IL GIOCO DELLE TRE CARTE (di Vania Lucia Gaito)
a cura di Federico La Sala
Sistema penale.
Giro di vite sui reati della Chiesa. La giustizia "abbraccia" la carità
Cambia il sistema penale ecclesiale: in vigore la riforma frutto di dieci anni di lavoro. Il canonista Pighin: più tempestività e più illeciti. Inasprite alcune pene. «Ordinamento più severo al mondo»
di Gianni Cardinale (Avvenire, giovedì 9 dicembre 2021)
Ieri è entrato in vigore il nuovo sistema penale per tutta la comunità cattolica del mondo, promulgato da papa Francesco il 1° giugno scorso con la costituzione apostolica Pascite gregem Dei. Si tratta di una riforma radicale rispetto alla normativa del genere varata nel 1983, riforma che vuole ripulire e prevenire con estrema decisione gli “schizzi di fango” che spesso hanno coperto il corpo ecclesiale negli ultimi tempi.
La stesura del nuovo assetto penale ha richiesto un’operazione molto complessa durata più di dieci anni, affidata al Pontificio Consiglio per i testi legislativi che si è servito di alcuni esperti in materia. Uno di essi è il pordenonese monsignor Bruno Fabio Pighin, professore ordinario di diritto penale nella Facoltà di diritto canonico di Venezia. Pighin non si è limitato a dare il suo apporto alla nuova legislazione che riguarda un miliardo e mezzo di cattolici, ma ha scritto pure il primo volume di commento “scientifico” alla stessa, appena venuto alla luce per i tipi di Marcianum Press di Venezia. È una pubblicazione di 664 pagine, che servirà da manuale per gli studi universitari in materia e per quanti sono interessati alla materia, soprattutto gli operatori dei tribunali ecclesiastici impegnati nei processi penali che si annunciano numerosi, visto il grande aumento dei delitti configurati nel nuovo codice canonico.
L’opera sarà presentata a Venezia il 15 dicembre dalla citata Facoltà veneziana, che ha sede nel palazzo del Longhena accanto alla Basilica della Salute.
Monsignor Pighin, perché questa “rivoluzione” dell’intero sistema penale della Chiesa cattolica?
Negli ultimi decenni si sono evidenziati spesso nella comunità ecclesiale crimini scandalosi, con ampia risonanza anche nei social. Di fronte a tale “marcio”, purtroppo i vescovi e i tribunali ecclesiastici non hanno dato una risposta pronta ed efficace. A fare difetto sono state molteplici cause. Si è diffusa, da un lato, la convinzione infondata che ritiene il ricorso a sanzioni penali incompatibile con la carità cristiana. Molti hanno proclamato ingenuamente: basta scomuniche! Basta condanne da parte della Chiesa! Questo errore ha provocato un disorientamento generale. Da un altro lato, il vecchio sistema penale si è rivelato del tutto inadeguato ad arginare tempestivamente le condotte maligne e a sanare le infezioni delittuose. Impreparazione e negligenza sono state complici di effetti negativi e persino fallimentari in materia. Da qui la necessità di varare un nuovo e valido sistema penale della Chiesa.
Quali sono gli obiettivi di questo nuovo sistema penale?
Il nuovo assetto penale canonico mira, anzitutto, a ricomporre con tempestività la giustizia infranta dai colpevoli, imponendo pene proporzionate alla gravità dei delitti commessi. Ma aggiunge pure la necessità per i delinquenti di risarcire i danni morali e materiali eventualmente provocati. Inoltre, si propone l’emendamento del reo, cosa augurabile ma non sempre raggiungibile. Infine, intende riparare gli scandali nell’opinione pubblica, operazione di esito più incerto e più remoto, ma indispensabile. In sostanza, le nuove norme penali sono rese applicabili più agevolmente; e l’autorità incaricata di applicarle, se non lo facesse, dovrà pagarne le conseguenze per omissione di atti dovuti.
A chi è rivolta questa riforma e per quali delitti?
La nuova normativa penale riguarda tutti i fedeli che hanno commesso delitti previsti dalle leggi canoniche. Quindi è rivolta non solo al clero, non solo ai membri di istituti religiosi, ma anche ai fedeli laici. Ora le figure di reato sono molto aumentate di numero e di specie: vanno dai delitti contro la fede e l’unità della Chiesa a quelli contro le autorità della stessa, agli abusi nell’esercizio degli incarichi. Questi ultimi comprendono anche prevaricazioni in campo pastorale ed illeciti in ambito economico, prima quasi totalmente assenti, a tutela dei beni patrimoniali della comunità. Seguono i delitti contro i sacramenti: ad esempio, la violazione del segreto legato alla Confessione, la profanazione delle specie eucaristiche, l’attentata ordinazione sacra di una donna, eccetera. Sono sanzionati poi i delitti di falso e di sfregio della buona fama. Sono inasprite le pene per le trasgressioni degli obblighi speciali del clero. Una grossa novità è rappresentata dai crimini contro la vita, la persona e la libertà umana. I minori e gli equiparati ad essi ora sono ampiamente protetti da abusi sia sessuali sia d’autorità. In questo campo non c’è ordinamento penale al mondo più severo di quello della Chiesa cattolica.
Ma la Chiesa è priva di un apparato di tipo poliziesco e carcerario. Quale potere coercitivo ha?
La Chiesa si configura come popolo di Dio, di natura diversa rispetto a quella delle varie nazioni sulla terra. Essa, a partire dai tempi apostolici, ha sviluppato una disciplina penale singolare, intonata alla sua struttura originale e alle sue finalità spirituali, fino a giungere ora a “sistema penale” del tutto peculiare. Questo non ricorre a punizioni afflittive di tipo corporale. Ciononostante, utilizza pene vere e proprie, in quanto esse privano di beni o vietano l’esercizio di alcuni diritti. Ad esempio, privare un cattolico della possibilità di accedere ai sacramenti può essere una sanzione avvertita più pesantemente di un’altra di tipo materiale. La gamma delle sanzioni contemplate dal nuovo sistema penale è molto aumentata. Comprende censure, ingiunzioni - come pagare un’ammenda -, proibizioni a godere di diritti nella Chiesa, divieti di esercitare incarichi o privazione di essi. Per i ministri sacri macchiatisi di crimini abominevoli è ora prevista in molti casi la loro dimissione, cioè l’esclusione dallo stato clericale.
Pare di capire che il nuovo sistema penale consideri i delitti canonici non sullo stesso piano, ma secondo una propria “scala” di gravità.
Sì, è prevista una categoria specifica di delitti chiamati «più gravi» comprendente 15 reati, tra i quali figurano, ad esempio, l’abuso sessuale di minori da parte di ministri sacri e la registrazione e divulgazione con malizia dei contenuti della confessione. La loro trattazione è riservata alla Sede Apostolica e pertanto la competenza su di essi è sottratta ai tribunali inferiori. Anche altri reati, pur non essendo classificati «più gravi», sono riservati alla Santa Sede, come l’ordinazione di un vescovo senza il mandato pontificio ed anche l’apostasia, l’eresia e lo scisma. Per ambedue le tipologie citate la prescrizione per l’azione criminale è fissata a venti anni. Molti altri reati si prescrivono in sette anni. Un numero ridotto di essi prevede la prescrizione in un arco temporale di tre anni. Infine, per i delitti più gravi la pena è applicata ipso facto, cioè, immediatamente al compimento del reato, anche se poi può essere dichiarata con effetti resi più pesanti.
Papa Francesco è noto per essersi fatto paladino della misericordia. Però questa riforma, secondo alcuni, parrebbe smentire questo suo indirizzo.
Credo che vada intesa correttamente la linea seguita dal Papa: la misericordia è una virtù essenziale che deve essere sempre testimoniata dalla Chiesa per volontà di Cristo stesso, ma non va mai disgiunta dalla giustizia. Questa seconda è un’esigenza irrinunciabile della comunità cristiana, ma pure delle eventuali vittime di delitti talvolta efferati, persino degli stessi colpevoli che hanno bisogno della misericordia e della giusta correzione, con il ricorso a sanzioni penali, se altre misure più blande risultano inefficaci, tenendo conto che la salvezza delle anime è la legge suprema della Chiesa.
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Lo spretato McCarrick finanziava Giovanni Paolo II e Benedetto XVI
Il Washington Post documenta donazioni personali da 600mila dollari dell’ex cardinale pedofilo alla nomenklatura vaticana che avrebbe dovuto vigilare sulla sua condotta
di Maria Antonietta Calabrò (www.huffingtonpost.it, 27.12.2019)*
La storia che segue è assolutamente inedita. Il Washington Post oggi diretto da Martin Baron, che come direttore del Boston Globe scoperchiò nel 2002 il cosiddetto caso Spotlight, ha documentato donazioni “personali” da 600 mila dollari nell’arco di due decenni dello spretato (da papa Francesco, il 13 febbraio 2019, quindi meno di un anno fa) cardinale McCarrick, già arcivescovo di Washington, agli alti gradi della nomenklatura vaticana, tra cui ufficiali della Curia che avrebbero dovuto “vigilare” sulla sua condotta che si è rivelata - pubblicamente a partire dall’estate 2018 - di abusatore di seminaristi e minorenni.
Gli assegni in questione sono stati collegati a un conto corrente poco noto trovato presso l’arcidiocesi di Washington, dove McCarrick ha iniziato a servire come arcivescovo nel 2001. Il “Fondo speciale dell’arcivescovo” - ha scritto ieri il WaPo - gli ha permesso di raccogliere denaro da ricchi donatori cattolici e di spenderlo come voleva, con poca o nulla supervisione, secondo testimonianza di ex funzionari”.
Tra i beneficiari anche due papi: Giovanni Paolo II, 90.000 dollari dal 2001 al 2005, e Benedetto XVI, che da solo ha ricevuto 291.000 dollari, cioè praticamente la metà di tutte le donazioni, in gran parte in forza di un singolo assegno da 250.000 dollari nel maggio 2005, un mese dopo l’elezione al Soglio di Pietro.
“I rappresentanti degli ex papi - continua il quotidiano americano - hanno rifiutato di commentare o hanno affermato di non avere informazioni su tali controlli specifici. Un ex segretario personale di Giovanni Paolo II ha detto che le donazioni al papa sono state inoltrate al Segretario di Stato, il secondo posto più potente in Vaticano. A quei tempi rivestiva questa carica Angelo Sodano, che si è dimesso dall’incarico di Decano del Sacro Collegio il 21 dicembre scorso, chiudendo un’epoca, e che avrebbe ricevuto 19 mila dollari tra il 2002 e il 2016 .Il suo successore Tarcisio Bertone avrebbe ricevuto 7.000 dollari in totale dal 2007 fino al 2012.
Non un dollaro risulta donato a Papa Francesco dopo l’elezione. Mentre è stata inviata un’offerta di mille dollari a Pietro Parolin , dopo la sua nomina a segretario di Stato (2013).
L’articolo riaccende il faro sul “caso McCarrick” (aperto in modo clamoroso a fine agosto 2018 dalle accuse dell’ex Nunzio Carlo Maria Viganò): accuse che però - al contrario delle intenzioni iniziali del Nunzio che aveva chiesto le dimissioni di papa Francesco - investono non solo il Papato di Giovanni Paolo ma anche quello di Benedetto e gli oppositori di Francesco.
Tra poche settimane peraltro ci sarà la pubblicazione dell’investigazione vaticana voluta da Pontifex (6 ottobre 2019), preannunciata dal Papa stesso ai vescovi americani in visita ad limina (tra novembre e dicembre): un dossier “su chi sapeva cosa” sul cardinale spretato.
Le donazioni che sono state rivelate dal Washington post non vanno però confuse con i fondi che attraverso ad esempio la Papa Foundation (ma anche altri canali) arrivavano in Vaticano. Si tratta - negli anni - di centinaia di milioni di dollari.
A tutto questo questo va aggiunto che alcune vittime di McCarrick, usando una nuova legge dello Stato di New York che ha abolito la prescrizione per gli abusi, a fine dello scorso novembre hanno fatto causa direttamente alla Santa Sede per 165 milioni di dollari, in quanto disporrebbero di prove circa il fatto di aver avvisato già nel 1988 della condotta di McCarrick. E forse anche a questo si deve la decisione di Francesco di togliere il segreto pontificio sulle cause per pedofilia (nel Motu Proprio del maggio 2019 questa prescrizione non era prevista).
Il messicano Marcial Maciel (fondatore dei Legionari di Cristo ) e gli statunitensi - sotto indagini vaticane - Michael Joseph Bransfield (vescovo emerito di Wheeling-Charleston) e Theodore Edgar McCarrick (ex cardinale ed ex sacerdote, in passato arcivescovo di Washington) “in epoche diverse e in circostanze differenti, hanno messo in atto un metodo al dir poco ripugnante poiché chiaramente concepito per corrompere, e cioè offrire, donare e consegnare, in modo periodico e molto generoso, ingenti somme di denaro (dollari) ad altri loro confratelli nella gerarchia, a membri in servizio della nomenklatura vaticana, senza una precisa e puntuale giustificazione e tutte operazioni non trasparenti, occulte, sulle quali oggi sappiamo qualcosa per via delle indagini giornalistiche”, ha commentato l’autorevole sito paravaticano Il Sismografo. Suggerisci una correzione
Maria Antonietta Calabrò
Giornalista
Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, condannato a sei mesi di prigione per avere coperto abusi sessuali
Il cardinale non aveva denunciato gli abusi sessuali di padre Bernard Preynat nei confronti di un gruppo scout tra il 1986 e il 1996 *
Il cardinale Barbarin condannato a sei mesi di prigione per non avere denunciato gli abusi sessuali di padre Bernard Preynat, accusato di aver abusato di un gruppo scout tra il 1986 e il 1996.
L’arcivescovo di Lione ha sempre ripetuto di non avere idea di cosa potesse essere giudicato colpevole. Di fatto il porporato, in Francia, incarna pienamente la crisi che la Chiesa sta attraversando con gli scandali di abusi e con gli insabbiamenti.
Dopo le audizioni, la procuratrice Charlotte Trabut non aveva formulato accuse precise né contro l’arcivescovo né contro i cinque ex membri della diocesi indagati assieme a lui. Una posizione difficile da tenere dopo le testimonianze, crude e struggenti, consegnate da alcuni ex scout.
Supportati dall’associazione di vittime ’La Parole libérée’, nove uomini hanno prima accusato padre Preynat di averli abusati - fatti per i quali quest’ultimo non è stato processato -, quindi hanno presentato denuncia contro chi avrebbe coperto gli abomini del sacerdote. In assenza di procedimenti giudiziari, nel 2017 hanno fatto richiesta di convocazione diretta davanti al tribunale, che ha garantito loro un processo, bypassando le indagini che si erano chiuse con un nulla di fatto.
"Non ho mai cercato di nascondere nulla, tantomeno questi fatti orribili", si è difeso il prelato 68enne davanti al giudice, spiegando di aver saputo degli abusi di Padre Preynat solo nel 2014, quando una vittima si confidò con lui. Però per l’avvocato di parte civile, Jean Boudot, il cardinale era a conoscenza dei fatti almeno dal 2010, quando parlò con il prete dei rumors che giravano attorno a lui.
La mancata denuncia di aggressione sessuale sui minori di 15 anni è classificata dal codice penale francese tra i reati di ostruzione alla giustizia. C’è però uno scambio di lettere avvenuto nel 2015 tra il vescovo e il Vaticano, che gli consigliava di licenziare il prete "evitando lo scandalo pubblico": istruzioni seguite alla lettera dal cardinale, per sua stessa ammissione.
Australia.
Il cardinale Pell condannato per abusi
Il cardinale è stato riconosciuto colpevole di abusi sessuali su minori. Pell continua a dichiararsi innocente e il suo avvocato prevede di ricorrere in appello
di Gianni Cardinale (Avvenire, martedì 26 febbraio 2019)
Il cardinale George Pell è stato giudicato colpevole da un tribunale in Australia di abusi sessuali su due ragazzi di 13 anni e rischia fino a 50 anni di carcere. Il verdetto unanime dei 12 membri della giuria della County Court dello stato di Victoria è stato emesso l’11 dicembre dopo oltre due giorni di deliberazione, ma il tribunale aveva vietato ai media di darne notizia fino ad oggi.
Pell, 77 anni, avrebbe molestato i due giovani componenti del coro dopo aver presieduto la messa nella cattedrale di San Patrizio a Melbourne nel 1996, quando all’epoca aveva 55 anni ed era arcivescovo di quella diocesi. La giuria ha anche dichiarato che Pell si è reso colpevole di aver aggredito in modo indecente uno dei ragazzi in un corridoio più di un mese dopo. L’udienza di condanna inizierà domani. Il cardinale, che rimane libero su cauzione, continua a dichiararsi innocente e il suo avvocato prevede di ricorrere in appello.
