E si continuavano a dormire “sonni beati”! Dopo la dichiarazione “Dominus Iesus” circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa (2000), dopo l’enciclica “Deus caritas est” (2006), che proclama la grande “novità” che “Dio è valore”, e la connessa decisione di sottoporre a “copyright tutti gli scritti, i discorsi e le allocuzioni del Papa”, Benedetto XVI, dopo aver tolto la "h" dalla "Charitas" (Amore pieno di grazia) e precisato anche che "Nazaret" si scrive "senza acca" e, infine, che «il calice fu versato per molti», non «per tutti», ha reso pubblico un altro racconto ediphicante sulla vita del suo “Padrone Gesù” (“Dominus Iesus”)!
“Per Natale completata la trilogia”, annuncia trionfante l’Osservatore romano (10.10.2012) e fornisce un’anteprima “del terzo libro di Benedetto XVI su Gesù presentato alla Fiera internazionale del libro di Francoforte”: “L’infanzia di Gesù”. “Da pagina 38 del manoscritto”, con il titolo “Quel bimbo stretto in fasce”, questo il testo che il giornale del Vaticano riprende:
“Maria avvolse il bimbo in fasce. Senza alcun sentimentalismo, possiamo immaginare con quale amore Maria sarà andata incontro alla sua ora, avrà preparato la nascita del suo Figlio. La tradizione delle icone, in base alla teologia dei Padri, ha interpretato mangiatoia e fasce anche teologicamente. Il bimbo strettamente avvolto nelle fasce appare come un rimando anticipato all’ora della sua morte: Egli è fin dall’inizio l’Immolato, come vedremo ancora più dettagliatamente riflettendo sulla parola circa il primogenito.
Così la mangiatoia veniva raffigurata come una sorta di altare. Agostino ha interpretato il significato della mangiatoia con un pensiero che, in un primo momento, appare quasi sconveniente, ma, esaminato più attentamente, contiene invece una profonda verità. La mangiatoia è il luogo in cui gli animali trovano il loro nutrimento.
Ora, però, giace nella mangiatoia Colui che ha indicato se stesso come il vero pane disceso dal cielo - come il vero nutrimento di cui l’uomo ha bisogno per il suo essere persona umana. È il nutrimento che dona all’uomo la vita vera, quella eterna. In questo modo, la mangiatoia diventa un rimando alla mensa di Dio a cui l’uomo è invitato, per ricevere il pane di Dio. Nella povertà della nascita di Gesù si delinea la grande realtà, in cui si attua in modo misterioso la redenzione degli uomini”.
Che a cinquanta anni dall’inizio del Concilio ecumenico Vaticano II non si sappia più né Chi è, né come ne dove sia nato Colui che è stato ed è la Luce delle Genti (“Lumen Gentium”), è più che normale e ‘sacrosanto’ che arrivi un papa teologo e racconti la solita storiella tradizionale del “Signore Gesù” nato ancora e sempre in una “mangiatoia”, “una sorta di altare” per l’Immolato, per il sacrificio del primogenito e che, “prima di ascendere al cielo, affidò ai suoi discepoli il mandato di annunciare il Vangelo al mondo intero e di battezzare tutte le nazioni”(“Dominus Iesus” - Introduzione) e abbia il suo grande successo alla fiera e al mercato di tutto il mondo! E’ un segno dei tempi: la “buona-carestia” avanza e grandi sono gli affari che si possono fare, vendendo a “caro-prezzo” (“caritas”) la grazia (”charis”) di Dio: “l’amministrazione della charity” rende molto, sia in affari sia in termini di domesticamento di liberi esseri umani in “animali”!
Per il papa teologo, infatti, il tempo passa invano: siamo ancora e sempre nella orwelliana “fattoria degli animali” e suo è il comando. Egli è il “grande fratello” e il “Santo padre”, il “Padre nostro”, che guida il suo popolo nel cammino della Storia! Ora, finalmente, la carità è nella verità (“Caritas in veritate”, 2009): “La Luce del mondo”, il libro di Ratzinger - Benedetto XVI (2010) ha scalato le vette delle classifiche: ha avuto uno straordinario successo di vendite e di guadagno con i diritti di autore.
Questa è la ‘bella notizia’ della "mangiatoia", tutto il resto appartiene al passato: l’arca di Noè, l’arca dell’alleanza di Mosè (con i due cherubini e la Legge scritta), l’arca-presepe del messaggio evangelico e di Francesco di Assisi (con i due cherubini - Giuseppe e Maria - e la Legge vivente, Gesù).
“In principio era il Logos” è solo “archeologia”! Oggi, su Piazza San Pietro, sventola il “Logo” del “Dominus Iesus”: “Deus caritas est”!!! Il Terzo Millennio prima di Cristo è già iniziato e il sogno di Ratzinger - Benedetto XVI come quello di Costantino annuncia la sua vittoria: “Forza Signore Gesù”!!!
Federico La Sala (10.10.2012)
Natività della Vergine Maria.
Dio si “costruisce una casa” in mezzo agli uomini
di Matteo Liut (Avvenire, sabato 8 settembre 2018)
Siamo creature chiamate a generare Dio nel mondo, una “missione” vissuta fin dall’inizio della propria esistenza da Maria, che è stata un ponte tra il Creatore e le creature. La festa di oggi, che celebra la natività della Vergine Maria, è legata indissolubilmente a quella del Natale: nella lettura dei Padri, infatti, con la nascita di Maria Dio si “costruisce una casa” in mezzo agli uomini, una dimora che poi lui stesso abiterà nell’Incarnazione.
La ricorrenza odierna è nata in Oriente ed è stata introdotta anche in Occidente da papa Sergio I nel VII secolo. Oggi questa festa è un invito a curare la nostra vita e la nostra interiorità perché è qui che s’incontra Dio. Una lezione “mistica” che i cristiani non devono mai dimenticare se non vogliono ridurre la fede a semplici “buone pratiche”.
Altri santi. Santi Adriano e Natalia, sposi e martiri (IV sec.); san Federico Ozanam, laico (1813-1853).
Letture. Mi 5,1-4; Sal 12; Mt 1,1-16.18-23.
Ambrosiano. Ct 6,9d-10; Sir 24,18-20; Sal 86; Rm 8, 3-11; Mt 1,1-16 oppure Mt 1,18-23 / Gv 20,1-8.
PREMESSA. Note sul tema:
RIDOTTA LA DONNA A "FEMMINILE" (A "FEMMINA") E L’UOMO A "MASCHILE" ("MASCHIO"), PER IL PAPA la "relazione personale" con Dio (concepito come "Uomo-Maschio") può essere ovviamente solo dell’"Uomo-Maschio", e dell’intero ordine sacerdotale (uomini-maschi). Che il "maschile" e il "femminile" sia di ogni essere umano (dell’uomo come della donna), che Due Persone ("due cherubini") siano i custodi della Legge (l’ Arca dell’Alleanza Mosaica) e Due Persone ("Maria" e "Giuseppe") siano i "genitori" e i custodi della Legge del Dio Vivente (Gesù) della Nuova Alleanza è una bestemmia che va sanata con un modello di famiglia intesa - in modo talebanico - biologicamente e naturalisticamente, in nome del suo Dio ("Deus caritas est", 2006) e del suo "Dominus Iesus", 2000)!!!
Il Papa dice no alla filosofia «di genere»
di Gian Guido Vecchi (Corriere della Sera, 20 gennaio 2013)
«La Chiesa ribadisce il suo grande sì alla dignità e bellezza del matrimonio come espressione di fedele e feconda alleanza tra uomo e donna. E il no a filosofie come quella del "gender" si motiva per il fatto che la reciprocità tra maschile e femminile è espressione della bellezza della natura voluta dal Creatore».
Benedetto XVI si è rivolto ieri al Consiglio «Cor Unum», il dicastero vaticano che amministra le opere di carità del Papa, e ha ripreso il filo del discorso alla Curia, prima di Natale, quando parlò dell’«attentato all’autentica forma della famiglia - costituita da padre, madre e figlio - al quale oggi ci troviamo esposti»: citando l’intervento del Gran Rabbino di Francia Gilles Bernheim contro il «matrimonio per tutti» e le adozioni a coppie gay, il Papa aveva criticato la «profonda erroneità» della teoria di genere, per la quale «il sesso non è più un dato originario della natura che l’uomo deve accettare e riempire di senso, bensì un ruolo sociale del quale si decide autonomamente».
