ECONOMIA E TEOLOGIA. EU-CHARIS-TIA: IL "PANE QUOTIDIANO" DEL "PADRE NOSTRO" ("CHARITAS"), IL "CORPUS DOMINI", VENDUTO SEMPRE PIU’ A "CARO-PREZZO"("CARITAS"), DA PAPA BENEDETTO XVI ("Deus caritas est", 2006) E DA TUTTI I VESCOVI DELLA CHIESA CATTOLICO-ROMANA ...
Si riduce il lavoro delle suore Crocifisse dell’Eucarestia, tra le principali produttrici del corpo di Cristo
Ostie in crollo
Cala il mercato delle ostie. Complice la fuga dei fedeli dalle chiese, la vendita delle particole ha subito una battuta d’arresto in tutto il Paese.
di GIACOMO GALEAZZI (La Stampa/Oltretevere, 5/11/2009)
Crolla il mercato delle ostie. Complice la fuga dei fedeli dalle chiese, la vendita delle particole ha subito una battuta d’arresto in tutto il Paese. Dati alla mano, Raniero Mancinelli, sarto capitolino dei papi che rifornisce del pane di Dio la stragrande maggioranza delle parrocchie, non solo romane, regista un «calo delle vendite pari al 15%. Sono finiti i tempi in cui le particole andavano via come il pane - afferma -. Se, infatti, per il Giubileo e negli anni a seguire mi rifornivo ogni settimana, ora gli acquisti sono limitati nel tempo». Spesso nel negozio di Borgo Pio resta pure il deposito. Si riduce, dunque, il lavoro delle suore Crocifisse dell’Eucarestia, tra le principali produttrici del corpo di Cristo.
«Il crollo del mercato delle ostie - spiega le cause Mancinelli -non è dovuto all’aumento dei prezzi. Una fornitura di mille particole fatte con un semplice impasto di farina, infatti, ha un costo di 7 euro. Il fatto è che c’è un fuggi fuggi generale dei fedeli. Basta entrare in chiesa la domenica per rendersene conto». Un calo del mercato delle ostie che si registra più al nord e al centro Italia, stando anche alla testimonianza di padre Giuseppe Lombardo, sacerdote della parrocchia di San Pietro al Carmine a Siracusa. «Per quel che mi riguarda, i miei fedeli sono rimasti abbastanza stabili sia nella frequenza della Santa Messa che nei sacramenti ma la mia, riconosco, è una parrocchia atipica. In effetti - afferma il prete siciliano - è soprattutto nelle grandi città che si registra l’allontanamento dei fedeli dalla messa».
Per non parlare delle confessioni. «Sempre meno gente - dice il sacerdote - è disposta a raccontare i propri peccati al prete. Insomma, ci si allontana dal sacramento e anche questo contribuisce al crollo del mercato della particola». Lontani i tempi in cui, nel bel mezzo della comunione, poteva capitare che il prete si ritrovasse senza ostie consacrate. Capitò nel 1993, durante la messa che precedette i lavori della Dc. Al rito parteciparono così tanti esponenti della Balena bianca al punto che il corpo di Cristo non bastò per tutti.
Bertone: solo le zucche...
Il Segretario di Stato commenta la recente decisione della Corte dei Diritti Umani di Strasburgo sul crocifisso nelle aule
di MARCO TOSATTI (LA STAMPA, 4/11/2009)
Il cardinale Segretario di Stato commenta ironicamente il verdetto della Corte dei Diritti Umani, e la reazione dell’esecutivo italiano. "Certamente c’è apprezzamento" - ha detto - per il ricorso annunciato dal governo italiano contro la sentenza con cui la Corte dei diritti umani di Strasburgo ha detto no al crocifisso nelle aule scolastiche italiane. Lo ha detto il segretario di Stato Vaticano, cardinale Tarcisio Bertone a margine di una conferenza stampa all’ospedale pediatrico Bambin Gesù. "Io dico che questa Europa del terzo millennio ci lascia solo le zucche delle feste recentemente ripetute e ci toglie i simboli più cari. Questa è veramente una perdita. La nostra reazione - ha aggiunto - non può che essere di deplorazione e ora dobbiamo cercare con tutte le forze di conservare i segni della nostra fede per chi crede e per chi non crede".
"Abbiamo ascoltato tante voci - ha affermato il porporato - e anche l’eco del dolore di chi si sente un po’ tradito nelle sue proprie radici pensando che questo simbolo religioso è simbolo di amore universale, non di esclusione ma di accoglienza. Questo credo che sia l’esperienza di tutti". "Io dico purtroppo - ha aggiunto Bertone - che questa Europa del terzo millennio ci lascia solo le zucche delle feste recentemente ripetute prima del primo novembre e ci toglie i simboli più cari". Secondo il porporato inoltre "tutte le nostre città, le nostre strade, le nostre case, le scuole" presentano simboli religiosi come il crocifisso e dunque, ha chiesto, "dobbiamo togliere tutti i crocifissi? Penso a tutte le opere d’arte che presentano il crocifisso e la Pietà, mi domando se questo è un segno di ragionevolezza oppure no".