Pell è stato ordinato prete a Roma nel 1966, dove ha studiato. E’ stato nominato arcivescovo di Melbourne nel 1996, poi di Sydney nel 2001 e creato cardinale due anni dopo da Giovanni Paolo II. Nel 2013 Papa Francesco lo ha nominato membro del Consiglio di cardinali, il C9, e nel 2014 lo ha scelto come prefetto della Segreteria per l’economia per promuovere la riforma delle finanze della Santa Sede.
Nel giugno 2017 il cardinale Pell era stato rinviato a giudizio ed era rientrato in patria per affrontare il processo. Nell’occasione la Sala Stampa vaticana aveva emesso un comunicato in cui si riferiva che il Papa gli aveva “concesso un periodo di congedo per potersi difendere”. Nella nota si specificava poi che “la Santa Sede esprime il proprio rispetto nei confronti della giustizia australiana che dovrà decidere il merito delle questioni sollevate”.
“Allo stesso tempo - aggiungeva il comunicato - va ricordato che il Cardinale Pell da decenni ha condannato apertamente e ripetutamente gli abusi commessi contro minori come atti immorali e intollerabili, ha cooperato in passato con le Autorità australiane (ad esempio nelle deposizioni rese alla Royal Commission), ha appoggiato la creazione della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori e, infine, come Vescovo diocesano in Australia ha introdotto sistemi e procedure per la protezione di minori, e per fornire assistenza alle vittime di abusi”.
Il cardinale Pell ricopre ancora formalmente l’incarico di prefetto della Segreteria per l’economia, mentre da dicembre non fa più parte del C9.
Santa Sede.
Lotta agli abusi, il Papa convoca i capi dei vescovi di tutto il mondo
L’annuncio al termine della riunione dei 9 Cardinali. L’incontro sarà in Vaticano dal 21 al 24 febbraio 2019. Sul tavolo il tema della protezione dei minori e della prevenzione degli abusi
di Riccardo Maccioni (Avvenire, mercoledì 12 settembre 2018)
Una decisione forte, che esprime la volontà fermissima di fare verità su una piaga che va sanata al più presto. Papa Francesco sentito il Consiglio di cardinali, ha deciso di convocare una riunione con i presidenti delle Conferenze episcopali della Chiesa cattolica sul tema della protezione dei minori e degli adulti vulnerabili.
L’annuncio è contenuto nel comunicato che conclude la XXVI riunione del cosiddetto C9, il gruppo di porporati cui lo stesso Pontefice ha affidato il compito di aiutarlo nella riforma della Curia e nel governo della Chiesa universale. Un tema quello degli abusi, rilanciato dal recente dossier sulla diocesi della Pennsylvania e dal caso McCarrick, ampiamente trattato, come recita la nota finale, nella riunione di cardinali, iniziata lunedì per concludersi stamani.
Il vertice con i tutti i leader degli episcopati rilancia una volta di più la volontà di adottare misure idonee alla prevenzione e alla tutela delle vittime e, allo stesso tempo rappresenta una presa d’atto di come il problema si ancora drammaticamente caldo. Il tutto si svolgerà nella linea della tolleranza zero, che Bergoglio ha adottato sin dall’inizio del suo pontificato, proseguendo la rotta indicata da papa Ratzinger.
Domani l’incontro con i vertici dell’Episcopato Usa
Un anticipo dell’appuntamento di febbraio si avrà comunque già domani, giovedì. quando saranno ricevuti in Vaticano i vertici della Conferenza episcopale statunitense. In particolare il Papa incontrerà il cardinale Daniel DiNardo, arcivescovo di Galveston-Houston e presidente dei vescovi Usa, il cardinale Sean Patrick O’Malley, arcivescovo di Boston e presidente della Pontificia Commissione per la tutela dei minori, monsignor José Horacio Gomez arcivescovo di Los Angeles, vicepresidente dell’episcopato e il segretario generale monsignor Brian Bransfield.
Non imminente un ricambio nel C9
Naturalmente il C9 ha affrontato ha anche gli argomenti per cui è nato. Come ha sottolineato la vicedirettrice della Sala Stampa vaticana, Paloma Garcia Ovejero, «gran parte dei lavori del Consiglio e stata dedicata agli ultimi aggiustamenti della bozza della nuova Costituzione Apostolica della Curia romana, il cui titolo provvisorio e “Praedicate evangelium”. Il Consiglio di cardinali ha già consegnato, in proposito, il testo provvisorio che, comunque, e destinato ad una revisione stilistica e ad una rilettura canonistica».
Inoltre come comunicato lunedì scorso, durante la prima sessione di questa XXVI riunione, il C9 «ha chiesto al Papa una riflessione sul lavoro, la struttura e la composizione dello stesso Consiglio, tenendo anche conto dell’età avanzata di alcuni membri». In proposito la vicedirettrice della Sala Stampa ha detto che «per dicembre non ci saranno nuovi membri del C9» aggiungendo che «se ci saranno cambiamenti, vedremo». Procedendo nei lavori per la riforma della Curia romana infine il Consiglio che «ancora una volta ha espresso piena solidarietà a papa Francesco per quando accaduto nelle ultime settimane», vedi dossier Viganò, «si è concluso con la rilettura dei testi già preparati facendo motivo di attenzione la cura pastorale per il personale che vi lavora». Dei 9 porporati che costituiscono il C9 mancavano il cardinale australiano George Pell, l’85 enne cardinale cileno Francisco Javier Errazuriz e il quasi 79enne cardinale africano Laurent Monsengwo Pasinya.
«Il Santo Padre, come di consueto, informa il comunicato finale del C9, ha partecipato ai lavori, anche se e stato assente in tre momenti: lunedì in fine mattinata, per l’udienza al cardinale Beniamino Stella; martedì mattina, per la visita ad limina apostolorum della Conferenza episcopale Venezuela e questa mattina per l’Udienza generale».
La Cei: non per fermarsi all’abuso
E sempre in tema di abusi, il sottosegretario della Cei e direttore dell’Ufficio nazionale per la comunicazioni sociali della Conferenza episcopale italiana cita l’incontro, annunciato nei giorni scorsi dal C9 e svoltosi ieri. «Ascolto delle vittime, impegno di educazione, formazione e comunicazione, stesura di Linee guida e di norme per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili. Sono questi - scrive don Ivan Maffeis - i temi approfonditi nell’incontro che ieri - martedì 11 settembre - ha visto insieme la Pontificia Commissione per la tutela dei minori con la corrispondente Commissione della Cei. Una collaborazione fattiva, che mira soprattutto all’elaborazione di proposte, iniziative e strumenti di prevenzione da offrire alle diocesi. Per non fermarsi a condannare l’abuso e promuovere una cultura della persona e della sua dignità».
Sul tema, nel sito, si cfr.:
GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro Abramo"
STORIA E (FENOMENOLOGIA DELLO) SPIRITO. Il cristianesimo non è un "cattolicismo": il ’cattolicesimo’ è finito...
IL DRAMMA DEL CATTOLICESIMO ATEO E DEVOTO
UN NUOVO CONCILIO, SUBITO. 95 TESI? NE BASTA UNA SOLA! Cattolicesimo, fascismo, nazismo, stalinismo: il sogno del "regno di ‘dio’" in un solo ‘paese’ è finito.
Federico La Sala
IL SENNO DI PRIMA ("PROMETEO"), IL SENNO DI POI ("EPIMETEO"), E IL "DISPOSITIVO DI DERIVAZIONE KANTIANA" ...*
Il sociologo.
Tutti i disastri «irreparabili» e il senno di prima
Dopo il ragionamento è il solito, col senno di poi: come è stato possibile che nessuno vedesse e capisse prima dell’irreparabile fatto?
di Maurizio Fiasco (Avvenire, sabato 18 agosto 2018)
Come accadono i disastri? C’è un’espressione, all’apparenza banale ma ricorrente, quando siamo sconcertati per un evento dai costi umani incalcolabili. «Col senno di poi». Che equivale: come è stato possibile che nessuno vedesse e capisse prima dell’irreparabile fatto? Quel che ha condotto al precipitare di una situazione - fisica, come un ponte, oppure comportamentale come una battaglia, un volo, il funzionamento di uno stabilimento industriale - aveva già emesso dei segnali.
I disastri - risulta quasi sempre agli investigatori ex post - hanno avuto una incubazione, più o meno lunga. Incubazione tutt’altro che muta, o col bavaglio, anzi spesso visibile per un complesso di segnali. Come ha insegnato, quarant’anni fa un illuminato e inascoltato Barry Turner, non sono prevenuti - ovvero fermati da decisioni pragmatiche - per le patologie della comunicazione tra gli attori di un sistema. Industriale, amministrativo, finanziario, politico: non importa la scala di grandezza. Le incompetenze si strutturano e agiscono come un sistema.
I segnali sono sfuggiti a un apparato cognitivo, a una mente capace di connetterli e perciò di abbattere le barriere che inibiscono il giudizio. È mancata la responsabilità di contrastare la universale ottusità dei sistemi, di tutti i sistemi organizzativi. Che squalificano la coscienziosità di chi abbia colto il segnale e si sia posto in modo attivo per spingere al provvedere.
Egli finisce per scontrarsi con la gerarchia, con i muri levati su dai rituali dell’organizzazione, per impattare con la squalificazione che si replica davanti all’umile operatore che sta sul terreno e lì ’vede’ qualcosa che non va. Oppure c’è il feticcio della responsabilità di vertice. Chi è in alto - pensa il testimone dei segnali che il disastro sta inviando - lo capirà più e meglio di me.
Ma il superiore guarda al consenso e alle conferme di chi siede ancora più in alto di lui. E quest’ultimo rivolge la sua mente al mandato di chi è il supremo detentore di quel bene, di quella situazione, di quel dato potere. E tutto questo complesso di fattori cambia la prospettiva, perché il conformismo è più potente della psicologia della responsabilità.
A meno che nella persona responsabile in situazione trovino nutrimento valori morali assoluti: che spingono ad assumersi il rischio personale di andare controcorrente, e di superare derisioni e ostracismo, di non farsi influenzare dal dispositivo di derivazione kantiana, «faccio quel che devo, accada quel che può».
Insomma, la responsabilità, invece di essere ispirata a valori trascendenti, si attesta alla procedura, al ’di fronte’, a quel che le regole gerarchiche - per esempio il mandato degli azionisti - hanno assegnato. E così si scambia la diversa posizione ricoperta nella piramide organizzativa con la diversità di valori etici e professionali di quanti operano in una struttura complessa: che invece, a rigore, sono unici e universali. Cioè per tutti. Nelle forze armate, dal piantone al generale; nelle autostrade, dall’operaio che passa il bitume all’amministratore delegato della infrastruttura. Unitarietà dei valori e trasparenza della comunicazione sono la speranza del «senno di prima». Potremmo dire l’intelligenza del Buon Samaritano che si prende carico della complessità della situazione e non trascura alcuna variabile.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
IL NOME DI DIO, SENZA GRAZIA ("CHARIS")! L’ERRORE FILOLOGICO E TEOLOGICO DI PAPA BENEDETTO XVI, NEL TITOLO DELLA SUA PRIMA ENCICLICA. Nel nome della "Tradizione"
IL NATALE DI GESU’: L’INCARNAZIONE SECONDO L’ IMMAGINAZIONE "TEANDRICA" DEL CATTOLICESIMO-COSTANTINIANO. Gianfranco Ravasi ne ripropone una sintesi e la presenta come "il realismo del nascere nella storia"!!!
LO STATO DEL FARAONE, LO STATO DI MINORITA’, E IMMANUEL KANT "ALLA BERLINA" - DOPO AUSCHWITZ "LEZIONE SU KANT" A GERUSALEMME: PARLA EICHMANN "PILATO", IL SUDDITO DELL’"IMPERATORE-DIO".
LA QUESTIONE MORALE, QUELLA VERA - EPOCALE.
PER IL "RISCHIARAMENTO" ("AUFKLARUNG") NECESSARIO. ANCORA NON SAPPIAMO DISTINGUERE L’UNO DI PLATONE DALL’UNO DI KANT, E L’IMPERATIVO CATEGORICO DI KANT DALL’IMPERATIVO DI HEIDEGGER E DI EICHMANN !!!
FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO.
Federico La Sala
Preti pedofili, 70 anni di abusi in Pennsylvania coperti dalla Chiesa
Un Grand giurì ha riconosciuto la colpa di 300 sacerdoti su oltre mille bambini *
Più di 300 sacerdoti sono accusati in Pennsylvania di aver commesso abusi sessuali su oltre mille bambini nel corso di settant’anni, coperti "sistematicamente" dai vertici della Chiesa cattolica. Un Gran giurì americano ha diffuso un rapporto di oltre 1.400 pagine, ritenuto il più articolato e globale pubblicato sinora sulla pedofilia nella Chiesa americana da quando il Boston Globe per la prima volta denunciò il problema in Massachusetts nel 2002, vincendo un premio Pulitzer e ispirando il film ’Spotlight’. Il dossier ha portato all’incriminazione di due preti, ma la maggioranza dei presunti responsabili è ormai morta e la gran parte dei fatti è prescritta.
L’indagine del Gran giurì è durata due anni ed è stata condotta in tutte le diocesi della Pennsylvania, fatta eccezione per due. Cita decine di testimoni e mezzo milione di pagine di informazioni della Chiesa, contenenti "accuse credibili contro oltre 300 preti predatori". Più di mille bambine e bambini che furono vittime di abusi sono identificabili, ma "il vero numero" è in realtà "nell’ordine delle migliaia", secondo il Grand giurì, perché molti bambini hanno avuto paura di denunciare o i loro dati sono andati perduti. Le vittime, afferma il dossier, sono state speso traumatizzate per la vita, finendo per abusare di droga e alcol, o per suicidarsi.
Tra i casi elencati c’è quello di un religioso che ha stuprato una bambina di 7 anni in ospedale, dopo che la piccola aveva subito una tonsillectomia. Un altro bambino bevve un succo di frutta e si svegliò il mattino dopo sanguinante dal retto, senza poter ricordare che cosa gli fosse accaduto. Un prete costrinse un bambino di 9 anni a praticargli sesso orale, poi gli lavò la bocca con l’acqua santa per "purificarlo". Un altro sacerdote abusò di cinque sorelle della stessa famiglia, tra cui una da quando aveva 18 mesi ai 12 anni. Quando una delle bambine lo disse ai genitori nel 1992, la polizia trovò nella casa del prete slip, bustine di plastica contenenti peli pubici, fiale d’urina e fotografie a sfondo sessuale di bambine. La Chiesa ignorò per anni le accuse e il sacerdote morì in attesa di processo, ha dichiarato il procuratore generale della Pennsylvania, Josh Shapiro.
"Lo schema era abuso, negazione e copertura", ha spiegato Shapiro, aggiungendo: "Come diretta conseguenza della sistematica copertura da parte delle alte autorità ecclesiastiche, quasi ogni caso di pedofilia che abbiamo rilevato è troppo datato per un processo". Sinora solo due preti sono stati incriminati per accuse che sono al di fuori della prescrizione: uno è accusato di aver eiaculato nella bocca di un bambino di sette anni e si è dichiarato colpevole, secondo la procura; l’altro ha aggredito due bambini, uno dei quali da quando aveva 8 anni per un periodo di otto anni, sino al 2010.
Il Gran giurì ha chiesto che la prescrizione per i reati di pedofilia sia cancellata, che le vittime abbiano più tempo per presentare denuncia e che sia rafforzata la legge che obbliga a denunciare gli abusi sessuali di cui si viene a conoscenza. "I preti stupravano bambine e bambini piccoli e gli uomini di Dio che erano responsabili per loro non solo non facevano nulla, ma nascondevano tutto. Per decenni", si legge nel rapporto. I religiosi anziani, al contrario, furono promossi e i preti pedofili poterono amministrare per 10, 20 e persino 40 anni dopo che i vertici erano venuti a conoscenza degli abusi e mentre la lista delle vittime si allungava sempre di più, ha detto Shapiro.
Negli Stati Uniti, sono tra 5.700 e 10mila i preti cattolici accusati di abusi sessuali, ma poche centinaia sono stati processati, dichiarati colpevoli e condannati, secondo Bishop Accountability. Da quando il problema della pedofilia nella Chiesa cattolica è diventato noto all’inizio degli anni 2000, la Chiesa americana ha speso più di 3 miliardi di dollari in patteggiamenti, secondo l’osservatorio. Questo ha documentato accordi con 5.679 presunte vittime del clero cattolico, solo un terzo delle 15.235 denunce che i vescovi hanno detto di aver ricevuto fino al 2009. Una stima ipotizza che le vittime negli Usa siano 100mila. Sotto la pressione dell’aumento di denunce nel mondo e delle continue critiche per la insufficiente risposta della Chiesa, papa Francesco nel 2013 ha promesso una nuova legge sulla pedofilia e pedopornografia. Anche in Cile la Chiesa è stata di recente travolta da accuse di vasta copertura di casi di pedofilia durante gli anni Ottanta e Novanta.
