Acclamato, Zapatero dice: «Da sola giustifica la legislatura». Così il premier spagnolo si è espresso sulla legge che - come lui dice - vale i primi tre anni di governo. Si chiama Ley de Igualdad e darà alle donne la parità nelle liste elettorali e sul lavoro a cominciare dalle amministrazioni pubbliche passando anche per gli incarichi nei consigli d’amministrazione delle imprese. Insomma, si tratta di una misura che, progressivamente, porterà al riconoscimento delle pari opportunità tra i due sessi anche in tutti i posti sul lavoro.
Il testo è stato approvato in via definitiva dal parlamento spagnolo con l’astensione del centrodestra, che ha criticato in particolare la parità elettorale (non più del 60 per cento e non meno del 40 per cento per ciascun sesso). Che non si tratti di "quote rosa" ma del raggiungimento di una parità effettiva, lo si capisce già dalle percentuali fissate intorno al "fifty-fifty". E contestate dall’opposizione di centrodestra, al pari del progetto contenuto nella Ley de Igualdad che introduce, con percentuali simili, l’obbligo di procedere a una equa assegnazione degli incarichi entro otto anni ai vertici delle imprese.
Ma se il premier Josè Luis Rodriguez Zapatero, fuori del parlamento, ha ricevuto gli applausi di una piccola folla di donne, tra cui diverse deputate socialiste, che con tono scherzoso si sono rivolte al premier al grido di «Ista, ista, Zapatero feminista...», così non è stato all’interno delle Cortes, con le critiche dell’opposizione. Ciò detto, con il progetto della Ley de Igualdad si prevede un permesso di paternità di 15 giorni (un mese fra cinque anni), separato da quello della moglie, l’estensione del permesso di maternità nel caso di bambini prematuri o ospedalizzati e l’attribuzione della qualifica di rifugiate alle donne straniere che fuggano dai propri Paesi a causa della violenza sessuale e dei maltrattamenti.
Zapatero intervenendo in parlamento prima del voto ha detto che la legge - il cui scopo è «dare giustizia alle donne» - trasformerà «radicalmente» la società spagnola perché uomini e donne saranno ora «perfettamente eguali davanti alla legge». «Insieme a quella sull’assistenza alle persone dipendenti - ha dichiarato - questa legge vale tutta la legislatura».
* l’Unità, Pubblicato il: 15.03.07, Modificato il: 15.03.07 alle ore 17.01
SULL’ARGOMENTO - IN GENERALE, SUL SITO, SI CFR.:
IL CATTOLICESIMO CON LA CROCE UNCINATA
UOMO-DONNA: "I SOGGETTI SONO DUE, E TUTTO E’ DA RIPENSARE" (Laura Lilli, 1993)!!!
Federico La Sala
Filosofia
Basta fare bambini, iniziamo a generare parentele: come evolvere con Donna Haraway
di Donna Haraway (Che fare?, 25 Febbraio 2020)
È inutile negare che i processi antropogenici abbiano avuto delle conseguenze su tutto il pianeta, in inter-azione e in-tra-azione con altri processi e altre creature, fin da quando la nostra specie è diventata riconoscibile (poche decine di migliaia di anni) e l’agricoltura si è diffusa ovunque (qualche migliaio di anni).
Ovviamente, i più grandi terraformatori (e riformatori) sono stati i batteri e i loro parenti, in altrettante inter-azioni e intra-azioni di ogni tipo, comprese quelle con gli esseri umani e le loro pratiche, tecnologiche e non.
La diffusione di piante capaci di disperdere semi milioni di anni prima della nascita dell’agricoltura è un evento che ha trasformato il pianeta, così come tanti altri eventi storici rivoluzionari nell’evoluzione e nello sviluppo ecologico.
Gli esseri umani si sono uniti a questa boriosa mischia abbastanza presto e in maniera dinamica, ancor prima che loro (noi) divenissero (divenissimo) le creature in seguito chiamate Homo sapiens.
Per me decidere di usare parole come Antropocene, Piantagionocene e Capitalocene ha che fare con la scala, il tasso di velocità, il sincronismo e la complessità.
Quando prendiamo in considerazione i fenomeni sistemici, sono queste le domande che non dovremmo mai smettere di rivolgerci: quand’è che un cambiamento di grado diventa un cambiamento di tipo? Quali sono gli effetti delle persone (non dell’Uomo) bioculturalmente, biotecnicamente, biopoliticamente e storicamente situate in relazione e in combinazione con gli effetti degli assemblaggi di altre specie e di altre forze biotiche/abiotiche?
Nessuna specie agisce da sola, neanche una specie arrogante come la nostra, che finge di essere fatta da bravi individui che agiscono in base ai copioni della cosiddetta modernità occidentale. Sono gli assemblaggi di specie organiche e di attori abiotici a fare la storia, sia quella dell’evoluzione che tutte le altre.
Non si può continuare a deprezzare la natura svuotandola di ogni contenuto e risorsa, è un processo che non può durare ancora a lungo
Ma esiste un punto di flesso significativo in grado di cambiare le regole del «gioco» per tutti e tutto sulla Terra? Non si tratta solo di cambiamento climatico, ma anche dei danni provocati dalle sostanze chimiche tossiche, dell’attività estrattiva, dell’inquinamento nucleare, del prosciugamento dei laghi e dei fiumi sopra e sotto terra, della brutale semplificazione degli ecosistemi, dei vasti genocidi di persone e di altre creature, e di tanto altro ancora, in una serie di processi collegati tra loro in maniera sistemica che minacciano un grave crollo del sistema dopo l’altro.
La ripetizione può diventare un problema.
In un testo pubblicato di recente intitolato «Feral Biologies», Anna Tsing suggerisce che il punto di flesso tra l’Olocene e l’Antropocene potrebbe essere la distruzione dei refugia a partire dai quali un giorno potranno riformarsi assemblaggi di specie diverse (con o senza gli esseri umani) in seguito a eventi devastanti come la desertificazione, la deforestazione, e purtroppo tanto altro ancora...
Questa idea è affine alle considerazioni di Jason Moore, il coordinatore del World-Ecology Resarch Network, convinto che la natura a buon mercato sia giunta al termine.
Non si può continuare a deprezzare la natura svuotandola di ogni contenuto e risorsa, è un processo che non può durare ancora a lungo: continuare a estrarre risorse dal mondo contemporaneo nel tentativo di rimodellarlo continuamente sta diventando impossibile, dato che gran parte delle riserve della Terra sono state esaurite, bruciate, svuotate, avvelenate, sterminate ed esaurite.
Grossi investimenti e tecnologie terribilmente creative e distruttive possono ritardare la nostra presa di coscienza rispetto a questo fatto, ma la natura a buon mercato è davvero finita.
Anna Tsing sostiene che l’Olocene sia stato un lunghissimo arco temporale in cui non solo esistevano ancora i refugia, ma erano persino abbondanti, e capaci di sostenere il ripopolamento del mondo in tutta la sua diversità culturale e biologica.
Forse chiamare questo scandalo Antropocene è un modo per indicare la distruzione di luoghi e momenti di riparo per gli umani e tutte le creature. Come altre persone, anch’io credo che l’Antropocene sia più un evento limite che un’epoca, più un momento di passaggio che una fissità geologica, proprio come il limite K-T che ha costituito il passaggio dal Cretaceo al Paleogene.
L’Antropocene introduce delle discontinuità drastiche; quello che verrà dopo non sarà come quello che è venuto prima. Credo che il nostro compito sia rendere l’Antropocene il più interstiziale e insignificante possibile: dobbiamo unire le forze e condividere tutte le idee che ci vengono in mente per coltivare le epoche a venire in modo da ristabilire dei luoghi di rifugio.
Al momento la Terra è piena di rifugiati, umani e non umani, senza più rifugio. Per questo credo che un nome eclatante (a dire il vero più di un nome) per definire questa situazione sia giustificato: e dunque Antropocene, Piantagionocene, Capitalocene (termine che è stato di Andreas Malms e di Jason Moore prima ancora di essere mio).
Dobbiamo sempre tenere a mente quali storie raccontano altre storie, quali concetti pensano altri concetti
Insisto anche sul fatto che abbiamo bisogno di un nome per raggruppare le forze e i poteri dinamici e sinctoni di cui le persone costituiscono una parte, all’interno dei quali sono in gioco l’esistere e il progredire.
Forse è solo attraverso l’impegno intenso e le forme di collaborazione e di gioco con tutti i terrestri che saranno possibili nuovi ricchi assemblaggi multispecie in grado di ospitare anche gli umani.
Io chiamo tutto questo Chthulucene - passato, presente e futuro. Queste tempospettive reali e possibili non hanno nulla a che fare con Cthulhu, quel mostro misogino da incubo razziale creato dallo scrittore di FS H.P. Lovecraft, ma piuttosto con diverse forze e poteri tentacolari grandi quanto la Terra e altre cose accumulate sotto nomi come Naga, Gaia, Tangaroa (divinità esplosa dalle acque di Papa, la dea della Terra), Terra, Haniyasu-hime, Donna Ragno, Pachamama, Oya, Gorgo, Raven, A’akuluujjusi e tanti altri ancora.
Il «mio» Chthulucene, per quanto aggravato dalle sue radici greche che lo ancorano a un tempo e a un luogo, in realtà imbriglia una miriade di temporalità e spazialità diverse e una miriade di entità-in-assemblaggi intra-attivi, compresi gli assemblaggi più-che-umani, altro-dagli-umani, inumani e
umani-co-me-humus. Naga, Gaia, Tangaroa, Medusa, la Donna Ragno e tutte le loro parentele sono solo alcune delle migliaia di forze che scorrono in un filone FS che Lovecraft non avrebbe mai potuto immaginare né sfruttare, ovvero le reti della fabula speculativa, del femminismo speculativo, della fantascienza e del fatto scientifico.