Anche ora Ratzinger, secondo il suo stile, non lancia anatemi ma argomenta intorno alla «deriva» dell’uomo contemporaneo, al «prometeismo tecnologico» per cui «ciò che è tecnicamente possibile diventa moralmente lecito». E parte da una considerazione: «Il cristiano deve lasciarsi orientare dai principi della fede, mediante la quale noi aderiamo al punto di vista di Dio, al suo progetto su di noi».
In ogni epoca, dice, «quando l’uomo non ha cercato tale progetto, è stato vittima di tentazioni culturali che hanno finito col renderlo schiavo». In particolare «le ideologie che inneggiavano al culto della nazione, della razza, della classe sociale si sono rivelate vere e proprie idolatrie».
Ma non ci sono solo i totalitarismi atei, dal nazismo al comunismo: «Altrettanto si può dire del capitalismo selvaggio col suo culto del profitto, da cui sono conseguite crisi, disuguaglianze e miseria». Anche il nostro tempo «conosce ombre che oscurano il progetto di Dio».
Qui sta il punto, scandisce Benedetto XVI. «Mi riferisco a una tragica riduzione antropologica che ripropone l’antico materialismo edonista, cui si aggiunge però un prometeismo tecnologico: dal connubio tra una visione materialistica dell’uomo e il grande sviluppo della tecnologia emerge un’antropologia nel suo fondo atea», prosegue. «Essa presuppone che l’uomo si riduca a funzioni autonome, la mente al cervello, la storia umana ad un destino di autorealizzazione. Tutto ciò prescindendo da Dio, dalla dimensione spirituale e dall’orizzonte ultraterreno». Così l’uomo si «assolutizza», cioè pretende di essere «ab-solutus, sciolto da ogni legame e costituzione naturale».
Se Dio non esiste tutto è possibile, diceva Dostoevskij. Ed è ciò che al fondo dice anche il Papa: quando l’uomo è «privato della sua anima» e dunque «di una relazione personale con il Creatore», allora «ogni esperimento risulta accettabile, ogni politica demografica consentita, ogni manipolazione legittimata».
Benedetto XVI invita chi opera in campo sociale a «esercitare una vigilanza critica e, a volte, ricusare finanziamenti e collaborazioni che favoriscano azioni o progetti in contrasto con l’antropologia cristiana». La Chiesa è «colonna e sostegno della verità» e i pastori «hanno il dovere di mettere in guardia», conclude solenne: «Anche se questa deriva si traveste di buoni sentimenti all’insegna di un presunto progresso, o di presunti diritti, o di un presunto umanesimo».
«I bambini non sono merce»
di Luca Kocci (il manifesto, 13 gennaio 2013)
Contro natura, disumana, contraria ad ogni evidenza antropologica. Sono gli aggettivi che le gerarchie ecclesiastiche e gli organi di stampa cattolici hanno usato per definire la sentenza della Corte di Cassazione che l’altro ieri ha confermato l’affidamento alla madre - ora legata sentimentalmente e convivente con un’altra donna - del figlio piccolo, negando che vivere all’interno di una coppia omosessuale sarebbe stato «dannoso» per «l’equilibrato sviluppo» del bambino.
L’affidamento e «l’adozione dei bambini da parte degli omosessuali porta il bambino ad essere una sorta di merce», ha detto ieri ai microfoni di Radio Vaticana monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia e «padre spirituale» della Comunità di Sant’Egidio del ministro Riccardi, «il bambino deve nascere e crescere all’interno di quella che, da che mondo è mondo, è la via ordinaria, cioè con un padre e una madre». Talvolta questo contesto può frantumarsi, aggiunge il «ministro della famiglia» del Vaticano - che nella Curia romana è considerato un "progressista" -, ma «inficiare questo principio è pericolosissimo per il bambino e per l’intera società». «Suggerisco a monsignor Paglia di leggersi un po’ di letteratura scientifica e di rendersi conto di persona di come crescono i bambini nelle famiglie gay», gli risponde l’ex presidente dell’Arcigay Aurelio Mancuso, fondatore della rete per i diritti civili Equality Italia.
«Sentenza pericolosa», titolava ieri Avvenire, affidando il commento al giurista Carlo Cardia, già paladino dell’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche, che parla di «essenziale diversità e complementarietà tra il padre e la madre» che introducono il bambino «nel più vasto orizzonte degli affetti, dei sentimenti, delle relazioni, dandogli sicurezza, solidità, capacità di realizzarsi pienamente». Invece la sentenza della Cassazione «considera il bambino come soggetto manipolabile, attraverso sperimentazioni che sono fuori della realtà naturale, biologica e psichica».
Un bambino, prosegue, «privato artificiosamente della doppia genitorialità, vede venir meno la dimensione umana e affettiva necessaria per la crescita e il suo armonico sviluppo», si intravede «un profilo disumanizzante» che «comporta il declassamento dei suoi diritti». «Evidentemente Avvenire, pur di non dar ragione a due donne che vogliono educare in libertà il loro figlio, preferiva il genitore islamico che aveva abbandonato il bambino», commenta Franco Grillini.
Netta anche la condanna dell’Osservatore romano: riconosce che un bambino può crescere anche con uno o senza genitori, però aggiunge che non bisogna «creare queste situazioni soltanto perché in alcuni casi non si provocano danni». E comunque, scrive il quotidiano del papa, il nodo resta l’omosessualità: «L’umano è il maschile e il femminile», non possono negarlo nemmeno le coppie omosessuali, che però escludono dalla relazione questa polarità con una scelta «autoreferenziale». Per cui «la peculiarità della genitorialità come espressione del matrimonio eterosessuale deve essere ribadita»: «È dimensione costitutiva della condizione umana». Schematico don Antonio Mazzi: «La Cassazione va contro natura».
Mentre è articolato il ragionamento di Gianni Geraci, portavoce del Guado, uno dei primi gruppi italiani di omosessuali credenti: «Quello che è un valore, ovvero una famiglia con un padre e una madre, non può essere considerato l’unico valore, anche perché l’esperienza ci mostra che talvolta quel nucleo si rompe, o non si realizza, ma il bambino cresce ugualmente sereno», spiega al manifesto. «Piuttosto che condurre inutili e dannose battaglie ideologiche, bisogna pensare soprattutto al bene dei minori. Per questo è urgente una legge che consenta l’adozione anche da parte di un single. Sarà poi una sua scelta, e un suo diritto, decidere con chi educarlo».
Don Franco Barbero, della comunità di base di Pinerolo, sul suo blog racconta la storia di Morena, «figlia felice di due lesbiche»: «È fidanzata. Una bella e gioiosa giovane donna. Quando la incontro, la vedo felice come una ragazza cresciuta in un contesto d’amore. Ha persino convertito dall’omofobia il suo fidanzato. È il più bel commento alla sentenza della Cassazione».
Sul Financial Times La solidarietà-panettone di Benedetto XVI
di Sergio Cesaratto (il manifesto, 21 dicembre 2012)
In un articolo natalizio per il «Financial Times», papa Benedetto XVI - Vescovo di Roma e scrittore come si premura di presentarlo il quotidiano - si pone la domanda: “Alla fine di un anno che ha significato difficoltà economiche per molti, che cosa possiamo apprendere dall’umiltà, la povertà, la semplicità della scena della natività?”. Il Vangelo dovrebbe ispirare, risponde il Pontefice, il riconoscimento che “Dio creò l’uomo” e questo spronare i cristiani nel loro “coinvolgimento negli affari mondani - siano essi nel Parlamento o nella borsa per “combattere la povertà e “lavorare per una condivisione più equitativa delle risorse della terra”. I cristiani si oppongono all’“avidità e allo sfruttamento” poiché solo “generosità e amore disinteressato” conducono alla “pienezza dell’esistenza”.
Sono naturalmente parole impegnative anche per un non credente (come chi scrive) e nel loro aspetto laico - l’insopprimibile preminenza del rispetto morale e materiale per ogni singolo essere umano - punto di partenza per ogni donna o uomo di buona volontà.
Come scrisse Croce nel famoso “Perché non possiamo non dirci ‘cristiani’”, la rivoluzione cristiana è un evento unico nella storia dell’umanità perché essa “operò nel centro dell’anima, nella coscienza morale”. Visioni più materialistiche possono naturalmente portare a guardare all’impeto solidaristico come a una possibile strategia di sopravvivenza della specie, o del proprio gruppo sociale.
