Fratel Cosimo |
Sito ufficiale: Santuario Nostra Signora dello Scoglio.
LE APPARIZIONI DELLA MADONNA DELLO SCOGLIO A FRATEL COSIMO A PLACANICA IN CALABRIA NEL 1968
di René Laurentin *
Eccomi qui all’estrema punta dello stivale italiano. Vi sono sbarcato il 10 novembre del 2002, alle ventidue e trenta, all’aeroporto più vicino, quello di Lamezia, di fronte alla Sicilia e all’Etna, divenuto rosso fuoco a causa dell’eruzione. Abbiamo attraversato l’estremità dello stivale, dal mar Tirreno al mar Jonio. A mezzanotte e mezza, eccoci a Caulonia, dove passiamo la notte. Malgrado l’ora tarda, l’albergatrice ci accoglie con ogni gentilezza e calore. Al mattino, scopro, sotto il sole, l’azzurro intenso del mare a poca distanza.
Che cosa sono venuto a fare in questa parte meridionale d’Europa, vicino all’Algeria? Mi ci hanno portato i miei amici svizzeri, Marlène ed Alfred Reichmuth. Il loro primo viaggio a Placanica, da Fratel Cosimo, è stato per loro una luce del Signore che ha cambiato la loro vita, le loro relazioni, le loro preoccupazioni e il loro tempo libero. In 17 mesi, è la settima volta che ci vengono. Fratel Cosimo desiderava vedermi. Sono più conosciuto in Italia che in Francia, anche per quanto riguarda le apparizioni. I miei amici mi hanno convinto a venire.
Al mattino riprendiamo la macchina rossa presa a noleggio, costeggiamo prima il mar Jonio e poi ci inoltriamo sulle colline. Intravediamo subito il castello che sovrasta Placanica, il paese di Fratel Cosimo. Poi, sulle strade tortuose che ricordano La Salette, ma ad una altitudine minore (300 metri, anziché i 2700 di La Salette). Inerpicandoci sugli ultimi tornanti, intravediamo il luogo del pellegrinaggio che è in costruzione: le arcate sostengono la parte alta della collina, scavata per allargare la spianata che riceve i pellegrini, divenuta ormai troppo piccola.
Ed eccoci allo Scoglio: la roccia attigua alla casa natale di Fratel Cosimo. È stato questo il luogo delle apparizioni. I pellegrini vengono a baciarla, come viene baciata la roccia della grotta di Lourdes, seguendo l’esempio di Bernadette che era stata invitata dalla Vergine a baciare la terra: un gesto che aveva scandalizzato i sapienti, così come scandalizza l’intellighenzia di oggi. A volo d’uccello, ci troviamo a 4 chilometri da Placanica. Fratel Cosimo però deve fare 7 chilometri per andare a messa la domenica, attraverso strade tortuose e accidentate.
È li che ci aspetta: una figura esile, una persona semplice, tutto accoglienza e limpidezza, che irradia la trasparenza di Dio e della Vergine Maria. Non è più nella brillante forma dei suoi 40 anni, viso levigato e folta capigliatura; sta diventando grigio ed ha 52 anni. Questi suoi anni e la sua umiltà lo hanno leggermente curvato.
Fratel Cosimo è nato il 27 gennaio 1950. È stato portato al fonte battesimale soltanto nel mese di maggio, attraverso le strade a zig-zag che conducono alla Chiesa di Placanica. Qui, ha frequentato la scuola, distante dal paese più di un’ora per andare e altrettanto per ritornare. Essendo suo padre invalido di guerra, ha dovuto terminare la scuola dopo la prima media, verso l’età di 11 anni. È diventato pastore di capre e di buoi e ha cominciato a lavorare i campi a 14 anni. Viveva la vita contadina, solitaria e laboriosa che ha preceduto la motorizzazione, lontano da tutto ciò che esiste sotto il cielo, senza grazie mistiche particolari. Ecco che, a 18 anni, come accade a dei cristiani, magari anche poco cristiani, è stato visitato. Dopo ogni luminosa apparizione di Nostra Signora, della Madonna, come si dice con fervore in Italia, ha messo subito per iscritto la sua relazione, consegnando di volta in volta una copia al parroco di Placanica, don Rocco Gregorace, che è deceduto da oltre dieci anni. Fratel Cosimo ha però conservato gelosamente gli scritti riguardanti le prime apparizioni.
I testi che seguono sono originali di Fratel Cosimo.
Santuario |
Prima apparizione
Era il maggio 1968, l’epoca in cui le grandi cristianità d’Europa e d’America venivano sconvolte da una rivoluzione di nuovo tipo. Era un vento libertario di sogni, di eros e di barricate sulla tomba dei divieti che fece tremare de Gaulle, la Francia e la Chiesa. Quella rivoluzione disintegrò, in qualche mese, tanti seminari e tante opere fiorenti.
Cosimo Fragomeni era molto lontano da tutto questo, ma la Vergine gli apparirà, triste, sebbene senza lacrime, diversamente da La Salette. Ecco dunque il suo racconto fino ad oggi inedito. Il giorno 11 Maggio dell’anno 1968, poco prima dell’imbrunire, stavo rientrando a casa dal lavoro dei campi e portavo sulla spalla un fascio d’erba per gli animali. Mentre passavo, proprio dirimpetto allo Scoglio, mi sono visto improvvisamente abbagliato da una grande luce. Mi sono fermato, ho alzato la testa per vedere cosa era successo, ma non ho visto nulla. Appena mi sono rimesso a camminare, come se qualcuno mi dicesse di guardare verso lo Scoglio, guardai e mi sono visto davanti agli occhi, proprio sulla sommità dello Scoglio, una dolce figura di una giovane donna, di carnagione scura, sui 18 anni di età, con i capelli lunghi di colore castano scuro. Era scalza, con le mani giunte, tutt’attorno circonfusa da un alone di fulgidíssima luce e dietro le spalle si vedeva come un sole luminoso, dai lunghi raggi dorati. Indossava un vestito bianco come la neve, una cintura e un manto azzurro, un velo bianco trasparente in testa, cosparso di stelle e al polso un luccicante rosario di perle. In quel momento ho sentito come un brivido attraversare il mio corpo, fui preso da un forte senso di paura e stavo per scappare. Ho pensato infatti si trattasse di qualche spirito, anche se dall’aspetto sembrava la Madonna. Il racconto è limpido come quello di Bernadette e ha le stesse caratteristiche: la luce precede l’apparizione e la circonda. Un timore reverenziale invade il contadino di 18 anni che non ha frequentato molto la scuola, ma, con l’intelligenza intuitiva e la cultura umana della gente della terra, si esprime con termini appropriati. Descrive l’apparizione con delle parole scelte: carnagione, luccicanti, fulgidissima che non sono nel mio piccolo Vocabolario. Continua: La giovane donna, dall’alto dello Scoglio, fece un inchino con la testa, distolse le mani e mi fece cenno di non scappare, dicendomi con voce amabile e scandendo le parole piano piano: "Non avere paura, vengo dal Paradiso, io sono la Vergine Immacolata, la madre del Figlio di Dio. Sono venuta a chiederti di costruire qui una cappella in mio onore. Io ho scelto questo luogo, qui voglio stabilire la mia dimora e desidero che da ogni paese si venga qui a pregare". Appena terminò di parlare, congiunse di nuovo le mani, fece un inchino con la testa, alzò gli occhi al cielo, si staccò dallo Scoglio e subito scomparve nell’aria. Subito dopo mi sono sentito come sconvolto, profondamente turbato, assalito dal dubbio se era veramente la Madonna oppure no. Sono rimasto ancora un attimo ai piedi della grande siepe presso lo Scoglio e poi rientrai subito a casa. Arrivato a casa, ho preso immediatamente carta e penna e ho messo per iscritto, per non dimenticare, le parole che avevo appena udito dalla giovane donna.
Seconda apparizione La mattina del 12 Maggio del 1968, appena mi sono alzato, andai allo Scoglio, pregai un po’, ma non vidi nulla.
A tarda sera, quando stava quasi facendosi buio, mi sono sentito come spinto da un forte impulso interiore di ritornare allo Scoglio.
Appena giunto sotto la grande siepe dirimpetto allo Scoglio, alzai gli occhi per guardare verso lo Scoglio, quando improvvisamente mi vidi abbagliato da una luce accecante.
Lo Scoglio brillava come se fosse in pieno giorno. Dall’alto scendeva un faro di luce, proiettando i suoi raggi sullo Scoglio e, in quella meravigliosa luce, di colpo apparve la giovane donna.
Appena l’ho vista è stato come se mi venissero meno le gambe: sono caduto in ginocchio e, con voce tremante, le dissi: "Se siete la Madonna, aiutatemi". Essa, inchinando il capo, mi rispose: "Ti aiuterò, ma non ti mancheranno tribolazioni e sofferenze. Non ti scoraggiare, io sarò con te e ti sosterrò con la mia mano. Il Signore vuole farti strumento del Suo amore, per la salvezza delle anime".
Detto questo, mi sorrise, guardò il cielo, chinò il capo e scomparve in un istante.
Quella sera non ebbi paura; una grande gioia e pace invase il mio cuore; ritornai a casa contento e presi subito a scrivere le parole che la Santa Vergine mi aveva detto.
Terza apparizione Il giorno 13 Maggio 1968, durante la giornata, più volte andai allo Scoglio a pregare e, mentre pregavo ai piedi dello Scoglio, avvertivo un intenso profumo di fiori.
Giunta la sera, sempre più o meno allo stesso orario della sera precedente, ho avvertito come una forza misteriosa che mi attirava di andare di nuovo allo Scoglio.
Sono andato, mi sono messo in ginocchio e ho incominciato a recitare l’Ave Maria, guardando in cima allo Scoglio; ad un tratto ho visto come se il cielo si aprisse. Un fascio di luce scese sullo Scoglio e, in quel fascio di luce, apparve la Santa Vergine.
Io Le chiesi: "Vergine Santa, ditemi cosa volete che io faccia per Voi". Essa, inchinando leggermente il capo, mi disse: "Ti chiedo il favore di trasformare questa valle". L’interlocutrice parla a Cosimo con deferenza, come parlava a Bernadette, il 18 febbraio 1858, implorandola di "avere la bontà" di venire...
Ella continua:
"Qui desidero un grande centro di spiritualità, dove le anime troveranno pace e ristoro. In questo luogo, Dio vuole aprire una finestra verso il cielo. Qui, per la mia mediazione, vuole manifestare la Sua misericordia".
Finito di dire queste parole, la Santa Vergine rimase per un breve momento in silenzio e poi, sorridendomi dolcemente, scomparve subito.
Dopo mi sono alzato in fretta e andai a casa per mettere a nota quanto mi era stato comunicato dalla Santa Vergine.
Quarta apparizione Il giorno 14 Maggio 1968, come il giorno prima, nell’arco della giornata mi recai allo Scoglio a pregare. Avvertivo ancora una volta il solito profumo di fiori.
La sera, dopo un bel po’ che si era fatto buio, di nuovo ho sentito dentro di me come un richiamo di ritornare allo Scoglio.
Come arrivato, mi sono messo in ginocchio e incominciai a pregare. Dal cielo ho visto venire giù il fascio di luce e, nello stesso momento, sullo Scoglio apparve, in mezzo a tanto splendore, la Santa Vergine.
Fece il solito inchino con la testa e poi incominciò a parlare, dicendomi con voce accorata: "Se gli uomini si convertiranno, si pentiranno dei loro peccati, si confesseranno, si avvicineranno a Dio e lo ameranno con tutto il cuore, Dio si avvicinerà a loro e li accoglierà nella Sua casa".
La Madonna, nel pronunciare queste parole, divenne triste nel volto, rimase qualche minuto in silenzio e poi prese dal braccio la luccicante corona del Rosario. Allungando la mano nella mia direzione, mi disse: "Ecco il mio Rosario, esso sia la tua preghiera quotidiana, offrilo al mio cuore immacolato per la conversione del mondo, il trionfo del Regno di Dio, la pace delle nazioni e la salvezza dell’umanità".
Dette queste parole, ricongiunse lentamente le mani, rimase un po’ come assorta in preghiera, poi abbassò il capo, mi sorrise con tanta dolcezza e, subito dopo, disparve, lasciando un delizioso profumo.
Quasi di corsa sono tornato a casa, ho preso la penna e ho scritto anche questa volta tutto ciò che la Madonna mi aveva riferito.
La cappella Dopo circa tre anni dalla data della prima apparizione della Madonna, col contributo dei fedeli è stata edificata una cappella accanto allo Scoglio e successivamente, nella primavera del 1976, venne cercato un pittore che eseguisse l’immagine della Madonna secondo l’apparizione da me avuta.
Non essendo riuscito a trovare un pittore professionista, mi è stata indicata una persona di Caulonia, un certo Ilario Tarsitani, che per hobby si dedicava anche alla pittura.
Appena l’ho contattato, egli si è subito reso disponibile e ha cominciato ad eseguire l’immagine secondo le mie indicazioni.
Saltuariamente mi recavo a casa sua per seguire il lavoro, ma il pittore, mentre dipingeva, arrivato vicino al collo, gli si bloccava la mano. Non riuscendo ad andare avanti, decise di prendere un’altra tela e ricominciare daccapo.
Anche con la seconda immagine, quando arrivò vicino al collo, si verificò lo stesso fatto, per cui decise di abbandonare anche quella e ricominciare su un’altra tela.
Con la terza immagine, il pittore, quando arrivò vicino al collo, si bloccò nuovamente e, quando sono tornato a casa sua, mi accompagnò nel laboratorio, mi disse scoraggiato:
"Ditemi voi cosa devo fare, poiché neanche questa volta riesco a completarla".
Io, non sapendo cosa rispondere, gli dissi:
"Non vi preoccupate, che la Madonna ci penserà" e me ne sono andato, dicendogli che sarei ritornato il giorno dopo.
La sera successiva, arrivato a casa sua, egli è venuto ad aprirmi e, con le lacrime agli occhi, mi prese dal braccio e mi condusse verso il laboratorio, dicendomi:
"Venite a vedere cosa è successo". Siamo arrivati davanti all’immagine e, con grande stupore, ho visto che era stata completata anche sul viso e gli ho detto:
"L’avete già completata?".
Egli, pieno di commozione, mi rispose:
"Io non ho fatto niente, si è fatta da sola durante la notte. Oggi ero venuto di buon mattino per finire il lavoro e, con grande sorpresa, ho visto l’immagine già completa".
Ha aggiunto: "Ora devo solo dipingere i piedi e fare qualche altro ritocco".
Ma io gli risposi:
"Non mettete più mano, lasciatela così com’è".
Il giorno dopo mi sono recato da lui con un amico per prendere l’immagine e l’abbiamo trasportata a casa mia con un motocarro e, dopo qualche giorno, l’abbiamo sistemata nella cappella.
Dopo che è stata messa a posto, mi sono accorto che, spostandomi da una parte all’altra della cappella, gli occhi della Madonna mi seguivano, come se si trattasse di una persona vivente, e questo fatto viene continuamente constatato anche da numerosi pellegrini.
Durante la mia infanzia rimanevo sempre colpito dal bellissimo ritratto di mia zia Pilet, che troneggiava nella grande sala troglodita di mio nonno a Rochecorbon, e dal suo sguardo che ci seguiva dagli angoli più lontani, di destra e di sinistra. Questo ci affascinava. Quando un pittore dipinge uno sguardo vivo che guarda davanti a sé, quello sguardo sembra che guardi fisso chiunque.
I dipinti "miracolosi" di cui si parla, non sono, in generale, dei capolavori da esposizione: l’immagine è fedele a ciò che Fratel Cosimo ha visto, senza eguagliare ciò che ha visto. Egli sa bene che l’apparizione è ineffabile e che non si può "fare come era", secondo la formula di Bernadette.
La Sorgente Fratel Cosimo così prosegue. Molto prima che iniziassero i lavori di ampliamento del piazzale, una mattina, mentre ancora mi trovavo a casa, ho avuto una visione: ho visto, in un lato del terreno che si trova davanti alla Chiesa, sgorgare una sorgente d’acqua e poi una folla di pellegrini che andava ad attingere quell’acqua.
Tra essi c’erano molti ammalati e alcuni di essi avevano delle piaghe sulle gambe e, appena si avvicinavano alla sorgente, prendevano l’acqua, la bevevano e se la buttavano addosso e alcuni di essi guarivano dai loro mali.
Ma io, pensando che potesse trattarsi di un inganno diabolico, non ci ho fatto caso.
Poi, mentre erano in corso i lavori di ampliamento della piazza, nel mese di Settembre del 2001, ho avuto di nuovo la stessa visione: l’acqua che sgorgava allo stesso punto di prima, la moltitudine di persone che andava ad attingere quell’acqua, la beveva e se la versava addosso e alcuni malati che guarivano.
Dopo questa seconda visione, ho cominciato a riflettere se essa era veramente un messaggio del Signore, o un inganno del maligno.
Il dubbio mi assillava continuamente, sicché, durante la Messa del primo sabato di Ottobre del 2001, al momento dell’elevazione, chiesi un segno di conferma alla Madonna, dicendoLe: "Madonna mia, se le visioni che ho avuto provengono da Te e in quel punto c’è veramente l’acqua, dammi un segno di conferma".
Dal momento che mi rivolsi alla Madonna, sentii immediatamente una pace nel cuore e scomparve da me ogni tormento.
Finita la Messa, mentre mi trovavo sul sagrato, ho sentito lo scroscio di una cascata d’acqua che proveniva da quel punto e mi sono improvvisamente girato e contemporaneamente, prima ancora che io parlassi, una persona che era accanto a me, Rosa Bolognino, ha esclamato: "Fratel Cosimo, e ora quest’acqua da dove viene?".
Io le ho detto di fare silenzio, aggiungendo che quello era un segno che io avevo chiesto alla Madonna.
Siamo quindi andati verso quel punto e abbiamo constatato che non c’era nemmeno una goccia d’acqua.
Da quel momento ho avuto la certezza che le visioni provenivano dalla Madonna e quindi mi sono preoccupato di fare eseguire il lavoro di scavo alla ricerca dell’acqua.
Dopo alcune interruzioni, a causa dei lavori di ampliamento del piazzale, finalmente il giorno 28 Ottobre 2002, alle ore 10, è sgorgata improvvisamente l’acqua e gli operai, meravigliati, hanno esclamato: "Dobbiamo avvisare subito Fratel Cosimo" e una persona che si trovava nel piazzale, Gisa Iannopollo, è corsa a casa mia per chiamarmi.
Io, appena giunto vicino all’acqua, mi sono inginocchiato facendomi il segno della croce, ho preso l’acqua che era ancora torbida, l’ho bevuta e me la sono versata addosso, come ho visto fare ai pellegrini nella visione, e ho ringraziato Dio e la Madonna.
Ecco la relazione inedita di Fratel Cosimo. Me l’ha fatta leggere, sull’autografo originale, dall’avvocato della sua Fondazione, Ferdinando Zappavigna. Sua figlia, Carmen, studentessa in legge, l’ha con molta cura dattiloscritta il giorno stesso.
Io non voglio essere che l’eco della sua trasparente testimonianza. Mi si raccomanda di essere prudente, di non anticipare il giudizio della Chiesa, e di questo ne tengo conto. Espongo, dunque, i fatti. Non vedo affatto l’utilità di complicare il racconto con le continue perifrasi quali: "al veggente è parso di vedere", "la presunta apparizione", ecc. Le riserve sono ovvie. Io non garantisco niente, non impongo niente. Mi sforzo di essere una fedele eco e lascio a ognuno il suo libero giudizio, secondo la propria ottica e la propria grazia. La Chiesa è uno spazio di libertà, sempre che se ne rispetti l’ordine e l’armonia. Per adesso il vescovo osserva con prudenza, simpatia e comprensione, ma senza giudicare, né impegnarsi, vigila e canalizza i buoni frutti, secondo la missione data al successore degli apostoli di essere il fondamento visibile della fede: sostegno incoraggiante e non gendarme repressivo, come propone la nota del Cardinale Seper sui criteri delle apparizioni (25 febbraio 1978), con ogni vigilanza e apertura di cuore.
Nella libertà cristiana della fede, ognuno può porsi delle domande sul carisma che è sorto a Placanica. Nelle ultime apparizioni riconosciute dalla Chiesa, la Vergine non porta sempre lo stesso abito: a Guadalupe (Messico), a La Salette usa uno stile strano che sorprende, come si è detto, a Lourdes o a Fatima; né la stessa statura, la stessa età, lo stesso colorito. Ella si adatta al tempo, al luogo, al veggente. Era molto bassa per la piccola Bernadette, più alta per Fratel Cosimo. Ciascuno può trovare da ridire su queste varianti, ma lei sa farsi riconoscere. Si può venire colpiti dai vari accostamenti: la Vergine è "triste" per lo stato del mondo, come a Lourdes, ma senza lacrime come a La Salette. Si rivolge a Fratel Cosimo con deferenza, gli chiede "il favore" di trasformare questa vallata, come a Bernadette di "avere la bontà" di andare a Massabielle "per 15 giorni".
Appare dentro una luce che la precede e la luce sparisce dietro a lei, come a Lourdes e in molte altre apparizioni. Si possono vedere qui i segni positivi, segni di riconoscimento, una specie di codice dell’apparizione per farsi riconoscere.
Segnalo questi indizi senza farne delle prove. Sarà lo stesso per i frutti. Io li espongo onestamente, come si presentano, senza farne un verbale ufficiale e senza farmene il garante, ruolo che troppo spesso mi si vuole attribuire. Se noto degli accostamenti sorprendenti con Bernadette, senza soffermarmi sulle differenze, mi guarderò bene dal dire, come talvolta si fa in casi simili, che si tratta di una nuova Lourdes. Lourdes è un avvenimento significativo e permanente della Chiesa. Non tutti i paragoni reggono, infatti "somiglianza non è uguaglianza".
L’infanzia Dopo questa lettura, ho chiesto a Fratel Cosimo della sua infanzia trascorsa in questo luogo isolato, dove l’apparizione ha radicalmente trasformato la sua vita. La preghiera è diventata per lui una seconda natura. Mi ha permesso di interrogarlo a lungo e liberamente, ma senza autorizzarmi a registrare. L’ho interrogato sulla sua vita di preghiera. La chiesa è troppo lontana perché possa andare tutti i giorni alla messa; ma prega a lungo, al mattino e ancora di più la sera, fino verso mezzanotte e si alza alle otto.
È divenuto terziario francescano il 17 gennaio 1987.
Seguito delle apparizioni Gli incontri con la Vergine sono continuati per circa 10 anni, quasi sempre a distanza di un mese l’uno dall’altro. Ogni volta li trascriveva immediatamente e li consegnava al suo Parroco e alcuni di essi sono stati pubblicati. Alla morte del parroco, non si sono ritrovati tutti i fogli. Questa parte rimarrà, dunque, sempre incompleta. La vita e la preghiera si sviluppano intorno allo Scoglio in una atmosfera di gioia e di pace, di comunione e di fiducia, con frutti spirituali, conversioni e guarigioni.
Renè Laurentin
Tratto dal periodico mensile “Il Segno” Anno XV n. 179 - Maggio 2003
CONVERSIONI E GUARIGIONI
Lavorava la terra e aveva solo 18 anni quando vide la Vergine sulla cavità rocciosa vicina al suo podere natale. Era il maggio del’68, un’ora difficile per la Chiesa e per il mondo. Ecco quanto è accaduto da allora.
Le apparizioni della Madonna, molto amata in Italia, hanno gradualmente attirato i visitatori che hanno beneficiato di grazie, conversioni e guarigioni. Il pellegrinaggio è nato piano piano dalle voci che circolavano. È partito senza un vero programma, sotto tutti i profili, ma non in modo anarchico.
Fratel Cosimo, da buon coltivatore, sa coltivare anche la grazia di Dio così come la vede spontaneamente fiorire nei visitatori. Sa dare indicazioni semplici alle maestranze e agli architetti quando l’affluenza necessita del loro intervento per accogliere i pellegrini. Anche il vescovo, da buon pastore, coltiva questa fioritura di cui percepisce i buoni frutti. Nella sua opera viene incoraggiato dai criteri del Cardinale Seper, predecessore del Cardinale Ratzinger.
La vita dei pellegrinaggio
Si comincia con un incontro di preghiera nel luogo dell’apparizione, ogni mercoledì e sabato pomeriggio. Tutti quelli che lo desiderano possono essere presenti. Fra questi, cento persone hanno preso un appuntamento telefonico tramite la signora Rosa Bolognino Zappavigna, moglie dell’avvocato membro della fondazione, per avere un incontro con Fratel Cosimo.
In quei giorni, tutti i partecipanti pregano lentamente il Rosario. Mentre si prega, ogni persona che ha fissato un appuntamento viene discretamente chiamata in una stanza per incontrare Fratel Cosimo per un breve colloquio. L’incontro è veloce: appena un minuto ciascuno, senza orologio, ma questo non pone problemi. Una semplice parola ispirata a Fratel Cosimo porta i suoi frutti e il visitatore è appagato, stimolato, rilanciato verso la luce di Dio. Per alcuni si tratta di una vera e propria conversione se non di una guarigione. Quasi per tutti comunque è una ripresa serena della loro vita spirituale.
Fratel Cosimo non confonde le sue intuizioni e i suoi discernimenti personali con quanto invece riceve da Dio come la lettura dell’anima e l’orientamento di vita per i suoi visitatori.
"Egli sapeva ciò che minaccia la mia vista tanto che, prima del mio arrivo, aveva pregato per me con tutto il suo cuore. Durante il nostro incontro particolare, prima della partenza, martedì 12 novembre, di sera, gli ho chiesto di continuare la sua preghiera ma non aveva luce, nonostante lo desiderasse. Allora si è onestamente limitato a qualche parola di speranza per il buon esito dei miei lavori. Ai miei amici, interessati anch’essi al mio problema, ha dichiarato: "Il Signore non me lo ha fatto vedere".
Fratel Cosimo conosce infatti i limiti delle sue ispirazioni. È un buon segno: il discernimento non è sempre condiviso, nemmeno tra i veggenti, che possono confondere le pulsioni del loro spirito (perfino del tentatore), con lo Spirito Santo.
Ogni mercoledì e sabato, dopo le 17, segue una grande riunione di preghiera. Non è animata solamente da Fratel Cosimo, ma da tutta la "comunità" che si è progressivamente formata attorno a lui con la grazia delle conversioni. Oggi, sessanta persone provenienti da ambienti culturali più diversi, sono unite interiormente e si sono messe al servizio della Serva del Signore.
Hanno organizzato e coordinato i servizi per i pellegrini in comunione con Fratel Cosimo. Si fanno carico della lettura del Vangelo e talvolta, faticosamente, informano sulle testimonianze di guarigione o sulle conversioni recenti.
A questo momento segue un’esortazione. La riunione è poi intercalata da canti e preghiere. Il tempo passa veloce. Fratel Cosimo si rivolge alle persone riunite intorno a lui che nel frattempo sono aumentate di numero. Benedice tutti quelli che sono venuti. Un profondo raccoglimento pervade allora la folla. Fratel Cosimo benedice quindi i bambini accompagnati da genitori e parenti.
La messa e la fiaccolata
Il primo sabato di ogni mese, la messa viene celebrata intorno le ore 16. È preceduta dalla preghiera del Rosario ed è seguita dalla preghiera di intercessione di Fratel Cosimo. Sul far della notte, c’è poi la fiaccolata: una processione con le fiaccole come quella di Lourdes, discende dalle strade pietrose e per risalire dall’altro versante.
Il luogo del pellegrinaggio cresce. Le costruzioni sono ancora poche ma sono nate in armonia con l’ambiente. La serenità regna nonostante sia mancato, in origine, un progetto preliminare. Gli edifici sono stati innalzati secondo l’ispirazione e le necessità senza cozzare visivamente o funzionalmente tra loro. Così è nata anche la Fondazione. L’avvocato Ferdinando Zappavigna ne ha elaborato gli statuti, come prevede la legge, e Fratel Cosimo ne è il fondatore. La Fondazione ha ricevuto l’assenso del vescovo il 17 aprile 1999 ed è stata riconosciuta dallo Stato il 27 luglio 2000.
I lavori
Da quella data, i lavori si sono intensificati. La spianata vicino alla collina è già stata allargata per accogliere le folle attorno alla sorgente.
"Durante il mio pellegrinaggio la fonte era in piena trivellazione. Si vedeva un grande foro dal raggio di 10 metri e altrettanto profondo. Era rivestito di ferro per realizzare il dispositivo destinato a canalizzare l’acqua a disposizione dei pellegrini".
La spianata si presentavadunque come un vasto cantiere. Oggi, le arcate che sostengono armoniosamente la collina scavata, sono stategiàcostruite. Tuttoprocede,giornodopogiorno,conilsolo intento di aumentare e diffondere l’irradiazione della preghiera, delle conversioni e delle guarigioni.
Ogni membro della comunità ha la propria funzione, secondo il ritmo del tempo calabrese.
