INTERVISTA
Il «pm» vaticano: «Chiesa rigorosa sulla pedofilia»
Monsignor Charles J. Scicluna è il «promotore di giustizia» della Congregazione per la Dottrina della fede.
di Gianni Cardinale (Avvenire, 13 Marzo 2010)
In pratica si tratta del pubblico ministero del tribunale dell’ex sant’Uffizio, che ha il compito di indagare sui cosiddetti delicta graviora i delitti che la Chiesa cattolica considera i più gravi in assoluto: e cioè quelli contro l’Eucaristia, quelli contro la santità del sacramento della penitenza e il delitto contro il sesto comandamento («non commettere atti impuri») di un chierico con un minore di diciotto anni. Delitti che un motu proprio del 2001, Sacramentorum sanctitatis tutela, ha riservato, come competenza, alla Congregazione per la dottrina della fede.
Di fatto è il «promotore di giustizia» ad avere a che fare, tra l’altro, con la terribile questione dei sacerdoti accusati di pedofilia periodicamente alla ribalta sui mass media. E monsignor Scicluna, un maltese affabile e gentile nei modi, ha la fama di adempiere il compito affidatogli con il massimo scrupolo, senza guardare in faccia a nessuno.
Monsignore, lei ha la fama di essere un "duro", eppure la Chiesa cattolica viene sistematicamente accusata di essere accomodante nei confronti dei cosiddetti "preti pedofili".
Può essere che in passato, forse anche per un malinteso senso di difesa del buon nome dell’istituzione, alcuni vescovi, nella prassi, siano stati troppo indulgenti verso questi tristissimi fenomeni. Nella prassi dico, perché sul piano dei principi la condanna per questa tipologia di delitti è stata sempre ferma e inequivocabile. Per rimanere al secolo scorso basta ricordare l’ormai celebre istruzione Crimen Sollicitationis del 1922...
Ma non era del 1962?
No, la prima edizione risale al pontificato di Pio XI. Poi con il beato Giovanni XXIII il Sant’Uffizio ne curò una nuova edizione per i Padri conciliari, ma ne vennero fatte solo duemila copie e non bastarono per la distribuzione che fu rinviata sine die. Si trattava comunque di norme procedurali da seguire nei casi di sollecitazione in confessione e di altri delitti più gravi a sfondo sessuale come l’abuso sessuale di minori ...
Norme che raccomandavano però il segreto...
Una cattiva traduzione in inglese di questo testo ha fatto pensare che la Santa Sede imponesse il segreto per occultare i fatti. Ma non era così. Il segreto istruttorio serviva per proteggere la buona fama di tutte le persone coinvolte, prima di tutto le stesse vittime, e poi i chierici accusati, che hanno diritto - come chiunque - alla presunzione di innocenza fino a prova contraria. Alla Chiesa non piace la giustizia spettacolo. La normativa sugli abusi sessuali non è stata mai intesa come divieto di denuncia alle autorità civili.
Quel documento però viene periodicamente rievocato per accusare l’attuale Pontefice di essere stato - in qualità di prefetto dell’ex Sant’Uffizio - il responsabile oggettivo di una politica di occultamento dei fatti da parte della Santa Sede...
Si tratta di un’accusa falsa e calunniosa. A questo proposito mi permetto di segnalare alcuni fatti. Tra il 1975 e il 1985 mi risulta che nessuna segnalazione di casi di pedofilia da parte di chierici sia arrivata all’attenzione della nostra Congregazione. Comunque dopo la promulgazione del Codice di diritto canonico del 1983 c’è stato un periodo di incertezza sull’elenco dei delicta graviora riservati alla competenza di questo dicastero. Solo col motu proprio del 2001 il delitto di pedofilia è ritornato alla nostra competenza esclusiva. E da quel momento il cardinale Ratzinger ha mostrato saggezza e fermezza nel gestire questi casi. Di più. Ha mostrato anche grande coraggio nell’affrontare alcuni casi molto difficili e spinosi, sine acceptione personarum (cioé senza riguardi per nessuno ndr). Quindi accusare l’attuale Pontefice di occultamento è, ripeto, falso e calunnioso.
Nel caso che un sacerdote sia accusato di un delictum gravius, cosa succede?
Se l’accusa è verosimile il vescovo ha l’obbligo di investigare sia l’attendibilità della denuncia che l’oggetto stesso della medesima. E se l’esito di questa indagine previa è attendibile non ha più potere di disporre della materia e deve riferire il caso alla nostra Congregazione, dove viene trattato dall’ufficio disciplinare.
Da chi è composto questo ufficio?
Oltre al sottoscritto, che essendo uno dei superiori del dicastero, si occupa anche di altre questioni, c’è un capo ufficio, padre Pedro Miguel Funes Diaz, sette ecclesiastici ed un penalista laico che seguono queste pratiche. Altri officiali della Congregazione prestano il loro prezioso contributo secondo le esigenze di lingua e di competenza.
Questo ufficio è stato accusato di lavorare poco e con lentezza...
Si tratta di rilievi ingiusti. Nel 2003 e 2004 c’è stata una valanga di casi che ha investito le nostre scrivanie. Molti dei quali venivano dagli Stati Uniti e riguardavano il passato. Negli ultimi anni, grazie a Dio, il fenomeno si è di gran lunga ridotto. E quindi adesso cerchiamo di trattare i casi nuovi in tempo reale.
Quanti ne avete trattato finora?
Complessivamente in questi ultimi nove anni (2001-2010) abbiamo valutato le accuse riguardanti circa tremila casi di sacerdoti diocesani e religiosi che si riferiscono a delitti commessi negli ultimi cinquanta anni.
Quindi di tremila casi di preti pedofili?
Non è corretto dire così. Possiamo dire che grosso modo nel 60% di questi casi si tratta più che altro di atti di efebofilia, cioè dovuti ad attrazione sessuale per adolescenti dello stesso sesso, in un altro 30% di rapporti eterosessuali e nel 10% di atti di vera e propria pedofilia, cioè determinati da una attrazione sessuale per bambini impuberi. I casi di preti accusati di pedofilia vera e propria sono quindi circa trecento in nove anni. Si tratta sempre di troppi casi - per carità! - ma bisogna riconoscere che il fenomeno non è così esteso come si vorrebbe far credere.
Tremila quindi gli accusati. Quanti i processati e condannati?
Intanto si può dire che un processo vero e proprio, penale o amministrativo, si è svolto nel 20% dei casi e normalmente è stato celebrato nelle diocesi di provenienza - sempre sotto la nostra supervisione - e solo rarissimamente qui a Roma. Facciamo così anche per una maggiore speditezza dell’iter. Nel 60% dei casi poi, soprattutto a motivo dell’età avanzata degli accusati, non c’è stato processo, ma, nei loro confronti, sono stati emanati dei provvedimenti amministrativi e disciplinari, come l’obbligo a non celebrare Messa coi fedeli, a non confessare, a condurre una vita ritirata e di preghiera. È bene ribadire che in questi casi, tra i quali ce ne sono alcuni particolarmente eclatanti di cui si sono occupati i media, non si tratta di assoluzioni. Certo non c’è stata una condanna formale, ma se si è obbligati al silenzio e alla preghiera qualche motivo ci sarà...
All’appello manca ancora il 20% dei casi...
Diciamo che in un 10% di casi, quelli particolarmente gravi e con prove schiaccianti, il Santo Padre si è assunto la dolorosa responsabilità di autorizzare un decreto di dimissione dallo stato clericale. Un provvedimento gravissimo, preso per via amministrativa, ma inevitabile. Nell’altro 10% dei casi poi, sono stati gli stessi chierici accusati a chiedere la dispensa dagli obblighi derivati dal sacerdozio. Che è stata prontamente accettata. Coinvolti in questi ultimi casi ci sono stati sacerdoti trovati in possesso di materiale pedopornografico e che per questo sono stati condannati dall’autorità civile.
Da dove vengono questi tremila casi?
Soprattutto dagli Stati Uniti che per gli anni 2003-2004 rappresentavano circa l’80% del totale di casi. Per il 2009 la percentuale statunitense è scesa a circa il 25% dei 223 nuovi casi segnalati da tutto il mondo. Negli ultimi anni (2007-2009), infatti, la media annuale dei casi segnalati alla Congregazione dal mondo è stata proprio di 250 casi. Molti paesi segnalano solo uno o due casi. Cresce quindi la diversità ed il numero dei paesi di provenienza dei casi ma il fenomeno è assai ridotto. Bisogna ricordare infatti che il numero complessivo di sacerdoti diocesani e religiosi nel mondo è di 400mila. Questo dato statistico non corrisponde alla percezione che si crea quando questi casi così tristi occupano le prime pagine dei giornali.
E dall’Italia?
Finora il fenomeno non sembra abbia dimensioni drammatiche, anche se ciò che mi preoccupa è una certa cultura del silenzio che vedo ancora troppo diffusa nella Penisola. La Conferenza episcopale italiana (Cei) offre un ottimo servizio di consulenza tecnico-giuridica per i vescovi che devono trattare questi casi. Noto con grande soddisfazione un impegno sempre maggiore da parte dei vescovi italiani di fare chiarezza sui casi segnalati loro.
Lei diceva che i processi veri e propri riguardano circa il 20% dei circa tremila casi che avete esaminato negli ultimi nove anni. Sono finiti tutti con la condanna degli accusati?
Molti dei processi ormai celebrati sono finiti con una condanna dell’accusato. Ma non sono mancati quelli dove il sacerdote è stato dichiarato innocente o dove le accuse non sono state ritenute sufficientemente provate. In tutti i casi comunque si fa non solo lo studio sulla colpevolezza o meno del chierico accusato, ma anche il discernimento sull’idoneità dello stesso al ministero pubblico.
Un’accusa ricorrente fatta alle gerarchie ecclesiastiche è quella di non denunciare anche alle autorità civili i reati di pedofilia di cui vengono a conoscenza.
In alcuni Paesi di cultura giuridica anglosassone, ma anche in Francia, i vescovi, se vengono a conoscenza di reati commessi dai propri sacerdoti al di fuori del sigillo sacramentale della confessione, sono obbligati a denunciarli all’autorità giudiziaria. Si tratta di un dovere gravoso perché questi vescovi sono costretti a compiere un gesto paragonabile a quello compiuto da un genitore che denuncia un proprio figlio. Ciononostante, la nostra indicazione in questi casi è di rispettare la legge.
E nei casi in cui i vescovi non hanno questo obbligo per legge?
In questi casi noi non imponiamo ai vescovi di denunciare i propri sacerdoti, ma li incoraggiamo a rivolgersi alle vittime per invitarle a denunciare quei sacerdoti di cui sono state vittime. Inoltre li invitiamo a dare tutta l’assistenza spirituale, ma non solo spirituale, a queste vittime. In un recente caso riguardante un sacerdote condannato da un tribunale civile italiano, è stata proprio questa Congregazione a suggerire ai denunciatori, che si erano rivolti a noi per un processo canonico, di adire anche alle autorità civili nell’interesse delle vittime e per evitare altri reati.
Un’ultima domanda: è prevista la prescrizione per i delicta graviora?
Lei tocca un punto - a mio avviso - dolente. In passato, cioè prima del 1898, quello della prescrizione dell’azione penale era un istituto estraneo al diritto canonico. E per i delitti più gravi solo con il motu proprio del 2001 è stata introdotta una prescrizione di dieci anni. In base a queste norme nei casi di abuso sessuale il decennio incomincia a decorrere dal giorno in cui il minore compie i diciotto anni.
È sufficiente?
La prassi indica che il termine di dieci anni non è adeguato a questo tipo di casi e sarebbe auspicabile un ritorno al sistema precedente dell’imprescrittibilità dei delicta graviora. Il 7 novembre 2002, comunque, il Servo di Dio Venerabile Giovanni Paolo II ha concesso a questo dicastero la facoltà di derogare dalla prescrizione caso per caso su motivata domanda dei singoli vescovi. E la deroga viene normalmente concessa.
Gianni Cardinale
*IL DOCUMENTO
Nel 2001 il motu proprio di Wojtyla
Il motu proprio «Sacramentorum sanctitatis tutela» è stato firmato da Giovanni Paolo II il 30 aprile 2001 e pubblicato nel fascicolo degli Acta Apostolicae Sedis, del 5 novembre successivo. Il documento pontificio dà delle indicazioni «per definire più dettagliatamente sia i delitti più gravi (delicta graviora) commessi contro la morale e nella celebrazione dei sacramenti, per i quali la competenza rimane esclusiva della Congregazione per la dottrina della fede, sia anche le Norme processuali speciali per dichiarare o infliggere le sanzioni canoniche». In pratica si tratta di un motu proprio di promulgazione delle «Norme circa i delitti più gravi riservati alla Congregazione per la dottrina della fede, distinte in due parti: la prima contiene le Norme sostanziali, e la seconda le Norme processuali».
Norme che sono state annunciate e sintetizzate con una Lettera (Epistula) a tutti i vescovi della Chiesa cattolica «sui delitti più gravi» (de delictis gravioribus) della Congregazione per la dottrina della fede del 18 maggio 2001, firmata dall’allora prefetto cardinale Joseph Ratzinger e dall’allora arcivescovo segretario Tarcisio Bertone.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
SULLA PEDOFILIA, L’ALLARME DELLA RIVISTA "CONCILIUM" (3/2004) E IL COLPEVOLE SILENZIO DEL VATICANO.
AL DI LA’ DELLA LEZIONE DI PAOLO DI TARSO: "Diventate miei imitatori [gr.: mimetaí mou gínesthe], come io lo sono di Cristo. Vi lodo perché in ogni cosa vi ricordate di me e conservate le tradizioni così come ve le ho trasmesse. Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio" (1 Cor. 11, 1-3).
FLS
Sistema penale.
Giro di vite sui reati della Chiesa. La giustizia "abbraccia" la carità
Cambia il sistema penale ecclesiale: in vigore la riforma frutto di dieci anni di lavoro. Il canonista Pighin: più tempestività e più illeciti. Inasprite alcune pene. «Ordinamento più severo al mondo»
di Gianni Cardinale (Avvenire, giovedì 9 dicembre 2021)
Ieri è entrato in vigore il nuovo sistema penale per tutta la comunità cattolica del mondo, promulgato da papa Francesco il 1° giugno scorso con la costituzione apostolica Pascite gregem Dei. Si tratta di una riforma radicale rispetto alla normativa del genere varata nel 1983, riforma che vuole ripulire e prevenire con estrema decisione gli “schizzi di fango” che spesso hanno coperto il corpo ecclesiale negli ultimi tempi.
La stesura del nuovo assetto penale ha richiesto un’operazione molto complessa durata più di dieci anni, affidata al Pontificio Consiglio per i testi legislativi che si è servito di alcuni esperti in materia. Uno di essi è il pordenonese monsignor Bruno Fabio Pighin, professore ordinario di diritto penale nella Facoltà di diritto canonico di Venezia. Pighin non si è limitato a dare il suo apporto alla nuova legislazione che riguarda un miliardo e mezzo di cattolici, ma ha scritto pure il primo volume di commento “scientifico” alla stessa, appena venuto alla luce per i tipi di Marcianum Press di Venezia. È una pubblicazione di 664 pagine, che servirà da manuale per gli studi universitari in materia e per quanti sono interessati alla materia, soprattutto gli operatori dei tribunali ecclesiastici impegnati nei processi penali che si annunciano numerosi, visto il grande aumento dei delitti configurati nel nuovo codice canonico.
L’opera sarà presentata a Venezia il 15 dicembre dalla citata Facoltà veneziana, che ha sede nel palazzo del Longhena accanto alla Basilica della Salute.
Monsignor Pighin, perché questa “rivoluzione” dell’intero sistema penale della Chiesa cattolica?
Negli ultimi decenni si sono evidenziati spesso nella comunità ecclesiale crimini scandalosi, con ampia risonanza anche nei social. Di fronte a tale “marcio”, purtroppo i vescovi e i tribunali ecclesiastici non hanno dato una risposta pronta ed efficace. A fare difetto sono state molteplici cause. Si è diffusa, da un lato, la convinzione infondata che ritiene il ricorso a sanzioni penali incompatibile con la carità cristiana. Molti hanno proclamato ingenuamente: basta scomuniche! Basta condanne da parte della Chiesa! Questo errore ha provocato un disorientamento generale. Da un altro lato, il vecchio sistema penale si è rivelato del tutto inadeguato ad arginare tempestivamente le condotte maligne e a sanare le infezioni delittuose. Impreparazione e negligenza sono state complici di effetti negativi e persino fallimentari in materia. Da qui la necessità di varare un nuovo e valido sistema penale della Chiesa.
Quali sono gli obiettivi di questo nuovo sistema penale?
Il nuovo assetto penale canonico mira, anzitutto, a ricomporre con tempestività la giustizia infranta dai colpevoli, imponendo pene proporzionate alla gravità dei delitti commessi. Ma aggiunge pure la necessità per i delinquenti di risarcire i danni morali e materiali eventualmente provocati. Inoltre, si propone l’emendamento del reo, cosa augurabile ma non sempre raggiungibile. Infine, intende riparare gli scandali nell’opinione pubblica, operazione di esito più incerto e più remoto, ma indispensabile. In sostanza, le nuove norme penali sono rese applicabili più agevolmente; e l’autorità incaricata di applicarle, se non lo facesse, dovrà pagarne le conseguenze per omissione di atti dovuti.
A chi è rivolta questa riforma e per quali delitti?
La nuova normativa penale riguarda tutti i fedeli che hanno commesso delitti previsti dalle leggi canoniche. Quindi è rivolta non solo al clero, non solo ai membri di istituti religiosi, ma anche ai fedeli laici. Ora le figure di reato sono molto aumentate di numero e di specie: vanno dai delitti contro la fede e l’unità della Chiesa a quelli contro le autorità della stessa, agli abusi nell’esercizio degli incarichi. Questi ultimi comprendono anche prevaricazioni in campo pastorale ed illeciti in ambito economico, prima quasi totalmente assenti, a tutela dei beni patrimoniali della comunità. Seguono i delitti contro i sacramenti: ad esempio, la violazione del segreto legato alla Confessione, la profanazione delle specie eucaristiche, l’attentata ordinazione sacra di una donna, eccetera. Sono sanzionati poi i delitti di falso e di sfregio della buona fama. Sono inasprite le pene per le trasgressioni degli obblighi speciali del clero. Una grossa novità è rappresentata dai crimini contro la vita, la persona e la libertà umana. I minori e gli equiparati ad essi ora sono ampiamente protetti da abusi sia sessuali sia d’autorità. In questo campo non c’è ordinamento penale al mondo più severo di quello della Chiesa cattolica.
Ma la Chiesa è priva di un apparato di tipo poliziesco e carcerario. Quale potere coercitivo ha?
La Chiesa si configura come popolo di Dio, di natura diversa rispetto a quella delle varie nazioni sulla terra. Essa, a partire dai tempi apostolici, ha sviluppato una disciplina penale singolare, intonata alla sua struttura originale e alle sue finalità spirituali, fino a giungere ora a “sistema penale” del tutto peculiare. Questo non ricorre a punizioni afflittive di tipo corporale. Ciononostante, utilizza pene vere e proprie, in quanto esse privano di beni o vietano l’esercizio di alcuni diritti. Ad esempio, privare un cattolico della possibilità di accedere ai sacramenti può essere una sanzione avvertita più pesantemente di un’altra di tipo materiale. La gamma delle sanzioni contemplate dal nuovo sistema penale è molto aumentata. Comprende censure, ingiunzioni - come pagare un’ammenda -, proibizioni a godere di diritti nella Chiesa, divieti di esercitare incarichi o privazione di essi. Per i ministri sacri macchiatisi di crimini abominevoli è ora prevista in molti casi la loro dimissione, cioè l’esclusione dallo stato clericale.
Pare di capire che il nuovo sistema penale consideri i delitti canonici non sullo stesso piano, ma secondo una propria “scala” di gravità.
Sì, è prevista una categoria specifica di delitti chiamati «più gravi» comprendente 15 reati, tra i quali figurano, ad esempio, l’abuso sessuale di minori da parte di ministri sacri e la registrazione e divulgazione con malizia dei contenuti della confessione. La loro trattazione è riservata alla Sede Apostolica e pertanto la competenza su di essi è sottratta ai tribunali inferiori. Anche altri reati, pur non essendo classificati «più gravi», sono riservati alla Santa Sede, come l’ordinazione di un vescovo senza il mandato pontificio ed anche l’apostasia, l’eresia e lo scisma. Per ambedue le tipologie citate la prescrizione per l’azione criminale è fissata a venti anni. Molti altri reati si prescrivono in sette anni. Un numero ridotto di essi prevede la prescrizione in un arco temporale di tre anni. Infine, per i delitti più gravi la pena è applicata ipso facto, cioè, immediatamente al compimento del reato, anche se poi può essere dichiarata con effetti resi più pesanti.
Papa Francesco è noto per essersi fatto paladino della misericordia. Però questa riforma, secondo alcuni, parrebbe smentire questo suo indirizzo.
Credo che vada intesa correttamente la linea seguita dal Papa: la misericordia è una virtù essenziale che deve essere sempre testimoniata dalla Chiesa per volontà di Cristo stesso, ma non va mai disgiunta dalla giustizia. Questa seconda è un’esigenza irrinunciabile della comunità cristiana, ma pure delle eventuali vittime di delitti talvolta efferati, persino degli stessi colpevoli che hanno bisogno della misericordia e della giusta correzione, con il ricorso a sanzioni penali, se altre misure più blande risultano inefficaci, tenendo conto che la salvezza delle anime è la legge suprema della Chiesa.
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Chiesa e covid /1. De Rita: la Chiesa ha smarrito il gregge durante la pandemia
Parla il sociologo, presidente di «Essere qui», l’associazione che ha pubblicato una ricerca sul rapporto tra i fedeli e vertici ecclesiastici in questo periodo
Il sociologo Giuseppe De Rita
di Riccardo Maccioni (Avvenire, sabato 14 agosto 2021)
L’immagine usata è quella del gregge smarrito. Richiamo evidente alla parabola evangelica, con la differenza che qui a essersi persa non è un’unica pecora che il buon pastore ora cerca lasciando sul monte le altre novantanove. Si tratta invece di rispondere a un disagio più diffuso, al malessere di quella parte di mondo cattolico per niente soddisfatto dalla posizione assunta nell’anno della pandemia dalla Chiesa italiana, di cui sottolinea l’irrilevanza, l’eccessiva sottomissione, l’autoreferenzialità.
Una "denuncia" fotografata e interpretata dall’associazione "Essere qui", nata da un gruppo di amici guidati dal sociologo Giuseppe De Rita con Liliana Cavani vicepresidente e, tra i soci, Gennaro Acquaviva, Ferruccio De Bortoli, Mario Marazziti, Romano Prodi e Andrea Riccardi.
Il risultato è una ricerca confluita nel volume appena pubblicato da Rubettino: "Il gregge smarrito". Chiesa e società nell’anno della pandemia (164 pagine, 15 euro, ebook 8,99). Non un semplice atto d’accusa, spiegano gli autori, semmai uno stress test o, per dirla in termini più consueti, un esame di coscienza, un "discernimento" sia interno alla Chiesa istituzione sia dal punto di vista dei fedeli, necessario per poi poter ripartire con maggiore vigore e consapevolezza del tanto che i cattolici possono offrire nella costruzione del bene comune.
In proposito, secondo la ricerca, la crisi legata al Covid ha fatto emergere alcune criticità latenti nella Chiesa da tempo, come «lo scollamento con la società reale, la distanza tra fedeli e pastori, l’irrilevanza nel pensiero socio-politico».
È risultato evidente, spiega il professor De Rita, «il distacco crescente, forte, che già c’era, tra evangelizzazione e promozione umana. Una separazione che riconduce alla lezione ruiniana, a suo tempo fatta propria da tutta la comunità ecclesiale italiana, secondo cui la Chiesa c’è per evangelizzare, per praticare il Vangelo e non per trasformare la società. Una condizione che durante la pandemia si è rivelata ancora più controproducente, nel senso che il sociale nella realtà ecclesiale non esisteva e quindi non poteva reagire. Si doveva fatalmente ritornare soltanto all’evangelizzazione, per la quale però non c’era più energia pastorale».
Quindi evangelizzazione e promozione umana devono procedere insieme.
Traggono forza l’una dall’altra. Se ne privilegi solo una uno salta tutto. Con la pandemia ce ne siamo accorti. In campo sociale la Chiesa ha manifestato la sua irrilevanza, l’incapacità di discutere con il potere mentre l’evangelizzazione, con le chiese vuote e senza Sacramenti, non è riuscita ad affermarsi.
In qualche modo secondo voi si è creato un fossato tra Chiesa e società.
Durante la discussione del Comitato preparatorio sul titolo da dare al Convegno ecclesiale nazionale del 1976, il segretario generale della Cei, monsignor Enrico Bartoletti impose quello che lui chiamava "l’et et", nel senso che la Chiesa non vive di contrapposizioni, di "aut aut". Non l’una o l’altra ma insieme, "et et" appunto. Una cultura ecclesiale, quella di Bartoletti, che abbiamo dimenticato.
Tra i dati evidenziati dalla vostra ricerca uno colpisce in particolare: per il 39% degli italiani e per il 50% dei praticanti, durante la pandemia la Chiesa ha accettato troppo acriticamente le decisioni del governo.
A molti cattolici è sembrato quasi stravagante che la Chiesa accettasse ogni cosa, non discutesse su nulla, che il Papa chiedesse di obbedire all’ordine delle autorità. Che può anche essere giusto nel rapporto con lo Stato ma non dal punto di vista della dimensione partecipante della Chiesa, che anziché esplodere in campo pubblico si è rannicchiata nel privato. C’è tanta gente che in pieno lockdown ha continuato ad andare a Messa magari in chiese periferiche, da amici preti, e molti fedeli erano arrabbiati perché non si celebravano funerali. Ma questa rabbia, questo disagio, li abbiamo tenuti dentro perché in fondo pensavamo che anche se ci fossimo esposti pubblicamente nessuno ci avrebbe dato retta.
E questo vale per la Chiesa a tutti i livelli?
Anche noi laici non siamo stati capaci di uno scatto d’orgoglio, per dire ad esempio che non si può rinunciare all’Eucaristia. Siamo stati irrilevanti non in termini di potere ma di cultura del sociale, del significato sociale di essere cattolici, di essere Chiesa..
Da questa situazione come si esce, quali soluzioni possono essere praticate?
Il nostro gruppo non avanza proposte, non vuole fare politica ecclesiale, non intende mettersi dentro discussioni e assumersi responsabilità che sono della gerarchia. Noi facciamo delle riflessioni a latere, diciamo quello che vediamo, ci limitiamo a fornire un input, perché dare un output sulla base di poche conoscenze e verifiche sarebbe un’avventura idiota.
Un’indicazione però la date, quella di "cercare la Chiesa fuori dalla Chiesa".
Oggi è il problema più importante. Le faccio l’esempio di due amici morti in casa e che non potendosi celebrare i funerali sono stati messi su un furgone per essere portati al luogo dove sarebbero stati cremati. Il parroco però ha voluto che passassero davanti alla parrocchia ed è uscito per un segno di benedizione. Ma quanti hanno fatto come lui? Credo pochissimi. La pandemia ha dimostrato che gli uomini di Chiesa non hanno saputo fare un passo oltre la soglia.
Vogliamo spiegare cos’è l’associazione Essere qui che ha realizzato la ricerca?
Nasce da un mio testo furibondo scritto durante la pandemia, quando ci è stato comunicato l’interdetto ad andare in chiesa, Una dozzina di pagine che mandai ad alcuni amici suscitando reazioni diverse. Qualcuno ha detto "lasciamo perdere", "stiamo buoni", altri invece hanno pensato che fosse bene andare avanti, realizzare un documento più lungo ed articolato. Ne è venuto fuori un secondo testo, meno fiammeggiante, dopodiché si è pensato di fare un passo ulteriore. E abbiamo realizzato una ricerca basata su mille interviste tra i fedeli italiani, poi accompagnata da un testo di commento. Anche la formazione del gruppo è avvenuta progressivamente, alcuni di quelli che all’inizio erano più arrabbiati li abbiamo persi, mentre è arrivato chi era interessato a un’attività quasi scientifica di analisi e di ricerca demoscopica. Devo dire che ripensandoci mi sorprendo di come tutto sia stato all’insegna della spontaneità totale. È la prima volta che nella Chiesa italiana si forma un gruppo organizzato senza assistenza ecclesiastica, senza timbri, senza decreto del parroco o del vescovo.
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Chiesa e covid /2.
Castellucci: prioritario non perdere il buono nato con l’emergenza (Riccardo Maccioni, Avvenire, sabato 14 agosto 2021
Chiesa e covid /3.
Pagnoncelli: ora i credenti possono fare la differenza nella società (Enrico Lenzi, Avvenire, sabato 14 agosto 2021).
#DANTE2021
STORIA DELL’ARTE E TEOLOGIA:
LA PRIMA “CENA” DI “CAINO” (DOPO AVER UCCISO IL PASTORE “ABELE”) E L’INIZIO DELLA “BUONA-CARESTIA”(“EU-CARESTIA”)!
NELL’OSSERVARE “L’Ultima Cena raffigurata sulla parete di fondo del refettorio dell’ex convento dei francescani di Veglie” (sec. XVI/XVII ca.) E NEL RIFLETTERE SUL FATTO CHE “è tra le più canoniche rappresentazioni del momento in cui Cristo istituì la santissima Eucarestia” (Riccardo Viganò, "Fondazione Terra d’Otranto"), c’è da interrogarsi bene e a fondo su chi (teologi ed artisti) abbia potuto concepire e dare forma con straodinaria chiarezza e potenza a questa “cena”(vedere la figura: “Portata centrale, saliere e frutti”) e, insieme, riflettere ancora e meglio sui tempi lunghi e sui tempi brevi della storia di questa interpretazione tragica del messaggio evangelico - a tutti i livelli, dal punto di vista filosofico, teologico, filologico, artistico, sociologico. O no?
NOTARE BENE E RICORDARE. Siamo a 700 anni dalla morte dell’autore della “COMMEDIA”, della “DIVINA COMMEDIA”, e della sua “MONARCHIA”!
SAPERE AUDE! (I. KANT). Sul tema, per svegliarsi dal famoso “sonno dogmatico”, mi sia lecito, si cfr. l’intervento di Armando Polito, “Ubi maior minor cessat”(Fondazione Terra d’Otranto, 24.02.2021) e, ancora, una mia ipotesi di ri-lettura della vita e dell’opera di Dante Alighieri.
Sul tema, in rete e nel sito, si cfr.:
Con Wojtyla (2000), oltre. Guarire la nostra Terra. Verità e riconciliazione
FLS
Primato e infallibilità
A 150 anni dalla proclamazione dei dogmi
di Sergio Centofanti (L’Osservatore Romano, 17 luglio 2020)
Centocinquant’anni fa, il 18 luglio 1870, veniva promulgata la costituzione Pastor Aeternus che definiva i due dogmi del primato del Papa e dell’infallibilità pontificia.
Lunghe e agitate discussioni
La costituzione dogmatica venne approvata all’unanimità dai 535 padri conciliari presenti «dopo lunghe, fiere e agitate discussioni», come ebbe a dire Paolo VI durante un’udienza generale, descrivendo quella giornata come «una pagina drammatica della vita della Chiesa, ma non per questo meno chiara e definitiva» (Udienza generale 10 dicembre 1969). Ottantatré i padri conciliari che non parteciparono al voto. L’approvazione del testo arrivò nell’ultimo giorno del concilio Vaticano i, sospeso in seguito alla guerra franco-prussiana iniziata il 19 luglio 1870 e prorogato “sine die” in seguito alla presa di Roma da parte delle truppe italiane, il 20 settembre di quello stesso anno, che sancì di fatto la fine dello Stato pontificio. La costituzione rispecchia una posizione intermedia tra le varie riflessioni dei partecipanti, escludendo per esempio che la definizione di infallibilità fosse estesa integralmente anche alle encicliche o ad altri documenti dottrinali. Ai contrasti emersi nel concilio, seguì lo scisma dei vetero-cattolici che non vollero accettare il dogma sul magistero infallibile del Papa.
Il dogma sulla razionalità e soprannaturalità della fede
I due dogmi vennero proclamati dopo quello sulla razionalità e la soprannaturalità della fede, contenuto nell’altra costituzione dogmatica del concilio Vaticano i Dei Filius del 24 aprile 1870. Il testo afferma che «Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza al lume naturale della ragione umana attraverso le cose create; infatti, le cose invisibili di Lui vengono conosciute dall’intelligenza della creatura umana attraverso le cose che furono fatte (Romani, 1, 20)». Questo dogma - spiegava Paolo VI nell’udienza del 1969 - riconosce che «la ragione, con le sue sole forze, può raggiungere la conoscenza certa del Creatore attraverso le creature. La Chiesa difende così, nel secolo del razionalismo, il valore della ragione», sostenendo da una parte «la superiorità della rivelazione e della fede sulla ragione e sulle sue capacità», ma dichiarando, d’altra parte, che «nessun contrasto può esserci tra verità di fede e verità di ragione, essendo Dio la fonte dell’una e dell’altra».
Il dogma sul primato
Nella Pastor Aeternus, Pio IX, prima della proclamazione del dogma sul primato, ricorda la preghiera di Gesù al Padre perché i suoi discepoli siano «una cosa sola»: Pietro e i suoi successori sono «l’intramontabile principio e il visibile fondamento» dell’unità della Chiesa. Quindi, afferma solennemente: «Proclamiamo dunque ed affermiamo, sulla scorta delle testimonianze del Vangelo, che il primato di giurisdizione sull’intera Chiesa di Dio è stato promesso e conferito al beato Apostolo Pietro da Cristo Signore in modo immediato e diretto (...) Ciò che dunque il Principe dei pastori, e grande pastore di tutte le pecore, il Signore Gesù Cristo, ha istituito nel beato Apostolo Pietro per rendere continua la salvezza e perenne il bene della Chiesa, è necessario, per volere di chi l’ha istituita, che duri per sempre nella Chiesa la quale, fondata sulla pietra, si manterrà salda fino alla fine dei secoli (...) Ne consegue che chiunque succede a Pietro in questa Cattedra, in forza dell’istituzione dello stesso Cristo, ottiene il Primato di Pietro su tutta la Chiesa (...) tutti, pastori e fedeli, di qualsivoglia rito e dignità, sono vincolati, nei suoi confronti, dall’obbligo della subordinazione gerarchica e della vera obbedienza, non solo nelle cose che appartengono alla fede e ai costumi, ma anche in quelle relative alla disciplina e al governo della Chiesa, in tutto il mondo. In questo modo, avendo salvaguardato l’unità della comunione e della professione della stessa fede con il Romano Pontefice, la Chiesa di Cristo sarà un solo gregge sotto un solo sommo pastore. Questa è la dottrina della verità cattolica, dalla quale nessuno può allontanarsi senza perdita della fede e pericolo della salvezza».
Il Magistero infallibile del Papa
Nel primato del Papa - scrive Pio IX - «è contenuto anche il supremo potere di magistero», conferito a Pietro e ai suoi successori «per la salvezza di tutti», come «conferma la costante tradizione della Chiesa (...) Ma poiché proprio in questo tempo, nel quale si sente particolarmente il bisogno della salutare presenza del ministero Apostolico, si trovano parecchie persone che si oppongono al suo potere, riteniamo veramente necessario proclamare, in modo solenne, la prerogativa che l’unigenito Figlio di Dio si è degnato di legare al supremo ufficio pastorale. Perciò Noi, mantenendoci fedeli alla tradizione ricevuta dai primordi della fede cristiana, per la gloria di Dio nostro Salvatore, per l’esaltazione della religione Cattolica e per la salvezza dei popoli cristiani, con l’approvazione del sacro Concilio proclamiamo e definiamo dogma rivelato da Dio che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando esercita il suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, e in forza del suo supremo potere Apostolico definisce una dottrina circa la fede e i costumi, vincola tutta la Chiesa, per la divina assistenza a lui promessa nella persona del beato Pietro, gode di quell’infallibilità con cui il divino Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede e ai costumi: pertanto tali definizioni del Romano Pontefice sono immutabili per se stesse, e non per il consenso della Chiesa».
Quando ricorre l’infallibilità
Giovanni Paolo II ha spiegato il senso e i limiti dell’infallibilità nell’udienza generale del 24 marzo 1993: «L’infallibilità - ha affermato - non è data al Romano Pontefice come a persona privata, ma in quanto adempie l’ufficio di pastore e di maestro di tutti i cristiani. Egli inoltre non la esercita come avente l’autorità in se stesso e da se stesso, ma “per la sua suprema autorità apostolica” e “per l’assistenza divina a lui promessa nel Beato Pietro”. Infine, egli non la possiede come se potesse disporne o contarvi in ogni circostanza, ma solo “quando parla dalla cattedra”, e solo in un campo dottrinale limitato alle verità di fede e di morale e a quelle che vi sono strettamente connesse (...) il Papa deve agire come “pastore e dottore di tutti i cristiani”, pronunciandosi su verità riguardanti “fede e costumi”, con termini che manifestino chiaramente la sua intenzione di definire una certa verità e di richiedere la definitiva adesione ad essa di tutti i cristiani. È quanto avvenne - per esempio - nella definizione dell’Immacolata Concezione di Maria, circa la quale Pio IX affermò: “È una dottrina rivelata da Dio e dev’essere, per questa ragione, fermamente e costantemente creduta da tutti i fedeli”; o anche nella definizione della Assunzione di Maria Santissima, quando Pio XII disse: “Con l’autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Beati Apostoli Pietro e Paolo, e con la nostra autorità, dichiariamo e definiamo come dogma divinamente rivelato... ecc.”. A queste condizioni si può parlare di magistero papale straordinario, le cui definizioni sono irreformabili “di per sé, non per il consenso della Chiesa” (...) I Sommi Pontefici possono esercitare questa forma di magistero. E ciò è di fatto avvenuto. Molti Papi però non lo hanno esercitato».
Cos’è un dogma
I dogmi sono verità di fede che la Chiesa insegna come rivelate da Dio (cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, 74-95). Sono punti fermi del nostro credere. I principali sono questi: Dio è Uno e Trino; il Padre è creatore di tutte le cose; Gesù, il Figlio, è vero Dio e vero uomo, incarnato, morto e risorto per la nostra salvezza; lo Spirito Santo è Dio; la Chiesa è una, così come uno è il Battesimo. E poi ancora: il perdono dei peccati, la risurrezione dei morti, l’esistenza di Paradiso, Inferno e Purgatorio, la transustanziazione, la maternità divina di Maria, la sua verginità, la sua Immacolata concezione e la sua Assunzione. Tutte queste verità non sono astratte e fredde, ma vanno comprese nella grande verità di Dio che è amore e vuole partecipare la vita divina alle sue creature. Gesù rivela quali sono i comandamenti più grandi: l’amore di Dio e del prossimo (Matteo, 22, 36-40). Alla fine della vita saremo giudicati sull’amore.
Dogmi e sviluppo della dottrina
Un dogma, dunque, è un punto saldo per la vita di fede. Viene definito dal Magistero della Chiesa che lo riconosce nella Sacra Scrittura come rivelato da Dio e in stretto legame con la Tradizione. La Tradizione, tuttavia, non è qualcosa di immobile e statico, ma - come dice Giovanni Paolo II (Lettera apostolica Ecclesia Dei) sulla scia dell’ultimo concilio - è viva e dinamica in quanto cresce l’intelligenza della fede. Non cambiano i dogmi, ma grazie allo Spirito Santo comprendiamo sempre di più l’ampiezza e la profondità delle verità di fede. Così, Papa Wojtyła può affermare «che l’esercizio del magistero concretizza e manifesta il contributo del Romano Pontefice allo sviluppo della dottrina della Chiesa» (Udienza generale, 24 marzo 1993).
