! - pensò l’imperatore. - Egli può vedere meglio degli altri che figura fa quella stoffa, perchè è intelligente e non c’è un altro che sia come lui all’altezza del proprio compito! - Così quel vecchio buon ministro andò nella sala dove i due tessitori lavoravano sui telai vuoti: - Dio mio! - pensò spalancando gli occhi - non vedo proprio niente! - Ma non lo disse forte. I due tessitori lo pregarono di avvicinarsi, per favore, e gli domandarono se il disegno e i colori erano belli; e intanto indicavano il telaio vuoto. Il povero vecchio continuò a spalancare gli occhi, ma non riuscì a vedere niente perchè non c’era niente.
Povero me! - pensò. - Sono dunque stupido? Non l’avrei mai creduto! Ma ora nessuno deve saperlo! O non sono adatto per questa carica? No, non posso andare a raccontare che non riesco a vedere la stoffa! -
E allora, non dice niente? - chiese uno dei tessitori. Oh! incantevoli, bellissimi! - esclamò il vecchio ministro, guardando da dietro gli occhiali. - Che splendidi disegni, che splendidi colori! Sì, sì ! dirò all’imperatore che mi piacciono in un modo straordinario! -
Ah! ne siamo davvero contenti! - dissero i due tessitori, e presero a enumerare i colori e a spiegare la bizzarria del disegno. Il vecchio ministro stette bene a sentire per ripetere le stesse cose, quando fosse tornato dall’imperatore; e così fece. Allora i due impostori chiesero altri soldi, e ancora seta e oro; l’oro occorreva per la tessitura. Si ficcarono tutto in tasca, e sul telaio non ci arrivò neanche un filo. Tuttavia essi seguitarono, come prima, a tessere sul telaio vuoto. Dopo un po’ di tempo l’imperatore mandò un altro valente funzionario, a vedere come procedeva la tessitura, e a chiedere se la stoffa era finita. Gli successe proprio come al ministro; guardò, guardò; ma siccome non c’era niente all’infuori dei telai nudi, non potè vedere niente.
Non è forse una bella stoffa? - dissero i due impostori; e gli mostravano e gli spiegavano il bellissimo disegno che non c’era per niente.
Stupido che sono! - pensò l’uomo. - Dunque, vorrà dire che non sono degno della mia alta carica? Sarebbe molto strano! Ma non bisogna farsi scoprire ! - E così prese a lodare il tessuto che non vedeva, e parlò del piacere che gli davano quei bei colori e quei graziosi disegni.
Sì, è proprio la stoffa piu bella del mondo! - disse all’imperatore. Tutti i cittadini discorrevano di quella stoffa magnifica. Allora l’imperatore stesso volle andare a vederla mentre era ancora sul telaio. Con uno stuolo di uomini scelti, tra i quali anche quei due bravi funzionari che già c’erano stati, egli si recò dai due astuti imbroglioni che stavano tessendo con gran lena, ma senza un’ombra di filo.
Eh!? non è "magnifique"? - dissero i due bravi funzionanari. - Guardi, Sua Maestà, che disegni, che colori! - E indicavano il telaio vuoto, perchè erano sicuri che gli altri la vedevano, la stoffa.
Che mi succede? - pensò l’imperatore. - Non vedo nulla! Terribile, davvero! Sono stupido? O non sono degno di essere imperatore? Questa è la cosa piu spaventosa che mi poteva capitare! -
Oh! bellissimo! - disse. - Vi concedo la mia suprema approvazione! - E annuiva soddisfatto, contemplando il telaio vuoto; non poteva mica dirlo, che non vedeva niente! Tutti quelli che s’era portato dietro, guardavano, guardavano, ma, per quanto guardassero, il risultato era uguale; eppure dissero, come l’imperatore: Oh! bellissimo! - E gli suggerirono di farsi fare, con quella stoffa meravigliosa, un vestito nuovo da indossare al grande corteo che era imminente.
Magnifique! Carina, excellent! - dicevano l’un l’altro; e sembravano tutti profondamente felici, dicendo queste cose. L’imperatore diede ai due impostori la Croce di Cavaliere da appendere all’occhiello e il titolo di Nobili Tessitori.
Per tutta la notte, prima del giorno in cui doveva aver luogo il corteo, gli imbroglioni restarono alzati con piu di sedici candele accese; tutti potevano vedere quanto avevano da fare per ultimare i vestiti nuovi dell’imperatore. Finsero di staccare la stoffa dal telaio, con grandi forbici tagliarono l’aria, cucirono con ago senza filo e dissero infine:
Ecco, i vestiti sono pronti ! - Giunse, allora, l’imperatore in persona, con i suoi più illustri cavalieri: e i due imbroglioni tenevano il braccio alzato come reggendo qualcosa e dicevano: Ecco i calzoni, ecco la giubba, ecco il mantello! - e così via di seguito. E’ una stoffa leggera come una tela di ragno! Si potrebbe quasi credere di non avere niente indosso, ma è appunto questo, il suo pregio ! - Si! - dissero tutti i cavalieri, ma non vedevano niente, perchè non c’era niente. E adesso, vuole la Sua Imperiale Maestà graziosamente consentire a spogliarsi? - dissero i due imbroglioni. Così noi Le potremo mettere questi vestiti nuovi proprio qui, dinanzi alla specchiera! - L’imperatore si spogliò e i due imbroglioni fingevano di porgergli, pezzo per pezzo, gli abiti nuovi, che, secondo loro, andavano terminando di cucire; lo presero per la vita, come per legargli qualcosa stretto stretto: era lo strascico e l’imperatore si girava e si rigirava davanti allo specchio.
Dio, come sta bene! Come donano al suo personale questi vestiti! - dicevano tutti. Che disegno! Che colori! E’ un costume prezioso ! - Qui fuori sono arrivati quelli col baldacchino che sarà tenuto aperto sulla testa di Sua Maestà durante il corteo! - disse il Gran Maestro del Cerimoniale.
Si, eccomi pronto! - rispose l’imperatore. - Non è vero che sto proprio bene? - E si rigirò un’altra volta davanti allo specchio fingendo di contemplare la sua tenuta di gala. I ciambellani che dovevano reggere lo strascico, finsero di raccoglierlo tastando per terra; e si mossero stringendo l’aria: non potevano mica far vedere che non vedevano niente! E così l’imperatore aprì il corteo sotto il sontuoso baldacchino e la gente per le strade e alle finestre diceva:
Dio! Sono di una bellezza incomparabile, i vestiti nuovi dell’imperatore! Che splendida coda dietro la giubba! Ma come gli stanno bene! - Nessuno voleva mostrare che non vedeva niente, perchè se no significava che non era degno della carica che occupava, oppure che era molto stupido. Nessuno dei tanti costumi dell’imperatore aveva avuto tanta fortuna.
Ma se non ha niente indosso ! - gridò un bambino. Signore Iddio! La voce dell’innocenza! - disse il padre; e ognuno sussurrava all’altro quello che aveva detto il bambino.
Non ha niente indosso! C’è un bambino che dice che non ha niente indosso! -
Non ha proprio niente indosso! - urlò infine tutta la gente. E l’imperatore si sentì rabbrividire perchè era sicuro che avevano ragione; ma pensò: "Ormai devo guidare questo corteo fino alla fine!" E si drizzò ancor piu fiero e i ciambellani camminarono reggendo la coda che non c’era per niente.
di Franz Kafka
L’imperatore - così si racconta - ha inviato a te, a un singolo, a un misero suddito, minima ombra sperduta nella più lontana delle lontananze dal sole imperiale, proprio a te l’imperatore ha inviato un messaggio dal suo letto di morte. Ha fatto inginocchiare il messaggero al letto, sussurrandogli il messaggio all’orecchio; e gli premeva tanto che se l’è fatto ripetere all’orecchio. Con un cenno del capo ha confermato l’esattezza di quel che gli veniva detto. E dinanzi a tutti coloro che assistevano alla sua morte (tutte le pareti che lo impediscono vengono abbattute e sugli scaloni che si levano alti ed ampi son disposti in cerchio i grandi del regno) dinanzi a tutti loro ha congedato il messaggero. Questi s’è messo subito in moto; è un uomo robusto, instancabile; manovrando or con l’uno or con l’altro braccio si fa strada nella folla; se lo si ostacola, accenna al petto su cui è segnato il sole, e procede così più facilmente di chiunque altro. Ma la folla è così enorme; e le sue dimore non hanno fine. Se avesse via libera, all’aperto, come volerebbe! e presto ascolteresti i magnifici colpi della sua mano alla tua porta. Ma invece come si stanca inutilmente! ancora cerca di farsi strada nelle stanze del palazzo più interno; non riuscirà mai a superarle; e anche se gli riuscisse non si sarebbe a nulla; dovrebbe aprirsi un varco scendendo tutte le scale; e anche se gli riuscisse, non si sarebbe a nulla: c’è ancora da attraversare tutti i cortili; e dietro a loro il secondo palazzo e così via per millenni; e anche se riuscisse a precipitarsi fuori dell’ultima porta - ma questo mai e poi mai potrà avvenire - c’è tutta la città imperiale davanti a lui, il centro del mondo, ripieno di tutti i suoi rifiuti. Nessuno riesce a passare di lì e tanto meno col messaggio di un morto.
Ma tu stai alla finestra e ne sogni, quando giunge la sera
Sul tema, nel sito, si cfr.:
PER UN RI-ORIENTAMENTO TEOLOGICO-POLITICO E ANTROPOLOGICO!!!
FLS
NAZARET - HA PRECISATO RATZINGER-BENEDETTO XVI - SI SCRIVE SENZA ACCA .... MA L’ERRORE PIù GRANDE - QUELLO CHE DURA DA DUEMILA ANNI - E’ CHE SI CONTINUA A SCRIVERE CHE "Deus caritas est" SENZA ACCA, SCAMBIANDO COSI’ "Mammona" ("caritas") con "Amore" (Agape, Charitas)!!!
ROMA - Correggetemi, se volete. Assomiglia a Wojtyla quando appena nominato Pontefice disse: "Se sbaglio mi corigerete" , l’affermazione di Benedetto XVI contenuta nella prefazione del suo libro che uscirà il 16 aprile, giorno del suo ottantesimo compleanno, e che è stato presentato oggi a Roma: "Siete liberi di contraddirmi". Il libro s’intitola Gesù di Nazaret, che, precisa il Pontefice, si scrive senza acca.
Nel volume il Papa affronta i temi decisivi del nostro tempo
Il libro del Papa: «Liberi di contraddirmi»
Presentato il volume di Benedetto XVI, «Gesù di Nazaret» in uscita lunedì: «Non un atto di magistero, ma una ricerca sul Gesù reale» *
ROMA - Un libro che parla di Gesù ma che affronta anche i temi decisivi del nostro tempo dalla politica alla morale. «Ho voluto fare il tentativo di presentare il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale, come il Gesù storico in senso vero e proprio», una figura «storicamente sensata e convincente». È questa una delle affermazioni che aprono il nuovo libro del Papa presentato alla stampa in Vaticano. «Gesù di Nazaret», questo il titolo della nuova fatica di studioso del Papa teologo, un’opera impegnativa che si compone di 448 pagine. Il nuovo libro del Papa «Gesù di Nazaret» (Ansa)
Una ricerca profonda ma, precisa il Papa nella premessa, non un atto di magistero: «Questo libro non è in alcun modo un atto magisteriale, ma è unicamente l’espressione della mia ricerca personale del volto di Cristo. Perciò ognuno è libero di contraddirmi. Chiedo solo alle lettrici e ai lettori quell’anticipo di simpatia senza il quale non c’è alcuna comprensione». Il volume è edito da Rizzoli e costa 19,50 euro. «Io sono convinto, e spero che se ne possa rendere conto anche il lettore - scrive ancora il Papa - che questa figura è molto più logica e dal punto di vista storico anche più comprensibile delle ricostruzioni con le quali ci siamo dovuti confrontare negli ultimi decenni». «Io ritengo - afferma Ratzigner - che proprio questo Gesù - quello dei Vangeli - sia una figura storicamente sensata e convincente». Il testo si compone di 10 capitoli più una premessa e una introduzione, quindi il libro si avvale di una lunga nota bibliografica nella quale vengono richiamati tutti i principali studi di carattere storico e teologico sulle varie fasi della vita di Gesù, sui Vangeli e sulla Bibbia.
PERCHE’ E’ STATO SCRITTO - «Gesù di Nazaret», che è, occorre ricordarlo, il primo libro di papa Ratzinger da pontefice, è frutto, come spiega nella premessa, di un «lungo cammino interiore» che, in qualche modo, affonda le sue motivazioni nella necessità di prendere posizione in quello che si determinò a partire dagli anni ’50 e che definisce «lo strappo tra il Gesù storicò e il Cristo della fede», dove «l’uno si allontanò dalla vista dell’altro». Prima - grazie anche ad autori come Adam, Guardini, Willam, Papini, Claude-Rops l’immagine di Gesù Cristo veniva delineata dai Vangeli sottolineando come Egli, attraverso l’ uomo, «divenne visibile Dio e a partire da Dio si potè vedere l’immagine dell’autentico uomo». Una immagine, dice ancora Benedetto XVI, che, attraverso la ricerca storico-critica, «divenne sempre più nebulosa, prese contorni sempre meno definiti».