* Fonte: La Presse, Martedì 14 Agosto 2018
Nuovi incontri del Pontefice con cileni vittime di abusi *
Dal 1° al 3 giugno prossimi Papa Francesco riceverà un secondo gruppo di vittime degli abusi del sacerdote Fernando Karadima e di suoi seguaci della parrocchia del Sagrado Corazón de Providencia (El Bosque). Si tratta di cinque preti che hanno subito abusi di potere, di coscienza e sessuali. Insieme a loro ci saranno anche due sacerdoti che hanno assistito le vittime nel loro percorso giuridico e spirituale, e due laici coinvolti in questa sofferenza. Tutti saranno ospiti del Papa a Santa Marta.
La grande maggioranza di queste persone ha partecipato agli incontri in Cile durante la missione speciale dell’arcivescovo Charles Scicluna e di monsignor Jordi Bertomeu, che si è svolta a febbraio quest’anno. Gli altri hanno collaborato nelle settimane successive alla visita.
Con questi nuovi incontri, programmati un mese fa, Papa Francesco vuole mostrare la propria vicinanza ai preti abusati, accompagnarli nel loro dolore e ascoltare il loro prezioso parere per migliorare le attuali misure preventive e di lotta contro gli abusi nella Chiesa.
Si conclude così questa prima fase di incontri che il Papa ha voluto avere con le vittime del sistema di abusi instaurato qualche decade fa nella suddetta parrocchia. Questi preti e laici rappresentano tutte le vittime degli abusi del clero in Cile ma non si esclude che vengano ripetute iniziative simili nel futuro. Ci saranno diversi incontri nel corso del fine settimana, che si svolgeranno in un ambiente di fiducia e riservatezza. Nella mattina del 2 giugno il Papa celebrerà una messa privata a Casa Santa Marta; nel pomeriggio, sono previsti un incontro di gruppo e in seguito colloqui individuali. Il Pontefice continua a chiedere ai fedeli del Cile, e specialmente a quelli delle parrocchie dove questi sacerdoti svolgono il loro ministero pastorale, che li accompagnino con la preghiera e la solidarietà durante questi giorni.
Intanto nella diocesi cilena di Rancagua il vescovo Alejandro Goić Karmelić ha temporaneamente sospeso quattordici preti appartenenti a un gruppo chiamato “La Famiglia”, ritenuti responsabili di abusi sessuali a danno di giovani e di minori.
Pedofilia, tutta la Chiesa ha i problemi del Cile
Linea dura - Il Papa ha ammesso di aver sottovalutato il caso e ha fatto dimettere i vescovi. Ma le omertà in diocesi e nei seminari sono la norma
di Marco Marzano (Il Fatto, 20.05.2018)
La decisione dei vescovi cileni di rassegnare in blocco le dimissioni dai loro incarichi al papa è clamorosa. Segnala la consapevolezza di una responsabilità collettiva dell’episcopato cileno per i gravi crimini commessi da membri della Chiesa in quel Paese. Il gesto giunge dopo decenni di insabbiamenti ed è la conseguenza di un drastico cambiamento di linea di Francesco nel contrasto alla pedofilia clericale in Cile.
Sino al gennaio di quest’anno e cioè al suo viaggio nel Paese andino, Francesco non sembrava scontento di come andavano le cose nella chiesa cilena. Nel 2015, aveva promosso, nominandolo vescovo, Juan Barros, un “allievo” e amico del pedofilo abusatore Don Fernando Karadima. Quando Francesco lo ha nominato vescovo sul capo di Barros pendeva già l’accusa di aver assistito impassibile alle violenze che Karadima infliggeva ai minori.
Proprio durante quel viaggio, Francesco aveva reagito con fastidio alla domanda di chi gli aveva chiesto conto del suo sostegno a Barros rispondendo che della complicità di quel vescovo con i crimini di don Karadima non c’erano riscontri certi e quindi, fino a prova contraria, quelle contro di lui erano calunnie. Quelle parole parvero l’ennesima manifestazione della complicità vaticana con gli abusatori e suscitarono la reazione indignata di molta parte dell’opinione pubblica, non solo cilena.
È a quel punto che il papa fece mostra di esser pronto a cambiar linea, ammise di essersi sbagliato nel giudicare la situazione cilena, dichiarò di essere stato male informato e di voler andare finalmente a fondo della questione. Mandò un Cile un suo investigatore che acquisì nuove informazioni, poi convocò i dirigenti cileni a Roma e ottenne le loro dimissioni. Adesso gli toccherà procedere alle necessarie epurazioni, cioè al licenziamento di massa dei vescovi cileni. Se ciò non avvenisse, se il papa prendesse tempo e nel frattempo la vicenda venisse dimenticata dai media, ci troveremmo dinanzi a una sceneggiata sulla pelle delle vittime.
In una lettera indirizzata ai vescovi cileni che doveva rimanere riservata (e di cui alcuni giornali hanno pubblicato stralci) Francesco ammette che i problemi in Cile vanno ben al di là del caso Karadima-Barros, che nella chiesa cilena si sono verificati nel tempo abusi e mancanze di tutti i generi, che sono stati distrutti documenti che compromettevano alcuni preti, coperti e protetti o trasferiti precipitosamente da una parrocchia all’altra e subito incaricati di occuparsi di altri minori. Le accuse hanno riguardato anche le istituzioni formative, i seminari, colpevoli di non aver arrestato la carriera di preti che già da studenti mostravano chiari segni di un comportamento patologico nella sfera sessuale e affettiva. Il problema è “il sistema” ha concluso il papa.
Ed è verissimo. Il punto è: quale sistema? A meno di non voler credere che la chiesa cilena abbia sviluppato patologie tutte peculiari, che fosse una sorta di associazione a delinquere fuori controllo e a meno di negare che fenomeni identici a quelli descritti dal papa nella sua lettera si sono verificati ovunque nel mondo bisogna ammettere che il sistema è la chiesa stessa nella sua attuale forma organizzativa. Il problema è cioè un’organizzazione strutturata intorno alla supremazia di una casta clericale tutta maschile e celibe formata intorno ai valori della fedeltà assoluta e della disciplina di corpo all’interno di istituzioni totali e claustrofobiche come i seminari e poi investita del monopolio assoluto nella gestione del sacro, della competenza esclusiva di tutti gli aspetti cruciali della vita dell’istituzione.
Se il pontefice vuole davvero combattere fino in fondo il sistema e debellarlo, perché non prende tutti in contropiede e assume l’iniziativa di avviare una grande riflessione collettiva e pubblica, eventualmente attraverso un sinodo straordinario, sul tema della responsabilità dei funzionari e delle istituzioni cattoliche nei tantissimi casi di abusi sui minori commessi dai membri della Chiesa nella sua storia recente? E perché non invita a farne parte anche quegli studiosi che da anni sostengono che il problema degli abusi sessuali da parte del clero cattolico va affrontato mettendo in conto l’eventualità di dover smantellare la tradizionale strutturale clericale che da secoli, e senza alcuna discontinuità sino al presente, governa la Chiesa ai quattro angoli della terra? Questo sì che sarebbe l’inizio della rivoluzione.
Nuova denuncia abusi scuote Chiesa Cile
Vescovo Goic, compromesso dallo scandalo, chiede perdono
di Redazione ANSA SANTIAGO DEL CILE
20 maggio 2018
(ANSA) - SANTIAGO DEL CILE, 20 MAG - Una nuova denuncia di abusi sessuali da parte di un gruppo di sacerdoti cileni - organizzati in una ’confraternita’ di abusatori - ha scosso la Chiesa cilena e compromesso uno dei suoi vescovi più autorevoli, monsignor Alejandro Goic, appena tornato dal viaggio in Vaticano in cui tutto l’episcopato del paese sudamericano ha rassegnato le dimissioni al Pontefice. Il caso è stato sollevato da un reportage tv del programma T13. Una testimone ha raccontato di aver avuto consegnato a Goic una lista di 17 sacerdoti che hanno messo su una "confraternita", con al vertice un "nonno" e "zie" e "nipoti", al femminile, al di sotto di lui, che si dedicano ad abusi sessuali. Goic, che inizialmente aveva negato ogni addebito oggi, ha invece chiesto perdono, riconoscendo che aveva "agito senza l’adeguata agilità nell’inchiesta su Luis Rubio e altri sacerdoti". Goic - già presidente della Conferenza episcopale cilena - presiede dal 2011 il Consiglio nazionale per la prevenzione degli abusi contro i minori.
Lo scandalo pedofilia
La resa dei vescovi cileni
di Alberto Melloni (la Repubblica, 19.05.2018)
L’episcopato cileno ha preso una decisione senza precedenti: l’intera conferenza dei vescovi ha consegnato ieri a papa Francesco le proprie dimissioni. Un gesto clamoroso di auto-decapitazione di una chiesa, che segna una tappa drammatica nella vicenda che ha visto denunziare i crimini dei pedofili preti e l’omertà dei vescovi.
Esplosa un quarto di secolo fa, la crisi dei pedofili in talare ha visto cadere a fatica i tentativi di minimizzare la cosa o di ridurla a casi confinabili alla procedura penale canonica. È venuta poi la stagione della “vergogna” e della “tolleranza zero”, affidata alla voce ferma e alle capacità di empatia del papa: il che ha aiutato a scoperchiare un male, anche a rischio di dare ansa a denigrazioni, che ha colpito diocesi, ordini, movimenti. Solo in un caso, nel 2010, Ratzinger si scostò da questa linea scrivendo una lettera alla chiesa di Irlanda che aveva come tema la pedofilia. Fedele alla sua teologia, Benedetto XVI aveva indicato nella presunta cedevolezza della chiesa irlandese davanti alla secolarizzazione una delle ragioni di tanto vasta e inconfessata tragedia. Un atto di accusa collettivo giustamente duro, ma che puntava l’indice contro un episcopato che non si era nominato da solo, contro una chiesa che non aveva mai domandato l’indipendenza da Roma.
Recentemente la vicenda di un vescovo cileno ha riportato in discussione non solo il comportamento di singoli religiosi, ma di un’intera chiesa nazionale. Dove le violenze sessuali perpetrate da un religioso molto amato da preti e presuli - padre Fernando Karadima - erano state denunciate all’autorità ecclesiastica, che non aveva creduto alle vittime. Per le coperture e le sordità, era stato sostituito l’arcivescovo di Santiago; e Karadima fu condannato dalla giustizia canonica all’ergastolo canonico perpetuo.
Nel frattempo l’ombra si allungava sui suoi più intimi collaboratori: di uno di questi, monsignor Juan Barros - fatto vescovo da Giovanni Paolo II e trasferito da Francesco a Osorio nel 2015 - sono state chieste le dimissioni dalle vittime del prete-santone, che hanno accusato Barros di aver saputo o di aver assistito agli stupri. Francesco, convinto della sua innocenza, ha respinto le dimissioni offertegli da Barros e ha domandato di fornirgli “le prove”. Una richiesta che aveva sconvolto i sopravvissuti, che sanno benissimo che lo stupratore scommette sempre sulla certezza che nessuno crederà alla vittima.
Bacchettato dal cardinale O’Malley, resosi conto dell’errore, Francesco ha chiesto il perdono delle vittime, ha ascoltato gli esiti di un’inchiesta guidata da monsignor Scicluna, ha convocato i vescovi del Cile per un incontro singolare, a metà fra il processo e il ritiro, al termine del quale ha posto il nodo ecclesiologico della questione in una densa lettera piena di citazioni. Non è una chiesa più “rigida” o più “severa” o più “disciplinata” quella che può evitare i delitti che hanno devastato persone e comunità: ma, sostiene Francesco, solo una “ chiesa profetica” capace di rifiutare le “spiritualità narcisiste”, di liberarsi dalla autoreferenzialità chiesastica e di cercare la compagnia dei poveri.
Le dimissioni collettive sono state la risposta dei vescovi. Un gesto mai visto. Un autodafé con il quale un episcopato intero compie sì un atto di sottomissione al vangelo così come Francesco lo ha personalmente predicato, ma in parte anche un atto di sfida: perché potrebbe postulare una riconferma altrettanto massiva, salva la sanzione di coloro che fossero platealmente compromessi coi delitti. A Francesco il compito di decidere. Anzi discernere; la cosa che un gesuita fa più spesso in vita sua; un atto mai infallibile, mai sterile.
Pedofilia, dimissioni in blocco dei vescovi cileni. Sotto accusa anche cardinale vicino al Papa (di Paolo Rodari).
Clamorosa decisione dei religiosi presenti a Roma dopo gli incontri con Francesco: "Abbiamo rimesso i nostri incarichi nelle mani del Santo Padre, affinché decida lui liberamente per ciascuno"
di PAOLO RODARI (la Repubblica, 18 maggio 2018)
CITTA’ DEL VATICANO - Una decisione senza precedenti che entra nel cuore dell’omertà dietro la quale si sono sovente trincerate le gerarchie ecclesiastiche quando qualcuno dei sacerdoti loro affidati si è macchiato del crimine di abuso sessuale su minori. I vescovi cileni hanno rimesso ieri in blocco i propri incarichi nelle mani del Papa, affinché decida lui liberamente il futuro di ognuno.
La notizia è arrivata dopo tre giorni di incontri riservati fra gli stessi presuli e Francesco dedicati agli abusi commessi in Cile e, in particolar modo, agli insabbiamenti: «Chiediamo perdono», hanno detto ieri i presuli, per il dolore causato alle vittime e «per i gravi errori e le omissioni commessi».Più di un anno fa il Vaticano aveva annunciato che sarebbero stati dimessi i vescovi reticenti sulla pedofilia. La decisione di ieri è figlia anche di quella volontà. E, insieme, della caparbietà delle vittime cilene che hanno preteso e ottenuto un incontro chiarificatore col Papa a Santa Marta.
In Cile, lo scorso gennaio, Francesco aveva mostrato di credere soltanto alla versione dei presuli. In merito alle coperture che il vescovo di Osorno, Juan Barros, aveva concesso al prete pedofilo Karadima, aveva detto alle vittime di non avere «prove». «Sono tutte calunnie», aveva poi spiegato loro. Quindi il ripensamento, con l’invio in Cile dell’ex pm della Santa Sede Charles Scicluna, e del sacerdote Jordi Bertomeu, per compiere un’approfondita investigazione che ha portato alla luce un’altra verità. Tanto che con ieri una nuova epoca sembra avere inizio: la garanzia di impunità non è concessa più a nessuno. La politica delle omissioni non appartiene a Jorge Mario Bergoglio.
Le vittime a colloquio con Francesco nei giorni scorsi hanno puntato il dito non solo contro il vescovo Juan Barros, ma anche contro altri presuli e fra questi il cardinale Juan Ignacio González Errazuriz, membro del Consiglio permanente che aiuta il Papa nella riforma della Chiesa (C9). Errázuriz non ha presentato rinuncia perché è in pensione e a Roma si è mostrato indignato, «mi diffamano, il Papa ha detto che l’ho informato bene».
Francesco, in una lettera diffusa ieri mattina e scritta ai vescovi nell’imminenza dell’incontro con loro, aveva usato parole gravissime. Aveva parlato di «mancanza di informazioni veritiere ed equilibrate» da parte degli stessi presuli. Un deficit d’informazione messo in campo non decenni fa, ma oggi. A conferma che l’omertà che ha attraversato la Chiesa ai tempi di Giovanni Paolo II è ancora viva. Non siamo più negli anni in cui scoppiarono i casi di pedofilia del capo dei Legionari di Cristo Marcial Maciel, né dell’esplodere delle coperture amplissime concesse dall’arcivescovo di Boston Bernard Law ai preti pedofili. Eppure la storia si ripete: al porporato americano Law pochi mesi fa il Vaticano ha incredibilmente concesso sepoltura in Santa Maria Maggiore. Mentre, secondo le vittime, un membro del C9, appunto Errazuriz, non è riuscito a informare a dovere il Papa sui crimini commessi nel suo Paese nonostante con ogni probabilità ne fosse a conoscenza.
Tutto è partito dall’inchiesta giornalistica che ha ispirato il film premiato con l’Oscar: centinaia di episodi di violenze con oltre 250 sacerdoti coinvolti
Boston, effetto “Spotlight” indennizzi per 4 miliardi l’arcidiocesi è al collasso
di Federico Rampini (la Repubblica, 01.03.2016)
UNA vera svolta, dopo l’inchiesta nulla sarà più come prima. Oppure: un disastro economico da 4 miliardi di dollari, ma non sufficiente a estirpare gli abusi sessuali. L’impatto del reportage investigativo realizzato dal Boston Globe, e raccontato nel film “Spotlight”, sulla chiesa cattolica americana c’è stato certamente. Su quale sia stato l’effetto “Spotlight”, però, esistono due versioni diametralmente opposte. I vertici della chiesa Usa sostengono di aver voltato pagina, di avere preso misure drastiche per prevenire ogni abuso contro i minori. Alcune associazioni di vittime parlano invece di «riforme di facciata, operazioni di relazioni pubbliche».