La Santa Sede "certamente apprezza" il ricorso annunciato dal governo italiano nei confronti della decisione della Corte europea di Strasburgo sui crocifissi. Lo assicura il segretario di Stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, rispondendo ad una domanda dei giornalisti. "Spero che siano anche altri governi a fare questo ricorso - ha detto Bertone a margine di una conferenza stampa all’ospedale Bambino Gesù di Roma - per una vicenda che non riguarda solo l’Italia e spazia anche oltre l’Unione europea". Il porporato ha peraltro sottolineato che la Santa Sede, da parte sua, "fa i passi che le spettano per stimolare, come ha detto bene la Conferenza episcopale italiana, i cristiani a reagire. Noi non possiamo interferire sulle decisioni della Corte europea". Rispondendo ad una specifica domanda dei cronisti, Bertone ha detto di non aver ancora sentito il Papa sul tema.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
«DEUS CARITAS EST», LA PRIMA ENCICLICA DI RATZINGER E’ A PAGAMENTO !!!
di Filippo Di Giacomo (l’Unità, 15.09.2010)
Da ieri è in libreria, per Einaudi, L’economia giusta di Edmondo Berselli. L’autore ha licenziato l’ultima stesura del libro nella mattinata del venerdì santo scorso, il due aprile 2010, poche ore prima che l’ultimo chiodo lo fissasse alla croce che trascinava da un anno. Chi scrive è testimone che il sottotitolo dell’opera («Dopo l’imbroglio liberista, il ritorno di un mercato orientato alla società. Una via cristiana per uscire dalla grande crisi») è tutto della mano di Edmondo.
Eppure qualcuno, fra gli autori delle belle recensioni che hanno anticipato l’uscita di quest’ultima fatica del saggista scomparso l’11 aprile, ha ritenuto che esso fosse una sorta di “scommessa”, una forzatura dell’editore. Come se per un intellettuale libero, come il carissimo e indimenticabile Eddy, qualunque ipotesi d’analisi socio-economica cristianamente orientata fosse proibita per regolamento.
Noi invece ne abbiamo già consigliato la lettura a molti amici di “circoli giovanili”, di diverso orientamento confessionale o politico. Perché, come scrive Ilvo Diamanti nella quarta di copertina, con un approccio ibrido, diretto e suggestivo Berselli ripercorre in pochi e densi capitoli (il libro conta 99 pagine) i contributi teorici, le esperienze politiche e di governo più significative, così come le abbiamo conosciute dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri. Ed è un libro, che sembra proprio scritto per animare discussioni profonde e ben diverse da quelle pervase dal nulla venduto dai nostri politici in carica.
Conoscendo il piacere che Edmondo aveva nell’interloquire con i giovani se, almeno nelle sezioni giovanili del Partito democratico, L’economia giusta venisse usata per riprendere il cammino del confronto e decongestionare gli spiriti dalle omeriche fesserie prodotte dalla politica di quest’estate, il risultato rischierebbe solo di essere benefico.
Attento lettore anche del magistero sociale della Chiesa, egli era convinto (con Giovanni Paolo II) che la Chiesa, in quanto forza integratrice e apportatrice di senso, può costituire un tetto per l’umanità tutta. Per nulla distratto dalle querelles mediatiche, Berselli infatti riconosce la tenacia con la quale il magistero cattolico ha tentato di rafforzare la resistenza contro il potere della superstizione monetaristica (quella dittatura che impone di far soldi con i soldi) e, di conseguenza, anche contro un sistema sociale, quello capitalistico, i cui eccessi devastanti sono palesi a tutti.
La società aperta (in teoria il sogno “cattolico” della Chiesa di Roma) attualmente viene lasciata troppo a se stessa, con una sovrabbondanza di possibilità che finiscono per causare decisioni forzate, producendo libertà spesso inutili, dannose e poco gestibili. E proprio per preservare la società aperta dal pericolo della caduta in sistemi dittatoriali più subdoli, ma non meno dannosi di quelli brutali di inizio Novecento, la Chiesa insiste nel suggerire il consolidamento della democrazia, mediante sottosistemi ben definiti e autonomi che la rendano più sicura, modelli cioè la cui durata e capacità di giudizio non siano basate su opinioni del momento o su scelte e accomodamenti legati a circostanze contingenti. E se il richiamo di Benedetto XVI ai pericoli del relativismo, si chiede Berselli, fossero soprattutto un avvertimento in favore di una democrazia bisognosa di realtà capaci di integrarla, di dare senso a meccanismi da verificare continuamente in modo che siano costituiti per corrispondere alla loro funzione intrinseca?