Sia come sia, la questione è nel come l’impeto morale si traduce in azione. Qui il messaggio ammaliante del Pontefice si fa sfuggente, se non ambiguo. L’articolo chiarisce, infatti, sin dal suo incipit “Date a Cesare quello che è di Cesare”, come il messaggio cristiano si ponga su un piano diverso e più alto di quello del potere mondano - a delimitare le sfere di competenze reciproche sì da tutelare la propria. L’impegno mondano dei cristiani, inoltre, dovrebbe “trascendere ogni forma di ideologia”.
Ma una volta sfuggiti da ogni impegno alla costruzione di un diverso assetto sociale, che cosa rimane dell’evocata solidarietà per i più deboli? Temiamo quasi nulla, tranne delle espressioni panettone volte a blandire le anime di chi avrà banchetti natalizi succulenti, e magari a lenire un po’ quelle di che ha l’angoscia del futuro. Un po’ poco, e anche reazionario perché la carità non educa ai diritti.
Che questo papa non provi indignazione di fronte a una società che potrebbe dare a tutti nel rispetto del creato e fa l’opposto, ne mostra i profondi limiti intellettuali e morali. E inoltre: come si concilia la trascendenza del messaggio della Chiesa con l’appoggio sfacciato che la curia italiana dà al cartello elettorale catto-liberista raccolto attorno all’“Agenda Monti”? C’è il sospetto che tale agenda sia ben funzionale all’aspetto più retrivo del “Date a Cesare”: a voi potere e finanza, a noi la carità sulle macerie dello stato sociale (e poi tutti a cena assieme).
PSICOANALISI E FILOSOFIA. Indicazioni per una seconda rivoluzione copernicana .....
DAL LABIRINTO SI PUO’ USCIRE. FACHINELLI, "SU FREUD"
Una sfida ideologica
di José Castro Caldas, economista, ricercatore presso il Centro Studi Sociali dell’Università di Coimbra (Portogallo)
(traduzione dal francese di José F. Padova) *
«Nella vita niente è gratuito». Questo adagio, che sembra espressione del buon senso, in realtà riflette il pensiero economico dominante. Distillato dai teorici alla moda e da una quantità di manuali universitari, fa parte di una visione sociale nella quale tutto inevitabilmente è commerciale. Ma da dove viene questa idea che opera un amalgama fra le nozioni di costo, di prezzo e di valore, allo scopo di facilitare l’estensione del mercato a detrimento dei beni pubblici e comuni?
Travestito da indigente
Nel 1975 l’economista americano Milton Friedman pubblicava There ’s No Such Thing as a Free Lunch («Un pasto gratuito? Non esiste!»), ma l’espressione circolava già da tempo. Si racconta un aneddoto edificante a proposito di Vilfredo Pareto, teorico liberale della scuola di Losanna, che sosteneva l’esistenza di leggi economiche simili a quelle della fisica. Pareto si sarebbe travestito da poveraccio per domandare al suo contraddittore, l’economista tedesco Gustav von Schmoller, dove trovare un ristorante che servisse un pasto gratuito. Quest’ultimo avrebbe risposto che non esisteva alcun posto simile, fornendo così la prova che tutto si compra.
Ma questo aneddoto, diventato un precetto insegnato agli studenti, ha qualche fondamento storico? Si sa, per esempio, che nel XIX secolo i saloon del nordamericani offrivano pasti gratuiti. I clienti avrebbero soltanto dovuto pagare le bevande che accompagnavano i piatti, in generale abbondantemente salati.
Più tardi, nel corso dei dibattiti sullo Stato previdenziale negli Stati Uniti, l’aneddoto è stato utilizzato dagli avversari del presidente Franklin Delano Roosevelt e di tutti i partigiani del Welfare State. Nel 1942 il giornalista Paul Mallon reagiva così alla proposta del vicepresidente Henry Wallace di garantire un minimo di cibo, di vestiti e di alloggio a tutti gli americani: «Il signor Wallace dimentica che non è mai esistito un pasto gratuito. A meno che l’umanità non acquisisca poteri magici, qualcuno dovrà sempre pagare per il pasto gratuito concesso a un altro». Molto rapidamente la formula «non vi sono pasti gratuiti» è divenuta il ritornello della teoria della scelta razionale. Quando gli individui o la società vogliono ottenere qualcosa, la quantità limitata per definizione delle risorse li obbliga a rinunciare a un’altra cosa.
Il mancato funzionamento del mercato
Secondo questa teoria, in una « ideale economia di mercato » ogni cosa ha un prezzo e chi vuole ottenerla deve pagare. Non si tratta qui di morale, bensì di logica. Fissato dalla legge dell’offerta e della domanda, il prezzo di un bene determina (e riflette) l’efficienza economica. Ogni altra situazione rivela una «lacuna del mercato», un problema da regolamentare e non una realtà alla quale occorre adattarsi.
Prendiamo il caso dei «beni pubblici» (1), il cui classico esempio è il faro che orienta le navi lungo le coste. La luce che diffonde è gratuita. D’altra parte sarebbe difficile immaginare un sistema di pagamento a carico dei naviganti, i quali, per definizione, non fanno altro che passare e sparire senza lasciare tracce.
Per gli economisti dominanti questa situazione è problematica. Effettivamente, se la costruzione dei fari fosse stata affidata al mercato, non ne esisterebbe alcuno. È grazie all’intervento dei poteri pubblici, dotatisi delle risorse necessarie grazie alle imposte, che essi sono stati eretti. E il ragionamento può ampliarsi. Alla fine, l’illuminazione delle città è un bene pubblico, per lo stesso motivo per il quale lo è l’aria pulita, il sapere, o gli oceani. Per certi economisti (2) la proprietà privata ha precisamente per origine la necessità di regolamentare il «problema» dei beni pubblici. Vale a dire, di trovare un mezzo per imporre un prezzo all’utilizzatore di un bene. Così si potrebbe pensare che le strade devono logicamente avere uno status pubblico. Ebbene, si inventano i pedaggi, soluzione capitalista ispirata ai dazi del Medio Evo! Il medesimo principio vale per il sapere: è difficile la sua privatizzazione? Sarebbe nefasta? Non importa! Si inventano i diritti di proprietà intellettuale.
Principio di necessità
Per la teoria dominante, la gratuità è una patologia che deriva da costrizioni naturali o tecniche; è un’eccezione alla buona regola. In linea di massima colui che vuole acquisire un bene o usufruirne deve pagarne il prezzo. E poco importa che il denaro diventi la condizione di accesso a tutto. Ugualmente poco importa per i beni che, per loro natura o funzione, non devono avere prezzo, come la salute o l’educazione.
Tuttavia, la logica mercantile non sarebbe in grado di estendersi a tutto. Così esistono cose o esseri il rispetto dei quali è più importante della ricerca di una pretesa efficienza economica. È il caso delle persone o degli organi umani. D’altro canto, certi beni potrebbero avere un prezzo, ma non ne hanno, perché una parte del loro valore risulta dal loro utilizzo condiviso: una piazza pubblica, per esempio. Infine, vi sono beni ai quali tutti devono avere accesso, indipendentemente dal loro potere d’acquisto, perché lo esige la necessità. In Portogallo si dice che «un bicchiere d’acqua non lo si rifiuta a nessuno» e anche negli esercizi commerciali si dà l’acqua a chi la chiede. Allo stesso modo il medico ha il dovere di prestare assistenza in caso di necessità.
Per lungo tempo spettava alle opere di carità distribuire i beni di base agli indigenti. Ma questa situazione non risponde che molto imperfettamente all’imperativo della necessità. È ciò che voleva dire Adam Smith - che spesso è stato male compreso - quando affermava che per il nostro pranzo non si deve sperare nella bontà del macellaio. La beneficenza ci rende debitori mentre si presume che il mercato ci liberi da qualsiasi legame di dipendenza: pagando il prezzo saremmo liberi. Per questo Smith auspicava che tutti potessero pagare i beni di prima necessità. Tuttavia il capitalismo, si sa, non ha soddisfatto questo auspicio, anche se, in certi casi, si è avvicinato all’ideale che Wallace evocava: la garanzia, da parte dei poteri pubblici, di un minimo di cibo, vestiti e alloggio.
Alla fine, la scelta di quello che deve, o non deve, essere oggetto di una transazione commerciale deriva innanzitutto dall’etica (3). Il mercato si basa su norme costruite storicamente e incrostate nella cultura, che sono spinte a evolversi. Infine, von Schmoller l’avrebbe avuta vinta su Pareto. Se in economia esistono «leggi», esse sono create dagli esseri umani; non risultano dalla natura. Quindi noi possiamo modificarle.