Dobbiamo sempre tenere a mente quali storie raccontano altre storie, quali concetti pensano altri concetti. Che si tratti di matematica, visioni o narrazioni, dobbiamo tener conto di quali figure raffigurano figure, quali sistemi sistematizzano sistemi; è importante.
Tutti questi nomi che ho elencato sono troppo grandi e troppo piccoli, così come tutte le storie del mondo sono troppo grandi o troppo piccole. Come mi ha insegnato Jim Clifford, abbiamo bisogno di storie (e di teorie) abbastanza grandi da contenere le complessità e mantenere gli argini e i confini aperti e affamati di nuove e vecchie connessioni capaci di sorprenderci.
Per vivere e morire bene da creature mortali nello Chthulucene è necessario allearsi con le altre creature al fine di ricostruire luoghi di rifugio; solo così sarà possibile ottenere un recupero e una ricomposizione parziale e solida della Terra in termini biologici-culturali-politici-tecnologici. Ma questa ricomposizione non avverrà se non saremo capaci di includere il lutto e il cordoglio per le perdite irreversibili, me lo hanno insegnato Thom van Dooren e Vinciane Despret.
L’estinzione non è solo una metafora, il collasso del sistema non è un film catastrofista. Basta chiederlo a qualsiasi rifugiato.
Abbiamo già avuto a che fare con un numero devastante di perdite, e ce ne saranno molte altre ancora. La prosperità non può derivare né dalla convinzione di essere immortali né dal- la nostra incapacità di con-divenire insieme ai morti e agli estinti. C’è molto da fare per l’Araldo dei morti di Orson Scott Card. E c’è ancora più lavoro per il mondeggiare di Ursula Le Guin in Sempre la valle.
Sono una compostista, non una postumanista; siamo tutti compost, non postumani. Il confine segnato dall’Antropocene/Capitalocene significa molte cose, compreso il fatto che l’immensa distruzione irreversibile è attualmente in corso, non solo per gli undici miliardi e rotti di persone che si ritroveranno sulla Terra verso la fine del XXI secolo, ma per un’infinità di altre creature. (Undici miliardi è un numero impensabile ma ponderato, che costituisce una previsione valida solo se i tassi di natalità mondiali resteranno bassi come adesso. In caso di aumento della natalità, può succedere di tutto.)
L’estinzione non è solo una metafora, il collasso del sistema non è un film catastrofista. Basta chiederlo a qualsiasi rifugiato di ogni specie.
Lo Chthulucene ha bisogno di uno slogan, o anche più di uno. Oltre a gridare «Cyborg per la sopravvivenza sulla Terra», «Corri veloce, mordi più che puoi» e «Taci e impara», io suggerisco il «Generate parentele, non bambini!».
Generare e riconoscere le parentele è la parte più complicata e urgente di questa proposizione.
Le femministe sono state le prime a sciogliere i presunti legami naturali e necessari tra sessualità e genere, razza e sesso, razza e nazione, classe e razza, genere e morfologia, sesso e riproduzione, persone che riproducono e persone che compongono (qui il debito specifico è con le melanesiane alleate con Marilyn Strathern e la sua parentela etnografica).
Se vogliamo l’eco-giustizia multispecie, un tipo di giustizia che possa anche accogliere una popolazione umana diversificata, è tempo che le femministe prendano le redini dell’immaginazione, della teoria e dell’azione per sciogliere ogni vincolo tra genealogia e parentela, e tra parentela e specie.
Noi, gli esseri umani di ogni luogo, dobbiamo rivolgerci alle urgenze intense e sistemiche che abbiamo davanti
Batteri e funghi non fanno che fornirci metafore, ma le metafore non bastano: le metafore fondate sulla natura non sono sufficienti. Qui c’è da fare un lavoro da mammiferi, insieme ai nostri collaboratori e co-lavoratori simpoietici biotici e abiotici.
Dobbiamo generare parentele in sinctonia e in simpoiesi. A prescindere da chi e cosa siamo, dobbiamo con-fare, con-divenire, con-creare insieme gli «Earthbound» (ringrazio ancora Bruno Latour in modalità-anglofona per questo termine).
Noi, gli esseri umani di ogni luogo, dobbiamo rivolgerci alle urgenze intense e sistemiche che abbiamo davanti; eppure, come ha scritto Kim Stanley Robinson in 2312, fino adesso abbiamo vissuto nei tempi del «Dithering», i tempi della Titubanza (un arco temporale che in questo romanzo di fantascienza va dal 2005 al 2060... forse è una prospettiva troppo ottimista?), vale a dire uno «stato di agitazione incerta».
Forse Titubanza è un nome più adatto rispetto ad Antropocene e Capitalocene! La Titubanza verrà incisa e inscritta in ogni strato di roccia, ed è già dentro gli strati mineralizzati della Terra.
Le creature sinctonie non si agitano nella titubanza, ma compongono e decompongono, attività pericolose quanto promettenti.
L’egemonia umana non è un evento sinctonico, questo è poco ma sicuro. Come hanno scritto le artiste ecosessuali Beth Stephens e Annie Sprinkler sull’adesivo che hanno creato per me, compostare è così sexy!
Il mio intento è far sì che il «kin», la parentela, significhi qualcosa di diverso, qualcosa di più che entità legate dalla stirpe o dalla genealogia. Per un po’ questo pacato intento di defamiliarizzazione potrà sembrare solo un errore, ma un giorno (se la fortuna ci assiste) sembrerà che le cose siano sempre state così.
Generare parentele significa generare persone, non necessariamente intese come individui o esseri umani. All’università rimasi colpita dal gioco di parole tra kin e kind formulato da Shakespeare nell’Amleto: le persone più kind, ovvero le persone più premurose, non erano necessariamente i membri della famiglia. Generare parentele - making kin - ed esercitare la premura verso l’altro - making kind - (intesi come categoria, cura, parentele senza legami di sangue, parentele altre e molte altre ripercussioni) sono processi che ampliano l’immaginazione e possono cambiare la storia.
Gli antenati si rivelano degli sconosciuti molto interessanti; le parentele sono estranee, inspiegabili, inquietanti, attive
Marilyn Strathern mi ha spiegato che all’inizio la parola relatives («familiari» in italiano, N.d.T.) indicava delle «relazioni logiche» e ha assunto il significato di «membri della famiglia» solo nel Seicento: questa ipotesi è tra le mie preferite in assoluto.
Allargare e ridefinire la parentela è un processo legittimato dal fatto che tutte le creature della Terra sono imparentate nel senso più profondo del termine, e già da tempo avremmo dovuto iniziare a prenderci più cura delle creature affini come assemblaggi e non delle specie una alla volta. Kin è un genere di parola che unisce. Tutte le creature condividono la stessa «carne» in maniera laterale, semiotica, genealogica.
Gli antenati si rivelano degli sconosciuti molto interessanti; le parentele sono estranee (al di fuori di quella credevamo essere la famiglia o la gens), inspiegabili, inquietanti, attive.
È troppo per un piccolo slogan, lo so! Ma proviamoci. Nel giro di un paio di secoli, forse gli esseri umani sul pianeta torneranno a essere due o tre miliardi, dopo un lungo percorso in cui avranno contribuito ad aumentare il benessere di un’umanità diversificata e delle altre creature, intese come mezzi e non solo come fini.
Perciò, generate parentele, non bambini! È importante il modo in cui le parentele generano altre parentele.
*
Donna Haraway
filosofa
Donna Haraway (Denver, 6 settembre 1944) è una filosofa e docente statunitense, capo-scuola della teoria cyborg, una branca del pensiero femminista che studia il rapporto tra scienza e identità di genere.
Nel 1966 si è laureata in zoologia e filosofia al Colorado College, mentre nel 1970 ha concluso un dottorato in biologia alla Yale University. Ha insegnato Teoria femminista e scienza tecnologica alla European Graduate School di Saas-Fee in Svizzera, e Teoria femminista e storia della scienza e della tecnologia nel dipartimento di Storia della coscienza dell’Università di Santa Cruz in California. Presso quest’ultima università è oggi professoressa emerita.
The Economy of Francesco.
«Generare» non solo produrre: l’economia del prendersi cura
Da Assisi la rivoluzione di un nuovo modello di sviluppo che pensi alle generazioni future. Le proposte di Magatti, Becchetti e Consuelo Corradi
di Cinzia Arena (Avvenire, venerdì 20 novembre 2020)
Uscire dal binomio produzione e consumo per realizzare un nuovo paradigma di economia circolare che metta al centro la persona, accompagni le nuove generazioni e tuteli l’ambiente. Una rivoluzione silenziosa partita da Assisi - sede reale e simbolica dell’evento voluto da papa Francesco che ha come protagonisti duemila giovani imprenditori ed economisti - che parla alle nostre coscienze in un momento storico così complesso e pieno di incertezze. «Generatività, beni relazionali ed economia civile» è il titolo del dibattito che ha aperto la seconda giornata di «The economy of Francesco».
Sabato ci sarà il video-messaggio del Pontefice e un arrivederci all’anno prossimo, in autunno, quando si spera si potrà proseguire in presenza il cammino intrapreso in questi tre giorni di dibattiti in streaming. Un concetto quello della "generatività", che i relatori, Mauro Magatti, ordinario di Sociologia all’università Cattolica, Consuelo Corradi, professore di Sociologia alla Lumsa e Leonardo Becchetti, ordinario di economia politica all’università Tor Vergata hanno cercato di rendere concreto. Un processo di relazioni che coinvolge tutta la comunità: dai cittadini, agli imprenditori alle istituzioni.