E questa stessa immagine prese, via via, a seconda anche degli ideali di coloro che ne intesero chiarire il profilo, connotazioni diverse e lontane, dal rivoluzionario anti-romano al «mite moralista», causa della sua stessa rovina. Da questo, dice Benedetto XVI, si trae l’impressione che «sappiamo ben poco di certo su Gesù e che solo in seguito la fede nella sua divinità abbia plasmato la sua immagine», una situazione «drammatica per la fede perchè rende incerto il suo autentico punto di riferimento: l’intima amicizia con Gesù, da cui tutto dipende, minaccia di annaspare nel vuoto».
LA CRITICA ALL’IDEOLOGIA DEL SUCCESSO - Nel libro Benedetto XVI critica la «ideologia del successo e del benessere» anche in un passaggio del capitolo sul Padre nostro, analizzando la invocazione «liberaci dal male». Il male, osserva, «minaccia di ingoiarci» e «a questo si accompagna la disgregazione degli ordini morali mediante una forma cinica di scetticismo e illuminismo». «Anche oggi - aggiunge - ci sono da un lato le potenze del mercato, del traffico di armi, di droghe e di uomini, potenze che gravano sul mondo e trascinano l’umanità in vincoli ai quali non ci si può sottrarre. Anche oggi - aggiunge - c’è dall’altro, l’ideologia del successo, del benessere, che ci dice: Dio è solo una finzione, ci fa solo perdere tempo e ci toglie la voglia di vivere». Mentre il Padre nostro ci vuole dire: «solo quando hai perduto Dio hai perduto te stesso, allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell’evoluzione. Allora il "drago" ha vinto davvero. Finchè egli non riesce a strapparti Dio tu, - rimarca il Papa - nonostante tutte le sventure che ti minacciano, sei ancora rimasto intimamente sano».
GESU’ DONA LA VITA - In conclusione dell’opera, Benedetto XVI torna sugli stessi concetti elencando le sette «parole-immagini» che Gesù si attribuisce nel Vangelo di Giovanni: «Io sono il pane della vita - la luce del mondo - la porta - il buon pastore - la risurrezione e la vita - la via, la verità e la vita - la vera vite», grandi immagini, le definisce, alle quali «è lecito aggiungere anche quella della sorgente d’acqua». Citando lo studioso Schnackenburg, il Papa osserva che «tutte queste espressioni figurate non sono che variazioni sull’unico tema: Gesù è venuto nel mondo affinchè gli uomini abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza». E questo perchè «l’uomo desidera e abbisogna, in fin dei conti - scandisce Ratzinger -, di una cosa sola: la vita, la vita piena - la felicità». «L’uomo, in fondo - sono le conclusioni del Papa -, ha bisogno di un’unica cosa che contiene tutto; ma deve prima imparare a riconoscere attraverso i suoi desideri e i suoi aneliti superficiali ciò di cui necessita davvero e ciò che vuole davvero. Ha bisogno di Dio». E dietro le varie espressioni figurate del Vangelo «c’è in ultima istanza questo: Gesù ci dà la vita perchè ci dà Dio: ce lo può dare perchè è Egli stesso una cosa sola con Dio. Perchè è il Figlio. Egli stesso è il dono - Egli è la vita».
* Corriere della Sera, 13 aprile 2007
Oggi la presentazione del libro di Benedetto XVI
Il Papa ai lettori: "Liberi di contraddirmi" *
ROMA - Correggetemi, se volete. Assomiglia a Wojtyla quando appena nominato Pontefice disse: "Se sbaglio mi corigerete" , l’affermazione di Benedetto XVI contenuta nella prefazione del suo libro in uscita nei prossimi giorni e presentato oggi a Roma: "Siete liberi di contraddirmi". Il libro s’intitola gesù di Nazaret, che, precisa il Pontefice, si scrive senza acca.
"Questo libro non è in alcun modo un atto magisteriale, ma è unicamente l’espressione della mia ricerca personale del volto di Cristo" si legge ancora nella premessa. "Perciò ognuno è libero di contraddirmi. Chiedo solo alle lettrici e ai lettori quell’anticipo di simpatia senza il quale non c’è alcuna comprensione".
* la Repubblica, 13 aprile 2007
IL LIBRO DEL PAPA
Ratzinger: «Vi racconto Gesù»
Resa nota la data ufficiale (16 aprile) di uscita del volume che Benedetto XVI ha dedicato a Cristo. Ecco alcune chiavi di lettura:i tre testi precedenti
di Elio Guerriero (Avvenire, 05.04.2007)
Al libro su Gesù, di cui si è avuta ieri qualche anticipazione*, Benedetto XVI è arrivato dopo lunga preparazione. Partendo dalla liturgia, il suo sguardo si è progressivamente volto verso Gesù nel tentativo di incontrare non solo il suo messaggio e la sua predicazione, ma la sua persona.
Il primo saggio di rilievo è presente nel volume Cantate al Signore un canto nuovo (Jaca Book, 1996). L’opera aveva prevalente carattere liturgico, vi compariva, tuttavia, un importante articolo che mirava a liberare il campo dalle immagini riduttive di Gesù introdotte dal liberalismo di inizio secolo e da alcune correnti teologiche contemporanee. Gesù il liberatore, il compagno di viaggio, il povero tra i poveri. Sotto la forma accattivante questi titoli hanno il torto di rinchiudere Gesù nel suo tempo, di ridurlo a un piccolo predicatore, quale si poteva incontrare in Palestina sotto Tiberio e Ponzio Pilato. Ben oltre sono le attese della fede espresse, ad esempio, dalla Lettera agli Ebrei: «Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi, nell’eternità» (13,8).
Come superare, allora, la distanza per divenire compagni di viaggio di Gesù, entrare nella comunione con Dio e con il Padre che egli dice di essere venuto a portare? In Il Dio vicino (San Paolo, 2003) il papa osserva che la lettera agli Ebrei indica correttamente tre determinazioni di tempo. A dire il vero l’eternità si colloca al di là del tempo ed è coestensiva con il passato, il presente, il futuro. La prima e più ardua distanza è, dunque, quella che separa gli uomini immersi nel tempo dal Dio eterno.
Qui il papa, parafrasando Sant’Agostino, può affermare che per questo collegamento decisivo, il fedele non deve compiere un grande viaggio. Il Logos, il Figlio eterno del Padre «per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria». Il Figlio, dunque, non è solo nel compiere questo viaggio dall’eternità al tempo. All’origine vi è il Padre di misericordia «che ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo figlio unigenito» (Gv 3,16). Collabora con lui lo Spirito d’amore, il cui compito, nell’eternità come nella storia, è quello di unire. Egli fa sì che, pur nel distacco dal Padre, il Figlio è unito a Lui. Egli garantisce che il Gesù che viene nella storia è il Logos, il Verbo, generato dal Padre dall’Eternità. Egli è la garanzia sicura che Gesù, vissuto duemila anni fa, è vivo e presente nell’Eucarestia, entra in comunione con i fedeli di oggi e di ogni tempo, accoglie le loro domande e le loro sofferenze. Ma vi è un’altra persona, cui l’articolo del Credo fa riferimento, è la Vergine Maria. Il saluto con il quale l’angelo si rivolge a Maria: «Salve, piena di grazia, il Signore è con te» rimanda, secondo gli esegeti, ad una promessa del profeta Sofonia (3,14). Con questo saluto Maria appare come la figlia di Sion in persona, come il luogo della dimora, come la santa tenda, su cui sta la nube della presenza di Dio. Fin qui la comunione con l’eternità.
Ad introdurre la comunione con il passato il papa ama ricordare un’altra pericope dell’Antico Testamento: il sacrificio di Isacco, preceduto dal lento peregrinare di Abramo e del figlio verso il monte Moira. Questo cammino che sembra non finire mai prefigura il tempo della storia della salvezza, il tempo dell’attesa dell’uomo, ma soprattutto dell’attesa di Dio. Egli attende la riconoscenza dell’uomo ma riceve solo oltraggio e violenza (i vignaioli perfidi). Alla fine sarà Dio stesso a offrire il Figlio come vittima di sacrificio. L’agnello impigliato tra i rovi, che l’angelo ordina ad Abramo di sacrificare è figura di Gesù Cristo che porta la corona di rovi della colpa dell’uomo. Salendo il monte, Abramo aveva detto ad Isacco: «Dio provvederà». In Gesù Cristo la promessa di Abramo si avvera alla lettera. Egli dona un agnello che porta via i peccati del mondo. Gesù collega, dunque, il passato al suo presente, egli porta a pienezza e completamento l’antica alleanza ed unisce in concordia i due Testam enti. Nello Spirito d’amore, difatti, egli rinnova l’alleanza con Dio e la estende a tutti i popoli e a tutte le persone che accolgono il suo Vangelo di misericordia. È lo Spirito, dunque, che ancora una volta permette ai fedeli di ogni tempo di vivere nel presente di Gesù, nella sua comunione eucaristica, memoria del sacrificio della croce. Non è, tuttavia, di poca importanza il fatto che sotto la croce vi siano Maria e Giovanni. Essi assistono al colpo di lancia che apre il costato di Gesù, dal quale escono sangue ed acqua, la Chiesa che con la sua struttura sacramentale ha il compito di mantenere viva la comunione con il suo Signore.
Prosegue Benedetto XVI: nel Canone romano dopo la consacrazione appaiono dei nomi. Sono apostoli e discepoli, vescovi e martiri che hanno il compito di trasmettere la testimonianza e la comunione: «ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto coi nostri occhi... noi lo annunciamo a voi» (1 Gv 1,1s.). Questo il collegamento con il presente.
A conclusione del percorso, tuttavia, il papa esorta a volgere nuovamente l’attenzione all’eternità. A sostegno di questo percorso che ci riporta alla comunione con Gesù e il Padre, Benedetto XVI cita ancora sant’Agostino: «Mangia il pane dei forti, e tu non trasformerai me in te stesso, ma io trasformerò te in me». (In cammino verso Gesù). L’Eucarestia, dunque, introduce nel mondo di Dio, permette di incontrare nell’oggi della fede il Figlio e il Padre nello spirito d’amore.
La comunione eucaristica, tuttavia, per essere autentica, apre anche alla solidarietà con i disagiati e dilata all’infinito i confini della comunione. In Cristo sono aboliti ogni sorta di barriere e viene istituita la comunione con i fratelli di ogni luogo e di ogni tempo. La Chiesa riunita intorno all’Eucarestia è il luogo della fraternità, il nuovo popolo di Dio che esercita una funzione profetica e vicaria verso la comunità universale degli uomini con la missione, la ca rità e la sofferenza.
A conclusione un accenno all’arte figurativa e alla musica. Commenta il Papa: «quando il fedele dei primi secoli vedeva il buon pastore che si caricava sulle spalle la pecorella smarrita, egli sapeva benissimo che quella pecorella era lui che Gesù aveva raccolto con affetto e tenerezza. Quando la musica sacra fa cantare parole accorate ma rasserena con la melodia, il fedele sa che questo è possibile perché Cristo è Risorto e ci offre ogni giorno la sua comunione d’amore».
Il volume di Benedetto XVI di cui ho sintetizzato le ultime frasi in questo articolo, si intitola Il cammino verso Gesù. Esso fa riferimento alla compagnia che il Signore offre a chi gli mette a disposizione il suo amore, ma allude probabilmente anche alla grande opera su Gesù, la cui pubblicazione è imminente.
* IL BUON SAMARITANO
«Occidente sazio e disperato stai saccheggiando l’Africa...»
La parabola del buon samaritano e l’Occidente che si arricchisce sulla povertà dei paesi dell’Africa, o si abbandona all’abbrutimento consumistico. Le due situazioni si trovano congiunte in una sezione del libro che papa Benedetto XVI ha dedicato alla figura di Cristo.
L’ampia riflessione del Pontefice, tratta dal libro in uscita, è stata anticipata ieri dal «Corriere della Sera». In sostanza, il buon samaritano è l’occasione che Gesù dà alla riflessione per comprendere che la prima alterità va cercata in noi stessi: ama il prossimo tuo come te stesso, il comandamento biblico, diventa lo specchio per sostenere questa ricerca di mettersi nella parte dell’altro. «Io devo diventare il prossimo» perchè solo in quel momento «l’altro conta per me come "me stesso"». «La domanda - scrive Benedetto XVI -, nel concreto, è: chi è il "prossimo"? La risposta abituale, che poteva poggiarsi anche su testi delle Scritture, affermava che "prossimo" significava "connazionale". (...) Gli stranieri, allora, le persone appartenenti a un altro popolo, non erano "prossimi"? (...)».
