Vaticano, "chiuso per restauro"
di Paolo Izzo *
Cara “Liberazione”,
se un giorno si trovano le ossa di una donna nei loro lucernai, dove la luce non entra e nessuna chiarezza è possibile. Se un altro giorno si scopre che l’obbligo della loro astinenza riguarda soltanto i rapporti con l’altro sesso, ma non sono esclusi uomini e bambini; che le violenze su questi ultimi sono fisiche e morali, “annullanti” e distruttive...
Se un altro giorno ancora si stabilisce che, quando la loro parola non ti giunge attraverso campane, messe e politica, viaggia indisturbata su onde elettromagnetiche e cancerogene; vittime sempre i più deboli, i bambini.
Se l’ultimo giorno ci si rende conto che sono ancora tra i Paesi più ricchi del mondo, nonostante l’apparente carità mondiale: evangelizzazione mascherata da solidarietà.
Allora, c’è qualcosa che, ignominiosamente, non va.
Allora, diventa necessario e urgente che dalle loro porte lascino entrare e uscire soltanto... l’arcangelo della Giustizia. E che per tutti gli altri mettano un bel cartello: “chiusi per restauro”
Paolo Izzo
* Liberazione, Lettere - 15.07.2010
Sul tema, in rete, si cfr.:
Il papa deve concedere la grazia al suo ex maggiordomo, Paolo Gabriele
di Gianluigi Nuzzi
in “LeMonde.fr” del 8 ottobre 2012
(traduzione: www.finesettimana.org)
Condannato a 18 mesi di reclusione, Paolo Gabriele, il maggiordomo di Benedetto XVI, sarà graziato dal papa? La misericordia del Vangelo e della Chiesa prevedono il perdono. Chiedo solennemente al Santo padre di accordare la grazia al suo ex collaboratore, punito per aver sottratto dei documenti di cui ha fatto pervenire delle fotocopie al giornalista che io sono. Paolo Gabriele non ha violato alcun segreto militare o diplomatico come nel caso Wikileaks. Il suo gesto è un gesto di denuncia. Ha messo sotto gli occhi di tutti le realtà nascoste del Vaticano che nuocciono alla stessa Chiesa.
La grazia, se sarà accordata, proverà che in questo caso, la Chiesa non è un’istituzione oscura e conservatrice ma che, al contrario, è capace di perdonare colui che, a torto o a ragione, ha rischiato il proprio avvenire per il suo bene. Chi ha fatto del torto alla Chiesa? Paolo Gabriele che, abusando della fiducia del papa, ha rivelato i giochi di potere in seno alla Curia o i protagonisti di tali complotti? È mio dovere offrire alcuni elementi di riflessione perché tutti possano sapere ciò che è accaduto e soprattutto quali sono state le vere ragioni - appena accennate durante il processo - che spiegano il gesto dell’ex maggiordomo.
Nei mesi durante i quali ho frequentato il collaboratore del papa, ho affrontato a più riprese il tema della sua responsabilità. Mi è sempre sembrato sereno e convinto di fare ciò che era, secondo lui, indispensabile e giusto. Ha spesso insistito sul fatto che il santo padre era totalmente estraneo alle congiure, ai conflitti di potere, agli intrighi finanziari che i documenti che ho pubblicato nel mio libro mostrano. Il papa, infatti, non ha alcun ruolo in questi oscuri affari. Sembra, al contrario, esserne indirettamente la vittima.
Perché allora non reagisce? Perché non caccia questi mercanti dal tempio? Secondo Paolo Gabriele, il papa è tenuto all’oscuro di ciò che dovrebbe riguardarlo. “Talvolta, ha raccontato Paolo Gabriele nel corso di una delle udienze, mentre eravamo a tavola, Benedetto XVI poneva delle domande a proposito di avvenimenti di cui avrebbe dovuto essere informato”
Questa testimonianza pone nuovamente una questione lancinante: Joseph Ratzinger, teologo, studioso, è un “capo di Stato” informato o vive in una sorta di solitudine? Quante informazioni riceve che gli permetterebbero di avere una visione completa dei problemi che agitano il Vaticano? E, di contro, quante informazioni parziali o tronche gli sono presentate per cercare di influenzarlo?