"Avevo chiesto di celebrare la messa ogni giorno, come è mia abitudine. L’istanza era stata accettata, in via eccezionale, per delle messe private, davanti a qualche membro della comunità. Fratel Cosimo aveva previsto la celebrazione alle 18, nella cappella dove si trovail quadro. Ma il collaboratoreaddetto alla cappella, un volontario che abita a Plàcanica, non arrivava. Il tempo passava e io ero il solo a preoccuparmene. Qui infatti il tempo non conta. È come sospeso. Il collaboratore, in ritardo a causa di un impegno lavorativo, poi è finalmente arrivato".
Il tempo della collina non è il tempo degli orologi tedeschi, americani, svizzeri o anche francesi. È il tempo della vita, della Comunione e della preghiera: la compiutezza di una durata interiore, in un’atmosfera piena di calore, semplice, discreta, attorno a Fratel Cosimo. La durata di Dio e di Nostra Signora ispira e si irradia silenziosamente. Ciò che impressiona è questo ordine umano e spirituale, spontaneo, che nulla ha a che fare con programmi razionalizzati.
Chi è dunque Fratel Cosimo?
È difficile definirlo. La sua umiltà e la sua trasparenza, sfidano le definizioni con la forza della semplicità. Il suo contatto intimo con Cristo e con la Nostra Signora è palpabile e si irradia intorno a lui. Sembra si identifichi con la luce.
Prega molto: un Rosario al mattino e uno alla sera, ma l’elemento di fondo è una meditazione continua.
Al primo incontro, la sua laconicità mi ha sconcertato. Molti veggenti sono loquaci, perfino interminabili. Vi sommergono. Fratel Cosimo invece è piuttosto il contrario: ciò che irradia da lui è questo "pregare sempre". È la presenza di Dio che mantiene vita e preghiera, non senza sforzo, per preservarsi dalla dispersione che lo circonda".
Fratel Cosimo è uno zampillare calmo e discreto, a immagine della sorgente da cui ha ricevuto la rivelazione interiore. È calmo, tranquillo, fiducioso, apparentemente inattivo, preso dal contatto del momento. Ma la sua memoria è attenta, registra.
"Da storico, gli avevo chiesto delle date che non ricordava. Me le ha fatte sapere al mio ritorno, in due correzioni del suo racconto autografo delle prime apparizioni". Fratel Cosimo ha deciso intelligentemente la costruzione del luogo di pellegrinaggio. Realizza lentamente e progressivamente la sua missione, secondo le parole ricevute in occasione della seconda apparizione: "Il Signore vuole fare di te uno strumento del suo Amore per la salvezza delle anime".
Non manca di ardore interiore, semmai il contrario, ma questo ardore appare solo quando è utile o importante per la sua missione. Allora, emergono parole forti e calorose.
La Vergine gli ha anche detto: "Io ti aiuterò, ma tribolazioni e sofferenze non ti mancheranno".
"Malgrado la sua apparente gioia di vivere con Dio, ho chiesto a Fratel Cosimo se avesse problemi con il demonio. Ha risposto con un pronunciato cenno di assenso. Volevo andare a fondo con domande, ma poi non me la sono sentita di insistere ancora. Temevo di sembrare indiscreto. Ho osato ritornare sull’argomento solo quando, in auto con Ferdinando Zappavigna, l’amico avvocato della Fondazione, ci siamo recati al vescovado. Le risposte sono allora scaturite vive, precise e talvolta spedite".
In breve, Fratel Cosimo ha attraversato molte difficoltà e opposizioni:
da parte degli uomini: si tratta dei peccatori che resistono, ma più comunemente di coloro che non accettano l’autenticità del suo incontro, né della sua missione;
subisce anche le tentazioni e le sevizie del demonio che maltratta i suoi avversari più pericolosi. Così come fece con Gesù Cristo, dalla prima all’ultima tentazione, indicata da Luca. Dopo l’insuccesso delle prime tre, il demonio, vinto, si ritirò attendendo nell’ombra il momento opportuno: il kairos come dice la parola greca, cioè l’ora della Passione, l’ultima prova. Seguendo Cristo, Fratel Cosimo ha subito tentazioni e attacchi interiori e fisici. Ha provato la disperazione e l’abbandono proprio come Gesù.
"Sulla croce, il Salvatore, sentì forte il senso dell’abbandono e l’agonia di una notte che si veniva formando nella sua psicologia umana. Ciò nonostante permaneva in Lui un traboccante perdono e tanta benevolenza".
Fratel Cosimo riceve anche fisicamente dei duri colpi. Succede nei momenti in cui la sua azione diventa più efficace. In qualche modo ne paga il conto. Allora, però, conserva una grande fiducia in Dio e nella sua azione. Quando sembra che Dio lo abbandoni, si abbandona ancora di più a Lui, nella notte. Viene guidato più di quanto sia lui a guidare. Quando guida, significa che Dio lo guida.
"Raramente ho visto un tale spogliamento, una simile naturale ricettività; per nulla passiva, ma reattiva, se necessario".
Conosce anche le sofferenze della Passione, soprattutto il giovedì e il venerdì, giorni commemorativi. Maggiormente durante la Quaresima, sulla scia di San Francesco. Rivive le terribili sofferenze fisiche di Cristo. Le risente, sembra, nell’ordine della Passione, compreso lo strazio della morte. Le soffre dall’interno, atrocemente, ma nella pace e nell’amore, senza stigmate visibili e senza effusione di sangue. Il Signore lo ha invitato a portare la sua croce nel quotidiano, dicendogli esplicitamente: "Vuoi aiutarmi a portare la Croce?". Questo fa pensare a ciò che il Signore fa vivere in modo discreto a tante anime vittime volontarie. Lo ha chiesto in modo esplicito anche a Yvonne Beauvais, quando il 5 luglio 1922, impegnandosi a dare inizio alla sua vita mistica, Gesù le disse mostrandole la Croce: "Vuoi tu portarla?". Lei ha accettato e ha conosciuto le stigmate sanguinanti cui è stata dedicata una specifica monografia.
I frutti
La comunità di Fratel Cosimo ha pubblicato, fino ad oggi, una decina di fascicoli scritti spontaneamente. Sono documenti che espongono i frutti delle apparizioni e dei pellegrinaggi, soprattutto riguardo alle conversioni e alle guarigioni.
"Non avrò posto per raccontare tutto questo - è stato detto a Fratel Cosimo -
sono 12 mila testimonianze scritte e certificazioni mediche riguardanti 8000 guarigioni e numerose conversioni documentate".
Immediata, limpida e chiara, la sua risposta:
"Basta mettere una conversione e una guarigione ".
Dalla militanza comunista alla militanza evangelica La testimonianza di una conversione
La convertita si chiama Imma e ha 43 anni. È una giovane, giornalista, uno dei membri della comunità. Ha seguito gli studi universitari, ma conserva una semplicità che non contrasta con la gente del luogo, dove tutti i livelli culturali e sociali si incontrano alla pari, come in tutte le vere comunità.
La sua testimonianza è breve, semplice e senza preparazione.
"Io ero atea" comincia. "Non forse agnostica?"
"Sì, atea! Ero comunista, formata nel materialismo dialettico. Dopo quattro anni di Università in Scienze sociali, mi ero impegnata nel Partito. Ero responsabile regionale a Reggio Calabria. Raccoglievo firme per l’aborto e per il divorzio. Ero combattiva e motivata, ma infelice. Facevo bella figura. Non mancavo di vivacità, ma ero tentata dal suicidio. Non mi sarei gettata dalla finestra, ma fumavo tre pacchetti di sigarette al giorno per ingannare la mia ansietà. Mi ci abbandonavo come ad un suicidio a fuoco lento. Abito a Placanica e a volte incontravo Fratel Cosimo. Accadeva di domenica, quando veniva a messa. Egli mi invitava ad andarlo a trovare sulla collina, ma io non ne avevo alcuna voglia. Poi ho finito con l’andarci, forse per curiosità e presto (era il 2.12.1988), tutto si è stravolto. Oggi sono uno dei 60 membri della comunità e sono felice".
"Prima della mia conversione, ero fidanzata con un altro militante, anche lui responsabile regionale del Partito. Dopo la mia conversione, ho pensato di rompere, visto che il Signore mi bastava. Ma lui mi amava malgrado la mia follia e restava fedele, pronto ad accettarmi così come ero divenuta. Io non avevo cessato d’amarlo. Ha accettato il matrimonio in Chiesa e viviamo in buona armonia.
"Come vede suo marito questo luogo e Fratel Cosimo? Lo maledice per averla traviata?`
«No, viene qui qualche volta, con me".
"E cosa ne pensa?"
"È sensibile a questa diversa testimonianza. Questo però non cambia le sue convinzioni. Noi ci rispettiamo". Imma non fa più parte del Partito. Si è riconvertita al giornalismo con il suo dinamismo e la sua creatività. Ma il suo primario impegno e nel movimento di grazie e di conversioni, sulla collina.
Una guarigione fisica e spirituale
Sascha M. Fopp è un giovane giurista svizzero che ha vissuto una guarigione e una conversione spirituale. È successo dopo un grave incidente in un Fitness Center che gli aveva provocato lacerazione dell’articolazione sacrale dichiarata "intrattabile" dai medici.
Tante le altre conversioni enumerate in Stella Maris da S. M. Fopp. Una donna atea di circa 30 anni, ha testimoniato la sua conversione prima di entrare al Carmelo.
Preti e anche dei vescovi hanno testimoniato di aver ricevuto da Fratel Cosimo una guarigione spirituale e una nuova efficienza nel loro difficile ministero. Uno di loro, il cui nome non viene rivelato per discrezione, ostile a Fratel Cosimo, è finalmente venuto a ringraziarlo per la sua guarigione. Fratel Cosimo aveva riconosciuto la sua malattia a distanza, per rivelazione interiore.
Tanti sono coloro che, in questo luogo di grazie, hanno riscoperto educazione e autonomia spirituale. Tanti anche coloro che hanno scoperto il senso misterioso della sofferenza nella loro vita e hanno formato dei gruppi di preghiera.
Una guarigione inspiegabile.
La guarigione più spettacolare, è quella di Rita Tassone, una residente delle colline delle Serre, il vasto massiccio montagnoso dietro Placanica.
Nata il 18 novembre 1946 è madre di quattro figli: Assunta, Gregorio, Catena e Raffaele. Si era ammalata poco prima di compiere i 30 anni, nel 1975. Verso il 1979, le viene diagnosticata una osteomielite che degenera rapidamente in un sarcoma osseo. Poi, nel 1980, Rita deve iniziare a usare degli analgesici per calmare i dolori che sono insopportabili. Deve assumere infatti il Talwin-tab e come ultima risorsa, la morfina.
Nel 1981, Michele, suo marito, sente parlare di Fratel Cosimo. Gli sottopone la tragica situazione di sua moglie. Riceve questa risposta: "Per sua moglie ormai perla mano dell’uomo non c’è più nulla da fare. Solo un miracolo di Gesù potrà cambiare la situazione. Bisogna pregare. Se avete la fede, guarirà".
Da allora, Michele decide di recarsi tutti i mercoledì e tutti i sabati allo Scoglio a incontrare Fratel Cosimo. Porta con sé sempre una fotografia di Rita.
Nel 1982, riesce a portarla di persona da Fratel Cosimo, in macchina, con la sua sedia a rotelle messa nel bagagliaio. Da allora Michele, sempre con grande dedizione, la conduce regolarmente, sulle strade a zig-zag, attraverso le colline dell’Aspromonte. Lungo il viaggio, accomoda i cuscini per rendere più tollerabile lo spostamento, ma il viaggio è comunque molto sofferto.
Nell’aprile 1988, Michele è provato da questa vita dura. Incontra una donna che lo consola e lo seduce. Se ne innamora. Rappresenta la via d’uscita che sognava. Prepara il divorzio, ma ritorna lo stesso sulla collina. Nel suo sconforto, chiede a Fratel Cosimo la sua benedizione.
"Voi non meritate nessuna benedizione. Questa donna che vi è entrata nel cuore dovete lasciarla, perché ve l’ha mandata Satana su un piatto d’argento. Se non lo farete rovinerà voi e la famiglia. La vostra povera moglie ne subirà in particolar modo le conseguenze. E tutti questi anni, durante i quali siete venuto allo Scoglio, non vi gioveranno a nulla: non guarirà".
Michele sapeva che le parole ricevute fino ad allora da Fratel Cosimo erano pura verità. Si fa luce nel suo cuore e osa implorare:
"Fratel Cosimo, pregate per me, perché da solo non ce la faccio".
"Io pregherò per voi, ma voi dovete mettercela tutta, altrimenti da questa situazione non ne uscirete più".
Il distacco fu difficile, tempestoso. "La sera, fattomi coraggio, raccontai a Rita, mia moglie, la situazione in cui mi ero cacciato. Rita aveva di già immaginato qualcosa. Mi disse che pregava Gesù e la Madonna che potessero mettere fine a tale incresciosa situazione, che sembrava disperata".
Il giorno seguente, Rita espresse il desiderio di conoscere quella donna e pregò suo marito di portarla a casa. Dopo un cortese scambio di idee, in cui la rivale si mostrò sicura del suo amore e del suo potere, Rita, che teneva sempre dell’acqua benedetta vicino al suo letto, la asperse copiosamente. Il seguito è indescrivibile come ha raccontato Michele. La donna cadde in trance, gridava come una forsennata.
Questi esorcismi senza autorizzazione non avvengono mai senza un contraccolpo, che il marito descrive nei particolari. Fu consultato un certosino che fece un esorcismo e tutto ritornò normale.
"Ho voluto descrivere la mia storia, non per esibizionismo, ma perché, se qualcuno si trovasse in situazioni del genere, sappia uscire dal suo smarrimento, che porta alla rovina, e non disperi della Misericordia del Signore". Dopo questo episodio, Michele continua il suo viaggio sulla montagna insieme a Rita. I viaggi si fanno sempre più difficili. Si complicano a causa di inspiegabili avarie: la macchina ad esempio, si ferma sempre allo stesso posto. Fratel Cosimo, messo al corrente dello strano episodio, consiglia:
"Quando vedete che la macchina si ferma dite queste parole con molta fede: che la potenza di Dio sia sempre con me e con me rimanga sempre".
Il suo consiglio si rivelò valido. Ma lo stato di Rita si aggravava. Michele temeva di vederla morire per strada, sulla collina. Ma lei preferiva morire là, piuttosto che altrove. Nel luglio 1988, Rita ritorna da Fratel Cosimo il quale le chiede di pregare per la sua guarigione, lei che pregava sempre e unicamente per gli altri.
Fratel Cosimo le dice:
"Gesù vuole la vostra guarigione perché tanti cuori induriti ritornino a lui. Se voi accettate, ci sarà una grande lotta tra Gesù e Satana, anche se, in ultimo, vinceremo noi. Satana ve ne combinerà di tutti i colori. Pregate e abbiate fede".
La casa, infatti, da allora, sembra posseduta. Si sentono rumori nell’armadio della camera da letto e sul balcone; lampi elettrici alla televisione. Un forte odore di zolfo penetra nella casa. Tutto questo durerà fino al 13 agosto.
L’8 agosto, Rita sta molto male. Alle 14, il parroco don Vincenzo Maiolo viene chiamato d’urgenza: porta l’Eucarestia. Si accorge che Rita è "fortemente disturbata dal demonio, incapace di parlare, di muoversi". Ma lei tiene bene stretto il suo crocefisso sul petto. La comunione le ridà la forza di parlare e di pregare. Prega per i peccati del mondo e per i peccatori, al di là delle sue sofferenze.
Guarda una icona appesa sul muro di fronte a lei. Le sembra che la Vergine si avvicini e le dica:
"Io sono con te, non ti scoraggiare". Il 13 agosto, la situazione è critica. Da tre giorni, Rita non mangia più. La sostiene solo l’Eucarestia. A tratti soffoca, come se una mano le stringesse la gola. Chiede di ritornare da Fratel Cosimo perché interceda:
"È impossibile nel tuo stato", le si obietta.
"Io devo andarci, costi quel che costi". Michele si cambia d’abito e ritrova Rita in macchina. L’avevano portata in auto i suoi due figli.
"Vuoi dunque morire là?".
"Sì, mi sento chiamata dalla Madonna, devo andare allo Scoglio". Durante il percorso, Rita piange e grida dal dolore.
"Ritorniamo" ripete Michele. "Guida e lascia stare il resto" risponde lei.
Al loro arrivo, verso le ore 17, Fratel Cosimo aveva appena ricevuto le cento persone di quel giorno. Rita viene trasportata proprio davanti alla roccia dell’apparizione. Piange e i denti le stridono a forza di dolori, ma continua a pregare con tutto il suo cuore.
Racconta Michele:
"Alla fine della preghiera, Rita, improvvisamente gioiosa, mi guarda e mi dice":
"Guarda la Madonna".
"E con la mano fece cenno verso il cielo. Guardai in alto, il cielo era sereno, limpido, senza nuvole".
"Dove è che la vedi?’
«Guarda quante stelle meravigliose manda dalle mani. Vai..., chiamami i figli tu non la vuoi vedere".
"Non vedevo nulla. Mi precipitai a chiamare Giuseppe Fazzalari egli dissi di guardare anche lui che forse aveva più fede di me".
Ma anche Giuseppe non vede niente. Tutti e due contattano Fratel Cosimo:
"Venite! Rita dice di vedere la Madonna nel cielo che manda milioni di stelline verso di noi".
Fratel Cosimo scende cinque o sei gradini e guarda verso il cielo. "Sì, c’è la presenza della Madonna". Rita viene condotta in una stanza accanto alla cappella.
Michele ha annotato il dialogo che segue:
"Con quale intenzione siete venuta questa sera?" domanda Fratel Cosimo a Rita.
"Se è possibile ritornare a casa con i miei piedi".
"E pensate che Gesù possa fare questo?". "Sì, solo Gesù può fare questo".
"Noi mettiamo la vostra fede alla prova. Se la vostra fede è forte, come voi dite, può darsi che Gesù vi esaudirà". Le 13 persone presenti nella stanza in quel 13 di agosto, si stringono intorno a Rita. Michele manda suo figlio Gregorio a sorvegliare l’entrata per evitare ogni distrazione. I testimoni assicurano che in quel momento Fratel Cosimo si è come trasfigurato a immagine di Gesù. Pronuncia queste parole:
"Non sono io che parlo ma è Gesù che ti ripete le stesse parole che ha detto al paralitico di Galilea: Alzati e cammina».
Rita si solleva senza appoggiarsi alla sedia. S’incammina verso la porta e sembra che non tocchi il suolo. Michele vuole aiutarla, poiché non cammina ormai da 13 anni e lei non ha più muscoli. Sulle sue ossa c’è solo pelle.
"Non la toccate" dice Fratel Cosimo "lasciate che Gesù compia la sua opera".
Rita scende i gradini verso la roccia, vi posa le mani per qualche minuto e prega. Poi sale sui gradini per entrare nella vicina cappella. Va fino all’altare e si sporge per toccare il quadro dell’apparizione. Rimane così in preghiera per cinque minuti, poi riprende il suo cammino con sicurezza, malgrado le gambe apparentemente ridotte all’osso. Esce allora dall’estasi e scopre all’improvviso di essere in piedi.
"Ma io cammino con i miei piedi? No, non è possibile!".
Fratel Cosimo invita tutti a cantare le lodi a Gesù. Il tempo sembra essersi fermato. Michele telefona. La straordinaria notizia si diffonde in tutto il paese.
Al ritorno, migliaia di persone circondano la casa, aspettano Rita. Il medico curante Cosimo Tassone, sconvolto, grida:
"Dio mio, solo tu potevi fare questo».
Ha redatto la sua testimonianza. Eccone l’essenziale:
"Conosco Rita Tassone dal 1982. L’ho seguita come medico. L’osteomielite tifoide con sarcoma osseo non lasciava più speranze. Dall’agosto 1988, Rita Tassone è tornata ad essere una donna sana e normale, felice nella sua famiglia, non più schiava dei farmaci, ma dedita al bene ed alla preghiera. Per me si tratta di un miracolo. Ma che cosa è un miracolo?".
(Dottor Cosimo Antonio Tassone, 11 febbraio 1991).
Prima di intraprendere questo viaggio, mi ero assicurato che il vescovo di Locri, Monsignor Giancarlo Maria Bregantini, di 54 anni di età, fosse avvertito della mia visita e potesse, se necessario, dissuadermene, nel caso ci fossero stati dei problemi. Fortunatamente non ve ne furono, ma non ho avuto comunque contatti con lui. I miei tentativi per telefonargli non hanno raggiunto lo scopo. Desideroso di avere un contatto diretto per ricevere le informazioni e le direttive del successore degli apostoli in quel luogo, gli ho telefonato da Placanica. Ho avuto la fortuna di poter fissare un colloquio tramite il suo segretario cui ho espresso il desiderio di andarlo a trovare:
"Domani a mezzogiorno"; mi dice subito.
Andammo in gruppo: Fratel Cosimo, i miei amici svizzeri, l’avvocato membro della fondazione, sua moglie Rosa, uno dei pilastri della comunità, e sua figlia Carmen che aveva dattiloscritto il racconto di Fratel Cosimo, lo stesso giorno in cui mi era stato rivelato. Giungemmo là a mezzogiorno, ma la riunione del consiglio pastorale si prolungò fin verso l’una, per gli incontri personali. Poi il vescovo fu tutto per noi.
Gli ho parlato prima personalmente: è un uomo calmo, imponente per la sua barba e la sua statura, ma diretto e comunicativo. È un uomo spirituale e un pastore, desideroso per quanto riguarda la sua funzione di articolare bene lo spirituale con la sua missione amministrativa e giuridica. Roma tiene molto a questo retto ordine del "foro esterno".
Mi ha interrogato personalmente riguardo la mia esperienza internazionale delle apparizioni. Non ho nascosto le mie prime impressioni, prudenti ma profonde. Rendo grazie quando percepisco l’opera di Dio, rimanendo sempre cosciente dei tranelli che sopraggiungono da ogni parte, quando ci sono carismi o apparizioni: inganni dovuti alla debolezza umana e alle tentazioni provenienti dal basso. Questo accadeva già al tempo di San Paolo presso i Corinzi e anche altrove.
Monsignor Bregantini ha compreso la dimensione spirituale di Fratel Cosimo. Apprezza la sua umiltà, la sua obbedienza, ma ci tiene a guidarlo perché stabilisca contatti più ravvicinati e una collaborazione con il parroco di Placanica. È giovane, un po’ intimidito da questa specie di "stato nello Stato", questo luogo di pellegrinaggio dall’irradiamento già un po’ internazionale che comincia dentro i confini della parrocchia. Fratel Cosimo deve cercare di tenersi in contatto con il suo pastore: vivere con la Chiesa.
Il vescovo mi conduce nella sala vicina, dove riceve Fratel Cosimo con la sua fondazione e la comunità. Il vescovo gli ripete i suoi desideri, quelli che poco prima aveva espresso a me.
Monsignor Bregantini, che fu vescovo molto prima di compiere 50 anni, ha lo stile di un uomo di fede e di dialogo, in armonia con il suo popolo come con la sua funzione e la sua autorità. Nonostante la sua cultura, ha la stessa fede del suo popolo. È una caratteristica del clero italiano che mi colpisce spesso. Il suo dialogo chiaro e sulla stessa lunghezza d’onda mi fa bene sperare per l’avvenire. Non ci saranno i conflitti nocivi e prolungati che sopraggiungono senza soluzione in tanti luoghi d’apparizioni, come a Schio dove, a partire da una grazia diversa ma analoga, era nata spontaneamente una comunità fervente e attiva, al servizio dei poveri e dei bisognosi.
Da sempre, il problema delle apparizioni consiste nella difficile armonia dei carismi con l’autorità: l’autorità spirituale dei veggenti "fa problema". Non è facile e le complicazioni sono più frequenti dei successi, che fortunatamente sono numerosi dal punto di vista pastorale, come a San Nicolas in Argentina o a Civitavecchia, dove la pastorale porta così buoni frutti, malgrado le tante bufere giuridiche. Ma è la quadratura del cerchio in campo spirituale.
Fratel Cosimo ha la fortuna di trovare un clima costruttivo e non una situazione di conflittualità, altrove così penosa.
Il vescovo di Locri ha dato l’assenso per la costituzione della Fondazione. Ha incontrato varie volte la comunità dei 60 membri che Fratel Cosimo ha formato, ma non è mai intervenuto ufficialmente agli incontri di preghiera con i pellegrini. Vuole aspettare ancora. È difficile sia per Roma che per l’insieme delle diocesi organizzare armoniosamente l’ordine della Chiesa con gli slanci dello Spirito. "Non spegnete lo spirito", dice l’apostolo Paolo, ma attenzione al rischio d’incendio. Come armonizzare lo slancio talvolta sconcertante dei carismi con la coesione della diocesi e l’ordine della Chiesa?
La missione dei vescovi mi fa pensare a quella di Noé, ammiraglio dell’arca dove aveva fatto riunire tutte le specie animali senza che tra loro si divorassero.
Offerte
Ente Morale riconosciuto con D.M. 27.7.2000
Oppure Banca Monte dei Paschi di Siena
Ag. di Rocella Ionica Rocella Ionica 89047 (RC) Italia Conto n. IT 10 G 01030 81520 150556
Fondazione Madonna dello Scoglio, Santa Domenica 1-89040 Placanica (RC) Italia
Sito ufficiale: Santuario Nostra Signora dello Scoglio
ELEUSI
"[...] Nel 2021 è stata scelta per essere capitale europea della cultura, insieme a Timișoara e Novi Sad; a seguito della pandemia di COVID-19 si è deciso di modificare il calendario delle capitali europee della cultura, per cui Eleusi deterrà il titolo nel 2023 insieme a Timișoara e Veszprém.....
MISTERI ELEUSINI
I misteri eleusìni (in greco antico: Ἐλευσίνια Μυστήρια) erano riti religiosi misterici che si celebravano ogni anno nel santuario di Demetra nell’antica città greca di Eleusi. Sono il "più famoso dei riti religiosi segreti dell’antica Grecia".
fls
ANTROPOLOGIA, ARCHEOLOGIA FILOSOFICA, E ICONOLOGIA...
DEMETRA (ELEUSI2023). Quale rapporto tra la tradizione della dea eleusina Demetra (la Terra-Madre) e l’iconografia della tradizione cristiana della Madonna Eleusa ("colei che mostra tenerezza o che mostra misericordia")?
In omaggio ad Eleusi, capitale della cultura europea 2023, per la filologia e per l’antropologia culturale non è forse un buona occasione per dissodare la terra della storiografia esitente e rimettere la filologia al servizio delle nazioni (e non dei nazionalismi)? Se non ora, quando?
*
A) DEMETRA: "Demetra (in greco antico: Δημήτηρ, Dēmḕtēr) è una divinità della religione greca, figlia di Crono e Rea, che presiedeva la natura, i raccolti e le messi.[1] Associata all’agricoltura, alle stagioni e alla legge sacra, lei e la figlia Persefone sono inoltre intimamente connesse con la religione misterica, e in particolare con i misteri eleusini. [...]" (https://it.wikipedia.org/wiki/Demetra)
B) ELEUSI: "[...] Nel 2021 è stata scelta per essere capitale europea della cultura, insieme a Timișoara e Novi Sad; a seguito della pandemia di COVID-19 si è deciso di modificare il calendario delle capitali europee della cultura, per cui Eleusi deterrà il titolo nel 2023 insieme a Timișoara e Veszprém. [...]" (https://it.wikipedia.org/wiki/Eleusi).
C) ELEUSA: "La Madonna Eleusa, o anche semplicemente Eleusa (dal greco bizantino Ἐλεούσα, colei che mostra tenerezza o che mostra misericordia), è un tipo di iconografia cristiana diffusa inizialmente nell’arte bizantina e poi in tutti i paesi europei del periodo medioevale. L’iconografia è costituita dalla Madonna col Bambino Gesù in braccio, e con la propria guancia appoggiata a quella del figlio. Nella classificazione data dagli iconologi moderni, l’Eleusa è una delle sei tipologie fondamentali di icona mariana assieme a Odigitria, Aghiosoritissa, Blachernitissa, Basilissa e Galactotrofusa [...]" (https://it.wikipedia.org/wiki/Eleusa).
Natività della Vergine Maria.
Dio si “costruisce una casa” in mezzo agli uomini
di Matteo Liut (Avvenire, sabato 8 settembre 2018)
Siamo creature chiamate a generare Dio nel mondo, una “missione” vissuta fin dall’inizio della propria esistenza da Maria, che è stata un ponte tra il Creatore e le creature. La festa di oggi, che celebra la natività della Vergine Maria, è legata indissolubilmente a quella del Natale: nella lettura dei Padri, infatti, con la nascita di Maria Dio si “costruisce una casa” in mezzo agli uomini, una dimora che poi lui stesso abiterà nell’Incarnazione.
La ricorrenza odierna è nata in Oriente ed è stata introdotta anche in Occidente da papa Sergio I nel VII secolo. Oggi questa festa è un invito a curare la nostra vita e la nostra interiorità perché è qui che s’incontra Dio. Una lezione “mistica” che i cristiani non devono mai dimenticare se non vogliono ridurre la fede a semplici “buone pratiche”.
Altri santi. Santi Adriano e Natalia, sposi e martiri (IV sec.); san Federico Ozanam, laico (1813-1853).