Nessuno minimizza il ruolo dell’inchiesta del Boston Globe, né del film che l’ha ricostruita meritandosi l’Oscar. Le stesse autorità ecclesiali all’uscita del film nelle sale americane lo trattarono con molto rispetto, limitandosi a precisare che la vicenda risale a 15 anni fa e da allora tutto è cambiato. «Gli spettatori non devono pensare che Spotlight descriva la situazione attuale» fu il commento del sito The Catholic Free Press.
Sul film intervenne per la chiesa Francesco Cesareo: storico del Rinascimento e della Riforma, preside dell’università agostiniana Assumption College, l’italo-americano Cesareo è stato nominato presidente del National Review Board, un organo consultivo della conferenza episcopale Usa creato nel 2002 proprio per reagire allo scandalo di pedofilia rivelato dal Boston Globe. Nel commentare “Spotlight”, Cesareo ha scritto: «Al di là degli indennizzi alle vittime, dopo le rivelazioni del Boston Globe abbiamo adottato misure così onnicomprensive per proteggere i minori, che siamo diventati un modello per altre organizzazioni che si occupano di giovani”.
Il programma “Safe Environment Training” - addestramento per un ambiente sicuro - fu lanciato nel giugno 2002. Secondo il National Review Board il 98% degli adulti (quasi due milioni) che lavorano nelle parrocchie e nelle scuole cattoliche hanno seguito questi corsi speciali, e il 93% dei minori (4,4 milioni) sono stati addestrati su come proteggersi dagli abusi, o denunciare gli incidenti. Il riferimento di Cesareo al ruolo che la chiesa cattolica oggi può svolgere rispetto ad “altri”, è un’allusione agli scandali di pedofilìa che hanno colpito i boy-scout ed alcune comunità ebraiche.
Il portavoce dell’arci-diocesi di Boston, Terry Donilon, è ancora più categorico. Interpellato di recente dal Boston Globe, ha dichiarato che nella chiesa di Boston oggi ci sono «zero abusi».
Di certo l’inchiesta del giornale ha provocato conseguenze enormi. Le prime rivelazioni del Boston Globe spinsero tante vittime a denunciare abusi che erano rimasti sotto silenzio, fino a coinvolgere 250 sacerdoti nell’arcidiocesi. Altri giornali seguirono l’esempio del Boston Globe. Le inchieste fecero emergere nuovi scandali in cento città americane.
Intanto a Boston fu costretto a dimettersi il cardinale Bernard Law, sostituito da Sean O’Malley. Lo Stato del Massachussetts varò nuove leggi sull’obbligo di denuncia delle molestie sessuali da parte dei superiori gerarchici. L’impatto economico, valutato dal National Catholic Reporter, sarebbe di 4 miliardi di dollari a livello nazionale, per indennizzi e patteggiamenti vari (spesso coperti da clausole di segretezza). A questo il Journal of Public Economics ha aggiunto 2,36 miliardi di elemosine perdute annualmente, per l’effetto di quelle rivelazioni sulla comunità dei fedeli. Nella sola Boston la chiesa dovette vendere molte proprietà fra cui la lussuosa residenza cardinalizia di Lake Street.
Ma gli scandali non sono finiti. Dopo Boston i casi più gravi si sono scoperti a Philadelphia nel 2011, poi a Kansas City e a Saint Paul-Minneapolis l’anno scorso: cioè poco prima che arrivasse negli Stati Uniti papa Francesco.
Perfino sull’arcidiocesi di Boston il giudizio è negativo secondo David Clohessy, direttore dell’associazione di vittime Survivors Network of those Abused by Priests (Snap). Al Boston Globe, Clohessy ha detto: «Con l’arrivo del cardinale O’Malley sono cambiate procedure e protocolli, ma si è trattato di un’operazione di relazioni pubbliche». Da 15 anni, ogni domenica gruppi di vittime continuano la loro silenziosa protesta all’ingresso della messa, davanti alla Cattedrale di Santa Croce nel centro di Boston.
Il cardinal Pell alla fine ammette:
“Sui nostri preti ho sbagliato. Credevo a loro, non alle famiglie”
Audizione internazionale a Roma sui casi insabbiati in Australia
di Andrea Tornielli (La Stampa, 01.03.2016)
Nell’affrontare i casi di pedofilia tra il clero «la Chiesa ha commesso errori tremendi»: si credeva sempre alla versione dei preti accusati di abusi e non a quella delle vittime e dei loro familiari. Il cardinale australiano George Pell, 74 anni, fisico da gigante, «ministro dell’Economia» della Santa Sede, dopo aver giurato sulla Bibbia di dire tutta la verità risponde con calma per quattro ore di fila alle domande puntuali di Gail Furness, la consulente dell’Australian Royal Commission che indaga sui casi dei bambini abusati da religiosi. L’avvocatessa, tailleur bianco e capelli biondi a caschetto, ha condotto in modo impeccabile l’interrogatorio a distanza. Lei a Sydney, lui presente in videoconferenza da una sala dell’hotel Quirinale di Roma, non potendo per ragioni di salute affrontare il viaggio transoceanico.
Quella della notte tra domenica e lunedì, conclusasi alle 2.30 di mattina, è stata la prima di quattro audizioni che proseguiranno per tutta la settimana. Il quadro che è emerso parla ancora una volta di preti pedofili che invece di essere fermati e processati, sono stati semplicemente spostati di parrocchia, potendo così continuare a compiere le loro immonde azioni. Mentre le vittime e i loro familiari sono state tenute lontane e non credute.
Il prefetto della Segreteria per l’economia non ha minimizzato, ammettendo la generale sottovalutazione delle curie nei decenni passati: «Non sono qui per difendere l’indifendibile, la Chiesa ha commesso errori enormi e sta lavorando per porvi rimedio», anche se la responsabilità «non è delle strutture della Chiesa, ma degli errori, sconvolgenti, delle persone coinvolte».
Durante la prima audizione le domande di Gail Furness sono state incentrate soprattutto sulla rete di conoscenze del cardinale negli anni Settanta: quali persone erano vicine a lui mentre era sacerdote e collaboratore del vescovo a Ballarat. Quanto ha eventualmente saputo degli abusi avvenuti e quando l’ha saputo; quali competenze aveva nei trasferimenti dei preti da una parrocchia all’altra. Si è parlato, tra l’altro, dei casi specifici di monsignor John Day e poi del caso più famoso di padre Gerald Ridsdale, pedofilo seriale riconosciuto colpevole di aver abusato 153 ragazzi, oggi rinchiuso in prigione. Sul primo, Pell ha detto di essere venuto a conoscenza delle accuse di abusi su minori ma anche di aver saputo che Day le aveva negate. Per quanto riguarda invece Ridsdale, con il quale ha abitato per qualche mese nella stessa residenza, Pell ha affermato di non aver mai saputo delle accuse contro di lui.
Il cardinale è stato molto duro con il vescovo emerito di Ballart, Ronald Austin Mulkearns, per come questi ha gestito di caso del prete pedofilo Ridsdale, definendo l’atteggiamento del prelato «una catastrofe per la Chiesa». Ma ha anche riconosciuto di aver commesso all’epoca l’errore di credere alla versione dei preti piuttosto che a quella delle vittime. «Devo dire - ha precisato Pell - che in quell’epoca, se un prete negava questo tipo di comportamenti, io ero fortemente incline ad credergli».
Un terzo caso specifico è quello degli abusi nelle scuole gestite dai Fratelli Cristiani a Ballarat. Il cardinale ha detto di non aver mai saputo il nome delle vittime né che vi fosse un alto numero di abusi o che gli atteggiamenti dell’insegnante Edward Dowlan, poi giudicato colpevole di abusi su venti ragazzini e condannato a sei anni di reclusione, fossero di pubblico dominio nella scuola. Il cardinale ha però ammesso di essere stato avvertito dai parrocchiani che uno dei Fratelli Cristiani, Leo Fitzgerald, nuotava nudo insieme agli alunni ed era solito baciare i bambini per salutarli.
Durante tutta l’audizione Pell è rimasto sempre calmo. E si è detto disponibile a incontrare le vittime giunte a Roma dall’Australia per assistere dal vivo alla sua deposizione. Ieri mattina il cardinale è stato anche ricevuto in udienza da Papa Francesco.
I vescovi che coprono gli abusi sessuali processati in Vaticano
Il Papa: abuso d’ufficio episcopale per chi insabbia
di Giacomo Galeazzi (La Stampa, 11.06.2015)
In giudizio a Roma i vescovi inadempienti. Per decisione di Francesco saranno processati in Vaticano i presuli che insabbiano gli abusi sessuali del clero. Svolta storica nella lotta ai preti pedofili: il Papa ha stabilito che sia reato canonico l’«abuso d’ufficio episcopale» riferito ai presuli che non danno seguito alle denunce di violenze di sacerdoti.
Stop alle coperture
«Sono molto contenta che Francesco abbia approvato la proposta della commissione sull’accountability», commenta Mary Collins, membro irlandese della pontificia commissione per la tutela dei minori, da bambina vittima di un prete pedofilo. Il Pontefice ha individuato mezzi e organismi per perseguire i vescovi che coprono gli abusi dei loro sacerdoti. Prioritarie l’ attenzione alle vittime e la prevenzione. Nelle inchieste sulla pedofilia sarà applicato l’abuso di ufficio ai vescovi insabbiatori. Diventano competenti, per le denunce contro i presuli, tre dicasteri vaticani (Vescovi, Evangelizzazione dei popoli e Chiese orientali) e viene rafforzato l’ex Sant’Uffizio, competente per il giudizio, con una nuova sezione giudiziaria.
Sarà nominato un segretario «ad hoc»: un’innovazione che snellirà il carico di arretrati sui processi per abusi del clero. Sulla lotta alla pedofilia del clero, il Papa, d’intesa con il consiglio dei nove cardinali consiglieri, ha recepito le indicazioni dalla commissione per la tutela dei minori. Tra il 2004 ed il 2013, il Vaticano ha allontanato 884 preti accusati di pedofilia, svestendoli dell’abito talare e riducendoli allo stato di laici, cioè di comuni cittadini. Nell’ultimo decennio sono stati 3.420 i casi giunti alla Congregazione per la Dottrina della fede, fondati su accuse credibili di abusi commessi sui minori da membri del clero.
La maggioranza dei casi si riferisce agli anni ‘50, ‘60, 70’ e ‘80.Lo scorso luglio Francesco ha chiesto perdono alle vittime nella messa a Santa Marta in cui hanno preso parte sei vittime delle violenze che poi hanno incontrato in privato il Papa per oltre tre ore. «Davanti a Dio e al suo popolo sono profondamente addolorato per i peccati e i gravi crimini sessuali commessi da membri del clero nei vostri confronti e umilmente chiedo perdono: hanno profanato la stessa immagine di Dio in una sorta di culto sacrilego», ha evidenziato il Pontefice scusandosi anche per i «peccati di omissione da parte dei capi della Chiesa». Dalla parole ai fatti.
Rimozioni immediate
Gli abusi del clero e in particolare i suicidi di chi non ha retto alla pena, avverte Francesco, «pesano sul mio cuore, sulla mia coscienza e su quella di tutta la Chiesa». Dunque «angustia e sofferenza» per gli abusi con cui gli orchi in talare hanno sacrificato i piccoli «all’idolo della loro concupiscenza». E ha ricevuto in privato le sei vittime, tre uomini e tre donne provenienti da Germania, Irlanda e Regno Unito. Tolleranza zero e nessuna zona grigia. Francesco ha già rimosso presuli insabbiatori come Finn a Kansas City e Rivera Plana in Paraguay. Ora crea il tribunale vaticano per i vescovi sospettati di aver coperto preti pedofili invece di collaborare con la giustizia civile nel perseguire chi viola i bambini. Mai più l’alibi di una malintesa «ragion di Chiesa».
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Il tribunale di Francesco
La svolta di Bergoglio contro chi ha preferito insabbiare gli scandali
di Adriano Prosperi (la Repubblica, 11.06.2015)
LA NOTIZIA appartiene alla storia e alla vita della Chiesa come società estesa nel tempo e nello spazio, ma ha qualcosa da dire anche alla società italiana nel suo complesso e a coloro che la governano. Papa Francesco ha accolto tra le altre una proposta di quella Commissione per la tutela dei minori da lui voluta, dove siedono tra gli altri due membri che da bambini furono abusati da sacerdoti: l’istituzione del reato di “abuso di ufficio episcopale”. Ne sono colpevoli quei vescovi che, informati di abusi sessuali di preti su minori o persone deboli, non danno o non daranno corso adeguato alla denunzia. Ed è fortemente probabile che la norma verrà interpretata in senso retroattivo e potrà colpire anche quei vescovi che nel passato hanno insabbiato, taciuto o dato scarsa rilevanza alla notizia di tali reati nelle loro diocesi .
LO HA lasciato intendere il direttore della Sala stampa vaticana Padre Lombardi quando ha fatto presente che «la norma non nasce dal nulla» e che nel codice di diritto canonico ci sono già elementi in tal senso. La frase di Padre Lombardi è significativa: davvero non si può dire che la norma nasca dal nulla. È un conteggio di secoli, non di anni quello che ci vorrebbe per passare in rassegna i tanti e diversi esperimenti succedutisi nel tempo per mettere sotto controllo i comportamenti sessuali di un clero costretto dall’obbligo canonico del celibato a dare forme anomiche e spesso decisamente criminali allo sfogo degli istinti sessuali.
Per le autorità ecclesiastiche il problema dominante è sempre stato quello di impedire che le debolezze della carne - quando la carne era coperta dall’abito talare - rovesciassero il discredito sull’intero corpo ecclesiastico. E se per lungo tempo la procedura segreta dei processi canonici risolse il problema, le cose cambiarono agli inizi dell’età moderna con la diffusione dell’informazione e delle satire a mezzo stampa e con la Riforma protestante.
Allora la risposta papale fu quella di mettere nelle mani della Congregazione dell’Inquisizione Romana il caso dei preti che approfittavano del contesto della penitenza sacramentale per insidiare sessualmente chi andava a confessarsi. Fu inventato allo scopo il crimine che il cauteloso latino ecclesiastico definì di “sollicitatio ad turpia”, o “sollecitazione a compiere atti turpi”. Non funzionò: la solidarietà di corpo fece sì che i vescovi informati dei crimini del clero facessero orecchie da mercante.
La misura odierna riporta di nuovo la materia sotto il controllo della Congregazione vaticana che ha preso il posto del Sant’Uffizio e che fu a lungo governata da Joseph Ratzinger. Infatti le denunzie del reato, da indirizzare alle Congregazioni per i Vescovi, per l’Evangelizzazione e per le Chiese Orientali, finiranno sul tavolo di una apposita sezione della Congregazione per la Dottrina della Fede.
C’è da sperare che stavolta le cose andranno diversamente rispetto a quando a metà ‘900 il cardinal Ottaviani, ultimo prefetto della congregazione del Sant’Uffizio, decise di chiudere sotto il coperchio di un segreto totale l’esame e il giudizio sui casi di violenza sui minori. Trasparenza ed efficacia di una giustizia non sospetta di ipocrisia e di connivenze clericali sono l’unica ed estrema possibilità per la Chiesa di risalire la china di un discredito che ha superato da tempo il livello di guardia.
Da questa vicenda, esplosa con clamore all’inizio di questo millennio, l’intera struttura del corpo ecclesiastico cattolico ha ricevuto un danno enorme: né si vuol parlare qui della dimensione del costo dei risarcimenti nei processi che le diocesi hanno dovuto affrontare. Se c’è un delitto fra tutti repellente nella sensibilità profonda delle nostre culture è quello dell’abuso sui minori e sui deboli di ogni genere.
È qui che si raccoglie ancora oggi il frutto di un seme evangelico. La condanna senza appello del Gesù dei Vangeli si è abbattuta così proprio su quel corpo ecclesiastico che ha celato sotto il mantello dei suoi privilegi chi ha abusato delle creature più indifese affidategli dalla fiducia della società.
Lo choc è stato particolarmente forte nelle nazioni cattoliche: lo si è visto nel caso dell’Irlanda. Senza il precedente dello scandalo dei preti pedofili non si capirebbe il rivolgimento profondo che ha portato l’Irlanda cattolica al risultato clamoroso del referendum sul matrimonio delle coppie omosessuali.
Ed è qui che noi italiani siamo costretti a misurare ancora una volta l’arretratezza di un Paese come il nostro, nominalmente cattolico ma dove su questi temi regna il silenzio del sistema dei media e spiccano nel confronto internazionale la pavidità e il servilismo filoclericale della classe politica tutta davanti a una questione che ci vede stazionare nelle ultime posizioni del mondo civile.
Siamo costretti a sperare che venga dal papa l’impulso a cancellare l’intollerabile discriminazione che colpisce da noi le coppie omosessuali. Ma, del resto, che cosa possiamo aspettarci dal Paese dove il crocifisso è stato concordemente definito dalle autorità politiche ed ecclesiastiche italiane e dalla corte europea “un arredo” privo di significato religioso?