Primato, collegialità, ecumenismo
Paolo VI, nell’udienza del 1969, rivendicava l’attualità del concilio Vaticano i e la connessione con il concilio successivo: «I due Concili Vaticani, primo e secondo, sono complementari» anche se differiscono non poco «per tanti motivi». Così, l’attenzione alle prerogative del Pontefice nel Vaticano i viene estesa nel Vaticano II a tutto il popolo di Dio con i concetti di «collegialità» e «comunione», mentre la focalizzazione sull’unità della Chiesa che ha in Pietro il punto di riferimento visibile si sviluppa in un forte impegno al dialogo ecumenico.
Tanto che Giovanni Paolo II nella Ut unum sint può lanciare un appello alle Comunità cristiane affinché si trovi una forma di esercizio del primato che, «pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova», come «servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri» (Ut unum sint, 95). E Papa Francesco nella Evangelii gaudium parla di una «conversione del papato». «Il Concilio Vaticano II - osserva - ha affermato che, in modo analogo alle antiche Chiese patriarcali, le Conferenze episcopali possono “portare un molteplice e fecondo contributo, acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente” (Lumen gentium, 23). Ma questo auspicio non si è pienamente realizzato, perché ancora non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle Conferenze episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale. Un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria» (Evangelii gaudium, 32). E occorre ricordare che, secondo quanto affermato dal concilio Vaticano II, «l’infallibilità promessa alla Chiesa risiede pure nel corpo episcopale quando esercita il supremo magistero col successore di Pietro» (Lumen gentium, 25).
Amare il Papa e la Chiesa è costruire su Cristo
Al di là dei dogmi, Pio X ricordava, in una udienza del 1912, la necessità di amare il Papa e di obbedirgli e si diceva addolorato quando questo non accadeva. Don Bosco esortava i suoi collaboratori e i suoi ragazzi a custodire nel cuore i “tre amori bianchi”: l’Eucaristia, la Madonna e il Papa.
E Benedetto XVI il 27 maggio 2006, parlando a Cracovia con i ragazzi cresciuti con Giovanni Paolo II, spiega in parole semplici quanto affermano quelle verità di fede proclamate nel lontano 1870: -«Non abbiate paura a costruire la vostra vita nella Chiesa e con la Chiesa! Siate fieri dell’amore per Pietro e per la Chiesa a lui affidata. Non vi lasciate illudere da coloro che vogliono contrapporre Cristo alla Chiesa! C’è un’unica roccia sulla quale vale la pena di costruire la casa. Questa roccia è Cristo. C’è solo una pietra su cui vale la pena di poggiare tutto. Questa pietra è colui a cui Cristo ha detto: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Matteo, 16, 18). Voi giovani avete conosciuto bene il Pietro dei nostri tempi. Perciò non dimenticate che né quel Pietro che sta osservando il nostro incontro dalla finestra di Dio Padre, né questo Pietro che ora sta dinanzi a voi, né nessun Pietro successivo sarà mai contro di voi, né contro la costruzione di una casa durevole sulla roccia. Anzi, impegnerà il suo cuore ed entrambe le mani nell’aiutarvi a costruire la vita su Cristo e con Cristo».
L’anima e la cetra /13.
Divina grammatica è la cura
di Luigino Bruni (Avvenire, sabato 20 giugno 2020)
«Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome» (Salmo 23, 1-4). Siamo arrivati alla più bella metafora-preghiera della Bibbia. Tutta la Bibbia è metafora, ogni preghiera è metafora. Le metafore non sono solo strumento retorico e narrativo, sono anche mezzo di scoperta, per poter capire e dire cose che non potremmo capire e dire senza la rivelazione di quella metafora - anche questa è rivelazione: Dio ci si rivela anche suggerendo ai poeti metafore, che poi il popolo vaglia con il sesto senso della sua fede e della tradizione. Milioni di persone, attraverso i millenni, hanno pregato e cantato questo salmo, che è tra i più amati di tutta la Bibbia, che continua a essere cantato in tutti i monasteri e conventi del mondo, con l’anima e con la cetra. È stato ed è l’ultimo saluto ai nostri cari, la preghiera di chi sta per attraversare una "valle oscura" e vuole farlo con la stessa fede-speranza-amore del salmista.
Il popolo d’Israele ha imparato a conoscere Dio guardando l’umile, faticoso e difficile lavoro del pastore. Osservando questo antico protagonista delle economie nomadi ha capito meglio la grammatica dell’Alleanza, ha imparato qualcosa di più della natura di quel loro Dio diverso senza immagini e dal nome impronunciabile. Non hanno guardato i re, i faraoni, gli uomini potenti del popolo; hanno invece conosciuto Dio guardando un lavoro umano, osservando fin nei più minuti dettagli l’azione di un lavoratore, con l’odore delle pecore addosso, impolverato, analfabeta, povero di lingua. Dalle non-parole di un lavoratore nomade la Bibbia ha appreso parole per parlarci di Dio, lasciandoci immagini tra le più ricche e amate dell’intera letteratura religiosa. Che ci ricordano che noi impariamo chi è Dio guardando gli uomini e le donne, perché insieme al "cielo stellato e la legge morale" è la vita concreta degli esseri umani che ci svela la grammatica divina, che nell’antropologia si nasconde la teologia biblica. E che quindi ogni volta che ci ritroviamo vuoti di parole per pregare, possiamo guardare anche la gente che lavora, e lì rimparare a pregare. Pastori, operai, artigiani, insegnanti, imprenditori - chissà come quell’antico poeta scriverebbe il suo salmo in una società post-industriale?
Un giorno un poeta comprese che esisteva un’analogia tra il mestiere del pastore e il loro Dio. E così la metafora del pastore divenne quell’immagine di Dio mancante per suo esplicito comando. Quel popolo capì che dovevano guardare i pastori per capire la logica del loro Dio, e che quindi li avrebbe sempre guidati "per il giusto cammino", e che lo avrebbe fatto "per amore del suo nome", in virtù cioè della sua natura, perché se lo fanno i pastori deve farlo anche Dio. Il Salmo 23 è soprattutto una dichiarazione di fede, un canto d’amore a quel Dio che quel salmista sentiva come provvidenza e Padre buono, anche nella notte più buia: «Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza» (23,4). Camminare in una valle durante la notte non era un’ipotetica possibilità, era la condizione da cui si elevava la preghiera. I salmi sono anche una cura delle nostre paure più profonde, la paura della morte. Li preghiamo tutta la vita anche per avere parole diverse e più buone quando le grandi paure busseranno alla porta, la preghiera andrà ad aprire e forse non troverà nessuno (o troverà un amico, che saluterà con il bacio della pace). Grande dono poter cantare nell’anima mentre siamo toccati dalle mani sagge dell’anestesista: se dovessi camminare in una valle oscura... Poterlo fare perché lo si è fatto per tutta la vita. La preghiera è anche una sorta di assicurazione: paghiamo ogni anno un prezzo per avere il premio nel giorno dell’"incidente". Si prega tutta la vita anche per guadagnarsi l’ultimo amen.
Non sappiamo se quel salmo fu scritto a Babilonia, ma certamente l’immagine di YHWH-pastore si rafforza e si sviluppa durante l’esilio. Un popolo esiliato, umiliato e senza tempio, riuscì a vedere l’oasi verdeggiante lungo i fiumi di Babilonia, fu capace di vivere quel deserto come pascolo ristoratore, riuscì a leggere una salvezza in quella sventura, a vedere un Dio-pastore in un Dio sconfitto. La trasformazione degli accampamenti di Babilonia in prati verdi dalle fresche acque fu possibile grazie al talento di quell’antico poeta, ma l’alchimia fu possibile anche perché tra quegli esuli c’erano i profeti. È la profezia il principio attivo che trasforma deserti in oasi, prigionie in liberazioni, il bastone dell’aguzzino nel vincastro del buon pastore. Due profeti che erano in esilio in Babilonia, il Secondo Isaia ed Ezechiele, ci hanno donato le immagini profetiche più nitide del buon pastore, che giungeranno fin dentro i Vangeli, li attraverseranno e feconderanno: «Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia» (Ez 34,11-16). È dell’anonimo profeta esiliato, noto come Secondo (Deutero) Isaia, l’icona più suggestiva del "buon pastore", che tanto ha influenzato l’arte e la pietà popolare: «Porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri» (Is 40,11). Senza profeti esiliati quel popolo avrebbe smesso di cantare: «Lungo i fiumi di Babilonia, là sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre» (Salmo 137,1-2).
La cetra non fu appesa per sempre, l’anima dei poeti non smise di cantare, perché, grazie a quei grandi profeti il popolo esiliato rifece l’esperienza del Dio pastore; sentì che quella notte era un attraversamento in un cammino di salvezza, che era un altro guado notturno da cui sarebbero usciti feriti e benedetti. Nessuna notte uccide l’anima se un profeta ce ne rivela il senso (direzione). Nelle nostre notti la voce dei profeti può giungerci tramite un amico, un verso di un poeta, una parola buona di una madre - tutti i venti soffiano liberamente sulla terra e nell’anima.
La seconda parte del Salmo ci sorprende con un’altra immagine: «Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo. Il mio calice trabocca» (23,5). Generazioni di studiosi si sono chiesti quale sia il legame tra la prima parte del Salmo (1-4), costruita sull’immagine del pastore, e la seconda che descrive una scena di ospitalità nomade, tanto che alcuni hanno ipotizzato due salmi originariamente autonomi e poi fusi insieme. Una lettura unitaria è possibile. Un uomo arriva nomade e pellegrino nei pressi di un accampamento straniero, assetato e stanco, forse braccato da qualche nemico. E qui fa l’esperienza stupefacente dell’ospitalità: non viene respinto da quella gente diversa, è onorato. Gli viene apparecchiata una mensa, gli viene versato da bere, la sua testa e il suo corpo vengono cosparsi con olii, si spandono profumi che riempiono la tenda. I nemici non osano entrare, vedono che quell’uomo ha trovato protezione. Al termine della festa quell’ospite offre al fuggitivo una scorta per accompagnarlo sicuro nel resto del cammino. Scene non così rare ieri, più rare oggi.
Nel mondo antico l’ospitalità era qualcosa di così vitale da essere considerata in molte culture un atto sacro. Nella Bibbia Dio è il liberatore dalla schiavitù dell’Egitto, ma è anche l’ospite del suo popolo liberato. Come quel popolo nomade e spesso fuggiasco capì qualcosa d’importante di Dio guardando il mestiere del buon pastore, quello stesso salmista, o forse un altro, imparò qualcos’altro dello stesso YHWH facendo l’esperienza dell’accoglienza o osservandola in altri. Avrà intuito che quel loro Dio era pastore ed era ospite. Conosciamo e riconosciamo Dio quando vediamo come il pastore tratta le sue pecore, e scopriamo lo stesso Dio quando vediamo uomini accogliere e onorare altri uomini e donne. Le due metafore si incontrano, arricchiscono e completano l’un l’altra. E arricchiscono anche Dio, perché ogni volta che dall’alto dei suoi cieli osserva un pastore prendersi cura del suo gregge, un ospite onorare un altro essere umano, impara qualcosa di nuovo. Dio, onnipotente e onnisciente, sa cosa è la mitezza e cosa è l’accoglienza, ma per conoscere la mansuetudine ha bisogno della mano del pastore che passa sul dorso dell’agnello (mansueto), e per conoscere l’ospitalità ha bisogno della gioia infinita provata da un pellegrino per un calice offertogli da un ospite sotto la sua tenda. Per queste cose ha avuto bisogno che l’Adam uscisse dall’Eden e diventasse pastore e ospite. La storia è vera per noi, ed è vera per Dio.
Quell’antico salmista capì allora che l’azione del pastore e quella dell’ospite erano molti simili, che qualcosa di importante di Dio si manifestava nel mestiere del pastore e nell’ospite. YHWH è buon pastore ed è buon ospite, e allora per capire la grammatica della cura, nostra e di Dio, non basta guardare il rapporto tra un uomo e i suoi animali (né ieri né oggi), c’è bisogno anche dell’arte dell’ospitalità, guardare a come gli umani si trattano tra di loro.
Quando ci ridoneremo, oggi, nuove metafore umane per dire cose nuove e buone su Dio? E se lo stessimo già facendo? Nuovi salmisti, con linguaggi diversi, stanno forse già capendo meglio e di più Dio guardando il lavoro di medici e infermieri, nel vederli arrivare da Paesi lontani per curare i nostri malati, e ospitarli sotto nuove tende. Forse altri staranno capendo qualcosa di nuovo sugli uomini e su Dio mentre fanno l’esperienza dell’ospitalità. Non lo sappiamo, non ci interessa saperlo, non le capiamo perché scritte in lingue nuove; ma se fossimo capaci di intercettarle, ascolteremo anche oggi, tutti i giorni e su tutta la terra, le stesse parole del Salmo: «La tua bontà e lealtà mi scortano tutti i giorni della mia vita, e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni» (23,6).
Lo spretato McCarrick finanziava Giovanni Paolo II e Benedetto XVI
Il Washington Post documenta donazioni personali da 600mila dollari dell’ex cardinale pedofilo alla nomenklatura vaticana che avrebbe dovuto vigilare sulla sua condotta
di Maria Antonietta Calabrò (www.huffingtonpost.it, 27.12.2019)*
La storia che segue è assolutamente inedita. Il Washington Post oggi diretto da Martin Baron, che come direttore del Boston Globe scoperchiò nel 2002 il cosiddetto caso Spotlight, ha documentato donazioni “personali” da 600 mila dollari nell’arco di due decenni dello spretato (da papa Francesco, il 13 febbraio 2019, quindi meno di un anno fa) cardinale McCarrick, già arcivescovo di Washington, agli alti gradi della nomenklatura vaticana, tra cui ufficiali della Curia che avrebbero dovuto “vigilare” sulla sua condotta che si è rivelata - pubblicamente a partire dall’estate 2018 - di abusatore di seminaristi e minorenni.
Gli assegni in questione sono stati collegati a un conto corrente poco noto trovato presso l’arcidiocesi di Washington, dove McCarrick ha iniziato a servire come arcivescovo nel 2001. Il “Fondo speciale dell’arcivescovo” - ha scritto ieri il WaPo - gli ha permesso di raccogliere denaro da ricchi donatori cattolici e di spenderlo come voleva, con poca o nulla supervisione, secondo testimonianza di ex funzionari”.
Tra i beneficiari anche due papi: Giovanni Paolo II, 90.000 dollari dal 2001 al 2005, e Benedetto XVI, che da solo ha ricevuto 291.000 dollari, cioè praticamente la metà di tutte le donazioni, in gran parte in forza di un singolo assegno da 250.000 dollari nel maggio 2005, un mese dopo l’elezione al Soglio di Pietro.
“I rappresentanti degli ex papi - continua il quotidiano americano - hanno rifiutato di commentare o hanno affermato di non avere informazioni su tali controlli specifici. Un ex segretario personale di Giovanni Paolo II ha detto che le donazioni al papa sono state inoltrate al Segretario di Stato, il secondo posto più potente in Vaticano. A quei tempi rivestiva questa carica Angelo Sodano, che si è dimesso dall’incarico di Decano del Sacro Collegio il 21 dicembre scorso, chiudendo un’epoca, e che avrebbe ricevuto 19 mila dollari tra il 2002 e il 2016 .Il suo successore Tarcisio Bertone avrebbe ricevuto 7.000 dollari in totale dal 2007 fino al 2012.
Non un dollaro risulta donato a Papa Francesco dopo l’elezione. Mentre è stata inviata un’offerta di mille dollari a Pietro Parolin , dopo la sua nomina a segretario di Stato (2013).
L’articolo riaccende il faro sul “caso McCarrick” (aperto in modo clamoroso a fine agosto 2018 dalle accuse dell’ex Nunzio Carlo Maria Viganò): accuse che però - al contrario delle intenzioni iniziali del Nunzio che aveva chiesto le dimissioni di papa Francesco - investono non solo il Papato di Giovanni Paolo ma anche quello di Benedetto e gli oppositori di Francesco.
Tra poche settimane peraltro ci sarà la pubblicazione dell’investigazione vaticana voluta da Pontifex (6 ottobre 2019), preannunciata dal Papa stesso ai vescovi americani in visita ad limina (tra novembre e dicembre): un dossier “su chi sapeva cosa” sul cardinale spretato.
Le donazioni che sono state rivelate dal Washington post non vanno però confuse con i fondi che attraverso ad esempio la Papa Foundation (ma anche altri canali) arrivavano in Vaticano. Si tratta - negli anni - di centinaia di milioni di dollari.
A tutto questo questo va aggiunto che alcune vittime di McCarrick, usando una nuova legge dello Stato di New York che ha abolito la prescrizione per gli abusi, a fine dello scorso novembre hanno fatto causa direttamente alla Santa Sede per 165 milioni di dollari, in quanto disporrebbero di prove circa il fatto di aver avvisato già nel 1988 della condotta di McCarrick. E forse anche a questo si deve la decisione di Francesco di togliere il segreto pontificio sulle cause per pedofilia (nel Motu Proprio del maggio 2019 questa prescrizione non era prevista).
Il messicano Marcial Maciel (fondatore dei Legionari di Cristo ) e gli statunitensi - sotto indagini vaticane - Michael Joseph Bransfield (vescovo emerito di Wheeling-Charleston) e Theodore Edgar McCarrick (ex cardinale ed ex sacerdote, in passato arcivescovo di Washington) “in epoche diverse e in circostanze differenti, hanno messo in atto un metodo al dir poco ripugnante poiché chiaramente concepito per corrompere, e cioè offrire, donare e consegnare, in modo periodico e molto generoso, ingenti somme di denaro (dollari) ad altri loro confratelli nella gerarchia, a membri in servizio della nomenklatura vaticana, senza una precisa e puntuale giustificazione e tutte operazioni non trasparenti, occulte, sulle quali oggi sappiamo qualcosa per via delle indagini giornalistiche”, ha commentato l’autorevole sito paravaticano Il Sismografo. Suggerisci una correzione
Maria Antonietta Calabrò
Giornalista
L’udienza. Il Papa: il presepe è Vangelo domestico
Francesco all’udienza generale: porta il Vangelo nelle case, nelle scuole, nei luoghi di lavoro e di ritrovo, negli ospedali e nelle case di cura, nelle carceri, nelle piazze
di Redazione Internet (Avvenire, mercoledì 18 dicembre 2019)
«Fare il presepe è celebrare la vicinanza di Dio. Dio sempre è stato vicino al suo popolo, ma quando si è incarnato, è nato, è stato troppo vicino, molto vicino, vicinissimo: è riscoprire che Dio è reale, concreto, vivo e palpitante». Lo ha detto il Papa, che nella catechesi dell’udienza di oggi, sulla scorta della sua recente lettera apostolica e a una settimana dal Natale, ha ribadito che «il presepe infatti è come un Vangelo vivo»: «Porta il Vangelo nei posti dove si vive: nelle case, nelle scuole, nei luoghi di lavoro e di ritrovo, negli ospedali e nelle case di cura, nelle carceri e nelle piazze. E lì dove viviamo ci ricorda una cosa essenziale: che Dio non è rimasto invisibile in cielo, ma è venuto sulla Terra, si è fatto uomo, un bambino».
«Dio non è un signore lontano o un giudice distaccato, ma è amore umile, disceso fino a noi», ha fatto notare il Papa: «Il Bambino nel presepe ci trasmette la sua tenerezza. Alcune statuine raffigurano il Bambinello con le braccia aperte, per dirci che Dio è venuto ad abbracciare la nostra umanità. Allora è bello stare davanti al presepe e lì confidare al Signore la vita, parlargli delle persone e delle situazioni che abbiamo a cuore, fare con lui il bilancio dell’anno che sta finendo, condividere le attese e le preoccupazioni».
Preparasi al Natale facendo il presepe
«In questi giorni, mentre si corre a fare i preparativi per la festa, possiamo chiederci: "Come mi sto preparando alla nascita del Festeggiato?"», ha esordito il Papa. «Un modo semplice ma efficace di prepararsi è fare il presepe. Anch’io quest’anno ho seguito questa via: sono andato a Greccio, dove san Francesco fece il primo presepe, con la gente del posto. E ho scritto una lettera per ricordare il significato di questa tradizione. Cosa significa il presepe nel tempo di Natale».
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Facendo il presepe «possiamo anche invitare la Sacra Famiglia a casa nostra, dove ci sono gioie e preoccupazioni, dove ogni giorno ci svegliamo, prendiamo cibo e siamo vicini alle persone più care» ha detto il Papa.
«Accanto a Gesù vediamo la Madonna e san Giuseppe», l’immagine evocata da Francesco: «Possiamo immaginare i pensieri e i sentimenti che avevano mentre il Bambino nasceva nella povertà: gioia, ma anche sgomento».
«La parola presepe letteralmente significa mangiatoia, mentre la città del presepe, Betlemme, significa casa del pane», ha ricordato il Papa: «Mangiatoia e casa del pane: il presepe che facciamo a casa, dove condividiamo cibo e affetti, ci ricorda che Gesù è il nutrimento essenziale, il pane della vita. È Lui che alimenta il nostro amore, è Lui che dona alle nostre famiglie la forza di andare avanti e di perdonarci».
Il presepe del "lasciamo riposare mamma"
«Il presepe è attuale, è l’attualità di ogni famiglia» ha aggiunto Francesco "a bracci". «Ieri mi hanno regalato un’immaginetta di un presepe speciale, piccolina - ha raccontato - e si chiamava "lasciamo riposare mamma". E c’era la Madonna addormentata e Giuseppe col bambinello lì, facendolo addormentare. Quanti di voi dovete dividere la notte tra marito e moglie per il bambino o la bambina che piange, piange, piange! Lasciate riposare mamma: la tenerezza di una famiglia, del matrimonio».
Francesco ha sottolineato infine che «il presepe ci ricorda che Gesù viene nella nostra vita concreta». «E questo è importante - ha aggiunto -: fare un piccolo presepe a casa,sempre, perché è il ricordo che Dio è venuto da noi, nato da noi, ci accompagna nella vita, è uomo come noi, si è fatto uomo come noi. Nella vita di tutti i giorni non siamo più soli. Egli abita con noi. Non cambia magicamente le cose ma, se lo accogliamo, ogni cosa può cambiare».
«Vi auguro allora - ha concluso il Papa - che fare il presepe sia l’occasione per invitare Gesù nella vita. Quando noi facciamo il presepe a casa è come aprire la porta e dire "Entra Gesù". È fare concreta questa vicinanza, questo invito a Gesù perché venga nella nostra vita. Perché se lui abita la nostra vita, essa rinasce. E se la vita rinasce è davvero Natale. Buon Natale a tutti».
«Grazie per gli auguri» ricevuti nei giorni scorsi
Al termine dell’udienza Francesco ha ringraziato «quanti in questi giorni, da tante parti del mondo, mi hanno inviato messaggi augurali per il 50/o di sacerdozio e per il compleanno. Grazie soprattutto per il dono della preghiera».
Australia.
Il cardinale Pell condannato per abusi
Il cardinale è stato riconosciuto colpevole di abusi sessuali su minori. Pell continua a dichiararsi innocente e il suo avvocato prevede di ricorrere in appello
di Gianni Cardinale (Avvenire, martedì 26 febbraio 2019)
Il cardinale George Pell è stato giudicato colpevole da un tribunale in Australia di abusi sessuali su due ragazzi di 13 anni e rischia fino a 50 anni di carcere. Il verdetto unanime dei 12 membri della giuria della County Court dello stato di Victoria è stato emesso l’11 dicembre dopo oltre due giorni di deliberazione, ma il tribunale aveva vietato ai media di darne notizia fino ad oggi.
Pell, 77 anni, avrebbe molestato i due giovani componenti del coro dopo aver presieduto la messa nella cattedrale di San Patrizio a Melbourne nel 1996, quando all’epoca aveva 55 anni ed era arcivescovo di quella diocesi. La giuria ha anche dichiarato che Pell si è reso colpevole di aver aggredito in modo indecente uno dei ragazzi in un corridoio più di un mese dopo. L’udienza di condanna inizierà domani. Il cardinale, che rimane libero su cauzione, continua a dichiararsi innocente e il suo avvocato prevede di ricorrere in appello.
Pell è stato ordinato prete a Roma nel 1966, dove ha studiato. E’ stato nominato arcivescovo di Melbourne nel 1996, poi di Sydney nel 2001 e creato cardinale due anni dopo da Giovanni Paolo II. Nel 2013 Papa Francesco lo ha nominato membro del Consiglio di cardinali, il C9, e nel 2014 lo ha scelto come prefetto della Segreteria per l’economia per promuovere la riforma delle finanze della Santa Sede.
Nel giugno 2017 il cardinale Pell era stato rinviato a giudizio ed era rientrato in patria per affrontare il processo. Nell’occasione la Sala Stampa vaticana aveva emesso un comunicato in cui si riferiva che il Papa gli aveva “concesso un periodo di congedo per potersi difendere”. Nella nota si specificava poi che “la Santa Sede esprime il proprio rispetto nei confronti della giustizia australiana che dovrà decidere il merito delle questioni sollevate”.
“Allo stesso tempo - aggiungeva il comunicato - va ricordato che il Cardinale Pell da decenni ha condannato apertamente e ripetutamente gli abusi commessi contro minori come atti immorali e intollerabili, ha cooperato in passato con le Autorità australiane (ad esempio nelle deposizioni rese alla Royal Commission), ha appoggiato la creazione della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori e, infine, come Vescovo diocesano in Australia ha introdotto sistemi e procedure per la protezione di minori, e per fornire assistenza alle vittime di abusi”.
Il cardinale Pell ricopre ancora formalmente l’incarico di prefetto della Segreteria per l’economia, mentre da dicembre non fa più parte del C9.
L’incontro.
Il Papa: più attenti nella selezione dei preti
Nel discorso ai vescovi di recente nomina il forte richiamo di Francesco a una particolare attenzione al clero e ai Seminari per prevenire nuove "scandalose debolezze".
di Riccardo Maccioni (Avvenire, giovedì 13 settembre 2018)
Occorre «una particolare attenzione al clero e ai Seminari». È la raccomandazione che il Papa rivolge ai presuli di recente nomina dipendenti dalla Congregazione per i vescovi e da quella per le Chiese Orientali. L’occasione è il Corso promosso dal dicastero vaticano che si occupa della loro nomina e formazione.
Il compito urgente della santità
Nel suo discorso, ampio e articolato Francesco sottolinea come il compito più urgente affidato ai vescovi sia quello della santità. Un itinerario che chiede di restare vigili anche quando sparisce la luce, che non può alimentarsi di «una dedizione intermittente, di una fedeltà a fasi alterne, di una obbedienza selettiva» ma chiama a «consumarsi giorno e notte». Per riuscirsi occorre «mettere Dio al centro». Si tratta di «rimanere fedeli anche quando, nel calore del giorno, vengono meno le forze della perseveranza e il risultato della fatica più non dipende delle risorse che abbiamo» E tutto questo - prosegue il Papa - «non per alimentare la narcisistica pretesa di essere essenziali, ma per rendere il Padre propizio al vostro popolo. Dio» infatti, «è già a favore dell’uomo».
L’invito quindi è a tenere «fisso lo sguardo sul Signore Gesù in modo» che «abituandosi alla sua luce» si riesca «incessantemente anche dove essa si rifrange, sia pure attraverso umili bagliori».
«So bene - aggiunge il Pontefice - quanto nel nostro tempo imperversano solitudine e abbandono, dilaga l’individualismo e cresce l’indifferenza al destino degli altri. Milioni di uomini e donne, bambini, giovani sono smarriti in una realtà che ha oscurato i punti di riferimento, sono destabilizzati dall’angoscia di appartenere a nulla. La loro sorte non interpella la coscienza di tutti e spesso, purtroppo, coloro che avrebbero le maggiori responsabilità, colpevolmente si scansano. Ma a noi non è consentito ignorare la carne di Cristo, che ci è stata affidata non soltanto nel Sacramento che spezziamo, ma anche nel Popolo che abbiamo ereditato».
Aggiornare la selezione e l’accompagnamento
Mai dunque dimenticare la vicinanza a chi ha bisogno, ma trascurare quello che è il primo obiettivo della Chiesa: «distribuire nel mondo il vino nuovo che è Cristo. Niente ci può distogliere da questa missione». Al tempo stesso mai «vergognarsi della carne delle vostre Chiese - chiede il Papa ai vescovi -. Entrate in dialogo con le loro domande. Vi raccomando una particolare attenzione al clero e ai seminari. Non possiamo rispondere alle sfide che abbiamo nei loro confronti senza aggiornare i nostri processi di selezione, accompagnamento, valutazione. Ma le nostre risposte saranno prive di futuro se non raggiungeranno la voragine spirituale che, in non pochi casi, ha permesso scandalose debolezze, se non metteranno a nudo il vuoto esistenziale che esse hanno alimentato, se non riveleranno perché mai Dio è stato così reso muto, così messo a tacere, così rimosso da un certo modo di vivere, come se non ci fosse».
Santa Sede.
Lotta agli abusi, il Papa convoca i capi dei vescovi di tutto il mondo
L’annuncio al termine della riunione dei 9 Cardinali. L’incontro sarà in Vaticano dal 21 al 24 febbraio 2019. Sul tavolo il tema della protezione dei minori e della prevenzione degli abusi
di Riccardo Maccioni (Avvenire, mercoledì 12 settembre 2018)
Una decisione forte, che esprime la volontà fermissima di fare verità su una piaga che va sanata al più presto. Papa Francesco sentito il Consiglio di cardinali, ha deciso di convocare una riunione con i presidenti delle Conferenze episcopali della Chiesa cattolica sul tema della protezione dei minori e degli adulti vulnerabili.
L’annuncio è contenuto nel comunicato che conclude la XXVI riunione del cosiddetto C9, il gruppo di porporati cui lo stesso Pontefice ha affidato il compito di aiutarlo nella riforma della Curia e nel governo della Chiesa universale. Un tema quello degli abusi, rilanciato dal recente dossier sulla diocesi della Pennsylvania e dal caso McCarrick, ampiamente trattato, come recita la nota finale, nella riunione di cardinali, iniziata lunedì per concludersi stamani.
Il vertice con i tutti i leader degli episcopati rilancia una volta di più la volontà di adottare misure idonee alla prevenzione e alla tutela delle vittime e, allo stesso tempo rappresenta una presa d’atto di come il problema si ancora drammaticamente caldo. Il tutto si svolgerà nella linea della tolleranza zero, che Bergoglio ha adottato sin dall’inizio del suo pontificato, proseguendo la rotta indicata da papa Ratzinger.
Domani l’incontro con i vertici dell’Episcopato Usa
Un anticipo dell’appuntamento di febbraio si avrà comunque già domani, giovedì. quando saranno ricevuti in Vaticano i vertici della Conferenza episcopale statunitense. In particolare il Papa incontrerà il cardinale Daniel DiNardo, arcivescovo di Galveston-Houston e presidente dei vescovi Usa, il cardinale Sean Patrick O’Malley, arcivescovo di Boston e presidente della Pontificia Commissione per la tutela dei minori, monsignor José Horacio Gomez arcivescovo di Los Angeles, vicepresidente dell’episcopato e il segretario generale monsignor Brian Bransfield.
Non imminente un ricambio nel C9
Naturalmente il C9 ha affrontato ha anche gli argomenti per cui è nato. Come ha sottolineato la vicedirettrice della Sala Stampa vaticana, Paloma Garcia Ovejero, «gran parte dei lavori del Consiglio e stata dedicata agli ultimi aggiustamenti della bozza della nuova Costituzione Apostolica della Curia romana, il cui titolo provvisorio e “Praedicate evangelium”. Il Consiglio di cardinali ha già consegnato, in proposito, il testo provvisorio che, comunque, e destinato ad una revisione stilistica e ad una rilettura canonistica».
Inoltre come comunicato lunedì scorso, durante la prima sessione di questa XXVI riunione, il C9 «ha chiesto al Papa una riflessione sul lavoro, la struttura e la composizione dello stesso Consiglio, tenendo anche conto dell’età avanzata di alcuni membri». In proposito la vicedirettrice della Sala Stampa ha detto che «per dicembre non ci saranno nuovi membri del C9» aggiungendo che «se ci saranno cambiamenti, vedremo». Procedendo nei lavori per la riforma della Curia romana infine il Consiglio che «ancora una volta ha espresso piena solidarietà a papa Francesco per quando accaduto nelle ultime settimane», vedi dossier Viganò, «si è concluso con la rilettura dei testi già preparati facendo motivo di attenzione la cura pastorale per il personale che vi lavora». Dei 9 porporati che costituiscono il C9 mancavano il cardinale australiano George Pell, l’85 enne cardinale cileno Francisco Javier Errazuriz e il quasi 79enne cardinale africano Laurent Monsengwo Pasinya.
«Il Santo Padre, come di consueto, informa il comunicato finale del C9, ha partecipato ai lavori, anche se e stato assente in tre momenti: lunedì in fine mattinata, per l’udienza al cardinale Beniamino Stella; martedì mattina, per la visita ad limina apostolorum della Conferenza episcopale Venezuela e questa mattina per l’Udienza generale».
La Cei: non per fermarsi all’abuso
E sempre in tema di abusi, il sottosegretario della Cei e direttore dell’Ufficio nazionale per la comunicazioni sociali della Conferenza episcopale italiana cita l’incontro, annunciato nei giorni scorsi dal C9 e svoltosi ieri. «Ascolto delle vittime, impegno di educazione, formazione e comunicazione, stesura di Linee guida e di norme per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili. Sono questi - scrive don Ivan Maffeis - i temi approfonditi nell’incontro che ieri - martedì 11 settembre - ha visto insieme la Pontificia Commissione per la tutela dei minori con la corrispondente Commissione della Cei. Una collaborazione fattiva, che mira soprattutto all’elaborazione di proposte, iniziative e strumenti di prevenzione da offrire alle diocesi. Per non fermarsi a condannare l’abuso e promuovere una cultura della persona e della sua dignità».
Sul tema, nel sito, si cfr.:
GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro Abramo"
STORIA E (FENOMENOLOGIA DELLO) SPIRITO. Il cristianesimo non è un "cattolicismo": il ’cattolicesimo’ è finito...
IL DRAMMA DEL CATTOLICESIMO ATEO E DEVOTO
UN NUOVO CONCILIO, SUBITO. 95 TESI? NE BASTA UNA SOLA! Cattolicesimo, fascismo, nazismo, stalinismo: il sogno del "regno di ‘dio’" in un solo ‘paese’ è finito.
Federico La Sala
Preti pedofili, 70 anni di abusi in Pennsylvania coperti dalla Chiesa
Un Grand giurì ha riconosciuto la colpa di 300 sacerdoti su oltre mille bambini *
Più di 300 sacerdoti sono accusati in Pennsylvania di aver commesso abusi sessuali su oltre mille bambini nel corso di settant’anni, coperti "sistematicamente" dai vertici della Chiesa cattolica. Un Gran giurì americano ha diffuso un rapporto di oltre 1.400 pagine, ritenuto il più articolato e globale pubblicato sinora sulla pedofilia nella Chiesa americana da quando il Boston Globe per la prima volta denunciò il problema in Massachusetts nel 2002, vincendo un premio Pulitzer e ispirando il film ’Spotlight’. Il dossier ha portato all’incriminazione di due preti, ma la maggioranza dei presunti responsabili è ormai morta e la gran parte dei fatti è prescritta.
L’indagine del Gran giurì è durata due anni ed è stata condotta in tutte le diocesi della Pennsylvania, fatta eccezione per due. Cita decine di testimoni e mezzo milione di pagine di informazioni della Chiesa, contenenti "accuse credibili contro oltre 300 preti predatori". Più di mille bambine e bambini che furono vittime di abusi sono identificabili, ma "il vero numero" è in realtà "nell’ordine delle migliaia", secondo il Grand giurì, perché molti bambini hanno avuto paura di denunciare o i loro dati sono andati perduti. Le vittime, afferma il dossier, sono state speso traumatizzate per la vita, finendo per abusare di droga e alcol, o per suicidarsi.
Tra i casi elencati c’è quello di un religioso che ha stuprato una bambina di 7 anni in ospedale, dopo che la piccola aveva subito una tonsillectomia. Un altro bambino bevve un succo di frutta e si svegliò il mattino dopo sanguinante dal retto, senza poter ricordare che cosa gli fosse accaduto. Un prete costrinse un bambino di 9 anni a praticargli sesso orale, poi gli lavò la bocca con l’acqua santa per "purificarlo". Un altro sacerdote abusò di cinque sorelle della stessa famiglia, tra cui una da quando aveva 18 mesi ai 12 anni. Quando una delle bambine lo disse ai genitori nel 1992, la polizia trovò nella casa del prete slip, bustine di plastica contenenti peli pubici, fiale d’urina e fotografie a sfondo sessuale di bambine. La Chiesa ignorò per anni le accuse e il sacerdote morì in attesa di processo, ha dichiarato il procuratore generale della Pennsylvania, Josh Shapiro.
"Lo schema era abuso, negazione e copertura", ha spiegato Shapiro, aggiungendo: "Come diretta conseguenza della sistematica copertura da parte delle alte autorità ecclesiastiche, quasi ogni caso di pedofilia che abbiamo rilevato è troppo datato per un processo". Sinora solo due preti sono stati incriminati per accuse che sono al di fuori della prescrizione: uno è accusato di aver eiaculato nella bocca di un bambino di sette anni e si è dichiarato colpevole, secondo la procura; l’altro ha aggredito due bambini, uno dei quali da quando aveva 8 anni per un periodo di otto anni, sino al 2010.
Il Gran giurì ha chiesto che la prescrizione per i reati di pedofilia sia cancellata, che le vittime abbiano più tempo per presentare denuncia e che sia rafforzata la legge che obbliga a denunciare gli abusi sessuali di cui si viene a conoscenza. "I preti stupravano bambine e bambini piccoli e gli uomini di Dio che erano responsabili per loro non solo non facevano nulla, ma nascondevano tutto. Per decenni", si legge nel rapporto. I religiosi anziani, al contrario, furono promossi e i preti pedofili poterono amministrare per 10, 20 e persino 40 anni dopo che i vertici erano venuti a conoscenza degli abusi e mentre la lista delle vittime si allungava sempre di più, ha detto Shapiro.
Negli Stati Uniti, sono tra 5.700 e 10mila i preti cattolici accusati di abusi sessuali, ma poche centinaia sono stati processati, dichiarati colpevoli e condannati, secondo Bishop Accountability. Da quando il problema della pedofilia nella Chiesa cattolica è diventato noto all’inizio degli anni 2000, la Chiesa americana ha speso più di 3 miliardi di dollari in patteggiamenti, secondo l’osservatorio. Questo ha documentato accordi con 5.679 presunte vittime del clero cattolico, solo un terzo delle 15.235 denunce che i vescovi hanno detto di aver ricevuto fino al 2009. Una stima ipotizza che le vittime negli Usa siano 100mila. Sotto la pressione dell’aumento di denunce nel mondo e delle continue critiche per la insufficiente risposta della Chiesa, papa Francesco nel 2013 ha promesso una nuova legge sulla pedofilia e pedopornografia. Anche in Cile la Chiesa è stata di recente travolta da accuse di vasta copertura di casi di pedofilia durante gli anni Ottanta e Novanta.
* Fonte: La Presse, Martedì 14 Agosto 2018
Nuovi incontri del Pontefice con cileni vittime di abusi *
Dal 1° al 3 giugno prossimi Papa Francesco riceverà un secondo gruppo di vittime degli abusi del sacerdote Fernando Karadima e di suoi seguaci della parrocchia del Sagrado Corazón de Providencia (El Bosque). Si tratta di cinque preti che hanno subito abusi di potere, di coscienza e sessuali. Insieme a loro ci saranno anche due sacerdoti che hanno assistito le vittime nel loro percorso giuridico e spirituale, e due laici coinvolti in questa sofferenza. Tutti saranno ospiti del Papa a Santa Marta.