Letture. Mi 5,1-4; Sal 12; Mt 1,1-16.18-23.
Ambrosiano. Ct 6,9d-10; Sir 24,18-20; Sal 86; Rm 8, 3-11; Mt 1,1-16 oppure Mt 1,18-23 / Gv 20,1-8.
Pensare l’ "edipo completo"....
PLAUDENDO al lavoro e alla sollecitazione delle Autrici di "ripensare le figure della maternità", e, al brillante saggio introduttivo di Daniela Brogi, "Nel nome della madre. Per un nuovo romanzo di formazione", mi sia lecito ricordare che il programma di Freud, al di là dei molteplici e "interessati" riduzionismi (in nome del padre o in nome della madre), era quello di = Pensare l’ "edipo completo"(Freud), a partire dall’ "infanticidio"!!! Per andare oltre la vecchia "cattolica" alleanza Madre-Figlio (e portare avanti il programma illuministico kantiano: diventare maggiorenni), è necessario (sia per l’uomo sia per la donna) non solo il "parricidio" ma anche il "matricidio"; e, possibilmente e ’finalmente’, uscire fuori dalla "caverna", dalla "preistoria", e portarci (tutte e tutti) DAL "CHE COSA" AL "CHI".
Federico La Sala
Amore sacro e amor profano.
“Carne e salvezza”
E l’Uomo creò la Dea Madre
di Silvia Ronchey (la Repubblica, 09.05.2918)
A maggio si celebrano Maria e tutte le mamme Una festa che deriva dal culto più ancestrale: quello che, da Iside a Venere fino alla madre di Gesù, spinge il mondo (maschile) a invocare divinità femminili Uomini turbati dalla musica quando sentono una calda voce femminile nera cantare un blues.
Uomini rapiti dalla scrittura che non sanno dare altro nome al simulacro di donna che li ispira se non quello di “musa”. Poeti, come Keats e Leopardi, che dialogano con il volto triforme della luna. Uomini che attraversano ogni giorno una folla muta di madri divine dal capo velato che li guardano nei musei, ai trivi delle strade, rinserrate nelle edicole sacre, calamitate sui cruscotti delle auto. Uomini che dialogano con altri uomini in una seduta psicoanalitica mentre aleggia su di loro la presenza costante di un complesso di natura femminile. Chi sono questi fantasmi di donne che popolano la vita dei maschi? Sono tanti e diversi? Oppure è uno solo, quello della Madre Eterna?
Considerata l’esperienza degli esseri viventi di questa terra, dov’è nell’animale femmina che fisicamente si forma la vita, credere in un principio creatore non maschile, com’è il dio del cristianesimo e già dei giudaismo e poi dell’islam, ma femminile, è stato in origine più immediato, più intuitivo. Anziché a un Dio Padre, l’umanità è stata a lungo devota a una Dea Madre.
Nei miti delle culture da cui nasce la nostra - mesopotamica, egizia, greca, italica, romana - il volto mutevole di questa dea emerge in diverse personificazioni e prende molti nomi: Ishtar-Astarte-Afrodite-Venere; Ecate triforme, come tre sono le fasi della vita e tre quelle della luna; Demetra-Cerere e Persefone-Proserpina; Cibele, Artemide-Diana.
«Progenitrice della natura, signora degli elementi, / germoglio dell’inizio di tutti i tempi, somma potenza, / regina dei Mani, prima tra i celesti, / unico volto di tutti gli dèi e di tutte le dee, / che col cenno del suo capo comanda / alle luminose sommità dei cieli, / ai freschi venti del mare / e al fecondo silenzio sotterraneo: / la sua unica volontà venera in molti modi, / secondo differenti usanze e molti nomi, / tutta la terra».
Non è una preghiera rivolta a una delle divinità femminili pagane elencate sopra, ma un brano tratto da una liturgia mariana medievale.
Perché se il cristianesimo impernia il suo credo su un unico Dio Padre, è anche l’unica tra le religioni del libro a lasciare sopravvivere, nella sua versione ortodossa e cattolica, la grande e ancestrale tradizione della divinità femminile. Nella figura della Madre di Dio - la Theotokos bizantina, su cui i primi concili ecumenici hanno tanto dibattuto - convergono molti tratti della Grande Madre e delle varie divinità femminili in cui si è espresso il suo culto. È un culto principalmente lunare. Perché nel grande ricamo astrale in cui tutte le antiche religioni dispiegano i loro miti e i loro dèi la divinità femminile in cui convergono tutte le altre è la Luna: La Dea Bianca di Robert Graves, la Casta Diva «che inargenta queste sacre antiche piante» della Norma di Bellini.
Poiché il ciclo naturale delle messi implica la morte e la rinascita del seme, la Grande Dea è sempre connessa a culti legati al ciclo morte-rinascita, e questo ciclo è simboleggiato dalla Luna fin da tempi antichissimi. In seguito con la divinità lunare si identificheranno principalmente Diana, la dea che reca la falce di luna in fronte nell’iconografia classica come ancora nei quadri rinascimentali e barocchi, e una divinità di origine egizia, Iside, che diventerà la Madre Nostra per eccellenza della grande e unificata cultura mistico-religiosa, ma anche filosofica, poetica e letteraria, dell’impero romano.
A lei Lucio Apuleio, al termine de Le metamorfosi, dedicherà la sua preghiera: «Regina del cielo - che tu sia Cerere la ristoratrice madre delle messi, o che tu sia invece Venere celeste, che ai primi esordi delle cose ha composto la discrepanza dei sessi creando Amore; o che tu sia Artemide, la sorella di Febo Apollo; o che tu sia la tremenda per notturne grida Proserpina, che con il triforme aspetto reprime le sortite degli spettri e tiene serrati i battenti degli inferi - Tu che con la tua luce femminile illumini tutte le mura e con i tuoi raggi umidi nutri i lieti semi e in rivoluzioni solitarie dispensi la tua fioca luce, con qualunque nome, con qualunque rito, sotto qualunque aspetto sia lecito invocarti, assistimi nelle mie sventure».
Erano già propri di Iside gli epiteti che lungo i secoli sono stati attribuiti alla Madonna: “Santa Vergine”, “Regina del Cielo”, “Dispensatrice di Grazie”, “Regina del Mare”, “Stella Mattutina”, “Salvatrice”, “Madre Misericordiosa che ascolta le preghiere”. E ricorda da vicino l’iconografia della Madonna la descrizione visiva che Apuleio dà dell’epifania di Iside, con i lunghi capelli e il manto fluente disseminato di stelle. Gli studiosi di icone bizantine hanno ricollegato la rappresentazione di Iside lactans, ossia di Iside che allatta Horus, a una tra le più diffuse tipologie delle icone mariane, quella della Vergine Galaktotrophousa, che allatta al seno il Bambino Divino.
Ad accomunare il culto della Madonna a quello delle figure che nella religione classica ha assunto la Grande Dea è quindi l’adorazione di una coppia sacra madre-figlio, come nel caso di Iside, o anche madre-figlia, come nel caso di Demetra e Proserpina. È lo status di Mater Dolorosa, che accomuna sia Demetra in lutto per la figlia rapita nell’Ade - che periodicamente risorge insieme alle messi nella stagione primaverile (un mistero al cuore dei misteri eleusini) - sia Iside (il cui mito stringe in un unico nodo simbolico la coppia sposa/sposo e quella madre/figlio). A strutturare la figura della divinità femminile è questo ulteriore e saliente attributo: il compianto per il figlio perduto, il mistero della sua resurrezione.
Il fatto che il cristianesimo faccia sopravvivere nella figura della Madre di Dio la grande tradizione della divinità femminile, e il fatto che nella Madonna convergano i tratti della Grande Madre e delle varie divinità in cui si è espresso il suo culto, non fa che dare spessore e profondità di significati alla figura della Vergine, ai suoi attributi, alla sua iconografia, alla sua storia devozionale: ci aiuta a decrittarla.
Ma certo non implica che la Madre di Dio cristiana sia semplicemente una delle ipòstasi della Grande Madre. Qualcosa di molto singolare si è aggiunto, e molti hanno cercato di descrivere cosa sia, in termini teologici, filosofici, letterari, poetici. In un testo che risale al VII secolo bizantino, l’Akathistos, quello che i teologi considerano il più bell’inno mariano dell’antichità, la Grande Madre è invocata come «Madre dell’Astro che non tramonta, colonna di fuoco che guida chi è nella tenebra, roccia che disseta chi ha sete di vita, albero dai lunghi rami che dà ombra a migliaia, amore soverchiante ogni desiderio, iniziatrice di nuova forma razionale, raggio del sole intellettuale, freccia di luce inoffuscabile, tesoro di vita indissipabile, terapia della carne, salvezza dell’anima», ma soprattutto, ricorrentemente, come «sposa non sposa».
Nel mondo ortodosso l’Akathistos si canta spesso, ma è particolarmente commovente ascoltarlo in un qualsiasi monastero maschile greco la notte tra il 14 e il 15 agosto, in occasione della festa dell’assunzione in cielo della Vergine - un vero asterismos, simile a quelli della tradizione classica - quando scure e melodiose voci di uomini soli invocano la Theotokos affiancando quell’accento di pura metafisica che contraddistingue la teologia bizantina all’invocazione struggente di una Madre lontana.
La perturbazione ancestrale prodotta nella psiche maschile dalla Grande Madre è insopprimibile proprio perché sotterranea, universale perché collettiva e popolare.
La preminenza femminile, la potenza della donna, nella tutto sommato non lunga storia del mondo patriarcale possono essere state rimosse in termini sociali, economici, politici, perfino programmaticamente negate in termini culturali, ma la struttura psicologica, che si riflette in quella religiosa, permane anche e soprattutto nel maschio.
Donna, domna, domina: signora.
Il nome che si dà oggi all’individuo umano femmina, ancora per molti aspetti subalterno, è già etimologicamente, nel suo affiorare alla lingua, un appellativo sacrale.
ANTROPOLOGIA, TEOLOGIA, E FILOLOGIA. La logica di "Mammasantissima" e "Mammona" ("Deus caritas est") o la logica dell’Amore ("Deus charitas est") di Giuseppe, Maria, e Gesù?!!
L’IMMACOLATA CONCEZIONE, LA PIENA DI GRAZIA, E LA GRAMMATICA PER CAPIRE L’UMANITA’ E PARLARE LA LINGUA DI OGNI ESSERE UMANO.
L’angelo Gabriele, rivolgendosi alla Vergine di Nazaret, dopo il saluto "chaire", "rallegrati", la chiama "kecharitoméne", "piena di grazia" (Giovanni Paolo II, 1996).
GESU’ "CRISTO", GESU’ DI NAZARET. MA CHI ERA COSTUI?! CERTAMENTE IL FIGLIO DELL’AMORE ("CHARITAS") DI GIUSEPPE E DI MARIA!!! NON IL FIGLIO DEL "DIO" ("CARITAS") DELLA CHIESA AF-FARAONICA E COSTANTINIANA!!!
Fatima, una storia tra fede e politica
Il contesto nazionale, la restaurazione cristiana del Portogallo, il conflitto mondiale, la guerra fredda, il Concilio, la decolonizzazione
di MARCO RONCALLI (La Stampa, 10/05/2017)
Roma. Un culto che prima si afferma a livello nazionale e poi si dilata nel mondo per un secolo conquistando fedeli, vescovi, Papi. E tutto che inizia con tre pastorelli analfabeti - Jacinta, Francisco e Lúcia -e il racconto dell’ apparizione di una “signora vestita di bianco”: che il 13 maggio 1917 li invita a dire il rosario per i peccatori e la fine della guerra; il 13 giugno ripete l’invito ed esorta Lúcia a imparare a leggere; il 13 luglio torna a chiedere preghiere per la fine della guerra, promettendo un miracolo entro tre mesi e rivelando loro un “segreto”; il 13 agosto dice di usare le donazioni per il culto; il 13 settembre insiste sulla preghiera per la fine del conflitto e chiede una cappella a Fatima; il 13 ottobre - ultima apparizione, durante la quale si verifica un fenomeno solare (il miracolo promesso?) - rivela come richiesta della Madonna del Rosario preghiere e penitenze, garantendo un rapido rientro dei soldati a casa.
Fermandosi solo sulle relazioni coeve alle apparizioni del ‘17, con le risposte semplici dei tre bambini, considerando che la guerra cessò solo alla fine del ‘18, non è facile capire la devozione popolare concentratasi subito su Fatima.
E forse ha ragione José Barreto nel suo saggio “I messaggi di Fatima tra anticomunismo, religiosità popolare e riconquista cattolica” pubblicato da poco su “Memoria e Ricerca” del Mulino, ad allargare lo sguardo anche alla cornice storica e socio-politica. Proviamo a seguirlo.
«Con Fatima - scrive - si aprì un canale di comunicazione con il sovrannaturale in un periodo tormentato della storia contemporanea portoghese, iniziato con la rivoluzione repubblicana del 1910 durante il quale si era verificata la maggiore offensiva contro la Chiesa mai registrata nel Paese». Chiesa che nel precedente periodo del costituzionalismo monarchico (1834-1910), pur con il cattolicesimo come religione di Stato, aveva vissuto una situazione definita da Manuel Clemente «una gabbia e nemmeno dorata».
È dunque un periodo particolare quello che vede la diffusione dei messaggi di Fatima: di guerra, e in Portogallo di guerra di religione. Con una imperante laicizzazione della società che vede scuole cattoliche chiuse, preti detenuti, beni ecclesiastici nazionalizzati, aule di culto e seminari trasformati in uffici pubblici, e vescovi importanti accusati di comportamenti contrari alle leggi e spediti in esilio persino durante le apparizioni del settembre e ottobre ’17.
«Il tentativo di connotare politicamente Fatima era inevitabile, e iniziò immediatamente a partire dal 1917», ha scritto Barreto. Aggiungendo: «I repubblicani denunciarono lo sfruttamento della “superstizione” popolare da parte delle forze anti-repubblicane; quest’ultime interpretarono le apparizioni della Vergine come le precorritrici del “miracolo” dello schiacciamento della “serpe giacobina“ riferendosi al colpo di Stato del dicembre 1917 di Sidonio Pais che destituì i repubblicani radicali e instaurò un regime presidenzialista terminato nel dicembre successivo».
Se si può convenire che, nella regione di Fatima, nei confronti dell’offensiva antireligiosa non ci fu allora una vigorosa resistenza cattolica, né ci fu un immediato consenso del clero sulle apparizioni, così come non è corretto indicare in quel periodo una correlazione tra apparizioni e militanza antirepubblicana, successivamente invece, la trasformazione di Fatima in una “Lourdes portoghese” finì per riflettere nei fatti un’opposizione allo spirito della repubblica atea e massonica. Senza dimenticare che le apparizioni potevano leggersi come un segno di salvezza per un Paese preda di angosce con le sue truppe in trincea a fianco dell’Intesa, preda di incertezze per la scarsità di beni primari e via dicendo.
Detto questo, restando sul fronte politico, è indubbio che è il golpe militare del dicembre ‘17 a riportare la riappacificazione tra il governo e la Chiesa e il riallacciamento delle relazioni diplomatiche con il Vaticano: che avranno pienezza con la dittatura militare (1926-1933) e larga parte dell’ Estado Novo (1933-1968 con Salazar e 1968-1974 con Caetano nel segno delle “tre F”: fado, futbol, Fatima . Ed è solo in questo arco cronologico che pare convincente l’affermarsi di una connotazione anche ideologica - in chiave anticomunista - dei messaggi mariani. Del resto l’ufficializzazione del culto di Fatima passò attraverso tutte le indagini canoniche avviate nel 1922 e concluse ben otto anni dopo con il riconoscimento formale del carattere sovrannaturale dei fatti, mentre in attesa del verdetto si registrarono un impegno del clero nella ricostruzione ufficiale della storia delle apparizioni, una vasta propaganda sulla stampa cattolica, visite importanti, e persino - dopo che Benedetto XV non si era mai pronunciato - la “indiretta approvazione” di Fatima da parte di Pio XI che nel 1929 benedice una statua della Vergine di Fatima arrivata dal Portogallo al Pontificio Collegio Portoghese di Roma. Lo stesso Pio XI di cui il cardinale Confalonieri che era stato suo segretario riportava questa frase a proposito di mistiche che gli inviavano lettere su lettere circa rivelazioni di Maria: «...Se ha qualcosa da farmi sapere, potrebbe dirlo a me».
Quando nel 1930 il vescovo di Leiria-Fatima Correia da Silva dichiara le apparizioni «degne di essere credute», morti Francisco e Jacinta, è Lúcia l’unica testimone di esse: entrata nel frattempo tra le Suore dorotee di Porto e inviata in Spagna, nel monastero di Tuy ha continuato ad avere visioni e locuzioni interiori (nel ’25 la richiesta di diffondere la «comunione dei cinque primi sabati» in riparazione dei peccati) e ha già steso la prima delle sei “Memorie” (1922, 1937, due nel 1941, 1989, 1993, edite in Italia dalla Queriniana con il titolo “Lucia racconta Fatima”, a cura di António Maria Martins) dedicate ai fatti della Cova da Iria e alle rivelazioni. Rivelazioni che, a ben vedere - una volta rese note - palesano intrecci con drammi del XX secolo: dalle guerre mondiali alla parabola della Russia sovietica.
Tra le istruzioni che alla fine del maggio ‘30 Lúcia afferma di aver ricevuto dal cielo - preceduta da un «se non mi sbaglio» - ecco la promessa divina di «porre fine alla persecuzione in Russia se il Santo Padre avesse, insieme a tutti i vescovi del mondo, compiuto un solenne e pubblico atto di riparazione e di consacrazione della Russia ai Sacri Cuori di Gesù e di Maria». Sino a questo momento, fissato in una lettera al confessore, il gesuita José Bernardo Gonçalves, non si trova alcun riferimento pubblico o privato alla Russia e al comunismo, ma proprio nel febbraio precedente, peggiorate le condizioni di ortodossi e cattolici, congelate le trattative segrete che la Santa Sede aveva provato a tessere con i sovietici, Pio XI pubblicamente aveva chiesto a tutto il mondo cristiano una «crociata di preghiera per la Russia». In ogni caso, come ha osservato Barreto nel saggio citato, «le istruzioni celesti ricevute da Lúcia nel ‘30 non ottennero una grande attenzione dal vescovo di Leiria fino al ‘36, quando il Fronte Popolare prese il potere nella vicina Spagna». E proprio in quel periodo Lúcia accettò la proposta del suo confessore di insistere con il vescovo e il Vaticano sul tema della «consacrazione della Russia», pur rinnovando per scritto il timore di «essersi lasciata illudere dall’immaginazione», o da qualche «illusione diabolica»,come scrisse in due lettere del 18 maggio e 5 giugno 1936.
L’anno dopo, imperversando la guerra civile spagnola, il vescovo di Leiria mette a conoscenza Papa Ratti delle richieste celesti a Lúcia circa la «consacrazione della Russia ai Sacri Cuori di Gesù e Maria» da effettuarsi insieme a «tutti i vescovi del mondo cattolico», e l’approvazione papale della devozione dei «primi sabati», come condizioni per la fine della persecuzione religiosa in Russia. Nella lettera (riportata tra i Novos Documentos de Fátima editi dall’ Apostolado da Imprensa nel 1984), il vescovo ricordava a Pio XI come già nelle raccomandazioni che la Vergine di Fatima aveva fatto nel 1917 fosse chiaro «come Nostra Signora stesse preparando la lotta contro il comunismo», dal quale il Portogallo era stato sino ad allora preservato. Il Pontefice non risponde a questa richiesta (come non rispose ad una analoga richiesta di un’ altra veggente portoghese, Alexandrina da Costa, ai tempi screditata e poi beatificata da Giovanni Paolo II). «Quanto alla consacrazione della Russia al Cuore immacolato di Maria, non è stata fatta nel mese di maggio come lei si aspettava. Si farà certamente, ma non subito», così Lúcia il 15 giugno del ’40 a padre Gonçalves.
Nel frattempo successore di Pio XI è Papa Pacelli. Obbedendo al vescovo di Leiria e di Gurza, Lúcia gli scrive nell’ottobre ’40 collocando per la prima volta la richiesta celeste di consacrazione della Russia nel 1917, come parte del segreto da lei custodito dal 13 luglio di quell’anno (lettera che sarà resa nota pubblicamente solo negli anni ’70).
Nell’estate del ’41 mentre è in corso l’invasione dell’Urss da parte della Germania, il vescovo di Leiria ordina a Lúcia di redigere una nuova memoria sulla guerra e la Russia. E a questo testo - completato nell’ottobre ’41 - Lúcia affida la versione definitiva delle due prime parti del segreto (la terza parte, redatta nel ’44 e inviata a Roma nel ’57, sarebbe stata divulgata da Giovanni Paolo II nel 2000) che Pio XII rende pubbliche nel ’42, la visione di un pezzo di inferno («un grande mare di fuoco» con immersi «i demoni e le anime») e il messaggio della Vergine sulla consacrazione della Russia («se ascolterete le mie richieste, la Russia si convertirà e avrete pace; diversamente, diffonderà i suoi errori nel mondo, promuovendo guerre e persecuzioni....»).
Nel frattempo il testo del “segreto”, integro, per sunto, stralci, con riferimenti alla Russia alterati o tagliati, gira per il mondo. Ed è Pio XII che il 31 ottobre ‘42, data delle nozze d’argento delle apparizioni e della sua consacrazione episcopale, con un radiomessaggio consacra il «genere umano» al Cuore immacolato di Maria, invocata con il titolo di “Regina della pace” (come aveva fatto Benedetto XV). In questa preghiera il Papa si allontanava dalla richiesta precisa della Vergine, ma faceva allusioni alla devozione mariana dei russi «popoli separati dall’errore e la discordia», e alla loro auspicata ricongiunzione «all’unico gregge di Cristo, sotto un unico, vero pastore». Nello stesso testo anche però un riferimento all’intervento celeste grazie al quale la «nave dello stato portoghese «persasi «nella tormenta anti-cristiana e anti-nazionale» aveva ritrovato «il filo delle sue più belle tradizioni che la rendevano una nazione fedelissima» e persino un omaggio anche alla classe politica del cambiamento, definita «uno strumento della Provvidenza». Da non dimenticare che Paolo VI alla chiusura della terza sessione del Vaticano II avrebbe fatto riferimento a questa consacrazione del predecessore inviando con una missione la simbolica rosa d’oro al santuario della Madonna di Fatima.
Non solo. Come ha scritto sulla rivista “Jesus” Alberto Guasco: «Se una rivelazione ex post eventu è manna per critici e avversari, Pio XII mostra invece di prenderla sul serio». Eccolo così promuovere l’istituzione della festa del Cuore immacolato di Maria (1944), far incoronare la Madonna di Fatima regina del mondo (1946), ripetere la consacrazione in una lettera apostolica del 7 luglio 1952. A quella data Pio XII conosce anche la terza parte del segreto ricevuta in busta chiusa dal vescovo di Leiria, ma non ne ha ritenuto opportuna la divulgazione. A quella data le peregrinazioni dell’immagine di Fatima continuano in tutto il mondo e sulla “Piazza Bianca” del santuario si sono già viste scene come quella dell’ottobre 1951: con il noto predicatore americano Fulton Sheen, che davanti a 100mila pellegrini profetizza, come risultato delle preghiere dei milioni di fedeli lì affluiti, la trasformazione del simbolo del martello e della falce in una croce e una luna sotto i piedi dell’Immacolata.
Non tutti però manifestano in quel periodo entusiasmi così accesi. Anzi già dalla fine della guerra, Fatima occupa discussioni fra teologi, avviate da Edouard Dhanis, il gesuita belga che ne ha diviso la storia in due parti - una vecchia sulle testimonianze raccolte nel 1917, una nuova sul corpus originale integrato con i nuovi dati contenuti nelle “memorie”- scrivendo già nel ’44: «Siamo portati a credere che, nel corso degli anni, alcuni eventi esterni e certe esperienze spirituali di Lúcia abbiano arricchito il contenuto originale del segreto». Senza porre in causa la sincerità della veggente, Dhanis osservava che «il modo poco oggettivo in cui nel segreto erano state descritte le cause che avevano provocato la Guerra [mondiale] poteva solo essere spiegato dalla influenza che la Guerra civile spagnola aveva avuto sul pensiero di Lúcia». -In effetti, il segreto imputava alla Russia tutta la responsabilità per le guerre e le persecuzioni verso la Chiesa, seppure all’interno di una concezione non storica e apocalittica di questi flagelli come punizione divina per i peccati del mondo. Le tesi di Dhanis poi rettore della Pontificia Università Gregoriana, sarebbero state duramente dibattute negli ambienti vicini a Fatima costringendolo a toni più concilianti. Lui, membro sino alla morte della Commissione teologica internazionale, a fare da apripista per altri teologi come nel suo caso accusati dai tradizionalisti di essere «nemici di Fatima».
Accuse dalle quali non furono risparmiati Papi come Giovanni XXIII e Paolo VI, invitati più volte a rinnovare in modo completo la consacrazione e a divulgare l’ultima parte del segreto, non disposti in tempi di Ostpolitik e di Concilio, a lasciar passare interpretazioni del messaggio di Fatima ultraconservatrici, anti-ecumeniche, in un quadro rinnovato nel quale la Chiesa tesseva nuove relazioni ad Est, affievolendo le aspettative delle tesi legate all’«ultimo segreto di Fatima» che per molti si sarebbe riferito ad una grave crisi interna alla Chiesa causata dal Concilio. Il resto è noto: nel ‘59 e nel ‘65 Giovanni XXIII e Paolo VI lessero il segreto e decisero di non divulgarlo (facendo alimentare nuove speculazioni).
Negli anni ’60 la questione coloniale segnò un divario tra Vaticano e governo portoghese già alle prese con una vera opposizione cattolica interna intensificatasi con l’inasprimento delle guerre in Africa e l’esilio forzato del vescovo di Porto nel 1959. Proprio quest’ultimo, Ferreira Gomes, rientrando nel ’70 dal suo esilio in Francia, fu il primo prelato portoghese a formulare aperte critiche nei confronti di Fatima (già da lui definita una «Lourdes reazionaria»), sottolineandone aspetti di «culto magico» e «religione utilitaristica». «Per i cattolici che in questo periodo combattevano il regime in Portogallo, Fatima ebbe un significato molto diverso, se non opposto, a quello che avrebbe avuto per la lotta di liberazione polacca degli ani ’80», ha notato Barreceto. Aggiungendo che: «L’episcopato portoghese, tra la crescente contestazione proveniente dalla Chiesa e le critiche cattoliche internazionali, riuscì, seppur tardivamente, a svincolarsi dal regime poco prima della rivoluzione dell’aprile 1974 che ne decretò la fine». Apparentemente incurante degli sconvolgimenti politici, il santuario di Fatima continuò ad accogliere folle di devoti. Anzi la forza della fede popolare protesse la Chiesa dal potere rivoluzionario del biennio ‘74-‘76.
Morto Paolo VI e subito dopo Giovanni Paolo I, che da patriarca di Venezia aveva incontrato Lucìa, ecco Giovanni Paolo II: il “Papa di Fatima” nonché «protagonista della terza parte del segreto». Il Papa che a Fatima nel 1982 non esita a riconoscere che la Vergine gli ha salvato la vita, che ripete la consacrazione del mondo (13 maggio ‘82 e 25 marzo ‘84), che beatifica i due pastorelli che ora Francesco canonizza; che ha consentito la divulgazione del terzo segreto con tanto di “guida alla lettura” dell’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, il cardinale Joseph Ratzinger. Sì, il futuro Benedetto XVI, che nel 1996 a Fatima, ricordò l’invito vero di Maria che «parla ai piccoli per mostrarci quanto è necessario sapere: cioè, prestare attenzione all’unico necessario: credere in Gesù Cristo» . Quanto al resto ci vengono in mente solo le parole di Paul Claudel che definì Fatima «un’esplosione traboccante del sovrannaturale in un mondo dominato dal materiale».
LEGGI ANCHE: Fatima, mistero e profezia del Novecento
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* www.lastampa.it, 10.05.2017.
La Madonna dei "fujenti". Quando Gomorra cerca redenzione
Ingresso al santuario della Madonna dell’Arco: una donna sviene e viene soccorsa dalla folla di fedeli
Corrono dalla Madre. A piedi nudi e vestiti di bianco. Li chiamano fujenti, perché non camminano, ma fuggono. Macinano chilometri per arrivare al Santuario della Madonna dell’Arco. Che si trova a Sant’Anastasia, a due passi dagli stabilimenti Fiat di Pomigliano d’Arco, sotto la mole incombente del Vesuvio. Tutti i reportage fotografici di R2
di MARINO NIOLA foto MARIO SPADA *
Ogni anno il giorno di Pasquetta, centocinquantamila persone provenienti da tutta la Campania si precipitano a rendere omaggio a questa madonna dal volto ferito, che ha sanguinato prima di tutte le altre. Ed è proprio la ferita, simbolo di un dolore antico, all’origine di questo culto.