«Sino ad oggi il circuito della produzione e del consumo hanno regolato il nostro modello economico - ha detto Magatti - . Ma un’economia basata sulla quantità produce diseguaglianze ed è entropica con l’ambiente. Occorre fare un passo più in là come dice Pascal "conoscere le ragioni del cuore che la ragione non conosce". Produrre e consumare sono alla base della civiltà umana. Il problema nasce quando produzione e consumo pretendono di diventare assolute e di dare senso alle nostre vite, da qui nasce l’ossessione del controllo».
Al contrario il "generare" è un movimento antropologico basato sul prendersi cura. «È la condizione essenziale per capire chi siamo, è la circolazione della vita e della libertà attraverso e al di dà di quello che facciamo noi». Per questo Magatti ipotizza la necessità di una transizione su quattro fronti: formativa, organizzativa, comunitaria e ambientale. «L’idea di un’economia generativa riapre il futuro che ci sembra chiuso, ci permette di mettere al mondo, prendersi cura, accompagnare e lasciare andare».
Nel suo intervento Consuelo Corradi ha declinato il tema al femminile. Partendo dalla domanda sul come raggiungere la parità di genere, Corradi ha ipotizzato due risposte. La prima, passa per il concetto del "non ancora": in Italia ad esempio «non c’è ancora ancora un presidente Repubblica o un premier donna». Ma è la seconda risposta secondo Corradi ad essere la più interessante anche se presenta delle insidie. E consiste nel mettere al centro la diversità e il ruolo fondamentale delle donne alla generatività, concetto che travalica quello di maternità. «Le donne hanno una familiarità con le difficoltà. Hanno affinità con il dolore e la fatica: non a caso sono madri, infermiere, insegnanti. Hanno il piacere del prendersi cura degli altri, nelle famiglie così come nelle aziende e negli istituti di ricerca».
Tutti elementi che contrastano con l’individualismo estremo. «Se l’unica aspettativa delle donne diventa essere pari agli uomini, autonome efficienti e determinate, finiremo per dimenticare tale bio-diversità e questa sarà una grave perdita» ha concluso la professoressa.Becchetti ha parlato delle necessità di nuovi indicatori per le politiche economiche, un nuovo paradigma che «introduca i concetti di dono e fiducia al posto della massimizzazione del profitto». Dire basta alla logica del Pil basata sulla produzione di beni. «La politica economica deve passare da un modello a due mani, vale a dire mercato e istituzioni, ad un modello a quattro mani che includa anche cittadinanza attiva e impresa responsabile come previsto dal goal 12 dell’Agenda 2030». In questa direzione si può andare solo con un impegno collettivo, trasformando le nostre scelte di tutti i giorni, facendo acquisti ragionati, premiando le imprese sostenibili da punto di vista ambientale e soprattutto umano. «Il messaggio finale è non dobbiamo pensare che il mondo si cambi solo d’alto, lo cambiano le nostre scelte costruite dal basso: votiamo ogni volta che scegliamo un prodotto».
L’ECCE HOMO, L’8 MARZO AL TEMPO DEL “CORONA VIRUS”, E LA MEMORIA DI CHRISTINE DE PIZAN ...
ALLA LUCE DEL CHIARIMENTO DEL SIGNIFICATO DELLE PAROLE DI PONZIO PILATO: “ECCE HOMO”(cfr. sopra : https://www.fondazioneterradotranto.it/2020/02/26/dialetti-salentini-piticinu/#comment-269838), si comprende meglio anche il significato delle parole di Christine de Pizan, l’autrice della “Città delle dame” : «Or fus jee vrais homs, n’est pa fable,/De nefs mener entremettable » (« Allora diventai un vero uomo, non è una favola,/capace di condurre le navi» - cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Christine_de_Pizan), che dicono ovviamente non della “metamorfosi” in “vir” - uomo, ma della “metanoia” in “homo” - essere umano (su questo, in particolare, si cfr. Michele Feo, “HOMO - Metanoia non Metamorfosi”, “dalla parte del torto”, Parma, autunno 2019, numero 86, pp. 12-13).
***
ASTREA ! “IAM REDIT ET VIRGO” ...
CARO ARMANDO... RICORDANDO DI NUOVO E ANCORA IL TUO PREGEVOLISSIMO LAVORO SU- GLI ARCADI DI TERRA D’OTRANTO, VIRGILIO, E IL “VECCHIO DI CORICO”. A SOLLECITAZIONE E CONFORTO DELL’IMPRESA (si cfr. https://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/08/gli-arcadi-di-terra-dotranto-premessa-1-x/#comment-238474), E LA TUA CONNESSIONE TRA LA “PIZANA” CAPACE DI “CONDURRE LE NAVI” CON LA FIERA E NOBILE Carola Rackete, A SUO E TUO OMAGGIO, riprendo qui una breve scheda su:
Buon 8 marzo 2020 - e buon lavoro...
NASCERE. Costruire una cultura adatta alla nostra incarnazione...
Non vi è alcun dubbio che una certa epoca della nostra cultura sia al termine: quella della metafisica, che alla fine si è incarnata in un’era tecnica e scientifica che da allora in poi è la nostra. In effetti, o l’umanità e il mondo in cui dimora sono destinati a scomparire, o noi troviamo il modo di tornare o ritornare a ciò che significa essere umano per riflettere a fondo su di esso, in quanto primo agente del nostro destino, e sulla possibilità di giungere a una parola di cui la tecnica e le tecnologie non possono privarci, riducendoci a una sorta di meccanismo meno performante di quelli che siamo in grado di fabbricare.
È in noi stessi, in quanto esseri umani incarnati, che possiamo trovare un modo di pensare come sfuggire al dominio della tecnica e delle tecnologie senza sottovalutarne i vantaggi. Invitandoci a liberarci dalla soggezione a ideali sovrasensibili, Nietzsche ci indica, almeno in parte, verso quale direzione volgerci. Ma il suo insegnamento è innanzitutto critico, ed è quello che ha ispirato la decostruzione della metafisica occidentale portata avanti, dopo di lui, da Heidegger e dai suoi seguaci. Se Nietzsche ha intuito giustamente che dobbiamo ricominciare da zero, iniziando in particolare dalla nostra appartenenza fisica per passare dal vecchio uomo occidentale a una nuova umanità, egli non ha avuto il tempo di aprire il cammino o di costruire il ponte per raggiungere questo obiettivo. Temo che anche la «volontà di potenza» e l’«eterno ritorno», in un modo o nell’altro, rimangano nell’orizzonte della nostra logica passata. Agiscono come strumenti della sua interpretazione, ma forniscono una prospettiva che ci consente di liberarci da essa. Tuttavia, le «intuizioni ispirate» di Nietzsche, come le chiama Heidegger, non ci forniscono la struttura di cui abbiamo bisogno per costruire una cultura adatta alla nostra incarnazione.
Questa struttura - Heidegger talvolta la chiama «ispezione» -, che rende possibile l’avvento di una nuova epoca della verità e della cultura, d’ora in poi deve risiedere nel nostro corpo, dal momento che è una struttura adatta a esso, tramite la quale può dirsi di nuovo fin quando il mondo e tutti gli elementi che vi prendono parte sono coinvolti. Questo tipo di struttura esiste e si esprime già, anche in modo inconscio, nella nostra concezione passata del reale e del linguaggio che ne parla - corrisponde alla sessuazione della nostra identità. In quello che è stato chiamato «essere umano» è rimasto ignorato un aspetto che ne determina la natura e che contribuisce a sottrarlo a una neutralità disincarnata che non gli permette di manifestarsi così com’è, e che riemerge, sebbene la presunta verità del mondo e delle cose non gli corrisponda.
Il rischio rappresentato dalla neutralizzazione degli umani in quanto esseri viventi adesso sta diventando evidente a causa della trasformazione in robot di diversi elementi del mondo, tramite l’organizzazione prodotta dalla mente umana a partire dal potenziale di meccanismi, di cui, però, è diventata schiava, esiliata dalla sua appartenenza vivente. Qualunque sia il loro potenziale performativo, gli esseri umani eccedono già quello della macchina a diversi livelli. La loro salvezza può venire soltanto dalla percezione del rischio e dalla maniera di superarlo, attribuendogli significato, e tramite un ritorno al proprio essere come specifici esseri viventi. Per superare una concezione del mondo dominata da un modo di pensare e di agire tecnico, dobbiamo trovare un’altra configurazione o struttura grazie alla quale gli esseri umani possano sfuggire a tale dominio riconoscendo e interpretando la natura del suo potere. Dobbiamo liberarci dal predominio tecnico e scientifico sulla nostra epoca e garantire la salvaguardia del significato tramite una nuova incarnazione dell’essere.
*Luce Irigaray, "Nascere. Genesi di un nuovo essere umano", TecaLibri.
Spagna, verso il nuovo governo Sanchez: 11 donne e 6 uomini
Vicepremier Carmen Calvo, c’è anche un astronauta
di Redazione ANSA *
MADRID. Il premier spagnolo Pedro Sanchez ha annunciato nella sua prima dichiarazione ufficiale dal Palazzo della Moncloa che nel nuovo governo di Madrid "per la prima volta dal ritorno della democrazia ci sono più donne che uomini, 11 su 17". L’Uguaglianza, di responsabilità della vicepremier Carmen Calvo, sarà una "autentica priorità del governo", ha aggiunto.