La grande maggioranza di queste persone ha partecipato agli incontri in Cile durante la missione speciale dell’arcivescovo Charles Scicluna e di monsignor Jordi Bertomeu, che si è svolta a febbraio quest’anno. Gli altri hanno collaborato nelle settimane successive alla visita.
Con questi nuovi incontri, programmati un mese fa, Papa Francesco vuole mostrare la propria vicinanza ai preti abusati, accompagnarli nel loro dolore e ascoltare il loro prezioso parere per migliorare le attuali misure preventive e di lotta contro gli abusi nella Chiesa.
Si conclude così questa prima fase di incontri che il Papa ha voluto avere con le vittime del sistema di abusi instaurato qualche decade fa nella suddetta parrocchia. Questi preti e laici rappresentano tutte le vittime degli abusi del clero in Cile ma non si esclude che vengano ripetute iniziative simili nel futuro. Ci saranno diversi incontri nel corso del fine settimana, che si svolgeranno in un ambiente di fiducia e riservatezza. Nella mattina del 2 giugno il Papa celebrerà una messa privata a Casa Santa Marta; nel pomeriggio, sono previsti un incontro di gruppo e in seguito colloqui individuali. Il Pontefice continua a chiedere ai fedeli del Cile, e specialmente a quelli delle parrocchie dove questi sacerdoti svolgono il loro ministero pastorale, che li accompagnino con la preghiera e la solidarietà durante questi giorni.
Intanto nella diocesi cilena di Rancagua il vescovo Alejandro Goić Karmelić ha temporaneamente sospeso quattordici preti appartenenti a un gruppo chiamato “La Famiglia”, ritenuti responsabili di abusi sessuali a danno di giovani e di minori.
Pedofilia, tutta la Chiesa ha i problemi del Cile
Linea dura - Il Papa ha ammesso di aver sottovalutato il caso e ha fatto dimettere i vescovi. Ma le omertà in diocesi e nei seminari sono la norma
di Marco Marzano (Il Fatto, 20.05.2018)
La decisione dei vescovi cileni di rassegnare in blocco le dimissioni dai loro incarichi al papa è clamorosa. Segnala la consapevolezza di una responsabilità collettiva dell’episcopato cileno per i gravi crimini commessi da membri della Chiesa in quel Paese. Il gesto giunge dopo decenni di insabbiamenti ed è la conseguenza di un drastico cambiamento di linea di Francesco nel contrasto alla pedofilia clericale in Cile.
Sino al gennaio di quest’anno e cioè al suo viaggio nel Paese andino, Francesco non sembrava scontento di come andavano le cose nella chiesa cilena. Nel 2015, aveva promosso, nominandolo vescovo, Juan Barros, un “allievo” e amico del pedofilo abusatore Don Fernando Karadima. Quando Francesco lo ha nominato vescovo sul capo di Barros pendeva già l’accusa di aver assistito impassibile alle violenze che Karadima infliggeva ai minori.
Proprio durante quel viaggio, Francesco aveva reagito con fastidio alla domanda di chi gli aveva chiesto conto del suo sostegno a Barros rispondendo che della complicità di quel vescovo con i crimini di don Karadima non c’erano riscontri certi e quindi, fino a prova contraria, quelle contro di lui erano calunnie. Quelle parole parvero l’ennesima manifestazione della complicità vaticana con gli abusatori e suscitarono la reazione indignata di molta parte dell’opinione pubblica, non solo cilena.
È a quel punto che il papa fece mostra di esser pronto a cambiar linea, ammise di essersi sbagliato nel giudicare la situazione cilena, dichiarò di essere stato male informato e di voler andare finalmente a fondo della questione. Mandò un Cile un suo investigatore che acquisì nuove informazioni, poi convocò i dirigenti cileni a Roma e ottenne le loro dimissioni. Adesso gli toccherà procedere alle necessarie epurazioni, cioè al licenziamento di massa dei vescovi cileni. Se ciò non avvenisse, se il papa prendesse tempo e nel frattempo la vicenda venisse dimenticata dai media, ci troveremmo dinanzi a una sceneggiata sulla pelle delle vittime.
In una lettera indirizzata ai vescovi cileni che doveva rimanere riservata (e di cui alcuni giornali hanno pubblicato stralci) Francesco ammette che i problemi in Cile vanno ben al di là del caso Karadima-Barros, che nella chiesa cilena si sono verificati nel tempo abusi e mancanze di tutti i generi, che sono stati distrutti documenti che compromettevano alcuni preti, coperti e protetti o trasferiti precipitosamente da una parrocchia all’altra e subito incaricati di occuparsi di altri minori. Le accuse hanno riguardato anche le istituzioni formative, i seminari, colpevoli di non aver arrestato la carriera di preti che già da studenti mostravano chiari segni di un comportamento patologico nella sfera sessuale e affettiva. Il problema è “il sistema” ha concluso il papa.
Ed è verissimo. Il punto è: quale sistema? A meno di non voler credere che la chiesa cilena abbia sviluppato patologie tutte peculiari, che fosse una sorta di associazione a delinquere fuori controllo e a meno di negare che fenomeni identici a quelli descritti dal papa nella sua lettera si sono verificati ovunque nel mondo bisogna ammettere che il sistema è la chiesa stessa nella sua attuale forma organizzativa. Il problema è cioè un’organizzazione strutturata intorno alla supremazia di una casta clericale tutta maschile e celibe formata intorno ai valori della fedeltà assoluta e della disciplina di corpo all’interno di istituzioni totali e claustrofobiche come i seminari e poi investita del monopolio assoluto nella gestione del sacro, della competenza esclusiva di tutti gli aspetti cruciali della vita dell’istituzione.
Se il pontefice vuole davvero combattere fino in fondo il sistema e debellarlo, perché non prende tutti in contropiede e assume l’iniziativa di avviare una grande riflessione collettiva e pubblica, eventualmente attraverso un sinodo straordinario, sul tema della responsabilità dei funzionari e delle istituzioni cattoliche nei tantissimi casi di abusi sui minori commessi dai membri della Chiesa nella sua storia recente? E perché non invita a farne parte anche quegli studiosi che da anni sostengono che il problema degli abusi sessuali da parte del clero cattolico va affrontato mettendo in conto l’eventualità di dover smantellare la tradizionale strutturale clericale che da secoli, e senza alcuna discontinuità sino al presente, governa la Chiesa ai quattro angoli della terra? Questo sì che sarebbe l’inizio della rivoluzione.
Nuova denuncia abusi scuote Chiesa Cile
Vescovo Goic, compromesso dallo scandalo, chiede perdono
di Redazione ANSA SANTIAGO DEL CILE
20 maggio 2018
(ANSA) - SANTIAGO DEL CILE, 20 MAG - Una nuova denuncia di abusi sessuali da parte di un gruppo di sacerdoti cileni - organizzati in una ’confraternita’ di abusatori - ha scosso la Chiesa cilena e compromesso uno dei suoi vescovi più autorevoli, monsignor Alejandro Goic, appena tornato dal viaggio in Vaticano in cui tutto l’episcopato del paese sudamericano ha rassegnato le dimissioni al Pontefice. Il caso è stato sollevato da un reportage tv del programma T13. Una testimone ha raccontato di aver avuto consegnato a Goic una lista di 17 sacerdoti che hanno messo su una "confraternita", con al vertice un "nonno" e "zie" e "nipoti", al femminile, al di sotto di lui, che si dedicano ad abusi sessuali. Goic, che inizialmente aveva negato ogni addebito oggi, ha invece chiesto perdono, riconoscendo che aveva "agito senza l’adeguata agilità nell’inchiesta su Luis Rubio e altri sacerdoti". Goic - già presidente della Conferenza episcopale cilena - presiede dal 2011 il Consiglio nazionale per la prevenzione degli abusi contro i minori.
Lo scandalo pedofilia
La resa dei vescovi cileni
di Alberto Melloni (la Repubblica, 19.05.2018)
L’episcopato cileno ha preso una decisione senza precedenti: l’intera conferenza dei vescovi ha consegnato ieri a papa Francesco le proprie dimissioni. Un gesto clamoroso di auto-decapitazione di una chiesa, che segna una tappa drammatica nella vicenda che ha visto denunziare i crimini dei pedofili preti e l’omertà dei vescovi.
Esplosa un quarto di secolo fa, la crisi dei pedofili in talare ha visto cadere a fatica i tentativi di minimizzare la cosa o di ridurla a casi confinabili alla procedura penale canonica. È venuta poi la stagione della “vergogna” e della “tolleranza zero”, affidata alla voce ferma e alle capacità di empatia del papa: il che ha aiutato a scoperchiare un male, anche a rischio di dare ansa a denigrazioni, che ha colpito diocesi, ordini, movimenti. Solo in un caso, nel 2010, Ratzinger si scostò da questa linea scrivendo una lettera alla chiesa di Irlanda che aveva come tema la pedofilia. Fedele alla sua teologia, Benedetto XVI aveva indicato nella presunta cedevolezza della chiesa irlandese davanti alla secolarizzazione una delle ragioni di tanto vasta e inconfessata tragedia. Un atto di accusa collettivo giustamente duro, ma che puntava l’indice contro un episcopato che non si era nominato da solo, contro una chiesa che non aveva mai domandato l’indipendenza da Roma.
Recentemente la vicenda di un vescovo cileno ha riportato in discussione non solo il comportamento di singoli religiosi, ma di un’intera chiesa nazionale. Dove le violenze sessuali perpetrate da un religioso molto amato da preti e presuli - padre Fernando Karadima - erano state denunciate all’autorità ecclesiastica, che non aveva creduto alle vittime. Per le coperture e le sordità, era stato sostituito l’arcivescovo di Santiago; e Karadima fu condannato dalla giustizia canonica all’ergastolo canonico perpetuo.
Nel frattempo l’ombra si allungava sui suoi più intimi collaboratori: di uno di questi, monsignor Juan Barros - fatto vescovo da Giovanni Paolo II e trasferito da Francesco a Osorio nel 2015 - sono state chieste le dimissioni dalle vittime del prete-santone, che hanno accusato Barros di aver saputo o di aver assistito agli stupri. Francesco, convinto della sua innocenza, ha respinto le dimissioni offertegli da Barros e ha domandato di fornirgli “le prove”. Una richiesta che aveva sconvolto i sopravvissuti, che sanno benissimo che lo stupratore scommette sempre sulla certezza che nessuno crederà alla vittima.
Bacchettato dal cardinale O’Malley, resosi conto dell’errore, Francesco ha chiesto il perdono delle vittime, ha ascoltato gli esiti di un’inchiesta guidata da monsignor Scicluna, ha convocato i vescovi del Cile per un incontro singolare, a metà fra il processo e il ritiro, al termine del quale ha posto il nodo ecclesiologico della questione in una densa lettera piena di citazioni. Non è una chiesa più “rigida” o più “severa” o più “disciplinata” quella che può evitare i delitti che hanno devastato persone e comunità: ma, sostiene Francesco, solo una “ chiesa profetica” capace di rifiutare le “spiritualità narcisiste”, di liberarsi dalla autoreferenzialità chiesastica e di cercare la compagnia dei poveri.
Le dimissioni collettive sono state la risposta dei vescovi. Un gesto mai visto. Un autodafé con il quale un episcopato intero compie sì un atto di sottomissione al vangelo così come Francesco lo ha personalmente predicato, ma in parte anche un atto di sfida: perché potrebbe postulare una riconferma altrettanto massiva, salva la sanzione di coloro che fossero platealmente compromessi coi delitti. A Francesco il compito di decidere. Anzi discernere; la cosa che un gesuita fa più spesso in vita sua; un atto mai infallibile, mai sterile.
Pedofilia, dimissioni in blocco dei vescovi cileni. Sotto accusa anche cardinale vicino al Papa (di Paolo Rodari).
Clamorosa decisione dei religiosi presenti a Roma dopo gli incontri con Francesco: "Abbiamo rimesso i nostri incarichi nelle mani del Santo Padre, affinché decida lui liberamente per ciascuno"
di PAOLO RODARI (la Repubblica, 18 maggio 2018)
CITTA’ DEL VATICANO - Una decisione senza precedenti che entra nel cuore dell’omertà dietro la quale si sono sovente trincerate le gerarchie ecclesiastiche quando qualcuno dei sacerdoti loro affidati si è macchiato del crimine di abuso sessuale su minori. I vescovi cileni hanno rimesso ieri in blocco i propri incarichi nelle mani del Papa, affinché decida lui liberamente il futuro di ognuno.
La notizia è arrivata dopo tre giorni di incontri riservati fra gli stessi presuli e Francesco dedicati agli abusi commessi in Cile e, in particolar modo, agli insabbiamenti: «Chiediamo perdono», hanno detto ieri i presuli, per il dolore causato alle vittime e «per i gravi errori e le omissioni commessi».Più di un anno fa il Vaticano aveva annunciato che sarebbero stati dimessi i vescovi reticenti sulla pedofilia. La decisione di ieri è figlia anche di quella volontà. E, insieme, della caparbietà delle vittime cilene che hanno preteso e ottenuto un incontro chiarificatore col Papa a Santa Marta.
In Cile, lo scorso gennaio, Francesco aveva mostrato di credere soltanto alla versione dei presuli. In merito alle coperture che il vescovo di Osorno, Juan Barros, aveva concesso al prete pedofilo Karadima, aveva detto alle vittime di non avere «prove». «Sono tutte calunnie», aveva poi spiegato loro. Quindi il ripensamento, con l’invio in Cile dell’ex pm della Santa Sede Charles Scicluna, e del sacerdote Jordi Bertomeu, per compiere un’approfondita investigazione che ha portato alla luce un’altra verità. Tanto che con ieri una nuova epoca sembra avere inizio: la garanzia di impunità non è concessa più a nessuno. La politica delle omissioni non appartiene a Jorge Mario Bergoglio.
Le vittime a colloquio con Francesco nei giorni scorsi hanno puntato il dito non solo contro il vescovo Juan Barros, ma anche contro altri presuli e fra questi il cardinale Juan Ignacio González Errazuriz, membro del Consiglio permanente che aiuta il Papa nella riforma della Chiesa (C9). Errázuriz non ha presentato rinuncia perché è in pensione e a Roma si è mostrato indignato, «mi diffamano, il Papa ha detto che l’ho informato bene».
Francesco, in una lettera diffusa ieri mattina e scritta ai vescovi nell’imminenza dell’incontro con loro, aveva usato parole gravissime. Aveva parlato di «mancanza di informazioni veritiere ed equilibrate» da parte degli stessi presuli. Un deficit d’informazione messo in campo non decenni fa, ma oggi. A conferma che l’omertà che ha attraversato la Chiesa ai tempi di Giovanni Paolo II è ancora viva. Non siamo più negli anni in cui scoppiarono i casi di pedofilia del capo dei Legionari di Cristo Marcial Maciel, né dell’esplodere delle coperture amplissime concesse dall’arcivescovo di Boston Bernard Law ai preti pedofili. Eppure la storia si ripete: al porporato americano Law pochi mesi fa il Vaticano ha incredibilmente concesso sepoltura in Santa Maria Maggiore. Mentre, secondo le vittime, un membro del C9, appunto Errazuriz, non è riuscito a informare a dovere il Papa sui crimini commessi nel suo Paese nonostante con ogni probabilità ne fosse a conoscenza.
"Ritornar nel chiaro mondo" (Dante, Inferno, XXXIV, v. 134). *
Pedofilia, il gesto dei vescovi cileni «necessario per un nuovo inizio»
Così la docente presso la Pontificia Università Cattolica di Santiago commenta le dimissioni collettive dei presuli: da Francesco un segnale forte per tutta la Chiesa Che sta dando frutti
di Lucia Capuzzi (Avvenire, sabato 19 maggio 2018)
«La Chiesa cilena ha aperto le finestre per far entrare lo Spirito. Lo sento soffiare con forza in questo momento». Sandra Arenas, teologa di spicco e docente della Pontificia Università Cattolica di Santiago, ricorre alla nota metafora di san Giovanni XXIII per analizzare la temperie attuale. Un periodo intenso, «di crisi ma anche di straordinaria opportunità di intraprendere un nuovo cammino », sottolinea. In tale ottica vanno interpretate le cosiddette “dimissioni in blocco” dell’episcopato del Paese australe.
Un atto, al contempo, individuale e collettivo. Ognuno dei 32 vescovi in carica ha rimesso l’incarico nelle mani del Pontefice. Compiendolo insieme, nel medesimo istan- te, «essi decidono di farsi carico, come corpo episcopale, di un problema trasversale e sistemico. Un gesto, forse tardivo, ma di sicuro coraggioso. Con cui i vescovi riconoscono di non essere stati all’altezza delle circostanze, al di là delle responsabilità, più o meno gravi, dei singoli. Ed esprimono la disponibilità ad avviare un processo di conversione profonda, personale e comunitaria, per rendere la Chiesa più conforme al mandato evangelico. La notizia mi ha dato molta speranza».
Il gesto dell’episcopato arriva all’indomani di tre giorni di preghiera e meditazione con papa Francesco. Che cosa significa questo metodo di “discernimento congiunto” proposto dal Pontefice?
Rappresenta un precedente per la Chiesa universale, non solo cilena. Francesco ha dato l’esempio, negli ultimi cinque mesi, di come un pastore deve affrontare una situazione difficile.
In che modo?
Egli per primo s’è lasciato “provocare” dalla realtà - incontrata nel viaggio e sottolineata dal commento del cardinale Sean O’Malley - e si è sottoposto per primo, con umiltà evangelica, a un processo di discernimento. Da qui è maturata la prima richiesta di perdono, la volontà di fare chiarezza e di accettare la realtà, in tutta la sua durezza e scomodità. Né la Chiesa né una comunità di perfetti né Francesco un superuomo. Invece di proporsi come tale, ha ammesso pubblicamente il proprio errore e ha cercato di porvi rimedio. In modo innovativo. A conclusione della missione di Scicluna e Bertomeu ha avviato una seconda fase di discernimento comunitario. Prima con le vittime, poi con i vescovi. Un’esperienza concreta di sinodalità, assunta a pieno, in una contingenza critica, in cui più forte è la tentazione di “prendere in mano le redini” da soli. In tal modo, Bergoglio ha mandato un messaggio forte all’intera Chiesa. E, nel caso particolare cileno, possiamo vedere che il ’metodo Francesco’ sta producendo frutti.
Lei ha parlato di ’problema sistemico’. Che cosa intende?
Al di là del caso Karadima e dei ’gravi errori ed omissioni’ di alcuni, la Chiesa cilena ha mostrato, negli ultimi decenni, una disfunzione di fondo. Una certa “spiritualità da sacrestia”, cioè un forte clericalismo, l’ha separata dal resto della società. Lo hanno riconosciuto gli stessi vescovi nella loro lettera quando affermano la necessità di dare nuovo impulso alla missione profetica e di rimettere Cristo al centro. Al suo posto, nel passato recente, la Chiesa ha messo se stessa e i propri interessi. O, peggio, quelli del proprio gruppo, del proprio settore, della propria comunità. L’autopreservazione e autodifesa a oltranza hanno ferito la comunione ecclesiale.
Come ripartire?
Francesco ha indicato la direzione: la sinodalità. Solo da un processo di discernimento approfondito e condiviso tra vescovi, sacerdoti, religiosi, laici, possono venire quelle misure di lungo periodo affinché il «volto del Signore torni a risplendere nella nostra Chiesa».
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SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE.
Federico La Sala
La teologa. La teologa cilena Sandra Arenas
Pedofilia, il gesto dei vescovi cileni «necessario per un nuovo inizio»
Così la docente presso la Pontificia Università Cattolica di Santiago commenta le dimissioni collettive dei presuli: da Francesco un segnale forte per tutta la Chiesa Che sta dando frutti
di Lucia Capuzzi (Avvenire, sabato 19 maggio 2018)
«La Chiesa cilena ha aperto le finestre per far entrare lo Spirito. Lo sento soffiare con forza in questo momento». Sandra Arenas, teologa di spicco e docente della Pontificia Università Cattolica di Santiago, ricorre alla nota metafora di san Giovanni XXIII per analizzare la temperie attuale. Un periodo intenso, «di crisi ma anche di straordinaria opportunità di intraprendere un nuovo cammino », sottolinea. In tale ottica vanno interpretate le cosiddette “dimissioni in blocco” dell’episcopato del Paese australe.
Un atto, al contempo, individuale e collettivo. Ognuno dei 32 vescovi in carica ha rimesso l’incarico nelle mani del Pontefice. Compiendolo insieme, nel medesimo istan- te, «essi decidono di farsi carico, come corpo episcopale, di un problema trasversale e sistemico. Un gesto, forse tardivo, ma di sicuro coraggioso. Con cui i vescovi riconoscono di non essere stati all’altezza delle circostanze, al di là delle responsabilità, più o meno gravi, dei singoli. Ed esprimono la disponibilità ad avviare un processo di conversione profonda, personale e comunitaria, per rendere la Chiesa più conforme al mandato evangelico. La notizia mi ha dato molta speranza».
Il gesto dell’episcopato arriva all’indomani di tre giorni di preghiera e meditazione con papa Francesco. Che cosa significa questo metodo di “discernimento congiunto” proposto dal Pontefice?
Rappresenta un precedente per la Chiesa universale, non solo cilena. Francesco ha dato l’esempio, negli ultimi cinque mesi, di come un pastore deve affrontare una situazione difficile.
In che modo?
Egli per primo s’è lasciato “provocare” dalla realtà - incontrata nel viaggio e sottolineata dal commento del cardinale Sean O’Malley - e si è sottoposto per primo, con umiltà evangelica, a un processo di discernimento. Da qui è maturata la prima richiesta di perdono, la volontà di fare chiarezza e di accettare la realtà, in tutta la sua durezza e scomodità. Né la Chiesa né una comunità di perfetti né Francesco un superuomo. Invece di proporsi come tale, ha ammesso pubblicamente il proprio errore e ha cercato di porvi rimedio. In modo innovativo. A conclusione della missione di Scicluna e Bertomeu ha avviato una seconda fase di discernimento comunitario. Prima con le vittime, poi con i vescovi. Un’esperienza concreta di sinodalità, assunta a pieno, in una contingenza critica, in cui più forte è la tentazione di “prendere in mano le redini” da soli. In tal modo, Bergoglio ha mandato un messaggio forte all’intera Chiesa. E, nel caso particolare cileno, possiamo vedere che il ’metodo Francesco’ sta producendo frutti.
Lei ha parlato di ’problema sistemico’. Che cosa intende?
Al di là del caso Karadima e dei ’gravi errori ed omissioni’ di alcuni, la Chiesa cilena ha mostrato, negli ultimi decenni, una disfunzione di fondo. Una certa “spiritualità da sacrestia”, cioè un forte clericalismo, l’ha separata dal resto della società. Lo hanno riconosciuto gli stessi vescovi nella loro lettera quando affermano la necessità di dare nuovo impulso alla missione profetica e di rimettere Cristo al centro. Al suo posto, nel passato recente, la Chiesa ha messo se stessa e i propri interessi. O, peggio, quelli del proprio gruppo, del proprio settore, della propria comunità. L’autopreservazione e autodifesa a oltranza hanno ferito la comunione ecclesiale.
Come ripartire?
Francesco ha indicato la direzione: la sinodalità. Solo da un processo di discernimento approfondito e condiviso tra vescovi, sacerdoti, religiosi, laici, possono venire quelle misure di lungo periodo affinché il «volto del Signore torni a risplendere nella nostra Chiesa».
Germania, 547 bambini del Coro Ratisbona vittime di violenza
Secondo rapporto legale, 67 subirono anche abusi sessuali
di Redazione (ANSA, 18 luglio 20171)
BERLINO. Sono almeno 547 i bambini che, nel corso di decenni, hanno subito violenze nel coro del Duomo di Ratisbona. È il risultato emerso dal rapporto finale presentato dall’avvocato Ulrich Weber, e divulgato dai media tedeschi.
Stando al documento, 500 bambini hanno subito violenze corporali, e 67 anche violenze sessuali. Secondo Weber 49 colpevoli sono stati identificati.
Il fratello del Papa emerito Benedetto XVI, Georg Ratzinger, ha diretto il coro di Ratisbona, per il quale i media tedeschi oggi parlano di 547 bambini vittime di violenza sessuale nei decenni, per quasi trent’anni, dal 1964 al 1993. Ma i fatti dell’inchiesta, di cui si era parlato anche nel 2000 anche se non con questi elementi di gravità, risalirebbero ad un periodo precedente. L’ex vescovo di Ratisbona ed oggi anche ex Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Gerhard Mueller, quando si parlò nel 2000 di alcuni casi di pedofilia aveva dichiarato: "Georg Ratzinger è assolutamente, temporalmente e realmente estraneo" a questa vicenda. Più recentemente, a gennaio del 2016, il fratello di Joseph Ratzinger aveva dichiarato: "Ai miei tempi non ho assolutamente sentito nulla di abusi sessuali".
Dopo premio e l’appello degli autori di Spotlight, l’accusato monsignor Pell ricevuto in udienza da Bergoglio
Il cardinale chiamato dalla Royal commision di Sydney a difendersi per casi insabbiati, è stato nominato dal pontefice Segretario all’Economia
di Luca Kocci (il manifesto, 01.03.2016)
Il premio Oscar come miglior film a Il Caso Spotlight, che racconta gli abusi sessuali sui minori commessi da decine di preti dell’arcidiocesi di Boston negli anni ‘80 e ‘90, solleva nuovamente il coperchio del pentolone in cui, nonostante i tentativi di gettare acqua sul fuoco, continua a bollire lo scandalo della pedofilia ecclesiastica. «Questo film dà voce ai sopravvissuti, e questo Oscar amplifica questa voce che noi tutti speriamo possa arrivare fino al Vaticano», ha dichiarato Michael Sugar, produttore del film, con ancora in mano la statuetta appena ricevuta sul palco del Dolby Theatre di Los Angeles. E poi, rivolgendosi direttamente al pontefice: «Papa Francesco, è arrivato il momento di proteggere i bambini e restaurare la fede!».
Il film, scritto da Tom Mc Carthy e Josh Singer e premiato anche per la migliore sceneggiatura originale, racconta «la madre» di tutte le vicende di pedofilia ecclesiastica: la storia dello Spotlight, il team di giornalisti investigativi del Boston Globe che nel 2002, a partire dalla notizia di cronaca di un parroco locale accusato di aver abusato sessualmente di molti giovani nel corso di un trentennio, con un’inchiesta premiata con il Pulitzer, rivelò la miriade di abusi sessuali commessi su centinaia di minori da parte di circa 80 preti dell’arcidiocesi di Boston, allora guidata dal cardinale Bernard Law - attualmente arciprete emerito della basilica di Santa Maria Maggiore a Roma - e l’insabbiamento dello scandalo da parte delle istituzioni ecclesiastiche.
Un film che ha ricevuto il plauso di monsignor Charles Scicluna, attuale arcivescovo di Malta e per anni promotore di giustizia della Congregazione per la dottrina della fede, in prima linea nel contrasto agli abusi sessuali del clero, il quale ha consigliato a preti e vescovi di andare a vederlo. E del gesuita padre Hans Zollner, membro della Pontificia commissione per la tutela dei minori e presidente del Centro per la protezione dei minori dell’Università pontificia Gregoriana: «C’è un grande apprezzamento per il film e ovviamente anche un apprezzamento per il messaggio e il modo in cui viene trasmesso», ha dichiarato a Radio Vaticana.
«È un forte invito a riflettere e a prendere sul serio il messaggio centrale, cioè che la Chiesa cattolica può e deve essere trasparente, giusta e impegnata nella lotta contro gli abusi e che deve impegnarsi affinché non si verifichino più. Dobbiamo cambiare quel nostro atteggiamento che in italiano si può esprimere con quella famosa parola “omertà”. Non parlare, voler risolvere tutto spazzando via tutto sotto il tappeto, nascondersi e pensare che tutto passerà. Bisogna capire che non passerà: ormai dobbiamo renderci conto che o ci pensiamo noi con molto coraggio e la capacità di affrontare le cose guardandole in faccia, oppure un giorno, prima o poi, saremo obbligati a farlo. E questo penso sia uno dei messaggi centrali di questo film».
Se la vicenda narrata da Spotlight oggi è chiusa, tanto che l’attuale arcivescovo della capitale del Massachusetts, il cardinale cappuccino Sean Patrick O’Malley inviato a Boston per “ripulire” la diocesi dopo le dimissioni di Law, è il presidente della Pontificia commissione per la tutela dei minori, resta ancora aperta la questione pedofilia nella Chiesa cattolica.
Prova ne è il fatto che, per singolare coincidenza, l’assegnazione dell’Oscar al Caso Spotlight è arrivata nella stessa notte in cui il cardinale australiano conservatore George Pell, potente prefetto della Segreteria per l’economia, nominato da papa Francesco (una sorta di superministro vaticano dell’economia), ha testimoniato in videoconferenza, dall’hotel Quirinale di Roma - era stata chiesto che si recasse a Sidney per deporre, ma il cardinale ha presentato un certificato medico che gli evitato il viaggio - di fronte alla Commissione governativa australiana che da quasi tre anni indaga sugli abusi sui minori commessi anche da preti e religiosi.
Come in altri Paesi, anche in Australia quasi sempre i preti pedofili non sono stati denunciati dai loro vescovi, ma poi solo trasferiti in altre parrocchie, dove hanno proseguito a compiere abusi.
Pell non è accusato di aver commesso abusi, ma di aver insabbiato alcuni scandali e coperto alcuni preti pedofili nelle diocesi in cui ha lavorato come parroco e come vescovo (accuse sempre respinte dal cardinale). La Chiesa cattolica «ha commesso enormi errori, ha causato gravi danni in molti luoghi, ha deluso i fedeli, ma sta lavorando per rimediare», ha dichiarato Pell alla Royal commission.
«Non sono qui a difendere l’indifendibile», ha aggiunto, in quel periodo la Chiesa era «fortemente propensa» ad accettare smentite degli abusi da parte di chi ne era accusato. L’istinto allora era più di «proteggere dalla vergogna l’istituzione, la comunità della Chiesa».
Dopo la deposizione - a cui hanno assistito anche una quindicina di vittime arrivate direttamente dall’Australia -, ieri mattina Pell è stato ricevuto in udienza (già programmata) da papa Francesco. E nella notte appena trascorsa c’è stata una seconda udienza, a cui ne seguiranno altre due o tre, nelle quali inevitabilmente si entrerà nel merito dei singoli casi addebitati al cardinale.
I vescovi che coprono gli abusi sessuali processati in Vaticano
Il Papa: abuso d’ufficio episcopale per chi insabbia
di Giacomo Galeazzi (La Stampa, 11.06.2015)
In giudizio a Roma i vescovi inadempienti. Per decisione di Francesco saranno processati in Vaticano i presuli che insabbiano gli abusi sessuali del clero. Svolta storica nella lotta ai preti pedofili: il Papa ha stabilito che sia reato canonico l’«abuso d’ufficio episcopale» riferito ai presuli che non danno seguito alle denunce di violenze di sacerdoti.
Stop alle coperture
«Sono molto contenta che Francesco abbia approvato la proposta della commissione sull’accountability», commenta Mary Collins, membro irlandese della pontificia commissione per la tutela dei minori, da bambina vittima di un prete pedofilo. Il Pontefice ha individuato mezzi e organismi per perseguire i vescovi che coprono gli abusi dei loro sacerdoti. Prioritarie l’ attenzione alle vittime e la prevenzione. Nelle inchieste sulla pedofilia sarà applicato l’abuso di ufficio ai vescovi insabbiatori. Diventano competenti, per le denunce contro i presuli, tre dicasteri vaticani (Vescovi, Evangelizzazione dei popoli e Chiese orientali) e viene rafforzato l’ex Sant’Uffizio, competente per il giudizio, con una nuova sezione giudiziaria.
Sarà nominato un segretario «ad hoc»: un’innovazione che snellirà il carico di arretrati sui processi per abusi del clero. Sulla lotta alla pedofilia del clero, il Papa, d’intesa con il consiglio dei nove cardinali consiglieri, ha recepito le indicazioni dalla commissione per la tutela dei minori. Tra il 2004 ed il 2013, il Vaticano ha allontanato 884 preti accusati di pedofilia, svestendoli dell’abito talare e riducendoli allo stato di laici, cioè di comuni cittadini. Nell’ultimo decennio sono stati 3.420 i casi giunti alla Congregazione per la Dottrina della fede, fondati su accuse credibili di abusi commessi sui minori da membri del clero.
La maggioranza dei casi si riferisce agli anni ‘50, ‘60, 70’ e ‘80.Lo scorso luglio Francesco ha chiesto perdono alle vittime nella messa a Santa Marta in cui hanno preso parte sei vittime delle violenze che poi hanno incontrato in privato il Papa per oltre tre ore. «Davanti a Dio e al suo popolo sono profondamente addolorato per i peccati e i gravi crimini sessuali commessi da membri del clero nei vostri confronti e umilmente chiedo perdono: hanno profanato la stessa immagine di Dio in una sorta di culto sacrilego», ha evidenziato il Pontefice scusandosi anche per i «peccati di omissione da parte dei capi della Chiesa». Dalla parole ai fatti.
Rimozioni immediate
Gli abusi del clero e in particolare i suicidi di chi non ha retto alla pena, avverte Francesco, «pesano sul mio cuore, sulla mia coscienza e su quella di tutta la Chiesa». Dunque «angustia e sofferenza» per gli abusi con cui gli orchi in talare hanno sacrificato i piccoli «all’idolo della loro concupiscenza». E ha ricevuto in privato le sei vittime, tre uomini e tre donne provenienti da Germania, Irlanda e Regno Unito. Tolleranza zero e nessuna zona grigia. Francesco ha già rimosso presuli insabbiatori come Finn a Kansas City e Rivera Plana in Paraguay. Ora crea il tribunale vaticano per i vescovi sospettati di aver coperto preti pedofili invece di collaborare con la giustizia civile nel perseguire chi viola i bambini. Mai più l’alibi di una malintesa «ragion di Chiesa».
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Il tribunale di Francesco
La svolta di Bergoglio contro chi ha preferito insabbiare gli scandali
di Adriano Prosperi (la Repubblica, 11.06.2015)
LA NOTIZIA appartiene alla storia e alla vita della Chiesa come società estesa nel tempo e nello spazio, ma ha qualcosa da dire anche alla società italiana nel suo complesso e a coloro che la governano. Papa Francesco ha accolto tra le altre una proposta di quella Commissione per la tutela dei minori da lui voluta, dove siedono tra gli altri due membri che da bambini furono abusati da sacerdoti: l’istituzione del reato di “abuso di ufficio episcopale”. Ne sono colpevoli quei vescovi che, informati di abusi sessuali di preti su minori o persone deboli, non danno o non daranno corso adeguato alla denunzia. Ed è fortemente probabile che la norma verrà interpretata in senso retroattivo e potrà colpire anche quei vescovi che nel passato hanno insabbiato, taciuto o dato scarsa rilevanza alla notizia di tali reati nelle loro diocesi .
LO HA lasciato intendere il direttore della Sala stampa vaticana Padre Lombardi quando ha fatto presente che «la norma non nasce dal nulla» e che nel codice di diritto canonico ci sono già elementi in tal senso. La frase di Padre Lombardi è significativa: davvero non si può dire che la norma nasca dal nulla. È un conteggio di secoli, non di anni quello che ci vorrebbe per passare in rassegna i tanti e diversi esperimenti succedutisi nel tempo per mettere sotto controllo i comportamenti sessuali di un clero costretto dall’obbligo canonico del celibato a dare forme anomiche e spesso decisamente criminali allo sfogo degli istinti sessuali.
Per le autorità ecclesiastiche il problema dominante è sempre stato quello di impedire che le debolezze della carne - quando la carne era coperta dall’abito talare - rovesciassero il discredito sull’intero corpo ecclesiastico. E se per lungo tempo la procedura segreta dei processi canonici risolse il problema, le cose cambiarono agli inizi dell’età moderna con la diffusione dell’informazione e delle satire a mezzo stampa e con la Riforma protestante.
Allora la risposta papale fu quella di mettere nelle mani della Congregazione dell’Inquisizione Romana il caso dei preti che approfittavano del contesto della penitenza sacramentale per insidiare sessualmente chi andava a confessarsi. Fu inventato allo scopo il crimine che il cauteloso latino ecclesiastico definì di “sollicitatio ad turpia”, o “sollecitazione a compiere atti turpi”. Non funzionò: la solidarietà di corpo fece sì che i vescovi informati dei crimini del clero facessero orecchie da mercante.
La misura odierna riporta di nuovo la materia sotto il controllo della Congregazione vaticana che ha preso il posto del Sant’Uffizio e che fu a lungo governata da Joseph Ratzinger. Infatti le denunzie del reato, da indirizzare alle Congregazioni per i Vescovi, per l’Evangelizzazione e per le Chiese Orientali, finiranno sul tavolo di una apposita sezione della Congregazione per la Dottrina della Fede.
C’è da sperare che stavolta le cose andranno diversamente rispetto a quando a metà ‘900 il cardinal Ottaviani, ultimo prefetto della congregazione del Sant’Uffizio, decise di chiudere sotto il coperchio di un segreto totale l’esame e il giudizio sui casi di violenza sui minori. Trasparenza ed efficacia di una giustizia non sospetta di ipocrisia e di connivenze clericali sono l’unica ed estrema possibilità per la Chiesa di risalire la china di un discredito che ha superato da tempo il livello di guardia.
Da questa vicenda, esplosa con clamore all’inizio di questo millennio, l’intera struttura del corpo ecclesiastico cattolico ha ricevuto un danno enorme: né si vuol parlare qui della dimensione del costo dei risarcimenti nei processi che le diocesi hanno dovuto affrontare. Se c’è un delitto fra tutti repellente nella sensibilità profonda delle nostre culture è quello dell’abuso sui minori e sui deboli di ogni genere.
È qui che si raccoglie ancora oggi il frutto di un seme evangelico. La condanna senza appello del Gesù dei Vangeli si è abbattuta così proprio su quel corpo ecclesiastico che ha celato sotto il mantello dei suoi privilegi chi ha abusato delle creature più indifese affidategli dalla fiducia della società.
Lo choc è stato particolarmente forte nelle nazioni cattoliche: lo si è visto nel caso dell’Irlanda. Senza il precedente dello scandalo dei preti pedofili non si capirebbe il rivolgimento profondo che ha portato l’Irlanda cattolica al risultato clamoroso del referendum sul matrimonio delle coppie omosessuali.
Ed è qui che noi italiani siamo costretti a misurare ancora una volta l’arretratezza di un Paese come il nostro, nominalmente cattolico ma dove su questi temi regna il silenzio del sistema dei media e spiccano nel confronto internazionale la pavidità e il servilismo filoclericale della classe politica tutta davanti a una questione che ci vede stazionare nelle ultime posizioni del mondo civile.
Siamo costretti a sperare che venga dal papa l’impulso a cancellare l’intollerabile discriminazione che colpisce da noi le coppie omosessuali. Ma, del resto, che cosa possiamo aspettarci dal Paese dove il crocifisso è stato concordemente definito dalle autorità politiche ed ecclesiastiche italiane e dalla corte europea “un arredo” privo di significato religioso?
Pedofilia e Vaticano: “segreto” sulle carte di don Mauro Inzoli *
“DELUDE PROFONDAMENTE la scelta del Vaticano di non trasmettere alla Procura di Cremona gli atti inerenti i casi di abusi su minori che hanno visto protagonista don Mauro Inzoli e accertati dalle stesse autorità ecclesiastiche. La decisione della Santa Sede di apporre ai carteggi richiesti dalla giustizia italiana il sub secreto pontificio, una sorta di segreto di Stato, è una contraddizione rispetto al nuovo corso che aveva annunciato lo stesso Papa Francesco”: lo afferma Franco Bordo, il deputato di Sinistra ecologia libertà, autore a Crema di un esposto che ha avviato l’inchiesta giudiziaria nei confronti del sacerdote.