Di fronte alla problematicità di questa scelta, Gesù - scrive Papa Ratzinger - «risponde con la parabola dell’uomo che sulla strada da Gerusalemme a Gerico viene assalito dai briganti che abbandonano ai bordi della via, spogliato e mezzo morto». Un sacerdote e un levita tirano oltre; arriva il samaritano - «uno che non appartiene alla comunità solidale di Israele» - e ne ha compassione. Fu morso «nelle viscere», «preso nel profondo dell’anima», precisa il Papa, che collega questa immagine alle responsabilità dell’Occidente verso i paesi poveri dell’Africa, o al comportamento di tanti verso «l’uomo spogliato e martoriato» «Le vittime della droga, del traffico di persone, del turismo sessuale, persone distrutte nel loro intimo, che sono vuote nell’abbondanza di beni materiali». «Tutto ciò - è il monito di Benedetto XVI - riguarda noi e ci chiama ad avere l’occhio e il cuore di chi è prossimo e anche il coraggio dell’amore verso il prossimo».
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l’appuntamento
Venerdì 13 aprile in Vaticano la presentazione con Schönborn, Garrone e Cacciari
«Gesù di Nazareth», il libro di Papa Ratzinger sarà presentato il 13 aprile nell’Aula del Sinodo in Vaticano dal cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, dal professor Daniele Garrone, decano della Facoltà Valdese di Teologia di Roma e dal professor Massimo Cacciari, ordinario di estetica all’università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Coordinerà padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa della Santa Sede.
Pubblicato con la firma «Joseph Ratzinger-Benedetto XVI», il volume «Gesù di Nazareth» sarà in vendita nelle librerie da lunedì 16 nelle edizioni italiana (Rizzoli), tedesca (Herder) e polacca (Wydawnictwo M). Già nel mese di novembre dell’anno scorso il nostro giornale aveva dato una anticipazione dalla prefazione che il Papa ha scritto per questo volume, dove emergeva chiaramente che il Gesù della fede e dei Vangeli non è altra cosa dal Gesù storico.
Fin dalle prime battute il Papa mette in campo l’argomento fondamentale del libro: liberare l’orizzonte dai rischi di rendere Gesù una figura mitica, considerandolo solamente un prodotto della fede che ha costruito un’immagine della sua divinità per sopperire alle scarse notizie che abbiamo di lui. «Questa impressione - scrive - è penetrata profondamente nella coscienza comune della cristianità. Una simile situazione è drammatica per la fede perché rende incerto il suo autentico punto di riferimento: l’intima amicizia con Gesù, da cui tutto dipende, minaccia di annaspare nel vuoto».
Di questo ritorno alla storicità di Cristo, alla sua concretezza, testimonia fin dall’inizio il titolo, che non evoca un’immagine di Gesù fuori dal tempo e dallo spazio, bensì quella di una persona la cui storicità è sottolineata dal luogo di nascita: Nazareth.
CRITICARE IL PAPA, SPORT DI MODA
La caduta di Pippo Baudo polemista indecente
di Lucetta Scaraffia (Avvenire, 06.02.2007)
Ci mancava Pippo Baudo che, dall’alto di un popolarissimo programma televisivo dedicato al calcio, ha criticato Benedetto XVI per non essere subito intervenuto sui gravi fatti di Catania, ma piuttosto - è sembrato suggerire - su questioni di secondaria importanza come l’eutanasia, l’aborto o i pacs. Tutti i media, con poche eccezioni, sembrano impegnati in una critica serrata al Papa, e ogni pretesto pare buono. La violenza negli stadi sarebbe l’unica contro la quale è legittimo - anzi, doveroso - pronunciarsi, mentre tutto il resto sarebbe meglio lasciarlo ai politici. Questa era l’aria sui giornali italiani di ieri, dai quali, in misura maggiore o minore, la giornata della vita, celebrata domenica dalla Chiesa italiana e da Benedetto XVI, risulterebbe solo un’inutile ripetezione di rimproveri già fatti, un arroccamento perdente su posizioni conservatrici non condivise neppure da tutti i cattolici. Perfino i ragazzi del Movimento per la Vita - ridotti a "poche migliaia", in un implicito confronto con l’alto numero di giovani presenti in altre manifestazioni - con i loro palloncini bianchi e verdi, sembrano poveri fanatici, fuori della storia e del tempo. Del resto già due settimane fa L’espresso, mandando un suo giornalista nei confessionali - con una grave violazione della deontologia professionale prima ancora che con un affronto al sacramento della confessione, quasi da nessuno deplorato (e proviamo solo a immaginare le conseguenze di qualcosa di simile nei confronti di ebrei o musulmani) - ha cercato di dimostrare che il Papa è un generale senza esercito. Mentre abbondano critiche e accuse, non c’è nessuno che risponda veramente alle obiezioni di Benedetto XVI sulle questioni della intangibilità della vita e della famiglia. Al massimo si dice che i suoi allarmi sono inutili, le sue parole insensate. Di fronte alle sue ragioni, che sono forti e ben argomentate, si sbandiera solo una generica ideologia in cui le parole libertà e amore fanno balenare un avvenire di felicità contrapposto a un presente di oppressione. Oppure, la necessità di adeguarsi in proposito ai paesi più avanzati, senza tenere conto che là dove sono in vigore da più tempo queste leggi libertarie - come in Olanda e Gran Bretagna - giornali e osservatori di ogni tendenza denunciano il degrado sociale e morale in cui è caduta la società, ben visibile nella crisi delle nuove generazioni. Si aggiungono i sondaggi dalle domande manipolate, per convincere che ormai tutti pensano così, che bisogna mettersi in linea per non rimanere tagliati fuori. E si sorvola invece quando altre ricerche rivelano come fra le comunità immigrate quelle che riescono a sfuggire in maggior numero a prostituzione, droga e delinquenza sono quelle asiatiche, tra le quali la famiglia è ancora fortissima. Se non si sa cosa rispondere - o se la risposta vera è solo quella della necessità politica di tenere unito il governo di centrosinistra facendo concessioni a radicali e sinistra - si arriva alla lapidazione mediatica del Papa, nel tentativo di delegittimarlo e quindi di rendere le sue parole inefficaci. Tutto questo svela una grande paura di aprire un dibattito autentico su questi temi, per riflettere su cosa stiamo facendo e sulle conseguenze di provvedimenti di questo tipo nella nostra società. E stupisce che quanti hanno a cuore la libertà di espressione - cattolici di varie tendenze o laici che siano - non denuncino questa situazione, chiedendo che le parole di Benedetto XVI siano ascoltate e discusse con il rispetto e l’attenzione che si devono non solo al capo di una confessione religiosa, ma a chiunque esprima un’opinione controcorrente.
A un anno da "Rockpolitik", il Molleggiato ospite a "Che tempo che fa". "Lasciare che si ironizzi su un fatto religioso è una lezione di tolleranza"
Celentano, il Vaticano e la satira "Anche Gesù era un comico"
Canzoni, silenzi, e riflessioni sul potere e sulla televisione. "Durante il mio ultimo show, mi sentivo il padrone della Rai..."
di ALESSANDRA VITALI *
L’EVENTO si consuma nel giorno della manifestazione della Cdl ma lui, che da cent’anni si proclama "re degli ignoranti", dice di non sapere cosa sia accaduto a Roma, né perché. Salvo approvare quando Fabio Fazio gli spiega che "era contro la Finanziaria": "Allora hanno fatto bene".
Adriano Celentano torna in tv a un anno dal suo Rockpolitik, sceglie RaiTre e Che tempo che fa e porta in scena la cifra che più gli è congeniale, pause indecifrabili, canzoni, riflessioni con poco senso e osservazioni che un senso, per lui, ce l’hanno: sulla tv, sul potere, sull’inquinamento, sulla "banalità che ha invaso il mondo". E pur se affezionato alle sue personalissime riflessioni sui massimi sistemi, il Molleggiato si concede un salto nell’attualità: con la sua polemica sulla satira, dice "il Vaticano ha sbagliato".
Entra sulle note di Prisencolinensinalciusol, Luciana Littizzetto gli balla intorno, lui si prende la scena, siede al posto del conduttore. Saltano, era scontato, le domande in scaletta, con Celentano è inutile pensare di dare un ordine alle cose, infatti il discorso iniziale sulla tv comincia dalla conclusione: "Questa è la parte finale, viene dopo perché sennò la gente capisce, e invece non deve capire".
Parla delle nevrosi alle quali sarebbero destinati coloro che fanno tv, che poi si trasformano "in una pericolosa e sottile cattiveria", e "non vale solo per chi la tv la fa, ma anche per chi la guarda". C’è un’eccezione, è Gianni Morandi: "Ha fatto cinque puntate per acquisire un po’ di cattiveria ed è più buono di prima. Ha fatto un prestito a Pupo. A lui il potere gli ha fatto un baffo, a me no".
Riflette sul potere, "pericoloso perché se non lo controlli ti spinge a fare cose che non si devono fare, come la guerra o gli inceneritori che spargono nell’aria polveri sottili che ci fanno venire il cancro". Insiste: "Andreotti diceva che il potere logora chi non ce l’ha, non è vero, logora chi ce l’ha". Ne approfitta per rinverdire ricordi e polemiche legate al suo show su RaiUno: "Quando facevo Rockpolitik avevo un potere che spaventava anche me. Sembravo il padrone della Rai, tant’è che Fabrizio Del Noce si è autosospeso...".
Canzoni (L’emozione non ha voce, Storia d’amore) e silenzi diffusi. "Ma tu, nei tuoi silenzi, pensi?", gli chiede Fazio. La risposta viene dopo una lunga pausa: "In tv tutti non lasciano spazio tra una parola e l’altra perché hanno il terrore che l’audience crolli. Io credo di essere un po’ ritardato a captare le cose... Perché ci deve essere lo spauracchio di non fare un discorso con calma?".
Infine, satira e religione. "Il Vaticano ha sbagliato. Ironizzare anche su un fatto religioso è un messaggio grandissimo in questo periodo, non è irriverente. Non protestare sarebbe come dare una lezione di tolleranza anche alle altre religioni, dire ’non arrabbiatevi se...’. Anche su Gesù ci sono barzellette bellissime, che possono raccontare pure i bambini. Gesù era un comico, e Dio non è quel barbuto che ci immaginiamo, serio... Dio è giovane, e bellissimo".
Celentano ricorda che Maurizio Crozza, nei giorni scorsi al centro delle polemiche per l’imitazione di Benedetto XVI nel programma Crozza Italia, gli aveva proposto lo sketch per Rockpolitik (il comico era una presenza fissa nello show) "ma gli dissi che di polemiche ce n’erano abbastanza. Ma mi divertì molto, non era affatto irriverente".
Chiude il capitolo la Littizzetto con l’abituale appello a Eminenz-Ruini: "Eminenz, guardi che brava persona questa qui - dice - anche se ha una faccia che se entra in chiesa viene voglia di chiudere col lucchetto la cassetta delle offerte. Dovrebbe imparare da lui, perché le prediche come le fa lui, lei se le sogna".
* la Repubblica, 2 dicembre 2006
«Non un atto magisteriale, solo espressione della mia ricerca personale»
Il libro del Papa: «Potete contraddirmi»
Si intitola «Gesù di Nazareth. Dal Battesimo alla Trasfigurazione», sarà stampato da Rizzoli nella prossima primavera
CITTÀ DEL VATICANO - Benedetto XVI ha terminato di scrivere il suo libro da Gesù Cristo. Si intitola «Gesù di Nazareth. Dal Battesimo alla Trasfigurazione» ed è una sorta di summa teologica sulla figura di Cristo. L’annuncio dell’uscita del primo dei due volumi dell’opera, che sarà stampata dalla Rizzoli nella prossima primavera, è stato dato dalla sala stampa vaticana.
«POTETE CONTRADDIRMI» - «Questo libro non è assolutamente un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della mia ricerca personale del volto del Signore. Perciò ognuno è libero di contraddirmi», ha reso noto Benedetto XVI. Nella prefazione Joseph Ratzinger chiarisce che l’opera non è da ritenersi vincolante dal punto di vista del magistero. «Chiedo solo ai lettori e alle lettrici quell’anticipo di simpatia senza la quale non c’è alcuna comprensione».
GRANDE PRIVILEGIO - «Che la nostra casa editrice sia stata scelta per la pubblicazione del libro di Benedetto XVI è motivo di forte orgoglio», ha affermato Piergaetano Marchetti, Presidente RCS MediaGroup. «E’ infatti un grande onore per il Gruppo, da sempre impegnato in un’editoria attenta alle esigenze culturali e spirituali dei lettori, poter ancora una volta essere parte attiva nella diffusione a livello mondiale di un’opera dal messaggio così importante». L’uscita del primo libro da Papa di Joseph Ratzinger è stata annunciata come «un grande privilegio» anche da Giulio Lattanzi, amministratore delegato della Rizzoli: «Ringrazio gli amici della Libreria editrice vaticana - ha detto - e avverto tutta la responsabilità che ne deriva e che ci impegniamo a onorare nel migliore dei modi».