(1) Vedi Philippe Quéau, «A qui appartiennent les connaissances?», Le Monde diplomatique, janvier 2000.
(2) Cf. Armen A. Alchian et Harold Demsetz, «The property right paradigm», The Journal of Economic History, vol. 33, n°1, Cambridge, 1973.
(3) Elisabeth Anderson, «The ethical limitations of the market», Economics and Philosophy, n°6, Cambridge, 1990.
* Le Monde Diplomatique - ottobre 2012
SACRIFICIO
Una nota di Aldo Antonelli
Vorrei premettere due osservazioni per aprirci la strada ad una lettura il più possibile vivificante e illuminante della Parola di Dio. La prima riguarda il venir meno, sia al livello più ufficiale della teologia, sia a quello della coscienza comune, di un modo di leggere la sofferenza del Gesù della Croce che la faceva rientrare in una specie di grande ordine logico.
In poche parole - e voi sentirete in queste poche parole qualche riflesso che richiama il catechismo che avete imparato - siccome l’uomo ha compiuto verso Dio un peccato di infinita gravità (l’offesa a Dio è oggettivamente infinita) era necessaria una riparazione che avesse la stessa misura: fosse infinita. Ma non essendo l’uomo capace di atti infiniti era necessario che ad espiare fosse, sì, un uomo, perché l’uomo era colpevole, ma un uomo che fosse anche Dio, perché solo un atto di Dio è infinito.
Così, nel Medio Evo si costruì la logica entro la quale la sofferenza della croce appariva ovvia come il pagamento di un debito: tanta la colpa, tanta la riparazione.
Solo che non si avvertiva adeguatamente - possiamo dirlo, a distanza - che con questa spiegazione logica, si colpivano, nel cuore, due misteri fondamentali. Innanzitutto quello del Dio-Amore.
Come può essere Amore un Dio che ha bisogno che si paghi il debito, e in quella maniera? Come possiamo chiamare Amore un Dio che ha bisogno delle nostre sofferenze per sentirsi appagato? Se Dio è amore non ha bisogno delle nostre sofferenze, come un padre, una madre, non hanno bisogno, per sentirsi appagati di eventuali offese, che i figli soffrano. Si colpiva il mistero dell’amore.
E poi si colpiva, un altro mistero: quello della persona umana. Perché Dio, in questa teologia ideologica, amava più l’ordine che l’uomo. Era l’ordine che doveva essere ristabilito, e se, per ristabilire l’ordine, un uomo doveva essere sacrificato, si sacrificasse l’uomo. Queste ideologie non sono mai Innocenti, perche fanno da copertura suprema ad altre posizioni più immediate e più terrene. E noi conosciamo bene una ideologia - che abbiamo alle spalle, e Dio voglia, soltanto alle spalle - in cui l’ordine conta più che l’uomo. Per ristabilire un ordine ci vogliono i roghi e la ghigliottina. Ci vogliono le fruste, le punizioni. Questo concetto dell’ordine come supremo valore, a cui tutto va sacrificato, aveva, nella teologia cristiana, un sigillo in più. (Ernesto Balducci: Il mandorlo e il fuoco; vol: 2° pagg. 381-382)
Ratzinger come Roncalli
«Date un bacio ai bimbi e dite che è del Papa»
di Gian Guido Vecchi (Corriere della Sera, 12 ottobre 2012)
La Chiesa nella tempesta, il peccato e la zizzania, «qualche volta abbiamo pensato: il Signore dorme...». Alle 21 Benedetto XVI s’affaccia alla finestra dell’Appartamento, sono passati cinquant’anni da quando Giovanni XXIII nel primo giorno del Concilio pronunciò il celebre discorso della luna, «date una carezza ai vostri bambini...», e alla fine anche lui saluta (quasi) allo stesso modo, «oso far mie le sue parole», sorride e dice: «Andate a casa, date un bacio ai bambini e dite che è del Papa!».
Ma il saluto di Ratzinger alla fiaccolata dei 40 mila, come nel ’62, non è di circostanza. «Anch’io ero in piazza con lo sguardo a questa finestra, eravamo felici e pieni di entusiasmo, sicuri che dovesse venire una nuova primavera, una nuova Pentecoste. Anche oggi siamo felici, ma di una gioia più sobria, umile». E accenna agli scandali e al male nella Chiesa: «In questi cinquant’anni abbiamo esperito che il peccato originale esiste e si traduce in peccati personali che possono diventare strutture di peccato, che nel campo del Signore c’è sempre anche zizzania, che nella rete di Pietro si trovano anche pesci cattivi, che la nave della Chiesa sta navigando anche con vento contrario in tempeste». Come i discepoli nel Vangelo, «qualche volta abbiamo pensato: il Signore dorme e ci ha dimenticato».
La mattina il Papa aveva parlato della «desertificazione spirituale di questi decenni», invitando a tornare «alla lettera» del Concilio e annunciare il Vangelo. Perché «il Signore c’è e non ci dimentica», ha concluso la sera, «e dà calore ai carismi di bontà che illuminano il mondo: Cristo è con noi e possiamo essere felici anche oggi».
I CARISMI
di don Mauro Agreste *
1) OGGI PARLIAMO DEI CARISMI Oggi parliamo dei carismi ed è importante averne una conoscenza un pochino più strutturata, perché come catechisti nelle vostre comunità parrocchiali, ma anche nei gruppi di preghiera, è bene che abbiate una conoscenza il più possibile ampia su questo tema. Tutto sommato è stato lasciato per molti versi ad alcuni gruppi ecclesiali, oppure a degli alti studi universitari nell’Università Pontificia. Il tema dello spirito dei carismi è un tema che fa parte della vita della Chiesa; se ne tratta nel Concilio e nella Lumen Gentium. Al n°12 dice che la Chiesa costituita dal popolo di Dio è per così dire, il luogo in cui si esercitano i carismi, ognuno per la sua propria specificità. Però la maggior parte delle persone, quando sentono dire la parola carisma non è che abbiano molto chiaro in mente di che cosa si tratti, è vero?
2) PAROLA USATA E ABUSATA DA MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA Per di più questa parola è stata usata e abusata da giornalisti, da mezzi di comunicazione di massa non per indicare il significato preciso della parola carisma, quanto invece per indicare la capacità che ha una persona di attirare l’attenzione degli altri in qualunque campo, con la sua propria capacità di emergere sugli altri. Quindi in senso generico la parola carisma o personaggio carismatico all’interno della Chiesa e di alcuni gruppi ecclesiali vieni intuita in un certo modo. All’infuori della Chiesa il personaggio carismatico è un personaggio che ha delle chances in più, ha un savoir faire diverso in tutti i campi, sportivo, politico, ecc. ecc. da emergere e attirare l’attenzione, quasi catalizzando l’attenzione degli altri.
3) CARISMA HA LA STESSA RADICE DELLA PAROLA CARITÀ Ma che cos’è dunque il carisma e da che cosa nasce? Intanto la parola carisma deriva dal greco e come voi potete benissimo accorgervi contiene dentro di sé una radice, charis, che è la stessa radice della parola carità. Ora la parola carità, anche se abbiamo una vaga intuizione, è una parola che ha significati molto complessi e molto profondi, per cui almeno nel nostro linguaggio teologico, non è facile definire la carità semplicemente come un atteggiamento. La carità è prima di tutto una caratteristica di Dio stesso, una caratteristica essenziale, tant’è vero che gli antichi dicevano: Deus est charitas da cui gli antichissimi inni, ubi charitas et amor Deus ibi est, dov’è carità e amore lì c’è Dio. Dunque carità ha in sé questa radice charis, che significa qualche cosa di forte, di caldo, di vivo, di avvolgente. Viene cantato nel Veni Creator, si parla dello Spirito Santo e si dice che lo Spirito Santo è ignis, fuoco, fuoco di carità, fuoco di amore.