Così Francesco intende combattere “quei crimini enormi” un fenomeno globale che ha pesato sull’ultimo conclave
Quattro vescovi sotto inchiesta e 5.000 sacerdoti denunciati la piaga che affligge la Chiesa
di Paolo Rodari (la Repubblica, 26.09.2014)
CITTÀ DEL VATICANO Lo scandalo della pedofilia nel clero ha contorni globali. E numeri che parlano di quattro presuli indagati per un totale di circa 1800 denunce. Gli abusi sessuali hanno coinvolto le comunità ecclesiali di tutto il mondo e hanno colpito duramente l’immagine e il prestigio di esponenti di spicco della gerarchia, anche cardinali, spesso accusati, se non direttamente, almeno di non aver contrastato con efficacia gli stessi abusi, insomma di avere insabbiato.
Emblematico il caso dell’ex nunzio presso la Repubblica Dominicana Jozef Wesolowski, arrestato due giorni fa per diretta volontà di Francesco, un caso che porta oggi le indagini del Vaticano su altri Paesi dove lo stesso arcivescovo è stato nunzio. Ma significativa è anche la vicenda del cardinale polacco Kazimierz Nycz, chiamato a testimoniare a un processo di pedofilia. O quella dello scozzese Keith O’Brien, che per le accuse di aver molestato giovani seminaristi non poté partecipare allo scorso conclave. E, ancora, dei due presuli indagati dall’ex Sant’Uffizio, il cileno Marco Antonio Órdenes, cui il Vaticano ha proibito di esercitare le funzioni, e il peruviano Gabino Miranda Melgarejo.
I numeri sul fenomeno non lasciano spazio a dubbi: il picco delle denunce di abusi ricevuti dalla Congregazione per la dottrina della fede è stato nel 2004, con 800 denunce, mentre negli ultimi tre anni ci si è attestati sui 600 casi all’anno, che in maggioranza riguardano abusi commessi dal 1965 al 1985, come ha spiegato don Robert Oliver, da meno di un anno promotore di giustizia della Congregazione. Denunce di tipo «canonico», perché poi esistono anche le denunce presso l’autorità giudiziaria.
Gli abusi sui bambini da parte dei prelati hanno rappresentato un vero e proprio “tornado” fin dall’inizio del pontificato di Benedetto XVI, sconvolgendo intere Chiese nazionali, in particolare negli Stati Uniti, ma anche in Irlanda, Olanda, Germania. Rivelazioni da parte di uomini della Chiesa cattolica, soprattutto negli Stati Uniti, erano partite già prima dell’arrivo di Ratzinger nell’aprile del 2005 al soglio pontificio, ma è negli anni successivi che lo scandalo si è allargato anche in America Latina e in Europa, soprattutto in Irlanda, dove sono emersi i crimini commessi da sacerdoti troppo spesso coperti dalla gerarchia.
Le denunce delle vittime sono state sempre più frequenti, aiutate da associazioni, sostenute da avvocati che spesso hanno chiesto risarcimenti milionari, in particolare negli Stati Uniti. E gli attacchi da parte della stampa di tutto il mondo sono stati all’ordine del giorno. Una pressione sempre più forte, tanto che nell’ottobre del 2006 Benedetto XVI reagì parlando degli abusi sessuali commessi dal clero come di «crimini enormi», raccomandando di «stabilire sempre la verità» e di «portare sostegno alle vittime». Inoltre, nel 2008 nel corso del suo viaggio negli Stati Uniti, Ratzinger aveva deciso di incontrare personalmente alcune vittime, chiedendo loro scusa a nome della Chiesa. Al- trettanto accadde nei suoi viaggi in Australia, Malta, Regno Unito e Germania, come hanno raccontato gli stessi protagonisti piangendo per l’emozione.
Il giro di vite impresso da Benedetto XVI si è tradotto anche, a livello di Congregazione per la Dottrina della fede, in processi canonici che hanno portato, nel biennio 2011-2012, alla riduzione allo stato laicale di 400 sacerdoti accusati di molestie a minori.
E lo scandalo pedofilia ha pesato anche sull’ultimo conclave: oltre al caso del porporato O’Brien, lo Snap, la rete americana dei sopravvissuti agli abusi dei preti, aveva stilato una lista di dodici cardinali da non eleggere «per rispetto alle vittime di abusi sessuali, soprattutto bambini, da parte di esponenti del clero, per le omissioni che hanno fatto nel denunciare i responsabili e per le giustificazioni che hanno dato nonostante le prove documentate». Ora tutta la vicenda pedofilia passerà al vaglio della Commissione voluta da Bergoglio, creata con lo scopo primario della protezione dei minori. Ma il principio da seguire l’ha indicato con chiarezza Papa Francesco: «tolleranza zero».
Pedofilia, arrestato l’ex nunzio Wesolowski
L’arresto, reso noto dal Tg de La 7, sarebbe stato realizzato secondo le indicazioni di Papa Francesco
di Redazione ANSA *
L’ex nunzio Jozef Wesolowski è stato arrestato dagli agenti della Gendarmeria vaticana. E’ quanto confermano fonti Oltretevere. Il monsignore si troverebbe nella Città del Vaticano.
L’arresto di Wesolowski, sotto inchiesta per pedofilia, reso noto dal Tg de La 7, sarebbe stato realizzato secondo le indicazioni di Papa Francesco. Secondo quanto riportato dal Tg di Enrico Mentana, mons. Wesolowski, che ha già avuto una condanna canonica di primo grado che lo ha visto ridotto allo stato clericale dall’ex Sant’Uffizio per abusi sessuali su minori, sarebbe stato arrestato questo pomeriggio intorno alle 17 e trattenuto in una cella oltretevere.
Mons. Wesolowski è agli arresti domiciliari in Vaticano. Lo ha detto padre Federico Lombardi, spiegando che la decisione è stata presa in relazione alle condizioni di salute dell’ex nunzio.
All’ex nunzio, aggiunge padre Lombardi, sono stati notificati i capi di imputazione del procedimento penale avviato a "suo carico per gravi fatti di abuso a danni di minori avvenuti nella Repubblica Dominicana".
SANTA MESSA NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE CON ALCUNE VITTIME DI ABUSI SESSUALI DA PARTE DI ESPONENTI DEL CLERO
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Lunedì, 7 luglio 2014 *
L’immagine di Pietro che, vedendo uscire Gesù da questa seduta di duro interrogatorio, e che incrocia lo sguardo con Gesù e piange, mi viene oggi nel cuore incrociando il vostro sguardo, di tanti uomini e donne, bambini e bambine; sento lo sguardo di Gesù e chiedo la grazia del suo piangere.
La grazia che la Chiesa pianga e ripari per i suoi figli e figlie che hanno tradito la loro missione, che hanno abusato persone innocenti con i loro abusi. E io oggi sono grato a voi per essere venuti qui.
Da tempo sento nel cuore un profondo dolore, una sofferenza, tanto tempo nascosto, dissimulato in una complicità che non trova spiegazione, finché qualcuno non si è reso conto che Gesù guardava, e un altro lo stesso e un altro lo stesso...e si fecero coraggio a sostenere tale sguardo. E quei pochi che hanno cominciato a piangere, hanno contagiato la nostra coscienza per questo crimine e grave peccato. Questa è la mia angustia e dolore per il fatto che alcuni sacerdoti e vescovi hanno violato l’innocenza di minori e la loro propria vocazione sacerdotale abusandoli sessualmente. Si tratta di qualcosa di più che di atti deprecabili. E’ come un culto sacrilego perchè questi bambini e bambine erano stati affidati al carisma sacerdotale per condurli a Dio ed essi li hanno sacrificati all’idolo della loro concupiscenza. Hanno profanato la stessa immagine di Dio alla cui immagine siamo stati creati. L’infanzia - lo sappiamo tutti- è un tesoro. Il cuore giovane, così aperto e pieno di fiducia, contempla i misteri dell’amore di Dio e si mostra disposto in una maniera unica ad essere alimentato nella fede. Oggi il cuore della Chiesa guarda gli occhi di Gesù in questi bambini e bambine e vuole piangere. Chiede la grazia di piangere di fronte a questi atti esecrabili di abuso perpetrati contro i minori. Atti che hanno lasciato cicatrici per tutta la vita.
So che le vostre ferite sono una fonte di profonda e spesso implacabile pena emotiva e spirituale e anche di disperazione. Molti di coloro che hanno patito questa esperienza hanno cercato compensazioni nella dipendenza. Altri hanno sperimentato seri disturbi nelle relazioni con genitori, coniugi e figli. La sofferenza delle famiglie è stata particolarmente grave dal momento che il danno provocato dall’abuso colpisce queste relazioni vitali.
Alcuni hanno anche sofferto la terribile tragedia del suicidio di una persona cara. La morte di questi amati figli di Dio pesa sul cuore e sulla mia coscienza e di quella di tutta la Chiesa. A queste famiglie offro i miei sentimenti di amore e di dolore. Gesù torturato e interrogato con la passione dell’odio è condotto in un altro luogo e guarda. Guarda a uno dei suoi, quello che lo aveva rinnegato e lo fa piangere. Chiediamo questa grazia insieme a quella della riparazione.
I peccati di abuso sessuale contro minori da parte di membri del clero hanno un effetto dirompente sulla fede e la speranza in Dio. Alcuni si sono aggrappati alla fede, mentre per altri il tradimento e l’abbandono hanno eroso la loro fede in Dio. La vostra presenza qui parla del miracolo della speranza che ha il sopravvento sulla più profonda oscurità. Senza dubbio, è un segno della misericordia di Dio che noi abbiamo oggi l’opportunità di incontrarci, di adorare il Signore, di guardarci negli occhi e cercare la grazia della riconciliazione.
Davanti a Dio e al suo popolo sono profondamente addolorato per i peccati e i gravi crimini di abuso sessuale commessi da membri del clero nei vostri confronti e umilmente chiedo perdono.
Chiedo perdono anche per i peccati di omissione da parte dei capi della Chiesa che non hanno risposto in maniera adeguata alle denunce di abuso presentate da familiari e da coloro che sono stati vittime di abuso. Questo, inoltre, ha recato una sofferenza ulteriore a quanti erano stati abusati e ha messo in pericolo altri minori che si trovavano in situazione di rischio.
D’altra parte, il coraggio che voi e altri avete dimostrato facendo emergere la verità è stato un servizio di amore, per aver fatto luce su una terribile oscurità nella vita della Chiesa. Non c’è posto nel ministero della Chiesa per coloro che commettono abusi sessuali; e mi impegno a non tollerare il danno recato ad un minore da parte di chiunque, indipendentemente dal suo stato clericale. Tutti i vescovi devono esercitare il loro servizio di pastori con somma cura per salvaguardare la protezione dei minori e renderanno conto di questa responsabilità.
Per tutti noi vale il consiglio che Gesù dà a coloro che danno scandalo, la macina da molino e il mare (cfr Mt 18,6).
Inoltre continueremo a vigilare sulla preparazione al sacerdozio. Conto sui membri della Pontificia Commissione per la Protezione dei Minori, tutti i minori, a qualsiasi religione appartengono, sono i piccoli che il Signore guarda con amore.
Chiedo questo ausilio affinché mi aiutino a far sì che possiamo disporre delle migliori politiche e procedimenti nella Chiesa universale per la protezione dei minori e per la formazione di personale della Chiesa nel portare avanti tali politiche e procedimenti. Dobbiamo fare tutto il possibile per assicurare che tali peccati non si ripetano più nella Chiesa.
Fratelli e sorelle, essendo tutti membri della famiglia di Dio, siamo chiamati a entrare nella dinamica della misericordia. Il Signore Gesù, nostro Salvatore, è l’esempio supremo, l’innocente che ha portato i nostri peccati sulla croce. Riconciliarci è l’essenza stessa della nostra comune identità come seguaci di Cristo. Rivolgendoci a Lui, accompagnati dalla nostra Madre Santissima ai piedi della croce, chiediamo la grazia della riconciliazione con tutto il popolo di Dio. La soave intercessione di Nostra Signora della Tenera Misericordia è una fonte inesauribile di aiuto nel nostro percorso di guarigione.
Voi e tutti coloro che hanno subito abusi da parte di membri del clero siete amati da Dio. Prego affinché quanto rimane dell’oscurità che vi ha toccato sia guarito dall’abbraccio del Bambino Gesù e che al danno recatovi subentri una fede e una gioia rinnovata.
Ringrazio per questo incontro e, per favore, pregate per me, perché gli occhi del mio cuore vedano sempre con chiarezza la strada dell’amore misericordioso e Dio mi conceda il coraggio di seguire questa strada per il bene dei minori..
Gesù esce da un giudizio ingiusto, da un interrogatorio crudele e guarda gli occhi di Pietro e Pietro piange. Noi chiediamo che ci guardi, che ci lasciamo guardare, e possiamo piangere, e che ci dia la grazia della vergogna, perché come Pietro, 40 giorni dopo, possiamo rispondergli: “sai che ti amiamo” e ascoltare la sua voce: “torna al tuo cammino e pascola le mie pecore” - e aggiungo - “e non permettere che alcun lupo entri nel gregge”.
Mea culpa seriale
Anche Francesco chiede perdono per i preti pedofili
di Alessio Schiesari (il Fatto, 12.04.2014)
"Chiedo perdono per i sacerdoti che hanno abusato sessualmente dei bambini. Saremo forti, non faremo passi indietro”. Papa Bergoglio ieri ha parlato di pedofilia e, oltre a essersi scusato apertamente come già Joseph Ratzinger nel 2008, potrebbe avere imboccato la linea della tolleranza zero inaugurata dal suo predecessore.
Che Francesco si stesse preparando ad affrontare questo tema era nell’aria. Ad agitare le acque era stata la dura relazione dell’Onu di febbraio, che accusava il Vaticano di avere coperto i sacerdoti pedofili e invitava ad aprire gli archivi. La Santa Sede ha risposto in modo poco conciliante, accusando l’Onu di interferenze “nell’esercizio della libertà religiosa”. Già da mesi le associazioni delle vittime tiravano Bergoglio per la talare, chiedendogli un confronto sugli abusi.
Papa Francesco ha tirato fuori il coniglio dal cilindro lo scorso 22 marzo, quando ha nominato l’irlandese Marie Collins - violentata da un prete all’età di 13 anni - tra gli otto membri della neonata Commissione per la protezione dei fanciulli. Nelle intenzioni del Santo Padre quest’organismo dovrebbe occuparsi non solo di accertare e perseguire gli abusi, ma soprattutto di prevenirli. Stando agli annunci, infatti, stabilirà le linee guida per diventare sacerdoti e fornirà una sorta di attestato di idoneità ai seminaristi.
Questa è la linea sposata da Bergoglio fin da quando era “solo” vescovo di Buenos Aires. Dopo essere stato criticato per la scarsa loquacità sul tema degli abusi, ha affidato una prima risposta al libro Il Cielo e la terra. Qui il futuro papa spiega il suo silenzio, sostenendo di non avere mai avuto a che fare con casi di pedofilia nella sua diocesi, anche se “una volta un vescovo mi ha telefonato per chiedermi cosa fare in una situazione di questo tipo. Gli ho detto di togliere all’interessato le licenze, di non permettergli di esercitare più il sacerdozio e di avviare un giudizio canonico”.
In un altro testo, Il gesuita, Francesco espone la sua linea basata sulla prevenzione: “Bisogna stare attenti nella selezione dei candidati al sacerdozio. Nel seminario di Buenos Aires ne ammettiamo il 40 per cento”.
Eppure il suo pontificato non inizia con la stessa determinazione con cui si era concluso quello di Ratzinger che, tra il 2011 e il 2012, aveva ridotto allo stato laicale 400 sacerdoti accusati di abusi.
La prima volta che Francesco accenna al problema è durante un angelus del marzo 2013, quando si dice “vicino alle vittime degli abusi” e invita la Chiesa a “difenderli”. Poi molti silenzi e tantissime foto a fianco dei bambini, almeno fino al mea culpa di ieri.
Il vero banco di prova sarà però il processo della Congregazione per la dottrina della fede a carico dell’ex nunzio apostolico in Repubblica Domenicana, Jozef Wesolowski. Il prelato polacco è stato una figura di peso all’interno della diplomazia vaticana. Potrebbe essere l’occasione giusta per passare dalle intenzioni ai fatti.