Corriere della Sera, 21 novembre 2006
«Sono più famoso di Agca, senza nemmeno l’aiuto dei servizi bulgari»
Crozza: «Adesso tocca al presidente iraniano»
Parla il comico criticato dal giornale dei vescovi per la sua imitazione di Benedetto XVI. «Ma al Papa non rinuncio» *
ROMA - «Mi hanno chiamato dal New York Times, lo giuro. Ma dico: faccio il 3% di share su La7, non hanno di meglio da fare? E che dovrebbe succedere a Pippo Baudo? Un’intervista da Marte? Mamma mi ha telefonato: "Sei su tutti i tg, cos’hai fatto?". E io: "Mamma, sono più famoso di Alì Agca, e non mi hanno nemmeno aiutato i servizi segreti bulgari"».
Crozza, è la risposta alle polemiche sull’imitazione del Papa?
«No. Sto provando il monologo per lunedì. Sa cosa mi ha stupito? Tanta gente che ha dichiarato: "Non ho visto l’imitazione, ma mi offende". Mi ricorda chi ci dice come fare sesso e non fa sesso, come educare i figli e non fa figli».
Una descrizione dei documenti della Conferenza Episcopale?
«E’ una sua deduzione.... Certo, mi hanno trattato come il diavolo. Ma se non ho nemmeno scritto la Finanziaria!».
Domani alle 21 rinuncerà o no all’imitazione di Benedetto XVI
«Creo suspence. Accendete la tv. E vedrete».
Dicono anche che proporrà anche un’imitazione di Ahmadinejad, il presidente dell’Iran.
«Ci sto lavorando, continuo a sperimentare. Ma questa è l’idea: siamo a Teheran, c’è Antonio Zichichi che spiega a Ahmadinejad i segreti della bomba atomica. Il dialogo si ingarbuglia. Tutto finisce come la lettera di Peppino e Totò».
Si apre il capitolo della satira sul mondo dell’Islam?
«Non rivendico nulla. Paolo Kessisoglu e Luca Bizzarri imitarono tre anni fa Bin Laden. Io stesso ho fatto Saddam. Si ironizza su temi sicuri. Potrei fare Kim Jong-Il... Satira sull’Islam? E io che ne so? Non ho tre anni di corano alle spalle. Ma tre da chierichetto sì. Quasi una laurea breve».
Cos’ha pensato quando il segretario del Papa ha detto «basta»?
«La stessa cosa che ho pensato sul New York Times»
Cioè che don Georg Genswein non aveva di meglio da fare?
«Altra sua deduzione... Non credevo di avere tanto potere. Forse ho letto troppo Geppo da piccolo. Avrei dovuto dire troppo Faust, lo so. Ma fa lo stesso».
Ma lei si definisce un cattolico?
«Sì. Sono cresciuto con quei valori. Quando avevo sei anni sono entrato in chiesa e il prete mi ha detto: pentiti! Sono 45 anni che mi chiedo: di che? Ho sviluppato un gran senso di colpa... Mi sono sposato in chiesa, era un desiderio di mia moglie Carla Signorinis, cattolica e credente, che ho rispettato. I nostri figli a Genova studiano dai Maristi. Poi io con loro parlo di tutto. Anche delle religioni».
Però molti cattolici ritengono blasfema la sua satira.
«Ma non sono un mangiapreti, l’ho spiegato. La realtà è che parlo di un mondo che conosco e mi appartiene. Prendete Borat. Da ebreo prende in giro gli ebrei. Perché si ride di ciò che si conosce. E qui rispondo ancora sulla satira e l’Islam. Comunque lo penso da tempo: viviamo un Paese assai poco laico, molto clericale. Ma tutto questo non dovrebbe influenzare la cultura. Né la libertà di satira».
Avvenire parla di «totalitarismo satirico», di «satira intoccabile».
«Non capisco cosa voglia dire. Io voglio poter sorridere di qualsiasi cosa riguardi gli esseri umani. Tutti gli esseri umani, incluse le loro debolezze. La satira è l’esasperazione, l’iperbole di quelle debolezze. Siamo tutti uomini. Tutti fallibili. Con la gag sul Papa volevo solo umanizzare il personaggio. Ricordare che non esistono idoli terreni».
Ha sentito il don Georg radiofonico di Fiorello?
«Non ancora. Ma dev’essere fantastico. Fiorello è bravissimo».
Sembra quasi che il «suo» Pontefice non sappia cosa dire...
«Ho la sensazione che la Chiesa sia un po’ anacronistica, che viva al di fuori della realtà. Per questo vedo Benedetto XVI come un attore costretto ad andare in scena ogni domenica con l’Angelus. Lì c’è molto Mel Brooks. E c’è l’amarezza dell’uomo: "Quando parlava lui, tutti dicevano bravo Papa, quando parlo io tutti dicono bravo Papa di prima...". Poi è arrivato il discorso di Ratisbona e abbiamo capito tutto».
Si metta però nei panni di un cattolico osservante.
«Già fatto. La moglie di un mio autore è cattolicissima osservantissima. Ora è anche delusissima dalla reazione della Chiesa. Anche a me, ora sono serio, tutto sembra una follia».
Ha detto monsignor Georg Genswein: sarebbe troppo onore se il Papa rispondesse a «questa gente ». Cosa risponde?
«Che va benissimo. Non bisogna attribuire troppi significati a un uomo di satira. Sono un comico. Non voglio cambiare il mondo. Ma voglio continuare ad essere un comico».
Paolo Conti
* Corriere della Sera, 19 novembre 2006
NESSUNO PROVI A TOCCARE LA SATIRA
di Mariano Sabatini *
Viviamo immersi, noi italiani, in un’aura mistica o, se preferite, misticistica. Ci addormentiamo con le campane, e con le campane ci destiamo. Ovunque i campanili fanno ombra alle nostre piccole miserie di peccatori. A scuola ci vengono spacciate nozioni di catechismo anziché di storia delle religioni.
Sull’onda dei richiami ecclesiastici, a cui i nostri politici - in pratica dell’intero arco costituzionale - sono asserviti: i gay e le lesbiche non possono vedere riconosciuti i loro Pacs; chi non può avere figli non deve neanche pensare di rivolgersi (almeno in Italia) all’inseminazione eterologa; quasi quasi c’è chi penserebbe di rivedere le norme su conquiste civili come aborto e divorzio. Siamo tutti cattolici, anche gli atei o gli agnostici.
Siamo cattolici di cultura, lo diventiamo per infezione da contatto. Nessuno si senta escluso o immune. Ma l’influenza che la Chiesa vorrebbe esercitare nel vissuto di gente in lotta, oggi, con esistenze complicate per molteplici cause è, ormai, insostenibile.
Ultimi esempi, l’attacco del quotidiano Avvenire, che si comporta come un qualsiasi foglio di partito, o le intemerate dell’aitante e phonato don Georg Genswein contro la satira rivolta alla sua persona o a quella di Papa Ratzinger. In questo periodo, proprio in risposta all’invadenza curiale, sono in molti a costruire gag su auguste figure religiose.
Adoro Luciana Littizzetto che rivolgendosi al cardinal Ruini (quello degli appelli al Tg1) lo chiama “Emineeens” e lo invita a pubblicare la Ruinanda, l’agenda con 365 divieti! Amo Maurizio Crozza che, nelle vesti candide di Sua Santità e accento teutonico, tenta di coinvolgere i suoi cardinali nelle sue boutade, e si rammarica di non avere gli stessi autori di Fiorello che gli scrivano le encicliche.
Rido di gusto con la parodia che Fiorello fa di don Georg; che, se non sbaglio, si è fatto fotografare su “Chi” in mutandoni, su un campo da tennis.
Triste dover difendere la libertà di espressione da chi, pochi mesi fa, dopo un frainteso discorso all’università ha dovuto correggersi in tutta corsa per evitare le rappresaglie degli islamici. L’integralismo avanza.
Anche Umberto Eco, nel “Nome della rosa”, parla del potere dirompente del riso. Sfruttando uno slogan efficace, ci sentiremmo di gridare: nessuno tocchi la satira. O una risata vi seppellirà!
* (Metro - Milano, 17.11.2006, p. 7)
Uccidere la satira rendendo tutti potenti
di Alessandro Robecchi (il manifesto, 15.11.2006)
E alla fine comparve lui, padre George Genswein, segretario personale del papa. Bei tempi quando preti e prevosti comparivano annunciati da un intenso odore di incenso: adesso si fanno precedere da un fondo sull’Avvenire: mala tempora currunt. Nel mirino di padre George c’è la satira, che tenta «di ridicolizzare figure cattoliche» (questo è l’Avvenire). La qual cosa «non è accettabile» (questo è padre George). Crozza, Fiorello, Litizzetto, Fazio, i casi ultimi. E poi via elencando, forse all’infinito, perché la satira migliore si fa sui potenti, è una specie di autodifesa dal potere, e forse la satira morirà da sé quando saremo tutti potenti uguali, la qual cosa pare leggermente utopistica. Del resto, i tempi sono quelli che sono. Scherza coi fanti ma lascia stare i santi è un vecchio adagio popolare, ma non tiene conto del fatto molto moderno (e molto antico) che spesso i fanti partono per la guerra dicendo di farlo per conto dei santi, come fa il cristiano rinato George Bush. E la cosa si complica.
Nel travagliato viaggio dell’Occidente dalle catacombe ai giorni nostri, a fare la satira sul papa ci abbiamo messo secoli, rischiando via via il rogo, la galera e l’indice dei libri proibiti (ultimo italiano all’indice, Alberto Moravia, e non era il Medioevo). In più, siamo nel pieno della società della comunicazione, e può essere che un satirico in cerca di idee si faccia stimolare da quel che è più presente sui media e li occupa con una spaventosa sovraesposizione, proprio come il papa. Non stupisce, nelle sue dichiarazioni contro la satira, che padre George ripeta più volte di non averla vista, e di non volerla vedere in futuro. E questo è un altro vizietto atavico dei preti. Non vedono ma protestano, non hanno donne ma parlano di sesso, non fanno figli ma ti dicono come crescerli e addirittura come farli. In generale non sono molto autoironici, e dunque chi ride li disturba. Quel che non capiscono è che questo, proprio questo, fa scattare la risata che - siamo realisti - non li seppellirà. Li farà solo un pochino incazzare. Pazienza.
Lo Zapaterismo in RAI, insegnato ai bambini !
Come insegnare ai bambini che il matrimonio non è solo tra uomo e donna, ma anche omo + omo, donna + donna, ecc.? Per l’attuale governo di sinistra basta usare le tasse, cioè i soldi dei contribuenti, per spargere il suo verbo sulla famiglia ed educare la popolazione per ammorbidirla in vista della legge che ridefinirà matrimonio e famiglia come ha fatto Zapatero. Proditero!
La Rai, la nostra televisione pubblica nazionale, sta per lanciare l’ennessima pubblicità ai matrimoni omosessuali. Protagonista di questa subdola operazione, dopo Gianni Morandi, questa volta è il turno di Lino Banfi ...il simpatico nonnetto di "Un medico in famiglia"...l’attore pugliese sarà infatti protagonista dal giorno 20 novembre di una fiction in prima serata su Rai Uno, dal titolo "Il padre delle spose"...la vicenda narra che questo padre recatosi in Spagna per andare a trovare la figlia che lavora lì, la troverà ...con sua sorpresa, sposata con un’altra donna!
E’ già stato anticipato che la fiction si concluderà con l’accettazione da parte del padre di questo matrimonio, con tanto di finale a loro dire commovente in baci e abbracci di Lino Banfi alle due donne sposate.
Ora mi chiedo: ma a chi vogliono prendere in giro? Certo, basterà non vedere questo film, ma il punto non è questo: il fatto è che lo vedranno in prima serata tanti bambini affascinati dalla ’comica figura’ di Lino Banfi e, noi questo non lo possiamo accettare passivamente. Per questo propongo di tempestare la Rai di e-mails di protesta, chiedendo lo spostamento in seconda serata (quantomeno!) della fiction!
Per protestare potete compilare il form della rai al seguente link: invia il tuo ’disgusto’ alla Rai : http://www.rai.it/ScriveRai/0,10289,,00.html
da : http://kattolikamente.splinder.com/
LA SATIRA NON PIACE IN VATICANO
di Francesco Merlo (la Repubblica, 15 novembre 2006)
Nulla è al riparo dalla satira, e forse Dio è la satira per eccellenza perché ha un materiale immenso davanti, e cioé l’infinita finitezza dell’uomo. Tanto più che l’idea del segretario del Papa, Georg Genswein, di esorcizzare Crozza, Fiorello e la Littizzetto con l’acqua benedetta più che una minaccia sembra gia una gag.