Beneficiando di un punto di osservazione privilegiato, Paolo Gabriele, che è stato per sei anni una delle persone più vicine al santo padre, dubitava fortemente che Benedetto XVI fosse stato sempre tenuto al corrente di ciò che succedeva tra le mura del Vaticano. Questa realtà che emerge dai documenti che ha sottratto ha aggiunto amarezza al suo dolore. I complotti, i regolamenti di conti sono in evidente contraddizione con i principi di trasparenza fermamente voluti da Benedetto XVI stesso.
Durante i nostri incontri, ha confessato la propria profonda perplessità, il proprio disagio. Ha insistito sul proprio amore per il papa, la propria venerazione per la sua semplicità. Secondo lui, Benedetto XVI è un uomo puro in mezzo ai lupi. Il maggiordomo vedeva crescere la distanza siderale tra il papa e le espressioni più dure e più vili del potere, tra il pastore della Chiesa, che opera per la trasparenza nelle relazioni tra gli Stati, e ciò che si trama alle sue spalle: nomine, flussi finanziari, ecc. La denuncia di Paolo Gabriele si unisce a quella che il cardinale Ratzinger stesso formulava negli anni 70 quando affermava che “la Chiesa sta diventando per molti fedeli l’ostacolo principale alla fede. Riescono a vedere in essa solo l’ambizione umana del potere, il piccolo teatro di uomini, che, con il pretesto di amministrare il cristianesimo ufficiale, sembrano piuttosto ostacolare il vero spirito del cristianesimo”.
A poco a poco, Paolo Gabriele è diventato il confidente di coloro, che, tra i vescovi e i cardinali, erano, come lui, lacerati tra la loro fede, la loro ammirazione sincera per il papa e le manovre di corridoio di cui erano testimoni. Si rivolgevano a lui, pensando così di avere una via di accesso a Benedetto XVI. Fu per lui occasione di scoprire nuove ingiustizie.
Due esempi. La promozione-punizione di monsignor Carlo Maria Viganò, l’economo della Curia, promosso nunzio apostolico a Washington un anno dopo aver informato il papa della corruzione e delle operazioni opache nell’attribuzione di appalti pubblici e di forniture nel più piccolo stato del mondo. Dai documenti sottratti da Paolo Gabriele e che io ho pubblicato emerge che il presepe e l’albero di Natale installati ogni anno in piazza San Pietro costavano... 250.000 euro! Questa denuncia valse a Monsignor Viganò un terribile scontro con il cardinal Tarcisio Bertone, primo collaboratore di Benedetto XVI. Il Vaticano ha sempre replicato che le accuse di Viganò erano false. Paolo Gabriele ha, al contrario, ritenuto Monsignor Viganò vittima della propria volontà di trasparenza. Ha cercato di aiutarlo per quanto gli era possibile.
Secondo esempio: il siluramento di Ettore Gotti Tedeschi, presidente dell’Istituto per le opere di religione, detto anche “la banca del papa”. Gotti Tedeschi è stato allontanato dopo che il consiglio di amministrazione della banca ha voluto rendere meno costrittive le regole anti-riciclaggio. Stimato dal papa, il banchiere è entrato anche lui in conflitto con Bertone. In una memoria confidenziale, trasmessa al papa, confida il timore di essere ucciso. Questi due casi, sui quali deve essere ancora fatta luce, spiegano da soli la frustrazione di un uomo solo di fronte agli intrighi, consapevole della fragilità del sovrano pontefice nella lotta secolare tra il bene e il male.
Il fondamentalista non riluttante
De Mattei: Il paradiso terrestre è esistito davvero
intervista a Roberto De Mattei,
a cura di Antonio Gnoli (la Repubblica, 11 aprile 2011)
Confesso una certa curiosità mentale mentre mi avvio all’appuntamento col professor Roberto De Mattei, l’uomo che con le sue idee - professate in varie sedi e occasioni - ha vinto l’Oscar del ridicolo. Che linea tenere, che domande rivolgergli, in una parola che cosa ci si aspetta da un signore che, con tutti i distinguo, ha sostenuto tesi balzane e in ogni caso antiscientifiche, come il creazionismo, l’immutabilità delle specie, la datazione della Terra a soli 15-20 milioni di anni fa?
Se insieme al taccuino avessi con me un bel "tapirone d’oro", la questione potrebbe risolversi in pochi attimi. Ma in fondo, De Mattei non è un caso umano, è un affare più complicato: un uomo solo (o quasi) che sostiene certe idee. Non basta questo per farne un eroe della resistenza ottusa?