Il Papa: una vittima di abusi nella Commissione anti-pedofilia
Tra gli otto nominati Marie Collins e card. O’Malley. Lombardi: «Questo gruppo sarà integrato da altri membri scelti nelle varie aree geografiche»
di Domenico Agasso jr (La Stampa, 22/03/2014)
Roma Papa Francesco ha nominato oggi i primi otto componenti della Commissione per la Tutela dei Minori, istituita contro il fenomeno della pedofilia. Ne fanno parte quattro uomini e quattro donne, rappresentativi di vari Paesi, tra cui anche una vittima di abusi, l’irlandese Marie Collins, e il cardinale Sean O’Malley, arcivescovo di Boston e membro del Consiglio degli otto Cardinali creato dal Pontefice, il francescano che aveva annunciato lo scorso dicembre la nascita di una Commissione anti-pedofili “ad hoc”. Poi ci sono: la francese Catherine Bonnet; dal Regno Unito, Sheila Hollins; il giurista italiano Claudio Papale, docente di Diritto canonico alla Pontifica Università urbaniana; l’ex-ambasciatrice polacca Hanna Suchocka; il gesuita argentino padre Humberto Miguel Yanez SJ, direttore del dipartimento di Teologia morale della Pontificia Università gregoriana; il gesuita tedesco padre Hans Zollner, vicerettore accademico e preside dell’Istituto di Psicologia della Gregoriana.
La Commissione creata da Francesco per tutelare i minori da atti di pedofilia contribuirà «alla missione del Papa di rispondere alla sacra responsabilità di assicurare la sicurezza ai giovani»: il direttore della Sala Stampa Vaticana padre Federico Lombardi annuncia così le prime nomine. Prime perchè «questo gruppo iniziale - spiega Lombardi - verrà successivamente integrato da altri membri scelti nelle varie aree geografiche del mondo».
Al momento il gruppo degli otto, che costituisce l’impalcatura della struttura, è in maggioranza rappresentato da europei «per agevolare gli incontri», precisa il Portavoce vaticano. «Nella certezza che la Chiesa deve svolgere un ruolo cruciale in questo campo, e guardando al futuro senza dimenticare il passato, la Commissione - osserva Lombardi - adotterà un approccio molteplice per promuovere la protezione dei minori, che comprenderà l’educazione per prevenire lo sfruttamento dei bambini, le procedure penali contro le offese ai minori, doveri e responsabilità civili e canoniche, lo sviluppo delle “migliori pratiche” che si sono individuate e sviluppate nella società nel suo insieme».
Il gruppo della neonata Commissione «è ora chiamato a lavorare speditamente per collaborare in differenti compiti, fra cui: elaborare la struttura finale della Commissione, precisandone scopo e responsabilità e proponendo i nomi di ulteriori candidati, in particolare da altri continenti e Paesi, che possono essere chiamati al servizio della Commissione».
Lombardi sottolinea poi che l’iniziativa del Papa prosegue l’impegno dei predecessori, e aggiunge: Bergoglio con questo nuovo atto «mette in chiaro che la Chiesa deve tenere alta la protezione dei minori fra le sue priorità e per promuovere l’iniziativa in questo campo oggi il Papa ha indicato i nomi di diverse personalità che possono essere altamente qualificate e note per il loro impegno su questo tema».
L’ONU ALLA SANTA SEDE: HAI PROTETTO I PEDOFILI, NON I BAMBINI *
37504. ROMA-ADISTA. Bocciata la Santa Sede sull’applicazione della Convenzione delle Nazioni Unite per i diritti del fanciullo (Crc), che ha sottoscritto nel 1990. L’apposito Comitato Onu di vigilanza, con sede a Ginevra, ha emesso il 5 febbraio un rapporto di sedici pagine, al termine di un lungo percorso di interlocuzione fra le parti (v. Adista Notizie nn. 28/13 e 3/14), in cui condanna il comportamento della sede apostolica in particolare riguardo agli abusi perpetrati da preti su bambini. E, pur prendendo nota dell’impegno espresso dalla delegazione della Santa Sede sulla inviolabilità della dignità e dell’integrità personale di ogni bambino, detta una serie di misure che la Santa Sede dovrà rispettare per superare l’esame in futuro. «La Santa Sede - ha detto, esponendo il rapporto, la presidente del Comitato, Kristen Sandberg - ha sistematicamente posto la preservazione della reputazione della Chiesa e la protezione degli autori degli abusi al di sopra dell’interesse per i minori».
La Santa Sede nega ogni responsabilità, dato il suo quadro giuridico. Il portavoce, p. Federico Lombardi, aveva già precisato a metà gennaio (v. ancora Adista Notizie n. 3/14) «la natura particolare della Santa Sede come soggetto di diritto internazionale che aderisce alla Convenzione, in particolare nella sua distinzione e nel suo rapporto con lo Stato della Città del Vaticano (che è “parte” anch’esso della Crc) e in rapporto alla Chiesa cattolica, come comunità dei fedeli cattolici sparsi nel mondo (che invece non è in alcun modo “parte” della Crc, ed i cui membri sono sottoposti alle leggi degli Stati dove vivono ed operano)».
Il Rapporto cita però direttive e prassi della Santa Sede che rendono poco credibile fin quì la tesi difensiva del Vaticano.
I crimini riconducibili alla Santa Sede
«Il Comitato è gravemente preoccupato -sintetizza il Rapporto - del fatto che la Santa Sede non abbia riconosciuto la portata dei crimini commessi, non abbia intrapreso le misure necessarie per affrontare i casi di abusi sessuali sui minori e per proteggere i bambini e abbia adottato politiche e prassi che hanno condotto alla continuazione dell’abuso con impunità dei responsabili». Poi entra nello specifico: «Pedofili ben noti sono stati trasferiti di parrocchia in parrocchia o in altri Paesi nel tentativo di coprire tali crimini, pratica questa documentata da numerose Commissioni nazionali di inchiesta» e permettendo «a molti preti di restare a contatto con i bambini e di continuare ad abusarne»; «la Santa Sede ha stabilito la sua piena giurisdizione sui casi di abusi sessuali su minori nel 1962 e li ha posti nel 2001 [v. Adista n. 87/01] sotto l’esclusiva competenza della Congregazione per la Dottrina della Fede», e tuttavia «ha declinato di fornire al Comitato i dati relativi a tutti i casi di abusi sessuali sui minori portati alla sua attenzione nel periodo delle denunce e come risultato dei processi interni»; «l’abuso sessuale sui minori» è stato trattato come «grave delitto contro la morale» tramite «procedure confidenziali»; «a causa di un codice del silenzio, imposto a tutti i membri del clero sotto pena di scomunica, i casi di abuso sessuale non sono quasi mai stati denunciati alle autorità giudiziarie dei Paesi dove questi crimini erano avvenuti» e si è dato il caso «di preti e suore rimossi e licenziati per non aver rispettato l’obbligo del silenzio», mentre altri «sono stati gratificati per aver rifiutato di denunciare i responsabili degli abusi come dimostra la lettera rivolta dal card. Darío Castrillón Hoyos al vescovo Pierre Pican nel 2001» (v. Adista n. 63/01); e ancora, la «denuncia alle autorità giudiziarie non è mai stata obbligatoria ed è stata esplicitamente rifiutata in una lettera ufficiale destinata ai membri della Conferenza episcopale irlandese dal vescovo Moreno e dal nunzio Storero nel 1997 [v. Adista n. 5/11]. In molti casi le autorità ecclesiastiche anche ai livelli più alti della Santa Sede hanno mostrato riluttanza e in alcuni casi hanno rifiutato di cooperare con le autorità giudiziarie e con le commissioni nazionali di inchiesta».
Fra le misure per ovviare a queste gravi pecche, il Comitato «sollecita» la Santa Sede, fra l’altro, ad «assicurarsi che la Commissione sulla protezione dei fanciulli creata nel dicembre 2013 investighi in modo indipendente tutti i casi di abuso sessuale su minori così come la condotta della gerarchia cattolica nell’affrontarli»; a rimuovere tutti i sacerdoti colpevoli o sospettati di pedofilia dai loro incarichi e il loro deferimento alle autorità giudiziarie; a «rivedere il Diritto Canonico allo scopo di considerare l’abuso sessuale sui minori come crimine e non come delitti contro la morale».
La reazione della Santa Sede
«La prima reazione è di sorpresa perché - ha detto ai microfoni della Radio Vaticana il 5/2 mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente vaticano presso gli Uffici Onu a Ginevra - l’aspetto negativo del documento che hanno prodotto sembra quasi che fosse già stato preparato prima dell’incontro del Comitato con la delegazione della Santa Sede, che ha dato in dettaglio risposte precise su vari punti, che non sono state poi riportate in questo documento conclusivo o almeno non sembrano essere state prese in seria considerazione. Di fatto il documento sembra quasi non essere aggiornato, tenendo conto di quello che in questi ultimi anni è stato fatto a livello di Santa Sede, con le misure prese direttamente dall’autorità dello Stato della Città del Vaticano e poi nei vari Paesi dalle singole Conferenze episcopali». «La Santa Sede risponderà», assicura, ha ratificato la Convenzione e intende osservarla nello spirito e nella lettera», ma «senza aggiunte ideologiche o imposizioni che esulano dalla Convenzione stessa», aggiunge. «La Convenzione sulla protezione dei bambini - specifica a seguire, in qualche modo, sottraendo legittimità alla Crc - nel suo preambolo parla della difesa della vita e della protezione dei bambini prima e dopo la nascita; mentre la raccomandazione che viene fatta alla Santa Sede è quella di cambiare la sua posizione sulla questione dell’aborto! [v. più avanti] Certo, quando un bambino è ucciso non ha più diritti! Allora questa mi pare una vera contraddizione con gli obiettivi fondamentali della Convenzione».
Se viene riconosciuto alla Santa Sede, come si sostiene nell’introduzione del rapporto conclusivo, che ha risposto esaustivamente a tutte le domande rivoltele dal Comitato, afferma mons. Tomasi, allora tanta negatività del Rapporto fa sorgere un sospetto: «Probabilmente, delle Organizzazioni non governative, che hanno interessi sull’omosessualità, sul matrimonio gay e su altre questioni, hanno certamente avuto le loro osservazioni da presentare e in qualche modo hanno rafforzato una linea ideologica».
Dal canto suo, la Sala Stampa vaticana ha emesso un comunicato nel quale tra l’altro si legge: «Alla Santa Sede rincresce di vedere in alcuni punti delle Osservazioni Conclusive un tentativo di interferire nell’insegnamento della Chiesa Cattolica sulla dignità della persona umana e nell’esercizio della libertà religiosa. La Santa Sede reitera il suo impegno a difesa e protezione dei diritti del fanciullo, in linea con i principi promossi dalla Convenzione sui Diritti del Fanciullo e secondo i valori morali e religiosi offerti dalla dottrina cattolica».
E c’è dell’altro
A cosa si riferisca il comunicato della Sala Stampa quando parla di «tentativo di interferire nell’insegnamento della Chiesa» è presto detto: il Rapporto steso dal Comitato dell’Onu individua una violazione dei diritti del bambino anche nelle conseguenze della dottrina cattolica su famiglia, contraccezione, aborto, protezione dall’Aids. Il Comitato infatti snocciola una serie di ulteriori preoccupazioni, fra le quali: la Santa Sede «non riconosce l’esistenza di una pluriformità di famiglie con la conseguenza di una discriminazione dei bambini sulla base della loro situazione familiare»; nega agli adolescenti «l’accesso alla contraccezione» e all’informazione sulla «salute sessuale e riproduttiva» con il corollario di alta mortalità e morbilità a causa di «premature e indesiderate gravidanze, aborti clandestini» e infezioni da Hiv.
Fra le svariate raccomandazioni riscontrabili nel Rapporto, poi, anche quella di «trasmettere queste conclusioni al papa, alla Curia, alla Congregazione per la Dottrina della Fede, a quella per l’Educazione cattolica e al Pontifico Consiglio per la Pastorale della Salute e di quello per la Famiglia». E che non rimangano senza né vescovi, né «individui e istituzioni che ricadono sotto l’autorità della Santa Sede». Sono tutti responsabili. (eletta cucuzza)
* Adista Notizie n. 6 del 15/02/2014
Il sistema pedofilo vaticano
Rapporto dell’Onu processa la Santa Sede: rimuovete e fate processare tutti i preti colpevoli
di Giampiero Gramaglia (il Fatto, 06.02.2014)
Nel giorno in cui 25.000 persone ascoltano l’esortazione di Papa Francesco nell’udienza generale, “che i bambini si preparino bene alla Prima Comunione e che tutti la facciano”, ultima versione dell’evangelico “lasciate che i bambini vengano a me”, le Nazioni Unite pubblicano un atto d’accusa durissimo contro il Vaticano per i preti pedofili e per le posizioni sull’omosessualità (e pure per l’aborto e la contraccezione). L’attacco frontale è in un rapporto del Comitato dell’Onu sui diritti dell’infanzia diffuso a Ginevra.
Non è la prima volta che il fiume carsico della pedofilia, che ha traversato invisibile e silente quasi cinque secoli di storia della Chiesa, prima di emergere alla superficie con violenza negli ultimi tre papati, crea tensioni tra la gerarchia cattolica e la società civile. Ma forse mai in passato l’atto d’accusa era stato così radicale. Kirsten Sandberg, norvegese, presidente del Comitato, afferma che il Vaticano ha violato, e tuttora viola, la Convenzione dell’Onu sui diritti dell’infanzia: “La Chiesa viola la Convenzione perché non ha fatto tutte le cose che doveva fare”.
IL RAPPORTO non ha riguardi per la Santa Sede, trattata alla stregua d’uno Stato qualsiasi (senza distinguo e senza favori). La reazione del Vaticano è pronta. Ma monsignor Silvano Tomasi, capo delegazione della Santa Sede presso il Comitato, peggiora - se possibile situazione, denunciando a Radio Vaticana l’ingerenza nella stesura del rapporto di lobbies omosessuali.
L’arcivescovo è sorpreso: “Pare che il testo fosse già stato preparato prima dell’incontro tra il Comitato e la nostra delegazione”, il mese scorso. “Abbiamo dato risposte precise su vari punti, che non sono state né riportate né prese in considerazione... Il documento muove da tesi ideologiche”.
Il rapporto chiede che vengano “immediatamente rimossi” e consegnati alle autorità civili i prelati coinvolti in abusi su minori o sospettati di esserlo; e pretende che la Santa Sede renda accessibili i propri archivi in modo che chi ha abusato e “quanti ne hanno coperto i crimini” possano essere chiamati a risponderne davanti alla giustizia. Fra le richieste, quelle di scoprire quanti siano “i figli di sacerdoti”.
“Il Comitato - si legge nel rapporto - è gravemente preoccupato dal fatto che la Santa Sede non abbia riconosciuto l’ampiezza dei crimini commessi, non abbia preso le misure necessarie per affrontare i casi di abusi sessuali e per proteggere i bambini e abbia anzi adottato politiche e pratiche che hanno portato a una continuazione degli abusi e all’impunità dei responsabili”.
IL VATICANO è tra i firmatari della Convenzione dell’Onu sui diritti dell’infanzia, approvata dall’Assemblea generale nel 1989. Il testo definisce i diritti fondamentali da riconoscere e garantire ai minori e prevede un controllo sull’operato degli Stati, che devono stilare un rapporto periodico sul rispetto dei diritti dei bambini nel proprio ambito. La Santa Sede ratificò la convenzione nel ’94, ma fino al 2012 non ha consegnato nessun rapporto, neanche dopo le rivelazioni sui casi di abusi, le migliaia di denunce e l’allontanamento dal sacerdozio di centinaia di preti.
Il documento dell’Onu esorta, inoltre, il Vaticano a rivedere le posizioni su aborto, contraccezione e omosessualità. Sull’aborto, quando “è a rischio la vita e la salute delle donne incinte, modificando il canone 1398 in materia” - il rapporto cita un caso del 2009 in Brasile, in cui madre e medico fecero abortire una bambina di 9 anni rimasta incinta dopo la violenza del patrigno -. Sulla contraccezione, per tutelare le adolescenti e prevenire l’Aids.
Per l’omosessualità, il Comitato dell’Onu sollecita la Chiesa a sostenere gli sforzi per depenalizzarla e “fare pieno uso della sua autorità morale per condannare tutte le forme di molestie, discriminazione e violenza contro i minori sulla base del loro orientamento sessuale e/o di quello dei loro genitori”.
Nel rapporto, infine, il Comitato esprime “preoccupazione” per “la sorte degli adolescenti reclutati dalla Legione di Cristo e da altre istituzioni cattoliche, separandoli dalle loro famiglie e isolandoli dal mondo esterno”. E chiede di assicurare “canali accessibili, confidenziali ed efficaci” ai bambini “vittime o testimoni di abusi”, assistendo le famiglie e prevenendo qualsiasi altra forma successiva di violenza.
Una catena di comando ha occultato tutto
di Marco Politi (il Fatto, 06.02.2014)
Città del Vaticano La folgore dell’Onu cade sul Vaticano e illumina violentemente colpe, omissioni, ritardi nel contrastare gli abusi sessuali del clero. Al tempo stesso costringe la Santa Sede a rendere conto di quanto ancora non sta facendo per portare alla luce i crimini commessi e assicurare alla giustizia i preti delinquenti.
Ci sono passaggi nel rapporto del Comitato per i diritti dell’infanzia, che sembrano scritti prima del 2010 quando Benedetto XVI fece pubblicamente mea culpa (nella sua lettera ai cattolici d’Irlanda) per i silenzi della Chiesa, il mancato ascolto delle vittime, la disapplicazione delle norme canoniche che punivano il crimine, l’assenza di intervento dei vescovi e - testualmente - la “preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa e per evitare gli scandali”.