Questi secondo la stampa i nomi dei probabili nuovi ministri: - Presidente del governo, Pedro Sanchez. - Vicepremier, Carmen Calvo, ministro dell’Uguaglianza. - Giustizia, Dolores Delgado. - Finanze, Maria Jesus Montero. - Economia, Nadia Calvino. - Esteri, Josep Borrell. - Interni, Margarita Robles. - Difesa, Constantin Mendez - Amministrazione Territoriale, Meritxell Batet. - Investimenti, José Luis Abalos. - Educazione, Isabel Celaà. - Scienza, Università, Pedro Duque. - Lavoro, Magdalena Valerio. - Sanità, Carmen Monton. - Ambiente, Teresa Ribera. Mancano i nomi del nuovo responsabile della Cultura e del Portavoce del governo.
* ANSA 06 giugno 2018 (ripresa parziale, senza immagini).
RIPENSARE L’EUROPA, IL CRISTIANESIMO E LA DEMOCRAZIA, A PARTIRE DALLA LEGGE DELLA UGUAGLIANZA ("LEY DE IGUALDAD") ... *
Europa
Spagna: una nuova Costituzione
di Mauro Barberis (Il Mulino, 02 ottobre 2017)
Si ha un bel dire, come ha fatto il premier spagnolo Mariano Rajoy, che il referendum catalano non c’è stato. Giuridicamente è così: quella che si è svolta ieri è una consultazione di fatto, svoltasi fuori da qualsiasi controllo, e non per colpa degli indipendentisti.
Per di più, il risultato finale - due milioni duecentomila elettori, con il novanta per cento a favore del sì - non ha neppure raggiunto la soglia psicologica della metà più uno dei catalani favorevoli alla secessione. Ma il punto è che se, come ha mostrato l’imbarazzante discorso di Rajoy, il governo spagnolo non ha un piano B che non sia l’invio della Guardia Civil, allora la convulsa giornata di ieri segna un punto decisivo a favore degli indipendentisti. Ci fosse scappato il morto, la secessione sarebbe già un fatto compiuto.
In attesa dello sciopero generale di domani e della probabile dichiarazione di indipendenza da parte del Parlamento catalano, chiediamoci come si sia arrivati a questo punto. Per noi italiani, la questione catalana evoca immediatamente la questione padana, oggetto di un referendum consultivo per l’autonomia, dichiarato dalla Lega con l’acquiescenza di Pd e M5S, che costerà al contribuente cinquanta milioni di euro. -Ma a differenza della Padania la Catalogna è davvero una nazione, con una storia, una lingua. E un’economia che produce un quinto del Pil spagnolo. (In più, i catalani sono maledettamente simpatici: almeno a chi tifa Barça, almeno dai tempi di Johann Crujiff).
La questione catalana, dunque, è più simile a quella dell’indipendenza della Scozia: altra nazione storica, confluita nel Regno Unito solo all’inizio del Settecento, e anch’essa percorsa dai venti della secessione. -Proprio il paragone con la Scozia, però, spiega perché la questione catalana rischia di esplodere nelle mani del governanti spagnoli e catalani. Il Regno Unito ha permesso agli scozzesi di pronunciarsi sulla loro indipendenza, ottenendone la risposta più prevedibile, almeno prima della Brexit: una sensibile maggioranza a favore dell’unione. In Catalogna, invece, le cose sono andate molto diversamente.
Da decenni i deboli esecutivi spagnoli contrattano la maggioranza in Parlamento con gli indipendentisti catalani, di destra e di sinistra, che alzano progressivamente il prezzo del loro sostegno senza ottenere un’autonomia paragonabile a quella dei Paesi baschi.
Di errore in errore si è giunti così allo psicodramma di ieri, determinato dal tentativo di entrambe le parti di decidere la questione con una spallata. Come molti hanno notato, infatti, sino a ieri i catalani chiedevano solo l’autonomia, ottenuta dai Paesi baschi al prezzo di decenni di terrorismo. Solo l’atteggiamento miope e autoritario del governo centrale li ha spinti verso un’indipendenza, che potrebbero ottenere solo approfittando di un momento irripetibile, come nel caso della Brexit per il Regno Unito.
L’unica strada costituzionale percorribile, che sia politicamente e giuridicamente legittima, è un’altra, e dopo la consultazione di ieri appare più stretta di quella che si sta percorrendo. Questa strada non passa dai tentativi di spallate, da una parte e dall’altra, ma dalla via maestra di una riforma costituzionale. Le maggiori forze politiche spagnole potrebbero smetterla di fare accordi separati con gli indipendentisti e accordarsi su un cambiamento in senso federale della Costituzione del 1978, che dia alla Catalogna tutta l’autonomia possibile. A questo punto la riforma potrebbe persino prevedere la possibilità di un vero referendum per l’indipendenza: permettendo così ai catalani di decidere a mente fredda fra la certezza dell’autonomia e gli azzardi della secessione.
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
RIPENSARE L’EUROPA, IL CRISTIANESIMO E LA DEMOCRAZIA, A PARTIRE DALLA LEGGE DELLA UGUAGLIANZA ("LEY DE IGUALDAD") DEL GOVERNO DI ZAPATERO ...
CON LA SPAGNA DI "PUERTA DEL SOL", PER LA DEMOCRAZIA "REALE": RIPRENDERE IL FILO SPEZZATO DELL’UMANESIMO RINASCIMENTALE.
Federico La Sala
“Apriamo la Chiesa alle donne sacerdote”
Parla Padre d’Ors scrittore e consigliere di Papa Francesco
“Il Pontificio Consiglio ha chiesto una relazione sul ruolo femminile. Ormai i tempi sono maturi”
“Rousseau e Einstein erano capaci di esperienze spirituali profonde anche senza Dio”
di Simonetta Fiori (la Repubblica, 5.11.2014)
MADRID «PERCHÉ mi ha scelto papa Francesco? Un mistero. Forse avrà chiesto: qual è il prete più marginale di Madrid?». Pablo d’Ors scoppia in una risata mentre s’inerpica nella sua casa del quartiere Tetuán, una specie di torre su quattro piani che sarebbe piaciuta a Montaigne. È qui, tra il piano della biblioteca dove d’Ors compone i suoi romanzi e la cappella su in alto dove recita messa, che sta maturando un’altra rivoluzione del pontificato di Bergoglio. Finora se n’è parlato poco, anzi per niente. E per scoprirla bisogna venire a trovare questo outsider delle lettere e del sacerdozio che emana una vitalità allegra.
Davvero inclassificabile, padre d’Ors. «Scrittore mistico, erotico e comico», così lui si presenta rivelando la sua vocazione al paradosso. I suoi primi bellissimi racconti del Debutto si prendevano beffa delle letteratura mondiale, narrando le gesta di una signora slovacca che fa l’amore con i più grandi scrittori del Novecento. Pagine sorprendenti in cui si possono leggere riflessioni del genere: «Pessoa è lo scrittore che ha dormito di meno in tutta la letteratura mondiale».
Cresciuto in una famiglia colta - il nonno era Eugenio d’Ors, un monumento della cultura spagnola - Pablo s’è sempre nutrito di parole, per poi approdare alla Biografia del silenzio , un manifesto della meditazione che è diventato un caso editoriale in Spagna (tradotto da Vita e Pensiero). Non più giovanissimo, a 27 anni, dopo una vita ricca di amori, letture, viaggi anche spericolati, ha scelto il sacerdozio: ora nell’ospedale Ramón y Cajal accompagna i malati a morire.
Quest’anno è stato chiamato dal Pontificio Consiglio della Cultura presieduto dal cardinal Ravasi, dove a febbraio porterà il suo mattone per la costruzione di un nuovo immenso edificio. Che incarico le è stato affidato?
«Sono uno dei trenta consiglieri nominati in tutto il mondo. Ci hanno chiesto di presentare una relazione sul ruolo della donna nella Chiesa. Ormai sono maturi i tempi per percorrere nuove strade».
Si parlerà dell’apertura del sacerdozio alle donne?
«Non posso dire apoditticamente di sì, ma penso che dietro la prossima riunione plenaria ci sia questa impostazione».
Lei è favorevole?
«Assolutamente sì, e non sono da solo. Che la donna non possa essere prete per il fatto che Gesù era un uomo e che avesse scelto solo uomini è un argomento molto debole. È una ragione culturale, non metafisica».
Cosa porterebbero le donne?
«La vita. E tanta ricchezza. Il cambiamento è necessario, anche perché si tratta di una discriminazione inaccettabile. Per preparare il mio lavoro ho parlato con moltissime donne di diversa estrazione sociale e culturale, cristiane e non cristiane: con una sola eccezione, tutte si sono mostrate favorevoli».
C’è ancora molta resistenza?
«Sì, non solo nella curia ma anche nella base. La novità fa sempre paura. Invece un criterio importante per misurare la vitalità spirituale di una persona è la sua disponibilità al cambiamento. Resistere alla vita è un peccato perché la vita è svolgimento continuo».
Questo vale anche per la Chiesa?
«Soprattutto per la Chiesa».
Lei che tipo di sacerdote è?
«Sono un prete felice. Ho sentito una voce interiore. E quando vivi la vita come risposta a una vocazione provi la felicità. Questo non significa che non ci siano stati momenti difficili ». Il fatto di aver molto vissuto prima di prendere i voti... «... anche ora vivo intensamente».
Sì, ma il fatto di aver avuto molte storie d’amore la rende un sacerdote migliore?
«Conoscere l’amore umano aiuta a conoscere meglio l’amore divino. Oggi posso dire che mi ha aiutato, mentre nel momento in cui lo vivevo avevo l’impressione che mi facesse male. Bisogna avere il tempo per elaborare l’esperienza».
I suoi rapporti con le gerarchie vaticane non sono stati sempre sereni.
