Ecco il mondo senza di noi
andrà in rovina e poi rinascerà
di DARIO OLIVERO *
Il primo giorno, solo silenzio. Il secondo verrà l’acqua. E le terre asciutte torneranno a essere sommerse. Avverrà nei corridoi delle metropolitane di New York e Londra che diventeranno lunghi e contorti canali sottomarini. Il settimo giorno verranno le tenebre e torneranno a coprire la luce. Avverrà nelle oltre 400 centrali nucleari del pianeta dalle quali si scateneranno fiamme e radiazioni. Avverrà nei pozzi petroliferi, nelle raffinerie, nei grandi impianti petrolchimici e le esplosioni oscureranno il sole. Il mondo ripiomberà nel buio e la Genesi, in sette giorni come era iniziata, sarà azzerata. Il mondo per come lo conosciamo diventerà un pianeta inabitabile, saturo di sostanze tossiche, devastato dalle radiazioni.
Inabitabile per noi, inadatto all’uomo. Ma l’uomo da sette giorni non c’è più. Sparita la creatura più alta, il momento in cui l’universo assume la coscienza di sé attraverso quella dell’uomo e nello stesso tempo la creatura più bassa, il grande predatore, la furia irresponsabile che ha divorato l’habitat in cui è nato, cresciuto e si è evoluto. E’ l’ipotesi di Alan Weisman, giornalista scientifico e autore del bestseller negli Stati Uniti e ora tradotto in Italia Il mondo senza di noi (tr. it. N. Gobetti, Einaudi, 14,50 euro, in libreria da giovedì).
E’ un catastrophe book, per usare un’espressione mutuata dal cinema. Un’analisi scientifica e dettagliata di che cosa accadrebbe alla Terra se di colpo la razza umana si estinguesse. Il perché non ha importanza: guerra nucleare, disastro batteriologico, rapimento alieno: ognuno scelga tra le innumerevoli suggestioni che potrebbero portare alla fine della nostra avventura. Il punto è un altro: come se la caverà il pianeta dopo di noi? E ancora: della nostra plurimillenaria e così appagante storia resterà qualche traccia? E soprattutto, che poi è il motivo reale per cui Weisman ha scritto il libro: dobbiamo per forza aspettare la nostra fine per dare alla Terra un nuovo inizio?
Per dare la base scientifica del libro, Weisman ha visitato alcuni luoghi che l’uomo ha abbandonato come la Bialowieza Puszcza, l’ultima foresta primordiale sopravvissuta in Europa, tra Polonia e Bielorussia, la Zona Demilitarizzata alla frontiera tra Corea del Nord e Corea del Sud, dove sono tornate specie in via d’estinzione, la zona alla Tarkowsky intorno alla centrale di Chernobyl, in Ucraina, ormai dominio di piante e animali, le foreste e le giungle di Africa e Amazzonia.
Da quegli ecosistemi human free e da calcoli e previsioni nasce il suo viaggio.
Dopo il settimo giorno e l’apocalisse, la mossa successiva tocca all’altra razza che contende all’uomo il dominio della Terra, quella vegetale. In pochi mesi piante e vegetazione invadono strade, palazzi, monumenti e ogni costruzione umana.
Passano gli anni e se ne vanno le altre grandi opere dell’uomo. Il Canale di Panama, per esempio, si richiude nel giro di vent’anni, ogni campo coltivato torna selvaggio. Passa un secolo, i grandi mammiferi come orsi ed elefanti si moltiplicano grazie allo spazio vitale aumentato a dismisura. Altri tre secoli: cadono i grandi ponti di città come New York, Parigi, Roma. Nel giro di cinquecento anni dal giorno della sua scomparsa, dell’uomo non restano né case né città né costruzioni in mattoni.