Allora e in seguito Benedetto XVI ribadì più volte che i preti colpevoli dovevano sottoporsi alla giustizia civile. Sia Ratzinger che Bergoglio hanno inasprito la normativa del codice canonico e - a differenza della giustizia civile - i delitti cadono ora in prescrizione solo vent’anni dopo il raggiungimento della maggiore età della vittima. C’è quindi un prima e un dopo.
DELLA STAGIONE precedente fa parte una catena di comando che non ha funzionato. La gran massa dei vescovi ha trattato il problema proteggendo generalmente i colpevoli. Esemplare il caso del cardinale Bernard Francis Law, arcivescovo di Boston, trasferito a Roma alla basilica di Santa Maria Maggiore da Giovanni Paolo II per evitargli disavventure con la giustizia americana.
Non ha funzionato il controllo della Congregazione del Clero. Vergognosa la lettera che il prefetto della congregazione, cardinale Castrillon Hoyos, scrive nel 2001 al vescovo francese Pican per complimentarsi di non aver denunciato alla magistratura un prete, poi condannato per abuso di undici minori.
Non ha funzionato, negli anni del pontificato di Giovanni Paolo II, la Congregazione per la dottrina della fede guidata dall’allora cardinale Ratzinger: congregazione troppo lenta, troppo legalistica nel reagire ad una serie di casi gravissimi venuti poi alla luce sulla stampa internazionale, troppo silenziosa sui crimini del fondatore dei Legionari di Cristo.
Non ha funzionato la segreteria di Stato, retta dal cardinale Sodano, proprio nel caso eclatante di Marcial Maciel Degollado: il governo centrale della Chiesa non ha dato nessun seguito a lettere ufficiali pervenute tramite i nunzi e a denunce pubbliche sulla stampa.
Papa Francesco nel suo primo incontro con l’attuale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede ha ribadito l’impegno della Chiesa a combattere la pedofilia nelle proprie file.
Il rapporto Onu, rifacendo tutta la storia, mette però in luce tutto ciò che oggi ancora non funziona. Vale poco l’obiezione di parte ecclesiastica che la Chiesa non è una multinazionale e il Vaticano non ne sarebbe il quartiere generale. Perchè certo il pontefice non può sapere cosa fa cosa fa un prete in Amazzonia, tocca al vescovo vigilare. Ma spetta ai papi e al loro governo vigilare che tutto l’organismo rispetti e applichi le leggi, che la Chiesa stessa si è data. Tanto più che il cattolicesimo gode - unico fra le religioni - di una fisionomia statuale. E allora il centro deve rendere conto del funzionamento delle sue norme in periferia.
C’è da fare moltissimo. Benedetto XVI incaricò le conferenze episcopali di dotarsi di Linee-guida per contrastare il fenomeno. Ci sono conferenze episcopali, che si sono dotate di strutture nazionali e diocesane serie, e ci sono conferenze episcopali - fra cui brilla la Cei - che finora si sono rifiutate in tutti i modi di assumersi responsabilità nel fare applicare le norme ecclesiastiche. È un atteggiamento di fuga, che non può continuare.
Dopo il rapporto del comitato Onu per i diritti dell’infanzia è evidente che dal Vaticano devono arrivare indicazioni cogenti per tutti - con la creazione di strutture ecclesiali locali e nazionali per scoprire i crimini - se la Santa Sede non vorrà trovarsi di nuovo fra tre anni sul banco degli accusati.
INOLTRE non è tollerabile restare a metà del guado rispetto al dovere di denuncia alla magistratura. In coerenza con gli auspici di Benedetto XVI, il Vaticano la deve dichiarare obbligatoria. Se la pedofilia è un crimine, come ha ricordato papa Francesco ai giornalisti tornando dal Brasile, l’omertà di un vescovo non è sostenibile.
Dire ad esempio, come fa la Cei, che in Italia il vescovo non è un pubblico ufficiale, è ridicolo. Perché? Se io privato cittadino vedo che per strada massacrano una vecchietta, che faccio? Tiro avanti zitto perché non sono un pubblico ufficiale?
Il lavoro del comitato di Ginevra si sta rivelando prezioso. Grazie alle audizioni, cui sono stati chiamati i rappresentanti vaticani, è emerso che Benedetto XVI in due anni ha espulso 384 preti indegni. Bene. Il rispetto delle vittime esige che siano aperte inchieste in tutti i Paesi perché vengano alla luce i crimini nascosti e avvolti nel silenzio. Papa Francesco lo sa dall’esperienza che hanno fatto i suoi connazionali in Argentina.
Quando è in gioco la violazione dei diritti umani non esiste una trasparenza a metà. Non si fa pace con il passato, se prima non si porta alla luce tutta la verità. Chiarendo chi è stato colpevole e chi complice. Il comitato ha toccato anche un punto delicato, che finora era stato sempre rimosso: il destino dei figli dei preti. Non c’è dubbio che tutto ciò rappresenti una sfida per il pontificato di Francesco. Ma la Chiesa non può eluderla.
L’Onu torchia la Santa Sede. “Basta opacità sui preti pedofili”
di Andrea Valdambrini (il Fatto, 17.01.2014)
C’è sempre una prima volta. Anche per la più segreta e misteriosa delle istituzioni, la Santa Sede, che amministra la giustizia nel chiuso delle sue mura senza riferirsi ai tribunali ordinari - e lo fa nei molti casi di abusi sessuali da parte del clero sui minori che hanno attraversato la storia recente.
Per la prima volta una delegazione vaticana ha pubblicamente riferito di fronte alla giuria delle Nazioni Unite a Ginevra. Delegazione certamente di alto profilo, guidata dall’osservatore permanente presso l’Onu, il vicentino arcivescovo Silvano Tomasi e composta, tra gli altri, da monsignor Charles Scicluna, ora vescovo di Malta, che ha a lungo ricoperto il ruolo di promotore di giustizia - ovvero procuratore generale - sui casi di pedofilia presso la Congregazione per la Dottrina della Fede.
Nell’audizione a Ginevra, Scicluna ha riconosciuto come in passato ci sia stata troppa lentezza nel contrasto agli abusi sui minori, ma ora il Vaticano è determinato a fare chiarezza, aggiungendo poi che la magistratura dei Paesi in cui ci sono inchieste aperte deve agire contro chiunque tenti di coprire crimini o depistare le indagini, sacerdoti e vescovi per primi, se è il caso. Da parte sua, Tomasi ha fatto riferimento alla fermezza con cui viene trattato monsignor Wesolowski, già nunzio in Repubblica Dominicana, accusato di abusi, richiamato in Vaticano dove verrà sottoposto a un doppio processo.
I componenti della commissione Onu per i diritti dell’infanzia, però, non hanno risparmiato domande e critiche sulla gestione dei tanti casi di pedofilia emersi, dall’Irlanda agli Usa passando per il Messico - dove il fondatore della potente congregazione dei Legionari di Cristo padre Maciel è reso responsabile di abusi a lungo coperti dalle autorità ecclesiastiche.
SARA OVIEDO - che ha l’incarico di investigatrice sui diritti umani - ha incalzato Scicluna sul perché i religiosi sospettati di molestie sono spesso stati trasferiti di sede piuttosto che denunciati alla polizia. La presidente della commissione Onu ha aggiunto: “Il modo migliore per prevenire nuovi abusi è quello di fare chiarezza su quelli passati. Il vostro modo di agire, però, non sembra essere troppo trasparente”.
All’indomani della sua elezione, Papa Francesco ha chiesto alla Chiesa un’azione decisa contro gli abusi sessuali e più recentemente ha annunciato l’istituzione di una commissione d’inchiesta vaticana.
Abusi, l’Onu interroga il Vaticano. “Più impegno con i preti pedofili”
Sarà processato un prelato polacco. Il Papa: “Vergogna per la Chiesa”
di Marco Ansaldo (la Repubblica, 17.01.2014)
CITTÀ DEL VATICANO - Impegno a eliminare lo scandalo della pedofilia nella Chiesa. E annuncio di un processo in Vaticano per un diplomatico polacco accusato di abusi sessuali sui minori. Con questa doppia promessa formale la Santa Sede ieri ha risposto comparendo per la prima volta davanti a un organismo internazionale, l’Onu a Ginevra, per fornire spiegazioni sull’imbarazzante caso internazionale scoppiato nel 2011.
Accusato per anni di aver coperto lo scandalo per difendere la propria reputazione, e scosso dall’entità del fenomeno, il Vaticano ha poi ordinato a tutti i vescovi di denunciare alla giustizia ordinaria del proprio Paese i membri del clero accusati di pedofilia. E Papa Benedetto XVI prima, e Papa Francesco dopo, hanno promesso una nuova linea. A comparire per rispondere alle domande di un comitato delle Nazioni Unite sull’applicazione della Convenzione per i diritti del fanciullo era una delegazione di 6 persone guidata dall’osservatore permanente della Santa Sede a Ginevra, monsignor Silvano Tomasi, di cui faceva parte anche l’ex procuratore per i reati sessuali, monsignor Charles Scicluna, autore fino a pochi anni fa di denunce non sempre gradite in ambito ecclesiale, oggi vescovo a Malta.
Nell’interrogatorio Scicluna ha riconosciuto che la Santa Sede è stata lenta ad affrontare la crisi, ma ha aggiunto che è adesso impegnata a farlo e incoraggiato i procuratori a intraprendere azioni contro chiunque ostacoli la giustizia. Duro l’intervento dell’investigatrice del comitato per i diritti umani, Sara Oviedo, la quale ha incalzato la delegazione vaticana chiedendo le ragioni per cui spesso i sacerdoti accusati diabusi siano stati trasferiti invece che consegnati alle forze dell’ordine. Un membro del comitato è anche la psicologa e psicoterapeuta italiana Maria Rita Parsi.
Monsignor Tomasi ha quindi parlato del caso riguardante l’ex nunzio apostolico nella Repubblica domenicana, il polacco Josef Wesolowski, accusato di abusi sessuali su minori. Verrà giudicato - ha detto - con «la severità che merita». Tomasi si è poi diffuso sull’impegno della Chiesa per affrontare questo «crimine orrendo e abnorme» degli abusi,tanto a livello centrale quanto a livello di base. «Il risultato dell’azione combinata adottata - ha detto l’osservatore permanente vaticano - dalle Chiese locali e dalla Santa Sede presenta una cornice che, se correttamente applicata, contribuirà a eliminare gli abusi da parte del clero».
In un intervento alla Radio Vaticana, il portavoce papale, padre Federico Lombardi, ha detto che sul caso la Santa Sede ha dato risposte «ampie e efficaci». E lo stesso Papa, nella sua omelia mattutina a Santa Marta, ha parlato di «corruzione dei sacerdoti» che invece di dare «da mangiare ilpane della vita» danno un «pasto avvelenato». «Tanti scandali - ha detto - che io non voglio menzionare singolarmente, ma tutti ne sappiamo... Sappiamo dove sono! La vergogna della Chiesa!».
Sono state alcune organizzazioni e vittime statunitensi, europee e messicane, a far arrivare il dossier degli abusi sul tavolo del comitato Onu. L’organismo non ha poteri giuridici per punire i colpevoli. Ma un’eventuale sanzione sarebbe un brutto colpo per la Chiesa che sta cercando di darsi una nuova immagine.
«Scandali e abusi sessuali degenerazioni del potere»
intervista a Gianfranco Svideroschi
a cura di Franca Giansoldati (Il Messaggero, 20 febbraio 2013)
«Gli scandali di natura finanziaria, l’affaire Vatileaks e la sconvolgente sequela degli abusi sui minori da parte di troppi preti pedofili sono il prodotto di un potere degenerato da parte dei vescovi». E’ una analisi al vetriolo quella di Gianfranco Svidercoschi. Nella sua lunga carriera di vaticanista ha osservato cinque pontificati, raccontato il Concilio, scritto 15 libri e ha ricoperto il ruolo di vice direttore dell’Osservatore Romano, chiamato da Papa Wojtyla.
Forse non è un caso se Papa Ratzinger anche domenica ha messo in guardia dalla strumentalizzazione del potere...
«Mi pare evidente. Che vi fosse qualcosa che non andava si era capito da tempo, quando dopo il primo entusiasmo per il Concilio fu chiaro che lo stavano bloccando. Basta vedere che uno dei documenti meno attuati è la Lumen Gentium. Andate a rileggerlo su Internet. Si parla di collegialità, apertura, collaborazione con i laici. Penso che la grande questione della pedofilia abbia radici lontane. Occorre memoria storica. Si tratta della degenerazione nell’uso del potere sacro da parte del clero. Troppi vescovi hanno ritenuto di dovere coprire le malefatte dei preti pedofili».
Hanno pensato più alla difesa dell’istituzione che non al Vangelo e alle piccole vittime?
«Anche se i vescovi che sono stati dimessi sono meno di cento, resta sul tappeto la radice culturale che ha dato origine a questa gestione scriteriata. Hanno ragionato come se fossero una casta. Quando noi parliamo del clericalismo, noi pensiamo che sia solo l’ingerenza della Chiesa nello Stato, e invece si tratta solo di una dinamica corporativa ben precisa».
Eppure Papa Ratziger ha fatto tantissimo e passerà alla storia per avere usato metodi durissimi per combattere la pedofilia..
«Nel 2001 fu il cardinale Ratzinger a chiedere a Giovanni Paolo II di fare di più. Si arrivò ad un protocollo guida. Sei anni dopo Benedetto XVI davanti alla situazione dell’Irlanda si è accorto che forse i vescovi, tolto qualche raro caso, si comportavano come prima. Ecco la degenerazione del potere che ha denunciato anche domenica».
Si è dimesso per purificare la casta?
«Per certi versi direi di sì. Ricordo che Benedetto XVI quando è andato in Germania si è lamentato di una Chiesa talmente strutturata da soffocare la fede. Ha parlato chiaro, tante, troppe volte. Non si sarà sentito ascoltato».
Il tema della riforma della curia è ciclico, ma poi...
«Non se ne fa mai niente. Strutture burocratiche, un meccanismo pachidermico. Ritengo che il Papa non si sia sempre sentito sostenuto dalla struttura, o almeno non sempre. Come se si fosse inceppato qualche meccanismo».
Il panorama tanto deludente?
«Papa Ratzinger ha messo in guardia dall’eccesso di burocratizzazione, di carrierismo. Purtroppo quella che ha davanti è una compagine di manager. Il Vangelo non lo intravedo sempre»
Pedofilia, gli imbarazzi vaticani
di Marco Politi (il Fatto, 29.08.2012)
Come uno spettro gli scandali di pedofilia perseguitano il Vaticano. In Israele è scoppiata una polemica violenta sulla nomina del nuovo ambasciatore vaticano, mons. Giuseppe Lazzarotto, già nunzio in Irlanda dal 2001 alla fine del 2007. È accusato di aver coperto, nel suo ruolo diplomatico, gli abusi avvenuti nella diocesi di Dublino.
Yedioth Ahronoth, il giornale israeliano a più larga diffusione, descrive l’arrivo di Lazzarotto come fonte di “imbarazzo e di umiliazione”. E invita il governo a “chiedere chiarimenti”. Yedioth Ahronot (e sulla sua scia altri media) va giù durissimo: “La nomina è uno schiaffo in faccia a Israele”. La storia, più che Lazzarotto personalmente, colpisce il Vaticano e i suoi decennali silenzi sugli abusi sessuali del clero. Lazzarotto come vescovo non è stato coinvolto in nessun caso di pedofilia. Come diplomatico, ubbidiente alle direttive della Santa Sede, ha però negato alla commissione d’inchiesta sui crimini pedofili nella diocesi di Dublino l’accesso alla documentazione in suo possesso.
I FATTI risalgono al 2007. La giudice Yvonne Murphy sta indagando sugli abusi sessuali del clero avvenuti tra il 1975 e il 2004. (Se ne documenteranno, riduttivamente, 326 con il coinvolgimento di 46 sacerdoti). La giudice Murphy chiede informazioni alla Congregazione per la Dottrina della fede. Il Vaticano svicola e replica che la richiesta non è avvenuta tramite i canali diplomatici. Nel febbraio 2007 la Murphy si rivolge al nunzio Lazzarotti chiedendogli di trasmettere il materiale in suo possesso riguardante la diocesi di Dublino e gli abusi. O almeno di confermare di non avere alcun tipo di documentazione del genere. Il nunzio, evidentemente istruito da Roma, non rispose mai.
Il rapporto Murphy denuncerà una costante delle autorità ecclesiastiche: “Mantenere il segreto, evitare scandali, proteggere la reputazione della Chiesa e tutelare i suoi beni”. Seguirà il rapporto Ryan: 800 colpevoli di abusi in 200 istituti religosi, nell’arco di 35 anni. Ogni volta che in qualsiasi paese è stata messa in piedi una commissione di inchiesta indipendente sugli stupri clericali è emersa una “mappa dell’inferno”. È proprio per questo motivo che l’episcopato italiano è terrorizzato dall’idea di istituire una commissione d’indagine come, ad esempio, hanno fatto i vescovi in Germania, Austria e Belgio.