Ciò che è mancato nelle agende dei vari G8, raduni svoltisi sempre nelle migliori località e nelle più lussuose residenze dell’Occidente, è lo sforzo di comprendere con quali slanci e su quali categorie, presupporre un nuovo inizio, un progetto capace di liberare, in Occidente e altrove, quelle forze grazie alle quali le società umane apprendono a porsi dei limiti. «Occorre accingerci a costruire una cultura, forse non della povertà, bensì della minore ricchezza», scrive Berselli.
E nella ratzingeriana nuova sintesi umanistica (teorizzata nell’enciclica Caritas in veritate) le ultime pagine di L’economia giusta intravedono le luci per salvare i pochi valori ancora significativi sopravvissuti alla corrosione morale operata dai due secoli di vigenza di un capitalismo che propone una visione del mondo puramente scientifica, razionalistica e mercantile.
E già che ciò che è antiumano è anticristiano, credere che l’ottanta per cento dell’umanità debba restare esclusa da ciò che invece, di umano e di umanizzante ancora esiste in questo nostro tragico mondo, i quesiti posti dal cristianesimo restano - scrive Berselli - attualmente i più seri. Basta meditarli - e provare a metterli in pratica - «con un po’ di storia alle spalle, con un po’ di intelligenza e d’umanità davanti».
MONITO DI AVVENIRE
"Già torna la malafinanza"
DAL QUOTIDIANO DELLA CEI UN DURO ATTACCO ALLE BANCHE
di GIACOMO GALEAZZI (La Stampa, 22/1/2010)
«Come prima, peggio di prima». Con un duro editoriale, dal titolo «Se già torna la malafinanza», l’Avvenire denuncia oggi l’atteggiamento delle istituzioni finanziarie, e anche delle banche italiane, all’indomani della crisi globale, e in particolare il ritorno in grande stile dei «derivati» e della «finanza creativa».«Il temporale è già passato e la festa può ricominciare...», ironizza l’editoriale del giornale dei vescovi italiani, a firma di Giancarlo Galli.
L’articolo ricorda come le responsabilità della crisi fossero state individuate «nei comportamenti di banchieri e speculatori», e «nella talvolta interessata disattenzione dei controllori», oltre che «nella debole autorevolezza dei politici». E ricorda anche le successive autocritiche, seguite dalla «solenne promessa»: «non lo faremo più». «Davvero pentimento da marinai impenitenti», rileva amaramente l’Avvenire. Infatti, «non solo la stragrande maggioranza di coloro che si trovavano ai vertici hanno conservato le poltronissime, ma senza perdere tempo hanno preso a ribattere le vecchie strade».
Ecco quindi la ricomparsa di «quegli strani Ufo» che hanno per nome «derivati», definiti nell’editoriale «scommesse da casinò », con i risparmiatori nei panni di «ingenui pesciolini alla mercè degli squali». Il giornale dell’episcopato non manca di denunciare anche che, al contrario di quanto promesso, non ci sia stata nessuna revisione dei compensi e dei «bonus milionari» che, «sotto ogni cielo, banchieri e finanzieri si autoattribuiscono». E questo nonostante che i beneficiari, in particolare nel mondo anglosassone, siano «quegli stessi personaggi, spesso inamovibili, che sono stati salvati dalla bancarotta da interventi pubblici».
Meno bugie più Vangelo
di Enzo Mazzi (il manifesto, 6.11.2009)
La Corte Europea dei diritti dell’uomo ha detto «no» al crocifisso in classe, pronunciandosi sul ricorso di una cittadina italiana. Si è subito scatenato il putiferio. In Italia la laicità è un obiettivo ancora lontano. Questo non deve indurre allo scoraggiamento. Deve anzi suscitare una spinta a lavorare con più lena perché la cultura della laicità divenga sentire comune. Finché la religione cattolica era l’unica religione dello stato si poteva ancora sostenere che l’esibizione pubblica del crocifisso corrispondesse all’interesse pubblico.
Ma oggi, dopo gli Accordi del 1984, la religione cattolica non è più la sola religione dello stato. Quindi i simboli religiosi, tutti i simboli religiosi, anche quelli della spiritualità o della fede laica, hanno uguale dignità. Le leggi e chi le interpreta devono adeguarsi di diritto e di fatto.