Si racconta che il lunedì in Albis del millecinquecento, un giocatore di palla a maglio, un antenato del baseball, furibondo per aver perso la partita, colpì con la palla di legno il volto della Vergine affrescato sotto l’arco di un acquedotto romano. L’immagine si mise a sanguinare miracolosamente e l’uomo, colto da una frenesia inarrestabile, cominciò a correre e a saltellare come un posseduto. Diventando così il primo dei fujenti. Che da allora alla sacra icona chiedono grazie e soprattutto consolazione.
È un rito terapeutico che cura le ferite di un quarto stato senza sol dell’avvenire. Di un’umanità interinale, fatta di disoccupati, cassintegrati, sottoproletari, immigrati. Vite in croce che le splendide foto di Mario Spada restituiscono in tutta la loro violenza coreografica. Da sacra rappresentazione di periferia. Dove gesti antichi di autoumiliazione riemergono dalle profondità di una storia dimenticata. Sono i penitenti di Gomorra. Molti di loro strisciano con la lingua per terra fino all’altare. Le madri di Scampia e della Sanità avanzano sulle ginocchia portando in braccio i figli malati. In tanti gridano al cielo la loro domanda di lavoro. E quando incrociano lo sguardo di questa Madre sanguinante vanno in transe, come accadeva anticamente agli adepti del culto di Cibele, la Grande Madre mediterranea. Il cui tempio si trovava esattamente dove adesso c’è la chiesa.
Proprio come in un antico rito di passaggio, i pellegrini si gettano nell’abisso del sacro a braccia aperte e con gli occhi nel nulla. Così la devozione diventa teatro. Non finzione ma religione popolare. Che non è roba intellettuale, teologia occhiuta, algide astrazioni, sottili introspezioni. Qui il sacro danza sui corpi, rimbalza sui volti. E viene messo a dura prova da queste schiere di donne minacciose che portano segni di pace, mentre i loro volti duri e provati sono quelli di un popolo in guerra.
Le coreografie dei devoti hanno un’energia corale, quasi un rigore militare. Le paranze dei fujenti sfilano tutte in divisa. Le loro parate, provate e riprovate, trasformano in un sol corpo queste mille umanità minori, che sembrano abitare in un secolo della storia che non è il nostro. E che si ritrovano tutte insieme a celebrare un rito pasquale dove la penitenza cattolica e i riti pagani della primavera, il Cristo che risorge e la natura che rinasce, diventano una cosa sola.
Mentre nella penombra della chiesa carica d’incenso i pellegrini vivono il loro faccia a faccia con la grande Madre, dall’esterno giunge il battito ostinato delle tarantelle e delle tammurriate. Le note dei sassofoni, che ritmano il passo intonando la canzone del Piave, si mescolano a un canto solitario che chiama a raccolta «Chi è devoto alla Mamma dell’Arco ». Sembra il richiamo di un muezin e risveglia antichi echi che si richiamano da una sponda all’altra del Mediterraneo.
*IL FOTOGRAFO
Mario Spada lavora sul territorio napoletano dal 1996. Ha collaborato con agenzie italiane come Grazia Neri, Contrasto e Alinari. Nel 2001 vince il premio “ Canon giovani fotografi” con un reportage sugli ultras partenopei e il premio del Festival di Savignano con un lavoro sui pitbull da combattimento. Nel 2013 fonda Il Centro di fotografia indipendente, associazione per promuovere la fotografia a Napoli. Info www.mariospada.it
* la Repubblica, 19 aprile 2017 (ripresa parziale - senza immagini).
«Per grazia ricevuta»: a Pompei una grande mostra mette a confronto la devozione religiosa antica e moderna
di Si.Spe (Il Sole-24 Ore, 24 aprile 2016)
«Per grazia ricevuta»: è questa la formula che accompagna, da tempo immemorabile, le offerte votive dei fedeli a Dio per aver esaudito le preghiere. Ex voto suscepto, «secondo promessa fatta» era, invece, l’antica formula latina per esprimere una identica gratitudine nei confronti delle divinità pagane. La preghiera di supplica e di ringraziamento è così spesso accompagnata da un voto: una promessa a Dio, o alle divinità pagane, di adempiere «qualcosa» offrendo anche uno spontaneo ringraziamento al santuario. L’offerta dell’oggetto è il «segno» di questa riconoscenza, e diviene perciò un atto di culto e di devozione divina.
È dedicata a questo tema la grande mostra che aprirà il 29 aprile a Pompei, con la riapertura dell’Antiquarium degli scavi archeologici, intitolata «Per Grazia Ricevuta. La devozione religiosa a Pompei antica e moderna». L’esposizione vuole approfondire proprio questo rapporto intimo e personale dell’uomo con la trascendenza che si perpetua nei secoli passando dal mondo antico pagano al mondo cristiano in una sorprendente continuità di espressione nel rispetto della profonda diversità delle due religioni. foto
Per la prima volta, infatti, vengono messi a confronto i rituali e le offerte votive che gli antichi Sanniti e Romani di Pompei donavano alle divinità pagane con quelli che i Cristiani, ancora oggi, offrono al Santuario della Madonna del Rosario. Ne emerge uno stringente parallelismo che, cambiati i tempi e le religioni, si perpetua in un rituale e in un «linguaggio» di offerte votive identiche nelle forme.
La mostra si articola in tre sezioni:
Sacra pompeiana, sezione archeologica;
Dall’iconografia pagana all’iconografia cristiana;
La devozione mariana nel santuario della Beata Vergine del Rosario.
Il percorso espositivo si integra inoltre con sezioni tematiche allestite nel Santuario della Beata Vergine del Rosario e nell’area degli scavi: dal tempio di Apollo al tempio di Iside, dalla domus del Menandro al Termopolio di Vetutio Placido, al fine di promuovere un momento di aggregazione culturale tra il turismo dell’area archeologica e il pellegrinaggio religioso.
Per l’occasione verrà riaperto al pubblico, dopo una chiusura decennale, lo storico Antiquarium di Pompei, allestito da Giuseppe Fiorelli intorno al 1870 per conservare la grande quantità di reperti rinvenuti nell’area archeologica.
La mostra - curata da Francesco Buranelli e Massimo Osanna - è promossa da una sinergia fra la Soprintendenza Pompei e il Santuario della Beata Vergine del Rosario, con la collaborazione del Centro Europeo per il Turismo e la Cultura presieduto da Giuseppe Lepore e il supporto organizzativo di Civita Mu.Se.A. , in occasione del Giubileo indetto da Papa Francesco. La protezione delle opere esposte è sostenuta dalla Fondazione Enzo Hruby
«Per Grazia Ricevuta. La devozione religiosa a Pompei antica e moderna»
Pompei, Antiquarium degli Scavi
29 aprile - 27 novembre 2016
Orario: dal lunedì alla domenica 9 - 19
Ingressi: Porta Marina, Piazza Esedra
La devozione mariana
Nostra Signora di maggio
La tradizione cattolica dedica questo mese alla Vergine Maria, la figura forse più invocata dai fedeli e citata dagli scrittori, da Dante a Pasolini. E venerata persino nel Corano
di Gianfranco Ravasi s.j. (Il Sole-24 Ore, Domenica, 01.05.2016)
Anche chi non ha più nessuna pratica religiosa conserva il ricordo del mese di maggio come del tempo dedicato alla madre di Gesù, Maria, contrassegnato in passato dai cosiddetti “fioretti”, piccoli sacrifici da offrire alla Vergine. È, questa, una devozione tipicamente italiana, iniziata nel Settecento e poi diffusa in altre nazioni, soprattutto in connessione col mondo agrario e la stagione primaverile. Studiosi importanti della pietà popolare, come il famoso francescano svizzero Giovanni Pozzi (1923-2002) e il sacerdote lucano-romano Giuseppe De Luca (1898-1962), vagliarono a livello storico-critico e letterario questo imponente fenomeno socio-religioso. Si pensi che uno dei vari libretti destinati a incrementare la qualità mariana del maggio italiano, il Mese di Maria di Alfonso Muzzarelli, pubblicato a Ferrara nel 1785, ebbe in pochi decenni più di 150 edizioni!
A questo proposito è significativo registrare un dato pastorale ancor oggi rilevante, nonostante l’onda secolarizzante. Il prossimo 8 maggio sarò a Pompei, invitato a presiedere la celebre Supplica alla Madonna nella piazza antistante il noto santuario mariano eretto tra il 1876 e il 1939, meta di pellegrini ma anche di turisti provenienti dai vicini scavi archeologici.
Alla base di questa tradizione popolare c’è uno scritto di un avvocato, Bartolo Longo, che consacrò tutta la sua vita (1841-1926) alla cura dei malati e dei poveri: esso s’intitola I quindici sabati del santissimo rosario (1877), e quella che ho tra le mani è la 75a edizione datata 1981! Ma per rendere ragione dell’ampiezza sotterranea di questa letteratura devozionale mariana, si pensi che lo scritto più noto del Longo, la Novena d’impetrazione alla SS. Vergine del rosario di Pompei (1889), nell’esemplare che ho potuto consultare, datato 1974, si nota che si tratta della 1153a edizione!
La devozione mariana popolare è certamente una realtà pastorale di grande rilievo (basti citare i santuari di Loreto, Lourdes, Fatima e il recente e problematico caso “Medjugorje”), ma lo è anche a livello di antropologia culturale, tant’è vero che la bibliografia è, al riguardo, sterminata. Né si deve escludere la più specifica riflessione teologica, la cosiddetta “mariologia” che si affida ormai a vere e proprie biblioteche di trattati, dizionari, saggi, riviste, accademie, centri di ricerca: uno studioso, Tiziano Civiero, segnalava che «una buona biblioteca mariana è composta da non meno di 20-23mila volumi». Si pensi, poi, al risalto che ha la figura della madre di Gesù nel dialogo interreligioso con l’Islam. Maryam, infatti, è l’unica donna chiamata per nome nel Corano che le intitola un’intera sura, la XIX, e la evoca in molte altre, in particolare la III.
Anche la tradizione musulmana le assegna la missione alta di generare verginalmente il profeta Gesù attraverso lo spirito di Dio. La invoca, poi, Sayyidatunâ, «nostra Signora» e la considera una delle quattro donne sante per eccellenza, con la figlia del faraone che salvò Mosè, con Cadigia e Fatima, rispettivamente moglie e figlia di Maometto. Nel giorno del giudizio sarà la prima, tra le donne e gli uomini, ad avanzare davanti al Dio giudice supremo, espletando così una funzione di intercessione. Ma ritorniamo alla mariologia cristiana per segnalare un evento particolare che si collega al discorso precedente sull’impatto che questa figura ha nel cristianesimo, non solo cattolico (si pensi allo spicco che ha Maria nella liturgia, nella spiritualità, nell’arte ortodossa delle icone e nella stessa letteratura religiosa, ad esempio, con lo splendido inno Acatisto).
Pochi giorni fa, il 28 aprile, è caduto il terzo centenario della morte di un sacerdote francese, Luigi-Maria Grignion de Monfort, nato a Monfort-sur-mer in Bretagna nel 1673, canonizzato da Pio XII nel 1947. La sua presenza nella storia della Chiesa è, certo, legata alle congregazioni religiose da lui fondate (in particolare la Compagnia di Maria, i Monfortani appunto, ai quali a Roma è persino intitolato un viale nella zona di Torrevecchia). Ma lo è soprattutto per l’impulso da lui dato alla spiritualità mariana. Nel 1713, infatti, egli compose un Trattato della vera Devozione a Maria Vergine che fu ritrovato solo nel 1842 e pubblicato l’anno successivo: da allora ebbe più di quattrocento edizioni e divenne un classico del genere. La sua era un’impostazione ben lontana da un certo devozionismo esasperato e persino degenerato che si registra anche ai nostri giorni e che è più da rubricare come un fenomeno psico-sociologico, ben evidente in molte attestazioni pubbliche e personali eccessive.
Il suo, infatti, era un attento dosaggio tra dottrina e sentimento, con la stella polare della cristologia, destinata a guidare il “vero” percorso devozionale. Non per nulla l’impegno pastorale dominante in Grignion de Monfort erano le missioni predicate al popolo: durante la sua vita ne compì ben duecento nelle aree rurali di Francia con la meta finale della rinnovazione delle promesse battesimali da parte del cristiano, che siglava un “patto di alleanza” con Dio per edificare un mondo più giusto e santo. Sono curiosi le incisioni e i disegni a noi pervenuti delle processioni di chiusura di queste missioni, con file immense di fedeli, come quella tenutasi il 16 agosto 1711 a La Rochelle, tutta al femminile. Questo aspetto nazional-popolare - a cui finora abbiamo fatto riferimento - non deve far dimenticare che esiste un’importante e mirabile letteratura mariana “alta”.
Si potrebbe, in questo senso, comporre un grandioso “canzoniere” mariano, naturalmente a partire da quello straordinario canto XXXIII del Paradiso dantesco, capace di intrecciare in armonia suprema la teologia con la poesia, meritatamente reso popolare da Benigni. Ma ci sarebbero subito da allegare Boccaccio, col sonetto O Regina degli angioli, o Maria, e Petrarca con la canzone Vergine bella, che di sol vestita, per non parlare del Pianto de la Madonna di Iacopone da Todi, giù giù fino al Tasso che canta la Madonna di Loreto, a Parini, Manzoni, Pascoli, Rilke, Ungaretti, e persino Pasolini che, nell’Usignolo della Chiesa Cattolica, ci ha lasciato un’Annunciazione e una Litania.
Sono molte, infatti, le presenze inattese di fronte alla «Vergine Madre, figlia del tuo figlio». Che il filosofo Vico componga un sonetto per la festa dell’Immacolata del 1742 a Napoli è comprensibile, ma che Sartre ateo dichiarato offra un’eccezionale e teologicamente impeccabile confessione personale di Maria mentre stringe tra le braccia il neonato Gesù può certamente sorprendere (la si legga nel dramma Bariona o il figlio del tuono, composto nello Stalag XII D di Treviri nel Natale 1940, ove il filosofo era internato). Noi, un po’ in anticlimax, evochiamo in finale il più popolare Trilussa con questi suoi versi semplici e delicati: «Quand’ero regazzino, mamma mia / me diceva: “Ricordati, figliolo, / quanno te senti veramente solo / tu prova a recità ’n’Ave Maria. / L’anima tua da sola spicca er volo / e se solleva, come pe’ maggia». / Ormai so’ vecchio, er tempo m’è volato; / da un pezzo s’è addormita la vecchietta, / ma quer consijo non l’ho mai scordato. / Come me sento veramente solo / io prego la Madonna benedetta / e l’anima da sola pija er volo!».
La Madonna della mafia
di don Aldo Antonelli (L’Huffinton Post, 11/07/2014
Guardo la foto e leggo il contesto. Una madonna, intronizzata come regina, incorniciata in una raggiera dorata, portata a spalle da una masnada di giovanotti biancovestiti, nel caos festante di una folla accalcata che non si capisce bene se prega, canta o chicchiericcia. Osservo la foto e mi chiedo quale rapporto può esserci tra questa "Madonna Regnante" e la semplice, umile ragazza di Nazareth di cui narrano i Vangeli. Mi domando come possa essere accaduto che colei che nel Magnificat inneggia al Dio che "depone i potenti dai troni", possa a sua volta sedere su un trono ed essere chiamata "Regina"! Come possa essere beffardamente ricoperta di ori e di argento la Madre di Colui che comandò ai suoi discepoli di non portare con sé né oro, né argento.
Siamo di fronte ad una metamorfosi depravata e deformante, funzionale ad una società auto-referente e lontana anni luce da quell’espressione di fede, coscienza critica della società, che la teologia più attenta vorrebbe evidenziare.
Secondo l’analisi funzionalistica di Emile Durkheim, la religione non è altro che un riflesso della società che venera se stessa. Con questa espressione, dalle connotazioni decisamente provocatorie, il grande sociologo intendeva sottolineare il carattere sociale e civile della religione, intesa come un sistema di riti grazie al quale una società si rinforza e crea legami profondi fra gli individui che la compongono. Secondo il sociologo francese, la religione serve alla società per salvaguardarsi, ma, soprattutto consente all’individuo di sentirsi parte di un’entità collettiva, nella quale assumere un ruolo definito. I riti religiosi, quindi, accompagnano le trasformazioni personali e sociali, permettendo, attraverso la loro capacità di regolamentare il caos e, insieme, di esprimere una forte carica simbolica, di creare, problematizzare e rafforzare le realtà sociali stesse.
Naturalmente, in una società mafiosa la religione diventa la legittimazione morale del sistema-mafia! In una società capitalistica, la religione consacra, facendone degli assoluti, i principi di "proprietà" e di "libertà"! In ambito politico, la religione si fa veicolo di consenso verso pratiche che pur contraddicendo i valori ne sposano la difesa. L’espressione più evidente di questo diabolico potere è offerta dal fenomeno di quelle persone che si definiscono come «atei devoti».
In questa formula, vi è evidente una contraddizione che, però, finisce con lo spiegare meglio il senso e le forme della religione civile. Scrive Marco Gallizioli sul numero 8 dal 2011 della rivista cattolica "Rocca", della Cittadella di Assisi: «Alcuni individui, infatti, pur negando validità trascendente alle religioni, ne sposano le linee etiche e ne ri-conoscono il valore insostituibile nel tessere un abito identitario dai colori netti. In altri termini, le fedi vengono svuotate del loro proprium, e imbalsamate nella loro funzione sociale, perché fungano da moltiplicatori di identità e di etica... Così facendo, la religione rischia di trasformarsi in una lobby di potere, che, grazie alle sue funzioni sociali, può giocare un ruolo decisivo nella politica degli stati, rischiando di mercificare la sua proposta spirituale».
Analisi precisa, puntuale e senza sconti di parte. A mio avviso, tanta strumentalità e, diciamolo pure, tanto abbrutimento è stato possibile anche grazie agli interessi di bottega e/o alle pigrizie di comodo di una chiesa e di un clero più inclini a tradurre la fede nella comoda e compensativa religiosità popolare che impegnati alla difficile e scomoda testimonianza. In questo, grande supporto è dato dalla teologia di palazzo, tutta ideologia e affatto evangelica. Ma qui si apre un altro discorso.
Per ora dobbiamo dire grazie al richiamo forte di papa Francesco e allo scandalo salutare di Oppido Mamertina.
Malala: “I libri che mi aiutano a combattere”
“Amo gli scrittori che fanno conoscere mondi e storie di cui non so nulla”
La ragazza pachistana, vittima della violenza dei taliban, racconta cosa legge
di Jodi Kantor (la Repubblica, 29.08.2014)
MALALA , quale libro stai leggendo in questo periodo?
«Sto leggendo Uomini e topi di John Steinbeck, che è nell’elenco dei libri previsti dal programma scolastico. È un libro corto, ma pieno di molte cose. Rispecchia la situazione degli anni Trenta in America. Sono rimasta affascinata leggendo come erano trattate le donne a quei tempi e che vita facessero i poveri lavoratori itineranti. I libri riescono a cogliere e riflettere le ingiustizie in un modo che ti colpisce e ti resta impresso, ti fa venir voglia di fare qualcosa per risolverle. È per questo motivo che sono così importanti».
Qual è l’ultimo libro che hai letto?
« L’alchimista di Paulo Coelho. Mi piace perché è pieno di speranza e ispirazione».
Quali sono i tuoi scrittori contemporanei preferiti?
«Deborah Ellis (autrice di Il viaggio di Parvana ) e Khaled Hosseini ( Il cacciatore di aquiloni ). Entrambi raccontano storie di giovani che vivono in circostanze difficili, devono fare scelte complesse e trovare la forza di andare avanti. Dipingono in maniera molto accurata le regioni lacerate dai conflitti. Mi piacciono gli scrittori che possono farmi conoscere mondi di cui non so nulla, ma i miei autori preferiti sono quelli capaci di creare personaggi o realtà che sento realistici e familiari, o che riescono a ispirarmi. Ho scoperto i libri di Deborah Ellis nella biblioteca della mia scuola. È accaduto dopo non molto che ero arrivata in Gran Bretagna, e i miei amici mi mancavano moltissimo. Leggere dell’Afghanistan mi ha fatto quasi sentire di nuovo a casa mia. Questo è il potere dei libri: riescono a portarti anche in posti irraggiungibili».
Qual è lo scrittore che preferisci in assoluto?
«Paulo Coelho».
Quali libri raccomanderesti ai giovani di leggere per comprendere la terribile situazione della vita delle ragazze e delle donne pachistane oggi?
« La città di fango, parte della trilogia Il viaggio di Parvana.
Questa serie mi ha letteralmente catturato... non sono riuscita a staccarmene più. Ellis racconta magnificamente l’infanzia in paesi lacerati dalla guerra come l’Afghanistan e il Pakistan».
C’è un libro che vorresti che tutte le bambine del mondo leggessero? Uno che secondo te tutti gli studenti dovrebbero leggere?
« Sotto il burqa, sempre di Deborah Ellis. Il libro narra la storia di una bambina che raccoglie la sfida di salvare la sua intera famiglia. Io penso che tutte le bambine del mondo debbano imparare come sono trattate le donne in alcune società. Ma anche se Parvana è trattata come una inferiore ai maschi e agli uomini, non si sente mai tale. Crede in sé stessa ed è più forte nella sua lotta contro la fame, la paura e la guerra».
Ci sono stati alcuni libri in particolare che ti hanno aiutato a superare il processo di guarigione dopo l’attentato che hai subito per mano dei taliban?
« Il meraviglioso mago di Oz è stato il primo libro che ho letto in ospedale. Per un po’ ho sofferto di forti mal di testa e non potevo concentrarmi su niente. È un libro adorabile, uno dei 25 che mi ha spedito in regalo l’allora premier inglese Gordon Brown, ed è stato il mio preferito».
Quali libri potremmo stupirci di trovare nella tua libreria?
«Breve storia del tempo di Stephen Hawking. L’ho letto in un periodo in cui la vita nel distretto pachistano di Swat era molto difficile. Mi serviva per distrarmi, per evadere dalla paura e dal terrorismo e farmi pensare ad altro cose, per esempio come ebbe inizio l’universo e se è possibile viaggiare nel tempo».
Qual è stato l’ultimo libro che ti ha fatto ridere?
«Il piccolo principe».
E l’ultimo libro che ti ha fatto piangere?
«Non ho mai pianto leggendo un libro».
L’ultimo libro che ti ha fatto infuriare, allora...
«Il mio! È stato molto difficile scriverlo, soprattutto perché volevamo che fosse tutto giusto e che uscisse in un breve arco di tempo. Le giornate di lavoro erano lunghissime, ma ne è valsa davvero la pena».
Che cosa ricordi dei tuoi libri e delle tue letture da bambina?
«Uno dei primi libri che ho letto si intitolava Mai tornerò indietro : era la storia di una bambina che si batteva per i diritti delle donne e l’istruzione in Afghanistan. Ho letto anche una biografia di Martin Luther King, adattata per giovani lettori. In realtà, però, non ho letto tanto da piccola. Nel mio paese molti bambini non frequentano la scuola e non imparano a leggere. In molti non possono permettersi l’acquisto dei libri, e la maggior parte di questi ultimi è di seconda mano.
Io sono stata molto fortunata ad avere avuto un padre che considerava importante l’istruzione e che io fossi in grado di leggere. Uno dei momenti più indimenticabili della mia vita è quando mi è stato chiesto di inaugurare la Biblioteca di Birmingham, la più grande e nuova d’Europa. Non avevo mai visto così tanti libri, tutti accessibili ai membri della comunità. Se solo i bambini pachistani avessero accesso ai libri!».
Se tu potessi obbligare il presidente americano a leggere un unico libro, quale sarebbe?
«Mi piacerebbe suggerirgli di leggerne molti, e tra i tanti anche Il cacciatore di aquiloni, Il piccolo principe, o forse L’alchimista se volesse estraniarsi dal mondo reale e tuffarsi in un mondo immaginario».
E se potessi obbligare il Primo ministro pachistano a leggere un unico libro, quale sarebbe?
«Vorrei suggerirgli Mai tornerò indietro , la storia di Meena, eroina dell’Afghanistan e fondatrice del Rawa, l’Associazione rivoluzionaria delle donne afgane. E anche Mille splendidi soli».
Qual è il libro più bello che tu abbia mai letto?
« L’alchimista».
E il peggiore?
«Penso che sarebbe irrispettoso dirlo, ma in effetti di recente ne ho letto uno che ho trovato terribile».
Traduzione di Anna Bissanti © 2014 The New York Times
Posa della prima pietra, benedetta da papa Francesco, del Santuario della Madonna dello Scoglio. Il vescovo Morosini: “Digitus Dei est hic (Il dito di Dio è qui)!”
di GIUSEPPE CAVALLO (15 giugno 2013)
SANTA DOMENICA DI PLACANICA (RC) - Migliaia di volti segnati da lacrime di gioia e di commozione, hanno caratterizzato la cerimonia della posa della prima pietra, benedetta da papa Francesco, del santuario della Madonna dello Scoglio.
Lo storico evento ha avuto luogo a Santa Domenica di Placanica, sabato primo giugno. “Oggi stiamo vivendo un momento storico” - ha dichiarato monsignor Morosini, che ha presieduto tutte le sacre funzioni - “perché la posa della prima pietra della costruzione della nuova chiesa, dedicata alla Madonna dello Scoglio, rappresenta un momento importante per molti pellegrini che, grazie ad essa, vedranno alleviati tanti disagi che hanno patito da oltre quarant’anni. In questo periodo” - ha espresso il successore degli apostoli - “Fratel Cosimo, fondatore di quest’opera mariana, è stato l’architetto spirituale, per centinaia di migliaia di persone. Ora, l’architetto Occhiuto, si occuperà della costruzione materiale.”
Il pastore della Diocesi di Locri - Gerace ha continuato dicendo: “Molti si pongono la domanda del perché tanta gente, da oltre quarant’anni continua a venire, costantemente, allo Scoglio. Notando l’ambiente circostante, le difficoltà viarie e la mancanza di opere d’arte o di svago la risposta non può essere che unica: digitus Dei est hic (Qui c’è il dito di DIO). Lo dimostrano la pietà dei fedeli, le code presso i confessionali, la preghiera silenziosa di fronte alla statua della Vergine, il raccoglimento e il silenzio” - ha concluso - “durante le celebrazioni sacre.”
Dal proprio canto, l’umile Fratel Cosimo Fragomeni, ormai noto a livello planetario per le sue virtù e carismi ma, soprattutto, per la sua totale dedizione verso il prossimo, a cominciare dagli ammalati e sofferenti, non è riuscito a trattenere le lacrime, coinvolgendo anche il vescovo della diocesi di Locri - Gerace, monsignor Morosini, la fiumana di fedeli e i tanti sacerdoti convenuti per il solenne avvenimento i quali hanno confessato, ininterrottamente, per oltre dodici ore. Dopo circa dieci lustri, in effetti, si concretizza il desiderio della Madre di Dio, espresso a Fratel Cosimo in una delle Sue apparizioni, nel lontano 1968: “Ti chiedo il favore di trasformare questa valle; qui desidero un grande centro di spiritualità, dove le anime troveranno pace e ristoro. In questo luogo,” - disse la Vergine Maria Immacolata all’allora diciottenne mistico - “Dio vuole aprire una finestra verso il cielo; qui, per la mia mediazione, vuole manifestare la Sua misericordia!”.
La pietra, benedetta dal Papa in presenza del vescovo e di Fratel Cosimo, a Piazza San Pietro, è stata solennemente trasportata presso il sagrato durante il ricco programma liturgico dell’intensa giornata che ha registrato, sotto l’occhio attento delle telecamere RAI e della Tv vaticana Sat 2000, oltre che di Telemia e di altri canali stranieri: una evangelizzazione di Fratel Cosimo, la solenne concelebrazione eucaristica, la processione con il Santissimo Sacramento, la preghiera di intercessione dell’umile uomo di Dio. Poi, il vescovo Morosini ha guidato il corteo che si è portato sull’area destinata alla posa della prima pietra.
In prima fila, oltre al vicario generale della curia locrese, monsignor Femia e ai tanti sacerdoti della diocesi e di varie parti d’Italia, c’erano: l’assessore regionale ai lavori pubblici, Giuseppe Gentile, il consigliere regionale Candeloro Imbalzano, il consigliere provinciale, Francesco Cananzi, l’architetto progettista nonché sindaco di Cosenza, Mario Occhiuto, il sindaco di Placanica, Antonio Condemi; la sovrintendente ai beni archeologici, Maria Teresa Jannelli.
Dopo la lettura della pergamena papale, a cura del cancelliere diocesano e segretario del vescovo, don Nicola Vertolo, copia della stessa e di altre, con le firme, del vescovo, di Fratel Cosimo, dei membri della fondazione, delle figure istituzionali presenti, compresi gli esponenti delle forze dell’ordine, del sindaco e del progettista, dei tecnici, del responsabile degli operai, di alcuni membri della comunità mariana, del gruppo di apostolato e preghiera Testimoni del Santo Rosario, fondato da Fratel Cosimo e di tanti pellegrini presenti, si è passati alla posa della pietra, in una apposita buca. Dopodiché a ruota, il vescovo, il vicario, Fratel Cosimo, il sindaco e il progettista hanno lanciato del cemento, con una cazzuola, sopra di essa per dare simbolicamente il via ai lavori. Una valle desolata che sta divenendo, in costante evoluzione, uno dei santuari più importanti del mondo.