Il problema è che De Mattei non è un signore qualunque: egli è vicepresidente del Cnr, un incarico che lo pone ai vertici della struttura che in teoria dovrebbe guidare la ricerca scientifica in Italia. Ma al tempo stesso egli ha una rubrica su Radio Maria, dirige il periodico Le radici cristiane, insegna alla Nuova Università Europea che appartiene ai Legionari di Dio. Il suo ultimo libro (pubblicato da Lindau) è una rilettura molto polemica del Concilio Vaticano II. Sguazziamo in un bel pasticcio ideologico.
Da dove nascono le sue provocazioni?
«Dalla mia coerenza. E dai miei studi. Sono stato allievo di Augusto Del Noce e Armando Saitta. Ho insegnato come associato all’Università di Cassino. Oggi ho un incarico alla Nuova Università Europea dove insegno storia moderna e storia del cristianesimo. Purtroppo sono spesso dipinto in maniera caricaturale».
Lei è vicepresidente del Cnr, un grande ente scientifico, diciamo il corrispettivo del Max Planck. Come è avvenuta la sua nomina?
«Fu la Moratti, nel 2004 Ministro dell’Istruzione, a nominarmi».
Perché scelse lei?
«Il Cnr ha anche un settore minoritario dedicato alle scienze umane. Al cui interno cadono le mie competenze».
Si è mai chiesto se ci fossero studiosi più preparati di lei, più legittimati sotto il profilo dei titoli e delle idee?
«Ho scritto centinaia di articoli, decine di libri, partecipato a convegni internazionali».
Non ci sono echi significativi dei suoi lavori nella comunità scientifica.
«Non è questo il punto. La contestazione alla mia nomina, una vera e propria levata di scudi, si basava sul fatto che la mia cultura cattolica era negatrice di alcuni valori fondanti della democrazia occidentale. Non ho mai nascosto che la fede religiosa non sia solo una questione privata, ma vada testimoniata pubblicamente».
Ho di fronte un missionario e un martire.
«Penso che il cristianesimo non possa ridursi a una religione intimistica e individuale, ma debba proiettarsi nella vita pubblica».
E questo l’autorizza a dichiarare che lo tsunami in Giappone è stato un castigo divino?
«Parlavo a titolo personale da una radio cattolica e non in qualità di vicepresidente del Cnr. Ho svolto una riflessione sul grande mistero del male e ho detto che tutto ciò che accade ha un significato. Non si muove foglia che Dio non voglia, verità antica e perenne. Coloro che credono in Dio sanno che esiste una remunerazione, che per i cattolici sia chiama inferno. E come si legge nella dottrina di Sant’Agostino e Bossuet anche i popoli possono peccare e per questo essere puniti».
Terremoto in Giappone e all’Aquila, devastazioni, guerre, catastrofi, crisi. Per lei Dio è molto occupato in questo momento?
«Non direttamente. Se Egli permette questo male non intendo dire che sia l’autore del male, perché altrimenti cadremmo in una visione manichea. Non esiste un Dio del male. Egli è il sommo bene capace di trarre il bene dal male. Anche dalla catastrofe giapponese».
Il Giappone è a prevalenza scintoista.
«Non ho la pretesa di conoscere la ragione per cui Dio ha permesso che ciò accadesse. Ma so che una ragione c’è».
Un’affermazione così perentoria e ilare la mette in totale contrasto con la comunità scientifica.
«Mi mette in contrasto con lo scientismo. A cominciare da Galileo, lo stesso Newton, ma poi Spallanzani, Mercalli, Pasteur, Mendel, fino a Max Planck, sono stati grandi scienziati che hanno creduto all’esistenza di Dio e non hanno trovato un contrasto tra la loro fede e la scienza».
Ma nessuno di loro si è piegato ai metodi biblici per spiegare il mondo. Per lei la Bibbia è il testo di riferimento?
«Per un cattolico non può che essere così. Lei sa che fin dal Concilio di Trento...».
Non vada troppo indietro. Contro l’evoluzionismo lei è un assertore del disegno divino. E le prove le ricava tutte dalla Bibbia. Un po’ poco, no?
«Per un cattolico la Sacra Scrittura va letta non come libero esame razionalista, ma alla luce della tradizione e del magistero della Chiesa».
Con quali conseguenze?