4) CARITÀ E AMORE VENGONO SPESSO USATI COME SINONIMI Carità e amore vengono spesso usati come sinonimi per una semplice ragione, sono entrambi concetti estremamente profondi. Se tu dici amore, è sufficiente dire amore per capire tutto ciò che significa la parola amore? No, cioè lo usiamo convenzionalmente però noi sappiamo che l’amore autentico per esprimerlo, per significarlo è molto difficile. Ricordate questa mattina il brano del Vangelo che è stato letto: nessuno ha un amore più grande se non colui che muore per i propri amici. Quindi vedete l’amore coinvolge fino alla donazione della vita. L’amore esige per esempio il concetto, che deve essere chiaro, della capacità di donarsi. Amore e donazione totale coincidono; però quando io dico amore non dico solo donazione totale, dico anche gioia, dico anche situazione di protezione. Una persona che ama è una persona che ne sta proteggendo un’altra; una persona che si sente amata è una persona che si sente protetta. Il concetto di guida: chi ama guida; chi è amato si sente guidato non gettato allo sbaraglio. Voi potete immaginare quale grande significato c’è nella parola amore; viene considerata sinonimo di carità, però entrambe hanno una specificità; che l’amore e la carità sono due realtà vive, coincidono con Dio.
5) PARLARE DI CARITÀ SIGNIFICA PARLARE DI GRAZIA Quindi parlare di carità, significa parlare di grazia, che charis è una traslitterazione, è la radice della parola greca che significa grazia. Che cos’è la grazia? Non è la gentilezza nei movimenti, la grazia è lo Spirito Santo in azione, lo Spirito Santo mentre agisce, lo Spirito Santo che sta agendo. Vieni Padre donaci la tua santa grazia, donaci cioè lo Spirito Santo che agisce dentro di noi. Ricordatevi che anche se avete il concetto chiaro nella mente, quelli che sono davanti a voi fraintendono facilmente, soprattutto queste cose complesse. Quindi dovete avere sempre l’idea di parlare a un bambino di 5 anni e state tranquilli che le persone davanti a voi non si sentiranno umiliate e non vi disprezzeranno se voi parlerete il più semplice possibile.
6) CHIEDI CHE LO SPIRITO SANTO VENGA AD AGIRE DENTRO DI TE Allora, donaci la santa grazia, certo che vuol dire donaci la capacità e la disponibilità a seguire i suggerimenti dello Spirito, però tu chiedi proprio che lo Spirito Santo venga ad agire dentro di te, però non senza di te. Quando invochiamo la grazia di Dio su di noi, invochiamo lo Spirito Santo che venga ad animarci dall’interno, come il lievito che fa lievitare tutta la pasta; il lievito non fa sparire la pasta, la fa solo lievitare; certo se non c’è la pasta puoi mettere anche un chilo di lievito che tanto non lievita niente. Allora quando si dice grazia si dice Spirito Santo in azione. Cosa vuol dire charis? Grazia. Cosa vuol dire grazia? Spirito Santo in azione. Lo Spirito Santo aleggiava sopra le acque informi, quindi lo Spirito Santo era già in azione appena Dio ha fatto esistere qualche cosa, ancora non c’era la luce, ma già lo Spirito Santo era in azione. Lo Spirito Santo agisce continuamente. L’ultimo versetto dell’Apocalisse dice: lo Spirito Santo e la sposa gridano Maranthà, vieni Signore Gesù. Quindi attenzione bene, tutta la Bibbia è contenuta da questa azione di Spirito Santo, dunque, tutta la storia degli uomini è contenuta in questi due punti fondamentali: lo Spirito Santo che aleggia e lo Spirito Santo che anima dicendo vieni. Gli uomini non si accorgono dell’azione dello Spirito Santo.
7) NUTRIRE UNA PARTICOLARE ADORAZIONE DELLO SPIRITO SANTO Allora i catechisti hanno questo compito fondamentale, fra tutti gli altri, di nutrire una particolare adorazione dello Spirito Santo. Dico giusto quando dico adorazione, per una semplice ragione, quale? Perché lo Spirito Santo è Dio. Quindi il catechista che non adora lo Spirito Santo non so che razza di catechista voglia essere. Lo Spirito Santo è la grazia che agisce dentro di noi. Il catechista che si mette al servizio della Chiesa, come fa a mettersi al servizio dicendo l’amore per Gesù se non è lo Spirito Santo a comunicarglielo?
8) PARLARE DI SPIRITO SANTO E DIO COME DUE PERSONE SEPARATE Domanda: questo fatto di parlare di Spirito Santo e Dio come due persone separate, non rischia di confonderci? E quando parliamo del Padre separato dal Figlio, non si rischia di creare dei problemi? Nelle dispense degli anni passati c’è quel disegno molto bello che si riferisce allo schema intuitivo su Dio e le sue tre persone. Dio è Padre, è Figlio e Spirito Santo, un solo Dio, però il Padre non è il Figlio, non è lo Spirito Santo e lo Spirito Santo non è il Padre. È chiaro che la nostra mente è così limitata che noi non riusciamo a capire, possiamo solo contemplare.
9) FACCIAMO PARTE DELLA TRINITÀ Di più ancora. Facciamo parte di questa Trinità, con il Battesimo siamo entrati dentro la Trinità, perché siamo con Gesù una cosa sola. Siamo entrati nella Trinità, però non siamo Dio, siamo esseri umani, però facciamo parte della Trinità. Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; quindi la volontà di Dio è che siamo immersi ( bactizzomai verbo greco che significa essere immersi ) in tutto Dio Padre, in tutto Dio Figlio e in tutto Dio Spirito Santo. Questo vuol dire che dentro di noi c’è tutto Dio Padre, tutto Dio Figlio, tutto Dio Spirito Santo e come lo spieghi questo? Quando tu vai a fare la comunione prendi un’ostia grande così, tu sai che lì dentro c’è il Dio Eterno e Infinito, Signore della storia e dei secoli. Sotto un velo di pane c’è il mistero di tutto ciò che esiste. Possiamo intuire. Come dice l’inno Pange Lingua. Visus tactus gustus in te fallitur, la vista il tatto il sapore falliscono, perché tutto quello che i sensi constatano è fallace, non i sensi ma la fede conosce questa verità. Allora con la fede tu accetti, il mistero lo contempli, però non lo capisci. Perché capire dal latino càpere vuol dire prendere e tenere stretto, contemplare invece significa guardare, ma non da soli, sostenuti. Tu puoi guardare il mistero di Dio da solo, lo puoi contemplare cioè tu puoi entrare nel tempio insieme a qualcuno, contemplare entrare nel tempio insieme a qualcuno. Tu non possiedi il tempio è il tempio che possiede te.
10) IL CATECHISTA DEVE PARLARE UN ITALIANO SEMPLICE E COMPRENSIBILE Attenzione, perché usiamo la lingua, ma non la conosciamo e un catechista non può permettersi questo. Un catechista deve parlare un italiano semplice e comprensibile a quelli che ha di fronte però deve conoscere dieci o venti volte di più di quello che sta dicendo agli altri, se no che cosa sta comunicando? Certamente ai bambini non puoi dire le specificità dei termini che vi sto spiegando, però su tu non conosci il significato delle parole, tu insegnerai delle cose sbagliate e noi non possiamo permetterci di fare questo, se no non stiamo divulgando il Vangelo di Gesù Cristo, ma il Vangelo secondo noi. Quindi ricordatevi, è un servizio fatto a Dio quello anche di essere precisi nel linguaggio che si usa. Siate precisi cercando di conoscere il più possibile il significato delle parole che usate, anche le più comuni. E chiedete allo Spirito Santo che vi dia una struttura logica del pensiero: soggetto, predicato, complemento. Diversamente il vostro discorso non sarà compreso da chi vi ascolta; piuttosto articolate frasi e concetti brevi non un discorso lungo e strutturato. Fate discorsi brevi, frasi brevi, ma che siano chiare.
11) LA CONIUGAZIONE DEI VERBI DEVE ESSERE PRECISA State anche attenti alla coniugazione dei verbi, che deve essere precisa, perché un verbo al condizionale ha un significato diverso da un verbo all’indicativo; perché un verbo all’indicativo indica una realtà, un obbligo imprescindibile, un verbo al condizionale indica una possibilità cioè una dualità di realtà; i congiuntivi sono verbi di consequenzialità; se io nella mente non ho l’idea della consequenzialità delle cose, non userò il congiuntivo, userò l’indicativo e renderò tutto obbligante. Ricordatevi che abbiamo a che fare con le parole, che noi abbiamo la parola di Dio nella mano e siamo i catechisti, non ci possiamo permettere di giocare con le parole, perché da come io uso le parole, favorisco o freno il passaggio del concetto di Dio. Senza diventare fanatici, senza esagerare, però o prendiamo sul serio il nostro servizio reso a Dio. Quindi tutto quello che dipende da me io cerco di farlo al meglio che posso, oppure facciamo come fanno tanti che improvvisano tutto, vanno avanti e non si rendono conto che stanno giocando con Dio. Se sul Vangelo c’è scritto: in principium erat verbum et verbum erat aput deum et verbum erat deum, allora questo ci fa capire che in principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio.