Anche in questo caso dunque sarebbe facile e doveroso schierarsi con la libertà di satira, se essa fosse esercitata laicamente, in tutte le direzioni, anche verso se stessa, con Fiorello che fa la satira di Fiorello, Crozza che satireggia il nostro Papa, e ovviamente anche l’lmam, che è un altro Papa.
Noi, per educazione, non satireggiamo né l’uno né l’altro, ma se dobbiamo giocare, allora è necessario giocare in tutto il campo, dando i calci a tutti i palloni. Insomma, secondo noi, non si può prendere in giro un profeta e un altro no, non si può satireggiare Cristo e risparmiare, per paura, Maometto.
E non perché la religione, come dei resto l’ateismo, non sia satirizzabile. Anche gli insegnamenti morali sono definibili per via satirica, il comandamento stesso è un piatto satirico, un piatto "saturo". Si fa infatti satira sull’incontinenza sessuale e su quella verbale, sulla bestemmia, sui ladri e sugli onesti, sull’omicidio, sul peccato, su tutti gli atti proibiti e sulla stessa proibizione. La satira, non sempre si appunta sui difetti, non ha confini: basta un appiglio perché venga fuori. E il mondo è tutto un appiglio per la satira: se sei biondo perché sei biondo, se sei bruno perché sei bruno. Ogni cosa ha il suo contrario, la sua negazione, la sua deformazione, la sua satira.
Qui, poi, c’è l’ingenuità e la goffaggine di un bel sacerdote che giura di non avere mai visto le trasmissioni che non gli piacciono, aggiunge "non le guarderò mai", e ancora: "spero di dimenticarle". Se sta mentendo, padre Georg pecca due volte: contro il divieto di dire bugie e contro il buon senso. Se invece è vero che non guarda la televisione e non ascolta Fiorello alla radio, se davvero non sa chi siano Crozza e la Littizzetto, allora sarebbe da compatire perché non sa cosa si perde, e sarebbe anche da rimproverare cristianamente, come pastore d’anime. Oggi infatti non si può fare catechismo senza la televisione.
Ciascuno di noi può, se vuole, tenere spenta la tv o addirittura non averla. Ma non può farne a meno chi ha per missione di salvare le anime di questo mondo, il quale si racconta e si educa attraverso la Tv. La televisione è la scrittura moderna, è il calamo dei nostri tempi. Se un intellettuale non condivide quello che legge, quello che è scritto, non per questo si rifiuta di leggere, né mette al bando la scrittura. Anche il rifiuto della scrittura deve esser servito scrivendolo; anche il rifiuto della televisione ha necessità di un passaggio televisivo, il solo efficace e, saremmo tentati di dire, il solo "reale".
Il Papa sarà pure un raffinatissimo intellettuale, ma è curioso che non abbia spiegato, non tanto ai giornalisti dell’Avvenire, quanto, almeno, al suo segretario personale che non si può governare la trasgressione come si fa negli educandati, e che, al contrario, per spuntare gli artigli della satira, bisogna conviverci con saggezza e con leggerezza. Che poi padre Georg non sappia ironizzare su se stesso, che egli pretenda che non si rida neppure di lui, beh, qui il problema si fa patologico e la satira allora si impone non come innocua, ma addirittura come terapeutica. A padre Georg sono necessarie dosi massicce di Fiorello, almeno una volta dopo i pasti principali, come un controveleno, un antidoto, perché non solo la satira non fa male alla testa, ma qualche volta la guarisce.
La satira è lo sfottò. E’, come accennavamo prima, il piatto "saturo" delle critiche e dunque delle deformazioni. Nella Divina Commedia ci sono quantità inestimabiii di satira aggressiva antipapista da Bonifacio VIII sino al papé satàn, che - è vero - nessuno sa cosa voglia dire, ma un suono di sberleffo satirico sicuramente ce l’ha. Nella storia della Chiesa sono stati satira i miti di evangelizzazione e i ritorni letterali ai dettami della sacra scrittura. Insomma, la satira antipapista ha avuto sempre come progetto la ricristianizzazione del mondo E’ dunque la satira non è anticristiana. E non solo perché il protestantesimo l’ha usata contro gli eccessi papisti. Ma anche perché gli stessi cattolici hanno fatto la satira alla loro chiesa: i francescani, i gesuiti, i giansenisti. Alla fine, la satira è uno dei tanti mezzi attraverso cui l’uomo comunica, si appropria della realtà e neppure del buono perché la bontà stessa è anch’essa satira.
Aggiungiamo adesso che c’è una facilità di satira verso questo Papa. Tutti, anche i migliori, anche gli ex infallibili, hanno qualcosa di satirizzabile, un punto debole. Siamo tutti vulnerabili. Persino Achille aveva il suo tallone.
Ebbene, non solo il segretario, ma io stesso Benedetto XVI e la sua chiesa hanno un che di fobico. Persino fisicamente il Papa tedesco sembra nato e cresciuto nelle biblioteche piuttosto che tra la gente. Come resistere dunque e non farne la satira? E tuttavia, visti i tempi, ci sembrerebbe civico fare anche la satira ai versetti, al Corano e ai barbuti, oltre che al Papa e ai suo segretario. Certo, comprendiamo la paura fisica che frena i nostri comici, con effetti esilaranti, da immediata autosatira, specie quando dicono che fanno satira su cose che conoscono mentre l’Islam non lo conoscono; o, ancora quando spiegano che dovrebbe essere l’Islam a ridere dell’Islam. La verità è che sono in mala fede e - in questo ha ragione l’Avvenire - anche un po’ vigliacchi.
Tutti sappiamo che ridere dell’islam può costare la vita, e che è questa la barbarie che limita e censura, tra le altre cose, anche la nostra libertà d’espressione. Capiamo anche che il coraggio chi non ce l’ha non se lo può dare, e però la satira non appartiene solo all’universo cristiano, e una funzione dell’anima che deve esercitarsi su tutto, dal buddismo all’ateismo, dall’Imam ai Papa. E invece succede che i comici sfottono il Papa e sdottoreggiano sull’Islam e sui suoi costumi, sulla poligamia, sui kamikaze e sulle vergini che li attendono, sui veli, con quel drammatico fardello dell’occidentale che deve avere riguardi per gli orientali e diffidenza satirica, sarcastica e morale verso se stesso. No, caro padre Georg, il pericolo viene sempre e solo da chi non sa ridere. Il giorno in cui si potrà ridere dell’Islam, anche l’Islam se la riderà di noi, e persino di lei.
Fiorello: non andrò all’inferno per la mia satira
Lo showman ha commentato le critiche ricevute dal segretario del Papa
(La Stampa, 16/11/2006)
ROMA. «Non penso che andrò all’inferno per la mia satira». Rosario Fiorello, questa mattina all’Università cattolica di Roma per il primo del ciclo dei seminari interdisciplinari su metodo e semiotica, rivolti agli studenti della Facoltà di medicina, risponde così in merito alla polemica riguardante la satira sul Papa e su padre Georg.
Fiorello, al termine dell’incontro con gli studenti, circa 700 presenti nell’aula Gemelli dell’Università per incontrare lo showman siciliano, uscendo spiega che questa polemica «non sta né in cielo né in terra». Ribadisce che il suo è un lavoro fatto con spirito goliardico, e conclude: sicuramente «non andrò all’inferno per questo».
Libera satira in libero Stato
di Roberto Cotroneo *
C’è poco da scherzare. Nel senso che le prese di posizione di padre Georg Genswein, segretario personale di Papa Benedetto XVI, del ministro della cultura vaticano, cardinale Paul Poupard, del cardinale Walter Kasper, e del cardinale Ersilio Tonini, non sono un bel segnale, e per nessuno. Non si tratta né di indignarsi, e neppure di polemizzare, con quattro persone che occupano posizioni di altissimo livello nella gerarchia vaticana, e che hanno trovato il tempo di occuparsi delle imitazioni di Crozza e di Fiorello. Ma si tratta di capire in quale clima stiamo vivendo.
Il vilipendio alla religione è una brutta cosa, e anche per un laico, o un non credente, la bestemmia è davvero qualcosa che non si può sopportare, ma che si possa dire che certe imitazioni vanno eliminate, e che si possa mettere voce sulla satira fa un po’ impressione. Eravamo abituati ad altro negli ultimi anni. Avevamo capito che il carisma del Papa non teme assolutamente nulla, e che fare una satira bonaria non è altro che un segnale positivo. In una società complessa, in una chiesa complessa, come è questa chiesa del secondo millennio, non si pensava che potesse sorgere un problema sulla satira.
E non si pensava che in questa modernità ci si mettesse anche a incitare chi di dovere a prendere provvedimenti. Don Georg ha dichiarato alla Adnkronos: «Ho preso atto della polemica e spero che trasmissioni di questo tipo smettano: d’accordo la satira, ma queste "cose" non hanno livello intellettuale e offendono uomini di Chiesa. Non sono accettabili. Spero davvero che smettano subito». Don Georg lo ha fatto maldestramente, utilizzando parole come «non sono accettabili», e «spero che smettano subito». Ha mandato messaggi non si capisce bene a chi: perché quel "spero" è un segnale, un messaggio preciso a chi potrebbe far sì che tutto questo possa interrompersi, e venga censurato.
Non è giusto, non è corretto e soprattutto suona un pochetto di integralismo. Con ogni probabilità offende più la religione un augurio di questo genere che le satire di Crozza e di Fiorello. Papa Benedetto XVI non ha bisogno di essere difeso da nessuno, ma soprattutto non si occupa di satira o di trasmissioni radiofoniche e televisive. Quando Joachim Navarro Valls dichiarò che Papa Giovanni Paolo II di tanto in tanto vedeva il Tg1, la cosa destò molto scalpore. Il Papa non si occupa di cose simili, non te lo immagini per fortuna con il telecomando della tv, e di cose simili non dovrebbero occuparsi i cardinali. E da che mondo e mondo i segretari particolari del Papa fanno i segretari particolari del Papa, ovvero parlano pochissimo, o quasi niente. La Chiesa è cosa troppo importante per fare dichiarazioni censorie sulla satira, rivolte tra l’altro a una televisione o radio pubblica o privatta di uno Stato laico e sovrano.
A meno che, e questa è l’ipotesi più fosca, alla quale si preferisce non credere, a meno che il germe, il morbo, la metastasi, la cecità, dell’integralismo religioso non abbia anche solo lambito, per quanto in modo soltanto marginale, quell’istituzione millenaria che è la chiesa cattolica. A meno che non sia questa la risposta più drammaticamente vera. Altro che Concilio Vaticano II, altro che la raffinatezza intellettuale e dottrinale di Paolo VI, altro che il carisma indiscutibile di Giovanni Paolo II o il genio culturale di Papa Ratzinger, che scrive delle encicliche di una bellezza e di una ricchezza davvero coinvolgenti. Altro che la Chiesa globale delle missioni, della solidarietà, quella che spesso capisce il mondo meglio di tutti gli altri. Qui siamo all’integralismo cattolico, specchio fedele di certi integralismi islamici che non vogliono le vignette su Allah.
Ma è davvero così? Ci auguriamo di no. Ci auguriamo che tutto questo sia stato un incidente, un’umana debolezza di un segretario papale con un’esperienza tutta da costruire, e di qualche cardinale un po’ troppo appassionato. Il Papa è il Papa. E la satira è la satira. Libera satira in libero Stato, soprattutto quella che fa sorridere. Mai quella che offende. Perché quella non è satira, è un’altra cosa. E sulle offese, va da sé, siamo tutti d’accordo.
* www.unita.it, Pubblicato il: 15.11.06 Modificato il: 16.11.06 alle ore 10.19
SOCIETÀ E CULTURA la denuncia Sale l’interesse collettivo per i piccoli. Ma quanto è dovuto a una sorta di «egoismo» degli adulti alla ricerca di gratificazioni? Un testo postumo del magistrato Alfredo C. Moro
BAMBINO, «ATTENTO AL PADRE PADRONE »
«La nuova cultura dell’infanzia sta perdendo lo slancio iniziale a vantaggio di un’idea del ragazzo come pura risorsa dell’adulto, nella pubblicità ma anche nella famiglia»
di Alfredo Carlo Moro (Avvenire, 15.11.2006)
L’infanzia sembra essere particolarmente presente nell’attuale riflessione collettiva: i mezzi di comunicazione di massa prestano molta attenzione alle vicende dei ragazzi; la politica ha ricominciato a mettere nella sua agenda i problemi delle generazioni che si affacciano alla vita; le amministrazioni anche locali assumono nuove iniziative a favore dei soggetti in età evolutiva.