«Che un cattolico deve credere, per esempio, nella storicità di quel passo della Genesi in cui si afferma che Adamo ed Eva sono la coppia originaria da cui è nato il genere umano».
Uno scienziato inorridirebbe.
«Respingo il poligenismo evoluzionista. Se un cattolico lo accettasse verrebbe a cadere l’idea di un peccato originale trasmesso da una coppia di progenitori a tutta l’umanità. La mia battaglia culturale non è solo contro il laicismo, ma si svolge soprattutto all’interno del mondo cattolico sottomesso al clima intellettuale dominante».
Insomma lei sostiene che Adamo ed Eva non sono figure simboliche ma reali?
«Il paradiso terrestre è una realtà storica non una metafora».
Non le viene il dubbio che la storia della Terra, la sua origine, si possa raccontare in maniera diversa?
«Io ripropongo una cosmologia cristiana che fa capo alla stessa visione di Benedetto XVI».
Lei sa che la grande rivoluzione scientifica del Seicento cambia nel profondo anche la cosmologia cristiana, come può non tenerne conto?
«Mi pare più grave voler interdire la possibilità a un cattolico di esporre pubblicamente le proprie visioni cosmologiche e metafisiche».
Fino al punto di affermare che la caduta dell’Impero Romano avvenne principalmente per colpa dei gay?
«In realtà in quell’occasione io feci mio il discorso del Papa che paragonava la crisi del mondo attuale alla decadenza dell’Impero Romano. La cui caduta, secondo me, più che alle invasioni barbariche va fatta risalire al relativismo morale e culturale che lo minavano dall’interno».
E i gay?
«Un ragionamento che ho ripreso da Salviano di Marsiglia. Coevo di Sant’Agostino».
Come è stata la sua infanzia?
«Tranquilla. Sono nato e vissuto a Roma. Provengo da una famiglia cattolica. Mio padre e mio nonno erano professori universitari. Sono sposato e ho cinque figli ormai grandi».
Come reagiscono alle sue intemerate?
«Sono tutti dei buoni cattolici. Ho il loro sostegno. Certo, ricevo da fuori molti insulti, ma anche gente che mi sostiene e mi incita ad andare avanti».
Ha mai immaginato di farsi prete?
«Non ho mai avuto questa vocazione, né crisi mistiche. Sono un’eco del XXI secolo di una tradizione che viene da lontano e che è radicata nel senso comune. Quelle che espongo non sono idee originali o particolari, perché se tali fossero vivrebbero lo spazio di una bufera mediatica. Al di là della mia persona queste idee affondano nelle radici della coscienza stessa dell’Occidente».
Lei è un cattolico integralista?
«Mi piacerebbe definirmi un cattolico tout court. Ma oggi è insufficiente. Sono un cattolico senza compromessi».
Tramonto vaticano
di Filippo Gentiloni (il manifesto, 21.11.2010)
In questo periodo tutte le librerie sono piene di libri sul Vaticano e sul papato: come al solito, sia favorevoli che contrari. Ma i contrari abbondano, forse più che nel passato. Se ne può citare qualcuno, fra i più noti: «La sfida oscurantista di Joseph Ratzinger» di Paolo Flores d’Arcais (Ponte alle Grazie) e «C’era una volta un Vaticano» di Massimo Franco (Mondadori).
Soprattutto quest’ultimo mi sembra significativo. Si chiede perché la chiesa sta perdendo peso in Occidente e risponde: «Investito dagli scandali, travagliato dalle lotte di potere, sfidato dal relativismo e dall’indifferenza, quale Vaticano riemergerà dalla grande crisi dell’Occidente?». Si noti: gli scandali vengono sottolineati ma non enfatizzati, mentre la crisi del Vaticano viene studiata nel quadro generale della crisi di tutto l’Occidente.
Il testo di Franco misura il peso e la crisi del Vaticano con la bilancia della novità di Obama negli Usa e nel mondo. «Un po’ alleati, ma un po’ alieni». Anche se i vescovi americani erano - e sono - divisi fra repubblicani e democratici, l’Osservatore Romano è sembrato a Franco eccessivamente schierato pro Obama.
Interessante anche il capitolo riguardante l’Italia, con un titolo significativo: «Italia, cattolici senza politica». La Democrazia cristiana è lontana, come è lontana l’idea di un Vaticano onnipotente. Nei decenni postdemocristiani si prepara l’egemonia berlusconiana. Il premier diceva, infatti: «Ho promesso collaborazione e credo che questa ci sarà, perché i valori della tradizione e della cultura cristiana mi appartengono . Quindi procederemo su una strada di collaborazione e di vicinanza».