12) SE DIO SI E’ FATTO PAROLA, IO NON POSSO GIOCARE CON LE PAROLE Se Dio si è fatto la parola che noi possiamo intuire e capire, io posso giocare con le parole? No. Non dico questo perché dobbiamo spaventarci, sentirci colpevolizzati, però sentiamo la necessità di pensare le parole che usiamo e pensare le frasi che usiamo, perché se io devo parlare a dei bambini, dovrò rendere estremamente semplice un discorso difficilissimo. Però usando delle parole che siano giuste, che cerchino di generare meno equivoci possibili, adatte al vocabolario che è in possesso a un bambino di 7-10-12-15 anni, senza mai cedere ad accettare una connotazione di linguaggio che non sia più che dignitosa ed elegante.
13) IL CATECHISTA NON USA MAI PAROLE EQUIVOCHE Se ci sono dei modi di dire che esprimono il concetto di essere arrabbiati in un certo modo, il catechista non li usa mai, neanche quando sta da solo. Se ci sono parole equivoche il catechista si deve abituare non solo a non usarle lui, ma a sentirne ribrezzo quando le sente pronunciare da altri, perché il catechista sta usando con la propria lingua un mezzo di evangelizzazione. Dunque l’apostolo san Giacomo dice nella sua lettera al cap. 4 che chi domina la lingua domina tutto il resto del corpo. Ora un catechista che non domina la lingua come può produrre negli altri un cambiamento di vita, se le parole che escono da lui sono sporcate da una incapacità di dominare la lingua? Naturalmente quando dico capacità di dominare la lingua non mi riferisco solamente a un linguaggio volgare e pesante, mi riferisco anche a un modo di gestire il linguaggio. Una persona che non è capace a non criticare, una persona dalla cui bocca esce sempre una parola di critica, di giudizio, di condanna, di curiosità, di pettegolezzo ecc. può giustamente essere catechista? Non può. Un catechista che non sente fondamentale dentro di sé l’imperativo di sapere quello che sta dicendo, come lo sta dicendo e non si domanda se le parole che sta usando le capisce prima lui, come fa a spiegarle agli altri?
14) IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE AMARE E AMORE Quante volte abbiamo esaminato il significato delle parole amare e amore. Se un catechista non sa che cosa vuol dire amare, sapete con che cosa lo confonde? Con il romanesco volemose bene. Ma amare non è quello, quello non è amare, quello lì è solo cercare di stare tranquilli, senza prendersi tanti problemi, vero? Invece amare è tutta un’altra cosa. Stamattina abbiamo sentito: dare la vita per i propri amici. Vedete che è estremamente differente. Allora non deve essere così per voi, perché voi avete sentito veramente una chiamata del Signore, se no non sareste qui al sabato mattina. Però per non perdere tempo né io, né voi e neanche Dio, cerchiamo proprio di capire l’importanza di tutto questo. Quando nelle scuole ci facevano fare l’analisi logica, l’analisi del periodo erano molto importanti; se abbiamo dimenticato tutto questo la prima cosa che dobbiamo fare è chiedere allo Spirito Santo che venga a rispolverare dentro di noi le cose che avevamo studiato allora, che le faccia emergere. Vedrete che lo Spirito Santo vi aiuterà; poi dopo cominciate con l’analizzare il linguaggio che usate, le strutture logiche che usate, se sono chiare. Ricordatevi che le persone che avete di fronte non sono dentro la vostra mente, dunque loro non sanno esattamente dove voi volete arrivare. Una grande carità che potete fare nei confronti del vostro prossimo, un grande servizio è quello di fare un passettino piccolo alla volta. Non date mai niente per scontato, anche se doveste ripetere cento volte in cento incontri, serve per aiutare quella persona a entrare nel difficile concetto che voi volete dire.
15) DOBBIAMO IMPARARE A PERDONARE Per es.: dobbiamo imparare a perdonare. Che vuol dire perdono? È una parola composta. Dividete a metà la parola, per e dono; quella che capite subito è dono, cosa vuol dire dono? È un regalo, non meritato, perché un dono meritato si chiama premio. Capite perché bisogna essere precisi? Perché se io non dico questo allora il perdono mi diventa un diritto, invece non è un diritto, è un dono, un regalo non meritato; quindi se il regalo non è meritato mi viene fatto perché io sono buono o è buono chi mi fa il regalo? Chi mi fa il regalo. L’altra parola da capire è per che deriva dal greco iper, che vuol dire il più grande; quindi se iper vuol dire il più e donum, regalo, mettendo insieme avete l’insegnamento che dovete fare sul concetto di perdono. Poi ci potete parlare per sei mesi ai bambini del perdono, però se sapete cosa vuol dire voi insegnate realmente ciò che insegna la Chiesa, non ciò che insegna il mondo: vogliamoci bene perché il Signore è buono e ci perdona, tanto perdona tutto e tutti. No! Il catechista non può fare queste cose, non si può confondere il perdono con un sentimento di piacevolezza e di arrendevolezza, non è così. Allora siamo partiti dal tema dei carismi, la prossima volta ricordatemi che dobbiamo continuare sul significato della parola carisma. Abbiamo appena analizzato la radice charis che vuol dire grazia e che significa Spirito santo in azione.
Dal Vaticano II al Vaticano III
di Henri Tincq
in “www.slate.fr” del 10 ottobre 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)
Esattamente cinquant’anni fa, l’11 ottobre 1962, 2500 vescovi che parlano lingue diverse, che rappresentano i popoli e le culture del mondo intero, fanno la loro entrata nella basilica di San Pietro di Roma. Il Concilio Vaticano II apre le porte, in presenza, per la prima volta, di delegati protestanti, anglicani, ortodossi e di altre confessioni cristiane. Si apre una pagina nuova nella storia della Chiesa. Questo concilio durerà tre anni. Tradizionalisti e modernisti già si scontrano e saranno questi ultimi a vincere. La ventina di documenti adottati alla fine dei dibattiti segnano l’entrata della Chiesa, fino a quel momento intransigente e chiusa, nel mondo moderno.
Papa Giovanni XXIII aveva convocato il concilio nel gennaio 1959, tre mesi dopo la sua elezione, tra la sorpresa generale. Diplomatico mediocre, eletto ad età avanzata (77 anni), ritenuto “papa di transizione”, Angelo Roncalli, di fatto, sconvolge la sua Chiesa. Il concilio, per lui, deve essere un “aggiornamento”, deve rompere con secoli di “condanne”, discernere i “segni dei tempi”, spalancare le “finestre” dell’istituzione, riconciliarla con il XX secolo.
La sua morte, nel 1963, gli impedisce di portare a compimento la sua opera, ma il suo successore, Paolo VI, la riprenderà e la porterà a termine, a costo di una lotta accanita con la minoranza conservatrice di Marcel Lefebvre, “padre” dello scisma integralista che, cinquant’anni dopo, prosegue il suo tentativo di minare alla base quel salutare concilio.
ecumenismo
Uno dei punti di maggiore contrasto riguarda la libertà religiosa. La Chiesa che, da 2000 anni, ripete che al di fuori di essa non c’è salvezza, si dispone a rinunciare al monopolio assoluto della Verità, a riconoscere il primato della coscienza, ad entrare in dialogo con le altre religioni, non solo con le confessioni cristiane separate, ma anche con gli ebrei, i musulmani, gli induisti, i buddisti, ecc. Mons. Lefebvre dirà che con la libertà religiosa, “il verme è nel frutto”. Se la Chiesa cattolica non ha più il monopolio della Verità, la porta è aperta al “relativismo” (tutte le religioni si equivalgono), al “soggettivismo”, al detestato ecumenismo.
Rompendo con secoli di intolleranza, il Concilio Vaticano II adotta, nel 1965, una dichiarazione (“Dignitatis humanae”) che afferma per ogni uomo il diritto alla libertà di religione e di credenza, poi un altro testo (“Nostra Aetate”) che riconosce nelle altre confessioni delle “parti di verità”, mettendo fine agli stereotipi offensivi per gli ebrei (“popolo deicida”), ritenendo che l’antisemitismo non aveva più alcuna giustificazione teologica.
Due millenni di antigiudaismo cristiano sono così stati archiviati. Per i cattolici, il dialogo ecumenico con i “fratelli cristiani” separati (protestanti, ortodossi), con le religioni non cristiane e con i non credenti è veramente cominciato grazie al Vaticano II, mezzo secolo fa.