Un altro salto temporale: sono passati centomila anni. L’ecosistema è tornato quello dell’Eden prima della creazione dell’uomo. E’ anche verosimile che in un milione di anni sparirebbero i detriti di plastica. Ora è davvero l’anno zero. Del nostro passaggio sulla Terra non è rimasto nulla. Unica eccezione, forse, dice Weisman, le facce scolpite dei presidenti americani sul monte Rushmore ancora vagamente riconoscibili, sette milioni di anni dopo. Ma forse farebbero la fine dell’inquietante volto su Marte nella foto scattata dalla sonda spaziale Viking 1. Sarà un volto o semplicemente uno scherzo geologico? Forse resisterebbero ancora per qualche milione di anni le sculture di bronzo preistoriche che ancora oggi ci lasciano così stupiti.
Fine del viaggio. La Terra è sopravvissuta, si è rigenerata, è rifiorita ed è pronta, ammesso che la natura compia lo stesso sbaglio due volte, ad accogliere un’altra specie evoluta. Ma, come cantavano in tempi già sospetti Guccini e i Nomadi, noi non ci saremo.
* la Repubblica, 11 marzo 2008.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Ansa» 2008-03-11 20:40
LA TERRA MORIRA’ FRA 7,59 MILIARDI DI ANNI
di Luciano Clerico
WASHINGTON - Alla fine sarà una sorta di consunzione lenta, come una "morte vaporosa". Così morirà il pianeta Terra, e accadrà esattamente tra 7,59 miliardi di anni. A questa conclusione è arrivato uno studio, che sta per essere pubblicato sull’ inglese Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, condotto dai due astronomi Klaus Peter Schroeder e Robert Connon Smith e anticipato sulle pagine scientifiche del New York Times.
La Terra, conclude lo studio basandosi su un nuovo metodo di calcolo, morirà risucchiata da un sole divenuto nel frattempo sempre più grande, un sole gigante le cui dimensioni saranno 256 volte le attuali, un solo rosso e congestionato che porterà inesorabilmente il pianeta Terra fuori della sua orbita, condannandolo alla fine. Una fine che non prevede implosioni o esplosioni, ma una lenta, inesorabile ’cottura’ del pianeta o, per essere più precisi, una "morte vaporosa". "E’ una scoperta un po’ deludente" ha commentato il professor Smith, docente di astrofisica alla University of Sussex, "ma la possiamo sempre mettere in questo modo: può essere uno stimolo per l’umanità per cercare il sistema per lasciare il pianeta e colonizzare altre aree nella galassia".
Detto questo - ha ammonito l’astrofisico - è bene ricordare che l’impatto dell’ India con il continente asiatico che ha dato vita alla catena dell’Himalaya risale a una sessantina di milioni di anni fa. "Un battito di ciglia se paragonato ai miliardi di anni di cui stiamo parlando". Lo studio si è basato su nuovi sistemi di calcolo messi a punto da Schroeder e da Manfred Cuntz, della University of Texas. Grazie ad essi si è per così dire "ricalcolato" la attuale massa solare e quanto di essa si perderà nel tempo in seguito alla espansione del sole fondata su questa teoria: tra 5,5 miliardi di anni il sole sarà almeno 10 volte più luminoso di quanto non lo sia oggi, ma più leggero.
Perché si calcola che proprio per quel periodo terminerà il suo ’carburante’, cioé l’idrogeno del suo nucleo e per questo motivo comincerà ad alimentarsi con l’idrogeno dei suoi raggi. Questo comporterà una espansione gassosa di incredibili proporzioni. Mentre il nucleo si contrarrà, riducendo la massa, i raggi esterni si espanderanno fino a trasformare l’attuale motore del sistema solare in un gigante rosso 250 volte più grande di oggi. Sarà questa trasformazione a portare alla morte l’intero sistema solare. Terra compresa, naturalmente, che, uscendo dalla sua orbita, tra 7,59 miliardi di anni precipiterà verso una "morte vaporosa" tanto lenta quanto inesorabile.
luciano.clerico@ansa.it