“Auspichiamo - prosegue l’esponente di Sel - che ci sia un ripensamento al riguardo e che si sia trattato di una decisione burocratica e non di una cosciente e precisa scelta politica da parte delle autorità vaticane, che non sarebbe compresa e accettata dai cittadini italiani. I tempi dell’omertà su temi del genere sono finiti e oggi ancor più di ieri il silenzio non è accettabile né comprensibile. Confidiamo ora che comunque le indagini proseguano e siamo fiduciosi che la magistratura italiana riesca ad accertare anche autonomamente i fatti”.
* il Fatto, 04.03.2015
Armi spuntate contro il clero pedofilo
La commissione pontifica voluta dal papa è ancora in fase di rodaggio e si riunirà solo in ottobre
di Alessio Schiesari (il Fatto, 15.07.2014)
Si chiama Pontificia commissione per la tutela dei minori il bastone (il copyright è più di Eugenio Scalfari che di Bergoglio) che Papa Francesco proverà a brandire a contro il clero pedofilo. Istituita lo scorso marzo, per guidarla il papa venuto dalla fine del mondo ha scelto - con uno dei suoi coup de théâtre - l’arcivescovo di Boston Sean O’ Malley, il rappresentante del clero statunitense che più di ogni altro si è schierato per la politica della tolleranza zero contro i pedofili. L’organo collegiale voluto da Bergoglio è composto da sei membri, tre uomini e tre donne. Tra queste c’è anche l’irlandese Marie Collins, abusata da un sacerdote all’età di tredici anni, che due anni fa denunciò il suo caso di fronte alle più alte autorità vaticane.
LA COMMISSIONE sarà pure un’arma, ma al momento è ancora piuttosto spuntata. Si è riunita due sole volte (ai primi di maggio e la prima domenica di luglio) e perfino la sua composizione è ancora sub judice. In molti infatti chiedono che venga ampliata e aperta anche a un maggior numero di membri extraeuropei, in modo da renderla pronta ad affrontare i casi e le segnalazioni provenienti da tutto il mondo.
Al momento non è ancora chiaro come agirà: per dirla con il responsabile della comunicazione vaticana, monsignor Federico Lombardi, la commissione sta ancora definendo “gli statuti, il suo status e le sue finalità il modo di essere”, oltreché la possibilità di disporre di “un ufficio operativo stabile”. In altre parole, ancora non è chiaro cosa farà, come agirà e che poteri avrà.
L’unico risultato ottenuto finora è stato l’incontro privato tra Bergoglio e sei vittime di abusi (equamente ripartiti tra Germania, Irlanda e Regno Unito), avvenuto lo scorso 7 luglio. Un segnale più chiaro della volontà di Bergoglio di fare pulizia senza reticenze è arrivata a fine giugno con la riduzione a stato laicale dell’ambasciatore della Santa sede a Santo Domingo, il nunzio apostolico polacco Josef Wesolowski (che ora rischia l’estradizione).
Tra gli altri spunti dell’intervista di Bergoglio a Repubblica che hanno avuto più eco a livello internazionale, c’è il dato sulla percentuale di preti pedofili all’interno della chiesa, che Bergoglio stima al due per cento. Tradotto in numeri assoluti, sarebbero quindi circa 8 mila i sacerdoti che si sono macchiati di abusi, su un totale di 414 mila.
Prima di Bergoglio, la facoltà di giustizia criminale del John Jay College di New York aveva stimato una percentuale doppia, il 4 per cento, per il periodo tra il 1950 e il 2002. Un dato che sembra altissimo, ma che in realtà è simile a quello di altre categorie abituate a lavorare con l’infanzia.
CHI NON MUORE SI RIVEDE: SCICLUNA TORNA ALLA RIBALTA NELLA LOTTA AGLI ABUSI SESSUALI *
37613. EDIMBURGO-ADISTA. Una visita apostolica in piena regola verrà effettuata nella diocesi scozzese di Edimburgo, il cui ex arcivescovo, il card. Patrick O’Brien, si era dimesso, lo scorso anno, appena prima che iniziasse il Conclave (al quale avrebbe dovuto partecipare, v. Adista Notizie n. 20/13), in seguito alla diffusione di accuse di abusi sessuali rivolte contro di lui da quattro uomini - tre preti e un sacerdote laicizzato - protagonisti, ora, di un appello perché venga fatta giustizia (v. Adista Notizie n. 13/14). E per questo compito delicato, con una mossa a sorpresa, papa Francesco ha scelto di far tornare alla ribalta il campione della tolleranza zero nei confronti degli abusi, mons. Charles Scicluna, 55, anni, “allontanato” forse per troppo zelo nel 2012, quando fu investito da Ratzinger - lo stesso che inizialmente lo aveva scelto - di altro incarico, quello di vescovo ausiliare di Malta (v. Adista Notizie n. 37/12).
Tolleranza (meno di) zero
Dal 2002 “promotore di giustizia” della Congregazione per la Dottrina della Fede (una sorta di procuratore generale dell’ex Santo Uffizio), per anni Scicluna aveva svolto il delicatissimo compito - avocato alla CdF con un motu proprio del 2001 - di indagare sui cosiddetti delicta graviora, i delitti che la Chiesa cattolica considera i più gravi in assoluto (e cioè quelli contro l’eucarestia, contro la santità del sacramento della penitenza e il delitto contro il sesto comandamento di un chierico con un minore di diciotto anni).
Dietro la sua rimozione del 2012, si erano potute individuare alcune ragioni: anzitutto le sue insistenze, vissute con fastidio da alcuni settori della gerarchia, nei confronti delle Chiese locali affinché collaborassero pienamente e senza reticenze con la giustizia civile; poi gli inviti fatti alle vittime affinché denunciassero gli abusi e la fermezza con cui aveva intimato a vescovi e preti colpevoli di farsi da parte o dimettersi; inoltre, la pretesa che ogni Conferenza episcopale si dotasse di linee guida severe e rigorose nel contrasto ai preti pedofili. Infine, l’aver criticato quelle Conferenze episcopali, compresa quella italiana, ritenute inadempienti o lacunose nel dare seguito alle indicazioni del Vaticano. Scicluna, poi aveva svolto un ruolo chiave anche nella vicenda che portò alle dimissioni del conclamato pedofilo p. Marcial Maciel Degollado dalla Congregazione da lui fondata, quella dei Legionari di Cristo (v. Adista nn. 23 e 32/10).
È vero che degli anni di Scicluna restano anche aspetti contradditori: se nel solo 2011 (quando lo scandalo mondiale degli abusi stava emergendo in tutta la sua gravità in Paesi come Stati Uniti, Irlanda, Germania, Belgio, gettando discredito anche sul Vaticano) ha aperto più di 400 procedimenti disciplinari per abusi sessuali, negli anni precedenti era stato molto meno attivo; nondimeno, è sempre stato estremamente netto e chiaro nelle sue affermazioni. Come nel febbraio 2012, quando in occasione di un convegno alla Pontificia Università Gregoriana - e non è da escludere che proprio queste parole siano state all’origine della sua rimozione - parlò di “omertà”, riferendosi alla «cultura mortale del silenzio» sugli abusi. «Ulteriori nemici della verità - aggiunse - sono la negazione volontaria di fatti noti e l’erronea preoccupazione secondo la quale al buon nome dell’istituzione debba in qualche modo essere garantita la massima priorità a scapito della legittima denuncia di un crimine» (v. Adista Notizie n. 7/12).
Di nuovo alla ribalta
E così ora, con la nomina a visitatore apostolico a Edimburgo, mons. Scicluna torna a occuparsi di abusi, e lo farà da subito, dal momento che si trova già sul posto. Lo ha reso noto il 4 aprile un comunicato dell’Ufficio stampa cattolico scozzese, specificando che la nomina, «come proprio inviato speciale per ascoltare e riportare sulle recenti grave accuse di cattiva condotta» proviene dalla Congregazione per i Vescovi, che ha dato seguito a una richiesta esplicita di papa Francesco.
Soddisfazione è stata espressa dall’attuale arcivescovo di Edimburgo, mons. Leo Cushley, che ha espresso gratitudine al papa e alla Congregazione per il provvedimento, «indicativo della serietà con cui la questione è affrontata». «Credo che si tratti di un passo positivo nella direzione della verità - ha aggiunto - e della riconciliazione finale; forse non sarà facile, ma è la cosa giusta da fare». Scicluna incontrerà i preti della diocesi, che sono stati invitati dal vescovo, in due lettere del 1° aprile, a riferire qualsiasi cosa sappiano in riferimento a casi di abuso sessuale. Nessun riferimento esplicito al card. O’Brien, ma il fatto che la visita apostolica sia stata commissionata dalla Congregazione per i Vescovi e non da quella per la Dottrina della Fede, normalmente incaricata nei casi di abusi, indicherebbe un suo coinvolgimento diretto. (ludovica eugenio)
*
Adista Notizie n. 15 del 19/04/2014
Mea culpa seriale
Anche Francesco chiede perdono per i preti pedofili
di Alessio Schiesari (il Fatto, 12.04.2014)
"Chiedo perdono per i sacerdoti che hanno abusato sessualmente dei bambini. Saremo forti, non faremo passi indietro”. Papa Bergoglio ieri ha parlato di pedofilia e, oltre a essersi scusato apertamente come già Joseph Ratzinger nel 2008, potrebbe avere imboccato la linea della tolleranza zero inaugurata dal suo predecessore.
Che Francesco si stesse preparando ad affrontare questo tema era nell’aria. Ad agitare le acque era stata la dura relazione dell’Onu di febbraio, che accusava il Vaticano di avere coperto i sacerdoti pedofili e invitava ad aprire gli archivi. La Santa Sede ha risposto in modo poco conciliante, accusando l’Onu di interferenze “nell’esercizio della libertà religiosa”. Già da mesi le associazioni delle vittime tiravano Bergoglio per la talare, chiedendogli un confronto sugli abusi.
Papa Francesco ha tirato fuori il coniglio dal cilindro lo scorso 22 marzo, quando ha nominato l’irlandese Marie Collins - violentata da un prete all’età di 13 anni - tra gli otto membri della neonata Commissione per la protezione dei fanciulli. Nelle intenzioni del Santo Padre quest’organismo dovrebbe occuparsi non solo di accertare e perseguire gli abusi, ma soprattutto di prevenirli. Stando agli annunci, infatti, stabilirà le linee guida per diventare sacerdoti e fornirà una sorta di attestato di idoneità ai seminaristi.
Questa è la linea sposata da Bergoglio fin da quando era “solo” vescovo di Buenos Aires. Dopo essere stato criticato per la scarsa loquacità sul tema degli abusi, ha affidato una prima risposta al libro Il Cielo e la terra. Qui il futuro papa spiega il suo silenzio, sostenendo di non avere mai avuto a che fare con casi di pedofilia nella sua diocesi, anche se “una volta un vescovo mi ha telefonato per chiedermi cosa fare in una situazione di questo tipo. Gli ho detto di togliere all’interessato le licenze, di non permettergli di esercitare più il sacerdozio e di avviare un giudizio canonico”.
In un altro testo, Il gesuita, Francesco espone la sua linea basata sulla prevenzione: “Bisogna stare attenti nella selezione dei candidati al sacerdozio. Nel seminario di Buenos Aires ne ammettiamo il 40 per cento”.
Eppure il suo pontificato non inizia con la stessa determinazione con cui si era concluso quello di Ratzinger che, tra il 2011 e il 2012, aveva ridotto allo stato laicale 400 sacerdoti accusati di abusi.
La prima volta che Francesco accenna al problema è durante un angelus del marzo 2013, quando si dice “vicino alle vittime degli abusi” e invita la Chiesa a “difenderli”. Poi molti silenzi e tantissime foto a fianco dei bambini, almeno fino al mea culpa di ieri.
Il vero banco di prova sarà però il processo della Congregazione per la dottrina della fede a carico dell’ex nunzio apostolico in Repubblica Domenicana, Jozef Wesolowski. Il prelato polacco è stato una figura di peso all’interno della diplomazia vaticana. Potrebbe essere l’occasione giusta per passare dalle intenzioni ai fatti.
L’ONU ALLA SANTA SEDE: HAI PROTETTO I PEDOFILI, NON I BAMBINI *
37504. ROMA-ADISTA. Bocciata la Santa Sede sull’applicazione della Convenzione delle Nazioni Unite per i diritti del fanciullo (Crc), che ha sottoscritto nel 1990. L’apposito Comitato Onu di vigilanza, con sede a Ginevra, ha emesso il 5 febbraio un rapporto di sedici pagine, al termine di un lungo percorso di interlocuzione fra le parti (v. Adista Notizie nn. 28/13 e 3/14), in cui condanna il comportamento della sede apostolica in particolare riguardo agli abusi perpetrati da preti su bambini. E, pur prendendo nota dell’impegno espresso dalla delegazione della Santa Sede sulla inviolabilità della dignità e dell’integrità personale di ogni bambino, detta una serie di misure che la Santa Sede dovrà rispettare per superare l’esame in futuro. «La Santa Sede - ha detto, esponendo il rapporto, la presidente del Comitato, Kristen Sandberg - ha sistematicamente posto la preservazione della reputazione della Chiesa e la protezione degli autori degli abusi al di sopra dell’interesse per i minori».
La Santa Sede nega ogni responsabilità, dato il suo quadro giuridico. Il portavoce, p. Federico Lombardi, aveva già precisato a metà gennaio (v. ancora Adista Notizie n. 3/14) «la natura particolare della Santa Sede come soggetto di diritto internazionale che aderisce alla Convenzione, in particolare nella sua distinzione e nel suo rapporto con lo Stato della Città del Vaticano (che è “parte” anch’esso della Crc) e in rapporto alla Chiesa cattolica, come comunità dei fedeli cattolici sparsi nel mondo (che invece non è in alcun modo “parte” della Crc, ed i cui membri sono sottoposti alle leggi degli Stati dove vivono ed operano)».
Il Rapporto cita però direttive e prassi della Santa Sede che rendono poco credibile fin quì la tesi difensiva del Vaticano.
I crimini riconducibili alla Santa Sede
«Il Comitato è gravemente preoccupato -sintetizza il Rapporto - del fatto che la Santa Sede non abbia riconosciuto la portata dei crimini commessi, non abbia intrapreso le misure necessarie per affrontare i casi di abusi sessuali sui minori e per proteggere i bambini e abbia adottato politiche e prassi che hanno condotto alla continuazione dell’abuso con impunità dei responsabili». Poi entra nello specifico: «Pedofili ben noti sono stati trasferiti di parrocchia in parrocchia o in altri Paesi nel tentativo di coprire tali crimini, pratica questa documentata da numerose Commissioni nazionali di inchiesta» e permettendo «a molti preti di restare a contatto con i bambini e di continuare ad abusarne»; «la Santa Sede ha stabilito la sua piena giurisdizione sui casi di abusi sessuali su minori nel 1962 e li ha posti nel 2001 [v. Adista n. 87/01] sotto l’esclusiva competenza della Congregazione per la Dottrina della Fede», e tuttavia «ha declinato di fornire al Comitato i dati relativi a tutti i casi di abusi sessuali sui minori portati alla sua attenzione nel periodo delle denunce e come risultato dei processi interni»; «l’abuso sessuale sui minori» è stato trattato come «grave delitto contro la morale» tramite «procedure confidenziali»; «a causa di un codice del silenzio, imposto a tutti i membri del clero sotto pena di scomunica, i casi di abuso sessuale non sono quasi mai stati denunciati alle autorità giudiziarie dei Paesi dove questi crimini erano avvenuti» e si è dato il caso «di preti e suore rimossi e licenziati per non aver rispettato l’obbligo del silenzio», mentre altri «sono stati gratificati per aver rifiutato di denunciare i responsabili degli abusi come dimostra la lettera rivolta dal card. Darío Castrillón Hoyos al vescovo Pierre Pican nel 2001» (v. Adista n. 63/01); e ancora, la «denuncia alle autorità giudiziarie non è mai stata obbligatoria ed è stata esplicitamente rifiutata in una lettera ufficiale destinata ai membri della Conferenza episcopale irlandese dal vescovo Moreno e dal nunzio Storero nel 1997 [v. Adista n. 5/11]. In molti casi le autorità ecclesiastiche anche ai livelli più alti della Santa Sede hanno mostrato riluttanza e in alcuni casi hanno rifiutato di cooperare con le autorità giudiziarie e con le commissioni nazionali di inchiesta».
Fra le misure per ovviare a queste gravi pecche, il Comitato «sollecita» la Santa Sede, fra l’altro, ad «assicurarsi che la Commissione sulla protezione dei fanciulli creata nel dicembre 2013 investighi in modo indipendente tutti i casi di abuso sessuale su minori così come la condotta della gerarchia cattolica nell’affrontarli»; a rimuovere tutti i sacerdoti colpevoli o sospettati di pedofilia dai loro incarichi e il loro deferimento alle autorità giudiziarie; a «rivedere il Diritto Canonico allo scopo di considerare l’abuso sessuale sui minori come crimine e non come delitti contro la morale».
La reazione della Santa Sede
«La prima reazione è di sorpresa perché - ha detto ai microfoni della Radio Vaticana il 5/2 mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente vaticano presso gli Uffici Onu a Ginevra - l’aspetto negativo del documento che hanno prodotto sembra quasi che fosse già stato preparato prima dell’incontro del Comitato con la delegazione della Santa Sede, che ha dato in dettaglio risposte precise su vari punti, che non sono state poi riportate in questo documento conclusivo o almeno non sembrano essere state prese in seria considerazione. Di fatto il documento sembra quasi non essere aggiornato, tenendo conto di quello che in questi ultimi anni è stato fatto a livello di Santa Sede, con le misure prese direttamente dall’autorità dello Stato della Città del Vaticano e poi nei vari Paesi dalle singole Conferenze episcopali». «La Santa Sede risponderà», assicura, ha ratificato la Convenzione e intende osservarla nello spirito e nella lettera», ma «senza aggiunte ideologiche o imposizioni che esulano dalla Convenzione stessa», aggiunge. «La Convenzione sulla protezione dei bambini - specifica a seguire, in qualche modo, sottraendo legittimità alla Crc - nel suo preambolo parla della difesa della vita e della protezione dei bambini prima e dopo la nascita; mentre la raccomandazione che viene fatta alla Santa Sede è quella di cambiare la sua posizione sulla questione dell’aborto! [v. più avanti] Certo, quando un bambino è ucciso non ha più diritti! Allora questa mi pare una vera contraddizione con gli obiettivi fondamentali della Convenzione».
Se viene riconosciuto alla Santa Sede, come si sostiene nell’introduzione del rapporto conclusivo, che ha risposto esaustivamente a tutte le domande rivoltele dal Comitato, afferma mons. Tomasi, allora tanta negatività del Rapporto fa sorgere un sospetto: «Probabilmente, delle Organizzazioni non governative, che hanno interessi sull’omosessualità, sul matrimonio gay e su altre questioni, hanno certamente avuto le loro osservazioni da presentare e in qualche modo hanno rafforzato una linea ideologica».
Dal canto suo, la Sala Stampa vaticana ha emesso un comunicato nel quale tra l’altro si legge: «Alla Santa Sede rincresce di vedere in alcuni punti delle Osservazioni Conclusive un tentativo di interferire nell’insegnamento della Chiesa Cattolica sulla dignità della persona umana e nell’esercizio della libertà religiosa. La Santa Sede reitera il suo impegno a difesa e protezione dei diritti del fanciullo, in linea con i principi promossi dalla Convenzione sui Diritti del Fanciullo e secondo i valori morali e religiosi offerti dalla dottrina cattolica».
E c’è dell’altro
A cosa si riferisca il comunicato della Sala Stampa quando parla di «tentativo di interferire nell’insegnamento della Chiesa» è presto detto: il Rapporto steso dal Comitato dell’Onu individua una violazione dei diritti del bambino anche nelle conseguenze della dottrina cattolica su famiglia, contraccezione, aborto, protezione dall’Aids. Il Comitato infatti snocciola una serie di ulteriori preoccupazioni, fra le quali: la Santa Sede «non riconosce l’esistenza di una pluriformità di famiglie con la conseguenza di una discriminazione dei bambini sulla base della loro situazione familiare»; nega agli adolescenti «l’accesso alla contraccezione» e all’informazione sulla «salute sessuale e riproduttiva» con il corollario di alta mortalità e morbilità a causa di «premature e indesiderate gravidanze, aborti clandestini» e infezioni da Hiv.
Fra le svariate raccomandazioni riscontrabili nel Rapporto, poi, anche quella di «trasmettere queste conclusioni al papa, alla Curia, alla Congregazione per la Dottrina della Fede, a quella per l’Educazione cattolica e al Pontifico Consiglio per la Pastorale della Salute e di quello per la Famiglia». E che non rimangano senza né vescovi, né «individui e istituzioni che ricadono sotto l’autorità della Santa Sede». Sono tutti responsabili. (eletta cucuzza)
* Adista Notizie n. 6 del 15/02/2014
Il sistema pedofilo vaticano
Rapporto dell’Onu processa la Santa Sede: rimuovete e fate processare tutti i preti colpevoli
di Giampiero Gramaglia (il Fatto, 06.02.2014)
Nel giorno in cui 25.000 persone ascoltano l’esortazione di Papa Francesco nell’udienza generale, “che i bambini si preparino bene alla Prima Comunione e che tutti la facciano”, ultima versione dell’evangelico “lasciate che i bambini vengano a me”, le Nazioni Unite pubblicano un atto d’accusa durissimo contro il Vaticano per i preti pedofili e per le posizioni sull’omosessualità (e pure per l’aborto e la contraccezione). L’attacco frontale è in un rapporto del Comitato dell’Onu sui diritti dell’infanzia diffuso a Ginevra.
Non è la prima volta che il fiume carsico della pedofilia, che ha traversato invisibile e silente quasi cinque secoli di storia della Chiesa, prima di emergere alla superficie con violenza negli ultimi tre papati, crea tensioni tra la gerarchia cattolica e la società civile. Ma forse mai in passato l’atto d’accusa era stato così radicale. Kirsten Sandberg, norvegese, presidente del Comitato, afferma che il Vaticano ha violato, e tuttora viola, la Convenzione dell’Onu sui diritti dell’infanzia: “La Chiesa viola la Convenzione perché non ha fatto tutte le cose che doveva fare”.
IL RAPPORTO non ha riguardi per la Santa Sede, trattata alla stregua d’uno Stato qualsiasi (senza distinguo e senza favori). La reazione del Vaticano è pronta. Ma monsignor Silvano Tomasi, capo delegazione della Santa Sede presso il Comitato, peggiora - se possibile situazione, denunciando a Radio Vaticana l’ingerenza nella stesura del rapporto di lobbies omosessuali.
L’arcivescovo è sorpreso: “Pare che il testo fosse già stato preparato prima dell’incontro tra il Comitato e la nostra delegazione”, il mese scorso. “Abbiamo dato risposte precise su vari punti, che non sono state né riportate né prese in considerazione... Il documento muove da tesi ideologiche”.
Il rapporto chiede che vengano “immediatamente rimossi” e consegnati alle autorità civili i prelati coinvolti in abusi su minori o sospettati di esserlo; e pretende che la Santa Sede renda accessibili i propri archivi in modo che chi ha abusato e “quanti ne hanno coperto i crimini” possano essere chiamati a risponderne davanti alla giustizia. Fra le richieste, quelle di scoprire quanti siano “i figli di sacerdoti”.
“Il Comitato - si legge nel rapporto - è gravemente preoccupato dal fatto che la Santa Sede non abbia riconosciuto l’ampiezza dei crimini commessi, non abbia preso le misure necessarie per affrontare i casi di abusi sessuali e per proteggere i bambini e abbia anzi adottato politiche e pratiche che hanno portato a una continuazione degli abusi e all’impunità dei responsabili”.
IL VATICANO è tra i firmatari della Convenzione dell’Onu sui diritti dell’infanzia, approvata dall’Assemblea generale nel 1989. Il testo definisce i diritti fondamentali da riconoscere e garantire ai minori e prevede un controllo sull’operato degli Stati, che devono stilare un rapporto periodico sul rispetto dei diritti dei bambini nel proprio ambito. La Santa Sede ratificò la convenzione nel ’94, ma fino al 2012 non ha consegnato nessun rapporto, neanche dopo le rivelazioni sui casi di abusi, le migliaia di denunce e l’allontanamento dal sacerdozio di centinaia di preti.
Il documento dell’Onu esorta, inoltre, il Vaticano a rivedere le posizioni su aborto, contraccezione e omosessualità. Sull’aborto, quando “è a rischio la vita e la salute delle donne incinte, modificando il canone 1398 in materia” - il rapporto cita un caso del 2009 in Brasile, in cui madre e medico fecero abortire una bambina di 9 anni rimasta incinta dopo la violenza del patrigno -. Sulla contraccezione, per tutelare le adolescenti e prevenire l’Aids.
Per l’omosessualità, il Comitato dell’Onu sollecita la Chiesa a sostenere gli sforzi per depenalizzarla e “fare pieno uso della sua autorità morale per condannare tutte le forme di molestie, discriminazione e violenza contro i minori sulla base del loro orientamento sessuale e/o di quello dei loro genitori”.
Nel rapporto, infine, il Comitato esprime “preoccupazione” per “la sorte degli adolescenti reclutati dalla Legione di Cristo e da altre istituzioni cattoliche, separandoli dalle loro famiglie e isolandoli dal mondo esterno”. E chiede di assicurare “canali accessibili, confidenziali ed efficaci” ai bambini “vittime o testimoni di abusi”, assistendo le famiglie e prevenendo qualsiasi altra forma successiva di violenza.
Una catena di comando ha occultato tutto
di Marco Politi (il Fatto, 06.02.2014)
Città del Vaticano La folgore dell’Onu cade sul Vaticano e illumina violentemente colpe, omissioni, ritardi nel contrastare gli abusi sessuali del clero. Al tempo stesso costringe la Santa Sede a rendere conto di quanto ancora non sta facendo per portare alla luce i crimini commessi e assicurare alla giustizia i preti delinquenti.
Ci sono passaggi nel rapporto del Comitato per i diritti dell’infanzia, che sembrano scritti prima del 2010 quando Benedetto XVI fece pubblicamente mea culpa (nella sua lettera ai cattolici d’Irlanda) per i silenzi della Chiesa, il mancato ascolto delle vittime, la disapplicazione delle norme canoniche che punivano il crimine, l’assenza di intervento dei vescovi e - testualmente - la “preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa e per evitare gli scandali”.
Allora e in seguito Benedetto XVI ribadì più volte che i preti colpevoli dovevano sottoporsi alla giustizia civile. Sia Ratzinger che Bergoglio hanno inasprito la normativa del codice canonico e - a differenza della giustizia civile - i delitti cadono ora in prescrizione solo vent’anni dopo il raggiungimento della maggiore età della vittima. C’è quindi un prima e un dopo.
DELLA STAGIONE precedente fa parte una catena di comando che non ha funzionato. La gran massa dei vescovi ha trattato il problema proteggendo generalmente i colpevoli. Esemplare il caso del cardinale Bernard Francis Law, arcivescovo di Boston, trasferito a Roma alla basilica di Santa Maria Maggiore da Giovanni Paolo II per evitargli disavventure con la giustizia americana.
Non ha funzionato il controllo della Congregazione del Clero. Vergognosa la lettera che il prefetto della congregazione, cardinale Castrillon Hoyos, scrive nel 2001 al vescovo francese Pican per complimentarsi di non aver denunciato alla magistratura un prete, poi condannato per abuso di undici minori.
Non ha funzionato, negli anni del pontificato di Giovanni Paolo II, la Congregazione per la dottrina della fede guidata dall’allora cardinale Ratzinger: congregazione troppo lenta, troppo legalistica nel reagire ad una serie di casi gravissimi venuti poi alla luce sulla stampa internazionale, troppo silenziosa sui crimini del fondatore dei Legionari di Cristo.
Non ha funzionato la segreteria di Stato, retta dal cardinale Sodano, proprio nel caso eclatante di Marcial Maciel Degollado: il governo centrale della Chiesa non ha dato nessun seguito a lettere ufficiali pervenute tramite i nunzi e a denunce pubbliche sulla stampa.
Papa Francesco nel suo primo incontro con l’attuale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede ha ribadito l’impegno della Chiesa a combattere la pedofilia nelle proprie file.
Il rapporto Onu, rifacendo tutta la storia, mette però in luce tutto ciò che oggi ancora non funziona. Vale poco l’obiezione di parte ecclesiastica che la Chiesa non è una multinazionale e il Vaticano non ne sarebbe il quartiere generale. Perchè certo il pontefice non può sapere cosa fa cosa fa un prete in Amazzonia, tocca al vescovo vigilare. Ma spetta ai papi e al loro governo vigilare che tutto l’organismo rispetti e applichi le leggi, che la Chiesa stessa si è data. Tanto più che il cattolicesimo gode - unico fra le religioni - di una fisionomia statuale. E allora il centro deve rendere conto del funzionamento delle sue norme in periferia.
C’è da fare moltissimo. Benedetto XVI incaricò le conferenze episcopali di dotarsi di Linee-guida per contrastare il fenomeno. Ci sono conferenze episcopali, che si sono dotate di strutture nazionali e diocesane serie, e ci sono conferenze episcopali - fra cui brilla la Cei - che finora si sono rifiutate in tutti i modi di assumersi responsabilità nel fare applicare le norme ecclesiastiche. È un atteggiamento di fuga, che non può continuare.
Dopo il rapporto del comitato Onu per i diritti dell’infanzia è evidente che dal Vaticano devono arrivare indicazioni cogenti per tutti - con la creazione di strutture ecclesiali locali e nazionali per scoprire i crimini - se la Santa Sede non vorrà trovarsi di nuovo fra tre anni sul banco degli accusati.
INOLTRE non è tollerabile restare a metà del guado rispetto al dovere di denuncia alla magistratura. In coerenza con gli auspici di Benedetto XVI, il Vaticano la deve dichiarare obbligatoria. Se la pedofilia è un crimine, come ha ricordato papa Francesco ai giornalisti tornando dal Brasile, l’omertà di un vescovo non è sostenibile.
Dire ad esempio, come fa la Cei, che in Italia il vescovo non è un pubblico ufficiale, è ridicolo. Perché? Se io privato cittadino vedo che per strada massacrano una vecchietta, che faccio? Tiro avanti zitto perché non sono un pubblico ufficiale?
Il lavoro del comitato di Ginevra si sta rivelando prezioso. Grazie alle audizioni, cui sono stati chiamati i rappresentanti vaticani, è emerso che Benedetto XVI in due anni ha espulso 384 preti indegni. Bene. Il rispetto delle vittime esige che siano aperte inchieste in tutti i Paesi perché vengano alla luce i crimini nascosti e avvolti nel silenzio. Papa Francesco lo sa dall’esperienza che hanno fatto i suoi connazionali in Argentina.
Quando è in gioco la violazione dei diritti umani non esiste una trasparenza a metà. Non si fa pace con il passato, se prima non si porta alla luce tutta la verità. Chiarendo chi è stato colpevole e chi complice. Il comitato ha toccato anche un punto delicato, che finora era stato sempre rimosso: il destino dei figli dei preti. Non c’è dubbio che tutto ciò rappresenti una sfida per il pontificato di Francesco. Ma la Chiesa non può eluderla.
L’Onu torchia la Santa Sede. “Basta opacità sui preti pedofili”
di Andrea Valdambrini (il Fatto, 17.01.2014)
C’è sempre una prima volta. Anche per la più segreta e misteriosa delle istituzioni, la Santa Sede, che amministra la giustizia nel chiuso delle sue mura senza riferirsi ai tribunali ordinari - e lo fa nei molti casi di abusi sessuali da parte del clero sui minori che hanno attraversato la storia recente.
Per la prima volta una delegazione vaticana ha pubblicamente riferito di fronte alla giuria delle Nazioni Unite a Ginevra. Delegazione certamente di alto profilo, guidata dall’osservatore permanente presso l’Onu, il vicentino arcivescovo Silvano Tomasi e composta, tra gli altri, da monsignor Charles Scicluna, ora vescovo di Malta, che ha a lungo ricoperto il ruolo di promotore di giustizia - ovvero procuratore generale - sui casi di pedofilia presso la Congregazione per la Dottrina della Fede.
Nell’audizione a Ginevra, Scicluna ha riconosciuto come in passato ci sia stata troppa lentezza nel contrasto agli abusi sui minori, ma ora il Vaticano è determinato a fare chiarezza, aggiungendo poi che la magistratura dei Paesi in cui ci sono inchieste aperte deve agire contro chiunque tenti di coprire crimini o depistare le indagini, sacerdoti e vescovi per primi, se è il caso. Da parte sua, Tomasi ha fatto riferimento alla fermezza con cui viene trattato monsignor Wesolowski, già nunzio in Repubblica Dominicana, accusato di abusi, richiamato in Vaticano dove verrà sottoposto a un doppio processo.
I componenti della commissione Onu per i diritti dell’infanzia, però, non hanno risparmiato domande e critiche sulla gestione dei tanti casi di pedofilia emersi, dall’Irlanda agli Usa passando per il Messico - dove il fondatore della potente congregazione dei Legionari di Cristo padre Maciel è reso responsabile di abusi a lungo coperti dalle autorità ecclesiastiche.
SARA OVIEDO - che ha l’incarico di investigatrice sui diritti umani - ha incalzato Scicluna sul perché i religiosi sospettati di molestie sono spesso stati trasferiti di sede piuttosto che denunciati alla polizia. La presidente della commissione Onu ha aggiunto: “Il modo migliore per prevenire nuovi abusi è quello di fare chiarezza su quelli passati. Il vostro modo di agire, però, non sembra essere troppo trasparente”.
All’indomani della sua elezione, Papa Francesco ha chiesto alla Chiesa un’azione decisa contro gli abusi sessuali e più recentemente ha annunciato l’istituzione di una commissione d’inchiesta vaticana.
Abusi, l’Onu interroga il Vaticano. “Più impegno con i preti pedofili”
Sarà processato un prelato polacco. Il Papa: “Vergogna per la Chiesa”
di Marco Ansaldo (la Repubblica, 17.01.2014)
CITTÀ DEL VATICANO - Impegno a eliminare lo scandalo della pedofilia nella Chiesa. E annuncio di un processo in Vaticano per un diplomatico polacco accusato di abusi sessuali sui minori. Con questa doppia promessa formale la Santa Sede ieri ha risposto comparendo per la prima volta davanti a un organismo internazionale, l’Onu a Ginevra, per fornire spiegazioni sull’imbarazzante caso internazionale scoppiato nel 2011.
Accusato per anni di aver coperto lo scandalo per difendere la propria reputazione, e scosso dall’entità del fenomeno, il Vaticano ha poi ordinato a tutti i vescovi di denunciare alla giustizia ordinaria del proprio Paese i membri del clero accusati di pedofilia. E Papa Benedetto XVI prima, e Papa Francesco dopo, hanno promesso una nuova linea. A comparire per rispondere alle domande di un comitato delle Nazioni Unite sull’applicazione della Convenzione per i diritti del fanciullo era una delegazione di 6 persone guidata dall’osservatore permanente della Santa Sede a Ginevra, monsignor Silvano Tomasi, di cui faceva parte anche l’ex procuratore per i reati sessuali, monsignor Charles Scicluna, autore fino a pochi anni fa di denunce non sempre gradite in ambito ecclesiale, oggi vescovo a Malta.
Nell’interrogatorio Scicluna ha riconosciuto che la Santa Sede è stata lenta ad affrontare la crisi, ma ha aggiunto che è adesso impegnata a farlo e incoraggiato i procuratori a intraprendere azioni contro chiunque ostacoli la giustizia. Duro l’intervento dell’investigatrice del comitato per i diritti umani, Sara Oviedo, la quale ha incalzato la delegazione vaticana chiedendo le ragioni per cui spesso i sacerdoti accusati diabusi siano stati trasferiti invece che consegnati alle forze dell’ordine. Un membro del comitato è anche la psicologa e psicoterapeuta italiana Maria Rita Parsi.
Monsignor Tomasi ha quindi parlato del caso riguardante l’ex nunzio apostolico nella Repubblica domenicana, il polacco Josef Wesolowski, accusato di abusi sessuali su minori. Verrà giudicato - ha detto - con «la severità che merita». Tomasi si è poi diffuso sull’impegno della Chiesa per affrontare questo «crimine orrendo e abnorme» degli abusi,tanto a livello centrale quanto a livello di base. «Il risultato dell’azione combinata adottata - ha detto l’osservatore permanente vaticano - dalle Chiese locali e dalla Santa Sede presenta una cornice che, se correttamente applicata, contribuirà a eliminare gli abusi da parte del clero».
In un intervento alla Radio Vaticana, il portavoce papale, padre Federico Lombardi, ha detto che sul caso la Santa Sede ha dato risposte «ampie e efficaci». E lo stesso Papa, nella sua omelia mattutina a Santa Marta, ha parlato di «corruzione dei sacerdoti» che invece di dare «da mangiare ilpane della vita» danno un «pasto avvelenato». «Tanti scandali - ha detto - che io non voglio menzionare singolarmente, ma tutti ne sappiamo... Sappiamo dove sono! La vergogna della Chiesa!».
Sono state alcune organizzazioni e vittime statunitensi, europee e messicane, a far arrivare il dossier degli abusi sul tavolo del comitato Onu. L’organismo non ha poteri giuridici per punire i colpevoli. Ma un’eventuale sanzione sarebbe un brutto colpo per la Chiesa che sta cercando di darsi una nuova immagine.
Tocca a Bergoglio scoperchiare lo scandalo dei preti pedofili
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 19 ottobre 2013)
"Voglio che questa storia serva a qualcuno”. L’improvvisa confessione di Lapo Elkann sugli abusi subiti in un collegio religioso (fuori d’Italia) è un segnale per papa Bergoglio. E non perché l’istituto appartenga allo stesso ordine del papa argentino, l’ufficio stampa dei gesuiti smentisce. Ma per due motivi cruciali. Il primo è che in certe istituzioni chiuse religiose - ma non solo - la repressione e la perversione dei criminali è così forte da non fermarsi nemmeno dinanzi al timore di essere scoperti dalle famiglie “potenti” della vittima. Figurarsi con quanta maggiore prepotenza e delirio di impunità si agisce e si è agito per secoli verso vittime socialmente del tutto indifese.
E l’intervista di Elkann come le innumerevoli testimonianze delle organizzazioni che difendono i “sopravvissuti”, a partire dalla statunitense Snap, sono lì a rammentarci che le ferite si trascinano e si approfondiscono negli anni a venire. Sino a risultare intollerabili e persino mortali. Il secondo elemento di riflessione - che bussa insistentemente alle porte del nuovo papato - è che il lavoro di pulizia, cominciato con Benedetto XVI, è ancora ai primissimi inizi.
Si tratta di rendere giustizia a vittime, la maggior parte delle quali è stata brutalmente silenziata per decenni. Non basta cessare di mettere bastoni tra le ruote della magistratura e della polizia, quando il crimine viene scoperto dalle autorità statali. Non basta nemmeno incoraggiare (parola soventemente ipocrita) le vittime a rivolgersi al giudice. Non è sufficiente.
La Chiesa, per la funzione morale che si attribuisce , deve farsi parte attiva per portare alla luce i crimini che avvengono tra le mura delle sue istituzioni. E deve predisporre persone e strutture che possano assistere prontamente gli abusati, ascoltando le loro denunce e assicurando alla giustizia i colpevoli.
Perché il pontificato di Francesco è chiamato direttamente in causa? Perché una Chiesa, che vuole presentarsi con il volto della “tenerezza” (parola-chiave che ha spinto tante persone anche non credenti a volgersi verso Bergoglio con attenzione e interesse), non può chiudere gli occhi dinanzi al dramma di migliaia di vittime nascoste, sepolte dalla storia degli ultimi decenni, che ancora attendono giustizia.