«Si riferisce ad Antonio Maria Rouco Varela, ex vescovo di Madrid? Avevamo due modi molto diversi di intendere la presenza cristiana nel mondo. Potrei sintetizzarlo in due parole: alternativa oppure dialogo. L’alternativa ti porta a una visione chiusa del cristianesimo, separato da un mondo visto come sentinella di tutti i vizi. Il dialogo significa riconoscere nel mondo anche la bellezza e il bene. Dunque non ti impongo la mia verità assoluta, ma ti invito a metterti in dialogo con me per trovare insieme la verità. Francesco è un vero pontefice perché crea ponti intorno a sé».
Oggi lei lavora nell’ospedale di Ramón y Cajal. Come si accompagna una persona a morire?
«Ascoltando veramente ciò che dice, senza giudicare intellettualmente o caricare emotivamente. Ascoltare e basta, dimenticando se stessi, che è la cosa più difficile ».
Lei ha detto che morire da cristiani non comporta meno angosce che morire da laici.
«Un momento. Se sei davvero un credente ti aiuta. Non ti aiuta quando sei cristiano di nome ma non di cuore».
Ma si può vivere una buona vita senza Dio?
«Certo che si può vivere senza un Dio. Non si vive bene senza contatto con la fonte della pienezza, si chiami Dio, essere o vita. Persone come Einstein o Rousseau non erano credenti, ma capaci di esperienze spirituali profondissime».
Lei perché scrive romanzi? Pensava a sé quando fa dire a Pessoa: “Non scrivo ciò che penso, ma scrivo per pensare”?
«Uno ritiene ingenuamente che la scrittura serva per comunicare, ma questo vorrebbe dire che io so già cosa devo dire. In realtà la scrittura è rivelazione, nel senso che rivela a te stesso quello che devi scrivere. Non è un fatto solo intellettuale, ma più profondo, direi viscerale».
Ma perché poi lei è approdato all’elogio del silenzio? Non c’è un aspetto paradossale, ossimorico, nel biografare il silenzio?
«Solo in apparenza. Parola e silenzio sono le due facce di una stessa medaglia. Le parole vere, quelle che hanno la possibilità di toccare l’altro, nascono dal silenzio, ossia dall’intimità con se stessi. E approdano al silenzio perché la cosa più bella, quando leggi un libro, è il bisogno di ricreare tu stesso quello che hai letto. In fondo la letteratura è un invito a tacere».
Il silenzio come l’unica etica possibile. Lei lo fa dire a Thomas Bernhard.
«Sì, per me è stato fondamentale. È Bernhard a teorizzare che tutto è citazione. La letteratura nasce dalla letteratura. Anche i miei romanzi nascono ai margini dei libri altrui».
Lei si definisce scrittore erotico, mistico e comico. Ma cosa tiene unite cose così diverse?
«L’ironia è lo stile, misticismo ed erotismo sono i contenuti. Sia la mistica che l’eros cercano l’unità: ricompongono la separazione nell’unione dello spirito e dei corpi. Quanto alla leggerezza, è quella che genera l’allegria del lettore».
A proposito di leggerezza, ne Il debutto fa a pezzi Kundera e molti altri. Grandi scrittori, ma piccoli uomini.
«L’ironia ha anche una funzione liberatoria. Quasi una dichiarazione di principio: ecco i miei maestri, ma non voglio restare schiacciato sotto queste bestie della letteratura ».
Ma perché introdurre il tema corporale: l’organizzatrice slovacca che si lascia possedere da tutti i grandi intellettuali?
«Ho voluto mostrare un inganno. Noi ci illudiamo di possedere libri e persone. Ma, dal momento che non è possibile padroneggiare tutta la letteratura, la cosa più facile è accedere al corpo degli scrittori».
La sua critica ricorrente verso gli scrittori è di preferire la scrittura alla vita.
«Per molti la letteratura è un modo vicario di vivere la realtà. Credo invece che ciascuno dovrebbe fare un’opera d’arte non solo della scrittura, ma anche dalla propria vita. Thomas Mann l’ha capito benissimo. Proust e Kafka, al contrario, hanno sacrificato le loro esistenze alla letteratura».
Primum vivere. Ma i sacerdoti vivrebbero meglio con una donna al loro fianco?
«I tempi sono maturi anche per questa svolta, ma è solo una mia opinione personale. E nel Pontificio Consiglio, no, di questo non si parlerà».
Spagna.
Dall’aborto ai matrimoni gay fino all’istruzione e all’ambiente I ministri del centrodestra fanno a gara per il ritorno al passato
Via alla Controriforma che cancella l’era Zapatero
Dopo le elezioni di novembre i "popolari" hanno la maggioranza assoluta dei seggi
di Omero Ciai (la Repubblica, 16.02.2012)
Non solo cancellare Zapatero, e in fretta, ma se possibile andare anche più a destra di quello che fecero gli ultimi governi populares, quelli di Aznar, negli anni Novanta. Sembra essere questa, a meno di due mesi dall’arrivo del nuovo governo di Mariano Rajoy in Spagna, la strategia che ispira le "controriforme" avviate da diversi ministeri. Non solo aborto dunque, ma anche istruzione, ambiente, televisione, giustizia, nucleare, pillola del giorno dopo, e magari anche legge sul franchismo e memoria storica grazie alla maggioranza assoluta dei seggi.
Dopo i temi più urgenti, bilancio e disoccupazione, sui quali Rajoy è già intervenuto tradendo qualche promessa fatta durante la campagna elettorale - ha aumentato le tasse e reso più facili e meno costosi i licenziamenti per le imprese - il neogoverno si concentra sul resto per mettere in pratica i cambiamenti che piacciono di più al suo elettorato. In prima linea la riforma della legge socialista sull’aborto, quella che abbassa l’età per l’interruzione della gravidanza fino a sedici anni, senza la necessità di avere il consenso dei genitori e senza dover specificare motivo alcuno.
Il progetto conservatore, già chiarito dal ministro della Giustizia Gallardón, vuole tornare al 1985, imponendo alle donne la possibilità di abortire soltanto in alcuni casi, come la violenza sessuale o i rischi di malformazione per il feto, e sempre specificando un "motivo" con il consenso del medico. Un salto indietro di un quarto di secolo.
Sull’altro chiodo fisso dei vescovi - i matrimoni gay - invece il centrodestra spera che la legge venga cancellata dalla Corte Costituzionale ed aspetterà ad intervenire finché i magistrati non si pronunceranno sui ricorsi. Ma lo spettro delle novità annunciate dai ministri conservatori è più ampio e preoccupante. Il ministro dell’Ambiente vuole cambiare "in modo profondo" la legge che vieta di costruire a pochi metri dal mare lungo le coste spagnole oltre ad evitare la chiusura di una delle centrali nucleari più vecchie e abolire gli incentivi sulle rinnovabili. Il ministro dell’Istruzione vuole sostituire la materia "cittadinanza" perché è un corso che include argomenti che «spettano soltanto all’educazione dei figli nella famiglia», ridurre di un anno il Liceo, e cambiare i programmi delle scuole pubbliche. Il ministro della sanità vuole eliminare dalla farmacie la pillola del giorno dopo perché «è uguale ad un aborto».
Non sfugge alle premure del nuovo governo neppure il Consiglio superiore della magistratura. Anni fa socialisti e popolari raggiunsero un accordo per evitare che fosse composto solo da magistrati di destra, componente ancora largamente maggioritaria (come s’è appena visto nella durissima condanna che ha esautorato Garzón). Grazie a quel compromesso che serve a bilanciare la sua composizione politica, il Consiglio viene eletto sulla base di 36 nomi proposti dai magistrati, dodici dei quali vengono poi votati dal Parlamento. Ma presto non sarà più così.
MESSAGGIO EVANGELICO ("CHARITAS") E "FAMILISMO CATTOLICO" PER L’AMORE DI MAMMONA ("CARITAS"). Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!
IL TIMBRO DEL VATICANO SULLA "SAGRADA FAMILIA" DI GAUDI’. La visita del Papa: laici e cattolici dialogo tra sordi? Chi provoca chi?!:
http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=5001
La vittima è Isaias Carrasco, 42 anni, ex rappresentante comunale del Psoe Tre colpi al petto davanti a casa, a Mondragon, sotto gli occhi di moglie e figlia
Ucciso nei Paesi Baschi
ex assessore socialista
Il ministro della Difesa Alonso accusa l’Eta del "crimine bestiale"
Sospesi i comizi di fine campagna elettorale dei principali partiti
BILBAO - Un ex assessore comunale del partito socialista è stato ucciso fuori dalla sua abitazione oggi a Mondragon, nei Paesi Baschi, a due giorni dalle elezioni generali in Spagna.
La vittima è Isaias Carrasco di 42 anni, secondo quanto hanno reso noto fonti socialiste citate da una radio locale, Cadena Ser, che parla già di attentato dell’Eta. L’uomo è stato colpito al petto con tre colpi di pistola davanti agli occhi di moglie e figlia, ha riferito un testimone alla Cnn. Le due donne si sono piegate sul corpo insanguinato gridando "Assassini, Assassini". La polizia ha detto che l’uomo è morto mentre veniva trasportato in ospedale.
La notizia ha raggiunto Josè Luis Zapatero durante un comizio a Malaga nella giornata di chiusura della campagna elettorale. Il presidente del Psoe, Manuel Chaves, che per primo aveva saputo dell’agguato, ha deciso di informare il premier solo alla fine del suo discorso. Zapatero, appresa la notizia, si è messo subito in contatto con il ministro dell’Interno, Alfredo Perez Rubalcaba ed è immediatamente rientrato a Madrid per seguire gli sviluppi della vicenda dalla Moncloa. Dopo essersi consultato con l’opposizione, il governo ha annunciato che tutti i comizi di fine campagna elettorale dei principali partiti sono stati sospesi.