Negli anni più recenti, Franco osserva la crisi dell’episcopato italiano: «Cattolici senza casa». Mentre la gerarchia è politicamente subalterna, di fatto, a un centrodestra nel segno di Berlusconi e di Bossi. «È il tramonto di un ceto politico cattolico sempre meno rappresentativo e sempre più estraniato».
Portateci le prove dell’esistenza di Dio
di Francesca Fornario (l’Unità, 06.10.2010)
A mensa: «Hai letto? Il cardinale Ruini è contrario al Nobel per la medicina al padre della fecondazione assistita. Dice che una coppia non può fare un figlio con il seme di un donatore esterno».
«E Gesù?». «Uhm, non ci avevo mai pensato». «È così che ci fregano, che uno non ci pensa. E pure se ci pensa non lo dice». «Ma cosa?». «Che Dio non esiste». «Che c’entra, non è questo il punto! Il punto è che i cardinali non devono interferire nella vita politica come fa Ruini. Pensa che lui il Nobel per la scienza lo avrebbe dato a Bagnasco». «E che ha scoperto?». «Che Berlusconi può invocare il legittimo impedimento anche per sottrarsi ai dieci comandamenti. Ha detto che le bestemmie vanno contestualizzate. Diavolo di un Bagnasco. È così legato a Berlusconi che vuole chiedere al Parlamento una commissione d’inchiesta contro Mosé».
«Non sarà il punto, ma non lo diciamo mai». «Ma cosa?» «Che Dio non esiste». «Che c’entra, non sono cose che si dicono!». «Tipo a Ballarò, in tv, in quei posti lì. Se si parla della legge sul fine vita o del crocifisso nelle scuole, non c’è mai un politico dei nostri che dice: ’Sapete, io non sono d’accordo a mettere il crocifisso in classe perché Dio non esiste e non è corretto dire le bugie’».
«Ma è una battaglia di retroguardia! Con la riforma Gelmini che ha ridotto il numero delle classi di crocifissi ne hanno dovuti mettere quindici in ogni aula. E sono gli unici che riescono ad allungare le gambe. E poi si fa presto a dire che Dio non esiste, bisogna provarlo».
«Dai, lo dicono il 95 per cento degli scienziati! E poi il Vaticano che prove ha dell’esistenza di Dio? Come fanno i Vescovi a sapere tutto di lui e a dettare legge se ammettono di non averlo mai visto se non prima di nascere?». «Come fanno con l’utero».
«Ma te lo immagini che cosa succederebbe se tutti insieme, pacatamente, dicessimo: Signori, se volete continuare a essere presi sul serio come interlocutori politici, portateci le prove dell’esistenza di Dio». «Sì. Che le pubblicherebbe Feltri».
di Filippo Di Giacomo (l’Unità, 28 luglio 2010)
Le miserie chiesastiche di questi giorni? Roba vecchia. Per chi ha memoria, e una biblioteca ordinata, il recente scoop del settimanale più diffuso della galassia berlusconiana è stato solo una rifrittura di ciò che, negli anni del wojtylismo populista, era conosciuto da tutti e da tutti usato e strumentalizzato per aver accesso agli ambienti del potere ecclesiastico.
Coloro che si occupano di informazione vaticana, provano una stretta al cuore nel rileggere i titoli (“Via col vento in Vaticano”, il più conosciuto, ma anche “Verbum gay verbum Dei”, il più impressionante per la sua veridicità) di quella trentina di pamphlet che, come nelle corti pontificie del Rinascimento, hanno scandito ventisette anni fatti di luci pubbliche e di ombre per niente nascoste, anzi persino ostentate. Che queste non siano state ancora rimosse, nonostante il chiaro e pressante magistero di Benedetto XVI, è forse un aspetto molto marginale di una questione più grande, ovvero l’ormai innegabile fallimento della Chiesa dei chierici.
La disobbedienza del clero, anche di quello chiamato a collaborare con lui, ripropone con forza al Pontefice la necessità di riaffidare ai laici i campi nei quali il Concilio Vaticano II li aveva visti come “inviati in missione”. E riproporre la questione del ruolo dei laici nella Chiesa, sull’orizzonte tracciato dall’evoluzione delle società umane negli ultimi decenni, presuppone che venga proposta e chiarita fino in fondo il ruolo delle battezzate cattoliche in tutti gli ambiti del vivere ecclesiale. A parole, la Chiesa ama le donne. Ma le donne amano la Chiesa?