Mi sembra però che il bambino reale, con i suoi gravi problemi di crescita in una società complessa, non sia affatto al centro dell’attenzione collettiva. Vi è più retorica sull’infanzia in astratto che attenzione ai bisogni del bambino concreto; più declamazione sui diritti del bambino che impegno organico e coerente per attuarli; più strumentalizzazione dell’infanzia che rispettosa e vigile attenzione per svilupparne il difficile itinerario evolutivo.
Solo negli anni Ottanta del secolo da poco terminato si è incominciata a sviluppare nel nostro Paese una certa cultura di attenzione e solidarietà verso i soggetti che si affacciano alla vita. E l’ordinamento giuridico ha incominciato a riconoscere che anche il ragazzo è non solo destinatario di diritto ma portatore di diritti; che questi diritti devono essere non solo declamati ma concretamente attuati; che è indispensabile guardare al minore, e alla sua debolezza, non come a un potenziale pericolo per la società ma come a un’autentica ricchezza da sviluppare; che il ragazzo non dev’essere considerato suddito ma cittadino. Questa nuova, incipiente, cultura dell’infanzia e dell’adolescenza - che ha consentito anche una più incisiva azione a livello politico ed amministrativo nell’ultimo quinquennio per attuare una migliore promozione e tutela dei diritti dei soggetti in età evolutiva - mi sembra che abbia perso lo slancio iniziale e che anzi si stia fortemente appannando. Alcune considerazioni in proposito sono essenziali.
La appena abbozzata cultura del bambino come «persona» viene sempre più soppiantata dalla cultura del bamb ino come mera risorsa dell’adulto: una risorsa per i genitori che attendono da lui solo gratificazioni personali o che tendono a monetizzarne energie e capacità; una risorsa per i mezzi di comunicazione di massa che hanno scoperto che i casi di bambini disgraziati o di giovani devianti suscitano morbose curiosità nel grosso pubblico e quindi consentono aumenti di tirature o di audience; una risorsa per la pubblicità che lo strumentalizza come consumatore da conquistare minacciando che se non si «ha» non si «è» o che lo usa come strumento di propaganda dei suoi prodotti anche deformando l’immagine di ciò che il bambino veramente è; una risorsa per il mercato del lavoro o per la criminalità adulta che lo utilizza, a basso costo, per ottenere profitti illeciti; una risorsa per gli appetiti sessuali degli adulti che sempre di più ricorrono alla pedofilia o alla prostituzione giovanile; una risorsa anche per alcuni operatori dell’infanzia che talvolta utilizzano il bambino come strumento terapeutico per l’adulto in difficoltà senza sufficientemente tener conto delle autonome esigenze del soggetto in crescita; una risorsa perfino per associazioni o strutture che si proclamano di tutela dell’infanzia anche se la utilizzano, facendo anche ricorso a messaggi fortemente catastrofici, per drenare rilevanti risorse economiche.
La cultura della solidarietà e del proficuo rapporto intergenerazionale rischia di essere sostituita dalla cultura del reciproco egoismo delle generazioni, per cui il ragazzo percepisce come insignificante il genitore e questi come poco interessante il figlio e la comunicazione va inaridendosi. In particolare, per gli adulti, la cultura dell’accettazione amorosa del figlio e della donazione gratuita per il bene dell’altro viene sempre più spesso inquinata sia da una cultura, che va emergendo, secondo cui non è opportuno sacrificare troppo la propria vita per un soggetto esigente che non sempre darà quelle gratificazioni e quelle ricompense che solo potrebbero giustificare il sacrificio della propria assoluta libertà sia dal timore - per genitori segnati da una civiltà che ha cercato di espellere dal proprio orizzonte l’idea della morte perché si è incapaci di elaborare il lutto - di investire affettivamente troppo su un ragazzo che appena giunto a un minimo di autonomia è pronto a lasciarci e che può non corrispondere ai nostri progetti.
La cultura dell’attenzione al ragazzo, per percepirne le esigenze e per dare risposte esaustive alle sue pressanti domande spesso non verbalizzate, si va trasformando in una cultura assai formale dell’ascolto del minore, basata sulla mera predisposizione di momenti e strutture attraverso cui il ragazzo possa far sentire la sua voce (i consigli comunali dei bambini, le interviste televisive ai bambini, le ricorrenze loro dedicate in cui i bambini possono parlare). Ma i bambini non parlano in modo autentico a comando e nelle ore e occasioni canoniche in cui il mondo degli adulti decide di poter concedere loro il privilegio di essere ascoltati. Un autentico ascolto si realizza da parte degli adulti se si sa essere sempre attenti e disponibili a cogliere quei tentativi di comunicazione che possono essere inviati dal ragazzo soltanto quando egli ne percepisce l’esigenza o si ritiene in grado di manifestare il suo pensiero: sono i momenti più impensati, i momenti dei bambini che possono non coincidere con i momenti dell’adulto.
Ma quei momenti possono essere irripetibili; se il ragazzo percepisce che non trova nell’adulto una rispondenza quando cerca di comunicare, può chiudersi ritenendo una volta per tutte inutile aprirsi ad un dialogo che sembra non accetto. Inoltre ascoltare significa necessariamente decodificare, depurare, interpretare messaggi che sono spesso ambigui e confusi. Del resto bisogna riconoscere che una simile capacità di autentico ascolto appare difficile in una società come quella di oggi in cui i rapporti interpersonali si vanno riducendo e dequalifican do; in cui il silenzio è stato abolito perché si vive storditi dal rumore; in cui il rispetto per la parola è stato sostituito da un continuo chiacchiericcio, non strumento di comunicazione ma solo utile a riempire il silenzio; in cui ci si difende da rapporti troppo coinvolgenti perché la percezione di essere una personalità debole porta a ritrarsi dall’incontro con un altro.
Infine la cultura del rispetto della persona del bambino e della sua identità originaria anche in famiglia - per cui l’ordinamento giuridico impone che il genitore debba svolgere la sua funzione educativa tenendo conto e rispettando le capacità, le inclinazioni naturali e le aspirazioni dei figli - rischia di essere soppiantata da una cultura dell’appropriazione dei figli da parte dei genitori. Non solo sentiamo continuamente riaffermare il diritto di ogni adulto - non importa se solo, ormai anziano, legato da vincoli monosessuali con un suo partner - alla genitorialità comunque procurata e va profilandosi il concreto pericolo che in un delirio di immortalità l’adulto finisca con il creare il suo clone. Ma va anche pericolosamente diffondendosi l’idea che «il figlio è mio e lo gestisco io» e che di conseguenza non siano accettabili controlli sull’esercizio del potere dei genitori sui figli e debbano essere drasticamente contratti i poteri degli organi di tutela extrafamiliare (operatori sociali, giudici specializzati). Stiamo cioè ritornando, sia pure in forme diverse, alla vecchia figura del padre padrone a cui si aggiunge la non meno conturbante figura della madre padrona, mentre al bambino viene sempre meno riconosciuto il ruolo di persona e sempre più quello di mero figlio di famiglia.
Si va così perdendo la percezione che la sacrosanta tutela della famiglia non può trasformarsi in sostanziale autarchia; che il giusto riconoscimento che la famiglia ha diritti non può far trascurare che tali diritti sono subordinati all’adempimento di inderogabili doveri; che l’esatta affermazione che questa comunità naturale deve potersi liberamente autoregolamentare non significa che la famiglia debba divenire un porto franco in cui abbiano legittimazione tutte le onnipotenze e le eventuali prevaricazioni di un membro su un altro; che la doverosa constatazione che la famiglia è essenziale per una armonica crescita del minore non può far dimenticare che, se molto spesso la famiglia è un nido d’amore, talvolta può divenire un nido di vipere.
“Satira fallimentare e vigliacca”.
Così il quotidiano Avvenire di sabato 11 novembre ha bollato la moda di ridicolizzare il Papa che pare ormai dilagare. Nel mirino soprattutto le imitazioni di Benedetto XVI fatte da Maurizio Crozza e le battute di Fiorello. Una critica severa a cui si è unito anche Il Foglio del 14 novembre.
Avvenire lamenta non solo la mancanza di rispetto per il Papa, ma anche per il proprio pubblico, di cui offende i sentimenti, in nome di una malintesa libertà di satira . "Se questo è il circo - dice Avvenire - chiediamo ai clown: giù le mani dal Papa, per cortesia. Se proprio dovete allungarle, fatelo con delicatezza e rispetto. E se vi riesce impossibile provare delicatezza e rispetto per il Papa, cercate di provarne per le centinaia di milioni di cattolici in tutto il mondo che, seguendovi, vi danno da vivere”.
In un secondo commento, Avvenire sottolinea anche la vigliaccheria di certa satira , che “prende di mira solo la religiona cattolica”, solo perché il Papa non intende e non può difendersi; ma laddove c’è un vero rischio - vedi islam - allora la satira si ritira in un angolino.
Infine il Foglio che, riferendosi soprattutto a Crozza, afferma: “E adesso prendetelo in giro, fa parte delle civili libertà. Ma state attenti a prendere di mira, almeno, la persona giusta. Perché poi finisce che per scherzare sul Papa tocca raschiare il barile del "panzer di Dio", del "dandy del dogma", del "cattedratico imbalsamato" che condanna tutto ciò che vede muoversi sotto il cielo di Dio. Invece, spesso, dice cose così aderenti al vero che le capirebbero anche i grandi, se non fossero sempre così impegnati a rafforzare gli stereotipi con cui non riesce più a nominare niente: vita, morte, addirittura la fame”.
IL TIMONE, 14 novembre 2006
Satira: Castigat ridendo mores!!!
Caro Biasi
Questa la mia opinione. Il problema è un altro, e non riguarda ... il timone! Se siamo arrivati a questo punto è solo perché la CHIESA cattolico-romana - dopo l’ultimo grande timoniere: W o ITALY - è ormai diventata una NAVE SENZA NOCCHIERO IN GRAN TEMPESTA. E le "azioni" degli operai della "vigna del signore" non arrivano nemmeno a toccare la porta della casa del "Padre Nostro", del Dio "Amore" (Agape, Charitas), ma - piene di"caritas" ("caro-prezzo") come sono - volano direttamente nelle casa del Dio "Mammona", a Wall Street !!! IN GOD WE TRUST, così dice (sta scritto sulla moneta USA) il Signore Deus-Dollaro !!!
M. saluti,
Federico La Sala
Caro Federico,
come credente non posso che sorridere. L’imbarcazione (leggi Chiesa) naviga a gonfie vele da 2000 anni perchè al timone c’era, c’è e sempre ci sarà, fino alla fine dei tempi, Gesù Cristo !
Caro Prof. IL TIMONIERE non ha paura, così come chi crede in Lui ! Puoi deriderci e accusarci di ogni nefandezza, ma devi accettare, tuo malgrado, che la Chiesa è LA LUCE DEL MONDO ! Capisco che alle tue teorie, alla tua ideologia farebbero comodo una Chiesa povera (senza un quattrino, e quindi senza la possibilità di portare il suo messaggio nel mondo intero), essendo tu il difensore del POTERE VERO, quello seducente, quello che ha una peculiare disponibilità per il piacere.
Il POTERE che difendi, sventolandolo come "democratico", rappresenta invece l"anima segreta" di ogni dittatura: l’organizzazione, la coreografia, la spettacolarità (vedi per es. i Gay-Pride di cui scrivi tanto), la licenziosità guidata, ecc. ecc. PANE, SESSO, GIOCHI, CANZONI, SPETTACOLI. Caro Prof. tu vuoi illudere la gente di raggiungere la loro pienezza con la soddisfrazione di "queste cose". È questo il dramma !
In gioco c’è la LIBERTÀ, per me essenziale (ricordiamoci : la libertà dei figli di Dio!) contrapposta a quella presunta "FELICITÀ" di cui sei uno dei tantissimi portavoce.
Non è questa, caro Prof. l’autentica Charitas !! Ciò si chiama : ASSERVIMENTO DELL’UOMO...
Saluti cordiali.
NON INSEGNATE AI BAMBINI
di Giorgio Gaber
Non insegnate ai bambini
non insegnate la vostra morale
è così stanca e malata
potrebbe far male
forse una grave imprudenza
è lasciarli in balia
di una falsa coscienza.
Non elogiate il pensiero
che è sempre più raro
non indicate per loro
una via conosciuta
ma se proprio volete
insegnate soltanto la magia della vita.
Giro giro tondo cambia il mondo.
Non insegnate ai bambini
non divulgate illusioni sociali
non gli riempite il futuro
di vecchi ideali
l’ unica cosa sicura
è tenerli lontano
dalla nostra cultura.
Non esaltate il talento
che è sempre più spento
non li avviate al bel canto,
al teatro alla danza
ma se proprio volete
raccontategli il sogno di
un’ antica speranza.
Non insegnate ai bambini
ma coltivate voi stessi
il cuore e la mente
stategli sempre vicini
date fiducia all’ amore
il resto è niente.
Giro giro tondo cambia il mondo
giro giro tondo cambia il mondo.