La matrice dell’agguato è tipicamente dell’Eta e il ministro della Difesa spagnolo José Antonio Alonso ha esplicitamente accusato "la banda criminale dell’Eta" del "crimine bestiale". Proprio l’atteggiamento nei confronti dei separatisti baschi è stato uno dei temi centrali della campagna elettorale, due anni dopo che i terroristi hanno rotto il cessate il fuoco con un attentato all’aeroporto di Madrid, il 2 dicembre scorso, costato la vita a due persone.
In Spagna le elezioni si tengono domenica e l’allerta è alto. Imponenti le misure di sicurezza adottate, con 300mila uomini, fra polizia e militari, mobilitati.
* la Repubblica, 7 marzo 2008
Alla vigilia delle elezioni politiche di domenica intervista a tutto campo
al premier spagnolo che lancia la sfida: "Sugli immigrati no a sanatorie"
Zapatero: "Stop ai vescovi
devono rispettare le nostre leggi"
"In questi anni sono diminuiti i contratti precari e sono aumentati quelli fissi"
"Vi sembrerà un paradosso per un presidente ma non ho mai parlato con Fidel Castro"
di JAVIER MORENO *
Ci sono molti spagnoli convinti che i nazionalismi (Paesi Baschi, Catalogna) abbiano lanciato una sfida su grande scala allo Stato, con l’obiettivo finale a medio termine di un’indipendenza o una semi indipendenza di fatto. È cosciente di questo? La preoccupa?
"Sono nazionalismi, per definizione. E pertanto hanno un progetto che si propone di andare più in là dell’autogoverno. Fa parte della loro strategia politica. Ma non avremo nessun momento, nei prossimi anni, in cui non saremo in grado di armonizzare, di tenere in equilibrio la coesione".
Che ne è stato delle sue ambiziose proposte di riforma, del regolamento del Congresso, del Senato, della Costituzione...?
"Tutte le riforme che dipendevano solo da una maggioranza parlamentare le abbiamo portate avanti. Tutte. Dalle leggi sociali alla Radio Televisión Española [la televisione pubblica]. Non siamo riusciti a portare avanti quelle che esigono la partecipazione del Partito popolare (Pp), come i quattro punti della riforma costituzionale, o il regolamento del Congresso, che logicamente ha bisogno di una maggioranza e di un accordo ampio".
Sa con chi governerà?
"Con l’appoggio del mio partito".
E basta?
"Questo è il mio obiettivo".
Però secondo i sondaggi non avrà la maggioranza assoluta. Non crede che i cittadini abbiano diritto di sapere, prima di andare alle urne, con chi si alleerà?
"Il governo ha collaborato e ha avuto l’appoggio in pratica di tutti i gruppi parlamentari, salvo il Pp, e pertanto qualsiasi accenno a uno scenario di dialogo è prematuro".
È consapevole che i cittadini con redditi medi e medio-bassi sono in competizione con gli immigrati per accedere a servizi la cui qualità si deteriora a vista d’occhio, come ospedali, scuole...?
"La sanità è garantita a tutti gli spagnoli. Abbiamo uno dei migliori sistemi sanitari del mondo, per qualità e per funzionamento. Ha pensioni...".
Con tutto il rispetto, signor presidente, basta farsi un giro in alcuni grandi ospedali per verificare la congestione...
" ... dipende da quali comunità autonome, perché una delle cose che ho fatto in questa tappa è stato trasferire cinque miliardi di euro alle comunità autonome per la sanità..."
Quanti immigrati clandestini ci sono in Spagna?
"Circa 250.000".
Come lo sa? Con questa precisione, intendo...
"Ci sono i mezzi per saperlo. È una stima. E la stima è intorno ai 250.000".
Che cosa pensa di fare con queste persone?
"Nella misura del possibile, rimpatriarle. Non appena abbiamo un immigrante clandestino, lo rimpatriamo..."
Non farà una sanatoria...?
"No, no. Voglio precisare due cose. Quando abbiamo fatto la sanatoria è stata una sanatoria caso per caso. Con contratto di lavoro, con il consenso di imprenditori e sindacati e chiedendo i precedenti penali".
Economia. Il dato sulla disoccupazione registrato a febbraio è pessimo.
"Lo contesto. Anzi, oggi ho qui paio di dati positivi sull’economia spagnola che mi hanno dato stamattina. C’è stato un numero molto alto di contratti a tempo indeterminato. Non mi sembra che se avessimo un clima economico allarmante gli imprenditori continuerebbero a fare contratti, e tanto meno contratti a tempo indeterminato".
Quattro anni fa lei promise una legge sui termini di tempo entro cui poter praticare l’aborto. È una promessa che non ha mantenuto.
"Una sfumatura. Non l’ho mai promesso. Non è mai uscito dalla mia bocca".
È nel suo programma. Pagina 100 del Programma elettorale del 2004: "Riformeremo la legge sul diritto all’interruzione volontaria di gravidanza per adottare un sistema di termini di tempo".
"... non ho ritenuto conveniente modificare la legge".
Centinaia di migliaia, forse milioni di donne saranno deluse.
"Non lo so, non lo so. Io non parlo a nome delle donne. Non parlo a nome loro".
Avrebbe potuto farlo. Disponeva di una maggioranza sufficiente alla Camera.
"Sì, ma non ho ritenuto conveniente farlo e non l’ho fatto. Ritengo conveniente dialogare con il Pp".
Parliamo dei settori integralisti. I vescovi hanno appena eletto presidente il cardinale Rouco Varela, uno degli istigatori di tutte le manifestazioni di piazza contro il suo governo. È un cattivo presagio per i prossimi quattro anni?
"Non facciamo previsioni su quello che succederà. Probabilmente, il fatto che sia stato rieletto presidente della Conferenza episcopale... Per il momento, ha fatto una dichiarazione corretta, il primo giorno, e bisogna dare tempo al tempo".
Questa mattina hanno eletto anche García-Gasco come guardiano dell’ortodossia, che è stato il cardinale che ha detto che lei, con le sue leggi, stava dissolvendo la democrazia.
"È una dichiarazione inaccettabile. Inaccettabile".
Secondo lei è il clima adatto per andare a cena col nunzio apostolico?
"Io sono sempre a favore del dialogo. Sempre".
Tuttavia, ha dichiarato che nella prossima legislatura, se vincerà, metterà i puntini sulle "i" ai vescovi.
"A certi che hanno fatto dichiarazioni, sì".
Che cosa dirà loro?
"Una ragione molto evidente: che devono rispettare le leggi approvate dal Parlamento. Possono non essere d’accordo, ma non possono fare affermazioni come quelle sul fatto che sono una ferita per la democrazia, o che rappresentano un passo indietro per i diritti umani".
Crede che il problema del Kosovo si sia avviato verso la soluzione con l’indipendenza?
"Soluzione no, andrà ad aumentare le tensioni e le difficoltà. La mia posizione sul Kosovo è nota: risponde a esigenze di coerenza, il governo non sosterrà nessuna dichiarazione che non abbia l’appoggio delle Nazioni Unite".
Appoggerebbe l’ingresso del Kosovo nell’Unione Europea?
"No".
Quando ha parlato l’ultima volta con Fidel Castro? "Non ho mai parlato in vita mia con Fidel Castro".
Non ha mai parlato con lui?
"No. Questi sono i paradossi con cui bisogna convivere, no"?
(L’intervista è stata realizzata dal Direttore de El Pais)
(Copyright El Pais-la Repubblica/ Traduzione Fabio Galimberti)
* la Repubbklica, 7 marzo 2008.
"VICERA’ ZAPATERO HA MANTENUTO TUTTE LE PROMESSE"
di Toni Fontana *
Nicolas Sartorius, che ci accoglie nella sede della Fondazione Alternativas «spazio d’incontro dedicato al rinnovamento del pensiero progressista», è stato uno dei protagonisti della transizione spagnola. Nei sei anni trascorsi nelle carceri franchiste ha fondato le Comisiones Obreras, è stato quindi deputato e dirigente della sinistra. Ora scrive commenti e dirige la Fondazione. Sostiene che «Zapatero ha rinnovato la socialdemocrazia, ha posto il cittadino e i suoi diritti al centro dell’azione politica», e parla del «milleurista», il giovane laureato qualificato diventato un protagonista (precario) del «miracolo spagnolo».
Cominciamo con i meriti di Zapatero. Quali sono secondo lei i principali?
«Ha privilegiato il potenziamento dei servizi sociali pubblici, ha approvato la “ley de dependencia” (assistenza a disabili, famiglie con anziani a carico Ndr). Il Pp si schiera per le privatizzazioni nella sanità e nell’educazione. Il governo ha legalizzato 700mila immigranti, il Pp si è opposto e propone un “contratto di integrazione” inaccettabile».
Che stabilisce l’obbligo al rispetto dei “valori spagnoli”.
«Già, ma i valori sono plurali, i miei non sono quelli di Rajoy. Nel contratto saranno specificati i valori di Rajoy o i miei?»
È un’idea di Sarkozy.
«Certo, nel corso delle ultime elezioni Sarkozy ha strizzato l’occhio all’ultradestra, all’elettorato lepenista, e qui in Spagna non è diverso. Non è necessario firmare nessun contratto “integrativo”. La destra vuole aizzare gli immigrati latino-americani contro quelli arabi. Torniamo dunque al punto iniziale: Psoe e Pp presentano progetti opposti su welfare, immigrazione, economia. Ci sono i progressisti di centrosinistra e i conservatori che si sono spostati molto a destra. Rajoy si è avvicinato alla posizioni più retrive dei cardinali cattolici vicini al Papa e Zapatero ha accentuato la laicità dei suoi programmi, ha stabilito che l’insegnamento religioso non conta agli effetti accademici ed è volontario».