Fratel Cosimo, come al solito umile, serio e schivo, non ha fatto cenno al suo recente cordiale incontro personale con papa Francesco, ma si è limitato a ribadire che il Santuario che nascerà “sarà degno della Madonna e di tutti i Suoi devoti.”
Messaggi augurali, per la posa della prima pietra, sono giunti sia da parte del governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti, sia da tanti sacerdoti e pellegrini di varie nazioni europee ed extraeuropee, devoti della Vergine Santissima dello Scoglio.
Il prossimo appuntamento particolare di preghiera, accanto ai consueti incontri pomeridiani, con i sacerdoti e Fratel Cosimo, del mercoledì, del sabato e della domenica, è stato previsto per sabato sei luglio e sarà sempre presenziato dal successore degli apostoli. Il lunedì, martedì, giovedì e venerdì, invece, si prega, alle ore 19.00, con il Santo Rosario, assieme a Fratel Cosimo, dinnanzi allo Scoglio benedetto. GIUSEPPE CAVALLO
I preti e i boss
di Roberto Saviano (la Repubblica, 22 marzo 2014)
Le parole pronunciate dal Papa sono parole definitive. Tuonano forti non a San Pietro dove saranno risultate naturali, persino ovvie. Tuonano epocali a Locri, Casal di Principe, Natile di Careri, San Luca, Secondigliano, Gela.
E in quelle terre dove l’azione mafiosa si è sempre accompagnata ad atteggiamenti religiosi ostentati in pubblico. Chi non conosce i rapporti tra cosche e Chiesa potrà credere che sia evidente la contraddizione tra la parola di Cristo e il potere mafioso. Non è così. Per i capi delle organizzazioni criminali il loro comportamento è cristiano e cristiana è l’azione degli affiliati. In nome di Cristo e della Madonna si svolge la loro vita e la Santa Romana Chiesa è il riferimento dell’organizzazione.
Per quanto assurdo possa apparire il boss - come mi è capitato di scrivere già diverse volte - considera la propria azione paragonabile al calvario di Cristo, perché assume sulla propria coscienza il dolore e la colpa del peccato per il benessere degli uomini su cui comanda. Il “bene” è ottenuto quando le decisioni del boss sono a vantaggio di tutti gli affiliati del territorio su cui comanda. Il potere è espressione di un ordine provvidenziale: anche uccidere diventa un atto giusto e necessario, che Dio perdonerà, se la vittima metteva a rischio la tranquillità, la pace, la sicurezza della “famiglia”.
C’è tutta una ritualità distorta di provenienza religiosa che regola la cultura delle cosche. L’affiliazione alla ‘ndrangheta avviene attraverso la “santina”, l’effigie di un santo su carta, con una preghiera. San Michele Arcangelo è il santo che protegge le ‘ndrine: sulla sua figura si fa colare il sangue dell’affiliato nel rito dell’iniziazione. Padre Pio è il santo la cui icona è in ogni cella di camorrista, in ogni casa di camorrista, in ogni portafoglio di affiliato.
Nicola, ex appartenente al clan Cesarano ha raccontato: “Mi sono salvato una volta, quando ero giovane, perché un proiettile è stato deviato. I medici mi hanno detto che è stata una costola a evitare che il colpo fosse mortale. Ma io non ci credo. Quello che mi ha sparato mi ha sparato al cuore, non è stata la costola, è stata la Madonna”.
La Madonna, oggetto di preghiere: è a lei che ci si rivolge per sovrintendere gli omicidi. In quanto donna e madre di Cristo sopporta il dolore del sangue e perdona. Rosetta Cutolo veniva trovata in chiesa nelle ore delle mattanze ordinate da don Raffaele: pregava la Madonna di intercedere presso Cristo per far comprendere che la condanna a morte e la violenza era necessaria.
A Pignataro Maggiore esiste “la madonna della camorra” che il defunto boss Raffaele Lubrano ucciso in un agguato nel 2002, fece restaurare a sue spese, nella sala Moscati attigua alla chiesa madre. Anche Giovanni Paolo II aveva pronunciato - il 9 maggio del 1993 ad Agrigento - un attacco durissimo alla mafia: “convertitevi una volta verrà il giudizio di Dio”. Due mesi dopo i corleonesi misero una bomba a San Giovanni in Laterano.
Ma Francesco I non parla solo a chi spara: ha abbracciato i parenti delle vittime della mafia, ha abbracciato don Luigi Ciotti, un sacerdote che non era mai stato accolto da un pontefice in Vaticano e con Libera è diventato l’emblema di una chiesa di strada, che si impegna contro il potere criminale. La chiesa di don Diana, che fu lasciato solo a combattere la sua battaglia.
Oggi Francesco invita a stare a fianco dei don Diana. Le sue parole rompono l’ambiguità in cui vivono quelle parti di chiesa che da sempre fanno finta di non vedere, che sono accondiscendenti verso le mafie, e che si giustificano in nome di una “vicinanza alle anime perdute”.
Gli affiliati non temono l’inferno promesso dal Papa: lo conoscono in vita. Temono invece una chiesa che diventa prassi antimafiosa. Le parole di Francesco I potranno cambiare qualcosa davvero se la borghesia mafiosa sarà messa in crisi da questa presa di posizione, se l’opera pastorale della chiesa davvero inizierà a isolare il danaro criminale, il potere politico condizionato dai loro voti. Insomma se tutta la chiesa - e non solo pochi coraggiosi sacerdoti - sarà davvero parte attiva nella lotta ai capitali criminali. Dopo queste parole o sarà così o non sarà più Chiesa.
L’antichissimo pellegrinaggio in onore della Madonna ha origine in un miracolo del tredicesimo secolo
Ma già molti secoli prima di Cristo salivano a Montevergine i preti eunuchi della grande madre nera
La processione dei femminielli sulle orme della dea Cibele
di Marino Niola (la Repubblica, 31.04.2014)
Sfidano il freddo e il gelo dell’Irpinia per arrivare al santuario in cima al monte. È la schiera dei femminielli, i celebri travestiti adepti della Madonna nera che il 2 febbraio di ogni anno festeggiano la Candelora, arrampicandosi fino alla sommità del Partenio. Millequattrocento metri di salita nello spazio e duemila anni di discesa nel tempo.
Fino alle profondità dell’immaginario mediterraneo e delle sue divinità femminili.
Sulla vetta impervia di Montevergine, che guarda dall’alto in basso il Vesuvio, il popolo gay incontra da sempre la sua Signora, la Mamma Schiavona “che tutto concede e tutto perdona”. L’intera costellazione raccolta sotto la sigla LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender) diventa di fatto la nuova protagonista di un antichissimo pellegrinaggio in onore della Vergine. Che la comunità omo ha eletto da tempo a sua protettrice.
Secondo la leggenda fu proprio lei, nel 1256, a salvare due giovani omosessuali che, in seguito allo scandalo provocato dalla loro relazione, erano stati legati a un albero e abbandonati a morire di stenti sulla montagna. Il miracolo fu visto come un segno di tolleranza soprannaturale e da allora i femminielli divennero devotissimi della Madonna di Montevergine. Ma in realtà, questa balza vertiginosa, sospesa tra nidi d’aquile e tane di lupi, è da sempre meta prediletta di una umanità en travesti.
Infatti, molti secoli prima di Cristo a salire quassù erano i Coribanti, i preti eunuchi di Cibele, la grande madre nera, simbolo femminile della natura. Il suo tempio sorgeva proprio dove adesso c’è il santuario mariano. I sacerdoti si eviravano ritualmente per offrire il loro sesso in dono alla dea e rinascere con una nuova identità. Si vestivano da donne con sete gialle, arancione, rosa e altri colori sgargianti. Si truccavano pesantemente gli occhi e attraversavano in gruppo le città suscitando un misto di curiosità morbosa e di scandalo, anche per il loro erotismo esibito e la sfrontatezza delle loro provocazioni sessuali.
Insomma queste processioni orgiastiche a base di canti, balli e suoni di tamburo erano in qualche modo i Gay Pride dell’antichità. E proprio come allora, anche ora l’esagerazione è di rito. Travestimenti, canzoni, suoni, crepitio di nacchere e battito di tammorre accompagnano l’ingresso in chiesa. Poi il silenzio cala improvviso e si leva alta un’invocazione salmodiante, tra la litania del muezin e ilgrido dei venditori, che chiama a raccolta le figlie della Mamma schiavona, facendo risuonare nel presente un’eco mediterranea lontana.
A intonarla è il noto artista folk Marcello Colasurdo, ex operaio dell’Alenia di Pomigliano d’Arco, a lungo frontman del Gruppo musicale E’ Zezi e cantore ufficiale della galassia LGBT. “Non c’è uomo che non sia femmina e non c’è femmina che non sia uomo”, ripete come un mantra. Mentre all’esterno il rito lascia affiorare tutto il suo fondo pagano e le figure sensuali della tammurriata ricordano in maniera impressionante le danze degli affreschi pompeiani. Veli volteggianti, fianchi roteanti, gesti ammiccanti. Pier Paolo Pasolini, stregato dal fascino arcaico di queste nenie rituali, nel 1960 volle registrarle personalmente dalla viva voce delle devote per usarle come colonna sonora del suo Decameron. E ancor prima, Zavattini e De Sica parteciparono al pellegrinaggio dei femminielli quando erano in cerca di ispirazioni per “L’oro di Napoli”.
Il carattere pagano del culto ha spesso provocato scontri con l’autorità ecclesiastica. In due occasioni, nel 2002 e nel 2010, l’abate del santuario ha scacciato i gay dalla chiesa scagliando su di loro un vero e proprio anatema. Che ha suscitato lo sdegno del mondo progressista e non solo.
Ma i coribanti di oggi non si lasciano intimidire da diktat così poco evangelici. Loro vogliono bene alla Madonna e la Madonna vuol bene a loro, il resto non conta. E si mostrano ogni anno più determinati nel trasformare il pellegrinaggio in occasione politica, in piattaforma democratica di lotta contro l’omofobia che ancora affligge il nostro paese.
Tra i più agguerriti Porpora Marcasciano (presidente del MIT - movimento identità trasgender - di Bologna), e Vladimir Luxuria. Che ogni anno sale a Montevergine per onorare la Madonna nera. Perché, tiene a dire, “da secoli le persone diverse si sono riconosciute in questa Madonna diversa. Una madre che guarda solo nel nostro cuore e non si interessa all’involucro che lo contiene”.
Così la rivendicazione dei nuovi diritti fa suo un simbolo ancestrale. Avvicinando i due lembi estremi della storia. Un passato millenario e un futuro necessario. E al di là di tutti i distinguo politically correct e delle nuove sigle identitarie, quel giorno si diventa tutti femminielli. Anime femmine in corpi mutanti. Diversamente uguali nel nome della Madre.
Ave Maria laica
di Vito Mancuso (la Repubblica, 2 settembre 2013)
Dopo l’Inchiesta su Gesù con Mauro Pesce (2006) e sul Cristianesimo con Remo Cacitti (2008), Corrado Augias giunge al tema delicatissimo di Maria, l’umile donna diventata con il tempo Madonna, cioè Mea Domina, Mia Signora, termine di origine aulica che prima di entrare nel lessico religioso ricorreva nella poesia cortese della Scuola siciliana e del Dolce Stil Novo. La guida cui Augias si affida per districarsi nel labirinto di testi sacri, dogmi, apparizioni e devozioni mariane è Marco Vannini, noto studioso di mistica e autore di numerosi saggi che sfidano la concezione tradizionale della religione.
Ho parlato di labirinto perché in effetti questa è la condizione della lussureggiante costruzione teologica e devozionale cresciuta nei secoli sulla base dei pochi passi evangelici concernenti la madre di Gesù. In singolare contrasto con la sobrietà biblica, la tradizione cattolica ha infatti elaborato la massima «de Maria numquam satis», «su Maria mai abbastanza», generando così più di 30 celebrazioni mariane all’anno, 4 dogmi, le 150 avemarie del Rosario (di recente diventate 200 con l’aggiunta di nuovi “Misteri”), le 50 Litanie lauretane e una serie sterminata di altre devozioni, chiese, ordini religiosi, antifone, musiche, immagini, santuari.
Leggendo il libro (che esce poco prima dell’arrivo a Roma, il 13 ottobre prossimo, della statua della Madonna di Fatima, una delle più celebri Madonne accanto a quelle di Loreto, Lourdes, Czestochowa, Guadalupe, Medjugorje) pensavo spesso al padre domenicano Yves Congar (1904- 1995), benché nel libro non sia nominato. Teologo stimatissimo, creato cardinale da Giovanni Paolo II per la preziosità del suo pensiero, Congar annotava nel diario tenuto durante il Vaticano II e pubblicato postumo nel 2002: «Mi rendo conto del dramma che accompagna tutta la mia vita: la necessità di lottare, in nome del Vangelo e della fede apostolica, contro lo sviluppo, la proliferazione mediterranea e irlandese, di una mariologia che non procede dalla Rivelazione ma ha l’appoggio dei testi pontifici » (22.9.61).
Eccoci al punto critico: la vera fonte della proliferazione mariologica non è la Rivelazione, ma un singolare connubio tra potere pontificio e devozione popolare. Maria è sì «una madre d’amore voluta dal popolo» come scrive Augias, ma tale volontà popolare è stata sistematicamente utilizzata dal potere ecclesiastico per rafforzare se stesso: tra mariologia ed ecclesiologia il legame è d’acciaio.
Congar proseguiva: «Questa mariologia accrescitiva è un cancro» (13.3.64), «un vero cancro nel tessuto della Chiesa» (21.11.63). Il protestante Karl Barth aveva definito la mariologia «un’escrescenza, una formazione malata del pensiero teologico», il cattolico Congar indurisce l’immagine. Come spiegare il paradosso? Il fatto è che quanto più crescono il desiderio di onestà intellettuale, la fedeltà al dettato evangelico, la volontà di reale promozione della donna all’interno della Chiesa, tanto più decresce l’afflato mariologico con la sua tendenza baroccheggiante.
E ovviamente viceversa. Prova ne sia che nel protestantesimo, dove la dottrina su Maria è contenuta nei limiti indicati dal Vangelo, il ruolo della donna nella Chiesa è del tutto equivalente a quello del maschio (è di questi giorni la notizia che alla presidenza della Chiesa luterana degli Stati Uniti è giunta una donna), e viceversa nel mondo cattolico i più devoti a Maria sono anche i più contrari al diaconato e al sacerdozio femminile, basti pensare a Giovanni Paolo II.
Ma non era solo Congar, anche il giovane Ratzinger, allora teologo dell’università di Tubinga, scriveva nell’Introduzione al Cristianesimo del 1967: «La dottrina affermante la divinità di Gesù non verrebbe minimamente inficiata quand’anche Gesù fosse nato da un normale matrimonio umano», parole da cui appare che il dogma della Verginità di Maria non è per nulla necessario al nucleo della fede cristiana, e ovviamente meno ancora lo sono i dogmi recenti dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione. È l’opinione anche di teologi del livello di Rahner e di Küng.
Eppure sembra non ci sia nulla da fare: Ratzinger cambiò presto idea giungendo a fare della Verginità di Maria «un elemento fondamentale della nostra fede» e anche papa Francesco farà arrivare a Roma la statua della Madonna di Fatima consacrando il mondo al Cuore immacolato di Maria come già fecero Pio XII nel 1942, Paolo VI nel 1964, Giovanni Paolo II nel 1984, con i risultati, per quanto attiene al mondo, che ognuno può valutare da sé.
Tornando al libro in oggetto, la sua forza consiste nella ricchezza della documentazione e nella piacevolezza con cui viene offerta: i testi biblici vengono scandagliati con competenza filologica, si analizza lo sviluppo del culto mariano, i quattro dogmi, le preghiere tradizionali, i nessi con il culto mediterraneo della Grande Madre e con le altre religioni, la lettura femminista, le altre Marie dei Vangeli e in particolare la Maddalena, le apparizioni e in particolare quella di Lourdes del 1858 con le guarigioni miracolose attestate ancora oggi e quella di Fatima del 1917 con i famigerati tre segreti. Vi sono anche due dotti capitoli finali su Maria nell’arte, nella poesia, nella musica, nel cinema.
Il libro è solido dal punto di vista dei testi. Vengono citati Sant’Agostino in latino, l’esegesi dei testi del Vaticano II, si ricorda persino la setta di un certo Valesio sconosciuto ai principali dizionari teologici, anche se poi gli autori scrivono che nelle Scritture «nessun riferimento si fa mai alla sua miracolosa maternità verginale», dimenticando Matteo 1,18 secondo cui Maria «si trovò incinta per opera dello Spirito Santo» e Luca 1,35 che ribadisce il messaggio.
Ma il risultato dell’inchiesta alla fine qual è? La demolizione della dottrina tradizionale. Avversata da Augias fin dall’inizio, da Vannini è sì difesa («la devozione a Maria è segno di maturità spirituale») ma in modo inaccettabile per il cattolicesimo. Per esso infatti vi è una connessione inscindibile tra fatto storico-biologico e significato spirituale, mentre a Vannini interessa unicamente il secondo, per lui la verginità e maternità di Maria sono «non una storia esteriore ma una realtà interiore», e Maria è «l’anima che ha rinunciato all’amore di sé». Con ciò egli si colloca volutamente, come recita il titolo del suo ultimo saggio, oltre il Cristianesimo. Ne viene il paradosso di un libro sulla più cattolica delle dottrine scritto da un non credente e da un “oltrecristiano”! Ma questo, lungi dall’essere un difetto, è stata la condizione che ha concesso loro obiettività nel presentare lucidamente lo sterminato materiale sulla «fanciulla che divenne mito» e di offrire uno strumento utile e soprattutto onesto per ritornare alla verità evangelica su Maria.
Caro Fratel Cosimo,
ti inoltro la preghiera che ho inviato alla redazione di Radio Maria per mia mamma carissima, cui hanno dato un mese di vita. Ti chiedo di essermi vicino ed offrire delle novene di preghiera, delle messe e dei sacrifici per mia mamma per la sua guarigione da un tumore il microcitoma al fegato ed ai polmoni e per il problema alle valvole cardiache. Ti ringrazio di cuore...prega con me per il miracolo...grazie
Ecco l’email inviata a Radio Maria:
Carissimo Padre Livio cara redazione cari tutti amici di Radio Maria,
è da tanti anni che vi seguo, così come mia mamma. Noi viviamo a Torino. Mia mamma è nata da un’umile famiglia di contadini a Quarto d’Altino (Venezia) il 4 dicembre 1942. E’ stata cresimata a venezia dall’allora Vescovo (o già Cardinale non ricordo) Roncalli poi divenuto Papa Giovanni XXIII. Lei nella vita ne ha passate di tutti i colori: da giovane a 20 anni si è ammalata di tubercolosi, ed è finita 6 mesi in convalescenziario dalle suore a Vercurago(Lecco); anni più avanti ebbe un incidente stradale con mio padre (quando erano fidanzati ed io non ero ancora nato) ed entrambi finirono in ospedale, lei stette in coma mi pare per due settimane. Nel 1976 le diagnosticarono un tumore, il morbo di Hodgkin e le diagnosticarono 3 mesi di vita. Subì l’asportazione della milza e poi i cicli di chemioterapia (mi pare nove) più la cobalto terapia. Io avevo 6 anni. Lei è sempre stata devotissima alla Madonna (perché fin da bambina andava tutte le mattine a messa all’alba con la famiglia prima di andare a lavorare nei campi) e pregò così:"ti prego mamma e Vergine Santa sono mamma di due bambini fammi la grazia di guarire, Tu mi hai sempre ascoltato, ti ringrazio". Lei dopo il secondo ciclo di chemioterapia ebbe una regressione del male inspiegabile dal punto di vista medico, al punto che i medici stessi, sbalorditi, non seppero dare una spiegazione dell’accaduto. Ella dovette comunque finire il ciclo di chemioterapia. La cobalto terapia però, per via delle radiazioni, le ha danneggiato due valvole cardiache: quella aortica (da sostituire) e quella mitralica(da riparare). Quest’ultima diagnosi nefasta relativa al cuore le è stata data due anni fa. L’operazione al cuore però non è mai stata eseguita perchè nel frattempo le era comparsa una macchia sul polmone "sospetta" che i medici volevano approfondire con una biopsia. Le fecero una tac e poi dopo tre mesi di una PET, riscontrando nel primo esame la comparsa e poi nel secondo la scomparsa di linfonodi e perciò i medici "liquidarono" la presenza della macchia come una "macchia non preoccupante" . Dovette però fare un esame più approfondito, cioè a biopsia, circa un anno fa e il dottore quel giorno non poteva perchè aveva altri impegni (o non ricordo se addirittura se ne fosse dimenticato). Ad un certo punto decisero di fissare l’operazione al cuore per l’8 marzo di quest’anno 2012 e durante l’operazione le avrebbero anche fatto la biopsia al polmone. Il giorno prima, mentre entrò in ospedale le venne un’infezione alla gola con febbre circa a 40 per cui non potettero operarla e cercarono di curarla con gli antibiotici, Io il 21 di aprile avrei dovuto sposarmi in chiesa, ma ero intenzionato a spostare tale data, dando priorità alle condizioni di mia madre. I dottori però sapendo del mio matrimonio le dissero."signora vada pure a casa, vada al matrimonio e ci risentiamo dopo. La macchia al polmone non ci preoccupa". Pertanto dopo una degenza di circa 10 giorni in ospedale la rimandarono a casa con una cura antibiotica prescritta. Lei però a casa dovette sospendere la cura antibiotica perchè di benefici ne ebbe pochi e stette più male di prima al punto di non riuscire quasi a respirare. Mi sposai, un giorno bellissimo. I dottori però (e siamo a maggio) si dimenticarono di chiamarla tantè che purtroppo fu mia madre a tornare in ospedale in quanto poco dopo stette di nuovo male. Lei si presentò quindi al pronto soccorso dell’ospedale mauriziano a Torino, dove avrebbero dovuto operarla al cuore e con altri antibiotici la rimandarono a casa. Andò dal medico curante che le prescrisse prima la cura antibiotica fornita dall’ospedale e poi un’altra ancora senza ottenere risultati in quanto la tosse con un dolore al fianco non diminuiva. Il dottore a questo punto le disse di tornare in ospedale e siamo esattamente al 3 di luglio, cioè 20 giorni fa. Il primario chirurgo si infuriò con i medici che non la chiamarono e che la rimandarono a casa con sufficienza, anzichè tenerla li. Da allora non è più uscita dall’ospedale, sono partiti prima con i consueti antibiotici e poi con esami più approfonditi, ecografia, TAC e finalmente la biopsia alla "macchia sospetta ma che non destava preoccupazione" secondo il parere dei medici. L’esito è stato tragico: microcitoma al polmone ed al fegato, praticamente uno dei tumori più aggressivi che esistano e la diagnosi di un mese di vita!. A tutti noi è crollato il mondo addosso!. Consultando il centro oncologico di Candiolo ci hanno detto che se avessero fatto la biopsia 6 mesi fa avrebbero potuto curarla, ma per la negligenza ed il menefreghismo oltre che per l’incompetenza dei medici nel sottovalutare quella macchia che era il tumore nello stadio iniziale ora ci troviamo qui disperati. Non possono farle la chemioterapia in quanto per la valvola al cuore danneggiata lei morirebbe al primo ciclo. Non possono operarla in quanto la metastasi esploderebbe. La stano sedando con medicinali ed oppiacei. Io alterno momenti di pianti a dirotto con momenti come questo in cui sono intontito, come se avessi preso una bastonata nel capo al punto da non rendermi conto di quanto sta succedendo. Sto pregando molto, con messe e rosari coroncine della Divina Misericordia, ed ho promesso a mia mamma che appena sarebbe uscita dall’ospedale l’avrei portata a Medjugorie. Anche mio padre ha avuto un riavvicinamento alla fede e prega il Santo Rosario con mia mamma. Mio fratello poverino che ha 38 anni tre anni fa doveva sposarsi con la sua ragazza buon anima, che per un tumore è morta ad agosto del 2009. Anche per lui è una mazzata troppo grossa. Malgrado la sua fede molto provata (per la sua ragazza avrà detto 1000 rosari), ha visto andare via così la sua futura moglie ed ora la nostra cara mamma. In un modo così assurdo poi, per errore umano. Non è giusto! No! Sono andato da Franco Mondino vicino a Cuneo, indicato dal successore di Santo Padre Pio come il suo erede per i doni che ha ricevuto fin da piccolo. Egli ha il dono di non sbagliare mai la diagnosi e vedendo la foto di mia mamma mi ha detto:" qui occorre un miracolo, perchè solo questo può salvarla, ma dandomi un sottile filo di speranza mi ha detto "io ci credo al miracolo! Sono qui per questo, pregherò per lei e dobbiamo pregare per lei." Mi mamma è anche nonna di 4 nipotini, tutti miei figli avuti prima del mio matromonio in chiesa i quali sono legatissimi a lei e soffrono, piangono e pregano per lei, soprattutto i più grandi di 5 anni Samuele e Matteo, Davide che ha 2 ani e mezzo capisce che la nonna sta male, anche perchè siamo andati a trovarla in ospedale 15 giorni fa ed hanno visto che è malata. Chiara che è la più piccolina, ha un anno, non capisce anche se mi sta vicino, forse perchè avverte che sto soffrendo molto. I miei figli vedono che piango a casa e sanno che lo faccio perchè la nonna sta molto male. Mia mamma li ama in maniera sconfinata, sono il suo cuore. Ai miei figli ho insegnato questa piccola preghiera:"O Gesù e Madonnina guarite la nonnina!", poi con loro recito anche il padre nostro e l’Ave Maria. Ogni tanto pregno anche per conto loro spontaneamente mentre giocano. Ho dato l tragica notizia ai parenti ed amici invitandoli ad offrire messe per lei. Dopo una vita di tante sofferenze,(perchè non ve le ho menzionate tutte, ma ce ne sono altre anche pesanti e gravi, credetemi) non è giusto che lei debba morire in questo modo, no. Io mi auguravo che lei potesse godersi i nipoti e loro altrettanto in quanto sarebbe stata una figura fondamentale durante la loro crescita per il suo esempio di bontà. Mi auguravo quindi che potesse morire serenamente di vecchiaia tra una ventina d’anni serena ed amata da tutti, ma non così, dopo tutto quello che ha passato, una croce del genere, poi per errore umano no! Vi riporto la preghiera che ho postato su facebook."mia mamma... la persona più importante della mia vita...dalla mia nascita al matrimonio ed anche ora assieme alla mia famiglia, mia moglie e miei figli...un angelo che mi ha educato al rispetto per tutti sempre, alle buone maniere, alla generosità, alla sincerità, alla schiettezza, alla dedizione al lavoro, all’amore per il prossimo ed alla fede in Dio, all’amare di cuore, al sapersi emozionare e commuovere per le piccole cose, all’umiltà. Quanti ricordi, tutti belli e commoventi. Mai una cattiva parola con nessuno, sempre dolcezza disponibilità e generosità con tutti ne avessero bisogno. Una vera santa, nascosta e discreta nella sua umiltà e nella sua bontà d’animo. Che il buon Dio abbia misericordia della sua anima e che la guarisca perchè ne abbiamo tutti bisogno e ci manca da morire, a me a papà, a Stefano, ai suoi nipotini, il suo cuore...ti prego Gesù e Madonnina fateci la grazia per il vostro immenso amore misericordioso. Lasciatecela ancora qui, sopperite all’errore medico di un’analisi omessa gravissimamente dall’uomo con l’onnipotenza del vostro amore per guarirla, vi prego. Amen e grazie..."
Vi chiedo con le lacrime agli occhi, perchè mi stanno venendo ora mentre vi scrivo di pregare per lei, di fare assieme a me una novena di preghiera per lei offrendo messe sacrifici e rosari per lei, perchè se lo merita. Sia fatta la volontà di Dio, (che credo non volesse la sua morte per errore umano, ma non voglio essere presuntuoso) chiedo a Lui e spero che la sua volontà corrisponda alla mia di non perderla, così in questo modo assurdo. Mio padre stesso ha detto a mia mamma ieri:"Paoletta cara se ti riprendi ti prometto che a settembre andiamo assieme a Medjugorie". Questa è una cosa che mio padre mai aveva detto fino ad ora. La cosa più bella sarebbe avere il miracolo ed andare con tutta la mia famiglia ed i miei figli a ringraziare Dio, Gesù a Madonna a Medjugorie per il miracolo.
Grazie di cuore, vi abbraccio tutti ed un saluto a Gesù mio Signore e mio Dio ed alla Madonna mia mamma carissima e Santissima. Pietà e misericordia di noi.
Grazie.
Ciao.