Il Concilio adotta altre riforme capitali. Ridà importanza allo studio della Bibbia, lasciato ai protestanti a partire dalla Riforma. Rinnova la liturgia con il superamento della tonaca per i preti e l’adozione delle lingue moderne invece del latino. Cambia il modo di governo della Chiesa, tollerando maggiore “collegialità”, dando più autonomia ai livelli locali rispetto a Roma, e maggiore responsabilità ai laici (cioè i fedeli che non fanno parte del clero). Invita i cristiani, in un altro testo rimasto celebre (“Gaudium et Spes”), a non condannare più il mondo moderno, a cambiare lo sguardo su tale mondo, ad aprirsi al progresso delle scienze e delle tecniche, alle lotte per la giustizia sociale e per i diritti umani, ad impegnarsi negli ambiti sociali e politici.
duecento anni di ritardo
Una Chiesa più militante a servizio dell’uomo povero, più accogliente nei confronti delle trasformazioni del mondo, aperta alla libertà di coscienza e alle altre confessioni, meno arrogante e più impegnata nel suo tempo: senza il Vaticano II, non sarebbe quella che è oggi. Ma è aperto e acceso il dibattito per sapere se la Chiesa, da allora, non abbia tradito lo spirito del concilio di cinquant’anni fa, se non sia tentata dal ripiegamento su se stessa e sul ritorno indietro, se non sia ora di regolare i conti, di riprendere le questioni tabù allora messe da parte, o addirittura di immaginare un nuovo concilio - Vaticano III - per esplorare tutte le nuove questioni poste all’umanità in questi cinque decenni.
Ex arcivescovo di Milano, il prestigioso cardinale Carlo Maria Martini, gesuita, “capofila” dei progressisti, morto il 31 agosto, ha rilasciato al Corriere della Sera un’intervista (resa pubblica dopo la sua morte) dal sapore amaro molto forte, nella quale scrive: “La Chiesa è in ritardo di 200 anni (...) La Chiesa è stanca. La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l’apparato burocratico della Chiesa lievita”.
Certo, è ingiusto e sbrigativo affermare che la Chiesa è andata indietro - cosa che non dice il cardinal Martini. Per riportare l’unità nelle sue fila, papa Benedetto XVI ha certo portato avanti degli incontri con i cattolici integralisti, eredi di Mons. Lefebvre e della minoranza reazionaria del concilio. Ma l’accordo si scontra proprio sui dati acquisiti del Vaticano II. Gli integralisti rifiutano di allinearsi a questo concilio modernitsta che, a sentir loro, è responsabile di tutti i mali e di tutte le crisi da cinquant’anni.
Vogliono mantenere il diritto di criticare gli orientamenti presi allora, fondamentali come la libertà per ogni uomo di scegliere la propria religione, l’apertura del dialogo alle altre religioni - che gli integralisti continuano a definire “false religioni” - l’adozione di una liturgia più contemporanea, la simpatia per un mondo moderno considerato da loro come “satanico”.
affrontare i temi che bloccano, a suo tempo ritirati dal Vaticano II
Vi è una serie di punti giudicati “non negoziabili” da Benedetto XVI, erede di quel concilio a cui ha partecipato come teologo, progressista all’epoca, e sui quali non cederà. Rimane il fatto che i cattolici detti “conciliari” sono scoraggiati dagli inviti fatti agli integralisti, dai ripiegamenti timorosi che constatano nella dottrina, nel dogma, nella liturgia, nella disciplina, dal centralismo romano che riprende più che mai e dalla mancanza di discussione interna, dalla lentezza del movimento di riavvicinamento ecumenico, dall’immobilismo delle posizioni sulla sessualità dopo la proibizione della contraccezione nell’enciclica Humanae Vitae del 1968, la proibizione della procreazione medicalmente assistita e del matrimonio omosessuale. Il celibato obbligatorio dei preti, lo status di inferiorità della donna e quello delle coppie di divorziati risposati, esclusi dai sacramenti, sono vissuti con sempre maggiore disagio e contestati.
Anche la richiesta di un nuovo concilio, negli ambienti progressisti, ritorna regolarmente. È nuovamente stata esplicitata nell’ottimo libro della teologa Christine Pedotti (“Faut-il faire Vatican III?”, ed. Tallandier), che riassume tutti gli argomenti a favore di una nuova concertazione, universale e decisiva, ai vertici della Chiesa.
Certi temi che bloccavano, come il celibato obbligatorio dei preti o la contraccezione, erano stati ritirati d’autorità dall’ordine del giorno del Vaticano II. Oggi è ora di affrontarli, come le altre questioni urgenti in cui si gioca la credibilità dell’istituzione: una decentralizzazione reale del potere del papa, maggiori responsabilità alle donne, un discorso più aperto e più positivo sulla sessualità e sui divorziati.
Si tratterebbe anche di affrontare tutti i nuovi problemi sollevati da cinquant’anni dal progresso scientifico e medico, dalla conoscenza biologica dell’umano, dalla parità uomo-donna, dalla globalizzazione, dalla ripartizione delle ricchezze, dagli equilibri ecologici.
Sono tutti temi che meritano di essere esaminati, non attraverso testi solitari del papa, redatti da consiglieri nel segreto del Vaticano, ma attraverso una riflessione collettiva ed esigente come quella che i “Padri conciliari” hanno avuto il coraggio di condurre su altri fronti mezzo secolo fa. Già alla fine del Concilio Vaticano II nel 1965, il grande teologo francese Yves Congar, che ne era stato uno dei principali animatori, aveva esclamato: “L’opera realizzata è fantastica, ma c’è ancora tutto da fare!”
Il bue e l’asinello negati dal Papa
di Marco Politi (il Fatto, 21.11.2012)
Sotto l’albero di Natale papa Ratzinger mette il suo libro su L’infanzia di Gesù. Il racconto della nascita di Cristo nella mangiatoia, ma senza il bue e l’asinello. Perché “nel Vangelo non si parla qui di animali”. Ma niente paura. Come in una favola allegorica tutto viene recuperato dal pontefice e così i due animali, così cari ai bimbi di tutto il mondo, vengono riletti come simbolo dell’umanità intera - ebrei e pagani - china sul Salvatore nato nella povertà.
È stato un anno drammatico il 2012 per il pontificato: è esploso lo scandalo della corruzione negli appalti vaticani, è stato decapitato il vertice dello Ior, il Vaticano non è entrato per mancanza di trasparenza finanziaria nella “lista bianca” Moneyval del Consiglio d’Europa. C’è stato il tradimento del maggiordomo ed è emerso il malumore di vasti settori della Curia nei confronti del Segretario di Stato Bertone... e in tutto questo uragano fino al 15 agosto Benedetto XVI ha avuto un pensiero prevalente: finire di scrivere l’ultimo volume della sua trilogia su Gesù di Nazareth.
IL LIBRO (edito da Rizzoli e la Libreria editrice vaticana) conquisterà lettori come i precedenti per il suo stile affettuosamente colloquiale e il suo ripercorrere le storie che per duemila anni hanno nutrito fede, cultura e arte del cristianesimo. Ma soprattutto perché Ratzinger chiama direttamente la massa dei credenti a interrogarsi sulle storie del Vangelo: “È vero ciò che è stato detto? Riguarda me? E se mi riguarda, in che modo? ”. Dopo il 2010, mentre la Chiesa faticava a fare i conti con lo scandalo degli abusi sessuali, qualche cardinale straniero sospirava: “Speriamo che il Papa non scriva un altro libro su Gesù”.
Invece Benedetto XVI si è gettato a capofitto nell’opera, che nel suo intimo sente come missione fondamentale del pontificato. E qui sta forse un aspetto tragico del suo regno. Ratzinger sa - e ha ragione - che le ultime generazioni (vale per i giovani ma ormai anche per una vasta fascia mediana di età) hanno smarrito la conoscenza di base dei vangeli e della storia di Gesù Cristo. E sente come suo dovere, appassionatamente, di riportare i credenti all’incontro con Cristo, definito il “volto di Dio” che ciascuno può conoscere.
Ma in questa impresa, chinandosi sui suoi libri e le ricerche, è diventato un pontefice part-time, che segue un piano editoriale e un obiettivo teologico ma non possiede un programma di governo. Lo ha detto, d’altronde, lui stesso nella messa di insediamento il 24 aprile 2005: “Non ho bisogno di presentare un programma di governo”.