La risposta è difficile. Quando la quasi totalità delle battezzate cattoliche dell’Occidente e delle Americhe non segue la dottrina ufficiale negli ambiti che chiamano in gioco la loro libertà di scelta, la risposta tenderebbe al negativo. Quando poi si guarda in uno qualsiasi dei campi immensi dove la Chiesa testimonia la propria missione, la presenza delle donne è talmente qualificante da apparire sostanziale e, addirittura, indispensabile. Persino nella misogina, e corrotta, Roma dei chierici, nelle Università pontificie, il dieci per cento del corpo accademico è in mano alle donne.
Certo, per i pregiudizi di sempre e le paure clericali moderne, quasi nessuna di loro viene promossa alla titolarità della cattedra. Così come le magistrate che operano nei tribunali ecclesiastici italiani: restano subalterne a chierici che, spesso, hanno una qualifica giuridica inferiore alla loro. Nella Chiesa succede ancora così: pastorale, carità, istruzione, culto diventano sempre debitori del genio femminile. Ma chi comanda, deve avere la tonaca.
Certo, spaziando per il vasto orbe cattolico, si trovano già numerose brecce aperte in quasi tutte le strutture intermedie del vivere sociale cristiano. In cima alla piramide, negli ultimi cinquant’anni, non è ancora arrivata nessuna. In realtà, i Papi ci hanno già provato. Ma è stato soprattutto agli inizi del mandato dell’attuale segretario di stato vaticano che sui giornali si sussurrava di un organigramma ratzingeriano-bertoniano al femminile anche per la curia romana. Papa Benedetto XVI e il suo segretario di stato non provengono da culture ecclesiali misogine. In Portogallo quest’anno, il servizio liturgico per Benedetto XVI è stato curato da giovani donne.
Sulla necessità di una rievangelizzazione del femminile al femminile, cioè sull’attivazione ministeriale delle battezzate cattoliche (anche se “ministero” non è necessariamente sinonimo di sacerdozio) ha ampiamente parlato il Concilio Vaticano II.
L’argomento, in Italia, è stato poco trattato perché quando Bernard Haring, l’indimenticato maestro di teologia morale che tanto dispiace al cardinale Caffarra, alla fine degli anni Settanta lo pose come questione vitale per il futuro della Chiesa, il solito censore autoritario ma non autorevole che accompagna ogni stagione dell’Osservatore Romano lo stroncò per sospetta lesa maestà. Erano gli anni dell’esplosione del movimento femminista e, spesso, non si riusciva a distinguere la forma dalla sostanza.
Con Giovanni Paolo II, che all’universo femminile parlava non solo con i documenti ma anche con il cuore, il cattolicesimo contemporaneo ha cercato la strada per uscire dal ghetto dei chierici. Negli Stati Uniti e in diversi Paesi europei, Francia in testa, lo scandalo dei preti pedofili ha innescato una campagna d’opinione a favore di una proposta: affiancare ad ogni Conferenza Episcopale una Conferenza dei battezzati. Non sarebbe strano se Benedetto XVI, un papa che alla cristologia sta offrendo i suoi giorni e le sue fatiche, ci insegnasse un’ecclesiologia che torni al Vangelo anche con la voce forte e chiara delle battezzate cattoliche del mondo intero.
La teologia morale mostra a Trento i suoi nuovi volti
di Dominique Greiner ("La Croix", 28 luglio 2010 - traduzione: www.finesettimana.org)
“Quando i padri presenti al Concilio di Trento crearono la disciplina della teologia morale per la formazione dei preti nei seminari, non potevano immaginare chi l’avrebbe insegnata cinque secoli dopo: uomini, donne, chierici, religiose, laici...”, constata padre James Keenan, il principale organizzatore, che ha accolto i 600 teologi moralisti venuti da 73 paesi per il secondo incontro mondiale di specialisti di etica riuniti a Trento, nell’Italia settentrionale, dal 24 al 27 luglio.