Roberto
di Massimo Teodori (Il Sole 24 Ore - Domenica, 13 maggio 2012)
«Cara Bernadette, non credo di averti fatto un torto, giacché riguardo agli eventi di Lourdes, non ho inventato e non ho nascosto nulla. Io credo di averti reso giustizia. Il torto ti è venuto da tutti coloro che ti hanno voluta santa a tutti i costi». Così, con una metaforica lettera alla pastorella che nel 1858 ebbe le visioni in una grotta vicino a Lourdes, lo studioso di scienze religiose Renato Pierri conclude il libro inchiesta Nostra signora di Lourdes, condotto sul filo dell’analisi teologica, sociologica e storica. Si propone di demistificare uno dei più popolari santuari della cattolicità che ha dato vita a un abnorme e artificioso sistema miracolistico a partire dalle ambigue apparizioni alla piccola Bernadette.
L’autore non si serve di motivi profani, ma fa riferimento alla lettera dei Vangeli per argomentare l’inconsistenza dei messaggi religiosi che la Chiesa ha fatto fiorire intorno alla pastorella; messaggi che sono stati fissati nel dogma della Immacolata concezione proclamato da Pio IX nel 1861, in seguito trasformato in un sito di grande attrattiva divenuto una sorta di calamita per le masse dei pellegrini speranzosi di risolvere miracolisticamente la loro precaria condizione di salute.
La polemica sulla speculazione intorno a cui si è sviluppato il florido commercio dei pellegrinaggi non è nuova. Già a metà Ottocento, il racconto delle apparizioni scatenò la contesa trai cattolici bigotti, protesi a esaltarne il carattere miracolistico di quel che avveniva a Lourdes, e gli scettici laici che trattarono quegli strani eventi propagandati dalla stampa clericale semplicemente come un sintomo di pazzia della veggente.
Anche all’inizio del Novecento si scatenò un dibattito intorno all’ipotesi che le presunte apparizioni fossero in realtà parte di un evento organizzato da alcuni soggetti interessati a sfruttare la credulità popolare per un tornaconto economico o politico, con l’attrattiva del fenomeno "miracoloso". Oggi Pierri, sulla scorta di una minuziosa analisi delle testimonianze e dei documenti dell’epoca, di nuovo argomenta in maniera inconfutabile l’inconsistenza delle apparizioni di Nostra Signora di Lourdes, mettendo a confronto l’immagine descritta da Bernadette e la Madre di Cristo secondo i Vangeli, il messaggio della signora di Lourdes e il messaggio evangelico.
Su queste basi sono messe in evidenza le contraddizioni dei messaggi della quattordicenne che sembrano modellati sul proposito di far credere che l’immagine delle visioni alla piccola fosse proprio l’Immacolata concezione. La veggente, secondo lo studioso, fu perciò trasformata da fragile essere umano vissuto tra gli stenti di una famiglia in preda alla povertà e all’alcool in un docile strumento inconsapevolmente prigioniero della Chiesa: «Se Bernadette non avesse avuto disavventure da piccola bambina, non avrebbe mai sognato la sua damisèle, e oggi nessuno conoscerebbe Nostra Signora di Lourdes».
Sullo sfondo dell’inchiesta condotta dallo studioso controcorrente, non c’è solo il caso di Lourdes divenuto universalmente acclamato, ma anche la polemica del cattolico religioso contro le spregiudicate strumentalizzazioni ecclesiastiche nei confronti di fenomeni pseudo-miracolistici quali le apparizioni delle madonne che tuttora riemergono quando c’è bisogno di rinsaldare il legame tra la Chiesa e i fedeli.
Anche nell’Occidente secolarizzato permangono settori della popolazione in preda alla credulità morbosa e irrazionale che sono pronti a inchinarsi devotamente a casi apparentemente miracolosi.
«Basterebbe un minimo di razionalità e di buon senso - scrive con crudezza Pierri - per capire che la pletora di madonne che appaiono nel mondo cattolico (e solo in quello) per comunicare messaggi da rotocalco, altro non sono che madonne-patacca inventate da veggenti in preda a evidenti stati allucinatori». Le frotte di persone che accorrono gridando al miracolo di fronte alle madonne che piangono, alimentano un turismo religioso in cui la spiritualità è assente mentre domina il marketing portatore di benefici materiali.
«Così, mentre le chiese si svuotano di fedeli, i santuari di madonne e santi patacca come Lourdes, Loreto, Pietralcina e Medjugorje si riempiono di pellegrini. Purtroppo poco o nulla incidono su questa stupida credulità i recenti e approfonditi studi che dimostrano, aldilà di ogni dubbio, che ci troviamo sempre di fronte a imposture fabbricate su imbrogli e falsificazioni».
Renato Pierri, Nostra signora di Lourdes. La Madonna che non conosce il Vangelo, Mind, Milano, pagg. 176, € 16.00
IDEE
Maria, apparizioni segno di contraddizione
di René Laurentin
(Avvenire, 10 MAGGIO 2010)
Le apparizioni sembrano costituire un tema fondamentale sotto vari punti di vista. Esse costellano la Bibbia e strutturano la Rivelazione stessa. Dio parla e appare al patriarca Abramo, a Mosé e ai Profeti, a Gesù Cristo, agli apostoli Pietro e Paolo e ad altri cristiani negli Atti degli Apostoli; insomma, da un capo all’altro delle Scritture. Le apparizioni del Cristo risorto sono il culmine e il compimento del Vangelo. E, come insegna l’apostolo Paolo (1Cor 15), sono il fondamento della fede.
Le apparizioni della Vergine sono all’origine di molti santuari e di importanti pellegrinaggi (Guadalupe, Aparecida, La Salette, Lourdes, Fatima) e occupano, a vario titolo, un posto di spicco nell’attualità. La letteratura sulle apparizioni si è moltiplicata, in proporzioni senza precedenti, a partire dal dibattito degli anni ’80. Tutto questo sembrerebbe riservare loro un posto d’onore; e invece tutto sconsiglia di occuparsene. Esse rimangono ancor oggi, nella Chiesa cattolica, un segno di contraddizione (Lc 2,35), ad eccezione di quelle che emergono alla fine e tardivamente, e che danno origine ai più grandi santuari della cristianità. «Quando il bambino appare, la cerchia familiare applaude con somma gioia», scriveva Victor Hugo. «Quando la Vergine appare», la cerchia familiare non applaude, ma è turbata e inquieta.
A Lourdes, dieci giorni dopo la prima apparizione, il 21 febbraio 1858, la guardia campestre Callet afferra Bernadette Soubirous per la mantella e la trascina per sottoporla ai tempestosi interrogatori del commissario di polizia Jacomet, e in seguito a quelli del procuratore imperiale Dutour e del giudice Ribes. Lo Stato si mobilitò per reprimere, dal prefetto ai ministri fino all’imperatore Napoleone III, che era in vacanza sui Pirenei e che si rese popolare mettendo fine alle barriere, ai processi e alle beghe amministrative che si erano moltiplicati durante l’estate del 1858. A Pontmain (1871) il generale de Charrette minacciò i bambini con la sua sciabola. A Fatima, ai giovani veggenti venne intimato di ritrattare, e furono poi imprigionati per impedire l’apparizione del 13 agosto 1917. E così di seguito, in una copiosissima serie di notizie.
Le apparizioni non sono viste con occhio più benigno nella Chiesa. A Lourdes, il 2 marzo 1858, in occasione della sua prima visita in canonica, Bernadette fu respinta da una di quelle tonanti collere che talvolta infiammavano il parroco Peyramale, benché fosse un uomo di cuore, attento prima di tutto ai poveri.
A Pontmain i veggenti furono minacciati dal vescovo di dannazione eterna. Le apparizioni, dunque, sono l’argomento teologico meno scientificamente studiato, il più nascosto e controverso. Ci sono ottime e serie ragioni per cui le apparizioni disorientano e vengono combattute. Quando un’apparizione fa radunare le masse, a Lourdes come a Fatima, l’amministrazione civile si mobilita, è normale. Il fatto è che un assembramento massiccio ed apparentemente passionale perturba l’ordine pubblico.
Il «principio di precauzione» invita a mettervi fine, anche se si può arrivare a farlo proprio e a canalizzarlo. Lo Stato reagisce come la natura, secondo l’acuta constatazione fatta da Jacques Monod, premio Nobel per la biologia, nel suo famoso libro «Il caso e la necessità»: quando un caso (una mutazione biologica) fa la sua comparsa in un genere, intervengono i meccanismi di rigetto per ridurlo alla necessità; eliminandolo oppure assimilandolo all’ordine ripetitivo delle strutture stabilite di generazione in generazione. Questo principio universale regge anche l’ordine amministrativo e sociale. E analoghe sono le soluzioni: eliminazione o integrazione.
Così Guadalupe, Lourdes e Fatima sono diventate, dopo l’iniziale emarginazione e contestazione, istituzioni di portata nazionale, sia sul piano secolare che su quello religioso. Per ogni veggente, le apparizioni sono comunicazioni con l’aldilà, inaccessibili ai normali mezzi sensoriali. Esse sono quindi, per la ricerca universitaria, dei non-luoghi. Se, tuttavia, si sofferma su di esse, è per riportarle ed inquadrarle al suo livello, secondo il metodo scientifico che non prende in considerazione, né in sociologia né in medicina, le presunte cause soprannaturali: il diavolo o il Buon Dio. Alcuni le definiscono come racconti di cui è necessario stabilire la genesi interna e specifica sul piano letterario o semiotico: studio di una tradizione folclorica o di una struttura di cui si esaminano le varianti, ma soprattutto gli stereotipi.
Per altri, molto meno numerosi (medici e psicologi) questi fenomeni che solo il veggente percepisce sono fenomeni psicologici che devono essere considerati alla stregua di allucinazioni, di sogni, o di fantasticherie. Fino ad ora si è trascurato il fatto che studi encefalografici delle estasi hanno escluso queste tre spiegazioni.
Altri ancora definiranno le apparizioni come fenomeni antropologici e tenteranno di collocarli in questo quadro umano, senza soffermarsi sul riferimento personale, perfino trascendente che per i veggenti costituisce l’essenziale. Se le apparizioni occupano un simile posto nella storia, da circa quattro millenni, l’approccio attuale non rischia forse di essere riduttivo, se non addirittura diffamatorio, nei confronti dei veggenti e dei gruppi umani che si impongono all’attenzione?
Il problema è spinoso; la medicina è diventata una scienza alla fine del XVI secolo, quando fondò l’«eziologia»: lo studio delle cause, escludendo le cause soprannaturali, divine o diaboliche, estranee al nostro cosmo. Per questo motivo la maggior parte dei medici (anche cristiani) si rifiutano di riconoscere non solo un «miracolo» (cosa che non è di loro pertinenza), ma anche il carattere «inspiegabile» di una guarigione; uno scienziato, infatti, per principio, non abdica mai al suo ruolo di fronte all’incomprensibile: cerca instancabilmente la spiegazione finché non la trova: non esiste l’inesplicabile, esiste solo l’inesplicato. Il ricorso a un «deus ex machina» è la negazione stessa del metodo scientifico. In questo quadro continua, in modo disagevole, lo studio delle guarigioni presunte miracolose, esaminate dai comitati scientifici a Lourdes o a Roma in vista delle cause di canonizzazione, che richiedono la constatazione dei miracoli.
Anche gli esorcisti, testimoni di malattie stranamente inesplicabili, dialogano con i medici, senza che lo studio di questi fenomeni sia mai stato trattato scientificamente. Le consultazioni della Chiesa per dare ai «miracoli» uno statuto scientifico si scontrano con questa difficoltà, e con la stessa complessità del termine «miracolo» che i Vangeli chiamano «segno» o/e prodigio («sêmeia kai terata»). Nel 1900 si risolvevano i problemi a partire da principi a priori: «Non ho mai trovato l’anima sotto il mio bisturi» (un chirurgo del 1900); o ancora: «Sono stato in cielo e non ho visto Dio» (Gagarin). La scienza attuale, alle prese con la relatività, le relazioni di incertezza, eccetera, è passata dal razionalismo semplicista e dallo «scientismo» a una razionalità più diffusamente aperta all’ignoto, senza però rinunciare alla ragione e all’esigenza di non ammettere nulla che non sia fondato e verificato mediante l’esperienza.
Paradossalmente, la Chiesa è fra le istituzioni più riservate su questo ambito religioso e spirituale, apparentemente ad essa essenziale e familiare. Ora, a tutti i livelli, la pastorale normalmente soffoca le apparizioni, provocando così tensioni e conflitti spesso duraturi (oggi sono numerosi, da Dozulé e San Damiano a Medjugorje, o anche Damas/Soufanieh, che la Chiesa ortodossa locale aveva prima accettato poi rifiutato). Questa opposizione e questa riserva della Chiesa sono motivate da fondamenti irrecusabili, di cui è necessario avere piena conoscenza e piena coscienza. Prima imponente constatazione: le apparizioni non hanno un loro posto tra le numerose discipline universitarie che hanno un ruolo di spicco nella Chiesa.
Le apparizioni posteriori al Vangelo sono ignorate dalla teologia dogmatica: non sono oggetto di «fede divina» ma di «fede umana», scriveva il futuro Benedetto XIV nel XVIII secolo. Esse sono extra e sub teologiche, quindi marginali. Prendiamone atto. La teologia fondamentale poi le ignora: esse non figurano tra i «dieci luoghi teologici» che sono le fonti della fede, secondo Melchior Cano (XVI secolo). Egli non le nomina nemmeno tra i «luoghi annessi» come «la filosofia, il diritto, la storia» ritenuti alla stregua di strumenti.
Il primo Codice di Diritto Canonico (1917) trattava negativamente questo ambito: proibiva qualsiasi pubblicazione sulle apparizioni non riconosciute e puniva con la scomunica i trasgressori. Questi due canoni sono stati aboliti il 14 ottobre 1966 e il nuovo Codice semplicemente non parla più di apparizioni. In breve, non sono più interdette, ma sono diventate un non-luogo canonico. Sono in fondo alla scala dei valori della Chiesa; nonostante l’interesse loro accordato da numerosi pastori e fedeli che ne riconoscono e ne raccolgono i frutti, esse non hanno trovato il loro posto e non hanno mai suscitato una ricerca di una levatura degna di questo nome tra i grandi teologi.
Questo è dovuto ad alcune ragioni fondamentali. Secondo l’analisi di Karl Rahner, la tradizionale emarginazione delle apparizioni non è un riflesso elementare né un semplice meccanismo di rigetto amministrativo. Essa è causata da ragioni ufficiali e fondamentali: prima di tutto, la frase di Gesù Cristo all’apostolo Tommaso. Questo discepolo non accettava la resurrezione di Cristo: «Finché non avrò messo il dito nelle sue piaghe, non crederò». Gesù gli si manifesta, lo invita ironicamente a controllare, e conclude: «Beati coloro che credono senza avere visto» (Gv 20, 29). Cristo non si fa garante dei veggenti, ma dei credenti.
È l’ultima delle beatitudini, al termine dell’ultimo Vangelo: il cristiano non vede, crede in Dio sulla parola. Qualunque eccezione sembra quindi deplorevole, anche se le apparizioni hanno un posto considerevole nel Nuovo Testamento. Questo motiva la legittima opposizione della Chiesa e dei grandi mistici alla dottrina degli illuminati e alle pulsioni dell’immaginazione; è necessaria quindi la prudenza. Ma «prudenza» non significa «diffidenza» né «pusillanimità», «bocciatura» o «tergiversazione». In ogni caso la Chiesa, che considera essenziali il Vangelo e i sacramenti, avanza una grande riserva sulla veggenza dell’aldilà. Essa oppone la certezza divina, fondata sulla Parola e sulla luce divine, alle apparizioni, perché queste ultime sono solo manifestazioni occasionali e discutibili della potenza divina. Nonostante queste svalutazioni, le apparizioni hanno una grande importanza di fatto nella Chiesa, a molti livelli e a molti titoli.
La Bibbia è un tessuto di apparizioni e di visioni, è la sua trama. Il Nuovo Testamento inizia con l’apparizione di un angelo al sacerdote Zaccaria (Lc 1,5-23), il messaggio dell’angelo Gabriele alla vergine Maria (Lc 1,25-38) e quello di un angelo del Signore ai pastori di Natale (Lc 2,8-19). La Trasfigurazione di Cristo è accompagnata dall’apparizione di Mosè e di Elia (Mt 17,3); un angelo assiste Gesù durante la sua agonia (Lc 22,43). C’è di più: le manifestazioni visive del Cristo risorto agli apostoli (anche se così simili alle altre, dal punto di vista fenomenologico e psicologico) vengono considerate come il fondamento stesso della fede secondo l’apostolo Paolo (1Cor 15,1-53).
Ci si può chiedere se non ci sia una certa forzatura, perfino una mancanza di logica tra la sistematica svalutazione delle apparizioni attuali e la valorizzazione dogmatica di quelle del Cristo risorto (di cui gli apostoli dubitarono: Lc 24,11 e Mc 16,11; Lc 24,16.37-38; Gv 20,25-28 ; Mt 28,17; Gv 21,5; At 20; Mc 16,14; citiamo questi versetti nell’ordine cronologico dei successivi dubbi, dal mattino di Pasqua all’Ascensione) - e lo diciamo senza misconoscere le loro differenze. Le apparizioni di Cristo costellano anche la storia della Chiesa nascente: da Stefano (At 7,56) a Pietro, Paolo e ad altri, secondo gli Atti degli Apostoli.
Alcune apparizioni della Vergine hanno fondato i maggiori santuari e pellegrinaggi della Chiesa cattolica (con l’eccezione di Roma): Guadalupe in Messico (più di 10 milioni di pellegrini all’anno), Aparecida in Brasile, Lourdes (5 milioni di pellegrini all’anno), Fatima, eccetera. Ancora, le apparizioni sono continuate, nella Chiesa, nel corso dei secoli fino ad oggi, con una moltiplicazione senza precedenti negli ultimi tempi. C’è di più: nell’epoca moderna - fatto nuovo - molte apparizioni hanno un’importanza profetica, storica e culturale innegabile, durevole e considerevole: Guadalupe è considerata anche dagli storici indipendenti dal cristianesimo come il fondamento della cultura e della civiltà meticcia del Nuovo Mondo, il continente cattolico dove risiede la metà dei battezzati della Chiesa romana.
Oppure La Salette (1846), che ha mobilitato grandi spiriti: Pio IX sostenne il riconoscimento di questa apparizione; Leone XIII riconobbe e sostenne Mélanie nelle sue tribolazioni e nel suo esilio; numerosi vescovi, santi oggi beatificati e canonizzati (Don Bosco, sant’Annibale Di Francia che prese Mélanie come cofondatrice) e una schiera di altri personaggi di spicco del XX secolo: Arthur Rimbaud, Léon Bloy, Jacques Maritain, Paul Claudel e Louis Massignon.
Lourdes ridiede valore alla priorità dei poveri secondo il Vangelo, nel momento in cui la capacità elettorale e civile era misurata dalle rendite, secondo lo slogan artificiale: «Arricchitevi» (Guizot). Bernadette Soubirous apparteneva alla famiglia più povera della città: i gendarmi avevano arrestato suo padre per l’unica ragione che «il suo stato di miseria» lo rendeva «presunto colpevole» del «furto» di farina commesso presso il fornaio Maisongrosse.
E poi Fatima: ha profetizzato fin dal 1917 l’implosione del comunismo nascente e la fine delle persecuzioni. Pio XII e Giovanni Paolo II si sono sottomessi a più riprese a questo messaggio. Hanno dato ordine a tutti i vescovi di fare simultaneamente la consacrazione richiesta da Lucia, e si sono assunti altri impegni senza precedenti, facendo rivelare (attraverso terzi, è vero) la visione del sole nel giardino del Vaticano (Pio XII) e il «segreto di Fatima» (Giovanni Paolo II). Le apparizioni hanno avuto forti impatti nella vita pubblica, a tutti i livelli. Lourdes ha determinato il tracciato della rete meridionale delle ferrovie francesi.
Il governo marxista della Jugoslavia, radicalmente contrario alle apparizioni di Medjugorje, ne ha tuttavia compreso l’utilità nazionale, al punto da progettare la realizzazione di un aeroporto nelle vicinanze. Lourdes rimane un geyser di creatività: ha promosso su larga scala il viaggio di malati paralitici, sottoposti a dialisi o dipendenti dal polmone d’acciaio, ciechi, alienati, eccetera, con immensi benefici umani, compresi benefici medici, mobilitando ogni anno migliaia di barellieri, infermieri, medici. Le apparizioni hanno acquisito anche un marchio scientifico.
L’esame dei veggenti mediante l’uso dell’elettroencefalogramma, che io ho chiesto che venisse utilizzato per la prima volta in Europa nel 1984 e poi in America del Nord e del Sud, ha rivoluzionato la conoscenza che si aveva dell’estasi. Questa nuova interazione tra le scienze contemporanee e le apparizioni inviterebbe ad assumere più integralmente queste ultime come un fenomeno umano non solo medico, ma parimenti psicologico (attinente anche agli ambiti della psicanalisi, della sociologia religiosa, della storia delle mentalità e dell’etnologia). Dal momento che nessun fenomeno rimane escluso dall’esame scientifico e che tutti devono essere studiati nel modo più completo possibile, non sarebbe meglio risolvere il contrasto tra questa importanza di fatto delle apparizioni (premiata da una immensa letteratura) e la loro svalutazione o emarginazione che abbiamo constatato? Questa messa in disparte, dovuta all’ambiguità polivalente del fenomeno, esige un superamento, tanto più che la radicale opposizione tra le ideologie della Chiesa e quelle dello scientismo è ormai superata.
iconografia e religione
Quando la Madonna divenne l’icona del potere di Bisanzio
Un saggio della storica Pentcheva studia l’uso «politico» che delle immagini sacre venne fatto lungo i secoli dagli imperatori e dalla Chiesa d’Oriente
DI MICHELE DOLZ (Avvenire, 30.06.2010)
«La Vergine è più amata e venerata qui che in ogni altro luogo del mondo. Si dice infatti e si crede che Costantinopoli sia la città personale della Madre di Dio». Così scriveva un pellegrino latino dopo la sua visita a Costantinopoli verso la fine dell’XI secolo. E tale doveva apparire il potentissimo culto che la città imperiale e gli imperatori per primi tributavano alla Madonna. Anzi, il nome stesso di Madonna, mia Signora, proveniente dall’amor cortese, ha poco a che fare con gli appellativi bizantini che cercavano di mettere in risalto il potere di protezione: Theotokos (Colei che ha partorito Dio), Meter Theou (Madre di Dio), Panagia ( Tutta Santa). Tradizionalmente gli studi attribuiscono la nascita di un culto mariano patrocinato dall’impero a la augusta Pulcheria (414-453). Ora uno studio ben documentato di Bissera V. Pentcheva - Icone e potere. La Madre di Dio a Bisanzio , ( Jaca Book, 338 pagine illustrate, 46 euro) -, suggerisce che i veri promotori siano stati gli imperatori Leone I (414-453) e Verina, forse guidati dal desiderio di emulare Roma. Edificarono il monastero delle Blancherne, fuori porta, allo scopo di ospitare la reliquia della tunica di Maria. E ad essa affidarono le sorti dell’impero.
Gli imperatori vi andavano a pregare prima d’intraprendere le campagne militari. Ogni venerdì si celebrava un ufficio mariano seguito da una processione, ed era convinzione popolare che tali cerimonie suscitassero la protezione di Maria. A corroborare il pensiero si istituì una festa annuale per ringraziare la Theotokos delle vittorie sui nemici. Era il rituale chiamato Akathistos, dal nome del famoso inno che vi si cantava. Le icone vennero introdotte gradualmente in tale contesto, sostituendo di fatto la reliquia.
Nel corso dell’XI secolo, una nuova icona si rese più popolare: la Hodegitria ovvero Colei che guida. Essa era venerata in un altro monastero chiamato Hodegon e veniva pure portata in processioni settimanali. Non è difficile capire come simili immagini divennero miracolose esse stesse.
Giovanni II Comneno (1118-1143) edificò un nuovo mausoleo imperiale presso il monastero del Cristo Pantokrator (= che governa ogni cosa) e ne integrò il culto in quello precedente: ogni venerdì la processione si fermava al Pantokrator. A Maria si affidava allora la protezione della dinastia.
I generali Foca e Zimisce, usurpatori del trono, avevano in precedenza organizzato un vocabolario visivo che esprimesse il concetto romano di Vittoria e ne trovarono una sostituzione nella ’potente’ Vergine. Fu Zimisce a ordinare la prima processione trionfale con l’icona di Maria come punto focale.
Il libro della Pentcheva costituisce un contributo molto importante sull’argomento del potere delle immagini nella Bisanzio pre e post iconoclasta. Fino ad ora ci si affidava agli accenni di Freedberg e Belting, pubblicati vent’anni fa e necessariamente limitati in opere di carattere generale. La presente focalizzazione permette l’ingrandimento sufficiente per poter discerne che il culto delle icone come sostituzione delle reliquie si è sviluppato nel periodo posteriore all’iconoclasmo. Si capisce anche come Grabar, oltre a sostenere la teoria di Kondakov sul rapporto tra nome dell’icona e schema visivo, individuò l’esistenza di nomi qualitativi e poetici derivati dall’innologia e riferiti ai poteri della Madre di Dio.
L’autrice analizza in che modo questi nomi definiscono la funzione dell’icona. Sull’uso politico delle icone, non ci sono dubbi, benché ciò nulla tolga all’autenticità religiosa del loro utilizzo. Si conservano monete sul cui recto la Theotokos e il sovrano (Foca) stringono insieme lo stesso scettro, oppure la Theotokos pone la sua mano sulla corona del sovrano (Zimisce). Costantino il grande era considerato modello dell’imperatore e si diceva che, nel fare proprio il segno di Dio, avesse dedicato Costantinopoli alla Madre di Dio.
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CITTADINI SOVRANI. NÉ DI PIÙ NÉ DI MENO
di Paolo Farinella, prete
Manifestazione del 5 dicembre 2009, ore 16,00 Largo Lanfranco (Davanti alla Prefettura) Genova *
Sono qui come cittadino sovrano orgoglioso di esserlo e senza paura di difendere questa mia dignità che non mi deriva dal potere, ma ce l’ho per nascita ed è un diritto inalienabile riconosciuto dalla Costituzione alla quale deve essere sottomesso ogni potere e ogni parlamento. Anche a costo della morte, anche a costo di andare sulle montagne non rinuncerò mai a questa libertà e a questa sovranità che è colorata dal rosso del sangue dei martiri della Resistenza a cui si aggiunge il sangue dei magistrati e degli avvocati e dei cittadini che per difendere la legalità sono stati ammazzati come cani.
La loro memoria grida davanti alla nostra coscienza. O stiamo dalla loro parte o stiamo dall’altra. Non c’è via di scampo. Una nuova tirannia oggi sovrasta l’Italia e noi non possiamo permetterlo. A coloro che scrivono lettere anonime con minacce anche di morte, dico apertamente: non ho paura di voi che vi nascondete sempre dietro l’anonimato, dietro la vostra vergogna. Io ci sono e ci sarò sempre e nessuno riuscirà a farmi tacere in difesa della giustizia, del diritto, della libertà e della libertà di coscienza. Nessuno. Fino a tre giorni dopo la morte, io parlerò.
Parlo anche come prete perché lo sono e sono orgoglioso di esserlo e nessuno né vescovi né papi riusciranno a non farmelo essere. Poiché qualcuno mi accusa di essere eretico, voglio tranquillizzare i cattolici presenti: le cose che dico sono dottrina tradizionale della Chiesa. Se gli altri, compresi i vescovi, se le dimenticano, gli eretici sono loro, non io.
Nel vangelo di Lc si dice che alcuni farisei simpatizzanti misero in guardia Gesù da Erode che voleva farlo uccidere («Erode ti cerca») e Gesù rispose: «Andate a dire a quella volpe che io scaccio gli spiriti maligni» (13,31-32). Con la complicità e il sostegno della mafia uno spirito maligno si è impossessato del nostro Paese e noi come laici in nome della Costituzione e come credenti in nome del Vangelo abbiamo il dovere e il diritto di scacciarlo: «La difesa del bene comune esige che si ponga l’ingiusto aggressore in stato di non nuocere» (CCC 2265).
Diciamo a Bertone, che va a braccetto come un fidanzatino con Berlusconi ad inaugurare mostre, che Paolo VI nella Populorum progressio del 26 marzo del 1967 al n. 31 prevede come lecita «l’insurrezione rivoluzionaria nel caso di una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali di una persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del paese» (cf anche Giovanni Paolo II, L’Istruzione Libertatis conscientia (Libertà cristiana e liberazione, 22.3.1986).
Non ci troviamo forse di fronte alle prove generali di una tirannia? Lo Stato democratico e le Istituzioni repubblicane sono state invase dai barbari e da mafiosi, che di ogni principio morale e democratico hanno fatto e stanno facendo scempio immondo. Il barbaro per eccellenza, lo spirito immondo, la volpe di oggi, che fa i gargarismi con l’acqua benedetta, mentre fa accordi con la mafia, si chiama Silvio Berlusconi anzi Berluskonijad perché è un misto tra il comunista Putin del kgb e il reazionario iraniano Ahmadinejad. E’ lui l’ultimo sovietico rimasto in Italia. Infatti la Russia del dittatore Putin e i paesi arabi più retrivi dove non esiste democrazia, sono i posti più prediletti da lui Addirittura dorme anche nel letto di Putin. Rifiutato dalle cancellerie democratiche del mondo, avete un presidente del consiglio che si rifugia in Bielorussia, dove ha osannato il dittatore Lukashenko che il mondo civile non ha mai riconosciuto. Tra dittatori si capiscono. Oggi è partito per Panama, mentre sarebbe ora che partisse per san Vittore. Dico vostro presidente del consiglio perché io l’ho ripudiato pubblicamente il 6 luglio 2009.