Zapatero, nei duelli televisivi, parla di una “Spagna europeista”. Intende “esportare” il suo programma?
«Persegue un progetto socialdemocratico moderno, non tradizionale: più diritti civili ed economici, più libertà per i cittadini. La Spagna sta crescendo ad un ritmo quasi del 4%, un punto e mezzo in più della media europea. Sono stati creati 3 milioni di posti di lavoro, la disoccupazione che era al 11,5% nel 2004 ed ora si attesta al 8,4%, l’eccedenza di bilancio è del 2,3%, il debito è al 38% del Pil, una dei piu’bassi in Europa».
Questo “miracolo” spagnolo si basa anche sul lavoro precario.
«Ci sono diverse chiavi di lettura. In Spagna lavorano 20 milioni di persone, 4 in più rispetto a quando Zapatero vinse le elezioni. Molte donne lavorano, il tasso di occupazione femminile è aumentato enormemente. Gli immigranti sono un fattore di crescita. In Spagna lavorano 4-4,5 milioni di immigrati, il 10% della popolazione. Le chiavi dei rilancio sono: più lavoro per tutti, inserimento degli immigrati, utilizzo con competenza dei fondi europei. La Spagna è il terzo paese del mondo in quanto a reti ferroviarie ad alta velocità, solo Giappone e Usa sono più avanti, la rete di autostrade è aumentata del 30% negli ultimi anni, sono stati potenziati porti e aeroporti. Le imprese spagnole hanno creato importanti multinazionali, il turismo è in crescita».
Insisto sul problema della precarietà. Quali regole sono state fissate in Spagna?
«Il lavoro precario è diffuso. Il negoziato con sindacati e imprenditori si è concluso con la firma di un patto. La precarietà 4 anni fa era al 33% ora è al 28%. Oggi si firmano piu contratti a tempo indeterminato che a termine. I contratti a termine sono tuttavia ancora molto diffusi. La domanda che ci siamo posti in Spagna è questa: è meglio che un giovane lavori e guadagni poco nella fase iniziale del suo inserimento o che non lavori affatto? Abbiamo scelto la prima strada: i giovani lavorano, ottengono un primo impiego ad un salario basso. Abbiamo coniato il termine “milleurista”, ce ne sono molti, sono giovani universitari che finiscono gli studi, hanno spesso due master, ed entrano nelle imprese della “nuova tecnologia” per 1000 euro al mese. Ci sono diverse modalità di contrattazione ovviamente. L’impegno è quello di dare loro una prospettiva».
Il Psoe vincerà le elezioni?
«Penso di sì. Per la prima volta si è approvata una legge per tutelare 3 milioni di lavoratori autonomi, sono stati varati provvedimenti in favore dei più deboli, ogni donna che partorisce un figlio riceve 2500 euro, è stato aumentato il salario minino (da 400 a 600 euro), coloro, soprattutto i giovani, che sono in difficoltà ad affittare una casa ricevono 220 euro al mese. Sono stati affrontati i grandi problemi sociali. La destra ha cercato di strumentalizzare il problema del terrorismo, ma negli ultimi quattro anni vi sono stati meno delitti (4) rispetto al passato. È stato approvato lo statuto di autonomia della Catalogna, ciò ha generato una reazione in una parte della società che teme che “la Spagna si rompa”, ma credo che gli elettori capiranno. Penso che il Psoe vincerà con un margine superiore a 4 anni fa».
* l’Unità, Pubblicato il: 06.03.08, Modificato il: 06.03.08 alle ore 9.40
Il concordato è anticostituzionale.
Intervista a Sergio Lariccia. *
Il governo socialista di Josè Luis Zapatero, dopo aver eliminato molti privilegi fiscali alla Chiesa e i finanziamenti alle scuole cattoliche, studia una revisione del concordato del 1979, nell’ipotesi che si tratti di un accordo incostituzionale. E in Italia? «Sarebbe l’ora di discutere anche da noi l’incostituzionalità del concordato». E’ l’opinione di uno dei massimi esperti di diritto ecclesiastico, il professor Sergio Lariccia.
La costituzione italiana, a differenza della francese, non cita espressamente la laicità come valore supremo.
«E’ vero. Ciò non toglie che la laicità dello Stato sia un requisito fondamentale della democrazia, come ha stabilito una sentenza della Consulta nel 1989. Un ordinamento o è laico o non è democratico. Io non penso sia attuabile in Italia un regime separatista come in Francia, ma pretendo che si rispetti la libertà religiosa, pilastro della democrazia».
In Italia non c’è libertà religiosa?
«No. Non è garantito il principio di laicità delle istituzioni. Non è garantita l’eguale libertà delle confessioni davanti alla legge perché la cattolica è più eguale delle altre. Uno stato di privilegio che viola non soltanto la nostra Costituzione ma perfino il Concilio Vaticano II e la costituzione conciliare Gaudium et Spes. Con la revisione dell’84 che ha accolto in gran parte il Concordato fascista del ‘29 non sono garantite le libertà di religione e verso la religione di moltissimi italiani, credenti e non...».
Tutto deriva dal Concordato?
«Noi continuamo a parlare di rapporto fra stato e chiesa e non "chiese", ora di religione e non "di religioni". Siamo l’ultimo stato confessionale fra le democrazie». (c.m.)
* la Repubblica, 24/10/07.
Alla cerimonia in San Pietro ha partecipato anche una delegazione del governo di Madrid
Il cardinale Saraiva ammonisce: "Non accontentiamoci di un cristianesimo vissuto timidamente"
Beatificati 498 martiri spagnoli
"Difendiamo la nostra identità"
I nuovi beati sono stati uccisi tra il 1934 e il ’37. Il Papa: "Il loro numero dimostra
che la suprema testimonianza del sangue non è un’eccezione riservata soltanto ad alcuni" *
CITTA’ DEL VATICANO - Circa 40.000 persone hanno seguito in piazza San Pietro la cerimonia per la beatificazione di 498 martiri spagnoli uccisi negli anni 1934, ’36 e ’37. A presiedere il rito il cardinale Josè Saraiva Martins, delegato dal Papa, che ha celebrato in spagnolo. In Piazza San Pietro anche una delegazione del governo guidata dal ministro degli Esteri Miguel Angel Moratinos accompagnato dall’ambasciatore di Madrid presso la Santa Sede, Francisco Vazquez e dal direttore generale degli Affari religiosi, Mercedes Rico.
Ancora, tra i presenti i rappresentati di alcuni governi autonomi della Spagna in base alla provenienza dei martiri, tra gli altri quello di Catalogna: 146 dei martiri infatti sono stati uccisi nell’arcidiocesi di Barcellona.
I martiri caduti durante la Guerra civile spagnola dal 1934 al 1937, ha detto il cardinale Saraiva, si sono "comportati da buoni cristiani e hanno offerto la loro vita gridando: viva Cristo re". Tra i martiri elevati oggi alla gloria degli altari ci sono persone che vanno dai 16 ai 78 anni; si tratta di preti, monache e religiose ma anche di laici. "Tutti - ha ricordato il Prefetto della Congregazione per le cause dei santi - sono chiamati alla santità, tutti senza eccezioni come ha dichiarato il Concilio Vaticano II".
Ma il cardinale ha anche fatto qualche riferimento all’attualità spiegando che "non possiamo accontentarci di un cristianesimo vissuto timidamente". Nel discorso, il cardinale ha citato più volte l’insegnamento di Benedetto XVI e in particolare ha ricordato che "essere cristiani coerenti impone di non inibirsi di fronte al dovere di dare il proprio contributo mal bene comune e di modellare la società sempre secondo giustizia, difendendo, in un dialogo forgiato dalla carità, le nostre convinzioni sulla dignità della persona, sulla vita, dal concepimento fino alla morte naturale, sulla famiglia fondata sull’unione matrimoniale unice e indissolubile tra un uomo e una donna e sul dovere primario dei genitori all’educazione dei figli".
I nuovi beati spagnoli sono stati ricordati successivamente anche dal Papa durante la celebrazione dell’Angelus: "I 498 martiri uccisi in Spagna negli anni ’30 del secolo scorso sono uomini e donne diversi per età vocazione e condizione sociale, che hanno pagato con la vita la loro fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa", ha detto Benedetto XVI.
"La contemporanea iscrizione nell’albo dei beati di un così gran numero di martiri - ha affermato ancora il Pontefice - dimostra che la suprema testimonianza del sangue non è un’eccezione riservata soltanto ad alcuni individui, ma un’eventualità realistica per l’intero Popolo cristiano".
* la Repubblica, 28 ottobre 2007.
Benedetto XVI non si ferma: beatificazione per 498 franchisti *
Come preannunciato e nonostante le polemiche, domenica la Chiesa Cattolica beatifica tutti insieme 498 martiri franchisti.
La cerimonia, che si terrà domenica in piazza San Pietro, farà salire a 977 i martiri spagnoli riconosciuti dalla Chiesa, dei quali 11 sono già santi. «Di altri 2 mila sono in corso i processi di beatificazione e altri se ne apriranno, perchè furono circa 10 mila i martiri della Spagna in quell’epoca», ha affermato padre Juan Antonio Martinez Camino, segretario dell’Episcopato spagnolo.