Almeno la giustizia di essere riconosciute come adolescenti (e oggi uomini e donne traumatizzati) feriti crudelmente due volte: al momento dell’abuso, spesso continuato per anni, e nel lungo arco di tempo in cui gli abusati sono stati negletti. “Nessuno vi ascoltava... (sentivate) che non vi era modo di fuggire dalle vostre sofferenze”, ha scritto Benedetto XVI nella sua lettera di autocritica ai cattolici irlandesi nel marzo 2010.
Al nuovo pontefice tocca dunque riprendere in mano il dossier sia assicurandosi che in tutte le conferenze episcopali vengano attivate strutture operative a cui si possano rivolgere le vittime (in molti Paesi, fra cui l’Italia, ancora non ci sono referenti diocesani né responsabili nazionali per contrastare il fenomeno) sia aprendo inchieste a tutti i livelli per far emergere crimini rimasti nascosti. Cosa deve provare una donna o un uomo violentati nel vedere che il prete di allora guida ancora la sua parrocchia o ha fatto carriera nei ranghi della Chiesa istituzionale?
C’è poi una questione scottante, che investe direttamente il pontefice nella sua veste di supremo responsabile della Curia e dei suoi apparati. Il 21 agosto scorso Francesco ha richiamato (praticamente destituendolo) il nunzio vaticano nella Repubblica Dominicana, mons. Jozef Wesolowski, accusato di ripetuti abusi sessuali nei confronti di ragazzi dei quartieri poveri e malfamati di Santo Domingo, a cui si presentava come “Giuseppe”.
Ora però l’opinione pubblica si chiede dove e come sarà processato il vescovo criminale. Tornare alle pratiche del passato, chiudendo la vicenda nel silenzio, non è possibile. Le vittime esigono giustizia e ne hanno il diritto. E la tolleranza-zero si prova solo con la piena trasparenza.
Scicluna, il monsignore che dava la caccia ai preti pedofili
Monsignor Charles Scicluna, per dieci anni è stato promotore di giustizia del Sant’Uffizio occupandosi a fondo della lotta ai preti pedofili
“Mahony a Roma? Se la veda con la sua coscienza”
Non mettetelo in croce per i suoi errori, la Chiesa è misericordiosa
di Paolo Rodari (la Repubblica, 20.02.2013)
MONSIGNOR Charles Scicluna, negli ultimi dieci anni e fino a poche settimane fa, è stato pubblico ministero del tribunale della Dottrina della fede. Nessuno meglio di lui può dire se hanno ragione coloro che chiedono al cardinale arcivescovo emerito di Los Angeles Roger Mahony di non partecipare al Conclave per le accuse di non aver denunciato in passato diversi casi di pedofilia nel clero, oppure no.
Nel suo studio all’interno del palazzo dell’ex Sant’Uffizio - scaffali antichi che trasudano carte e faldoni - per anni Scicluna ha vagliato plichi a più livelli esplosivi, non solo i casi di pedofilia nelle diocesi americane ma anche la doppia vita di Maciel Degollado, fondatore dei Legionari di Cristo, fino alle personalità borderline di padre Lawrence Murphy, mo-lestatore in un istituto di bambini sordi a Milwaukee, e tanti altri.
Monsignor Scicluna, chi è Mahony?
«Un cardinale molto umile che non è riuscito ad arginare i casi di pedofilia nella sua diocesi come sarebbe stato giusto».
L’ha mai incontrato?
«Diverse volte, in via riservata, nel mio ufficio, sia negli anni del prefetto Joseph Ratzinger che in quelle di William Joseph Levada. Veniva a chiedere aiuto, consigli su come agire».
Di cosa parlavate?
«Era dopo il 2002, l’anno in cui i vescovi americani riuniti a Dallas decisero per la prima volta di inaugurare la linea della “tolleranza zero” sulla pedofilia. Mahony, come tutti i vescovi, cercava di capire come comportarsi dopo anni in cui la Chiesa non aveva agito correttamente».
Sta dicendo che prima del 2002 i vescovi americani coprivano i pedofili?
«Non c’erano linee chiare, soprattutto a livello diocesano. Ognuno agiva come poteva, e purtroppo in alcuni casi Mahony ha sbagliato. Il suo errore non è stato soltanto quello di non aver saputo estirpare alla radice il problema della pedofilia. Ma anche che quando si è reso conto che in diocesi il fenomeno era deflagrato, ha pubblicato i nomi di tutti i preti accusati».
Non ha fatto bene?
«No, perché un conto è comunicare i nomi dei colpevoli, un altro quello di coloro che sono sospettati di esserlo. Fra gli accusati ha messo anche se stesso perché due monsignori del Vaticano avevano sospettato di lui. Mi è sembrato francamente troppo».
Entrerà in Conclave?
«Credo di sì, ma in ogni caso deciderà in coscienza cosa fare. Non è una situazione facile per lui. Nelle scorse settimane ha avuto un battibecco col suo predecessore, José Gomez, che ha spinto per destituirlo da ogni incarico, al quale Mahony ha ricordato di aver sempre accettato in passato il suo modo di agire. Non è stato un bell’esempio e credo che queste polemiche abbiano contribuito ad agitarlo».
Ratzinger è sempre stato informato su Mahony e i casi di pedofilia?
«Sempre, certo. E ha lottato per fare pulizia, per agire per il bene delle vittime. Non si tratta però soltanto dei delitti contro il sesto comandamento, ma anche dell’arroganza e della mancanza di umiltà e povertà che a volte caratterizza il modo di fare dei ministri di Dio».
Ratzinger sapeva anche di padre Maciel?
«Nel 2004 Maciel festeggiò nella basilica di San Paolo Fuori le Mura i sessant’anni di sacerdozio. Andò tutta la curia romana, vescovi e cardinali compresi. L’unico che rimase a casa fu Ratzinger, allora prefetto della Dottrina della fede. Sapeva bene, infatti, chi aveva davanti tanto che un mese dopo diede ufficialmente l’abbrivio all’investigazione vaticana nei suoi confronti. Fu una sofferenza enorme per lui perché era ben consapevole di quanta considerazione Maciel godesse nella curia romana. Eppure agì andando contro corrente per amore della verità. Però vorrei dire un’altra cosa».
Prego.
«La politica di Ratzinger è stata quella di pulire la Chiesa dalla sporcizia ma anche di usare misericordia. Ha sempre avuto la consapevolezza, come san Paolo, che gli uomini di Dio custodiscono un tesoro in vasi di argilla. L’immagine più forte alla quale ha cercato di riferirsi è la visione che ebbe santa Ildegarda di Bingen, la mistica e naturalista tedesca vissuta nel XII secolo. Vide una donna bellissima il cui vestito, però, era strappato, lacerato per colpa dei sacerdoti, dei loro peccati. Quella donna è la Chiesa cattolica, infangata dai peccati dei preti, eppure nonostante tutto bella, desiderabile, un luogo dove chiunque sbaglia può sempre ricominciare, un luogo di misericordia».
In molti in Vaticano ritengono che sulla pedofilia la Chiesa sia sotto attacco. Condivide?
«In Vaticano tutti vogliono fare pulizia. Ma il ripetersi degli scandali sui media fiacca energie ed entusiasmi. Secondo me l’attenzione verso la Chiesa è esagerata ma in fondo anche legittima perché significa che verso la figura del sacerdote, l’ideale di vita che egli incarna, c’è grande attesa e aspettativa».
Il Papa si è dimesso, oltre che per la vecchiaia, anche per gli scandali?
«Non credo. Anche il problema della pedofilia lo preoccupa e lo fa soffrire, certamente. Ma sa bene che nessuno deve permettersi di scagliare la prima pietra. Nel senso che nessuno è senza peccato».
Papa: accarezza gli agnelli che daranno lana per arcivescovi
(AGI) - CdV, 21 gen. - Benedetto XVI ha accarezzato questa mattina i due agnellini che forniranno la lana con la quale si tessono i pallii, strisce di lana bianca con ricamate croci rosse o nere, che il Papa impone ai nuovi arcivescovi metropoliti il 29 giugno, giorno della festa dei Santi Pietro e Paolo patroni delle citta’ di Roma.
In precedenza, come ogni 21 gennaio i canonici agostiniani li avevano benedetti nell’antica chiesa di Sant’Agnese sulla Nomentana, in passato appartenente ad un monastero femminile.
La tradizione nasce dal fatto che due agnellini erano la tassa che il Monastero sulla Nomentana pagava alla Basilica di San Giovanni in Laterano dove risiedeva il Papa. Quando il monastero femminile di Sant’Agnese fu chiuso, gli agnelli vennero donati da altri monasteri, ma sempre, nel tragitto.
Dopo la tappa in Vaticano per la presentazione al Pontefice, gli agnellini sono stati portati a Trastevere dove sono accolti dal canto delle monache trappiste sottoposte all’Abbazia di Tre Fontane, che cureranno le bestiole fino alla tosatura e si occuperanno poi della cardatura e tessitura, fatta con un telaio del primo ottocento costruito appositamente per la tessitura dei pallii.
Il 24 giugno, festa di San Giovanni Battista, uno dei patroni di Roma, i pallii verranno portati in Vaticano e restano davanti alla tomba di San Pietro fino alla messa del 29, quando il Papa li porra’ personalmente sulle spalle dei nuovi arcivescovi metropoliti, eletti nell’anno.
«I bambini non sono merce»
di Luca Kocci (il manifesto, 13 gennaio 2013)
Contro natura, disumana, contraria ad ogni evidenza antropologica. Sono gli aggettivi che le gerarchie ecclesiastiche e gli organi di stampa cattolici hanno usato per definire la sentenza della Corte di Cassazione che l’altro ieri ha confermato l’affidamento alla madre - ora legata sentimentalmente e convivente con un’altra donna - del figlio piccolo, negando che vivere all’interno di una coppia omosessuale sarebbe stato «dannoso» per «l’equilibrato sviluppo» del bambino.
L’affidamento e «l’adozione dei bambini da parte degli omosessuali porta il bambino ad essere una sorta di merce», ha detto ieri ai microfoni di Radio Vaticana monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia e «padre spirituale» della Comunità di Sant’Egidio del ministro Riccardi, «il bambino deve nascere e crescere all’interno di quella che, da che mondo è mondo, è la via ordinaria, cioè con un padre e una madre». Talvolta questo contesto può frantumarsi, aggiunge il «ministro della famiglia» del Vaticano - che nella Curia romana è considerato un "progressista" -, ma «inficiare questo principio è pericolosissimo per il bambino e per l’intera società». «Suggerisco a monsignor Paglia di leggersi un po’ di letteratura scientifica e di rendersi conto di persona di come crescono i bambini nelle famiglie gay», gli risponde l’ex presidente dell’Arcigay Aurelio Mancuso, fondatore della rete per i diritti civili Equality Italia.
«Sentenza pericolosa», titolava ieri Avvenire, affidando il commento al giurista Carlo Cardia, già paladino dell’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche, che parla di «essenziale diversità e complementarietà tra il padre e la madre» che introducono il bambino «nel più vasto orizzonte degli affetti, dei sentimenti, delle relazioni, dandogli sicurezza, solidità, capacità di realizzarsi pienamente». Invece la sentenza della Cassazione «considera il bambino come soggetto manipolabile, attraverso sperimentazioni che sono fuori della realtà naturale, biologica e psichica».
Un bambino, prosegue, «privato artificiosamente della doppia genitorialità, vede venir meno la dimensione umana e affettiva necessaria per la crescita e il suo armonico sviluppo», si intravede «un profilo disumanizzante» che «comporta il declassamento dei suoi diritti». «Evidentemente Avvenire, pur di non dar ragione a due donne che vogliono educare in libertà il loro figlio, preferiva il genitore islamico che aveva abbandonato il bambino», commenta Franco Grillini.
Netta anche la condanna dell’Osservatore romano: riconosce che un bambino può crescere anche con uno o senza genitori, però aggiunge che non bisogna «creare queste situazioni soltanto perché in alcuni casi non si provocano danni». E comunque, scrive il quotidiano del papa, il nodo resta l’omosessualità: «L’umano è il maschile e il femminile», non possono negarlo nemmeno le coppie omosessuali, che però escludono dalla relazione questa polarità con una scelta «autoreferenziale». Per cui «la peculiarità della genitorialità come espressione del matrimonio eterosessuale deve essere ribadita»: «È dimensione costitutiva della condizione umana». Schematico don Antonio Mazzi: «La Cassazione va contro natura».
Mentre è articolato il ragionamento di Gianni Geraci, portavoce del Guado, uno dei primi gruppi italiani di omosessuali credenti: «Quello che è un valore, ovvero una famiglia con un padre e una madre, non può essere considerato l’unico valore, anche perché l’esperienza ci mostra che talvolta quel nucleo si rompe, o non si realizza, ma il bambino cresce ugualmente sereno», spiega al manifesto. «Piuttosto che condurre inutili e dannose battaglie ideologiche, bisogna pensare soprattutto al bene dei minori. Per questo è urgente una legge che consenta l’adozione anche da parte di un single. Sarà poi una sua scelta, e un suo diritto, decidere con chi educarlo».
Don Franco Barbero, della comunità di base di Pinerolo, sul suo blog racconta la storia di Morena, «figlia felice di due lesbiche»: «È fidanzata. Una bella e gioiosa giovane donna. Quando la incontro, la vedo felice come una ragazza cresciuta in un contesto d’amore. Ha persino convertito dall’omofobia il suo fidanzato. È il più bel commento alla sentenza della Cassazione».
Pedofilia, gli imbarazzi vaticani
di Marco Politi (il Fatto, 29.08.2012)
Come uno spettro gli scandali di pedofilia perseguitano il Vaticano. In Israele è scoppiata una polemica violenta sulla nomina del nuovo ambasciatore vaticano, mons. Giuseppe Lazzarotto, già nunzio in Irlanda dal 2001 alla fine del 2007. È accusato di aver coperto, nel suo ruolo diplomatico, gli abusi avvenuti nella diocesi di Dublino.
Yedioth Ahronoth, il giornale israeliano a più larga diffusione, descrive l’arrivo di Lazzarotto come fonte di “imbarazzo e di umiliazione”. E invita il governo a “chiedere chiarimenti”. Yedioth Ahronot (e sulla sua scia altri media) va giù durissimo: “La nomina è uno schiaffo in faccia a Israele”. La storia, più che Lazzarotto personalmente, colpisce il Vaticano e i suoi decennali silenzi sugli abusi sessuali del clero. Lazzarotto come vescovo non è stato coinvolto in nessun caso di pedofilia. Come diplomatico, ubbidiente alle direttive della Santa Sede, ha però negato alla commissione d’inchiesta sui crimini pedofili nella diocesi di Dublino l’accesso alla documentazione in suo possesso.
I FATTI risalgono al 2007. La giudice Yvonne Murphy sta indagando sugli abusi sessuali del clero avvenuti tra il 1975 e il 2004. (Se ne documenteranno, riduttivamente, 326 con il coinvolgimento di 46 sacerdoti). La giudice Murphy chiede informazioni alla Congregazione per la Dottrina della fede. Il Vaticano svicola e replica che la richiesta non è avvenuta tramite i canali diplomatici. Nel febbraio 2007 la Murphy si rivolge al nunzio Lazzarotti chiedendogli di trasmettere il materiale in suo possesso riguardante la diocesi di Dublino e gli abusi. O almeno di confermare di non avere alcun tipo di documentazione del genere. Il nunzio, evidentemente istruito da Roma, non rispose mai.
Il rapporto Murphy denuncerà una costante delle autorità ecclesiastiche: “Mantenere il segreto, evitare scandali, proteggere la reputazione della Chiesa e tutelare i suoi beni”. Seguirà il rapporto Ryan: 800 colpevoli di abusi in 200 istituti religosi, nell’arco di 35 anni. Ogni volta che in qualsiasi paese è stata messa in piedi una commissione di inchiesta indipendente sugli stupri clericali è emersa una “mappa dell’inferno”. È proprio per questo motivo che l’episcopato italiano è terrorizzato dall’idea di istituire una commissione d’indagine come, ad esempio, hanno fatto i vescovi in Germania, Austria e Belgio.
Le polemiche su Lazzarotto sono il segnale di una ferita che non si è chiusa, il sintomo di un virus che non è stato debellato. Fino a quando - ci si può chiedere - lo spettro degli abusi inseguirà il Vaticano e si tornerà a parlare dei crimini commessi e nascosti? La risposta è semplice. Fino a quando il Vaticano non imboccherà la linea della piena trasparenza. Papa Ratzinger - ribattono in Curia - ha segnato una svolta con la sua Lettera agli Irlandesi del 2010, in cui denuncia i vescovi per non avere ascoltato le grida delle vittime e invita i preti a presentarsi in tribunale. Il Papa ha emanato regole più severe per combattere il fenomeno, ha incontrato gruppi di vittime in varie parti del mondo, ha obbligato gli episcopati a elaborare linee d’azione.
Tutto vero. Ma non si può rimanere a metà. Serve trasparenza totale per il futuro e per il passato. Nelle settimane scorse, un giudice americano di Portland, nell’Oregon, ha dichiarato improcedibile il tentativo di portare sul banco degli accusati il romano pontefice in una causa di risarcimento per crimini di pedofilia. Jeff Anderson, l’avvocato milionario dei risarcimenti, aveva tentato il colpo grosso denunciando il Papa come “datore di lavoro” di un prete criminale Andrew Ronan. La Corte federale ha respinto il concetto che il pontefice sia assimilabile al capo di una multinazionale. Giubilo negli ambienti ecclesiastici come fosse stata un’assoluzione da qualsiasi responsabilità! Non è così. La Santa Sede è stata parte attiva del sistema di occultamento e minimizzazione di innumerevoli crimini.
Ancora oggi il Papa non ha emanato un decreto sull’obbligo di denuncia dei preti criminali da parte dei vescovi, non è stato avviato un lavoro di monitoraggio e di inchiesta a livello mondiale, non sono stati aperti gli archivi vaticani che albergano la documentazione di responsabilità e insabbiamenti del passato.
C’È UN DOCUMENTO impressionante nelle carte segrete di Vatileaks, pubblicate da Nuzzi. Un appunto del segretario papale don Gaenswein su un incontro avvenuto il 19 ottobre 2011 con il sacerdote Rafael Moreno, ex segretario privato di Marcial Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo e pluristupratore. Don Moreno - scrive Gaensewin - è stato per 18 anni segretario di Maciel. Da lui abusato. È venuto per dire che nel 2003 ha voluto informare Giovanni Paolo II. Non è stato ascoltato né creduto. Voleva parlare al cardinale segretario di Stato Sodano, ma non gli è stata concessa udienza. Dunque nel 2003 i vertici vaticani chiudevano gli occhi sui crimini di Maciel (e lo avevano fatto anche prima). C’è tantissimo da portare alla luce. Prima lo farà, meglio si sentirà il Vaticano. Come dopo una buona confessione.
Pedofilia, il clero non denuncia
I vescovi non vogliono indagare
di Marco Politi (il Fatto, 23.05.2012)
Molte parole, ottime intenzioni, nessun meccanismo concreto per portare alla luce i crimini di pedofilia commessi dal clero attraverso i decenni. Le Linee-guida “per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici”, emesse ieri dalla Conferenza episcopale italiana, deludono quanti dentro e fuori la Chiesa cattolica si aspettavano che anche in Italia l’istituzione ecclesiastica si attrezzasse per rendere efficacemente giustizia alle vittime e scoprire i criminali nascosti al proprio interno. Si fa prima a elencare quello che non c’è nel documento che indicare le novità. Positivo è certamente l’incitamento ai vescovi a essere sollecitamente disponibili ad ascoltare le vittime e i familiari, ad offrire sostegno spirituale e psicologico, a proteggere i minori e a procedere immediatamente ad una “accurata ponderazione” della notizia del crimine per aprire altrettanto rapidamente un’indagine ecclesiastica. Poi, se del caso, si passa al processo diocesano, allontanando nel frattempo il prete da ogni contatto con minori per evitare il “rischio che i fatti delittuosi si ripetano”.
DOPO DUE anni di riflessione e un anno di elaborazione del testo, la Conferenza episcopale si ferma qui. Chiudendo ostinatamente gli occhi di fronte alle esperienze più avanzate realizzate in altri paesi come gli Stati Uniti, la Germania, l’Austria, il Belgio, l’Inghilterra. In Belgio e in Austria hanno formato commissioni di inchiesta nazionali, guidate da personalità laiche indipendenti? Pollice verso dei vescovi italiani. In Germania esiste un vescovo incaricato a livello federale di monitorare il dossier pedofilia e di intervenire nelle diocesi - diciamo così - poco attente? In Italia non se ne parla nemmeno. In Inghilterra operano gruppi di vigilanza nelle parrocchie? La Cei si guarda bene dal suggerirlo. Nella diocesi di Bressanone era stato istituito un indirizzo mail e un referente per le vittime? La Cei non istituisce neanche questo piccolo strumento operativo.
Don Fortunato Di Noto, il prete siciliano impegnato nel contrasto alla pedofilia, aveva proposto che in tutte le diocesi venisse istituito un “vicario per i bambini”, una sorte di angelo custode per prevenire e vigilare. Proposta cestinata. Spira in tutto il documento un vento difensivo, concentrato nel respingere interventi energici delle autorità giudiziarie. “Eventuali informazioni o atti concernenti un procedimento giudiziario canonico possono essere richiesti dall’autorità giudiziaria dello Stato, ma non possono costituire oggetto di un ordine di esibizione o di sequestro”. È la paura che - come è accaduto in America - i tribunali possano ottenere la documentazione delle manovre che hanno portato a insabbiamenti. Impedito anche l’accesso agli archivi vescovili.
Altrove nel mondo gli episcopati si preoccupano di approntare anche un equo risarcimento per le vittime. Le Linee-guida si preoccupano di proclamare che “nessuna responsabilità, diretta o indiretta, per gli eventuali abusi sussiste in capo alla Santa Sede o alla Conferenza episcopale italiana”. Il culmine del documento si raggiunge nell’affermazione lapidaria che nell’ordinamento italiano il vescovo non riveste la qualifica di pubblico ufficiale e perciò “non ha l’obbligo giuridico di denunciare all’autorità giudiziaria statuale le notizie che abbia ricevuto in merito ai fatti illeciti”.
È vero, in Italia l’obbligo non c’è. (Lo potrebbe introdurre il Parlamento!) Ma come dimenticare le migliaia di vittime soffocate dal silenzio. Sarebbe stato un gesto di responsabilità se la Cei, liberamente, avesse impegnato tutti i vescovi a denunciare i criminali. Non accadrà. Nonostante episodi vergognosi di inrzia verificatisi in passato. Si chiama - lo si legge nelle Linee - “rispetto della libertà della vittima di intraprendere le iniziative giudiziarie che riterrà più opportune”. Dice mons. Crociata, segretario della Cei, che non va dimenticato che gli abusi del clero sono un “delitto”. Aggiunge che la pedofilia è un fenomeno che “purtroppo ha un’estensione enorme e richiede uno sforzo collettivo per combatterlo” e che la cooperazione tra autorità ecclesiastiche e civili è prassi.
MA QUANDO gli si chiede perché i vescovi non sentono il dovere della denuncia, risponde: “Non possiamo chiedere al vescovo di diventare un pubblico ufficiale”. Una spiegazione razionale, giuridica o evangelica non c’è. C’è solo la grande paura dell’episcopato italiano di affrontare un bagno di verità. Dopo due anni (due anni!) la Cei ha fornito qualche cifra: 135 casi di abusi di chierici avvenuti tra il 2000 e il 2011 e portati alla Congregazione per la Dottrina della fede. “53 condanne, 4 assolti e gli altri casi in istruttoria”, spiega Crociata. E ancora: delle settantasette denunce alla magistratura: 2 condanne in primo grado, 17 in secondo, 21 patteggiamenti, 5 assolti e 12 casi archiviati.
Il rapporto tra la maggioranza dei colpevoli e la piccola percentuale di innocenti è palese. La grande paura di scavare nella realtà nasce da qui.
Abusi sui minori il Vaticano al rendiconto
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 4 febbraio 2012)
È la sfida del Vaticano dinanzi alle responsabilità della Chiesa per gli scandali di pedofilia. Confrontarsi con le vittime e riformare l’atteggiamento delle gerarchie ecclesiastiche rispetto a decenni (e secoli) di abusi. L’ambizioso progetto, che sarà lanciato in un simposio di quattro giorni all’università Gregoriana e che proseguirà con un programma di formazione continua sul web per la durata di tre anni, rivela la consapevolezza di papa Ratzinger della necessità di dare una scossa alla Chiesa universale perché nessuno si illuda che sia “passata” la tempesta provocata dalle violenze ai minori. “Verso la guarigione e il rinnovamento” è il titolo dato all’iniziativa , sostenuta dalla Segreteria di Stato, dalla Congregazione per la Dottrina della fede e da altri dicasteri vaticani, che lunedì riunirà per la prima volta a Roma - a discutere con psicologi ed altri esperti - vescovi e religiosi di tutto il mondo, delegati di oltre cento episcopati e una trentina di ordini religiosi.
A suo modo è un evento storico, che va al di là dell’emanazione di norme più severe da parte del Sant’Uffizio. L’obiettivo è quello di mobilitare tutta la Chiesa sul dramma (e le responsabilità) dell’abuso sessuale all’interno delle proprie file, gettando le basi di una strategia globale. Imperniata su tre punti: 1. attrezzare diocesi e parrocchie nella vigilanza, nella scoperta e nella denuncia del fenomeno; 2. coinvolgere concretamente nel contrasto alla pedofilia tutta la comunità ecclesiale; 3. portare in primo piano la sorte delle vittime, ascoltarle, prendersi cura di loro, accompagnarle in un percorso di guarigione dai traumi.
Motori dell’iniziativa sono due personalità particolari. Un maltese e un tedesco. L’uno “promotore di giustizia” (procuratore generale) del Sant’Uffizio, l’altro cardinale di Monaco di Baviera. Il maltese Charles Scicluna, uomo di fiducia di Benedetto XVI, è il prelato che l’allora cardinale Ratzinger, in qualità di prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, spedì negli Stati Uniti e nel Messico durante l’agonia di Giovanni Paolo II per indagare sui crimini di Marcel Macial, fondatore dei Legionari di Cristo. In una dozzina di giorni, prima ancora che si aprisse il conclave che elesse Benedetto XVI, Scicluna tornò in Vaticano con prove schiaccianti che inchiodarono Macial e portarono alla sua rimozione e poi alla sua damnatio memoriae. Sull’Avvenire il maltese ha criticato nel 2010 la “cultura del silenzio”, che aleggia nella Chiesa italiana a proposito degli abusi. Oggi insiste sulla necessità di “prevenire altri crimini”, sostenendo che non bisogna “partire dall’omertà” ma bisogna avere di mira la guarigione delle vittime. Che anzitutto vanno ascoltate.
Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco di Baviera, è il cardinale che nella sua diocesi ha dato carta bianca ad una donna, l’avvocato Marion Westpfahl, per un’inchiesta indipendente sugli abusi del clero. Il risultato, comunicato pubblicamente, è che dal dopoguerra ad oggi si sono verificati nella diocesi monacense circa trecento casi di abuso, ignorando sistematicamente le vittime e con una diffusa manipolazione e distruzione della relativa documentazione. Domanda: come mai nessun cardinale italiano ha promosso una simile inchiesta? Perché non è stata aperta un’inchiesta ecclesiastica in nessuna parte d’Italia con la sola eccezione della diocesi di Bolzano-Bressanone? Sul sito della diocesi di Monaco appare ben chiaro l’indirizzo di due avvocati a cui le vittime possono rivolgersi per segnalare abusi. E anche il programma di rimborso delle terapie psicologiche e di risarcimento danni per i minori violati.
Al convegno - cui seguirà a cura dell’università Gregoriana la creazione di una banca dati - interverrà una vittima celebre, l’irlandese Marie Collins. Nel 2009 denunciò “con orrore” il palleggio di responsabilità sul suo abuso tra le autorità di polizia e il suo vescovo. “Ero sorpresa diquanto fosse noto sul mio abusatore”, raccontò. Il vescovo ausiliare della sua diocesi avrebbe voluto denunciare il crimine, ma l’arcivescovo McQuaid non fece nulla. “Fui mobbizzata e minacciata”. Il simposio della Gregoriana dovrà sciogliere due nodi fondamentali. Dovrà o no il vescovo denunciare sempre i crimini alle autorità di polizia? O deve farlo solo nei paesi dove lo obbliga la legge? Papa Ratzinger finora non ha dato l’ordine di denunciare immediatamente. Tutte le associazioni a tutela delle vittime invece lo esigono.
Il secondo nodo riguarda l’apertura di indagini per scoprire i crimini insabbiati del passato. Molti episcopati, fra cui l’italiano, non vorrebbero imboccare la strada della trasparenza a 360 gradi.
DIO E’ SPIRITO, AMORE ("DEUS CHARITAS EST": 1 Gv. 4.8). SE UN PAPA TEOLOGO SCRIVE LA SUA PRIMA ENCICLICA, TITOLANDOLA "DEUS CARITAS EST" ("CHARITAS", SENZA "H"), E’ ORA CHE TORNI A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO.
LA TRADIZIONALE "SCOLA" COSTANTINIANA DI BENEDETTO XVI: IL MAGISTERO DELL’INGANNARE IL PROSSIMO COME SE STESSO. Un’analisi di Giancarlo Zizola, con note
(...) Von Balthasar, era molto netto (...). Diceva che «al cristiano è vietato il ricorso ai mezzi d’azione specificamente mondani per un preteso incremento del regno di Dio in terra». Criticava l’integralismo di gruppi di «mammalucchi cristiani che aspirano a conquistare il mondo» (...)
FAME NEL MONDO?! CIBO MATERIALE E CIBO SPIRITUALE: UNA SOLA GRANDE SPECULAZIONE TEOLOGICO-POLITICA ED ECONOMICA! La Conferenza della Fao e l’intervento di Benedetto XVI. Una nota sull’evento - con appunti sul tema
Abusi,vescovo chiede asilo alla Santa Sede
L’ex-vescovo di Bruges,mons.Roger Vangheluwe, che ha confessato di aver abusato sessualmente di suo nipote quando questi era minore,ha lasciato il Belgio su ordine della congregazione vaticana per la dottrina della fede, rende noto la nunziatura vaticana a Bruxelles in un comunicato.
di Giacomo Galeazzi (La Stampa, 9/4/2011)
Inseguito dall’indignazione popolare per gli atti di pedofilia dei quali fu protagonista, l’ex vescovo di Bruges, Roger Vangheluwe, ha chiesto asilo diplomatico riparando nell’ambasciata della Santa Sede a Bruxelles. Il suo nome non era stato dimenticato dall’opinione pubblica, che si attendeva di vederlo processato per quanto compiuto sui bambini circa trent’anni fa e svelato ad aprile dello scorso anno. Quando si è saputo che i reati sono stati prescritti, la voce della rabbia popolare si è fatta sentire fin dentro le stanze della remota abbazia nelle Fiandre in cui l’anziano prete, 74 anni, si era ritirato dopo aver confessato almeno un abuso ed essersi dimesso dall’incarico. Il caso di Vangheluwe fu uno di quelli sollevati dalla commissione d’inchiesta voluta dal Vaticano e presieduta dallo psichiatra per l’infanzia Peter Adriaenssens. Il rapporto della Commissione fa luce su almeno 450 casi di pedofilia nella chiesa, avvenuti tra il 1960 e il 1985. Tredici delle vittime degli atti sessuali, sottolinea il rapporto, si suicidarono.
Der Tagesspiegel, Berlino - 26 gennaio 2011
Commentario di Matthias Katsch
“Quanto a lungo volete ancora restare pecorelle?“
(traduzione dal tedesco di José F. Padova)
http://www.tagesspiegel.de/berlin/wie-lange-wollt-ihr-noch-schaefchen-sein/3736296.html
Parole chiare. Matthias Katsch, 47 anni, diplomato dal Canisius-Kollegs, ha studiato fra l’altro Scienze politiche e Teologia. Lavora come trainer in Management. Sulla dittatura dello Stato della Chiesa e della morale sessuale rigida il dibattito pubblico è cambiato poco. Matthias Katsch è stato egli stesso vittima di abuso sessuale al Collegio Canisius. Qui valuta la situazione un anno dopo lo scandalo degli abusi sessuali.
La Chiesa cattolica in Germania si è posta di fronte alle questioni legate allo scandalo sessuale? Si danno forse già risposte? Purtroppo le cose non sembrano finora giunte a tanto. Sembra che le vittime, scomode, soltanto disturbino. Fino a oggi i vescovi non reagiscono alla richiesta da parte delle vittime di un dialogo diretto.
In sostanza il dibattito, che si cerca apprensivamente di evitare, dovrebbe orientarsi su tre aspetti, che all’interno dipendono l’uno dall’altro: la forma di ordinamento della Chiesa, la sua dottrina sulla sessualità e il collante che tiene insieme tutto: il denaro. Detto alla maniera antica si tratta quindi di ubbidienza, castità e povertà - e dell’uso snaturato, che la Gerarchia continuamente mette in pratica, di queste virtù allo scopo di mantenere il potere,.
La Chiesa cattolica è già da lungo tempo una dittatura spirituale dei chierici, una monarchia per lo più benevola, che si regge su questo o su quel buffone di corte. Con questa organizzazione essa è diventata molto vecchia. Naturalmente ci furono e ci sono correnti all’interno della Chiesa: di sinistra, liberale, ultraconservatrice e in mezzo l’ampia mainstream. Queste correnti alla fine però nulla hanno da comunicare al laico, se la gerarchia decide. Nel suo centralismo assolutistico la Chiesa nel mondo moderno è un anacronismo, mentre per alcuni essa rappresenta nello stesso tempo un qualcosa di fascinoso.
Senza opporre resistenza, le pecorelle sopportano tutto ciò che arriva dall’alto È anche vero che questo dominio da parte del clero già da molto tempo sarebbe giunto alla fine se la maggioranza dei cattolici non avessero collaborato a sopportarlo in silenzio. Non sempre approvando, ma in generale senza opporre resistenza, le pecorelle sopportano tutto quello che viene dall’alto, tengono per sé le loro riflessioni e permettono al Papa a Roma di passare per un brav’uomo. Domina una cultura del “come se”. Noi ci comportiamo come se seguissimo la vostra dottrina, e voi vi comportate come se non sapeste per niente che noi non lo facciamo. Da decenni le cose vanno avanti così.
Urge un confronto. Come prima del 1989 nelle dittature mummificate dell’Europa dell’Est, nel privato la gran parte dei credenti non si attiene a ciò che prescrive il ministero ecclesiastico, in particolare per le questioni riguardanti la condotta personale della vita, come la contraccezione, l’autoerotismo, i rapporti sessuali prematrimoniali, l’omosessualità, ma anche su temi come l’ecumenismo. Essi tuttavia non si oppongono apertamente, al massimo si richiamano alla loro personale coscienza. E vescovi e preti si comportano come se non ne sapessero nulla e si accontentano dell’ubbidienza simulata, finché la contraddizione non diviene palese.
Eppure questo accomodamento fra l’alto e il basso nella Chiesa cattolica non è tanto innocuo come vorrebbe apparire. Infatti i cattolici del mainstream tollerano anche la violenza che la Chiesa esercita contro i suoi critici. Questo non è inteso soltanto metaforicamente, perché vi sono vittime effettive, delle quali però all’interno dell’ambiente ecclesiastico non si può fare parola. Non soltanto teologi , pur sempre di specchiata fama anche se oggetto di misure punitive, che perdono il loro lavoro
[ndt.: p.es., Luigi Lombardi Vallauri, cacciato dall’Università Cattolica di Milano per aver espresso opinioni non allineate sul magistero papale - in generale vedi fra l’altro: http://avalonra.altervista.org/sections/03_Downloads/AvalonRa/Il%20libro%20nero%20della%20Chiesa.pdf] ,
ma per esempio centinaia di figli di preti, soltanto in Germania. Essi vengono mantenuti dalla Chiesa fintantoché restano nascosti e le loro madri sono disposte a rimanere nell’oscurità. Poi vi sono nella Chiesa i numerosi omosessuali occultati, che ora dovrebbero diventare i capri espiatori per i crimini sessuali degli ecclesiastici, ormai palesati.
L’avversione sessuale è l’arma più importante della Gerarchia nella lotta per il potere nella Chiesa. Anche se si comportano diversamente, il perpetuo predicozzo di minaccia dei pastori provoca in molti fedeli un senso di cattiva coscienza. Ciò aiuta a tenerli sotto controllo. Anche all’interno della Gerarchia le molteplici difficoltà del clero riguardo al celibato sono utilizzate quali strumenti disciplinari.
Preti hanno figli, preti hanno donne, preti hanno uomini, preti abusano di bambini come compensazione di una sessualità non vissuta o non vivibile. Tutto questo accade, ma verso l’esterno si tiene alto l’ideale dell’astinenza e della “sessualità senza sesso”. Questo infatti è un principio organizzativo perfetto per un’organizzazione transnazionale, che è tenuta insieme dall’assoluta fedeltà dei suoi quadri. In questo modo la Chiesa è oggi la più grande organizzazione transnazionale di gay di tutto il mondo, cosa sulla quale nel 2005 proprio un gesuita richiamò l’attenzione, nonostante per la Chiesa l’omosessualità vissuta sia considerata un peccato. Una morale più doppia di così non c’è. E ciò non stupisce, se si guarda al di là dell’orticello tedesco: in molti Paesi del mondo la Chiesa romana è un rifugio per gli omosessuali oppressi e perseguitati. Nessuno molesta questi uomini se non si sposano, nessuno analizza criticamente il loro amore per la musica, per la bella arte, per i vestiti e i profumi. Come membri del clero essi sono trattati con grande rispetto, tenuti in considerazione, importanti e spesso anche potenti.
Il celibato pretende troppo da molti uomini Il prezzo, che essi devono pagare, è l’ipocrita ripudio della loro natura. Rapporti di coppia vissuti fra uomini o donne sono un male, l’omosessualità celata, bloccata o messa a tacere è tollerata. Questi servitori della Chiesa sono i più fidati dei fidati. Essi rinnegano loro stessi, prendono perfino parte alla demonizzazione della sessualità, che essi hanno patito come insopportabile, e in questo modo rendono stabile la dittatura della Gerarchia. Che ora essi siano messi alla berlina per le azioni commesse dai loro colleghi in prevalenza eterosessuali, i quali hanno scaricato la loro immatura sessualità su piccole vittime, è un triste effetto finale.
Più volte inoltre viene respinto il pensiero di molti cattolici che l’avversione per la sessualità, la doppia morale e le forme organizzative della Chiesa, celibato compreso, sono intimamente collegati e potrebbero avere a che fare con le centinaia di crimini di abuso sessuale nell’ambito di istituzioni ecclesiastiche, ora diventate di dominio pubblico. Quindi la dottrina ecclesiastica sulla sessualità ha spianato la strada ai colpevoli alla volta delle loro vittime. L’esagerato spirito di corpo della Gerarchia ha poi impedito che agli autori degli abusi si ponesse un freno, men che meno che fossero consegnati alle Autorità giudiziarie penali. Il principio organizzativo della Chiesa è la subordinazione. Insieme alla rinuncia alla sessualità questo permette il dominio di poche centinaia di uomini su 400.000 preti e un miliardo di credenti. In contraccambio per la loro fedeltà il vertice della Chiesa protegge i suoi collaboratori, se si trovano in difficoltà.
Il celibato quindi sovraccarica molti uomini. Perciò un trasgressore del celibato può contare all’interno del mondo ecclesiastico su molta simpatia e comprensione, anche presso i fedeli e naturalmente i propri confratelli, che magari stanno lottando sullo stesso fronte. Così crimini di abuso sessuale su bambini sono intesi soprattutto come peccati del colpevole contro il suo voto religioso. Sotto questo aspetto le vittime non erano proprio tenute in conto. I sensi di colpa delle vittime sono ancor più rinforzati dalla dottrina sessuale della Chiesa. Più tardi questi sensi di colpa provvedono a che le vittime tacciano per lungo tempo. Esse si sentono colpevoli. Così il cerchio si chiude.