Per lui parole come democrazia, verità, eguaglianza, diritti, serietà, legalità, ecc. sono bestemmie perché l’uomo è abituato fin dalla nascita a vivere di falsità, a nutrirsi di illegalità, ad architettare soprusi, a complottare con la mafia, a mettere in atto ogni sorta di prevaricazione con un unico e solo scopo: l’interesse privato e l’ingordigia del suo super ego. Ora siamo all’attacco finale: lo chiamano «processo breve», ma è un solo l’abolizione del processo per annullare la giustizia perché c’è un’emergenza: bisogna impedire i processi che lo vedono imputato per reati gravissimi commessi prima di entrare in politica. Per capire di che si tratta e per divulgare in modo semplice, leggete la pagina che oggi sul Secolo pubblicano il Comitato per lo Stato di Diritto e Giustizia e Libertà hanno pubblicato, a pagamento, una pagina bella oggi sul Secolo XIX, dove potete vedere le conseguenze.
Io credo però che l’obiettivo non sia però il processo breve, ma il totale affossamento della giustizia: in questi giorni ne abbiamo le prove: Cosentino è indagato per Mafia e la maggioranza nega l’arresto; Dell’Utri è stato condannato in primo grado, Schifani (il nome stesso è un programma) frequentava e difendeva mafiosi e ora i pentiti parlano di Berluskonijad e del parto scellerato che sta alla base della fondazione del partito-azienda. I rapporti con la mafia sono naturali e quanto pare i mafiosi gli ha fatto da padrini nella sua nascita come imprenditore-truffatore. Sono motivi sufficienti perché il governo voglia dichiarare illegale ogni indagine per delitti di mafia, pagando così il pedaggio che egli e la sua famiglia e i suoi compari devono a «cosa loro» perché quella cosa non è e non sarà ma i «cosa nostra».
Tutti sanno che questa frenesia di interrompere il processo è condannata dal diritto e anche dalla morale tradizionale della Chiesa che esigono una giusta proporzione tra le parti in giudizio e la ricerca della verità morale. Noi sappiamo che la Corte Suprema lo bollerà ancora una volta, ma a lorsignori basta guadagnare tempo per andare in prescrizione. Lo sanno e proprio perché sono esperti in depistaggio, lo hanno usato per fare venire la diarrea al PD che c’è cascato. Ora aspettiamo i dossier arrivati dalla Bielorussia.
Bersani è la bella addormentata nel bosco che aspetta il bacio del principe che non arriva nemmeno travestito da rospo. Enrico Letta, il nipote del cardinal Mazzarino-Gianni Letta, Gentiluomo di Sua Santità, ha detto che è un diritto di B. difendersi «dal processo». Dovrebbe dimettersi non perché ha detto questo, ma perché è ignorante in fatto di giurisprudenza. Bocciato senza appello, all’ergastolo anche oltre la morte. Da quando ha cominciato a frequentare cattivi cattolici il PD è diventato come la maionese: si monta e si sgonfia in un baleno. Ora hanno la fregola delle riforme e di sedersi al tavolo del dialogo. Con questa gente non si può dialogare. Devono andare a casa, anzi in galera. Mafia e P2 sono al governo e stanno preparando le condizioni per impadronirsi definitivamente del Paese e delle nostre coscienze.
Le nostre coscienze non le avranno mai, perché noi saremo pronti ad andare anche sulle montagne a resistere perché non accettiamo e non accetteremo di essere governati da mafiosi, corrotti, frequentatori di minorenni e utilizzatori finali di prostitute e dall’avvocato Ghedini che paghiamo noi, mentre difende il ladro che ci ha rubato non solo una parte considerevole di denaro sottratto a noi (è fresca la notizia che la finanziaria taglia 103 milioni sui libri di scuola), ma ci deruba anche l’onore all’estero, la dignità sociale e la nostra sovranità di cittadini in casa.
Non possiamo rassegnarci. Non possiamo rassegnarci al luogo comune che la «politica è cosa sporca». E’ una trappola! Non è la Politica ad essere sporca, ma alcuni uomini e donne sporchi che la insozzano e coloro che li hanno votati sono correi e dovrebbero prendere un ergastolo per uno. Per noi Politica è il modo più nobile e diretto di servire il nostro popolo, senza servirsi di esso.
Vogliamo che Berlusconi e chiunque delinque, sia processato secondo lo statuto della nostra Costituzione. Vogliamo conoscere la verità sulla corruzione dei giudizi e dei testimoni. Vogliamo conoscere la verità sulle stragi della mafia. Vogliamo conoscere quanto la mafia sia dentro gli affari di Berlusconi. Vogliamo sapere con inequivocabile certezza se il presidente del consiglio sia un capobastone, un ricattato o una vittima.
Pretendiamo una magistratura libera, indipendente, senza condizionamenti di sorta. Vogliamo vivere in un Paese democratico, in un Paese civile, in un Paese dignitoso. Vogliamo riappropriarci del nostro orgoglio di cittadini sovrani e non permettiamo ad una manica di mafiosi di sottomerci come schiavi. Costi quel che costi, anche a costo della vita. Ai cattolici presenti io, Paolo prete cattolico tradizionalista dico: è parte della nostra missione nel mondo compiere e rendere attuale il programma politico del Magnificat della Madonna che celebreremo il giorno 8 dicembre: non ha senso andare in chiesa l’8 dicembre, se poi vanifichiamo le parole di Maria di Nàzaret, donna rivoluzionaria:
«51 Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
52 ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
53 ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
54 Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
55 come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre» (Lc 1,51-55).
Queste parole hanno una traduzione laica, rivolta a tutti, credenti e non credenti che abitano, anzi che sognano un Paese autenticamente laico, dove la separazione tra Religione e Stato debba essere rigorosissima. Ecco a voi come parola d’ordine di questa sera, le parole di Pier Paolo Pasolini a 37 anni dalla morte: «E noi abbiamo una vera missione, in questa spaventosa miseria italiana, una missione non di potenza o di ricchezza, ma di educazione, di civiltà» (P. P. Pasolini). Nulla di più, nulla di meno.
Genova, dal palazzo della Prefettura, sabato 5 dicembre 2009, ore 16,00-18,00
*Il Dialogo, Mercoledì 09 Dicembre,2009 Ore: 16:13
Campo della Gloria del cimitero monumentale di Milano, 1 novembre 2009
Intervento di Mons. Gianfranco Bottoni a nome dell’arcivescovado della Diocesi di Milano
La memoria dei morti qui, al Campo della Gloria, esige che ci interroghiamo sempre su come abbiamo raccolto l’eredità spirituale che Caduti e Combattenti per la Liberazione ci hanno lasciato. Rispetto a questo interrogativo mai, finora, ci siamo ritrovati con animo così turbato come oggi. Siamo di fronte, nel nostro paese, ad una caduta senza precedenti della democrazia e dell’etica pubblica. Non è per me facile prendere la parola e dare voce al sentimento di chi nella propria coscienza intende coniugare fede e impegno civile. Preferirei tacere, ma è l’evangelo che chiede di vigilare e di non perdere la speranza.
È giusto riconoscere che la nostra carenza del senso delle istituzioni pubbliche e della loro etica viene da lontano. Affonda le sue radici nella storia di un’Italia frammentata tra signorie e dominazioni, divisa tra guelfi e ghibellini. In essa tentativi di riforma spirituale non hanno potuto imprimere, come invece in altri paesi europei, un alto senso dello stato e della moralità pubblica. Infine, in questi ultimi 150 anni di storia della sua unità, l’Italia si è sempre ritrovata con la “questione democratica” aperta e irrisolta, anche se solo con il fascismo l’involuzione giunse alla morte della democrazia. La Liberazione e l’avvento della Costituzione repubblicana hanno invece fatto rinascere un’Italia democratica, che, per quanto segnata dal noto limite politico di una “democrazia bloccata” (come fu definito), è stata comunque democrazia a sovranità popolare.
La caduta del muro di Berlino aveva creato condizioni favorevoli per superare questo limite posto alla nostra sovranità popolare fin dai tempi di “Yalta”. Infatti la normale fisiologia di una libera democrazia comporta la reale possibilità di alternanze politiche nel governo della cosa pubblica. Ma proprio questo risulta sgradito a poteri che, già prima e ancora oggi, sottopongono a continui contraccolpi le istituzioni democratiche. L’elenco dei fatti che l’attestano sarebbe lungo ma è noto.
Tutti comunque riconosciamo che ad indebolire la tenuta democratica del paese possono, ad esempio, contribuire: campagne di discredito della cultura politica dei partiti; illecite operazioni dei poteri occulti; monopolizzazioni private dei mezzi di comunicazione sociale; mancanza di rigorose norme per sancire incompatibilità e regolare i cosiddetti conflitti di interesse; alleanze segrete con le potenti mafie in cambio della loro sempre più capillare e garantita penetrazione economica e sociale; mito della governabilità a scapito della funzione parlamentare della rappresentanza; progressiva riduzione dello stato di diritto a favore dello stato padrone a conduzione tendenzialmente personale; sconfinamenti di potere dalle proprie competenze da parte di organi statali e conseguenti scontri tra istituzioni; tentativi di imbavagliare la giustizia e di piegarla a interessi privati; devastazione del costume sociale e dell’etica pubblica attraverso corruzioni, legittimazioni dell’illecito, spettacolari esibizioni della trasgressione quale liberatoria opportunità per tutti di dare stura ai più diversi appetiti...
Di questo degrado che indebolisce la democrazia dobbiamo sentirci tutti corresponsabili; nessuno è esente da colpe, neppure le istituzioni religiose. Differente invece resta la valutazione politica se oggi in Italia possiamo ancora, o non più, dire di essere in una reale democrazia. È una valutazione che non compete a questo mio intervento, che intende restare estraneo alla dialettica delle parti e delle opinioni. Al di là delle diverse e opinabili diagnosi, c’è il fatto che oggi molti, forse i più, non si accorgono del processo, comunque in atto, di morte lenta e indolore della democrazia, del processo che potremmo definire di progressiva “eutanasia” della Repubblica nata dalla Resistenza antifascista.
Fascismo di ieri e populismo di oggi sono fenomeni storicamente differenti, ma hanno in comune la necessità di disfarsi di tutto ciò che è democratico, ritenuto ingombro inutile e avverso. Allo scopo può persino servire la ridicola volgarità dell’ignoranza o della malafede di chi pensa di liquidare come “comunista” o “cattocomunista” ogni forma di difesa dei principi e delle regole della democrazia, ogni denuncia dei soprusi che sono sotto gli occhi di chiunque non sia affetto da miopia e che, non a caso, preoccupano la stampa democratica mondiale.
Il senso della realtà deve però condurci a prendere atto che non serve restare ancorati ad atteggiamenti nostalgici e recriminatori, ignorando i cambiamenti irreversibili avvenuti negli ultimi decenni. Servono invece proposte positivamente innovative e democraticamente qualificate, capaci di rispondere ai reali problemi, alle giuste attese della gente e, negli attuali tempi di crisi, ai sempre più gravi e urgenti bisogni del paese. Perché finisca la deriva dell’antipolitica e della sua abile strumentalizzazione è necessaria una politica nuova e intelligente.
Ci attendiamo non una politica che dica “cose nuove ma non giuste”, secondo la prassi oggi dominante. Neppure ci può bastare la retorica petulante che ripete “cose giuste ma non nuove”. È invece indispensabile che “giusto e nuovo” stiano insieme. Urge perciò progettualità politica, capacità di dire parole e realizzare fatti che sappiano coniugare novità e rettitudine, etica e cultura, unità nazionale e pluralismi, ecc. nel costruire libertà e democrazia, giustizia e pace.
Solo così, nella vita civile, può rinascere la speranza. Certamente la speranza cristiana guarda oltre le contingenza della città terrena. E desidero dirlo proprio pensando ai morti che ricordiamo in questi giorni. La fede ne attende la risurrezione dei corpi alla pienezza della vita e dello shalom biblico. Ma questa grande attesa alimenta anche la speranza umana per l’oggi della storia e per il suo prossimo futuro. Pertanto, perché questa speranza resti accesa, vorrei che idealmente qui, dal Campo della Gloria, si levasse come un appello a tutte le donne e gli uomini di buona volontà.
Vorrei che l’appello si rivolgesse in particolare a coloro che, nell’una e nell’altra parte dei diversi e opposti schieramenti politici, dentro la maggioranza e l’opposizione, si richiamano ai principi della libertà e della democrazia e non hanno del tutto perso il senso delle istituzioni e dell’etica pubblica. A voi diciamo che dinanzi alla storia - e, per chi crede, dinanzi a Dio - avete la responsabilità di fermare l’eutanasia della Repubblica democratica. L’appello è invito a dialogare al di là della dialettica e conflittualità politica, a unirvi nel difendere e rilanciare la democrazia nei suoi fondamenti costituzionali. Non è tempo di contrapposizioni propagandistiche, né di beghe di basso profilo.
L’attuale emergenza e la memoria di chi ha combattuto per la Liberazione vi chiedono di cercare politicamente insieme come uscire, prima che sia troppo tardi, dal rischio di una possibile deriva delle istituzioni repubblicane. Prima delle giuste e necessarie battaglie politiche, ci sta a cuore la salute costituzionale della Repubblica, il bene supremo di un’Italia unitaria e pluralista, che insieme vogliamo “libera e democratica”.
Cara Giusi ... e questo che vuol dire? Per secoli è stato così, e ancora non ci siamo svegliati e svegliate - e neppure il vescovo e neppure il papa!!!
Basti che pensi al tuo Nome e, forse, ti ricorderai che qui qualcosa non quadra: Maria, Gesù... e Giuseppe, dov’è?!!! Che "sacra famiglia" è questa?!
Se hai voglia, leggi la novella "Un Goj" di Luigi Pirandello, forse, capirai meglio a che gioco si gioca con l’alleanza Madre-Figlio, senza il Padre!!! Addirittura, scambiamo un "grande fratello" e "un padrino" con il "Padre nostro" (AMORE-"CHARITAS"): PIRANDELLO E LA BUONA-NOVELLA. DALL’ITALIA, DALLA SICILIA, DA AGRIGENTO, DA BONN, DA ROMA, DA MILANO, DA NAPOLI, DA SAN GIOVANNI IN FIORE, E DA GERUSALEMME: UN "URLO" MAGISTRALE PER BENEDETTO XV ... E BENEDETTO XVI. Basta con la vecchia, zoppa e cieca, famiglia cattolico-romana, camuffata da "sacra famiglia"!!!
Federico La Sala
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Un simbolo sfruttato dalla Chiesa dopo il Concilio di Efeso e nell’offensiva anti Lutero
La Vergine col bambino un’icona contro le eresie
Ma l’immagine fu ereditata dalla dea egizia Iside
di Francesca Bonazzoli (Corriere della Sera, 20.11.2008)
Ancor prima dell’epoca cristiana, l’immagine della «Madre col Bambino» veniva già usata da molte culture con un significato religioso: nell’area mediterranea, per esempio, rappresentava la dea Iside con in grembo il figlio Horus e fu proprio questa iconografia egizia a passare in quella cristiana occidentale attraverso la mediazione dell’Oriente bizantino.
In particolare, dopo il 431, le gerarchie ecclesiastiche cristiane promossero l’immagine della Madonna col Bambino per dare forza alla condanna, votata dal Concilio di Efeso, dell’eresia nestoriana secondo la quale la Vergine non poteva essere chiamata «madre di Dio», ma solo madre di Gesù poiché non aveva generato un Dio, bensì solo il corpo in cui Dio aveva poi preso dimora.
Da quel momento fino al Medioevo nelle chiese cristiane si assiste a una proliferazione delle immagini della Madonna col Bambino (spesso accompagnate dall’iscrizione «Maria Mater Dei» e «Sancta Dei Genitrix») raggruppabili in diverse varianti: la Madonna del latte (dove la Vergine allatta il figlio) è una delle prime iconografie conosciute, fin dalla catacomba di Priscilla del III secolo; la Madonna orante col Bambino (genuflessa e con le mani giunte mentre adora il figlio poggiato su un lembo del proprio manto); la Madonna leggente col Bambino (con in mano il libro della Sapienza); la Madonna del roseto (seduta in un giardino di rose simbolo della verginità della madre di Dio) particolarmente amata nel Nord Europa; la Madonna col bambino in trono (dove Maria personifica la Chiesa), di derivazione bizantina e i cui più antichi esempi in Occidente si trovano nei mosaici di Ravenna.
L’immagine registra poi un secondo grande momento di successo che coincide ancora una volta con un’eresia: quella protestante. A cavallo fra XV e XVI secolo, l’impiego della Madonna col Bambino viene nuovamente incentivato da parte della Chiesa cattolica per fini propagandistici e, dopo la condanna di Lutero, per confutare la dottrina protestante che ridimensionava il culto della Vergine assieme a quello dei santi. In quest’epoca furono soprattutto due i pittori che portarono il soggetto alla gloria: Raffaello e Giovanni Bellini. Il primo perché, noto ammiratore e amante di donne, seppe dare alle sue Madonne grazia e bellezza idealizzate, di una perfezione che incantava e trascendeva qualsiasi modello umano; il secondo perché, sincero credente, nei volti delle sue Vergini dall’aria dolce e domestica ritraeva quello della moglie amata di un amore casto e cristiano.
Nel Rinascimento il culto mariano si era ormai molto diffuso e via via che la devozione popolare si era fatta più appassionata, anche l’iconografia della Madonna col Bambino aveva perso la primitiva ieratica monumentalità per acquisire un tono più tenero. La rigidezza, eredità orientale nella rappresentazione della Madre in posizione frontale con il bambino eretto, vestito e benedicente, aveva lasciato già nel XIV secolo il posto a due nuove varianti dove madre e figlio venivano messi in un rapporto di affettuosità attraverso un gioco di sguardi o di mani: la Madonna dell’Umiltà (in particolare nel-l’Italia settentrionale) e la Mater amabilis, il tipo di rappresentazione più amata fra tutta l’iconografia mariana. È soprattutto per quest’ultima immagine intima e domestica che si sviluppano leggere varianti attraverso l’inserimento di oggetti simbolici. Fra i più frequentati figurano la mela, frutto dell’albero del Bene e del Male: tenuta in mano dal Bambino allude alla redenzione dal peccato originale.
L’uva è simbolo del vino eucaristico e quindi del sangue del Cristo redentore (anche nella variante della brocca che contiene il vino). Analogamente, le spighe sono il pane eucaristico e dunque il corpo di Cristo. La ciliegia, frutto del Paradiso, è simbolo del Cielo; la melagrana, che già nel mondo pagano era attributo di Proserpina, dea che presiedeva alla germinazione, allude alla Resurrezione. La noce, invece, era un complesso simbolismo sviluppato da sant’Agostino, dove il mallo stava per la carne di Cristo, il guscio di legno alludeva alla croce e il gheriglio alla natura divina del Cristo.
E infine l’uccello che, nella pittura cristiana, mantiene il simbolismo che già aveva in quella pagana, ovvero rappresenta l’anima umana che vola via alla morte del corpo. Spesso è un cardellino perché il suo piumaggio colorato lo rendeva particolarmente attraente agli occhi dei bambini e anche perché, secondo una leggenda, la macchia rossa sul capo sarebbe stata un residuo del sangue di Cristo con cui il cardellino si macchiò volando sopra la testa incoronata di spine di Gesù mentre questi saliva al Calvario.
La fede cristiana ritrovata e il no a ogni tipo di violenza: parla la Betancourt oggi in pellegrinaggio per ringraziare la Madonna
Ingrid a Lourdes: «Io perdono»
DI DOMINIQUE GERBAUD E JEAN-CHRISTOPHE PLOQUIN (Avvenire, 12.07.2008)
N ella giungla lei ha subito una violenza estrema da parte di persone che, come lei, si dichiarano cristiane. Poteva evocare con loro questo rapporto tra la loro fede e la violenza di cui erano portatori?
«Quando ci si trova in circostanze così estreme è molto difficile condividere la propria fede con i propri carcerieri. Tutto ciò può trasformarsi molto velocemente in un indottrinamento da parte loro. Ora, le Farc vivono in un unico ambito, quello dell’indottrinamento. Ogni giorno i giovani dovevano seguire e subire quello che chiamano ’la classe’. In base al mio carattere non ho la vocazione né a far parola né ad intavolare discussioni».
Ai suoi occhi la violenza che subiva poteva avere una risposta cristiana? Ha cercato forme di azione non violenta?
«La sola risposta alla violenza è una risposta d’amore. Questa risposta d’amore, questo atteggiamento non violento, per me, è stato cristiano dato che sono di fede cattolica, ma tutto questo avrebbe potuto essere buddista o musulmano. Ciò che ho scoperto è che si può essere condotti ad odiare una persona. A odiarla con tutte le forze del nostro essere e, allo stesso tempo, a trovare nell’amore il sollievo rispetto a questo odio. Non si può amare qualcuno che vi fa del male. Ma si può trovare, e io l’ho trovato in Cristo, un punto di appoggio, come un trampolino. Mi dicevo: ’Per Te, Signore, non dico che lo detesto’. Il fatto di non aver sulla bocca queste parole di odio era un conforto. Talvolta vedevo arrivare un guerrigliero crudele e spaventoso. Veniva a sedersi davanti a me ed io ero capace di sorridergli».
Oggi lei ha iniziato un cammino di perdono rispetto ai suoi carcerieri?
«L’amore è necessario. Sì, ho cominciato un cammino di perdono. Sono riuscita a perdonare, e non solo ai miei sequestratori. Ho perdonato anche quelli che erano prigionieri con me, con i quali talvolta ci sono stati momenti molto difficili. Ho perdonato quei miei amici che non si sono ricordati di noi, quelle persone sulle quali si fa affidamento e che sono mancate; quelle persone che amavo e che hanno detto delle cose orribili, come, ad esempio, che ’questa prigionia se l’è cercata’. Perdono quanti dicevano: ’C’è la guerra, se è necessario che lei muoia, vuol dire che ci sarà un numero in più nelle statistiche globali’. Così facendo, fanno credere che la vita non è che un numero».
Lei dice spesso che la Vergine Maria è stata un sostegno permanente...
«Per me è stata fondamentale. In un’atmosfera di solitudine spirituale, nella quale tutto attorno a voi non è altro che l’aggressività dei nemici, ho dovuto imparare a non reagire come facevo prima. Ho dovuto apprendere il silenzio e ad abbassare la testa. La sola persona con la quale potevo parlare era la Vergine. Evviva Maria!». Cosa sognava, la notte, durante il sonno? «Ho sognato di scoprire i volti nuovi dei miei figli. E avevo paura del loro choc rispetto all’invecchiamento della mamma. Era un misto di felicità e paura. Oggi sono nel migliore dei mondi possibili. Ciò di cui avevo paura non si è verificato e quello che sognavo si è realizzato».
Come ha fatto a resistere?
«Ho trovato le forze perché vi devo tutto. Perché voi avete sostenuto la mia famiglia. Se non foste stati presenti accanto a loro, dove sarebbero andati? E oggi è normale che voi abbiate voglia di sapere. Io vi sono debitrice di questo. Troverei brutto che, dovendo tanto ai media, chiudessi loro la porta, oggi. Più tardi avrò la mia intimità. L’ho promessa ai miei ragazzi. Ho chiesto loro di pazientare. Saremo tra noi, in famiglia. Oggi diciamo grazie».
Non teme che i colombiani la rimproverino di essere venuta così in fretta in Francia e di restarvi a lungo?
«Se io mi trovo qui in Francia e non in Colombia è perché ho un debito da pagare nei confronti dei miei figli, della mia famiglia, dal momento che hanno sofferto molto. Sono stati trasformati sia in positivo che in negativo. Ci sono così tante ferite da cicatrizzare! Durante tutto questo tempo si sono fatti molti amici e anche molti nemici. Hanno voglia che io li difenda. Bisogna che sentano che sono qui per loro, come uno scudo, per evitare che soffrano. Non ho più voglia che soffrano».
Cosa è possibile fare per liberare gli altri ostaggi?
«Non li si deve dimenticare. Se io sono un simbolo per far parlare su di loro, tanto meglio. Se io, che ero in una cassa da morto fatta di vegetazione, sono riuscita a farvi toccare questo orrore, oggi devo continuare. Il 20 luglio ci sarà in Colombia una marcia per chiedere la liberazione degli ostaggi rapiti dalle Farc, per dire loro: ’Quello che fate è infame’. Che essi sappiano che sono respinti da tutti, che non li si ama più, che si sentano messi all’indice. Restando qui in Francia voglio anche mostrare che questa lotta contro le Farc non è solo dei colombiani. Gli altri ostaggi hanno bisogno che si lotti per loro nello stesso modo in cui si è lottato per me».
(Per gentile concessione del quotidiano «La Croix»; traduzione di Lorenzo Fazzini)
* In questa intervista l’ex ostaggio delle Farc svela un’immagine di sè assai lontana da quella «religiosamente corretta» apparsa su certi media italiani
Altro che Nirvana! Se la stampa italiana ha dato subito una lettura ’religiosamente corretta’ della liberazione dell’ostaggio più famoso del mondo, o si è concentrata sulla ’ leggerezza’ del tifo calcistico di Ingrid Betancourt per la sua Francia nella finale con l’Italia di Lippi ai Mondiali 2006, dalle parole che l’ex ostaggio della Farc ha rilasciato ad alcuni media francesi cattolici scaturisce il ritratto di una donna dalla fede rocciosa e provata con il fuoco. La Betancourt in questo week- end è in pellegrinaggio a Lourdes, dopo essersi subito recata - una volta arrivata a Parigi - a pregare al santuario del Sacré Coeur di Montmartre. « Sono stata trasformata dalla preghiera - ha detto al magazine ’ Pèlerin’ - . Di fronte alla violenza ci sono due strade: diventare vendicativi o seguire quello che Gesù ci ha mostrato. Egli chi chiede: ’Ama il tuo nemico’. Ogni volta che leggevo la Bibbia, sentivo che quelle parole erano rivolte a me, come se Lui fosse di fronte a me » . E al settimanale ’ La Vie’ ha confidato: « Durante tutti i miei anni di prigionia ho sentito la mano di Dio su di me». Alla faccia delle letture para-buddiste o minimaliste di certi media nostrani. (L. F.)
A Notre Dame de Laus, in Francia l’ultima apparizione mariana approvata *
L’ultima apparizione mariana ufficialmente approvata dall’autorità ecclesiastica è quella di Notre Dame de Laus in Francia. L’annuncio è stato fatto il 4 maggio da parte del vescovo di Gap, Jean-Michel di Falco, nel corso di una solenne celebrazione eucaristica che ha visto la partecipazione dell’episcopato transalpino e di numerosi fedeli. Le apparizioni mariane approvate sono state accolte e testimoniate da Benoite Rencurel una umile pastorella, analfabeta, vissuta in questa zona delle Alpi francesi, tra il 1647 e il 1718. La Rencurel, dichiarata da Pio IX venerabile nel maggio 1872 e di cui è in corso la causa di beatificazione, ebbe le visioni dal 1664, quando era sedicenne, fino alla morte. Ha commentato su L’Osservatore Romano del 7 maggio il padre servita Salvatore Perrella, docente di dogmatica e mariologia presso la Pontificia facoltà teologica «Marianum» di Roma: «Cinquantaquattro anni di apparizioni - fatto che va sottolineato per la straordinarietà dell’evento, che ha paragoni solo con le presunte mariofanie di Medjugorje - portarono la veggente ad essere completamente dedita, su comando della stessa Signora, alla costruzione di un santuario ’in onore del mio adorato Figlio’ e alla non facile ma importante ’pastorale dell’accoglienza’ dei numerosi pellegrini che accorrevano sempre più numerosi a Laus, nei quali inculcava la via della riconciliazione, della preghiera e del Vangelo: un servizio di evangelizzazione da molti contrastato e deriso, ma sicuramente efficace e carico di frutti». Molti vescovi del luogo avevano riconosciuto la soprannaturalità delle apparizioni di Laus, ma nessuno le aveva approvate ufficialmente come è successo il 4 maggio. In Francia questa è la prima mariofania riconosciuta ufficialmente dopo quella di Lourdes del 1858. (G. Card.)
Ricorre quest’anno il 150° anniversario delle apparizioni mariane a Lourdes
Tempi e criteri per «giudicare» le apparizioni
L’iter da seguire in un documento della Congregazione per la dottrina della fede. Parla l’arcivescovo Amato
DI GIANNI CARDINALE *
Due mesi fa il vescovo di Gap in Francia, Jean- Michel di Falco, ha approvato e proclamato ufficialmente come vere le apparizioni mariane di Notre Dame de Laus. In quell’occasione l’Osservatore Romano ha pubblicato un lungo articolo di padre Salvatore M. Perrella dei Servi di Maria, per illustrare i criteri adottati dalla Chiesa cattolica riguardo al riconoscimento del fenomeno delle apparizioni e delle visioni. Nell’articolo in questione veniva citato un documento dell’ex Sant’Uffizio, mai reso pubblico, sull’argomento.