Il profilo dei partecipanti colpisce innanzitutto per la giovane età ed il carattere internazionale. I grandi nomi della teologia morale sono presenti (Charles Curran, Lisa Cahill, Marciano Vidal, Klaus Demmer, Margaret Farley...) accanto alla nuova generazione. Ma è anche il notevole numero di donne a caratterizzare questo incontro: sono 150, religiose e laiche, 90 delle quali insegnano teologia morale, mentre le altre sono essenzialmente impegnate in un lavoro di tesi o lo hanno appena terminato.
Viviane Minikongo Mundela è una di loro, una delle prime laiche africane dottore in teologia. Ha sostenuto la sua tesi di morale alcuni mesi fa all’Università cattolica di Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo). Trentottenne e madre di tre figli, l’ultimo dei quali ha cinque anni, questa congolese (RDC) ha ottenuto il visto solo alla vigilia della partenza e dopo molti interventi degli organizzatori, che tenevano alla sua presenza.
“Per gli uomini, e forse ancor di più per le donne, è veramente una corsa a ostacoli uscire dal paese. Le ricchezze del paese, invece, non hanno bisogno di visti”, constata non senza amarezza ed in linea con la sua tesi su un’etica planetaria per rispondere alla sfida della globalizzazione. “Il nostro paese è ricco, ma paradossalmente è la nostra ricchezza a renderci poveri, perché suscita le bramosie e non ci dà alcun beneficio”, riassume. Senza il sostegno del marito, Viviane non avrebbe certo potuto portare a termine il suo dottorato.
Ma l’accesso al massimo livello della formazione teologica è difficile anche per le religiose, per ragioni che non sono economiche. Suor Léocalie Billy, camerunense che prepara la sua tesi a Friborgo (Svizzera) e a Strasburgo sulle sfide della solidarietà, ne fa il suo cavallo di battaglia. “La tradizione africana dà alla donna un posto che le istituzioni ecclesiali continuano a non riconoscerle”, dichiara. Il suo impegno in una lavoro di tesi sulla morale è già in se stesso un atto di liberazione “perché la donna, perché la religiosa possa studiare”. Ma anche per il fatto che le donne hanno un sensibilità propria, preziosa per la teologia morale. È pure l’opinione di Viviane Minikongo: “Oltre alla ragione, la teologia morale ha bisogno anche di emozioni, di cuore, d’amore.”
Del resto, certi teologi lo riconoscono. Ad esempio, all’altro capo del mondo, Dominador Bombongan, laico filippino, dice di trovarvi “un approccio più intuitivo, più olistico (cioè globale), particolarmente prezioso in un contesto di dominio maschile, e che viene a completare utilmente le teologie della liberazione”.
Queste esperienze testimoniano una grande circolazione di idee, favorita da una forte mobilità internazionale di studenti ed insegnanti. La disciplina ne viene arricchita. “L’Asia ci porta la dimensione del dialogo interreligioso e ci invita all’armonia, l’Africa ci parla di liberazione e di inculturazione, l’India ci fa sentire in maniera particolare la voce di chi soffre”, riassume padre Keenan, felice di un congresso, in cui i disaccordi, a volte profondi, si esprimono, ma sempre in maniera rispettosa.
È quello che, a suo modo, sintetizza il logo che accoglie i partecipanti: il rosone dai colori caldi della cattedrale del capoluogo dell’Alto Adige che interseca il globo terreste, illuminato da una luce bianca che evoca l’ostia eucaristica - eucarestia le cui basi dottrinali sono state definite dal Concilio di Trento. Un modo per dire che la teologia morale intende contribuire a portare una luce al mondo, illuminata dalle risorse della fede espresse dalla tradizione cristiana.
I 240 contributi hanno effettivamente permesso di tornare sugli apporti del Concilio di Trento, di esplorare gli sviluppi della tradizione morale nell’epoca moderna fino alle problematiche contemporanee (sviluppo, guerra giusta, diritti umani fondamentali, ecologia...). Ma, sorprendentemente, i problemi di etica economica, di etica degli affari e di etica dei media non sono stati affrontati, con grande rammarico degli organizzatori, mentre particolarmente numerosi sono stati i contributi nel campo della bioetica e, un po’ meno, dell’etica sociale.
Prova che la teologia morale, come le altre discipline, è tributaria della domanda sociale e dei finanziamenti, che oggi favoriscono ampiamente la bioetica. Certi teologi lavorano all’avvicinamento dei settori: “L’aids non è solo una problema di bioetica, spiega padre Keenan. È anche un problema di giustizia nell’accesso alle medicine e alla cure.”