La florida situazione economica della Chiesa corrompe Oltre a ciò arriva il collante, che tiene insieme il tutto: il denaro. I membri degli ordini promettono la povertà soltanto formalmente. Clero e gerarchia hanno sovente messo da parte questo ideale. Nondimeno la fiorente situazione economica della Chiesa è corruttrice. I versamenti della società civile e i contributi delle tante pecorelle, incassati tramite lo Stato, servono soprattutto a mantenere il cartello di potere interno alla Chiesa. Nessun membro della Chiesa può avere voce in capitolo sull’impiego dei soldi incassati.
Le organizzazioni a fini sociali, sovente attribuite alla Chiesa come la Caritas, lavorano alla stregua di moderne imprese economiche e nulla hanno a che fare con i contributi dei fedeli. Di regola più del 90 percento dei costi di tali Enti sono pagati direttamente dallo Stato. Lo stesso accade per gli ospedali ecclesiastici, per le scuole, per le case di riposo per anziani.
Coloro però che dovrebbero essere i destinatari della carità cristiana sono persi di vista: invece che verso i veri poveri e bisognosi, le offerte caritatevoli si orientano per lo più verso gli strati sociali medio e alto. Ciò è non soltanto lontano dalle beatitudini del Nuovo Testamento, ma in uno Stato moderno è semplicemente inutile. Senzatetto, malati di AIDS, profughi ricevono in proporzione solamente una piccolissima parte dell’attenzione della Chiesa e dei suoi mezzi finanziari. L’impegno di molti combattenti individuali in questo settore deve essere tenuto in grande considerazione, ma non è tale da influenzare la percezione che in Germania si ha della Chiesa cattolica.
Ascoltare e farsi coinvolgere anziché minimizzare e smentire E adesso arrivano le vittime della violenza sessuale in istituti e scuole e chiedono soldi alla Chiesa quale risarcimento per il loro patimento e come indennizzo per la loro vita rovinata. Tuttavia come reagisce la Chiesa di quel Figlio dell’Uomo che aveva detto: “Beati sono i poveri”? Blocca, barrica, rinvia. Allo stesso tempo sottolinea che per risarcire le vittime non potrebbero essere utilizzati i soldi della tassa per la Chiesa [ndt.: in Germania l’imposta ecclesiastica è pagata individualmente e personalmente da chi dichiara di appartenere a una Chiesa, sia cattolica, sia protestante, o altra]. Perché no? I contributi dei fedeli non sono forse destinati al sostentamento della loro Chiesa? E questa Chiesa non ha totalmente fallito? La Gerarchia, perché ha messo a tacere lo scandalo, e i fedeli, perché hanno permesso che la Gerarchia lasciasse fare? Non dovrebbero anche adesso affrontare insieme le conseguenze?
L’anno scorso si sono incontrati due volte a Berlino, all’ “Eckiger Tisch” [ndt.: gruppo di vittime di abusi da parte dei Gesuiti], vittime di abusi sessuali e rappresentanti dell’Ordine dei Gesuiti, fra i quali il Provinciale responsabile negli anni ’70 e il suo attuale successore. Essi hanno ascoltato per sei ore e posto domande alle vittime, che hanno riferito sulle offese subite come pure dei tentativi andati a vuoto di trovare allora ascolto. Questo difficile confronto è stato un momento storicamente significativo per il modo in cui la Chiesa potrebbe comunicare: ascoltare e farsi coinvolgere anziché minimizzare e smentire.
Eppure nella Chiesa in generale un dialogo sui problemi qui toccati è finora rifiutato. Gerarchia e fedeli invece sfiorano soltanto il tema. Come alla Domenica di Pasqua 2010, quando tutto il mondo aspettava una parola chiarificatrice del Papa circa i casi di abuso e invece il capo del Collegio cardinalizio assicurò al Papa la fedeltà incondizionata della Gerarchia e definì la discussione circa i bambini oggetto di abusi come “Ciance del momento”.
Quanto a lungo vogliono i cattolici lasciarsi presentare cose simili dal loro personale di vertice? Quando diranno finalmente: “Adesso basta”? Finché i credenti, che al di fuori della Chiesa, nella vita vera, si comportano come cittadini dello Stato adulti e consci della propria responsabilità, mentre all’interno della Chiesa se ne stanno come pecore non cresciute alla maggiore età, la pia dittatura va avanti.
ERODE NON HA SMESSO DI VINCERE. ALLA RADICE DELLE "BARZELLETTE" DEL CATTOLICESIMO -COSTANTINIANO, ATEO E DEVOTO
Il Belgio trema per 500 dossier
In mano alla polizia i faldoni segreti. Le vittime: "Privacy violata" "Violata la privacy" dice la Chiesa ma per il governo "è un atto dovuto utile all’inchiesta" *
BRUXELLES - Il libro nero della Chiesa belga è custodito in 475 faldoni messi insieme dalla commissione indipendente che la conferenza episcopale ha istituito per esaminare i casi di abuso sui minori compiuti da ecclesiastici. Da ieri, questi faldoni, come tutti i computer che si trovavano nella sede della Commissione, a Lovanio, sono in mano ai giudici di Bruxelles. Drammi e segreti, nomi e circostanze che la Chiesa aveva custodito, e spesso occultato, per anni e anche per decenni, sono ora in mano pubblica. E le prime a tremare, secondo il professor Peter Adriaenssens, primario di neuropsichiatria infantile e presidente della commissione, sono le vittime degli abusi sessuali. «Da ieri la commissione è sommersa di telefonate delle vittime, terrorizzate all’idea di vedere i loro traumi esposti in pubblico», ha dichiarato Adriaennsens.
Mentre il Vaticano protestava per le perquisizioni all’arcivescovado e per il fermo dei vescovi, il sequestro degli archivi della commissione è stato l’unico atto contro cui è insorta la conferenza episcopale belga. Si tratta, dice, di una grave violazione del diritto alla privacy che era stato garantito a quanti si erano rivolti a loro.
Adriaessens conferma. C’era un accordo, spiega, un protocollo con il consiglio dei procuratori generali, in base al quale la decisione o meno di trasmettere i dossier alla giustizia sarebbe stata presa autonomamente dalla commissione, con l’accordo preventivo delle vittime. «Chi è stato vittima di abuso, poteva rivolgersi alla polizia, alla magistratura, oppure a noi. Se si è rivolto a noi, spesso è perché non voleva che il suo caso fosse reso pubblico».
Il ministro della giustizia Stefaan De Clerck, però, difende l’operato della magistratura. «Il giudice istruttore ha il dovere di condurre l’inchiesta in piena indipendenza utilizzando i mezzi che ritiene necessari. Non è legato alle promesse fatte dal collegio dei procuratori generali alla commissione». «Senza voler fare polemiche - dichiara il portavoce della procura - vorrei ricordare che la nostra prima preoccupazione, specialmente in casi di questo genere, sono proprio le vittime. Non si può rimproverare alla giustizia di fare il proprio lavoro. E sarà fatto in maniera decorosa».
La commissione era stata istituita nel 1998, dopo le denunce di un prete, padre Rik Devillé, sugli abusi in seno alla Chiesa belga, e in particolare fiamminga. Tuttavia, secondo Devillé, nei primi dieci anni la commissione non si era certo dimostrata zelante. Solo con la nomina del professor Adriaessens, nel 2008, aveva cominciato a lavorare sul serio. Fino a due mesi fa, i dossier raccolti erano un paio di centinaia. Ma dopo le dimissioni del vescovo di Bruges, la commissione era stata travolta dalle denunce e i casi esposti sono più che raddoppiati. Solo in parte sono episodi recenti. Spesso gli abusi risalgono a molti anni fa, sono prescritti da un punto di vista penale, ma solo ora chi li ha subiti ha trovato il coraggio di denunciarli.
Oggi la commissione aveva in programma una riunione con un folto numero di vittime per discutere del ruolo del cardinal Danneels e della copertura che avrebbe offerto ai preti pedofili. Ai primi di luglio era previsto un confronto diretto con il cardinale. Ora l’incontro è stato annullato. «Lunedì ci riuniremo tra tutti i membri della commissione - spiega Adrianssens - e decideremo se, dopo quello che è successo, ha ancora senso proseguire la nostra missione».
* la Repubblica 26.6.10
LO SCANDALO DEI RELIGIOSI SOTTO ACCUSA
Perquisita la cripta della Cattedrale
La Santa sede esprime "sdegno"
Perquisizione nella tomba
di un arcivescovo
Il Vaticano convoca
l’ambasciatore e protesta
Il Papa intanto nomina
il nuovo vescovo di Bruges *
CITTA’ DEL VATICANO Le perquisizioni di ieri in Belgio, in seguito a nuove denunce sui preti pedofili, hanno riguardato, oltre all’arcivescovado, anche la cripta della cattedrale Saint Rombout a Mechelen. Lo riferiscono oggi diversi quotidiani belgi, secondo i quali i poliziotti sono scesi fino nella cripta alla ricerca di dossier sulla pedofilia che sarebbero stati nascosti nella tomba di un arcivescovo.
Gli agenti avrebbero utilizzato anche martelli pneumatici, ma non sarebbe stato trovato alcun nascondiglio segreto. La «violazione delle tombe» avvenuta in Belgio durante le perquisizioni a Bruxelles ha suscitato «sdegno» nella Segreteria di Stato vaticana, che, in una nota ufficiale, torna a condannare l’abuso di minori da parte di religiosi, esprimendo però «vivo stupore» per le modalità in cui sono avvenute le perquisizioni. A Roma, il comportamento della polizia è parsa insomma una profanazione. Il segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, mons. Dominique Mamberti, ha espresso «personalmente» all’ambasciatore del Belgio presso la Santa Sede, Charles Ghislain, convocato per la questione, il suo «sdegno» e lo «sgomento» per la violazione delle tombe di alcuni alti ecclesiastici durante le perquisizioni in Belgio.
Tornando all’inchiesta, secondo il quotidiano De Morgen, le perquisizioni sono state fatte nell’ambito dell’inchiesta denominata «Operazione Chiesa». «Se dai dossier sequestrati dovesse emergere che alcuni ordini religiosi hanno impedito sistematicamente, per decenni, che i pedofili potessero essere giudicati, allora per la legge formerebbero un’organizzazione criminale. È complice anche chi aiuta a garantire l’impunità», ha indicato la fonte del De Morgen.
La priorità del giudice Wim De Troy, che conduce l’inchiesta, scrive anche il quotidiano La Derniere Heure, è di stabilire se il comportamento della chiesa, «da più di venti anni», può costituire «complicità in senso penale». Il ministro della giustizia dimissionario Stefaan De Clarck (il Belgio non ha un nuovo governo dopo le elezioni del 13 giugno scorso), in un’intervista, si è detto sorpreso delle perquisizioni, ma ha precisato che la magistratura è indipendente e che spetta a quest’ultima decidere se sono necessarie perquisizioni.
Papa Benedetto XVI ha intanto nominato il nuovo vescovo di Bruges, sempre in Belgio: è mons.Jozef De Kesel, finora vescovo di Bulna e ausiliare di Malines-Bruxelles, la diocesi da ieri oggetto di perquisizioni da parte della polizia belga nell’ambito di un’inchiesta su casi di pedofilia. De Kesel è stato chiamato a sostituire l’ex vescovo di Bruges Roger Vangheluwe, reo confesso di abusi le cui dimissioni sono state già accolte dal Papa.
Proprio il Belgio è riesploso in questi giorni il caso dei preti pedofili: una raffica di perquisizioni è stata effettuata ieri dalla polizia dopo nuove denunce di abusi sessuali commessi nell’ambito della chiesa. Una trentina tra poliziotti e investigatori, su richiesta della procura di Bruxelles, per ore ha passato al setaccio l’arcivescovado di Mechelen, a circa 25 chilometri dalla capitale, sede dell’arcidiocesi di Malines-Bruxelles, il quartier generale della chiesa in Belgio, proprio mentre vi era in corso la riunione della Conferenza episcopale.
Gli agenti hanno poi perquisito la sede della commissione creata per esaminare i casi di abuso sessuale all’interno della Chiesa, così come l’abitazione del cardinale Godfried Danneels, ex primate del Belgio. «Si tratta di perquisizioni richieste in merito ad un dossier aperto di recente dalla procura di Bruxelles, dopo alcune denunce di presunti abusi sessuali su minori da parte del clero.
L’obiettivo è quello di ottenere una serie di elementi di prova», si è limitato a dire il portavoce del tribunale Jean-Marc Meilleur. Ma la procura sembrerebbe interessata anche ai casi meno recenti, visto che nelle perquisizioni, oltre a sequestrare il computer del cardinale Danneels, ha anche confiscato 475 dossier della commissione indipendente, guidata dal professor Peter Andraessens, che da mesi raccoglie testimonianze e confidenze su casi di pedofilia in Belgio.
«Siamo scioccati», ha affermato il professore nel corso di una conferenza stampa, dicendosi soprattutto preoccupato per la privacy delle persone citate nei dossier. Si tratta di vittime che, spesso, ha spiegato, hanno chiesto di non trasferire le loro confidenze alla giustizia. Lunedì prossimo, ha aggiunto il professore, «decideremo se vale la pena di proseguire il lavoro svolto finora».
Monsignor Andrè-Joseph Leonard, arcivescovo di Mechelen-Bruxelles ed attuale primate del Belgio, «è stato sempre chiaro dicendo che si doveva praticare una politica di ’tolleranza zerò per gli abusi sessuali», ha ricordato la Conferenza episcopale che, in una breve nota sul suo sito internet, ha anche difeso l’operato della commissione indipendente guidata dal professor Andraessens.
Alla base dell’operazione richiesta dalla procura, potrebbero esserci le denunce fatte da un sacerdote ora in pensione, Rik Devillè. È stato l’anziano prete a riferire di aver trasmesso diversi dossier alla procura una quindicina di giorni fa, pur non dicendosi certo che poi abbiano dato esito a indagini. Secondo lui, centinaia di abusi sessuali da parte dei preti pedofili sono stati commessi durante gli anni ’90, ma solo una parte hanno ricevuto l’attenzione che meritava da parte della Chiesa belga, quando era guidata dal cardinale Danneels. Il portavoce del prelato ha riferito che monsignor Danneels non si è opposto né alla perquisizione né al sequestro del suo pc «ritenendo che la giustizia debba fare il suo corso». Dopo quella olandese, tedesca e irlandese, anche la chiesa belga nei mesi scorsi era finita nel ciclone degli scandali dei preti pedofili, in seguito alle dimissioni del vescovo di Bruges, reo confesso di aver abusato di un minore per diversi anni.
* La Stampa, 25/6/2010 (15:3)
La nostra giustizia e quella di Dio
di Adriano Prosperi (la Repubblica, 30.05.2010)
Monsignor Charles J. Scicluna ha il titolo di «promotore di giustizia» presso la Congregazione per la dottrina della fede. In termini di giustizia laica è il pubblico ministero. In quanto tale ha il compito di trattare i «delicta graviora», cioè quelli dei sacerdoti colpevoli di pedofilia e di uso della confessione per indurre penitenti a rapporti sessuali. In questa veste ha raccontato di aver esaminato circa 9.000 casi di religiosi accusati di quei crimini (in una intervista al quotidiano «Avvenire» del 13 marzo scorso). Lo ha fatto nel corso di procedure segrete, sulla base delle norme canoniche.
Il dilagare della questione dei pedofili sulla stampa mondiale e nei tribunali laici ha spinto il «promotore di giustizia» ad assumere una nuova veste, quella di pubblico e spietato accusatore dei preti pedofili. La voce che è risuonata in San Pietro è stata l’arringa del pubblico ministero che chiede la condanna più dura. Quella chiesta ieri da Scicluna è una condanna a morte eterna: secondo lui sui colpevoli grava la minaccia dell’Inferno, dell’eterna dannazione. Ma non può sfuggire il fatto che questa retorica giudiziaria di accusatore dei delinquenti svolge la funzione di coprire le responsabilità dell’istituzione. Scicluna è il difensore d’ufficio dell’autorità ecclesiastica in generale e di quella della Congregazione in particolare. Tanto più forte l’accusa di quelli quanto più netta la difesa di questa. Non è la prima volta che vediamo ricorrere a un doppio registro di questo genere: già ai tempi del rito della «purificazione della memoria» di papa Wojtyla, le colpe del passato di cui chiedere perdono erano state quelle di singoli cristiani restando santa la Chiesa con i suoi pontefici. Quanto alla minaccia dell’Inferno proferita ieri da monsignor Scicluna, si può immaginare il tormento di un uomo di Chiesa mentre pronuncia una sentenza del genere.
Tuttavia resta il fatto che quella pur tremenda sentenza rimanda ad altro e remoto giudizio, diverso da quelli terreni, un giudizio del quale ognuno è libero di pensare quel che vuole. Da molto tempo l’immagine dell’Inferno come luogo di perenne sofferenza oltre la morte è entrata in crisi anche tra i cristiani, come ha dimostrato la ricerca dello storico inglese D. P. Walker. Declino irreversibile. Da secoli si è andata diffondendo sempre più la convinzione che il vero inferno è qui tra gli uomini, sulla terra. E contemporaneamente si è affermata la distinzione fondamentale della giustizia moderna: quella tra reato e peccato: una distinzione che è all’origine delle legislazioni e delle culture moderne. Il peccato riguarda la coscienza del credente e può essere trattato nel segreto della confessione. Il reato riguarda la giustizia. Per i crimini c’è il codice penale, c’è l’obbligo della denunzia da parte di chi ne è a conoscenza.
Nei riti segreti della Congregazione vaticana questa distinzione fondamentale per ora non si è affermata. Nell’intervista già citata il monsignore ammetteva che nei paesi di cultura anglosassone e in Francia i vescovi a conoscenza di quel tipo di reati sono obbligati a denunziarli all’autorità giudiziaria. In Italia no, perché qui la legge dello stato non lo impone: e in questi casi le autorità della Congregazione vaticana non obbligano i vescovi a denunciare i propri sacerdoti. Ecco il problema che gli anatemi di questi giorni non riescono a nascondere. Un problema per noi cittadini, per lo stato italiano colpevole di tollerare nel suo sistema giudiziario infrazioni come questa al principio dell’uguaglianza davanti alla legge. A noi cittadini corre l’obbligo di ricordare che lo Stato ha le sue leggi e che i suoi inferni sono le prigioni. È allo Stato che spetta obbligare per legge i vescovi e qualunque autorità ecclesiastica a denunziare delitti come questi.
Quanto alla Chiesa, anch’essa ha la sua colpa, diversa da quelle dei singoli religiosi ma non meno grave: quella della connivenza, del segreto con cui ha coperto finché ha potuto i casi dei preti pedofili. E non possiamo nascondere lo sconcerto davanti alle parole di monsignor Scicluna quando chiede la nostra comprensione per le sofferenze della Chiesa e dei vescovi nel denunziare i religiosi colpevoli: «Questi vescovi - ha detto nell’intervista a Avvenire - sono costretti a compiere un gesto paragonabile a quello compiuto da un genitore che denuncia un proprio figlio». E’ una scelta di linguaggio veramente singolare in una storia in cui ci sono veri inferni, veri e terribili dolori: e soprattutto figli veri.
PEDOFILIA
Preghiera di riparazione in Vaticano
"Per i colpevoli l’inferno sarà più duro"
Durissime le parole pronunciate da monsignor Scicluna, promotore di giustizia della Congregazione della Fede: "Sarebbe davvero meglio" che i loro crimini fossero "causa di morte" *
ROMA - "Sarebbe davvero meglio" per i sacerdoti colpevoli di abusi sessuali su minori che i loro crimini fossero "causa di morte" perché per loro "la dannazione sarà più terribile". Lo ha detto il promotore di giustizia della Congregazione della Fede, monsignor Charles Scicluna, incaricato di seguire tutti i casi di preti responsabili di abusi, in una preghiera "di riparazione e di intercessione" a San Pietro per lo scandalo di pedofilia nella Chiesa.
I lettori hanno invitato i presenti a pregare "per le vittime di abusi perpetrati da uomini e donne della Chiesa, perché possano giungere alla guarigione delle loro ferite e a sperimentare la vera pace" e "per i chierici e i religiosi che hanno commesso abusi, perché alla luce della verità possano affrontare con onestà le conseguenze delle loro colpe e accogliere le esigenza della giustizia".
Mons. Scicluna ha introdotto la preghiera con una meditazione del vangelo di Marco ricordando anche il passaggio in cui si afferma: "Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare". "Diversi ’Santi Padri’ - ha detto il prelato commentando il brano - interpretano la mano, il piede, l’occhio come l’amico caro al nostro cuore, con cui condividiamo la nostra vita, a cui siamo legati con legami di affetto, concordia, fraternità". Tuttavia, ha aggiunto, "c’è un limite a questo legame. L’amicizia cristiana si sottomette alla legge di Dio" e dunque, ha spiegato Scicluna, "se il mio amico, il mio compagno, la persona a me cara è per me occasione di peccato, è per me un inciampo nel mio peregrinare io non ho altra scelta secondo il criterio del Signore se non di tagliare questo legame".
Una scelta che rappresenta "uno strazio", ha continuato il promotore di giustizia, "eppure il Signore è chiaro: è meglio per te entrare da solo nel Regno, senza una mano, senza un piede, senza un occhio, che con il mio amico andare nella Gaenna (nell’inferno ndr.), nel fuoco inestinguibile". "Questa immagine così forte delle membra, del corpo - ha osservato monsignor Scicluna - ci mette senza troppa confusione di fronte allo specchio della nostra coscienza".
* la Repubblica, 29 maggio 2010
BENEDETTO XVI
Il Papa: "Prevenire la violenza sui bambini
E i pastori proteggano il gregge dal Male"
Poco dopo l’ultimo scandalo abusi (scoppiato in Belgio) il Papa chiede che chi ha la
vocazione eserciti "una ascesi severa" E poi benedice l’associazione Meter *
CITTA’ DEL VATICANO - A pochi giorni dall’ultima drammatica rivelazione - uno stupro commesso dal vescovo di Bruges in Belgio, le cui dimissioni sono state accettate immediatamente - Benedetto XVI benedice l’associazione Meter e ricorda la Giornata nazionale per i bambini vittime della violenza, dello sfruttamento e dell’indifferenza, ringraziando e incoraggiando "quanti si dedicano alla prevenzione e all’educazione". Tra questi, ha menzionato anche "tanti sacerdoti, suore, catechisti" "che lavorano con i ragazzi".
Nel suo discorso, il Pontefice parla dei "combattimenti" che devono impegnare i pastori per difendere dal male il loro gregge. "Solo il Buon Pastore custodisce con immensa tenerezza il suo gregge e lo difende dal male, e solo in Lui i fedeli possono riporre assoluta fiducia", dice infatti, nel breve discorso che ha preceduto la preghiera del Regina Caeli che nel tempo di Pasqua sostituisce l’Angelus.
"In questa Giornata di speciale preghiera per le vocazioni - continua il Papa - esorto in particolare i ministri ordinati, affinchè, stimolati dall’Anno sacerdotale, si sentano impegnati per una più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi. Ricordino che il sacerdote continua l’opera della Redenzione sulla terra; sappiano sostare volentieri davanti al tabernacolo; aderiscano totalmente alla propria vocazione e missione mediante un’ascesi severa; si rendano disponibili all’ascolto e al perdono; formino cristianamente il popolo a loro affidato; coltivino con cura la fraternità sacerdotale".
Vescovi e sacerdoti - chiede ancora in Pontefice - prendano esempio da saggi e zelanti Pastori, come fece san Gregorio di Nazianzo, il quale così scriveva all’amico fraterno e vescovo san Basilio: ’Insegnaci il tuo amore per le pecore, la tua sollecitudine e la tua capacita’ di comprensione, la tua sorveglianza, la severità nella dolcezza, la serenità e la mansuetudine nell’attività, i combattimenti in difesa del gregge, le vittorie conseguite in Cristo".
* la Repubblica, 25 aprile 2010)
"Residential schools" in Canada: un genocidio nascosto alla Storia
Intervista a Kevin Annett
di FLORE MURARD-YOVANOVITCH
Dal sito www.radicali.it
venerdì 09 aprile 2010
Per oltre un secolo, dalla fine dell’Ottocento alla fine del Novecento, centinaia di migliaia di bambini indigeni canadesi hanno subito terribili abusi nelle "scuole residenziali" gestite dalla chiesa cattolica e dalle varie chiese protestanti. Violenze fisiche, sessuali, elettroshock, sperimentazioni di psicofarmaci, test sulle armi biologiche, sterilizzazioni e, in molti casi, omicidi. Costretti a dimenticare la propria lingua, la famiglia, le tradizioni, la propria religione e a cristianizzarsi. Stime realistiche parlano di 50.000 bambini scomparsi.
Kevin Annett è un ex ministro della Chiesa Unita del Canada, da cui fu espulso nel 1995 per aver diffuso notizie sugli abusi e gli omicidi commessi all’interno delle "Residential Schools". Nonché sul ruolo della Chiesa Unita del Canada sul furto della terra dei nativi e sul suo ruolo nella morte dei bambini indigeni. Ha scritto il libro "Hidden from History: the Canadian Holocaust" su cui è basato, insieme a dirette testimonianze, il documentario "Unrepentant".
Per quasi vent’anni ha guidato un movimento popolare in Canada per documentare e rendere noti i crimini contro l’umanità commessi nelle scuole residenziali, sia dalla Chiesa cattolica sia da quelle protestanti. Vive e lavora con gli aborigeni e i poveri nelle periferie di Vancouver. Nel 2005 è stato adottato dalla nazione Ojibway-Anishinabe e gli è stato dato il nome di Eagle Strong Voice per il suo lavoro nell’interesse degli indigeni. Ieri e oggi Kevin Annett, insieme ai sopravissuti delle "scuole residenziali", era a Roma per un doppio appuntamento alla Camera dei Deputati, dove l’abbiamo intervistato.
Lei si è battuto anni in Canada per la verità sul genocido dei nativi americani. Perché oggi è in Italia?
Simbolicamente è il posto dove tutto è cominciato, con il decreto del Vaticano che autorizzava la conquista dei popoli non cristiani. La Chiesa cattolica ha anche costruito il "modello" delle scuole residenziali cattoliche in Canada. Siamo soprattutto qui per cercare il sostegno dell’UE ad un’indagine internazionale, per poter compiere vere e proprie investigazioni scientifiche, trovare le prove di come siano stati ammazzati questi bambini e poter dare loro una giusta sepoltura.
In Canada, ogni tentativo è stata fermato dalla chiesa, dalla polizia e dalla giustizia... persino le investigazioni forensi sono vietate. Le terre dove sono seppelliti i corpi appartengono al governo, sotto diretta tutela della Corona, e ogni persona che voglia indagare è suscettibile di essere incarcerata. La gente è stata minacciata e ha troppa paura. Abbiamo bisogno di un aiuto che venga da fuori del Canada: lo aspettiamo da anni e lo chiediamo oggi. Siamo convinti che l’Italia sia il posto giusto per cercare aiuto.
Il Paese dove lo scandalo pedofilia non è stato ancora del tutto chiarito e le responsabilità non ammesse?
Informare sul genocidio religioso canadese aiuterà certamente a svelare anche la questione della pedofilia, perché le due tragedie sono connesse; sono sempre gli stessi abusi ai danni dei bambini. Deve essere abolito questo sistema che permette, con la giustificazione della religione, che siano commessi tali crimini e rimanere impuniti. Intanto, siamo stati accolti molto calorosamente dal Partito radicale e da altri gruppi della società civile che ci hanno aperto un vero e proprio forum. Varie municipalità italiane hanno inoltre indicato un sostegno a questa indagine internazionale.
Come spiega che la violenza sui bambini sia vastamente diffusa nella Chiesa cattolica?
Il fattore religioso in questi abusi è fondamentale, ed è una lunga storia. Che comincia con la Bibbia, dove si possono trovare varie giustificazioni (il controllo degli innocenti) e che pervade la cultura europea. Ancora di recente il Papa ha ribadito che "non c’è salvazione fuori della chiesa" e che quelli fuori dalla chiesa sono "persi", "dannati". Questo senso di "superiorità dettata dalla religione" ha permesso di massacrare nel mondo millioni di persone. In seconda analisi, è un’eredità del colonialismo predatore, che pensava che persone "diverse" non avessero il diritto di vivere nelle proprie terre. L’impero ha usato e ancora oggi usa la religione per rubare e strappare gli indigeni dalle loro risorse, terre, e dalla propria identità religiosa e culturale. Quello che facciamo oggi in Iraq e in Afghanistan non è tanto diverso, perché non abbiamo mai affrontato questa questione.
Il governo canadese non ha mai riconosciuto i crimini commessi sui nativi americani?
Nel 1998 a seguito della diffusione del film "Unrepentant" e delle numerose pressioni sul governo, il Primo Ministro Steven Harper ha chiesto scusa in Parlamento per le scuole residenziali, ma ha contemporaneamente dichiarato che nessuna denuncia sarà sporta per i crimini perpetrati nelle scuole, né la Chiesa verrà mai indagata. Queste scuse troppo leggere non bastano. Inoltre, così, i bianchi s’illudono di aver trattato la questione. E non è vero.
Avete persino provato a fare riconoscere il "genocidio" alle Nazione Unite?
Sì, nel 1998 abbiamo organizzato a Vancouver il primo Tribunale indipendente sulle "residential schools" canadesi con l’IHRAAM (International Human rights Association of American Minorities) e raccolte decine di testimonianze. Ma il rapporto mandato alle Nazione Unite è stato ignorato dopo che il Canada è intervenuto per fermare ogni indagine. Allorché abusi, deportazione e sterilizzazione forzate sono, secondo la definizione della Convenzione delle Nazione Unite per i diritti umani, un vero e proprio "genocidio". Altri gruppi indigeni in Guatemala e in altri paesi collaborano per una mozione alle UN che speriamo verrà sostenuta dai Paesi europei e da tutto il mondo per riconoscere finalmente questo genocidio.
Come mai questo silenzio avvolge ancora oggi questa storia in Canada?
La società intera era ed è tutt’oggi coinvolta: il razzismo è talmente socialmente accettato che non si vede. Oggi ancora i Nativi non sono veramente visti come "esseri umani", in parte perché sono morti in massa (90%), in parte a causa della mentalità diffusa e ben radicata che questi popoli fossero "insignificanti". All’origine della fondazione del Canada e della conquista, ricordiamo che c’era il falso mito della terra vergine, vuota. Questa mentalità ha ancora un forte impatto su come la pensiamo (l’Indian Act è tuttora in vigore). Questo silenzio è anche dovuto al senso di colpa che i bianchi hanno messo da parte e mai affrontato.
Com’è la situazione dei Nativi americani oggi in Canada?
E’ drammatica. Il loro tasso di mortalità è 20 volte quello della media nazionale, per via dei numerosissimi suicidi e problemi legati alla droga, soprattutto nei giovani. Questo ha le sue radici nel trauma originario della distruzione delle famiglie, delle terre, della loro lingua, e soprattutto nei traumi psicologici connessi agli abusi e agli omicidi perpetrati nelle scuole residenziali. E’ difficile sopravvivere a un genocidio programmato dalla intera società in cui vivi e dove è ancora in corso un programma che mira alla tua "estinzione culturale". Pochi osano ancora parlarne, perché sono perseguitati e minacciati quando parlano pubblicamente. Ma quelli che vivono per strada, in condizioni terribili, hanno voglia di fare conoscere la loro storia e proprio con loro conduco personalmente un programma radiofonico settimanale. Non basta dire "scusa", bisogna cambiare questa terribile eredità e mettere fine ad uno sterminio che continua ancora oggi.
www.radicali.it
ECONOMIA, VIOLENZA SUI MINORI, TRIBUNALI, E TEOLOGIA. IL MESSAGGIO EU-ANGELICO ED EU-CHARISTICO DI GESU’ CRISTO ("DEUS CHARITAS EST": 1 Gv., 4.8) E LA LINGUA BIFORCUTA E IL "LATINORUM" DEL VATICANO....
LA CHIESA, UNA MULTINAZIONALE. PER BENEDETTO XVI "DIO E’ RICCHEZZA" ("Deus caritas est"), MA IL SUO PORTAVOCE LOMBARDI LO CONTRADDICE, PER EVITARE COINVOLGIMENTO NELLE CAUSE IN CORSO.
Lombardi: "La chiesa non è una multinazionale"
Il ricorso della Chiesa alla Corte Suprema americana per fermare le cause
di GIACOMO GALEAZZI (La Stampa, 7/4/2010)
CITTA’ DEL VATICANO E’ il fascicolo più delicato in Segreteria di Stato ed è questione di giorni. Nei tribunali in Kentucky e Oregon si vuole permettere alle vittime di abusi sessuali del clero di chiamare in causa direttamente il Vaticano, ma la Santa Sede ha fatto ricorso alla Corte Suprema per fermare i procedimenti. In attesa della sentenza, nei Sacri Palazzi cresce il timore di un esito sfavorevole. Il rischio è che i sacerdoti siano assimilati ad «impiegati» del Vaticano e che quindi il «datore di lavoro» venga chiamato in causa per chiarire se abbia coperto o meno le violenze sui minori, accedendo ai documenti e sentendo come testimoni i prelati. Ora l’«exit strategy», comunicativa e legale, punta a «differenziare» le responsabilità «in loco» delle diocesi da quelle della Santa Sede.
«La Chiesa non è una multinazionale», evidenzia il portavoce papale, padre Federico Lombardi. «Il governo di Roma è un servizio all’unità della Chiesa, che offre indicazioni». Quindi, nella bufera-pedofilia, «non si possono imputare a Roma responsabilità concrete delle autorità locali». Inoltre, puntualizza padre Lombardi, «c’era una cultura generale, così come una naturale vergogna, a non rendere pubbliche queste cose e trattarle in modo privato». Dunque, «le differenti conferenze episcopali hanno avviato misure per cambiare la situazione». La maggioranza dei casi emersi «sono avvenuti trent’anni fa, mentre oggi la situazione è sensibilmente migliorata, in parte perché i criteri di selezione e formazione dei candidati al sacerdozio sono migliorati». Il Papa «sta portando trasparenza» ed è «il paladino di come affrontare queste questioni, fin da quando era alla guida della Congregazione per la dottrina della fede, periodo nel quale, nel 2001, avviò una nuova legislazione».
Quanto alla cospirazione contro il Papa, padre Lombardi si chiede: «Chi sta dando ai media i documenti? Gli avvocati delle vittime. Cospirazione? Chiamatela come volete, ma ci sono degli avvocati che stanno passando ai mass media documenti sui loro casi per guadagnare più soldi. E mass media che diffondono i casi più polemici senza approfondire». Dal Nord America all’Australia, Benedetto XVI lavora per squarciare il velo di ipocrisia che molti avevano supposto che la Chiesa intendesse ancora innalzare a difesa delle violenze del clero.
La «tolleranza zero» di Ratzinger non si riduce ad un anatema religioso e chiama in causa oltre alla giustizia divina quella terrena. Dunque, i vescovi dovranno denunciare le nefandezze del «clero infedele» ai magistrati. I preti pedofili andranno sempre portati davanti ai giudici. Nulla legittimerà l’omertà davanti alla «vergogna» e le diocesi avranno l’obbligo di farsi carico delle «sofferenza delle vittime». Nessuna copertura, nessuno sconto, nessuna protezione per i colpevoli dei misfatti. L’ex Sant’Uffizio alle linee-guida che obbligheranno tutti gli episcopati nazionali ad applicare la linea di «tolleranza zero» introdotta proprio da Ratzinger dopo decenni di sottovalutazione del fenomeno e di sistematici insabbiamenti (come per il fondatore dei Legionari, Maciel). L’arcivescovo gesuita Ladaria sta ultimando il pacchetto di provvedimenti anti-abusi che prevede maggiore selezione nell’accesso ai seminari con test e valutazioni psicologiche, rimozione immediata dall’incarico dei preti sospettati, procedure accelerate per la riduzione allo stato laicale dei colpevoli, cancellazione della prescrizione per i reati contro i minori, denuncia automatica alla magistratura.
Dunque, il «repulisti» nella Chiesa non si ferma, anzi «adesso è più che mai necessario arrivare fino in fondo e togliere le mele marce», assicurano nei Sacri Palazzi. «A lavoro finito il caos delle polemiche lascerà spazio alla verità che distingue il bene dal male, il colpevole dall’innocente». Sono in ballo la compassione per le vittime, il dolore per il danno arrecato alla «testimonianza della Chiesa», la fiducia tradita dei fedeli. Il Papa teme «la notte in cui tutte le vacche sono nere». La preoccupazione è che l’opera di pulizia nella Chiesa sia sovrastata dall’onda anomala del fango, dalla «caccia alle streghe» in cui le colpe autentiche dei singoli finiscono confuse in un indistinto e generalizzato atto d’accusa alla Chiesa.
CdV, 15:36
PAPA: MONS. BETORI, SI VUOLE STACCARE LA GENTE DAI PASTORI
’Non bisogna cedere alla strategia di chi vuole staccare il popolo dai pastori, perche’ il tentativo e’ chiaramente questo’. Lo afferma l’arcivescovo Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze in merito alle accuse del NYT al Papa. Il movente di questo attacco, per Betori, e’ altrettanto chiaro: ’quello che da’ fastidio - spiega - e’ che la Chiesa sia un soggetto, come agenzia educativa, riconosciuto dalla gente per la sua autorevolezza. Questo da’ fastidio a chi vorrebbe invece spadroneggiare in queste nostre societa’ occidentali, senza alcuna remora e alcun riferimento etico’. Quanto alle vicende nelle quali si tenta di coinvolgere la figura del Pontefice, per Betori, si tratta di speculazioni .
* la Repubblica, 26 marzo 2010.
Chi imponeva l’omertà
di GIANCARLO ZIZOLA *
Se mai il comportamento di un vescovo è stato irreprensibile di fronte ai doveri della coscienza verso la verità e verso la Chiesa sugli abusi sessuali del clero, questo è il caso dell’arcivescovo di Milwaukee monsignor Weakland, una delle figure più luminose del cattolicesimo degli Stati Uniti d’America.
Egli non avrebbe meritato uno solo dei rimproveri mossi di recente da Benedetto XVI ai vescovi irlandesi. Fin dagli anni Novanta aveva tentato di tutto per fare breccia nelle maglie procedurali del Vaticano in modo da fare entrare nel sistema un approccio più chiaro, realistico e insieme evangelico del trattamento della piaga della pedofilia del clero. Ciò che ha portato alla luce il New York Times della storia di questo pastore, morto con parole di perdono per coloro che lo avevano ingiustamente coinvolto in accuse infamanti, testimonia con chiarezza ciò da cui alcuni circoli cattolici tentano di difendersi. Cioè, che la questione soggiacente alle perversioni dei singoli riguarda alcuni dei funzionamenti strutturali della Chiesa. Alcune buone prove e buone fedi al servizio della missione del vangelo non la rendono immune da deficit di sistema sui quali ha finito per infrangersi la rivolta di vescovi consci della loro vocazione. È troppo evidente che l’omissione di una seria riforma della Chiesa ha fatto marcire i problemi al coperto di palliativi illusori.
"È una conversione strutturale che si impone" ha dichiarato al giornale cattolico francese La Croix la psicologa Isabelle De Gaulmyn, augurandosi che la Chiesa possa servirsi degli scandali per interrogarsi su alcune sue distorsioni istituzionali. Nella stessa logica della verità che Benedetto XVI pone a fondamento della morale, la Chiesa dovrebbe esprimere la propria gratitudine ai media che l’hanno aiutata a far cadere le maschere, invece di attaccarli come aggressori dell’autorità. Ma se è plausibile far risalire a un fallimento di sistema il circuito letale instauratosi fra il crimine di una minoranza del clero e la generale omertà del sistema ecclesiastico, ben prima del fantasma del liberalismo sessuale sessantottino, diverrebbe ben provata la ragione per cui neanche gli sforzi dei più lucidi fra i pastori siano riusciti a rompere questo blocco in cui la considerazione dell’autodifesa istituzionale, la cultura del segreto e della negazione, un concetto idolatrico dell’autorità hanno finito per sottomettere i valori della giustizia, della trasparenza e dei diritti umani degli innocenti.