Per saperne di più Avvenire ha posto alcune domande all’arcivescovo Angelo Amato, dal dicembre 2002 segretario della Congregazione per la dottrina della fede.
Eccellenza, cosa può dirci di questo documento sul modo con cui le autorità ecclesiastiche devono comportarsi nel caso di presunte apparizioni e rivelazioni?
Il documento si intitola « Normae S. Congregationis pro doctrina fidei de modo procedendi in diudicandis praesumptis apparitionibus ac revelationisbus » . Deliberate dalla plenaria di questo dicastero del novembre 1974, papa Paolo VI le approvò il 24 febbraio 1978, e portano la data del giorno successivo. Hanno la firma dei compianti cardinale Franjo Seper e dell’arcivescovo Jean Jerome Hamer, all’epoca rispettivamente prefetto e segretario della Congregazione.
È un documento segreto?
È un documento che è stato inviato a tutti i vescovi diocesani e a tutti i superiori religiosi. Ma è vero che non è stato mai pubblicato ufficialmente, né sugli Acta apostolicae Sedis, né nel recente volume Documenta che raccoglie i principali testi della Congregazione per la dottrina della fede del dopo Concilio.
E perché?
Sono norme che riguardano eminentemente i pastori e quindi non si è sentito mai la necessità di diffonderlo ulteriormente.
Non è mai stato aggiornato?
È un documento ben fatto, che conserva la sua validità. E quindi Dopo una Nota praevia sull’origine e il carattere delle norme in questione, il documento elenca i criteri con cui i vescovi e gli ordinari ad essi equiparati devono giudicare le presunte apparizioni e rivelazioni. Si tratta di criteri positivi come, ad esempio, le qualità personali del o dei veggente/i (l’equilibrio psichico, l’onestà e la rettitudine, la sincerità e la docilità abituale nei confronti dell’autorità ecclesiastica...), o il fatto che le «rivelazioni» siano immuni da errori teologici e che Il segretario del dicastero vaticano: dai pastori diocesani fino all’intervento della Sede apostolica nel testo gli elementi per riconoscere la soprannaturalità di un evento comportino una sana devozione e frutti spirituali abbondanti e costanti. Oppure di criteri negativi, come errori dottrinali attribuiti al Signore o alla Beata Vergine Maria o ad altri santi, questioni di lucro annessi ad arte, atti gravemente immorali commessi dal/ dai vegqualificato collettive.
Alla luce di questi criteri come devono comportarsi le autorità ecclesiastiche?
È questo l’argomento del secondo capitoletto delle Norme. I pastori dopo aver valutato attentamente possono permettere qualche forma di culto o devozione, facendo presente che questo non vuol dire ancora che la Chiesa abbia riconosciuto la soprannaturalità degli eventi. Oppure, se ritiene che ci siano i motivi, può vietarli. Nei casi dubbi l’autorità può decidere di non intervenire, in attesa che i fatti si estinguano, ma deve sempre vigilare in maniera, se necessario, di poterlo fare prontamente.
Ma quali sono le competenze dei vescovi e delle Conferenze episcopali riguardo questi fenomeni?
A questa domanda risponde il punto terzo delle Norme. La prima competenza spetta all’ordinario. Le Conferenze episcopali regionali o nazionali possono però intervenire se interpellate dall’ordinario o, sempre previo consenso del vescovo locale, se i fenomeni hanno rilevanza regionale o nazionale. A questo si aggiunge che la Sede apostolica può intervenire su richiesta del vescovo locale o su richiesta di un gruppo di fedeli o in ragione della giurisdizione universale del Sommo Pontefice. E la Sede apostolica interviene attraverso la Congregazione per la dottrina della fede. Giusto, ed a questo è dedicato il quarto e ultimo punto delle Norme. In esso viene spiegato che la nostra Congregazione deve essere attenta, nel caso che intervenga su richiesta dei fedeli, che non ci siano ragioni sospette dietro, come quella di costringere l’ordinario a mutare sue legittime decisioni o approvare qualche gruppo settario.
Alla fine di questi procedimenti, quali possono essere le prese di posizione dell’autorità?
Ci può essere l’approvazione, il constat de supernaturalitate, come ha fatto di recente il vescovo di Gap per le apparizioni di Laus. Oppure la disapprovazione, il non constat de supernaturalitate, come ad esempio di non poche manifestazioni pseudomistiche. Ma il «non constat de supernaturalitate » può essere considerato un giudizio attendista, rispetto a quello negativo che sarebbe il «constat de non supernaturalitate»? Nelle Norme di cui stiamo parlando si parla solo di constat de e non constat de. Non si fa cenno al constat de non.
Recentemente un paio di cardinali hanno auspicato che venga proclamato un nuovo dogma mariano che proclami la Vergine «corredentrice » e «mediatrice di tutte le grazie». C’è questa possibilità?
È una richiesta di antica data. Come ho già avuto modo di dire, il titolo di «corredentrice» non è né biblico né patristico né teologico ed è stato usato raramente da qualche pontefice e solo in allocuzioni minori. Il Concilio Vaticano II l’ha volutamente evitato. È bene ricordare che in teologia si può usare il principio dell’analogia, ma non quello della equivocità. E in questo caso, non c’è analogia, ma solo equivocità. In realtà Maria è la «redenta nel modo più perfetto», è il primo frutto della redenzione di suo Figlio, unico redentore dell’umanità. Voler andare oltre mi sembra poco prudente.
Eccellenza, alcune domande «fuori tema». A che punto è la versione aggiornata della « Donum Vitae » l’istruzione sui temi bioetici che risale al 1987?
Il testo, che è stato molto elaborato, vista la delicatezza delle tematiche affrontate, è praticamente completato e pronto per le traduzioni. Credo che in autunno potrà essere pubblicato.
Sono davvero in corso colloqui tra la vostra Congregazioni e i gruppi di anglicani, comprendenti laici, sacerdoti e anche vescovi, che vorrebbero entrare in piena comunione con Roma?
Questa Congregazione parla con tutti quei cristiani e gruppi di cristiani, appartenenti ad altre Chiese e comunità non cattoliche, che esprimono il desiderio di tornare ad una piena comunione con il vescovo di Roma. Noi non abbiamo preclusioni con nessuno. Né possiamo essere succubi di calcoli di natura, diciamo così, diplomatica.
Eccellenza, mi perdoni, ma è vero che, a quanto riferisce il «tam-tam curiale», dopo cinque anni e mezzo da segretario della Congregazione per la dottrina della fede, sia imminente un annuncio che la riguarda?
No comment.
Se lo dicono loro...
Medjugorje, l’atto d’accusa del Vescovo-esorcista.
di Gianluca Barile
Monsignor Gemma: “Le apparizioni della Madonna? Tutto falso: i veggenti mentono sotto ispirazione di Satana per arricchirsi economicamente”
Riprendiamo questa notizia dal sito www.papanews.it. Non abbiamo mai creduto in fenomeni come quello di Medjugorje e siamo stati sempre convinti che li, come in altre zone dove ci sono manifestazioni simili, ci siano questioni di tipo economico. Ma se lo afferma un vescovo, se lo dicono loro... se mai avessimo avuto qualche dubbio ora scompaiono del tutto. Speculare sulla credulità popolare e peggio ancora sulle difficoltà della gente per arricchirsi è veramente indegno. *
CITTA’ DEL VATICANO - Un misto tra interessi economici e diabolici, con i presunti veggenti (nella foto) e i loro collaboratori direttamente coinvolti nei guadagni relativi all’elevatissimo flusso di pellegrinaggi e soggiorni in paese, e il Maligno ben contento di seminare zizzania tra i fedeli più convinti delle veridicità delle apparizioni di Medjugorje e la Chiesa, da sempre scettica verso quello che ha definito a più riprese, per bocca dei due Vescovi di Mostar succedutisi nel tempo, ‘un grande inganno’. Monsignor Andrea Gemma, già Vescovo di Isernia-Venafro, tra i più grandi esorcisti viventi, non usa mezzi termini: altro che la Vergine, a Medjugorje sono apparsi, sinora, solo fiumi di denaro. Un’accusa grave, che dà la cifra non solo del coraggio ma anche della levatura morale e spirituale del prelato che ha accettato di rispondere alle domande di ‘Petrus’ su una vicenda così spinosa.
Dunque, Eccellenza, come definire Medjugorje?
“E’ un fenomeno assolutamente diabolico, intorno al quale girano numerosi interessi sotterranei. La Santa Chiesa, l’unica a potersi pronunciare per bocca del Vescovo di Mostar, ha già detto pubblicamente, e ufficialmente, che la Madonna non è mai apparsa a Medjugorje e che tutta questa messinscena è opera del Demonio”.
Lei parla di ‘interessi sotterranei’... Quali?
“Mi riferisco allo ‘sterco del Diavolo’, al denaro, e a cosa, sennò? A Medjugorje tutto avviene in funzione dei soldi: pellegrinaggi, pernottamenti, vendita di gadgets. Cosicché, abusando della buona fede di quei poveretti che si recano lì pensando di andare incontro alla Madonna, i falsi veggenti si sono sistemati finanziariamente, si sono accasati e conducono una vita a dir poco agiata. Pensi, uno di loro organizza direttamente dall’America, con un guadagno economicamente diretto, decine di pellegrinaggio ogni anno. Ecco, costoro non mi sembrano proprio delle persone disinteressate. Anzi, unitamente a chi presta il fianco a questo clamoroso raggiro, hanno palesemente tutto l’interesse materiale di far credere di vedere e parlare con la Vergine Maria”.
Monsignor Gemma, il Suo è un giudizio senza appello?
“Potrebbe essere diversamente? Queste persone che asseriscono di essere in contatto con la Madonna, ma che in realtà sono ispirate solo ed esclusivamente da Satana, stanno creando scompiglio e confusione tra i fedeli per interessi e vantaggi assolutamente deprecabili. Pensi, poi, alla disobbedienza che hanno alimentato in seno alla Chiesa: la loro guida spirituale, un frate francescano cacciato dall’Ordine e sospeso a divinis, continua ad amministrare invalidamente i Sacramenti. E numerosi sacerdoti di tutto il mondo, malgrado il divieto esplicito della Santa Sede, non desistono dall’organizzare e dal prendere parte a pellegrinaggi con destinazione Medjugorje. E’ una vergogna! Ecco perché parlo di una miscela tra interessi personali e diabolici: i falsi veggenti e i loro assistenti intascano denaro, e il Diavolo crea discordia tra i fedeli e la Chiesa; i fedeli più accaniti, infatti, non ascoltano la Chiesa, che - lo ripeto - ha sin dall’inizio ha messo in guardia dalla mendacia delle apparizioni di Medjugorje”.
E se i presunti veggenti vedessero davvero la Madonna?
“In realtà vedrebbero Satana sotto mentite spoglie. Perché Satana ha tutto l’interesse a spaccare la Chiesa contrapponendo le due correnti dei ‘pro’ e dei ‘contro’ Medjugorje. E poi, non sarebbe una novità: lo stesso San Paolo asserisce che il Demonio può anche apparire come Angelo della Luce, e che cioè può camuffarsi. Lo faceva, ad esempio, con Santa Gemma Galgani. Ma al di là dei suoi travestimenti, il Maligno è già intervenuto e vi posso assicurare che è lui ad ispirare i falsi veggenti sin dall’inizio con la lusinga del denaro facile”.
Questi veggenti non Le piacciono proprio...
“Per carità! Basta vedere come si comportano: sono disobbedienti verso la Chiesa, avrebbero dovuto ritirarsi a vita privata e invece continuano a propagandare le loro menzogne per scopi di lucro, facendo così il gioco del Diavolo! Il mio pensiero va immediatamente a Santa Bernadette, la veggente di Lourdes: questa dolce creatura volle spogliarsi della sua vita e scelse l’abito da Suora per servire il Signore. Invece, gli impostori di Medjugorje continuano a vivere comodamente nel mondo senza manifestare alcun tipo di amore né per Dio, né per la Chiesa”.
I sostenitori di Medjugorje sottolineano che la Santa Sede non si è mai espressa in materia.
“Questa è un’altra menzogna! Come accennavo in precedenza, il Vaticano ha vietato i pellegrinaggi da parte di sacerdoti in quel luogo ed ha già parlato per bocca dei due Vescovi succedutisi in questi anni a Mostar, i Monsignori Zanic e Peric, con cui ho parlato personalmente e che mi hanno sempre manifestato i loro dubbi. Veda, neanche per Fatima e Lourdes è accaduto che la Santa Sede si esprimesse direttamente sulle apparizioni mariane. Perché, dunque, avrebbe dovuto fare un’eccezione proprio in questo caso? La verità è che quando parla il Vescovo di Mostar, parla la Chiesa di Cristo ed è a lui, che si esprime con l’autorità conferitagli dal Vaticano, che bisogna dare ascolto. Quindi, la Santa Sede si è sempre espressa con le parole del Vescovo di Mostar, evidenziando che Medjugorje è un inganno diabolico. Ma le farà una confidenza. Vedrà che tra poco il Vaticano interverrà con qualcosa di esplosivo per smascherare una volta per tutte chi c’è dietro questo raggiro”.
Gli stessi sostenitori fanno notare che a Medjugorje si registra ogni anno un record di conversioni e miracoli...
“E’ una forzatura. E poi, chi conta tutte queste conversioni? Veda, se una persona si converte, è perché ha una certa predisposizione, perché si sa guardare dentro, perché sa ricevere il dono dello Spirito. Il luogo in cui avviene questa conversione è del tutto relativo. Pensiamo a San Paolo: si convertì per strada, e allora che dovremmo fare, scendere tutti in strada e attendere di essere convertiti? Per quanto riguarda i miracoli, le racconterò un aneddoto personale. Devo all’intercessione di Nostra Signora del Rosario di Pompei la guarigione miracolosa di una persona della mia famiglia, eppure non mi risulta che la Madonna sia mai apparsa a Pompei. Ecco, per credere, per essere guariti dentro e fuori, non occorre necessariamente che Maria si faccia vedere”.
Che Lei sappia, il Santo Padre Benedetto XVI quale opinione ha di Medjugorje?
“Mi limiterò a sottolineare che fu lui, in quanto Cardinale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, a emanare delle note ufficiali avverse a Medjugorje, come quella che vietava ai sacerdoti e ai religiosi di recarsi in pellegrinaggio in quella terra. Faccia lei...”.
Invece si dice che Giovanni Paolo II fosse convinto della bontà delle apparizioni.
“Una leggenda tutta da provare, fermo restando che le opinioni personali tali sono e non rappresentano in alcun modo un atto magisteriale”.
Da: http://www.papanews.it/dettaglio_interviste.asp?IdNews=7499
Caro Francesco
ho ripreso l’articolo (non mio) solo per sollecitare maggiore attenzione e occhi aperti, per andare a vedere - possibilmente - le cose "con uno spirito giusto" (come scrivi), non per altro.
Ti ringrazio dell’attenzione e ti auguro una buona domenica.
M. saluti, Federico
CARO FRANCESCO
Molte grazie per la Tua attenzione...e gloria al PADRE NOSTRO: "CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1 Gv., 4. 1-8). «Et nos credidimus Charitati...»!!!!
Sull’argomento, se hai voglia, leggi (nel sito - clicca sulle parole rosse)
SINODO DEI VESCOVI 2008: L’ANNO DELLA PAROLA DI DIO - AMORE ("CHARITAS") O MAMMONA ("CARITAS")?!
Fatto sta che la prima enciclica di Papa Benedetto XVI (Deus caritas est, 2006) è per Mammona.
Gesù "Cristo, che non era schizofrenico", non si travestiva da imperatore e pontefice romano e non predicava il van-gelo del Dio-Mammona... o di "Mammasantissima", che è ancora lo stesso "Dio"!!!
M. cari saluti e ancora grazie per la Tua attenzione.
Federico La Sala
L’intervista
Gianni Gennari, studioso della religiosità popolare
"Quei santuari del sentimento"
Gianni Gennari, teologo, cura la rubrica «Lupus in pagina» su Avvenire ed è attento studioso della religiosità popolare. «Io credo - dice - che chi non comprende il valore e il significato di un santuario non riesca nemmeno a capire tanti altri aspetti della nostra società, e non solo sotto il punto di vista religioso».
A cosa si riferisce?
«Penso ad esempio alla recente esposizione del corpo di Padre Pio. Anche in questa occasione ho letto pareri di intellettuali moderni, per così dire scafati, che non hanno nascosto il loro disprezzo per questo fenomeno di religiosità popolare. Ma si sono chiesti, questi stessi intellettuali, perché 700.000 persone hanno prenotato una visita a San Giovanni Rotondo? Sono riusciti a trovare una risposta? Se non comprendi i sentimenti di milioni di persone, sarà difficile anche presentare proposte politiche che trovino consenso. E si è visto anche alle recenti elezioni».
Da un punto di vista dottrinale, cos’è un santuario?
«Il vero santuario, secondo la teologia, è l’uomo vero. Il credente cerca e trova Cristo nell’Eucarestia, nella Parola e, come detto, nell’uomo che soffre, che subisce ingiustizia... "Se non ami il fratello che vedi - dice il Vangelo - non puoi amare il Dio che non vedi". Ma c’è anche un’esperienza religiosa concreta che nei secoli ha preso la forma di luoghi. Già dai primi secoli è nato il culto delle reliquie dei Martiri e sono stati venerati i luoghi della presenza storica di Cristo, degli Apostoli e poi dei Santi. È un fenomeno, questo, che ha toccato tutti i secoli e tutti i continenti e che ancora oggi continua».
Il riconoscimento ufficiale di un’apparizione, come avvenuto a Saint Etiènne le Laus, cambia qualcosa nella vita di un santuario?
«Non credo. I santuari sopravvivono solo se già sono legati a una tradizione e a una devozione popolare. Il riconoscimento ufficiale, arrivato come in Francia dopo tre secoli e mezzo, dimostra soltanto che la Chiesa è attenta. E vigila contro superstizione, paganesimo e soprattutto simonia».
(j. m. [Jenner Meletti])
* la Repubblica, 13.05.2008, p. 35.
GLORIA AL PADRE AL FIGLIO E ALLO SPIRITO SANTO COM’E ERA NEL PRINCIPIO ORA E SEMPRE NEI SECOLI DEI SECOLI AMEN.
ANGELO DI DIO CHE SEI IL MIO CUSTODE, ILLUMINA, CUSTODISCI , REGGI E GOVERNA ME, CHE TI FUI AFFIDATO DALLA PIETA’ CELESTE. AMEN
AVE MARIA PIENA DI GRAZIA IL SIGNORE E CON TE TU SEI LA BENEDETTA FRA LE DONNE E BENEDETTO IL FRUTTO DEL TUO SENO GESU’ SANTA MARIA MADRE DI DIO PREGA PER NOI PECCATORI ADESSO NELL’ORA DELLA NOSTRA MORTE AMEN.
sono lorella e sono molto addolorata per la mia famiglia. francesco ha deciso di distruggerla ed io anche se sto pregando con tutta me stessa per il suo ritorno e la sua conversione, non risco ad uscirne. io non riesco a rinunciare a lui anche se è stato causa di tanto dolore. me ne ha fatte tante, ma tante ed io l’ho perdonato. ma è il padre di mia figlia, il mio sposo aitutami con la preghiera.
sia lodato gesù sia lodata maria
lorella
Cara Marina,
orari e numeri per un colloquio con fratel Cosimo sono in questa pagina. Sia fiduciosa e forte. Se le occorrono altre informazioni, scriva a emiliano.morrone@libero.it.
Cordiali saluti.
emiliano morrone
numero di telefono per contattare Fratel Cosimo: un ulteriore numero è adibito alla gestione delle prenotazioni per il breve colloquio dei fedeli con fratel Cosimo: 0964 380702
la prenotazione, solo telefonica, si attua secondo le seguenti modalità:
* per i residenti in Calabria telefonare il martedì e venerdì mattina dalle ore 09,00 alle 09,20 * per i residenti in Sicilia, Puglia e Basilicata telefonare il venerdì pomeriggio dalle 17,00 alle 18,00 * per i residenti nelle altre regioni d’Italia e dall’ Estero telefonare negli altri giorni.
Ribadisco quanto già scritto. In quanto all’aeroporto, quello di Crotone e quello di Lamezia Terme sono, grosso modo, alla stessa distenza da Santa Domenica di Placanica, il luogo in cui si trova il Santuario della Madonna dello Scoglio. Se può, venga giù il giorno 11 maggio. Mi faccia sapere qualcosa. La mail per contatti con "la Voce di Fiore" è: nichilismopuro@libero.it. In questo forum, ci sono le notizie per contattare fratel Cosimo. Noi, preciso, abbiamo solo riportato un articolo riguardante il religioso. Possiamo solo ribadire che, per un appuntamento con il Nostro, c’è un numero di telefono con degli orari. In realtà, chi cerca qualcosa, una grazia o il semplice - e grande - dono della fede, può andare a pregare al santuario della Madonna dello Scoglio, a Santa Domenica di Placanica, nei pressi di Riace, in Calabria. Qualora non fosse possibile, per conto mio la fede non ha regione e la preghiera può farsi dovunque. Per la mia esperienza, la fede vince su tutto, anche sul male più incurabile.
Un abbraccio.
Emiliano Morrone
Cara "Piccola",
la speranza è Dio, non è fratel Cosimo. Tu prega come ti riesce, e abbandonati a Lui. Se vuoi andare al Santuario della Madonna dello Scoglio, credo che i tuoi parenti possano assecondarti. A volere, potrei parlarci io.
In ogni caso, la fede prescinde da tutto: non ha regole né canoni. E Dio sa riconoscerla, la vede. Ti auguro ogni bene e ti esorto ad essere fiduciosa.
Con affetto e amicizia.
emiliano
Chiedo preghiera perenne per me Patrizia e per tt i miei cari per la guarigione e liberazione dell’anima e del corpo e per tt gli aspetti della ns vita. Grazie
Pat
Buonasera, sono Annalisa abita a Torino ma di origini Calabresi (Ardore). Sono arrivata ad un punto della mia vita in cui sento il bisogno dell’aiuto di Frate Cosimo, che conosco da diversi anni per sentito nominare tra parenti e conoscenti. Come posso contattarLo, vorrei essere ricevuto da Lui in occasione delle prossime ferie estive ( 8 agosto 08).
Spero che questo messaggio abbia un buon riscontro, sento che Frate Cosimo può essere la mia unica salvezza in un avita che non va dentro di me!
Grazie. Annalisa
328.55.80.627
In questo forum, ci sono le notizie per contattare fratel Cosimo. Noi, preciso, abbiamo solo riportato un articolo riguardante il religioso. Possiamo solo ribadire che, per un appuntamento con il Nostro, c’è un numero di telefono con degli orari. In realtà, chi cerca qualcosa, una grazia o il semplice - e grande - dono della fede, può andare a pregare al santuario della Madonna dello Scoglio, a Santa Domenica di Placanica, nei pressi di Riace, in Calabria. Qualora non fosse possibile, per conto mio la fede non ha regione e la preghiera può farsi dovunque. Per la mia esperienza, la fede vince su tutto, anche sul male più incurabile.
Un abbraccio a tutti.
Emiliano Morrone
Prezioso Fratel Cosimo, ho sognato di Lei a novembre poco dopo aver scoperto che mia sorella era affetta da un tumore al seno piuttosto grave e dichiarato incurabile dai medici dell’ospedale. Premetto che mia sorella è stata una bionaturopata e pranoterapeuta che , con la forza della natura e la sua energia personale, l’amore per l’essere umano e per tutti gli esseri viventi ha sempre curato persone in gravi condizioni di salute, a tutte le ore del giorno, sia attraverso l’energia sia con rimedi erboristici che cercava e preparava personalmente camminando nei boschi. Per essere il più ’ pulita possibile’, cioè per trasmettere energia non contaminata, manteneva un’alimentazone particolare e trascorrev una vita sobria, nella sua casa in pietra in mezzo ai boschi, non cibandosi di prodotti animali per rispetto a quest’ultimi , ma anche non facendo uso di sostanze tossiche(vino, caffè ecc.) per donare agli altri benessere. Ha cercato di curarsi da sola e però ha continuato a curare gli altri non conservando l’energia per sè e così a novembre il suo tumore aveva raggiunto uno stato in cui la pelle era marciscente e noi parenti incapaci di aiutarla ,come lei con noi, l abbiamo convinta ad affidarsi a cure ospedaliere. Infatti mia sorella, saputo del mio sogno, relativo a Lei, mi ha detto che non appena avrebbef fatto l’intervento che le avrebbe dovuto richiudere questa ferita e appena rimessa un po’ in forze (pesa 43 Kg)saremmo venute insieme a Placanica (abitiamo in Piemonte). L’intervento che doveva essere il 6 maggio, dopo una ennesima tac il mattino stesso è stato sconsigliato dai medici perchè il rischio che lei rimanesse attaccata ad un respiratore era al 95% , cosa a cui era contraria fin dall’inizio. per dignità. Ora è tornata a casa , in mezzo ai boschi, accerchiata da noi. E’ molto serena all’idea della morte, anche se ancora giovane(48 anni) , e so che avrebbe ancora fatto molto bene a tante persone (ha contiunuato a dare consigli telefonici a chi fino a un paio di mesi fa le chiedeva qualche rimedio) ma il dolor e è lancinante e la sua sofferenza accettata e ’sopportata’ per 9 mesi in attesa dell’intervento che ormai non le fanno più, ora non è più sostenibile. piange per il dolore e per la paura che questo strazio peggiori giorno per giorno, il dolore non le permtette di dormire, cosa che la rasserenerebbe subito un pò. Io credo nei miracoli, CHIEDO FRATEL COSIMO, a Lei che interceda perchè questa donna che ha fatto tanto bene nella sua vita , sia ad esseri umani che alla natura, possa guarire da questo male e tornare ad aiutare gli altri, ma soprattutto che non abbia più questa sofferenza disumana che le dà la sensazione di lacerazione del petto. Scrivo io, sua sorella, su consenso della malata, perchè lei non è più in grado di scrivere e nè di leggere, parla molto poco. Domani e dopodomani c’è la Cerimoni per la Madonna dello Scoglio, spero tanto che l’onda di quella apparizione porti ’regrigerio’ anche a mia sorella.
D. G.
Caro Fratel Cosimo mi chiamo Franco e abito nella provincia di cosenza , sono venuto molte volte da te ma è un periodo un pò nero per me . Io mi posso considerarmi un peccatore di alti livelli non scherzo nonostante la mia debolezza cado sempre nel peccato, sto passando dei periodi neri per quando riguarda il lavoro ho l’ intenzione di mettermi in proprio non so cosa fare poi un altra cosa c’ è mia madre sta male ha l’ osteoporosi quella malattia che colpisce le ossa e riesce a stento a camminare vorrei fare tanto per lei ma non so dove cominciare l’ unica cosa ti chiedo di aiutarla e di aiutare me , ti prego ti scongiuro aiutami non chiedo altro illuminami il cammino ti prego aspetto una tua risposta
e-mail:franco.g00@libero.it telefono: 347 5039538
caro fratel cosimo, sono in un caso disperato io to scritto tante volte per me per mia madre ora ti chiedo aiuto per mio zio dario che ha preso una scossa di corrente ed è ricoverato in condizioni gravi all’ospedale di cosenza ti prego di aiutarlo prega per lui a 2 figli cha hanno bisogno di lui ti prego di pregare per lui padre aiutalo spero rispondi alla mia lettera anche se non rispondi non fa niente io e mia madre sopprattuto mia madre crede cecamente in te e anche io ti prego aiutalo
con affetto da parte di cinzia e annamaria
Messaggio per Fratel Cosimo
invio questo messaggio per conto di mia cognata affetta da cancro al pancreas da tre anni e sta lottando con tutte le sue forze per poter tirare avanti nel migliore dei modi. Ha due figli adottivi e una ragazza in affidamento, un marito che la sta seguendo nel migliore dei modi per cercare qualche rimedio ed insieme stanno facendo l’impossibile per affrontare la situazione; chiedevo se fosse possibile fissare un appuntamento perché mia cognata desidererebbe parlare assieme e magari conoscere anche i programmi delle prossime assemblee per partecipare Ringrazio sentitamente per l’aiuto che potreste darmi e resto in attesa di una risposta Luigina Zarpellon / VIcenza
Ciao non sono padre Cosimo, ma Silvana ed ho vissuto lo stesso male tuo, prega, recita il Rosario ma soprattutto non leggere più oroscopi e non ti rivolgerti a nessun cartomante.... Il senso della vita è l’amore in tutto quello che fai , offri a Dio le tue sofferenze, anche se non ti conosco preghero’ per te, perché io sono stata guarita da questo male e sento un grande Amore verso Dio;
Nel tunnel c’é Dio che ti guida con la sua mano avanza abbi fiducia in lui e non guardare indietro , sappi che tutti i grandi mistici hanno vissuto le notti di solitudini , credendo che Dio non si manifestasse , è un modo per correggerci, se vuoi puoi scrivermi
Ti saluto con tanto affetto Silvana