Il Potere dei più buoni
(sempre) di Giorgio Gaber
è preoccuparmi di ciò che ho intorno
sono sensibile ed umano
probabilmente sono il più buono
ho dentro il cuore un affetto vero
per i bambini del mondo intero
ogni tragedia nazionale
è il mio terreno naturale
perché dovunque c’è sofferenza
sento la voce della mia coscienza.
Penso ad un popolo multirazziale
ad uno stato molto solidale
che stanzi fondi in abbondanza
perché il mio motto è l’accoglienza
penso al disagio degli albanesi
dei marocchini, dei senegalesi
bisogna dare appartamenti
ai clandestini e anche ai parenti
e per gli zingari degli albergoni
coi frigobar e le televisioni.
E’ il potere dei più buoni
è il potere dei più buoni
son già iscritto a più di mille associazioni
è il potere dei più buoni
e organizzo dovunque manifestazioni.
E’ il potere dei più buoni
è il potere dei più buoni
è il potere... dei più buoni...
La mia vita di ogni giorno
è preoccuparmi per ciò che ho intorno
ho una passione travolgente
per gli animali e per l’ambiente
penso alle vipere sempre più rare
e anche al rispetto per le zanzare
in questi tempi così immorali
io penso agli habitat naturali
penso alla cosa più importante
che è abbracciare le piante.
Penso al recupero dei criminali
delle puttane e dei transessuali
penso ai giovani emarginati
al tempo libero dei carcerati
penso alle nuove povertà
che danno molta visibilità
penso che è bello sentirsi buoni
usando i soldi degli italiani.
E’ il potere dei più buoni
è il potere dei più buoni
costruito sulle tragedie e sulle frustrazioni
è il potere dei più buoni
che un domani può venir buono
per le elezioni.
E’ il potere dei più buoni
è il potere dei più buoni
è il potere... dei più buoni...
Emessa nei suoi confronti un’ordinanza di custodia agli arresti domiciliari. Già nel 1995 fu condannato per reati di violenza sessuale avvenuti in Sicilia
Pedofilia, parroco arrestato a Napoli ha violentato una bambina di 10 anni*
NAPOLI - Il parroco di una chiesa del quartiere Pianura a Napoli, T.T.A., di 60 anni, è stato arrestato dai carabinieri per abusi sessuali su una ragazzina di 10 anni. Nei suoi confronti è stata emessa una ordinanza di custodia agli arresti domiciliari su richiesta della procura di Napoli. Il sacerdote, che in passato era stato coinvolto in una vicenda analoga, è stato catturato a Macerata dove si era recato in visita ai suoi famigliari e trasferito a Napoli nella sua abitazione.
Secondo quanto emerso dalle indagini, gli abusi sarebbero avvenuti "con frequenza quotidiana" nella sacrestia dove il sacerdote, secondo l’accusa, palpeggiava la ragazzina.
Il parroco era stato già condannato per reati di violenza sessuale avvenuti in Sicilia nel 1995 quando era direttore di un istituto di assistenza. Nell’istituto avrebbe avuto rapporti sessuali con una ricoverata con problemi di salute mentale.
(16 novembre 2006)
Caro Prof. probabilmente, se fosse vera la vicenda, i problemi di salute mentale li ha pure il parroco in questione...
Comunque, permettimi di scriverlo, mi sorprende molto questo tuo interesse morboso continuo nei confronti di queste vicende sessuali che coinvolgono uomini di Chiesa. Pensi che sia un fenomeno circoscritto solamente al clero cattolico ? Cosa vuoi dimostrare ? Che se il prete era sposato non avrebbe palpeggiato la ragazzina ? Come sai vivo in Svizzera ed è di ieri la notizia che una tredicenne, a Zurigo, è stata violentata da 13 ragazzi . Oppure, qualche mese fa, sempre nella ricca, ordinatissima, pulitissima, democraticissima, permissivissima Svizzera, due ragazzini hanno violentato una bambina di 5 anni in un camping.
Il problema allora, caro prof. sta altrove ! Sta forse proprio nella licenziosità dei nostri costumi, nella nostra società sempre più erotizzante e libertina (vedi l’ultima scoperta del cellulare con videocamera incorporata che permette di visualizzare queste violenze a sfondo sessuale, magari da diffondere in internet, diventate oramai un gioco, un divertimento, un passatempo da ritagliare nelle giornate sempre più noiose dei nostri giovani; giovani senza più valori, senza più impegni, senza più il senso del sacrificio, della solidarietà, del rispetto) che coinvolge anche i preti che in questa società vivono.
Cordiali saluti.
Caro Biasi non riesci proprio ad afferrare il legame che c’è tra la Legge e la Lingua e il tuo comportamento e la tua Parola?! E allora che ti devo dire?! ...
Qui non solo è in discussione la salute del parroco (come dici), ma è in discussione la salute stessa di tutta la Gerarchia Vaticana - ...... e di tutta la generale e generica (del genere umano!!!) nostra umanità ... di tutte e di tutte!!! E la sopravvivenza dello stesso messaggio evangelico!!! E della nostra stessa libertà e dignità di esseri umani.
Stiamo qui a discutere di satira, e di "satiri" .... quando il problema è proprio questo!!!
Due persone si amano, la persona amata viene presa in giro dai "giullari", la persona che ama la persona amata cerca di far smettere il gioco perché non vuole che la persona amata soffra ......... poi cambiamo piano e discorso, mettiamo su i vestiti nuovi dell’IMPERATORE e ci mettiamo a pontificare in modo cattolico-romano?!!?!!
Ma fammi il piacere (cerca di imparare qualcosa dal nostro grande Totò)!!! Possa tu vivere CIENT’ANNE (cerca di imparare qualcosa anche dalla "lezione papale" di Mario Merola a/e Gigi D’Alessio)!!!
Cerca di studiare e di curarti: vai .....a CASTELLAMARE DI STABIA. Forse, solo là, potrai ritrovare salute e memoria - e tornare a casa tua, l’antica e nuova splendida San Giovanni in Fiore.
VIVA L’ITALIA - W o ITALY !!!
M. saluti e auguri.
Federico La Sala
Caro Prof, ma per favore ! Ora mi tiri fuori anche Gigi d’Alessio ? E quel "film" spazzatura intitolato "Cient’anni" ? Siamo seri e cerchiamo di ragionare e non deliriamo.
Declino il tuo invito a recarmi a Castellamare di Stabia, luogo dove la presenza cammorista è alquanto marcata ! Altro che ritrovare la salute e la memoria...in questi luoghi la memoria è meglio perderla !!
Invece di preoccuparti della Gerarchia Vaticana e delle "spetteguless" o gossip sui suoi appartenenti, impegnati piuttosto a trovare qualche soluzione per combattere la criminalità delle tue parti, per combattere l’omertà e il silenzio di chi sa e non dice, non denuncia, appunto per paura...
Oppure vieni quassù in terra elvetica ! Dalle alte vette montagnose noterai così la situazione in cui versa il nostro Paese, e quanta nebbia avvolge i suoi abitanti.
Freundliche Grüsse
Cordiaux saluts
Cordiali saluti
Tuo Blasius/Blaise/Biasi
Caro Biasi
a proposito di gossip: "affacciati alla finestra, amore mio" (come dice una canzone famosa)!!! Per il resto, vedo che insisti: ma non conosci nulla di te stesso e del tuo paese, il bellissimo SAN GIOVANNI IN FIORE - e nemmeno del solare e vulcanico CASTELLAMARE DI STABIA?!?!!
M. saluti.
Federico La Sala
Caro Prof. mi sa proprio che guardi la realtà attraverso un variopintissimo caleidoscopio !!
Buttalo finalmente e torna alla realtà !! Sarà dura ad accettarla, lo so, ma almeno non continuerai a vivere nell’illusione e nel mondo delle favole (vedi: Harry Potter e Dan Brown!).
Tanti auguri. Biasi
"Inchiesta su Gesù", scritto insieme al biblista Mauro Pesce, stroncato da "Civiltà cattolica". Il volume, tra i best seller dell’anno, è una ricostruzione della figura storica di Cristo
I gesuiti contro il libro di Augias: "Attacco frontale alla fede cristiana"
ROMA - Ai gesuiti non è piaciuto il libro su Gesù. La Civiltà Cattolica, autorevole rivista della Compagnia di Gesù, pubblica nel prossimo numero una dura recensione di Inchiesta su Gesù di Corrado Augias e Mauro Pesce, pubblicato nel settembre scorso da Mondadori, uno dei volumi più venduti della stagione.
A firmare l’articolo, che suona come una vera e propria stroncatura, è padre Giuseppe De Rosa che definisce il libro "un attacco frontale alla fede cristiana". "Soprattutto dispiace il fatto, storicamente ed esegeticamente ingiustificato - scrive il critico gesuita - che in tale volume sia contenuto obiettivamente, quali che siano state le intenzioni dei due autori, un attacco frontale alla fede cristiana".
Secondo Civiltà Cattolica, il libro di Augias e Pesce sostiene che il cristianesimo abbia falsato la figura di Gesù "cristianizzandolo" e facendone quello che egli non sarebbe stato. Sarebbe perciò falso tutto ciò che la fede cristiana professa riguardo a Gesù. A questa presentazione, padre De Rosa muove alcuni rilievi critici che contestano le principali affermazioni del volume.
Il più forte di questi rilievi riguarda il fatto che nel libro di Augias e Pesce "viene negato il cristianesimo nella sua totalità: sono negate, infatti, tutte le verità cristiane essenziali, quali la divinità di Gesù, la sua incarnazione, la sua concezione verginale, il carattere redentivo della sua morte, la sua risurrezione dalla morte". Padre De Rosa definisce poi "assolutamente inaccettabile proprio sul piano della storia" la frattura che il professor Pesce (uno dei massimi biblisti italiani, ndr) pone tra il "Gesù della storia" e il "Gesù della fede", perché "in realtà questa frattura non esiste".
Una critica che Augias, già oggetto di una dura presa di posizione del quotidiano dei vescovi l’Avvenire, non sente di condividere. "Privato del suo mantello teologico - spiega - Gesù diventa una figura più affascinante, perché più drammatica, più fragile, una figura da amare, che si capisce molto meglio senza fede". Quanto all’accusa di "attaccare frontalmente" la fede, la replica di Augias è altrettanto ferma: "Noi ci limitiamo ad analizzare Gesù dal punto di vista storico, al pari di Alessandro Magno o Giulio Cesare, altre grandi figure che hanno cambiato il corso degli eventi: se davanti a questo la fede barcolla, povera fede".
"Si tratta comunque - conclude l’autore riferendosi anche alle attenzioni dell’Avvenire - di reazioni che rivelano intolleranza, come lo sono state quelle sul libro di Dan Brown, che pure dal punto di vista delle verità storica è facile da smontare, e questo non va affatto bene".
(la Repubblica, 30 novembre 2006)
E se fosse vero?
Di Gesù non si parla tra persone educate.
Con il sesso, il denaro, la morte, Gesù è tra gli argomenti che mettono a disagio in una conversazione civile.
Troppi i secoli di sacrocuorismo. Troppe le immagini di sentimentali nazareni con i capelli biondi e gli occhi azzurri: il Signore delle signore. Troppe quelle prime comunioni presentate come «Gesù che viene nel tuo cuoricino».
Non a torto tra persone di gusto quel nome suona dolciastro. È irrimediabilmente tabù.
Ci si laurea in storia senza neppure aver sfiorato il problema dell’esistenza dell’oscuro falegname ebreo che ha spezzato la storia in due: prima di Cristo, dopo di Cristo.
Ci si laurea in lettere antiche sapendo tutto del mito greco-romano, studiato sui testi originali. Senza aver però mai accostato le parole greche del Nuovo Testamento.
È singolare: la misura del tempo finisce con Gesù e da lui riparte. Eppure egli sembra nascosto.
O lo si trascura o lo si dà già per noto.
Neppure preti, pope, pastori ne parlano molto. È vero: ogni domenica accennano a lui in qualche milione di prediche, omelie, sermoni.
Ma sembra troppo spesso che per loro la fede in lui non costituisca un problema. Piuttosto, un dato di fatto. Si costruiscono complesse architetture sui vangeli; ma pochi scendono con chi li ascolta in cantina per vedere se le fondamenta ci sono davvero. Pochi cercano di saggiare se ancor oggi è solida la pietra angolare su cui dicono poggino la loro fede e le loro chiese.
Nella intera storia degli uomini, questo è il solo uomo cui sia mai stato associato senza mediazioni il nome di Dio. Ma a questo scandalo inaudito molti devono essersi abituati. Lo danno per scontato. È come se l’incenso (ha osservato un impertinente) li avesse ormai intossicati.
Dice un detto "segreto" attribuito a Gesù da un vangelo apocrifo: «Chi si stupisce regnerà». Molti sembrano aver perduto il dono dello stupore.