Quanti guardano alla Chiesa con ammirazione pari alla sincerità, sanno che essa conserva, malgrado le deviazioni di alcuni uomini e dei suoi apparati, le risorse sufficienti per scrutare con lucidità le cause istituzionali della crisi. La "Lettera ai cattolici d’Irlanda" potrebbe essere un primo passo. È possibile presumere che lo stesso papa Ratzinger, al tempo in cui era capo della Congregazione per la Dottrina, avesse fatto l’esperienza del dramma tra la forza della verità e le pressioni istituzionali per il suo insabbiamento. Di fronte alla vastità del fenomeno egli ha finito per prorompere nel grido del Venerdì Santo del 2005 sulla "sporcizia nella Chiesa", che era già la promessa di un programma di moralizzazione presto legato alla sua candidatura alla successione era una denuncia forse a lungo repressa, il segnale di quanto fosse faticoso anche per lui liberare delle linee guida efficaci senza intaccare a fondo la logica del sistema. Non si può dire che non abbia mantenuto le promesse: la bonifica è in corso. D’altra parte, solo annettendo il giusto valore al peso lordo del sistema sarebbe possibile separare ciò che è di Benedetto XVI da ciò che era del cardinale Ratzinger alla testa dell’ex Sant’Uffizio.
L’operazione verità potrebbe essere fruttuosa solo a patto di aprire ogni sipario sui gangli del sistema che l’hanno lungamente inibita. Delle due l’una: o il cardinale Ratzinger aveva gestito il dossier sporco utilizzando da solo o coi suoi propri stretti collaboratori la delega papale, all’insaputa del suo superiore Giovanni Paolo II. Oppure, come è consuetudine specie per i casi più gravi, il prefetto della Congregazione per la Dottrina è andato a riferirne al Papa in una delle sue udienze settimanali di tabella. E ha ricevuto da lui carta bianca per agire nel senso in cui ha agito. Un’ipotesi forse più verosimile ma le cui conseguenze difficilmente lascerebbero indenne la responsabilità di Wojtyla, alla vigilia della sua beatificazione. Anche se proprio quel Papa fu inesorabile coi vescovi americani e il loro clero pedofilo e le coperture del sistema.
© la Repubblica, 26 marzo 2010
Le violenze di un sacerdote del Wisconsin sui piccoli affetti da sordità
La rivelazione del New York Times: "La priorità era proteggere la Chiesa"
Usa, sacerdote abusò di 200 bambini
"Ratzinger e Bertone occultarono il caso" *
ROMA - I vertici del Vaticano, tra cui il futuro Papa Benedetto XVI, occultarono gli abusi di un prete americano, sospettato di aver violentato circa 200 bambini sordi di una scuola del Wisconsin. Lo scrive il New York Times, sulla base di alcuni documenti ecclesiastici di cui è venuto in possesso. La corrispondenza interna tra vescovi del Wisconsin e l’allora cardinale Joseph Ratzinger, scrive il New York Times, mostra che la priorità era, a quel tempo, quella di proteggere la chiesa dallo scandalo.
La vicenda in questione riguarda un prete del Wisconsin, il reverendo Lawrence C. Murphy, che aveva lavorato nella scuola dal 1950 al 1977. Nel 1996, riferisce il quotidiano americano, l’allora cardinale Joseph Ratzinger non fornì alcuna risposta a due lettere che gli furono inviate dall’arcivescovo di Milwaukee, Rembert G. Weakland, mentre solo otto mesi più tardi il cardinale Tarcisio Bertone diede istruzioni, ai vescovi del Wisconsin, di avviare un processo canonico segreto che avrebbe potuto portare all’allontanamento di padre Murphy.
Ma Bertone, precisa il New York Times, fermò questo processo dopo che lo stesso padre Murphy scrisse al cardinale Ratzinger ricordando che il caso era sostanzialmente caduto in prescrizione. "Voglio solo vivere il tempo che mi resta nella dignità del mio sacerdozio. Chiedo il vostro aiuto in questa vicenda", chiese il sacerdote.
Nei documenti, ottenuti dal quotidiano dai legali di cinque uomini che hanno fatto causa alla diocesi di Milwaukee, non c’è traccia della risposta di Ratzinger a questa lettera. Ma secondo quanto si legge, padre Murphy non ricevette mai alcuna punizione o sanzione e fu trasferito in segreto in alcune parrocchie e scuole cattoliche, prima di morire nel 1998.
* la Repubblica, 25 marzo 2010
Omissioni e abusi di nostra madre chiesa
Un viaggio attraverso gli scandali che stanno investendo il Vaticano e che, dall’Irlanda agli Stati Uniti, non risparmiano certo l’Italia
di Vania Lucia Gaito (il Fatto, 24.03.2010) *
IL CORAGGIO DI PARLARE
MI CHIAMO MARCO MARCHESE. Sono stato abusato per quattro anni, da quando ne avevo dodici. Ero in seminario, pensavo di avere la vocazione”. Cominciò così, diretto, chiaro. Secco come uno schiaffo. “All’epoca abitavo a Favara, vicino ad Agrigento. Sono nato in Germania, poi quando avevo otto anni ci siamo trasferiti in Sicilia. Volevo diventare prete, almeno lo credevo. Sicché entrai in seminario: fu lì che accadde. All’epoca don Bruno era un assistente, un diacono. Divenne prete l’anno successivo. Mi legai fortemente a lui: sembrava una persona affettuosa, e io mi trovavo fuori di casa ed ero piccolo. Mi circondava di attenzioni. Il seminario, sa, è un po’ come un collegio: si mangia lì, si dorme lì. Andavamo a trovare la famiglia una volta alla settimana, spesso ogni due. Inserirsi è difficile, e trovarsi accanto una persona che si mostra amichevole, affettuosa, fa sentire meno soli”. Parlando, cincischiava con il tovagliolo di carta, un tormento gli mangiava le dita, guardava il piattino, la tazzina, il tavolo. Poi mi posò addosso il suo sguardo malinconico. “Accadde una domenica pomeriggio. Era dicembre, e fuori pioveva. In genere, nei pomeriggi di domenica, si giocava a calcetto nel cortile del seminario. Invece quella volta don Bruno venne da me e mi invitò nella sua camera a riposare. Accadeva spesso che noi ragazzi entrassimo nelle camere degli assistenti. Magari per fare due chiacchiere. Invece quel pomeriggio lui mi spogliò, mi baciò, e poi... poi abusò di me”. Per un attimo la voce vacillò, sembrò sul punto di rompersi, ma riprese. Con lentezza, in un rievocare che dava ancora dolore. “Dopo lui andò in bagno. Quando tornò mi chiese solo: ‘Ti sei sporcato?’. Mi diceva di non preoccuparmi, che non c’era nulla di male. La nostra era solo un’amicizia, un’amicizia particolare, ecco. Così mi diceva. E io gli credevo. Non avevo mai avuto esperienze sessuali, e gli credevo. Mi diceva che era normale, che era giusto. Mi diceva anche che non dovevo dirlo a nessuno, perché avrei suscitato invidie, gelosie. E io non lo dissi a nessuno. Neanche quando l’abuso si ripeté. E poi si ripeté ancora, e ancora. Soprattutto quando pioveva. Veniva a chiamarmi e io andavo da lui”. Sul suo volto fiorì un sorriso amaro, una smorfia alla propria ingenuità di un tempo. “Del resto, io mi ero convinto che la nostra fosse un’amicizia ‘divina’, come diceva lui. Era un uomo di Dio: con lui pregavo, mi fidavo. Ciecamente”.
“E poi? Che cos’è accaduto?” “Dopo un anno, lui divenne prete e lasciò il seminario. Però i nostri rapporti divennero ancora più stretti, perché divenne il mio padrino di cresima. Così, nei fine settimana che avevo a disposizione e durante le vacanze, andavo a trovarlo nella sua parrocchia. E accadeva anche lì. In sacrestia. A casa sua. Nel pomeriggio. Anche la sera, se restavo a dormire. Per quattro anni”. [...] Alla fine in tribunale non ci erano arrivati. La trasmissione [Mi manda Raitre del 15 dicembre 2006, ndr] aveva sollevato un grosso scalpore, l’avvocato della Curia aveva saputo attirare perfino le antipatie dei cattolici più accesi. Il vescovo aveva dovuto fare marcia indietro e ritirare la richiesta di danni. Anzi, fece di tutto per evitare il processo civile. Don Bruno firmò un accordo con il quale riconosceva ogni responsabilità e si impegnava a corrispondere a Marco un risarcimento per i danni morali. “Si trattava di cinquantamila euro”. Le mani adesso riposavano tranquille sul tavolo, accanto alla tazzina. “Li ho impiegati per sovvenzionare la mia associazione. Si chiama Mobilitazione Sociale. Ci occupiamo soprattutto di ascoltare e aiutare i bambini vittime di abusi”. Per la prima volta sorrise davvero. Un sorriso aperto, giovane, fiducioso. Durò solo un attimo. “C’è talmente tanto da fare, e se ne sa così poco. Il mio non è un caso isolato. Anzi. Le associazioni contro la pedofilia ricevono migliaia di telefonate, di e-mail, di segnalazioni. Non ci sono solo io. La maggior parte delle vittime non ha il coraggio di denunciare. Subisce e tace. Nonostante i dolori dentro, nonostante gli incubi, i malesseri, il desiderio di morire”. Il sole era scomparso dietro le case, il cielo scuriva, e in via dell’Orologio si accendevano i lampioni. Nell’aria tiepida della sera, la gente sciamava verso i locali, i bar, i ristoranti. Per i vicoli rimbalzavano richiami, chiacchiere, risate. Le donne avevano vestiti leggeri che ondeggiavano intorno alle gambe, tacchi che si impigliavano tra le “balate”, sorrisi come lampi di bianco. Gli uomini profumavano di dopobarba e lanciavano occhiate alle ragazze. Sembrava una serata qualunque. Il viaggio nel silenzio era appena incominciato.
DON GELMINI: “SCHERZI DA PRETE”
“Non mi hanno creduto nemmeno quando per loro facevo il corrispondente lì in Bosnia. La mia strada e quella di don Pierino si sono incrociate molte volte. In un certo momento della mia vita sono finito a vivere in un borgo della Sabina, Castel di Tora, dove il ‘Don’ aveva messo su una comunità spirituale. C’era un numero ristretto di ragazzi, tutti piuttosto avvenenti, ma ben poco spirituali. Andavano di nascosto a comprar vino e alcolici in paese. Con un paio di loro feci amicizia, entrai in confidenza. Mi confermarono quello che già sapevo. Monsignor Giovanni d’Ercole, funzionario del Vaticano con il quale ero in rapporti per via del mio lavoro, lo sapeva. L’avevo informato anni fa su don Pierino: gli avevo detto tutto, che adescava i ragazzi, che molti anni prima aveva adescato anche me assieme a un amico, e che ora era accusato dai suoi ragazzi di molestie sessuali. Padre Federico Lombardi, all’epoca direttore dei servizi giornalistici di Radio Vaticana, lo sapeva. Durante un’accesa discussione glielo dissi in faccia chi erano e cosa erano stati certi preti per me, gli dissi di don Pierino e di come l’avevo conosciuto, non batté ciglio. Poco dopo gli mandai una lettera. Lo informai fino ai dettagli: manco mi rispose. Scrissi anche alla Procura di Terni, ho fatto un esposto senza firmarmi. Mia madre era ancora viva, avevo due figli piccoli. Lottavo nella totale solitudine, e poi avevo paura che mi accusassero di smania di protagonismo. Ma lo sapevano tutti. Uno di quelli che sapevano era il vescovo di Terni, monsignor Gualdrini. E poi lo dissi al segretario della Cei, che mi attaccò il telefono in faccia. Lo dissi a monsignor Salvatore Boccaccio al tempo vescovo di Poggio Mirteto e ora di Frosinone, telefonai a don Ciotti: era perplesso, mi disse di avere le mani legate”. “Ho un dubbio atroce, Bruno. Se lo sapevano tutti, com’è stato possibile che lasciassero centinaia di ragazzi inermi nelle mani di qualcuno che avrebbe potuto approfittarsi della loro debolezza, del loro bisogno di aiuto, del loro bisogno di protezione?”. Mi guardò con amarezza, si passò una mano irruvidita in mezzo ai capelli grigi, a pettinare i pensieri. “Lo sapevano perché io lo avevo detto, e non ero mica il solo. I ragazzi della comunità lo sapevano tutti. Chi non ci stava veniva allontanato, oppure se ne andava da solo. Nessuno si è mai preso la briga di vedere cosa succedeva in queste comunità”. [...]
Di quella giornata, un ospite mi raccontò: “Il più bel regalo di compleanno, ottant’anni ieri, don Pierino Gelmini l’ha avuto da Silvio Berlusconi: dieci miliardi di vecchie lire. Il più bel regalo, senza compleanno, Berlusconi lo ha avuto da don Gelmini, sempre ieri, che ha ordinato di accoglierlo con un canto di ‘Alleluja’ a tutto volume. Ovunque entrasse il premier, prima nella sala mensa e poi nell’auditorium della ‘Comunità Incontro’, veniva preceduto dalle note gloriose riservate, in Chiesa, a onorare il Signore. Un incontro di due ego travolgenti quello di ieri ad Amelia, nella struttura per il recupero dei tossicodipendenti nata nel 1979. Don Gelmini che spiegava al premier: ‘Preferirei essere Papa che capo del governo’. Berlusconi che gli diceva, dopo avere visto i preti, destinati alla successione da don Pierino, inginocchiarsi e promettergli fedeltà: ‘Mi hai dato un’idea, quasi quasi chiamo i miei ministri azzurri e li faccio inginocchiare davanti a me...’. Una festa-show con Gigi D’Alessio che cantava la sua nuova canzone Non c’è vita da buttare dedicata ai ragazzi persi e che salutava Berlusconi con un ‘salve collega’. Amedeo Minghi che dedicava un videoclip a don Pierino. Ad Amelia, per omaggiare questo fenomenale prete, ‘esarca’ precisa lui, che a ottant’anni ha una vitalità e un’energia travolgenti, sono arrivati in tanti a iniziare dal capo del comitato dei festeggiamenti, il ministro delle Telecomunicazioni Maurizio Gasparri. C’erano anche il ministro Rocco Buttiglione, il ministro Lunardi, Gustavo Selva, una sfilata di sottosegretari. Della prima Repubblica c’era l’ex ministro De Lorenzo che sembrava avere una missione: parlare con Berlusconi. E quando c’è riuscito, l’ha baciato, anche. A rappresentare l’opposizione, la presidente della Regione Maria Rita Lorenzetti, che nel salutare il padrone di casa, seduto nell’auditorium in prima fila vicino a Berlusconi, gli ha riconosciuto il grande impegno nella lotta contro la droga, ma ha anche detto: ‘Non siamo d’accordo su molte cose’. Non c’era il fratello di don Pierino, padre Eligio stava male. Una giornata lunga, iniziata di mattina presto nello studio privato di don Pierino dove sono arrivati in tanti a salutarlo, molti genitori di ragazzi salvati dalla comunità. Un padre è entrato piangendo, con una busta da lettera in mano piena di soldi da offrire a colui che aveva ridato la vita a suo figlio. ‘Era rinato qui dentro, purtroppo poi fuori non ce l’ha fatta’. Don Pierino ha preso la busta e lo ha abbracciato. ‘Suo figlio era un cantautore’, ha spiegato poi. A mezzogiorno tutti a messa. Don Pierino è entrato tra due ali di sacerdoti, seguito dal cardinale Jorge Maria Mejia. Mischiato tra i concelebranti c’era anche Alessandro Meluzzi, ex deputato azzurro, psichiatra fino a qualche giorno fa impegnato a commentare in tv gli irrecuperabili de L’Isola dei famosi, e adesso qui, in comunità di recupero, in un angolo di Umbria, con il saio da frate e la croce indosso. Nelle pause del serrato programma, Rocco Buttiglione ha parlato della sua prossima terza prova da nonno, la figlia partorirà ad agosto, e ha rivelato di aver cambiato idea su quale sia la vera vocazione della donna: ‘Credevo che fosse essere mamma. A un certo punto ho anche pensato che potesse essere suocera. Adesso che vedo mia moglie con i nipoti ho capito che la vera vocazione è quella di essere nonna. Un ruolo che la ringiovanisce di vent’anni’. Come sempre, era difficile capire se scherzava o diceva sul serio”.
IL CASO AMERICANO
A Boston cominciò così. In sordina, senza troppo rumore. L’avvocato che mise la prima pietra aveva un nome armeno, difficile da pronunciare: si chiamava Mitchell Garabedian, e non era mai stato uno di quegli avvocati inseguiti dai giornalisti all’uscita dell’aula di dibattimento. Si era laureato all’Università statale, si era sempre occupato di piccoli casi. Insomma, uno sconosciuto. Uno fra i tanti avvocati di Boston. Gli piaceva il suo lavoro; certe mattine arrivava in ufficio prestissimo e andava avanti a lavorare fino a tarda sera. Era il 1994 quando un uomo era entrato nel suo studio, s’era seduto di fronte alla vecchia scrivania, e gli aveva parlato di padre Geoghan. Mitch non lo sapeva, ma quell’incontro avrebbe segnato la sua vita. “Ero un ragazzino normale” raccontò l’uomo all’avvocato, “andavo bene a scuola e mi piaceva lo sport. Facevo anche parte di una squadra. Non avevo neanche dodici anni, ma mi dicevano che ero un bravo atleta. I miei genitori erano orgogliosi di me. Poi arrivò lui. I miei si fidavano, lo consideravano quasi una persona di famiglia: lo invitavano a cena, a qualche partita di bridge, ai compleanni. Spesso, dopo cena, mi portava fuori a prendere un gelato, a fare un giro in macchina. Nessuno ha mai saputo che mi facesse quelle cose. Non lo dissi neppure a mia madre, a mio padre. Per loro, padre Geoghan era un buon amico, un amico di tutta la famiglia. Come potevo dirgli che mi faceva quelle cose? Stavo male. Riuscivo a fare solo questo: star male. Certi giorni non andavo nemmeno a scuola, agli allenamenti. Lasciai la squadra. E cominciai a bere. Ero solo un bambino, Dio mio, ero solo un bambino”.
GLI INTOCCABILI LEGIONARI DI CRISTO
Il potere della Legione di Cristo all’interno della Chiesa è tale che Lennon, uno degli accusatori di Maciel, parlando dei rapporti tra quest’ultimo e il Vaticano, affermò: “Maciel è intoccabile. Ha lavorato con molti Papi, conosce i procedimenti interni, conosce vescovi, conosce cardinali, conosce quelli che hanno realmente il potere, e li conosce bene, molto bene”. Alejandro Espinosa, nel libro El prodigioso ilusionista, il seguito di El legionario, avanza sospetti e ipotesi inquietanti sulla vita del fondatore dei Legionari di Cristo. Già in El legionario, Espinosa aveva fatto riferimento alle “morti provvidenziali” di alcuni nemici di Maciel, ma è soprattutto nel suo secondo libro che le ipotesi si fanno dettagliate. Espinosa parte dagli anni giovanili del sacerdote, dai tempi in cui frequentava il seminario retto da suo zio, il vescovo Rafael Guizar y Valencia, e sostiene che si siano verificate circostanze quanto meno singolari, coincidenze preoccupanti. Sembra che lo stesso giorno della sua morte, il vescovo avesse avuto un’accalorata discussione con Marcial Maciel, e avesse decretato la sua espulsione per mancanza di attitudine allo studio, per mancanza di spirito di sacrificio e di vocazione al sacerdozio, oltre che per avere saputo dei suoi approcci sessuali nei confronti di seminaristi più giovani. Pare sia arrivato perfino a dire che se avesse proseguito il cammino verso l’ordinazione si sarebbe 198 Viaggio nel silenzio esposto alla dannazione eterna. Rafael Guizar y Valencia morì poche ore dopo. Un dettagliato resoconto sulla sua morte, racconta che fu impossibile coricarlo nel letto e dovettero lasciarlo steso al suolo, spiegando che volle giacere lì “come san Francesco”. A dodici anni dalla morte, le spoglie del vescovo furono riesumate per essere trasportate dal cimitero di Xalapa alla Cattedrale: aprendo la bara, il corpo fu trovato integro, ma i suoi capelli bianchi erano diventati rossicci. Espinosa sostiene che Maciel possa aver avvelenato lo zio con il cianuro, secondo alcune confessioni che lo stesso Maciel gli avrebbe fatto quando Alejandro era stato in seminario, e la colorazione rossiccia dei capelli dovrebbe esserne testimonianza, così come l’impossibilità di trasportare il vescovo agonizzante nel letto, poiché le convulsioni e gli spasmi dell’avvelenamento sono tali da riuscire a fratturare la colonna vertebrale. Tuttavia, padre Rafael González Hernández, il sacerdote che si è occupato della canonizzazione del vescovo, smentisce assolutamente l’ipotesi di un omicidio: “Monsignore Guizar morì nel 1938 a causa di un’insufficienza cardiaca e di un attacco di diabete. Aveva sessant’anni ma era piuttosto malandato per aver speso la vita al servizio dei fedeli”. Espinosa prosegue con l’elenco delle morti “provvidenziali” tra quelli che disturbarono Maciel. Padre Francisco Orozco Yepes morì in strane circostanze, mentre viaggiava dall’Irlanda a Roma, dove aveva il fermo proposito di denunciare le perversioni di Marcial Maciel davanti alla Sacra Rota Romana. Non si sa che cosa o chi lo convinse ad abbandonare l’aereo allo scalo di Madrid, si sa solo che preferì affittare un’automobile all’aeroporto e fare migliaia di chilometri per raggiungere Roma, dove non arrivò mai.
Un vescovo del Messico, che si opponeva al riconoscimento canonico della Legione di Cristo, fu minacciato da Marcial Maciel durante una discussione, davanti a testimoni. Pochi giorni dopo, un camion investì l’automobile del vescovo: morirono due dei suoi quattro occupanti ma il prelato riuscì a uscirne indenne. Nello stesso mese, si verificò un secondo incidente con la stessa dinamica del precedente, questa volta con esito tragico per il vescovo. Anche la morte di Juan-Manuel Fernández Amenábar, come abbiamo visto, avvenne in circostanze singolari: soffocato da un pezzo di pollo mentre era in ospedale, dove si stava riprendendo da un ictus. Perfino Juan José Vaca temeva una reazione alla lettera che inviò a Maciel quando lasciò la Legione. Perciò quella lettera, nella quale gli rimproverava il danno irreparabile che gli aveva fatto e gliene domandava conto, conteneva un avvertimento: “Desiderando essere assolutamente sincero con lei, l’informo che l’originale di questo scritto, più altre undici copie, si trovano dentro buste sigillate, in un deposito inaccessibile agli indiscreti. Queste dodici buste recano già il nome e l’indirizzo dei destinatari - alte personalità della Chiesa e della società che, nel caso, conosceranno il loro contenuto - e immediatamente giungeranno nella mani dei destinatari, in due circostanze. La prima, nel caso in cui io muoia o sparisca inaspettatamente... “.
SILENZIO ASSORDANTE
Vania Lucia Gaito, psicologa, salernitana di origine, collabora dal 2006 con il blog di controinformazione “Bipensiero” sul quale, nel maggio 2007, ha trasmesso e sottotitolato il documentario della Bbc, “Sex crimes and Vatican”. Lo scoop del video, visto in Italia da oltre cinque milioni di persone, ha aiutato a uscire allo scoperto decine di vittime di abusi, le cui testimonianze sono in parte raccolte in “Viaggio nel silenzio”. “In quei giorni accadde anche qualcos’altro - scrive l’autrice - Alla mia casella di posta arrivarono centinaia di e-mail. Di protesta, di ringraziamento, di rabbia, di indignazione. E in mezzo a tante, c’erano anche le lettere di chi aveva subìto abusi. Vergognandosi di ciò che avevano patito. Le leggevo e sapevo che non potevo ritirarmi adesso, non potevo gettare solo uno sguardo su quello che avevo visto, appena dietro la porta”.
*“Viaggio nel silenzio”, edito nel 2008 da Chiarelettere, è stato ripubblicato di recente per i Tascabili degli Editori Associati.
Il tempo delle vittime
di Luc Chatel
in “Témoignage chrétien” n° 3388 del 18 marzo (traduzione: www.finesettimana.org)
Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna (Austria), è uno dei rarissimi membri dell’alto clero ad aver trovato le parole giuste di fronte alle rivelazioni di crimini pedofili che riguardano la Chiesa cattolica. Tra coloro che presentano la Chiesa come una macchina produttrice di mostri e coloro che, in Vaticano in particolare, praticano la confutazione, il cardinale Schönborn ha posto il problema essenziale, quello delle vittime. Citiamo un brano dal testo da lui pubblicato all’inizio di marzo: «“La verità farà di noi degli uomini liberi” (Giovanni 8,32). Ma che cos’è la verità senza la misericordia? Si pone allora immediatamente la domanda: la misericordia verso chi? Verso le vittime, in primo luogo! Queste ultime sono state spesso ignorate, e lo sono ancora, essendo perfino eventualmente sospettate, in un certo modo, di essere almeno in parte colpevoli del torto subìto. Allora, bisogna poter dire no!»
Se vi è un rimprovero incontestabile da fare alla Chiesa cattolica, è proprio di non aver preso in sufficiente considerazione la voce e la sorte delle vittime. O negando gli echi di crimini che le erano pervenuti, o soffocando gli scandali con cui si era trovata a confrontarsi. Quante vittime hanno dichiarato di essere state soccorse da un religioso? Un’esigua minoranza rispetto a delle migliaia. Di questa assenza, di questo silenzio, di questa colpa, la Chiesa dovrebbe chiedere perdono. Riconoscere di sentirsi, come scrive il cardinale Schönborn, “sporca e piena di vergogna”.
René Girard, filosofo e antropologo, aveva dimostrato, nel suo libro Je vois Satan tomber comme l’éclair, che una delle più potenti verità evangeliche, quella che ha contrassegnato la rottura tra il tempo dei miti e quello del cristianesimo, riguardava l’attenzione prestata alle vittime. Dal tempo delle vittime sacrificate per necessità, quando la violenza regolava la violenza, si è passati a quello della protezione della vittima innocente, alla lotta alla violenza da parte della pace. Un tempo nuovo, riassunto, secondo René Girard, nelle parole che designano Gesù: agnello di Dio.
Quando la Chiesa dubita di fronte a violenze criminali, quando dimentica le vittime e rifiuta di riconoscere che ha protetto dei torturatori, allora rinnega una delle sue verità fondamentali.
di Hans Küng (la Repubblica, 18.03.2010)
Si è detto che dopo aver ricevuto in udienza l’arcivescovo Robert Zollisch il Papa era «profondamente scosso» e «sconvolto» per i numerosi casi di abusi. Dal canto suo, il presidente [della Conferenza episcopale tedesca] ha chiesto perdono alle vittime, citando nuovamente le misure già adottate e quelle previste. Ma nessuno dei due ha risposto a una serie di domande di fondo che non è più possibile eludere. Stando ai risultati dell’ultimo sondaggio Emnid, solo il 10% degli interpellati trova soddisfacente l’opera di rielaborazione della Chiesa, mentre per l’86% dei tedeschi l’atteggiamento degli alti livelli della gerarchia ecclesiastica manca di chiarezza. Le loro critiche troveranno peraltro conferma nell’insistenza con cui i vescovi continuano a negare ogni rapporto tra l’obbligo del celibato e gli abusi commessi sui minori.
Prima domanda: Perché il Papa continua, contro la verità storica, a definire il «santo» celibato un «dono prezioso», ignorando il messaggio biblico che consente espressamente il matrimonio a tutti i titolari di cariche ecclesiastiche? Il celibato non è «santo», e non è neppure una grazia, bensì piuttosto una disgrazia, dal momento che esclude dal sacerdozio un gran numero di ottimi candidati, e ha indotto molti preti desiderosi di sposarsi a rinunciare alla loro missione.
L’obbligo del celibato non è una verità di fede, ma solo una norma ecclesiastica che risale all’XI secolo, e avrebbe dovuto essere sospesa ovunque in seguito alle obiezioni dei riformatori dal XVI secolo.
In nome della verità, il Papa avrebbe dovuto quanto meno promettere un riesame di questa norma, da tempo auspicato dalla grande maggioranza del clero e della popolazione. Anche personalità come Alois Glück, presidente del Comitato centrale dei cattolici tedeschi, o Hans-Jochen Jaschke, vescovo ausiliare di Amburgo, si sono espresse in favore di un rapporto più sereno con la sessualità e della possibilità di far coesistere fianco a fianco sacerdoti celibi e sposati.
Seconda domanda: È possibile che «tutti gli esperti» abbiano escluso l’esistenza di qualsiasi rapporto tra la pedofilia e l’obbligo del celibato sacerdotale, come ha nuovamente asserito l’arcivescovo Zollitsch? Chi mai può conoscere il parere di «tutti gli esperti»!? Di fatto si potrebbero citare innumerevoli psicoanalisti e psicoterapeuti che al contrario hanno sottolineato questo rapporto: mentre l’obbligo del celibato impone ai preti di astenersi da qualunque attività sessuale, i loro impulsi sono però virulenti, col rischio che il tabù e l’inibizione sessuale li induca a ricercare una qualche compensazione.
In nome della verità, la correlazione tra l’obbligo del celibato e gli abusi non può essere semplicemente negata, ma va presa invece in seria considerazione. Lo ha ben chiarito ad esempio lo psicoterapeuta americano Richard Sipe, che a questi studi ha dedicato un quarto di secolo (cfr. «Knowledge of sexual activity and abuse within the clerical system of the Roman Catholic church», 2004): la forma di vita del celibato, e in particolare la socializzazione che la prepara (il più delle volte nei convitti e successivamente nei seminari) può favorire tendenze pedofile. Richard Sipe ha individuato un tipo di inibizione dello sviluppo psicosessuale più frequente nei celibi che nella media della popolazione; ma spesso la consapevolezza dei deficit dello sviluppo psicologico e delle tendenze sessuali si raggiunge solo dopo l’ordinazione al sacerdozio.
Terza domanda. Oltre a chiedere perdono alle vittime, i vescovi non dovrebbero finalmente riconoscere anche le proprie corresponsabilità? Per decenni, dato il tabù sulla norma del celibato, hanno occultato gli abusi, limitandosi a disporre il trasferimento dei responsabili. Tutelare i preti era più importante che proteggere bambini. C’è poi una differenza tra i casi individuali di abusi commessi nelle scuole, al di fuori della Chiesa cattolica, e gli abusi sistemici, spesso reiterati e frequenti, all’interno stesso della Chiesa cattolica romana, in cui vige tuttora una morale sessuale quanto mai rigida e repressiva, che culmina nella norma sul celibato.
In nome della verità, anziché porre un ultimatum di 24 ore al ministro federale della giustizia, sopravvalutando peraltro gravemente l’autorità ecclesiastica, il presidente della Conferenza episcopale avrebbe dovuto finalmente dichiarare con chiarezza che d’ora in poi, in caso di reati di natura penale le gerarchie della Chiesa non cercheranno più di eludere l’azione giudiziaria dello Stato. O dovremo aspettare che per ricredersi, la gerarchia sia costretta a pagare risarcimenti dell’ordine di milioni di euro? Negli Usa la Chiesa cattolica ha dovuto versare a questo titolo, nel 2006, ben 1,3 miliardi di dollari; e in Irlanda, nel 2009 il governo ha stabilito con gli ordini religiosi un accordo - rovinoso per questi ultimi - per un fondo risarcimenti di 2,1 miliardi di euro. Cifre del genere sono assai più eloquenti dei dati statistici sulle percentuali dei celibi tra gli autori di reati sessuali, citati nel tentativo di sdrammatizzare il dibattito.
Quarta domanda: Il papa Benedetto XVI non dovrebbe assumersi a sua volta le proprie responsabilità, anziché lamentarsi di una campagna che sarebbe in atto contro la sua persona? Nessuno finora, in seno alla Chiesa, si è mai trovato sulla scrivania un così gran numero di denunce di abusi. Vorrei ricordare quanto segue:
Per otto anni docente di teologia a Regensburg e in stretti rapporti col fratello Georg, maestro della cappella del Duomo (Domkapellmeister), Joseph Ratzinger era perfettamente al corrente della situazione dei Domspatzen, i piccoli cantori di Regensburg. E non si tratta qui dei ceffoni, purtroppo all’ordine del giorno a quei tempi, bensì anche di eventuali reati sessuali.
Arcivescovo di Monaco per cinque anni, in un periodo durante il quale un prete, trasferito nel suo episcopato, perpetrò una serie di ulteriori abusi che oggi sono venuti alla luce. Anche se Mons. Gerhard Gruber, suo vicario generale (oltre che mio ex collega di studi) si è assunta la piena responsabilità di questi episodi, la sua lealtà non poteva bastare a scagionare l’arcivescovo, responsabile anche sul piano amministrativo.
Per 24 anni Joseph Ratzinger è stato prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, nel cui ambito si prendeva atto dei più gravi reati sessuali commessi dal clero in tutto il mondo, per raccoglierli e trattarli nel più totale segreto («Secretum pontificium». Il 18 maggio 2001, con una lettera rivolta a tutti i vescovi sul tema delle «gravi trasgressioni», Joseph Ratzinger aveva confermato per gli abusi il «segreto pontificio», la cui violazione è punita dalla Chiesa).
Papa per cinque anni, non ha cambiato di una virgola questa prassi infausta. In nome della verità Joseph Ratzinger, l’uomo che da decenni è il principale responsabile dell’occultamento di questi abusi a livello mondiale, avrebbe dovuto pronunciare a sua volta un «mea culpa». Così come lo ha fatto il vescovo di Limburg, Franz-Peter Tebartz-van Elst, che in un’allocuzione trasmessa per radio il 14 marzo 2010 si è rivolto a tutti i fedeli in questi termini: «Poiché un’iniquità così atroce non può essere accettata né occultata, abbiamo bisogno di cambiare strada, di invertire la rotta per dare spazio alla verità. Per convertirci ed espiare, dobbiamo incominciare col riconoscere espressamente le colpe, fare atto di pentimento e manifestarlo, assumerci le responsabilità e aprire così la strada a un nuovo inizio».
Pedofilia clericale - riflessione
Il Papa e Bertone chiedano perdono alla vittime
di Paolo Farinella, prete *
Mercoledì scorso non avevo ancora finito di scrivere che dopo gli Usa , l’Irlanda e la Germania sarebbe venuto il turno dell’Italia che ... zac ... vengono fuori alcuni casi di pedofilia. Mi si stringe il cuore perché ci troviamo di fronte a tragedie che sono gravi e complicate sotto molti aspetti. Penso che la responsabilità primaria sia dell’educazione di seminario che spersonalizza e «infantilizza» anche chi entra adulto: il prete deve essere un eterno bambino, senza testa propria, sempre pronto ad eseguire ordini dei superiori che deve anche adorare come idoli indiscutibili. I preti che crescono bambini non hanno coscienza, almeno sul momento, di fare male ai bambini, ma con essi giocano avendo una struttura psicologica ed affettiva fanciullesca e deviata perché vissuta in modo subliminale. Quando qualcuno gli fa prendere coscienza, allora è troppo tardi.
Come sono state tristi le parole di P. Lombardi che cerca di scusare il suo mondo dicendo che questi misfatti accadono anche in altri ambienti che pure dovrebbero tutelare i bambini! E’ vero che anche alcuni/molti genitori sono colpevoli di abusi su minori «dentro le mura domestiche», ma ciò non è un motivo né logico né etico per tentare di ridurre il dànno: le responsabilità sono indivisibili e chi pretende di insegnare la morale deve saperlo e, in casi anche tacere. Non hanno parlato quando dovevano, stiano zitti adesso, se tentano di straparlare.
Più grave ancora il maldestro tentativo del cardinale-prima donna in gonnella e coppola, Bertone che gongola di avere sventato il «complotto» di denigrare la Chiesa e il papa. Poveretto, non si rende conto di quello che pensa, non solo di quello che dice. A denigrare la Chiesa ci pensano i prelati in gonnella come lui e i preti che lui/loro hanno formato e che adesso scaricano, tirandosi fuori in modo vigliacco e lasciando abbandonati a se stessi i preti colpevoli, ma non da soli: si lavano le mani anche senz’acqua e si stirano la coscienza.
Non è possibile perché anche se in Germania e nella diocesi che fu del papa non fosse successo nulla e suo fratello fosse totalmente estraneo, il papa in quanto tale è responsabile di tutto ciò che succede nella Chiesa universale. Se pretende tutta l’autorità e impone tutta l’obbedienza al suo magistero, deve anche assumersi tutta la responsabilità che gli deriva dal suo ruolo. Chi fa le leggi? Chi fa le norme e i regolamenti? Chi obbliga al celibato senza misericordia? Chi ordina preti persone immature e magari fallite in altri campi? Chi accoglie nei seminari candidati malati? Chi ordina vescovi carrieristi disposti a vendersi anche l’anima senza alcuna fatica pur di avere una striscia rossa come i carabinieri? Chi forma i preti alla degenerazione psichica e affettiva?
Il papa è colpevole come e forse più del prete pedofilo. Bertone è colpevole se crede di salvarsi con una battuta degna del peggiore berlusconismo che deve avere sempre ragione a costo di girare le frittate non una, ma dieci, cento, mille volte. Invece di dire di avere «protezione dall’alto», Bertone chieda perdono alla vittime e rassegni le dimissioni per evidente fallimento suo e della cricca che sgoverna la Chiesa.
* Il Dialogo,Giovedì 18 Marzo,2010 Ore: 10:57
CONTINUERANNO SEMPRE AD ABUSARE DEI PICCOLI TRA 6 E 12 ANNI, PER I PRETI E’ UN RITO SACRIFICALE, SACRIFICIO DEGLI INNOCENTI.NON AVRETE MAI COLLABORAZIONE DA PEDOFILI MILLENARI. Sentite come si giustificava nel 2007, in maniera imbarazzata ed imbarazzante per chiunque abbia i neuroni a posto, il cardinal Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI):
“Le Norme di cui stiamo parlando si trovano all’interno di un ordinamento giuridico proprio, che ha un’autonomia garantita, e non solo nei Paesi concordatari. Non escludo che in particolari casi ci possa essere una forma di collaborazione, qualche scambio di informazioni, tra autorità ecclesiastiche e magistratura. Ma, a mio parere, non ha fondamento la pretesa che un vescovo, ad esempio, sia obbligato a rivolgersi alla magistratura civile per denunciare il sacerdote che gli ha confidato di aver commesso il delitto di pedofilia. Naturalmente la società civile ha l’obbligo di difendere i propri cittadini. Ma deve rispettare anche il “segreto professionale” dei sacerdoti, come si rispetta il segreto professionale di ogni categoria, rispetto che non può essere ridotto al sigillo confessionale, che è inviolabile” .