Ma è proprio vero che il crocifisso ha un valore universale e che è la bandiera dell’identità italiana? Che tutti i cittadini, di qualsiasi religione o credo, possono e devono accettare? Ma allora com’è che Costantino ha messo la croce sui suoi labari e in quel segno ha ucciso e in quel segno ha vinto? Com’è che da quel momento la croce è trionfo e vittoria? E’ vero che poi Costantino in omaggio alla croce ha abolito la crocifissione. Non però la sostanza del supplizio. Ha continuato a sacrificare innocenti con altri strumenti avvalendosi della protezione della croce. Si potrebbe continuare sul filo della storia, dalla croce indossata dai crociati alla croce brandita dai conquistatori, usata per accendere i roghi di eretici e streghe, fino alla croce sui simboli di partito e alla croce che s’insinua negli attuali arsenali militari.
Lo so bene che la croce ha alimentato anche la speranza del riscatto storico degli oppressi, la loro lotta e le loro rivoluzioni. Ma per lo più ciò è stato considerato una eresia. In realtà ogni volta che il cristianesimo si è aperto e legato ai movimenti storici che puntavano al riscatto dei poveri e degli oppressi, qui in terra e non solo in cielo, ha subito feroci repressioni. Contro quel cristianesimo ribelle puntualmente si sono accesi i roghi fisici o morali. Fino all’attuale allontanamento di don Alessandro Santoro dalla Comunità delle Piagge di Firenze.
Non risulta per niente vero che è consentito vedere nella croce il simbolo della prevalenza dell’amore sul potere, come sostiene un teologo alla moda come Vito Mancuso (la Repubblica di ieri 4 novembre). Tutti i movimenti popolari rivoluzionari animati dal Vangelo che hanno visto nella croce il segno della liberazione storica e non solo della redenzione sacrificale trascendente sono stati repressi spesso nel sangue. Quante croci della teologia della liberazione sono state abbattute e calpestate dai crociati della croce esibita come trionfo! La croce si può anzi si deve esporre solo in quanto è segno del potere.
Non per nulla «meno croce e più Vangelo» valeva anche nella scuola di Barbiana da dove don Milani aveva tolto il crocifisso. Meno croce e più Vangelo valeva per un cattolico come Mario Gozzini, il senatore della legge sulla carcerazione, il quale nel 1988 scrisse sull’Unità due forti articoli di critica verso i difensori dell’ostensione pubblica della croce. E vale oggi per tante esperienze di fede cristiana aperte al globalismo dei diritti e alla pace, vale per le comunità di base, vale per tante oscure parrocchie e associazioni, vale per i valdesi. Il problema è che il sistema dei media non ne dà notizia.
Le suggestioni di Gozzini sarebbero da rileggere oggi, tanto sono attuali. Egli da fine politico e da buon legislatore fa la proposta di «uno strumento che impegnasse il presidente del Consiglio a studiare e compiere i passi opportuni per ottenere, dalla Conferenza episcopale, l’assenso a togliere di mezzo un segno diventato, quantomeno, equivoco. Ci vorrà tempo e pazienza ma ho speranza che alla fine la ragione e l’autentica coscienza cristiana (quella che bada a Cristo più che ai patrimoni storici) avranno la meglio». La speranza di Gozzini è sempre più la nostra speranza.
I furbetti del crocefisso
di Moni Ovadia (l’Unità, 7.11.2009)
La vicenda della “ostensione” dei crocefissi nelle scuole e la sentenza della Corte Suprema del Parlamento Europeo ha dato la stura all’ennesima cagnara dei soliti politici che hanno imbracciato la spada del crociato per correre in difesa della presenza dei crocefissi nelle aule scolastiche. Povero crocefisso usato come libretto di assegni per comprare qualche piccola rendita di potere. Del vero merito della questione, la laicità dell’Europa, accettata come valore fondante da tutte le serie democrazie del vecchio continente in Italia non gliene frega niente quasi a nessuno. La laicità da noi è stata condannata a morte per il reato capitale di laicismo, reato immaginario inventato dai chierici dell’integralismo nostrano.
La Corte Suprema del Parlamento Europeo ha fatto semplicemente la sua parte perché non è tenuta a conformarsi alle anomalie di una classe politica di piccolo cabotaggio incistita solo nei propri piccoli interessi di potere e che non ha rispetto per il ruolo delle istituzioni preposte a tutelare i principi universali su cui l’Unione Europea si fonda.
Personalmente non ho niente contro il crocefisso, sono cresciuto fra crocefissi alle pareti di centinaia di luoghi in cui sono stato, ho lavorato e ho vissuto e non mi hanno certo condizionato. Per quanto mi riguarda possono rimanere dove stanno. Del resto, in un Paese in cui ci sono migliaia di chiese e chiesette, di campanili possenti e svettanti o intimi e modesti, anche se i crocefissi venissero rimossi la situazione della “ostensione” non cambierebbe granché. Ma è grave invece il fatto che i crociati di casa nostra invece di preoccuparsi dei valori cristiani universali si abbandonino ad una invereconda cagnara su questioni di lana caprina.❖