* l’Unità, Pubblicato il: 27.10.07, Modificato il: 27.10.07 alle ore 21.05
Sull’argomento, prima di leggere l’intervento allegato di Lorenzo Mondo, si cfr.:
LA MEMORIA PER DECRETO IMPERIALE di Barbara Spinelli (fls)
Solo pietà per i martiri di Spagna
di LORENZO MONDO (La Stampa, 28.10.2007)
Oggi in piazza San Pietro saranno beatificati 498 spagnoli - uomini e donne, religiosi e laici - assassinati durante la guerra civile. Rappresentano soltanto lo spicchio di una persecuzione antireligiosa che, a partire dalla rivolta delle Asturie del 1934, esplode nell’estate del ‘36 provocando almeno 7 mila morti: l’elenco comprende 13 vescovi, oltre 4 mila parroci e seminaristi, più di 2.300 religiosi e 283 suore, uccisi spesso dopo atroci torture. In un solo giorno, tra l’altro, furono incendiate 50 chiese e conventi, con perdite irreparabili per il patrimonio artistico. L’eccidio nefando, che trova precedenti forse nella sola Unione Sovietica, induce a ricordare un evento che - contrapponendo i «rossi» ai nazionalisti, un governo formalmente democratico al «golpe» di Franco - ha lacerato la coscienza dell’Europa. Tanto più che il governo Zapatero sta approvando una legge sulla «memoria storica» che intende onorare le vittime repubblicane, annullando i processi franchisti e dando nome agli scomparsi nelle fosse comuni.
Una prima osservazione da fare è che ciascuno ha il diritto di disseppellire i suoi morti senza ricorrere a contingenti strumentalizzazioni politiche. Di questo non sembra oggi imputabile la Chiesa. Per impulso di Giovanni Paolo II erano già stati beatificati 479 spagnoli, proclamati martiri in odium fidei, con procedimenti avviati ben prima che la sinistra di Zapatero conquistasse il potere. Quanto al resto, prescindendo dalle stragi di innocenti, le responsabilità (comprese quelle di parte ecclesiastica) nel conflitto sono ormai accertate dagli storici più sereni, come i condizionamenti imposti alle parti in lotta dal furore ideologico che ha contrassegnato il secolo dei totalitarismi. Tutto è stato scritto, sull’acuto disagio di una Spagna arretrata, sulle pulsioni deliranti innescate dalla Rivoluzione d’Ottobre e dal «nuovo ordine» fascista. E la conta dei rispettivi massacri può valere come testimonianza di pietà per i morti e riscatto per gli uomini di buona fede che si siano sottratti all’ignominia: non come celebrazione di una pagina buia della storia di cui nessuno può onestamente gloriarsi. La Spagna odierna e l’Europa non hanno bisogno di coltivare il mito divaricato di una guerra fratricida e insensata.
Benedetto XVI beatificherà 500 franchisti
La chiesa spagnola ha nostalgia del fascismo, e il Vaticano le dà corda, accogliendo la decisione di beatificare quasi 500 fascisti spagnoli. Sono religiosi e laici che secondo i vescovi sono stati perseguitati durante la Repubblica e che vengono ora beatificati per rispondere ai tentativi del governo Zapatero di rifare i conti con il passato spagnolo. È una vera e propria battaglia a colpi di memoria, quella tra il Governo e la Chiesa spagnola. Da una lato, quindi, l’esecutivo guidato da Zapatero che si prepara a varare una legge in cui il franchismo venga finalmente condannato e in cui si dichiari l’illegittimità di ogni suo “strascico”, come ad esempio le sentenze emesse dai tribunali duranti il regime. Dall’altra invece la Chiesa spagnola che si prepara al 28 ottobre data in cui ha deciso di beatificare 498, tra religiosi e civili, «martiri della Repubblica». Racconta la vicenda El Pais, quotidiano progressista iberico.
Tra venti giorni, dunque, papa Benedetto XVI celebrerà la funzione in piazza San Pietro: mai prima d’ora si era verificata una beatificazione così numerosa, e il numero dei beati potrebbe anche salire. La Conferenza episcopale spagnola calcola che il numero di religiosi e laici, che sarebbero stati perseguitati e uccisi durante la guerra civile (1936-1939) che portò alla fine della Repubblica e all’avvento della dittatura del generale Francisco Franco, potrebbe oscillare tra i duemila e i diecimila. Numerosissimo anche il pubblico di pellegrini che la Chiesa prevede parteciperà alla funzione. «Piazza San Pietro - dicono dalla Cei iberica - non sembrerà vuota. Sarà una grande festa, perché grande è la pagina di storia che rappresenta». Non c’è dubbio.
«Nessuna megalomania» ribadiscono dal Vaticano, ma una risposta alla legge sulla Memoria Storica voluta dal governo. Il portavoce dei vescovi spagnoli, Martínez Camino, ci tiene a sottolineare la «persecuzione religiosa durante la Repubblica» subita dai futuri beati: «Non un caso isolato - insiste Camino - ma rientra nella grande persecuzione subita nel corso del XX secolo in Europa dai cristiani di tutte le confessioni». La cerimonia a Roma, conclude il portavoce «aiuterà l’opinione pubblica italiana conoscere una pagina incompresa della storia della Chiesa spagnola».
L’iniziativa dei vescovi iberici, è un nuovo capitolo della «memoria è rimasta in frigorifero» come l’ha definita su Le Monde Diplomatique lo scrittore Josè Manuel Fajardo: la democrazia spagnola rinata con la fine del franchismo «per evitare atti di violenza e di vendetta» avrebbe scartato «qualsiasi ipotesi di messa sotto accusa di coloro che avevano partecipato alla dittatura e ai suoi crimini». In questo senso, la legge sulla memoria servirà a «ridare dignità alle vittime tramite iniziative come la dichiarazione di nullità dei processi franchisti e l’esumazione dei cadaveri dei repubblicani sotterrati anonimamente in fosse comuni». Ma sta scatenando accese polemiche nella politica spagnola: per la sinistra è troppo timida, mentre la destra continua a boicottarla.
* l’Unità, Pubblicato il: 06.10.07, Modificato il: 08.10.07 alle ore 13.54
Sul doppio cognome Pera sbaglia
di CHIARA SARACENO (La Stampa, 4/6/2007)
Non basta evidentemente essere stati la seconda carica dello Stato per non confondere i propri desideri di uomo impaurito dalla pur parziale emancipazione femminile con le norme che regolano i rapporti tra i coniugi e la famiglia. Qualcuno dovrebbe informare Marcello Pera che, contrariamente a quanto da lui sostenuto su questo giornale, in Italia le donne sposandosi non perdono il proprio cognome, ma aggiungono al proprio quello del marito. E sia professionalmente che da un punto di vista amministrativo è il loro cognome da nubili quello che conta. Perciò in famiglia ci sono già due cognomi, anche se «il cognome di famiglia» è solo quello del marito. Pera dovrebbe anche venire informato che in Italia, come in tutti i Paesi occidentali, dal punto di vista legale non esiste un privilegio della linea maschile su quella femminile. E a livello sociale e culturale si trovano sia situazioni in cui prevalgono i rapporti con «quelli di lei» sia altre in cui invece prevalgono i rapporti con «quelli di lui», a prescindere dal cognome.
Lo stesso uso del cognome e la sua trasmissione da una generazione all’altra si è stabilizzato in età moderna per motivi prevalentemente amministrativi e ha conosciuto vicende diverse nei vari Paesi. In alcuni, ad esempio in Spagna, la trasmissione del doppio cognome - materno e paterno - è antichissima e rimane tuttora. Nel passato era un uso rinvenibile anche in alcune zone della Sardegna. In entrambi i casi, certamente non per qualche intervento diabolico dei laicisti, che ormai sembrano aver sostituito i comunisti nel ruolo di mangiabambini nell’immaginario teodem e teocon. E senza che ciò provocasse particolari indebolimenti all’istituto familiare e alle singole famiglie. Gli unici che sperimentano dei problemi, là dove è in uso il doppio cognome, sono gli studiosi, in particolare gli storici, perché è più difficile rintracciare le persone appartenenti a una stessa discendenza da una generazione all’altra. Ma è un problema che si pone sempre anche nel caso del cognome unico, nella misura in cui si perde il filo della continuità con la discendenza per via materna.
La cosa buffa è che Pera, per sostenere l’impossibilità etica (addirittura!) di attribuzione di un doppio cognome, abusa di riferimenti alla natura e di metafore naturalistiche. Ma se dovessimo tenerci alla natura, allora non ci sarebbe partita: solo la continuità con la madre è autoevidente («mater semper certa est, pater incertus») e il ruolo della madre nella riproduzione è di gran lunga maggiore di quello del padre. È così vero che gli storici hanno osservato che il matrimonio è stata l’istituzione per eccellenza della paternità, nel senso che tramite esso l’uomo si appropria (si appropriava) dei figli che la donna mette al mondo, dato che non ha (non aveva) altro modo per avere accesso alla generazione, in senso sociale e non solo biologico. Ma anche questo è cambiato, anche nel nostro Paese, prima che per lo sviluppo tecnologico (esame del Dna) per le modifiche di legge, che hanno consentito anche a chi è sposato di riconoscere un figlio avuto con un’altra persona. Inoltre, il fenomeno del divorzio e dei nuovi matrimoni cui apre ha dato luogo già ora a famiglie in cui i diversi componenti hanno cognomi diversi. Anzi, se i figli avessero anche il cognome della madre avrebbero qualche problema di identificazione di sé e di collocazione nello spazio sociale in meno, perché avrebbero sempre anche il cognome del genitore con cui vivono, padre o madre che sia.
La trasmissione del solo cognome paterno è un residuo simbolico di quell’atto di appropriazione unilaterale che cancella la dualità - non solo biologica, ma sociale - della generazione e delle lunghe catene generazionali. Trasmettere anche il cognome materno è anch’esso un atto simbolico, di segno opposto: mantiene aperta e rende esplicita la dualità come garanzia della continuità nel tempo e come radice che si rinnova ogni generazione. Si può non essere d’accordo, o non ritenerla una priorità; ma, per favore, evitiamo di evocare i soliti foschi scenari di attacco alla famiglia.