A parte che la quasi totalità delle migliaia di casi di pedofilia clericale è venuta alla luce, grazie a denunce da parte di civili cittadini, liberi da pastoie fideistiche settarie o grazie agli stessi abusati (come vedremo più avanti) e non nell’ambito del segreto confessionale, ma con quale rigore religioso si possono sostenere discorsi del genere, che sarebbero più opportuni in bocca a dirigenti delle multinazionali del terrore e non ad uno che si professa seguace di Cristo e che in quanto tale dovrebbe difendere i bambini e non offenderli ancora una volta in nome della propria incolumità professionale! Nella prossima dichiarazione dei redditi, ricordatevi a chi dare l’Ottopermille, se ai violentatori o alle vittime! Oltre nove miliardi di euro intasca il Vaticano dai cittadini italiani, affinché i monsignori che abitano in una città di mezzo chilometro quadrato paghino, tra l’altro, gli avvocati per difendersi nei dibattimenti contro le accuse di pedofilia. Ah, dimenticavo: nel frattempo che si risolva questa millenaria questione, tenete lontani i vostri bambini dalle chiese, dagli oratori e dai preti, finché l’ultimo dei loro delinquenti non marcisca nelle carceri di massima sicurezza! da: LA RELIGIONE CHE UCCIDE COME LA CHIESA DEVIA IL DESTINO DELL’UMANITÀ
http://alessiodibenedetto.jimdo.com/novita-2010/ www.macroedizioni.it/libri/la-religione-che-uccide.php www.macroedizioni.it/libri/la-religione-che-uccide.php
MA QUALE CAMPAGNA DIFFAMATORIA RUINI? La Vostra pedofilia dura da sempre ed è documentata a partire da San Pier Damiani, il Vs monaco. San Pier Damiani (1007-72) denunciava la corruzione del clero, preda dell’immoralità e degli abusi di ogni genere nel suo testo LIBRO DI GOMORRA , miracolosamente scampato ai roghi ecclesiastici. Il dottore della chiesa affermava che: “Nei papi è presente una naturale tendenza all’omicidio ed alla brutalità. Né costoro hanno la minima propensione a domare la loro abominevole lussuria; molti sono stati visti indulgere alla licenziosità per i piaceri della carne e, di conseguenza, usare tale libertà per perpetrare ogni sorta di crimine”. In tempi recenti, il cosiddetto Decreto Salvapreti dell’attuale governo clericofascista di Berlusconi ha approvato norme analoghe al più fosco passato: non è permesso ai giudici mettere sotto controllo il cellulare di un sacerdote se non si ha preventivamente l’autorizzazione del vescovo, del cardinale ed infine del papa. Il che equivarrebbe a dire ai terroristi, impegnati in un attentato, che le forze dell’ordine stanno organizzando una retata per incastrarli. Suvvia, se fossimo almeno coerenti in questa italietta neofascista dovremmo procedere in questo modo e proporre che il Decreto Salvapreti venga esteso anche ai mafiosi, agli eversori ed agli spacciatori. Insomma, non so se ci rendiamo conto del sopruso continuo a cui ci sottopone il Vaticano: per indagare su un cittadino italiano si deve chiedere il permesso ad uno stato straniero.
da: LA RELIGIONE CHE UCCIDE COME LA CHIESA DEVIA IL DESTINO DELL’UMANITÀ
http://alessiodibenedetto.jimdo.com/novita-2010/ www.macroedizioni.it/libri/la-religione-che-uccide.php www.macroedizioni.it/libri/la-religione-che-uccide.php
MEMORIA FALLACE
di Vania Lucia Gaito *
[...] Lo scandalo, venuto a galla negli Stati Uniti, è solo l’inizio. Altrettanti scandali travolgono l’Australia, il Sudamerica, il Messico, il Canada, l’Alaska, la Polonia, l’Irlanda, la Spagna, l’Inghilterra, la Germania, l’Olanda e moltissimi paesi africani. Una vergogna dietro l’altra, si svelano i retroscena di sacerdoti che hanno molestato, abusato, violentato decine di bambini, alcuni piccolissimi.
Così, nel 2001, il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede dal 25 novembre 1981 fino alla sua nomina al soglio pontificio, promulgò un epistola nota come De Delictis Gravioribus o come Ad exsequandam. In essa richiamava il Crimen sollicitationis e avocava un diretto controllo, da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede, sui "crimini più gravi", compresi gli abusi sui minori.
Per quella lettera, il cardinale Ratzinger fu citato in giudizio dall’avvocato Daniel Shea davanti al tribunale dalla Corte distrettuale della contea di Harris (Texas), dove fu accusato di "ostruzione alla giustizia". Secondo l’accusa, infatti, il documento della Congregazione avrebbe favorito la copertura di prelati coinvolti nei casi di molestie sessuali ai danni di minori negli Stati Uniti. Nel febbraio 2005 fu emanato dalla corte un ordine di comparizione per il cardinale Joseph Ratzinger. Il 19 aprile 2005, il cardinale Ratzinger fu eletto papa e i suoi legali negli Stati Uniti si rivolsero al Dipartimento di Stato chiedendo l’immunità diplomatica per il loro assistito. L’Amministrazione Bush acconsentì e Joseph Ratzinger fu esonerato dal processo. [...]
* Per leggere l’intero scritto, clicca su: BISPENSIERO
Pedofilia
Cattolici tedeschi chiedono le dimissioni del Papa *
Il movimento cattolico progressista tedesco, «Iniziativa Chiesa dal basso», chiede le dimissioni di Benedetto XVI per lo scandalo sugli abusi sessuali. «Sarebbe un gesto purificatore», ha detto il direttore Bernd Goehrig al Financial Times Deutschland. Goehrig ha ricordato anche il caso di Monaco di Baviera che ha visto coinvolto un prete nel periodo in cui il Papa era arcivescovo della capitale bavarese. L’allora Vicario generale, Gerhard Gruber, 81enne, si è assunto la responsabilità della vicenda, ma secondo Goehrig c’è una responsabilità morale.
*l’Unità 16.03.2010
Monaco, si dimette il prete dello scandalo
di Alessandro Alviani e Giacomo Galeazzi (La Stampa, 16 marzo 2010)
Lo scandalo pedofilia travolge la Chiesa mondiale. In Brasile due vescovi e un sacerdote sono nella bufera per un video che documenta i loro abusi sessuali su minori. Il primate d’Irlanda Brady, accusato di aver indotto al silenzio le vittime delle violenze, è pronto a lasciare su richiesta di Benedetto XVI. E in Germania padre Hullermann è stato sospeso con effetto immediato.
L’arcidiocesi di Monaco, infatti, ha tolto tutti gli incarichi pastorali al sacerdote che ha fatto sì che lo scandalo pedofilia arrivasse a sfiorare anche il Papa. Col consenso dell’allora arcivescovo Ratzinger, padre Hullermann venne accolto nel 1980 a Monaco per sottoporsi a una terapia (era stato accusato di abusi su un undicenne a Essen); pochi anni dopo, però, fu denunciato nuovamente per pedofilia e condannato. Hullermann «non si è attenuto alle condizioni che gli erano state imposte», comunica l’arcidiocesi: nel 2008 gli era stato vietato di lavorare a contatto diretto coi minorenni; la scorsa estate era invece in un campeggio per ragazzi a celebrare messa da solo.
Comunque, ha precisato l’arcidiocesi, non ci sono indizi che facciano pensare che il sacerdote abbia commesso nuovi abusi da quando, nel 2008, era stato trasferito a Bad Tölz, nel Sud della Baviera.
Sempre ieri il superiore di Hullermann, il prelato Josef Obermaier, ha deciso di rassegnare le dimissioni, prontamente accolte. È la seconda volta in 62 anni di vita che padre Hullermann viene sospeso dall’arcidiocesi di Monaco. Dopo che nel 1980 l’allora vicario generale, Gerhard Gruber, decise autonomamente di riaffidargli degli incarichi pastorali, il sacerdote rimase dapprima a Monaco, poi venne spostato nella vicina Grafing. Lì lavorò anche come insegnante di religione nel liceo locale. Sei ore a settimana per tre mesi, dal 18 settembre 1984 all’inizio delle ferie natalizie, il 21 dicembre. Poi, d’un tratto, fece perdere le sue tracce. «Mi spiace dover rinunciare al mio incarico, ma sono stato improvvisamente trasferito», scrisse l’8 gennaio 1985 in una breve lettera all’allora direttore. Pochi giorni dopo, il 29 gennaio, veniva sospeso a causa di nuove accuse di pedofilia e l’anno dopo veniva condannato a 18 mesi con la condizionale. «Nella scuola non è successo nulla; dev’essere quindi successo qualcosa in parrocchia, coi chierichetti», spiega l’attuale direttore del liceo di Grafing, Harald Parigger.
Nel frattempo in Germania si allarga il fronte di quanti chiedono a gran voce una chiara presa di posizione del Pontefice. Ieri la stampa bavarese lamentava «il silenzio del Papa» e la Abendzeitung arrivava persino a chiedergli «delle scuse ufficiali». Anche la Gioventù cattolica ha auspicato un suo intervento e l’associazione «Iniziativa Chiesa dal basso» (Ikvu) è arrivata persino a chiedere provocatoriamente le sue dimissioni. E, mentre il ministro della Giustizia tedesco Sabine Leutheusser-Schnarrenberger annunciava che incontrerà il 15 aprile il presidente della Conferenza episcopale tedesca Robert Zollitsch, si è inserita nel dibattito anche Angela Merkel. «La cancelliera accoglie con favore il fatto che il Santo Padre abbia sottolineato espressamente la necessità di far piena luce su questi fatti ripugnanti», ha detto un suo portavoce.
Venerdì Benedetto XVI firmerà la lettera pastorale per gli irlandesi "scossi da una situazione dolorosa"
L’ammissione di colpa di Sean Brady: "Mi vergogno per non aver detto nulla. Rifletterò sul mio ruolo"
Pedofilia, il Papa: "Guarire le ferite"
Primate d’Irlanda si scusa: "Ho taciuto"
Merkel al Parlamento: "Gli abusi sessuali sui minori sono un dramma che affligge la società Necessario fare chiarezza, ma senza puntare il dito su un solo gruppo" *
BERLINO - Dalla Germania all’Irlanda, si torna a parlare degli scandali dei preti pedofili che negli ultimi tempi hanno travolto ambienti della Chiesa cattolica. Oggi il Papa ha annunciato che venerdì prossimo firmerà una lettera per i fedeli irlandesi scossi dagli episodi di pedofilia, nella speranza che possa essere di aiuto nel "processo di pentimento, guarigione e rinnovamento". E nel giorno di San Patrizio ha parlato anche il capo della Chiesa cattolica irlandese, il cardinale Sean Brady, che ha fatto le sue scuse per non aver avvertito la polizia dei comportamenti di un sacerdote pedofilo a metà anni Settanta. Brady, rivolgendosi ai fedeli, ha anche detto che "rifletterà" sul suo ruolo nel futuro. Per quanto riguarda la Germania, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha condannato duramente gli abusi sui minori, invitando però a non demonizzare un unico gruppo, perché "la pedofilia è un problema abominevole che tocca tutta la società e non solo la Chiesa cattolica".
La lettera del Papa agli irlandesi. Il Papa ha annunciato che questo venerdì, giorno di San Giuseppe, firmerà la lettera ai fedeli irlandesi sui casi degli abusi sessuali sui bambini. "Come sapete - ha detto il Papa salutando i pellegrini irlandesi nella festa di San Patrizio - negli ultimi mesi la Chiesa in Irlanda è stata severamente scossa in conseguenza della crisi degli abusi sui minori". "Come segno della mia profonda preoccupazione - ha aggiunto - ho scritto una lettera pastorale che tratta di questa dolorosa situazione. La firmerò nella solennità di San Giuseppe, il guardiano della Sacra Famiglia e patrono della Chiesa universale, e la manderò presto". "Vi chiedo - ha concluso il Pontefice - di leggerla voi stessi, con cuore aperto e spirito di fede. La mia speranza è che aiuti nel processo di pentimento, guarigione e rinnovamento".
Le scusa di Sean Brady. "Questa settimana mi è tornato davanti un episodio doloroso del mio passato", ha detto il cardinale Brady. "Ho ascoltato la reazione della gente al mio ruolo negli eventi di 35 anni fa. Voglio dire a chiunque sia stato ferito da qualsiasi mancanza da parte mia che gli chiedo perdono con tutto il cuore. Chiedo perdono a coloro che sentono che li ho delusi. Guardando indietro, mi vergogno di non aver sempre tenuto fede ai valori che professo e in cui credo’’. Per il porporato, la Chiesa d’Irlanda deve ’’continuare ad affrontare l’enorme dolore causato dall’abuso di bambini da parte di alcuni preti e religiosi e dalla risposta disperatamente inadeguata a questi abusi nel passato’’. ’’Come San Patrizio e San Pietro - ha proseguito - noi vescovi, successori degli apostoli nella Chiesa d’Irlanda, dobbiamo oggi riconoscere i nostri errori. L’integrità della nostra testimonianza del Vangelo ci sfida a confessare e a assumerci la responsabilità per ogni errore nella gestione o per ogni copertura degli abusi sui minori. Per il bene dei sopravvissuti, per il bene dei fedeli cattolici e dei preti e dei religiosi di questo Paese, dobbiamo mettere fine allo stillicidio quotidiano di rivelazioni di errori".
Merkel: "Problema che affligge tutta la società". "Il dramma degli abusi sessuali sui minori è un problema abominevole che si è ripetuto in numerosi settori della società", e dunque non riguarda solo il Vaticano. Lo ha detto oggi la cancelliera tedesca Angela Merkel, dopo l’emersione di una serie di casi di pedofilia avvenuti negli istituti scolastici. "Non ha senso - ha spiegato Merkel al Bundestag, la Camera bassa del Parlamento tedesco - puntare il dito su un solo gruppo, anche se i primi casi sono emersi nella Chiesa cattolica". La conferenza episcopale tedesca, da parte sua, si è impegnata a far luce sullo scandalo dei preti pedofili in Germania.
"C’è solo una possibilità affinché la nostra società venga a capo di questi casi - ha detto Merkel - fare chiarezza e appurare la verità su ciò che è successo". La cancelliera ha inoltre sottolineato che si deve parlare anche dei termini di prescrizione per questo tipo di reati e dei risarcimenti alle vittime. "Questa è una prova per la società", ha poi sottolineato, spiegando che "la gente che ha fatto queste esperienze terribili" deve almeno poter "ricevere un pezzo di risarcimento".
Denunce di abusi nel coro dei Piccoli Cantori di Vienna. Nel mentre crescono le denunce di abusi sessuali e fisici avvenuti all’interno del rinomato coro dei Piccoli Cantori di Vienna negli anni Ottanta. Dopo le rivelazioni di un giornale austriaco, la direzione del coro - che è un’istituzione privata e non dipende dalla Chiesa - ha istituito una linea telefonica per raccogliere ulteriori testimonianze. Da allora altri otto ex allievi del coro hanno fornito le loro testimonianze. Secondo il quotidiano Der Standard, i ragazzi avrebbero subito "forti pressioni" e "umiliazioni permanenti" e nelle accuse il coro viene paragonato a un "campo di concentramento". La responsabile del servizio telefonico, Tina Breckwoldt, non ha specificato la natura degli abusi segnalati, né se le vittime fossero bambini o adulti. Le denunce finora pubblicate dalla stampa riguardano due ex membri del coro, oggi adulti, che hanno raccontato di essere stati vittime di violenze sessuali.
* la Repubblica, 17 marzo 2010
Vaticano il male nascosto
di BARBARA SPINELLI (La Stampa, 14/3/2010)
Nel raccontare lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde, Stevenson descrive la doppia presenza, nell’essere umano, del bene e del male. Le due forze si affrontano, e se alla fine è la parte malvagia a vincere non è perché l’eccelsa viene travolta. Il duello non è fra eccelso e abietto, ma fra l’impeto ardente del male e l’inerzia, la scarsa ambizione, l’energia spenta della parte ritenuta buona. Il male trabocca in Jekyll perché Jekyll è un uomo onorato ma mediocre. Perché non ha combattuto il male ma lo ha semplicemente nascosto (di qui il nome Hyde). Così i crimini di pedofilia di tanti uomini di Chiesa: per decenni sono stati nascosti, più che combattuti. A volte sono stati anche protetti: il prete pedofilo che fu spostato nel 1980 da Essen a Monaco, quando Ratzinger era arcivescovo di Monaco e Freising, fu di fatto immunizzato. Non venne allontanato dalle mansioni ecclesiastiche neppure quando, nell’86, un tribunale lo condannò per abuso di minorenni.
Ancor oggi cura le anime in una comunità bavarese, nonostante l’offensiva contro la pedofilia iniziata nel frattempo da Ratzinger divenuto Papa. Il prete bavarese non è un caso unico, dicono le cronache da mesi e anni. Se il male s’estende dall’Irlanda alla Germania, all’Austria, all’Olanda, è perché i sosia malvagi di tanti sacerdoti erano più forti e vitali di una Chiesa inerte. Così vasto è l’evento, che nessun commento pare all’altezza. Non mancano parole di contrizione, dolore. Spesso il male è deplorato, ma non la sua radice. Non la mediocrità, che ha consentito all’infamia di sopraffare e le ha risposto con l’occultamento anziché con la verità. In Germania si promettono tavole rotonde: questo sotterfugio dell’astuzia politica che trasforma fatti e misfatti in dibattiti di idee. Il più mediocre dei sotterfugi, e il più lontano dalla conversione. Sono simili stratagemmi a colpire, più ancora di crimini che non sono nuovi, in comunità che cercano il male fuori e non dentro di sé. Quel che veramente disorienta, nella reazione di tanti prelati, è il tono con cui il male viene discusso: allarmato, sì, ma non sconvolto.
A volte domina la sociologia, altre la psicologia, sempre il metro politico dell’autorità. Mai la domanda su un bene a tal punto privo di sale da farsi sommergere; sul divario tra il dire e l’agire; su una difesa di valori etici così rigida da secernere non-valori; sulla parola del Vangelo infine, ridotta a muta ombra. In Luca, Gesù descrive ai discepoli i re delle nazioni, detti benefattori, e prescrive: «Voi, però, non così. Ma chi tra voi è il più grande diventi il più piccolo, e chi governa diventi come colui che serve». «Voi, invece, così come qualsiasi politico»: tale la via che per il momento sembra prescelta. La via di padre Federico Lombardi ad esempio, portavoce vaticano, che il 9 marzo dichiara: «Certamente quanto compiuto in certi ambienti religiosi è particolarmente riprovevole, data la responsabilità educativa e morale degli uomini di Chiesa. Ma chi è obiettivo e informato sa che la questione è molto più ampia, e il concentrare le accuse solo sulla Chiesa falsa la prospettiva». La reazione è da politico, non da Figlio della Luce. Sono i politici a diluire i misfatti nella forza dei numeri, delle percentuali, dell’Altro più colpevole.
Citando un’inchiesta del governo austriaco padre Lombardi ricorda: «17 casi di molestie o violenze ascrivibili a religiosi cattolici, 510 in altri ambienti. Non sarebbe giusto, innanzitutto per le vittime, che ci si occupasse almeno un poco anche di loro?». È il numero che conta, quasi più del male. Anche se il disastro fa soffrire specialmente chi lo patisce, incolpevole, dentro la Chiesa. Non meno mediocre è il dibattito di idee sulla stampa vaticana e ai vertici della Chiesa. Ha cominciato l’arcivescovo di Vienna Schönborn, a evocare la questione del celibato (poi s’è corretto: l’ignominia non nasce qui). Non ci sarebbero violenze a bambini, forse, se il sacerdote non fosse condannato a deserti sentimentali. Evocata in questo contesto, la questione molto seria del celibato è usata per psicologizzare, dunque minimizzare. Si ricorderà la proposta di Cesa, segretario Udc, quando nel 2007 si scoprì che il deputato Cosimo Mele frequentava prostitute e droga in un hotel romano. Cesa suggerì stipendi più alti ai deputati, per aiutarli a fuggire le tentazioni trasferendo le mogli a Roma.
Forse ancora più improprio l’accenno alle donne, presentate come panacea in prima pagina dell’Osservatore Romano, in un commento di Lucetta Scaraffia dell’11 marzo. Ecco l’ora di «recepire la rivoluzione femminile», e «ampliare il ruolo delle donne» nel governo ecclesiale. Anche qui l’esigenza è seria: nella cristianità, le donne hanno testimoniato spiritualità altissima. Non è tuttavia la spiritualità quel che interessa l’autore, né l’amore o l’ascesi (parole assenti nel commento). È la capacità femminile di controllare la sessualità e l’istinto omertoso del prete maschio: «Nelle dolorose e vergognose situazioni in cui vengono alla luce molestie e abusi sessuali da parte di ecclesiastici su giovani a loro affidati, possiamo ipotizzare che una maggiore presenza femminile non subordinata avrebbe potuto squarciare il velo di omertà maschile che spesso in passato ha coperto con il silenzio la denuncia dei misfatti. Le donne infatti (...) sarebbero per natura più portate alla difesa dei giovani in caso di abusi sessuali, evitando alla Chiesa il grave danno che questi colpevoli atteggiamenti le hanno procurato».
Leggendo queste parole, viene in mente il film di John Patrick Shanley «Il Dubbio». Suora Aloysius, che dirige nel Bronx una scuola cattolica, è divorata da un sospetto, sul comportamento del carismatico padre Flynn: i suoi comportamenti verso un allievo sarebbero impuri. Non si saprà se il padre abbia davvero peccato, e se la suora-inquisitrice dubiti alla fine del proprio dubbio. Certo è che la donna occhiuta agisce proprio come consigliato sull’Osservatore Romano: con la mera sua presenza, la sorella «squarcia il velo di omertà maschile», convinta di esser «per natura più portata alla difesa dei giovani» abusati sessualmente. Non ha verticalità spirituale, non soffre per i Piccoli: vive l’orizzontalità di un rapporto di potere che la tramuta in poliziotto feroce. Le donne-Torquemada sono frequenti, nelle storie totalitarie. Nelle tavole rotonde, la parola di Gesù si spegne. La stessa suora Aloysius l’ammette: «Nel combattere il male, ci si deve allontanare da Dio».
Di tutto si discute dei rapporti di forza tra uomo e donna, di sociologia, di psicologia ma non della persona di Cristo. Tanto più prezioso un libro appena pubblicato da Carocci, a cura di Alberto Melloni e Giuseppe Ruggieri. Il Vangelo basta dice precisamente questo: in fondo non c’è bisogno d’altro che della Scrittura. Secondo Paolo Giannoni, teologo e eremita camaldolese, il Vangelo non ignora la serietà del male e del peccato. Decide anzi di «toccarlo», di non averne paura, per meglio rivelarlo. Gesù stesso diventa maledizione, toccando l’impuro: «Si contamina e diventa carne offesa dal peccato, dalla malattia e dalla morte. Diventa il maledetto».
Tornare al Vangelo non è, secondo gli autori, darsi una morale, e leggi nascostamente trasgredite. «La Chiesa non è un’agenzia di etica». Gli autori consigliano la pazienza di Cristo: la fatica di sciogliere i nodi, la non precipitosa ma lenta, meditata separazione del grano buono dalla zizzania, come nella parabola di Matteo. («L’insegnamento della parabola originaria è totalmente evaporato: ciò che rimane sul terreno è il cadavere della parabola di Gesù, ormai irrimediabilmente corrotto», scrive don Giuseppe Ruggieri). È il moltiplicarsi sfrenato di leggi autoritarie che fa dimenticare Gesù: i nuovi farisei commettono reati o li coprono. Da fraternità, la Chiesa immaginata da numerosi suoi reggenti scade in confraternita che esclude, in setta recintata. Tutte queste cose, il Concilio Vaticano II le aveva cominciate a dire: il suo dire sapeva di sale. Averlo abbandonato lascia la Chiesa davanti a parabole corrotte e a una miriade di Mr. Hyde. Incapace di tenerli a bada, perché troppo abituata a nasconderli. Incapace di vincerne l’energia, perché portata a disperare nella trasformazione e nel miglioramento dell’«incongruo miscuglio» che il vecchio Jekyll è diventato.
La chiesa e l’educazione
di Chiara Saraceno (la Repubblica, 14.03.2010)
L’entità della diffusione dell’abuso sessuale su bambini da parte di sacerdoti mina la stessa legittimazione della Chiesa cattolica come garante della educazione dei più piccoli. Proprio la diffusione del fenomeno, unita al fatto che ne sono stati protagonisti religiosi ad ogni livello gerarchico e che, quando non vi è stata copertura colpevole, vi è stata mancanza di vigilanza, cecità rispetto a tutti gli indizi, mancato ascolto dei segnali mandati dalle vittime, non consente di nascondersi dietro l’abusata affermazione che poche mele marce non possono inficiare la missione educativa della Chiesa.
Ne sa qualche cosa la Chiesa cattolica irlandese, che ha subito un crollo verticale di fiducia dopo che è stato rivelato il mondo di violenza, abusi, sopraffazioni che si nascondevano dietro molte delle sue istituzioni per bambini e ragazzi/e. Piuttosto vale il contrario: non bastano molti bravissimi e generosi educatori a legittimare la superiorità educativa sul piano morale attribuita alla Chiesa.
Non può valere per gli uomini (e le donne) di chiesa, il principio della doppia morale, in base al quale è il ruolo, non il comportamento individuale, che conta. Lo ha dichiarato con nettezza la (ex) vescova luterana Kauffman, che, con un gesto di grande responsabilità e rispetto per l’istituzione che rappresentava, si è dimessa dalla propria carica dopo aver commesso una infrazione infinitamente meno grave (guida in stato di ubriachezza) e dannosa di quella imputata a centinaia di sacerdoti (e qualche vescovo) cattolici. A chi, dentro e fuori la sua Chiesa, le chiedeva di restare ha risposto che, per la sua coscienza, rimanere avrebbe significato indebolire non solo la carica che deteneva e la chiesa che guidava, ma lo stesso messaggio etico-religioso.
L’impossibilità della doppia morale è tanto più evidente quando coinvolge - e stravolge - il rapporto educativo. Nei casi di violenza, e ancor più di abuso sessuale, è tradito proprio il rapporto fiduciario che è alla base di ogni rapporto educativo. Il soggetto principe di questo rapporto, il bambino, è violato nel corpo, nei sentimenti, nella sua percezione di sé e del proprio posto nel mondo.
A questi bambini e ragazzi è stata sottratta la possibilità di sviluppare rapporti di fiducia negli adulti - negli educatori, ma anche nei genitori, che a quegli educatori li avevano affidati. Ne portano l’incancellabile, gravissima responsabilità non solo coloro che hanno compiuto gli abusi, ma anche coloro che li hanno nascosti o sottovalutati, o non sono stati capaci di vederli e di difenderne le vittime. Giustamente, ancorché troppo tardivamente e in alcuni casi obtorto collo, la Chiesa ha chiesto pubblicamente scusa.
Ma chiedere scusa non basta. Non solo perché non c’è riparazione possibile per il danno gravissimo subito dalle vittime. Ma perché non sembra che si sia ancora neppure iniziato a mettere a fuoco le ragioni delle troppe «mele marce» o «persone disturbate» (per usare le parole del vescovo di Ratisbona) tra i religiosi nelle istituzioni educative cattoliche. Non credo che la causa vada cercata solo nell’obbligo del celibato, o nella posizione esclusivamente ancillare delle donne nella Chiesa cattolica. Pedofili e maltrattatori di bambini si trovano anche tra le persone sposate. E, come ha testimoniato la vicenda irlandese, anche gli istituti retti da religiose possono diventare luoghi di abuso.
Piuttosto la causa va cercata nelle concezioni della sessualità, del ruolo della donna, della famiglia, che motivano sia il celibato sia l’esclusione delle donne dal sacerdozio. Il matrimonio è sempre visto come remedium concupiscientiae, un male minore rispetto ad una sessualità cui non si riconosce senso e valore umano, salvo che a scopi procreativi. Il corpo della donna è sempre potenzialmente impuro, rischioso e da sottoporre a controllo, sia come luogo del desiderio (maschile) che come strumento della procreazione. La famiglia è insieme necessaria (sempre a scopi riproduttivi). Ma avere una famiglia e generare figli è visto come un vincolo alla disponibilità all’altruismo. Non a caso, papa Wojtyla nel suo documento sull’amore umano, con una torsione concettuale tanto suggestiva quanto rivelatrice della tensione tutta irrisolta della Chiesa nei confronti della sessualità, scrisse che la verginità è il culmine della sessualità, perché consente una generatività che va oltre quella biologica.
Fino a che la Chiesa cattolica non avrà affrontato la questione del posto della sessualità nel suo concetto di persona umana, difficilmente riuscirà a contenere il ripresentarsi non occasionale dei fenomeni di abusi sessuali. Nel frattempo, sarebbe opportuna maggiore cautela e autocritica nel presentarsi come magistra vitae e nel dare lezioni sulla «buona sessualità», la «buona famiglia» e la «giusta identità di genere».
Anacronismo
editoriale di "Le Monde” (14 marzo 2010 - traduzione: www.finesettimana.org)
Una cascata di scandali pedofili in Europa - con la rivelazione di abusi sessuali su minori risalenti agli anni 1980-1970 e perfino 1960 - scuote la Chiesa cattolica. Dopo l’Austria, i Paesi Bassi, e prima gli Stati Uniti e l’Irlanda, questi casi riguardano ora la patria di papa Benedetto XVI. In Francia, il fenomeno è ben lungi dall’avere la stessa ampiezza, dato che solo una decina di religiosi sono perseguiti per questi abusi. Deciso a fare piena luce su questi scandali, Benedetto XVI ha reagito con fermezza, e diversi vescovi hanno espresso delle scuse. Tuttavia, il papa non intende cedere all’ingiunzione del suo ex condiscepolo Hans Küng che, su Le Monde del 5 marzo, reclamava “l’abrogazione della regola del celibato, radice di tutti i mali”.Tra le religioni monoteiste, la Chiesa cattolica romana è la sola ad essere fedele a questa disciplina imposta a partire dal Concilio del Laterano, nel 1123. Venerdì 12 marzo, Benedetto XVI ha riaffermato il carattere “sacro” del celibato dei preti, “un’espressione del dono di sé a Dio e agli altri”. Fin dalla sua elezione nel 2005, vi vedeva “una conferma particolare allo stile di vita di Cristo stesso”.
Nessuno pensa, nemmeno Küng, che l’abrogazione del celibato sia un rimedio miracoloso contro la pedofilia. Nella grande maggioranza dei casi, questi abusi sessuali hanno luogo all’interno della cerchia familiare o in scuole o associazioni assolutamente laiche. Ma non si sono mai rilevati fenomeni di tale ampiezza nelle religioni in cui i pastori sono sposati. La Chiesa cattolica dovrebbe rivedere la sua visione della sessualità, invece di favorire l’immaturità sessuale dei suoi chierici.
Il dibattito sul celibato dei preti è legittimamente rilanciato. In Austria, l’arcivescovo di Salisburgo, mons. Alois Kothgasser, ha dichiarato, il 12 marzo, che “la Chiesa deve chiedersi se può mantenere questo modo di vita o che cosa vi deve cambiare”. Nel 2008, il capo della Chiesa tedesca, mons. Robert Zollitsch, aveva assicurato che “il rapporto tra presbiterato e celibato non è un imperativo teologico”.
Non ci si può aspettare alcuna evoluzione da parte di Benedetto XVI, che ha già chiuso la porta all’ordinazione di uomini sposati. In Francia, la metà dei 161 preti che hanno lasciato la Chiesa tra il 1996 e il 2005 hanno scelto un legame etero o omosessuale. Il celibato è una delle cause della penuria di vocazioni - anche se scarsità di vocazioni c’è anche per pastori e rabbini, che possono sposarsi. La Chiesa non è fuori dal mondo. Se vuole sposare l’umanità del suo tempo, sarebbe ben ispirata nel metter fine a questo anacronismo.
QUESTI UOMINI CHE AMANO I FIGLI D’ALTRI COME FIGLI LORO
di MARINA CORRADI (Avvenire, 14.03.2010
Quasi ogni giorno dalla Germania arrivano notizie di casi di abusi pedofili addebitati a sacerdoti. Storie risalenti a cinquant’anni fa, come a Ratisbona, e difficili da verificare. O nuove denunce, da vagliare con rigore, per fare piena luce, come vuole il Papa, sul più intollerabile dei crimini. Per rendere giustizia alle vittime e, eventualmente, agli innocenti. Ma sembra che una gran ruota mediatica si sia messa in moto, quella ruota che giudica e condanna già nel pronunciare un nome; e all’infinito replica quei nomi, e quelle già decretate condanne. Allora tra quanti si sentono appartenenti alla Chiesa percepisci un’ombra di scoramento amaro: ma la nostra Chiesa, i nostri preti, possibile che se ne parli solo per associarli alla colpa, di tutte, più terribile?
Smarrimento, e il dubbio che questa onda mediatica, nel denunciare episodi anche autentici, taccia di un’altra parte, molto più grande, della realtà. Che insegua con i riflettori colpevoli veri o presunti, e ignori la silenziosa immensa moltitudine di sacerdoti fedeli. (Trecento, secondo il Vaticano, gli autentici casi di pedofilia imputabili a sacerdoti nell’ultimo mezzo secolo; quattrocentomila i sacerdoti cattolici nel mondo).
No, non è riducibile a quelle accuse, al pure tragico fallimento di alcuni, la testimonianza resa dai preti ai credenti. Che leggono i giornali, li chiudono sgomenti, ma vanno invece con la memoria a un oratorio, a un’infanzia; alla faccia di un uomo. Al ricordo di uno che ti accoglieva, e voleva bene, quando magari attorno c’era solo la strada; che era certo che anche nei peggiori ci fosse del buono; che era padre più del padre vero, perché, a differenza di non pochi padri di oggi, era convinto che ognuno di noi ha un compito, e un destino buono.
Ci sono milioni di uomini e donne al mondo, che nella loro infanzia e adolescenza hanno questo ricordo. Magari centrale, magari solo in un angolo - voce poco ascoltata in distratte lezioni di catechismo. Tuttavia, da adulti, anche tanti dei più lontani rimandano i loro figli al catechismo: come nell’eco di una parola ascoltata frettolosamente, non ben compresa, e però, intuiscono ora, importante. Come nel ricordo della faccia di un uomo, che comunque perdonava - e che andresti a cercare, con una strana urgenza nel cuore, il giorno in cui sapessi che il tempo ormai è breve.
Fanno più rumore, certo, quegli alberi spezzati, schiantati dal male, che la grande foresta che intorno silenziosamente cresce. La limpidezza voluta da Benedetto XVI nell’anno sacerdotale si confronta con lo sguardo degli uomini, e con il volano vorace dei media. Con un accanimento che, ha notato il portavoce della Santa Sede padre Lombardi, «a Ratisbona e a Monaco ha cercato elementi per coinvolgere personalmente il Papa nella questione degli abusi». E addirittura, si direbbe, con un compiacimento nel cercare di disfare col fango l’immagine stessa del sacerdozio. Come se ci fossero, sotto, altri conti da saldare con questi uomini così cocciutamente diversi, così assurdamente celibi, così non disposti a conformarsi alla mentalità corrente. Benedetto XVI parlando venerdì scorso alla Congregazione per il Clero ha usato una espressione, per indicare il cuore del sacerdozio: «essere di un Altro». (Incomprensibile al mondo: essere di un Altro, con la A maiuscola? Di un Altro, chi? Ma se ogni uomo moderno sa bene, di appartenere soltanto a se stesso).
E dunque la tempesta monta. Tradimenti veri, come colpi di scure nella storia di bambini e adolescenti, oppure voci, e anche bugie. Tempesta: ma che non tocchi, questa giostra di verità mescolate a veleni, la memoria di quella faccia, di quell’uomo nel campo dell’oratorio, la domenica. Che giocava a pallone, e portava in montagna, e poneva domande che gli altri non fanno. Quell’uomo, così certo in una speranza incrollabile. Che - essendo di un Altro - poteva amare quei figli d’altri, come figli suoi.
Memoria fallace
Scritto da Vania Lucia Gaito
Fa specie sentire il portavoce del Vaticano, padre Federico Lombardi, parlare di tentativi accaniti di "coinvolgere personalmente il Santo Padre nella questione degli abusi" e dello scandalo della pedofilia.
Non me ne voglia, padre Lombardi, ma non c’è bisogno di tentativi, i fatti parlano da soli, basta metterli in fila. A cominciare dal principio, sgomberando il campo dalle chiacchiere. (... per proseguire la lettura, clicca qui, su: BISPENSIERO).
La lettera ai vescovi irlandesi "Avete tradito la Chiesa"
Ratzinger ai preti pedofili "Vi condanno senza appello"
Ecco la lettera di Benedetto XVI ai vescovi irlandesi: "Sdegno profondo"
Quei religiosi hanno tradito il mandato evangelico e messo a repentaglio la vita di tante giovani vittime Gli abusi sui minori sono un segno contrario al Vangelo della vita Le ferite procurate da simili atti sono profonde ed è urgente ristabilire la fiducia e la verità di ciò che è accaduto in passato per evitare che simili drammi si ripetano in futuro
di Orazio La Rocca (la Repubblica, 20.03.2010)
CITTÀ DEL VATICANO - «Lettera pastorale ai fedeli irlandesi per il tempo di Quaresima». Salvo sorprese dell’ultima ora, sarà questo il titolo della lettera scritta da Benedetto XVI alla Chiesa d’Irlanda travolta dallo scandalo dei preti pedofili. Sacerdoti che - scrive tra l’altro Ratzinger - con la loro «condotta» hanno tradito «il mandato evangelico» e messo a repentaglio la vita di tanti giovani vittime, «meritevoli» per questo di una «condanna senza appello» da parte della Chiesa e della giustizia civile dopo regolari processi.
Il Papa l’ha firmata ieri mattina, festività di S. Giuseppe, «custode della Sacra Famiglia e patrono della Chiesa universale», come lo stesso pontefice aveva specificato all’udienza generale di mercoledì scorso, preannunciando la pubblicazione della lettera col chiaro intento di sottolineare la non casualità del giorno scelto per firmare quello che viene universalmente considerato come il documento più sofferto del suo pontificato. Un testo in cui il Pontefice esprime tutto il suo «sdegno» per quanto avvenuto negli anni passati in Irlanda, dove - secondo anche 2 inchieste governative - nella diocesi di Dublino una quarantina di bambini e bambine hanno subito violenze sessuali da sacerdoti e religiosi.
La lettera - 11 cartelle, tradotte in diverse lingue, tedesco compreso - sarà distribuita questa mattina, alle 11 nella Sala Stampa della Santa Sede dove il direttore e portavoce papale, padre Federico Lombardi, terrà anche un breve briefing per rispondere alle domande dei giornalisti. Stando a quanto trapelato ieri ufficiosamente in Vaticano, il Pontefice nel testo sintetizza quanto già detto sul drammatico tema delle violenze sessuali a minori nella Chiesa cattolica durante i recenti viaggi fatti negli Usa e in Australia, e nel corso delle due udienze concesse l’11 dicembre 2009 e il 16 febbraio scorso ai vescovi irlandesi.
«Gli abusi sessuali sui minori - scrive tra l’altro Ratzinger - sono un segno contrario al Vangelo della vita», generano «dolore nella Chiesa» e procurano «danni indescrivibili alle vittime e alla comunità...». Ed ancora: gli abusi sessuali su minorenni «da parte di alcuni sacerdoti generano vergogna» sono atti di «grave tradimento della fiducia» loro riposta. Le vittime, per il Papa, non vanno mai «dimenticate». Chi ha subito violenza deve ricevere «compassione e cura», mentre i responsabili di atti così «abominevoli» vanno «portati davanti alla giustizia» per «essere condannati in modo inequivocabile».
Le «ferite» procurate da «simili atti» - scrive il Papa - «sono profonde ed è urgente ristabilire la fiducia e la verità di ciò che è accaduto in passato per evitare che simili drammi si ripetano in futuro». Ai cattolici irlandesi - ma il richiamo è estensibile anche in quegli altri paesi dove si sono verificati analoghe violenze come gli Usa, la Germania, l’Olanda, l’Austria - Benedetto XVI ricorda, comunque, che «il grande impegno della maggioranza di sacerdoti e religiosi di Irlanda non deve essere oscurato dalle trasgressioni e dai tradimenti di alcuni loro confratelli...». Per il futuro, Ratzinger alla Chiesa chiede un impegno maggiore per «la difesa dei bambini» e ai sacerdoti di sforzarsi ancora di più «nella preghiera e nella santificazione lungo il cammino tracciato da Gesù».