Eppure, un sondaggio di opinione ha mostrato che, ogni cento italiani, 64 considerano Gesù «il personaggio più interessante della storia» . Garibaldi e Luther King, secondo e terzo in quella sorprendente classifica, seguono con grande distacco. Vengono poi Gandhi e infine Marx. [Indagine Doxa della primavera 1974].
Gli intervistati hanno detto che di Gesù vorrebbero sapere qualcosa di più e soprattutto di più attendibile. Ma non sanno dove informarsi.
I giornali, la cultura laica, si occupano delle istituzioni (il Vaticano, le chiese...) che poggiano sulla fede, ma ignorano questa. La cultura dei credenti, da parte sua, sembra preferire le variazioni ascetiche, le meditazioni su Gesù; ma così spesso, come osservammo, non ne affronta il formidabile problema storico.
«Che sia proprio il Cristo, all’interno e all’esterno della cristianità, lo sconosciuto che fa del cristianesimo stesso un noto sconosciuto?» si chiede Hans Küng.
Sembra dunque che nessuno si occupi del problema di Gesù. Ma non è vero. La bibliografia su di lui è in realtà un oceano, per giunta in continua tempesta.
Nel solo secolo scorso, a lui sono stati dedicati circa 62 mila volumi. Alla Biblioteca Nazionale di Parigi, specchio della cultura occidentale, la sua "voce" è seconda per numero di schede. La prima, significativamente, è Dieu.
In realtà, da molti secoli il dibattito su Gesù è la riserva di caccia, gelosamente sorvegliata, di chierici e di laici accademici, spesso a loro volta ex chierici. Sono gli specialisti che hanno prodotto e producono quelle migliaia di volumi, confutandosi a vicenda in una interminabile disputa di dotti.
Alla gente si lasciano i libri di devozione o qualche divulgazione non di rado addomesticata o propagandistica.
Così, molti ignorano che a proposito di Gesù tutte le ipotesi sono state fatte, tutte le obiezioni confutate, ribadite, riconfutate all’infinito. Ogni parola del Nuovo Testamento è stata passata al vaglio mille volte; tra i testi di ogni tempo e paese questo è di gran lunga il più studiato, con incredibile accanimento.
Al non specialista giunge appena qualche eco attenuata del dibattito. Dura ormai da duemila anni, ma negli ultimi tre secoli ha cambiato bersaglio. Mentre, sino al Settecento, la disputa era soprattutto interna al cristianesimo (questione di "ortodossia" e di "eresia") a partire da quel secolo nasce la critica extra-cristiana. Le Scritture su cui si basa la fede sono contestate nella loro storicità. Si attacca ciò che sino ad allora era dato per scontato, pur nella polemica più aspra e talvolta sanguinosa: la credenza, cioè, in un particolare rapporto dell’uomo Gesù con Dio; la fede in lui come il Cristo, il Messia, l’atteso di Israele.
Disputa, comunque, sempre tra pochi dotti. Scrive Jean Guitton, lo studioso francese cui questo libro deve molto (al volume di Guitton Jésus rinviamo come a uno tra i pochissimi libri che si propongano una riflessione oggettiva e divulgativa sul "problema Gesù"): «Il grande pubblico ne ha tratto la convinzione che il problema di Gesù sia questione di sapienti e di teologi, al di sopra della sua competenza. La difficoltà di crearsi un’opinione personale ha fatto sì che ciascuno distogliesse il pensiero dal problema. L’incredulo per conservare il suo dubbio sulla storicità del Gesù dei vangeli. Il credente per vivere di fede. Il silenzio è tornato quindi a regnare su questo problema fondamentale.»
Le pagine che seguono sono proposte da chi non ha accettato quel silenzio e si è inoltrato da bracconiere nella riserva di caccia degli specialisti.
Non sono che un "profano" che, a suo rischio e pericolo, si è azzardato nel sancta sanctorum dove si scrive in tedesco o in latino, si disputa su parole ebraiche, su lapidi aramaiche, su codici greci. Non sono un cattedratico né un ecclesiastico. Non sono che un laico.
Dietro questo libro c’è il bisogno di quel cronista che sono di raccogliere notizie innanzitutto per me, per poi offrirle ai lettori.
Conosco gli stanzoni di cronaca dei quotidiani e le redazioni dei settimanali; non le aule delle università pontificie. Né vengo dal sérail, il serraglio, come lo chiamano i francesi: quello che troppo spesso è il "ghetto" anche culturale della cristianità.
Parlare di sé è irritante e rischioso.
Se mi ci azzardo, è perché vorrei rassicurare il lettore: sono partito dal dubbio; o meglio dall’indifferenza. Come lui, come tanti oggi. Non certo dalla fede. Sono arrivato a questi studi dopo 18 anni di scuola di stato. Ho dovuto imparare tutto, partendo dal niente.
A scuola, gli unici preti sono dunque stati per me quelli delle "ore di religione" imposte dalla conciliazione con i fascisti.
Poi, improvvisa, è cominciata una caccia al tesoro, sempre più appassionante, nella Palestina del primo secolo. Il primo biglietto della catena fu una copia dei «Pensieri» di Pascal, acquistata per certe ricerche marginali del corso di laurea in scienze politiche.
A Blaise Pascal questo libro è dedicato: senza di lui non sarebbe mai stato scritto. O sarebbe stato del tutto diverso.
È dedicato anche alla schiera immensa di coloro che, nei secoli, sono andati cercando soluzione al più affascinante tra i "gialli": le origini del cristianesimo.
Non occorre però la passione del genere poliziesco per essere coinvolti da questa storia. Ciascuno di noi vi è aggregato di autorità, per il fatto stesso di vivere.
«Vous êtes embarqués», anche voi siete incastrati, ricorda Pascal a chi vorrebbe eludere il problema del proprio destino.
Che lo si voglia o no, che piaccia o no, da secoli in Europa, nelle Americhe, in Oceania, in Africa, in parte dell’Asia, quelle due sillabe (Gesù) sono legate al senso del nostro destino.
Lo affermano caparbi, dall’inizio dell’Impero Romano sino a noi, coloro che credono quel nome risposta definitiva alle domande dell’uomo; che lo associano, addirittura, al concetto inaudito di "Figlio di Dio"; che dicono che nella sua storia noi tutti siamo coinvolti.
In queste pagine ho tentato di esaminare le ragioni della testarda, incredibile riproposta agli uomini come loro "Salvatore" dell’oscuro palestinese.
Cercherò di spiegare più avanti perché, nel bric-à-brac delle religioni del mondo, sono persuaso che solo di lui valga la pena di occuparsi. Perché Gesù e non Maometto o Lao-Tse o Zarathustra.
Ho raccolto un dossier di notizie che rispondesse alle mie domande; ad alcune almeno, non certo a tutte. Domande, mi auguro, che sono poi quelle della gente che lavora. Della gente per la quale ogni giorno è un problema. E tanto spesso così assillante da non lasciare certo spazio alla ricerca di soluzioni al "Problema". Quello davvero di fondo, il più "a monte" di tutti, come si ama dire.
Il "Problema", cioè, che sta dietro alle domande spesso irrise, quasi fossero da lasciare agli adolescenti, indegne di adulti: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo?
C’è un futuro per noi, al di là della linea di un orizzonte indefinito? O davvero, come canticchia amaro Petrolini, non siamo che pacchi, campioni senza valore, che l’ostetrico spedisce al becchino?
Al di qua dell’ostetrico e al di là del becchino, la vita è aperta su due misteri. Prima della nascita e dopo la morte, da entrambi i capi la nostra esistenza è immersa nell’ignoto. Senza dubbio, sull’eterno. Eterno, il nulla da cui forse siamo venuti. Eterno, il niente nel quale forse sprofonderemo.
Non crediamo sia in torto chi ha paragonato la nostra condizione a quella di chi si svegli su un treno che corre nella notte. Da dove è partito quel treno su cui siamo stati caricati, non sappiamo quando e perché? Dove è diretto? E perché questo treno e non un altro?
C’è chi si accontenta di esaminare il suo scompartimento, di verificare le dimensioni dei sedili, di analizzare i materiali. Per poi riaddormentarsi tranquillo: ha preso coscienza dell’ambiente che lo circonda, tanto gli basta, il resto non è affar suo. Ché, se poi l’angoscia dell’ignoto prenderà alla gola, ci sarà sempre modo di scacciarla pensando ad altro. Come esorta il poeta, «meglio oprando obliar senza indagarlo questo enorme mistèr dell’universo».
«Io non so chi mi ha messo al mondo né che cosa è il mondo né che cosa sono io stesso. Vedo questi impressionanti spazi dell’universo che mi rinchiudono e mi trovo attaccato a un angolo di questa vasta distesa, senza che io sappia perché sono stato collocato in questo luogo piuttosto che in un altro. Né perché questo poco tempo che mi è dato da vivere mi è dato a questo punto piuttosto che a un altro di tutta l’eternità che mi ha preceduto e di tutta quella che mi seguirà. Io non vedo che infiniti da tutte le parti che mi rinchiudono come un atomo e come un’ombra che dura solo un istante senza ritorno: Tutto quel che conosco è che debbo presto morire: ma quel che ignoro di più è proprio questa morte che non saprei evitare.»
"Pazzo sublime", "malato e squilibrato", "inguaribile bambino", "presuntuoso che non si è rassegnato alla legge del dubbio", "genio rubato alla scienza": sono alcune delle definizioni affibbiate a Pascal, l’autore delle righe riportate. Colpevole, infatti, di aver passato i suoi 39 anni a cercare se non ci fosse per caso soluzione al mistero della condizione umana.
Agli ironici confortatori al suo capezzale, egli replicava però ritorcendo in anticipo l’ironia: «Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, hanno deciso, per rendersi felici, di non pensarci.» Oggi forse più che mai. «La nostra epoca ha il tabù della morte come l’epoca vittoriana aveva il tabù del sesso», ha osservato H. Küng.
O meditava amaro che «la sensibilità dell’uomo per le cose piccole e l’insensibilità per le cose grandi è indizio di uno strano pervertimento».
Pascal, infatti, amava e stimava in modo eguale due generi di persone: i "credenti" e gli "increduli". Chiunque cioè, al tavolo dove si gioca la vita, avesse scelto per una ipotesi o per l’altra: «O Dio c’è o Dio non c’è. Su quale ipotesi volete scommettere?».
Gli riusciva invece incomprensibile l’atteggiamento di chi non prende posizione: «Un erede trova i titoli relativi al suo casato. Credete che dirà: "Forse sono falsi" e che trascurerà di esaminarli?». E concludeva poi con quel suo radicalismo passionale e scandaloso per orecchie delicate che profondamente amiamo: «Ma allora, non soltanto lo zelo di coloro che lo cercano prova l’esistenza di Dio. Lo prova anche l’indifferenza di coloro che non lo cercano affatto».
Per tornare all’immagine del treno, anche i più saccenti, qui, hanno una sola informazione sicura da dare: che il convoglio finirà per imboccare un tunnel oscuro, senza che alcuno possa scendere prima. Ma che vi sia oltre l’imbocco della misteriosa galleria, non sanno.
«Non c’è nulla, solo il buio», dicono alcuni.
Un’opinione rispettabile.
Ha purtroppo il difetto di mancare di prove. Nessuno è tornato indietro per darci relazione del suo viaggio al di là della Todeslinie, la linea della morte.
Noi siamo tra gli ingenui, gli inguaribili adolescenti, gli alienati. Tra coloro cioè che sono sgomentati, non ci vergogniamo affatto a riconoscerlo, del silenzio eterno degli spazi infiniti che ci circondano. Invece di starcene tranquilli al nostro posto, guardando il buio correre fuori, preferiamo girare di scompartimento in scompartimento. Nella speranza, chissà?, di trovare un qualche "orario" che dia un nome e una direzione a questo viaggio che non abbiamo voluto.
Più che rispondere a delle domande ho dunque cercato di dare delle informazioni. Ho raccolto notizie, nel tentativo di stendere una "ipotesi di bilancio", per quanto modesta, sul problema di Gesù.
Questo, infatti, è il solo uomo nella storia di cui si dice che sia tornato vivo dalla galleria della morte.
E se fosse vero?
Sono partito oltre dieci anni fa come per un servizio giornalistico che rispondesse a quella domanda e ho finito (il lettore se ne accorgerà subito) per esserne coinvolto; forse, ancora una volta ha ragione il Cristo di Pascal: «Tu non mi cercheresti se non mi avessi già trovato».
Il poco che propongo è però offerto con onestà: ho lavorato innanzitutto per me. Dunque, ho cercato di non ingannare me stesso. Dio, se esiste, non ha bisogno delle nostre bugie. Il personaggio storico chiamato Gesù e che da venti secoli è legato all’idea di Dio ha diritto alla verità, non alle astuzie apologetiche. E noi abbiamo diritto a non essere imboniti ma informati.
Tratto da : Ipotesi su Gesù, Vittorio Messori (SEI, Torino)