NON LO HA elaborato nemmeno in seguito. Ma un’organizzazione di un miliardo e cento milioni di uomini e donne non è una piccola comunità come quella degli apostoli nell’anno trentatré dopo Cristo. Ha bisogno della mano di un reggente. Sulla scena mondiale è calato il ruolo e il peso della Santa Sede.
Israele minaccia la “guerra di Gaza” per distogliere l’attenzione dall’occupazione di terre palestinesi attraverso le colonie del tutto illegali e impedire il riconoscimento della Palestina come stato-osservatore dell’Onu? Silenzio della Santa Sede. La primavera araba, l’evento internazionale più rilevante dopo il crollo del muro di Berlino? Non c’è stato in due anni un discorso papale di vasto respiro sul fenomeno. È stagnazione sui grandi problemi interni della Chiesa. Si sta accartocciando, per mancanza di preti, la rete delle parrocchie. Si sta riducendo drammaticamente la forza degli ordini religiosi femminili, spina dorsale della Chiesa cattolica: 45.000 presenze perse in sei anni. Il pontefice regnante nulla propone. A Parigi il cardinale Vingt-Troisi ha denunciato la disorganizzazione della Curia: “Ogni dicastero va per conto suo”. E Benedetto XVI finora non riesce a sostituire il Segretario di Stato. Tocca le corde dei ricordi dell’infanzia davanti al presepe e all’albero di Natale, quest’ultimo libro di Benedetto XVI, che narra dell’annunciazione, dei pastorelli, della fuga in Egitto.
CERTO RATZINGER non dice più - come nella sua Introduzione al Cristianesimo di oltre quarant’anni fa - che Giuseppe avrebbe potuto anche essere il padre biologico di Gesù. Oggi proclama che “se Dio non ha anche potere sulla materia, allora egli non è Dio” e quindi è vero il concepimento verginale.
Storicamente veri o almeno verosimili vengono anche presentati la leggendaria strage degli innocenti e l’arrivo dei re magi. Con l’apodittica affermazione dello studioso Klaus Berger: “Anche nel caso di un’unica attestazione... bisogna supporre - fino a prova contraria - che gli evangelisti non intendono ingannare i loro lettori, ma vogliono raccontare fatti storici”. Se è per questo, anche Omero non voleva ingannare i suoi ascoltatori e allora non va contestato il ratto di Elena!
L’infanzia di Gesù ratzingeriana ha molti momenti lirici. Nella rievocazione dell’aprirsi di Maria all’annuncio di Gabriele. Nel racconto intrigante dei re magi visti come “sapienti” alla ricerca del vero oltre la razionalità della scienza, in cerca di Dio e della filosofia più autentica. Pregnante è il suo appello a credere che la vita di Cristo non è mito ma “storia concreta, in un luogo e in un tempo” reali, svoltasi nelle varie fasi della vita umana.
Bue e asinello non c’erano
La rivelazione sulla nascita di Gesù nel libro del Papa
È il terzo volume che Bendetto XVI dedica alla vita del Nazareno
Da oggi sarà
in tutte le librerie
di Roberto Monteforte (l’Unità, 21.11.2012)
«DI DOVE SEI?» È LA DOMANDA CHE PILATO RIVOLGE A GESÙ. «VOI CHI DITE CHE IO SIA?» È QUELLA, INVECE, CHE GESÙ RIVOLGE AI SUOI DISCEPOLI. Parte da questi interrogativi Papa Benedetto XVI per affrontare il tema dell’infanzia di Gesù, quello che mancava per completare la sua opera sulla vita del Nazareno (i primi due, Gesù di Nazaret I e II, sono stati pubblicati rispettivamente da Rizzoli e dalla Libreria editrice vaticana). Con profondità e chiarezza, ed anche con umiltà come ha sottolineato ieri nella presentazione dell’opera alla stampa il cardinale Gianfranco Ravasi il teologo e Papa Joseph Ratzinger si è cimentato con il commento dei 180 versetti che i Vangeli, in particolare quello di Matteo e di Marco, dedicano all’infanzia e agli eventi che hanno preceduto la nascita di Gesù di Nazaret. L’obiettivo è quello di sottolineare la concreta storicità dell’evento. Il «nuovo inizio» per la storia del mondo e per la liberazione dell’umanità dal peccato.
Così scopriamo, per esempio, che il bue e l’asino non erano nella stalla con Gesù e che pastori in visita al figlio di Dio non cantavano. Il Papa spiega l’origine della nascita secondo le Sacre scritture ma non invita affatto a buttare a mare la tradizione. Perciò chi allestisce presepi a casa o altrove può tranquillamente inserire il bovino e l’equino nella capanna. «Nel Vangelo non si parla di animali», chiarisce Ratzinger. «Ma aggiunge la meditazione guidata dalla Fede, leggendo l’Antico Testamento e il Nuovo, ha ben presto colmato questa lacuna rinviando ad Isaia: “il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende”».
Vi era attesa per l’arrivo di un Salvatore. Eppure il Salvatore non trova un posto dove essere accolto. Nasce nella povertà ed è annunciato ai pastori. È stato Gesù a guidare la stella cometa che ha portato a lui i Magi sapienti. Loro sono l’emblema dell’inquietudine dell’uomo in ricerca e dell’attesa interiore dello spirito umano e della ragione che cerca Cristo. Non è mito, ma storia.
Tutto nasce da un atto di libertà. Lo sottolinea l’autore. Da Dio che interpella Maria e da lei che liberamente risponde e si affida al mistero della sua volontà. Il Papa cita Bernardo di Chiaravalle: «Creando la libertà, Dio, in un certo modo, so è reso dipendente dall’uomo. Il suo potere è legato al “sì” non forzato di una persona umana». Perché è solo con l’assenso di Maria che può cominciare la storia della salvezza. L’autore si sofferma sulle reazioni di Maria e di Giuseppe che la prende in sposa. Dei suoi dubbi, della sua intenzione di ripudiarla in segreto e poi della sua scelta di amore e di saggezza. Accetta il mistero. Farà da padre a Gesù e formalmente lo legherà alla tribù di Davide. Ma solo Dio sarà il suo vero padre e Maria, la vergine di Nazaret, sua madre. Vergine e madre. L’altro mistero. Benedetto XVI lo spiega con la potenza di Dio che ha dominio anche sulla materia. Che si mostra nella nascita di Gesù e poi nella sua Resurrezione.
Nel libro si dà conto dei passaggi che anche pubblicamente danno il segno della dimensione umana e della natura divina del figlio di Maria come quando dodicenne lascia la famiglia e con sorprendete sapienza va a predicare nella sinagoga. Un atto di apparente contestazione, di ribellione ai doveri verso i genitori.
Benedetto XVI corregge le letture di un Gesù «liberale» o «rivoluzionario» per sottolinearne la nuova relazione dell’uomo con Dio. Nel racconto di Gesù nella sinagoga a 12 anni, dunque, si ha una «novità radicale e una fedeltà altrettanto radicale».
Gesù compie il suo dovere di figlio di Dio che alla fine lo porterà a morire di croce e Maria a vivere lo strazio del dolore per la morte del figlio per poi vincere la morte. «È un libro su un bambino e su una donna e sul grande significato della libertà» ha osservato il presidente Rcs libri, Paolo Mieli intervenuto alla presentazione del volume con il cardinale Ravasi, la teologa brasiliana Clara Lucchetti Bungemer, il direttore della sala stampa vaticana padre Federico Lombardi. L’infanzia di Gesù, pubblicato da Rizzoli e dalla Libreria Editrice Vaticana (176 pagine, 17 euro) sarà da oggi in libreria. È stato già tradotto in 9 lingue e diffuso in 50 paesi (tiratura di oltre un milione di copie) e presto sarà tradotto in 20 lingue per essere pubblicato in 72 Paesi.
No degli artigiani al presepe senza bue e asinello
Guai finanche a pensarlo nei vicoli di Napoli. Nessun posto nel presepe per il bue e l’asinello? La prima reazione dei maestri d’arte presepiale è questa: il sorriso. Poi, subito dopo, c’é anche questo: "Nel presepe napoletano il bue e l’asinello sempre ci sono e sempre ci sarannò". Rispetto massimo, chiariscono gli artigiani, per quanto si legge nel libro di papa Joseph Ratzinger ’L’infanzia di Gesu" secondo il quale nel Vangelo "non si parla di animali". Ma da qui a mettere in discussione un pezzo fondamentale del presepe, ce ne vuole. O meglio: non se ne parla proprio.