Le polemiche su Lazzarotto sono il segnale di una ferita che non si è chiusa, il sintomo di un virus che non è stato debellato. Fino a quando - ci si può chiedere - lo spettro degli abusi inseguirà il Vaticano e si tornerà a parlare dei crimini commessi e nascosti? La risposta è semplice. Fino a quando il Vaticano non imboccherà la linea della piena trasparenza. Papa Ratzinger - ribattono in Curia - ha segnato una svolta con la sua Lettera agli Irlandesi del 2010, in cui denuncia i vescovi per non avere ascoltato le grida delle vittime e invita i preti a presentarsi in tribunale. Il Papa ha emanato regole più severe per combattere il fenomeno, ha incontrato gruppi di vittime in varie parti del mondo, ha obbligato gli episcopati a elaborare linee d’azione.
Tutto vero. Ma non si può rimanere a metà. Serve trasparenza totale per il futuro e per il passato. Nelle settimane scorse, un giudice americano di Portland, nell’Oregon, ha dichiarato improcedibile il tentativo di portare sul banco degli accusati il romano pontefice in una causa di risarcimento per crimini di pedofilia. Jeff Anderson, l’avvocato milionario dei risarcimenti, aveva tentato il colpo grosso denunciando il Papa come “datore di lavoro” di un prete criminale Andrew Ronan. La Corte federale ha respinto il concetto che il pontefice sia assimilabile al capo di una multinazionale. Giubilo negli ambienti ecclesiastici come fosse stata un’assoluzione da qualsiasi responsabilità! Non è così. La Santa Sede è stata parte attiva del sistema di occultamento e minimizzazione di innumerevoli crimini.
Ancora oggi il Papa non ha emanato un decreto sull’obbligo di denuncia dei preti criminali da parte dei vescovi, non è stato avviato un lavoro di monitoraggio e di inchiesta a livello mondiale, non sono stati aperti gli archivi vaticani che albergano la documentazione di responsabilità e insabbiamenti del passato.
C’È UN DOCUMENTO impressionante nelle carte segrete di Vatileaks, pubblicate da Nuzzi. Un appunto del segretario papale don Gaenswein su un incontro avvenuto il 19 ottobre 2011 con il sacerdote Rafael Moreno, ex segretario privato di Marcial Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo e pluristupratore. Don Moreno - scrive Gaensewin - è stato per 18 anni segretario di Maciel. Da lui abusato. È venuto per dire che nel 2003 ha voluto informare Giovanni Paolo II. Non è stato ascoltato né creduto. Voleva parlare al cardinale segretario di Stato Sodano, ma non gli è stata concessa udienza. Dunque nel 2003 i vertici vaticani chiudevano gli occhi sui crimini di Maciel (e lo avevano fatto anche prima). C’è tantissimo da portare alla luce. Prima lo farà, meglio si sentirà il Vaticano. Come dopo una buona confessione.
di Marco Politi (il Fatto, 23.05.2012)
Molte parole, ottime intenzioni, nessun meccanismo concreto per portare alla luce i crimini di pedofilia commessi dal clero attraverso i decenni. Le Linee-guida “per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici”, emesse ieri dalla Conferenza episcopale italiana, deludono quanti dentro e fuori la Chiesa cattolica si aspettavano che anche in Italia l’istituzione ecclesiastica si attrezzasse per rendere efficacemente giustizia alle vittime e scoprire i criminali nascosti al proprio interno. Si fa prima a elencare quello che non c’è nel documento che indicare le novità. Positivo è certamente l’incitamento ai vescovi a essere sollecitamente disponibili ad ascoltare le vittime e i familiari, ad offrire sostegno spirituale e psicologico, a proteggere i minori e a procedere immediatamente ad una “accurata ponderazione” della notizia del crimine per aprire altrettanto rapidamente un’indagine ecclesiastica. Poi, se del caso, si passa al processo diocesano, allontanando nel frattempo il prete da ogni contatto con minori per evitare il “rischio che i fatti delittuosi si ripetano”.
DOPO DUE anni di riflessione e un anno di elaborazione del testo, la Conferenza episcopale si ferma qui. Chiudendo ostinatamente gli occhi di fronte alle esperienze più avanzate realizzate in altri paesi come gli Stati Uniti, la Germania, l’Austria, il Belgio, l’Inghilterra. In Belgio e in Austria hanno formato commissioni di inchiesta nazionali, guidate da personalità laiche indipendenti? Pollice verso dei vescovi italiani. In Germania esiste un vescovo incaricato a livello federale di monitorare il dossier pedofilia e di intervenire nelle diocesi - diciamo così - poco attente? In Italia non se ne parla nemmeno. In Inghilterra operano gruppi di vigilanza nelle parrocchie? La Cei si guarda bene dal suggerirlo. Nella diocesi di Bressanone era stato istituito un indirizzo mail e un referente per le vittime? La Cei non istituisce neanche questo piccolo strumento operativo.
Don Fortunato Di Noto, il prete siciliano impegnato nel contrasto alla pedofilia, aveva proposto che in tutte le diocesi venisse istituito un “vicario per i bambini”, una sorte di angelo custode per prevenire e vigilare. Proposta cestinata. Spira in tutto il documento un vento difensivo, concentrato nel respingere interventi energici delle autorità giudiziarie. “Eventuali informazioni o atti concernenti un procedimento giudiziario canonico possono essere richiesti dall’autorità giudiziaria dello Stato, ma non possono costituire oggetto di un ordine di esibizione o di sequestro”. È la paura che - come è accaduto in America - i tribunali possano ottenere la documentazione delle manovre che hanno portato a insabbiamenti. Impedito anche l’accesso agli archivi vescovili.
Altrove nel mondo gli episcopati si preoccupano di approntare anche un equo risarcimento per le vittime. Le Linee-guida si preoccupano di proclamare che “nessuna responsabilità, diretta o indiretta, per gli eventuali abusi sussiste in capo alla Santa Sede o alla Conferenza episcopale italiana”. Il culmine del documento si raggiunge nell’affermazione lapidaria che nell’ordinamento italiano il vescovo non riveste la qualifica di pubblico ufficiale e perciò “non ha l’obbligo giuridico di denunciare all’autorità giudiziaria statuale le notizie che abbia ricevuto in merito ai fatti illeciti”.
È vero, in Italia l’obbligo non c’è. (Lo potrebbe introdurre il Parlamento!) Ma come dimenticare le migliaia di vittime soffocate dal silenzio. Sarebbe stato un gesto di responsabilità se la Cei, liberamente, avesse impegnato tutti i vescovi a denunciare i criminali. Non accadrà. Nonostante episodi vergognosi di inrzia verificatisi in passato. Si chiama - lo si legge nelle Linee - “rispetto della libertà della vittima di intraprendere le iniziative giudiziarie che riterrà più opportune”. Dice mons. Crociata, segretario della Cei, che non va dimenticato che gli abusi del clero sono un “delitto”. Aggiunge che la pedofilia è un fenomeno che “purtroppo ha un’estensione enorme e richiede uno sforzo collettivo per combatterlo” e che la cooperazione tra autorità ecclesiastiche e civili è prassi.
MA QUANDO gli si chiede perché i vescovi non sentono il dovere della denuncia, risponde: “Non possiamo chiedere al vescovo di diventare un pubblico ufficiale”. Una spiegazione razionale, giuridica o evangelica non c’è. C’è solo la grande paura dell’episcopato italiano di affrontare un bagno di verità. Dopo due anni (due anni!) la Cei ha fornito qualche cifra: 135 casi di abusi di chierici avvenuti tra il 2000 e il 2011 e portati alla Congregazione per la Dottrina della fede. “53 condanne, 4 assolti e gli altri casi in istruttoria”, spiega Crociata. E ancora: delle settantasette denunce alla magistratura: 2 condanne in primo grado, 17 in secondo, 21 patteggiamenti, 5 assolti e 12 casi archiviati.
Il rapporto tra la maggioranza dei colpevoli e la piccola percentuale di innocenti è palese. La grande paura di scavare nella realtà nasce da qui.
Al convegno sulla pedofilia il cardinale non risponde
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 7 febbraio 2012)
Comincia con un’assenza il grande convegno vaticano sugli abusi sessuali. Il cardinale William Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, l’organo supremo che gestisce in Vaticano i dossier dei preti criminali, non si presenta alla stampa. Nei momenti cruciali Levada non risponde mai ai media. Non c’era nel marzo 2010, quando Benedetto XVI affrontò con rigore il tema nella sua Lettera agli Irlandesi denunciando che la Chiesa non aveva dato ascolto al grido delle vittime. Il porporato lasciò solo il portavoce vaticano Lombardi a fronteggiare i giornalisti ansiosi di avere risposte sul perché di tanti casi insabbiati nel corso di decenni. Levada non è venuto neanche ieri.
Eppure toccava al cardinale la relazione di apertura al convegno e il programma ufficiale parlava chiaro: “Al termine della propria presentazione gli oratori saranno a disposizione per le domande in sala stampa per un massimo di 30 minuti”. Invece, minuti zero. Forse Levada temeva che qualche reporter americano ponesse domande scomode. Afferma la maggiore organizzazione di vittime degli Stati Uniti, l’associazione SNAP, che da arcivescovo a San Francisco e a Portland (nell’Oregon) Levada avrebbe “insabbiato denunce su violenze su minori e molestie sessuali”. Resta il fatto che da cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, Joseph Ratzinger non si sottraeva alle domande spinose della stampa.
L’episodio rivela l’ambivalenza dell’evento inaugurato lunedì all’università Gregoriana. Il simposio internazionale rappresenta indubbiamente un momento importante, una svolta rispetto al passato. Il tentativo -come afferma padre Lombardi - di affrontare la questione in modo globale, con una “presa di coscienza collettiva” per non dare risposte soltanto sull’onda delle emergenze bensì mobilitare la Chiesa per una “risposta attiva”.
Dunque bisogna attrezzarsi per il futuro. Solo che non è ancora chiaro cosa succede con le migliaia di vittime del passato. Chi ha avuto, ha avuto...? Si lascia che singolarmente emergano dalla notte del loro dolore? O la Chiesa prenderà il coraggio a due mani e deciderà di “setacciare parrocchia per parrocchia, diocesi per diocesi per scoprire cosa è successo” come ha chiesto sul Fatto Quotidiano Bernie McDaid, una delle vittime americane che incontrò Benedetto XVI a Washington nel 2008?
Papa Ratzinger, nel messaggio augurale al convegno, ha auspicato che tutta la Chiesa si mobiliti per la guarigione, la salvaguardia e il “sostegno alle vittime”. Il pontefice ha anche sottolineato la necessità di un “profondo rinnovamento della Chiesa ad ogni livello”. Ma il nodo non è stato sciolto.
Il cardinale Levada nella sua relazione ha evitato l’argomento. Ha parlato di un drammatico aumento degli abusi del clero ai danni di minori negli ultimi anni, ha citato la cifra di 4000 dossier arrivati alla Congregazione per la Dottrina della fede, però si è limitato ad affermare che la quantità di casi ha “rivelato da una lato l’inadeguatezza di una risposta esclusivamente di diritto canonico a questa tragedia e, dall’altra, la necessità di una risposta più complessa”.
Nell’ombra è rimasta anche la questione della denuncia dei criminali alle procure. Dice il cardinale che la “collaborazione della Chiesa con le autorità civili” è la dimostrazione del riconoscimento che l’abuso sessuale di minori “non è solo un crimine in diritto canonico, ma è anche un crimine che viola le leggi penali”.
Però collaborare è un conto, andare dalla polizia è un altro. Sarebbe tollerabile - ripetono da anni le organizzazioni di vittime - che un preside non denunci automaticamente un professore che abusa? Ha rimarcato tempo fa sul Giornale il procuratore aggiunto della Repubblica a Milano Pietro Forno, capo del pool specializzato per gli abusi, che mai la gerarchia ecclesiastica ha ostacolato il suo lavoro, “ma in tanti anni non mi è mai, sottolineo mai, arrivata una sola denuncia da un vescovo o da un singolo prete”. E questo, ha soggiunto, “è un po’ strano”.
Abusi sui minori il Vaticano al rendiconto
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 4 febbraio 2012)
È la sfida del Vaticano dinanzi alle responsabilità della Chiesa per gli scandali di pedofilia. Confrontarsi con le vittime e riformare l’atteggiamento delle gerarchie ecclesiastiche rispetto a decenni (e secoli) di abusi. L’ambizioso progetto, che sarà lanciato in un simposio di quattro giorni all’università Gregoriana e che proseguirà con un programma di formazione continua sul web per la durata di tre anni, rivela la consapevolezza di papa Ratzinger della necessità di dare una scossa alla Chiesa universale perché nessuno si illuda che sia “passata” la tempesta provocata dalle violenze ai minori. “Verso la guarigione e il rinnovamento” è il titolo dato all’iniziativa , sostenuta dalla Segreteria di Stato, dalla Congregazione per la Dottrina della fede e da altri dicasteri vaticani, che lunedì riunirà per la prima volta a Roma - a discutere con psicologi ed altri esperti - vescovi e religiosi di tutto il mondo, delegati di oltre cento episcopati e una trentina di ordini religiosi.
A suo modo è un evento storico, che va al di là dell’emanazione di norme più severe da parte del Sant’Uffizio. L’obiettivo è quello di mobilitare tutta la Chiesa sul dramma (e le responsabilità) dell’abuso sessuale all’interno delle proprie file, gettando le basi di una strategia globale. Imperniata su tre punti: 1. attrezzare diocesi e parrocchie nella vigilanza, nella scoperta e nella denuncia del fenomeno; 2. coinvolgere concretamente nel contrasto alla pedofilia tutta la comunità ecclesiale; 3. portare in primo piano la sorte delle vittime, ascoltarle, prendersi cura di loro, accompagnarle in un percorso di guarigione dai traumi.
Motori dell’iniziativa sono due personalità particolari. Un maltese e un tedesco. L’uno “promotore di giustizia” (procuratore generale) del Sant’Uffizio, l’altro cardinale di Monaco di Baviera. Il maltese Charles Scicluna, uomo di fiducia di Benedetto XVI, è il prelato che l’allora cardinale Ratzinger, in qualità di prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, spedì negli Stati Uniti e nel Messico durante l’agonia di Giovanni Paolo II per indagare sui crimini di Marcel Macial, fondatore dei Legionari di Cristo. In una dozzina di giorni, prima ancora che si aprisse il conclave che elesse Benedetto XVI, Scicluna tornò in Vaticano con prove schiaccianti che inchiodarono Macial e portarono alla sua rimozione e poi alla sua damnatio memoriae. Sull’Avvenire il maltese ha criticato nel 2010 la “cultura del silenzio”, che aleggia nella Chiesa italiana a proposito degli abusi. Oggi insiste sulla necessità di “prevenire altri crimini”, sostenendo che non bisogna “partire dall’omertà” ma bisogna avere di mira la guarigione delle vittime. Che anzitutto vanno ascoltate.
Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco di Baviera, è il cardinale che nella sua diocesi ha dato carta bianca ad una donna, l’avvocato Marion Westpfahl, per un’inchiesta indipendente sugli abusi del clero. Il risultato, comunicato pubblicamente, è che dal dopoguerra ad oggi si sono verificati nella diocesi monacense circa trecento casi di abuso, ignorando sistematicamente le vittime e con una diffusa manipolazione e distruzione della relativa documentazione. Domanda: come mai nessun cardinale italiano ha promosso una simile inchiesta? Perché non è stata aperta un’inchiesta ecclesiastica in nessuna parte d’Italia con la sola eccezione della diocesi di Bolzano-Bressanone? Sul sito della diocesi di Monaco appare ben chiaro l’indirizzo di due avvocati a cui le vittime possono rivolgersi per segnalare abusi. E anche il programma di rimborso delle terapie psicologiche e di risarcimento danni per i minori violati.
Al convegno - cui seguirà a cura dell’università Gregoriana la creazione di una banca dati - interverrà una vittima celebre, l’irlandese Marie Collins. Nel 2009 denunciò “con orrore” il palleggio di responsabilità sul suo abuso tra le autorità di polizia e il suo vescovo. “Ero sorpresa diquanto fosse noto sul mio abusatore”, raccontò. Il vescovo ausiliare della sua diocesi avrebbe voluto denunciare il crimine, ma l’arcivescovo McQuaid non fece nulla. “Fui mobbizzata e minacciata”. Il simposio della Gregoriana dovrà sciogliere due nodi fondamentali. Dovrà o no il vescovo denunciare sempre i crimini alle autorità di polizia? O deve farlo solo nei paesi dove lo obbliga la legge? Papa Ratzinger finora non ha dato l’ordine di denunciare immediatamente. Tutte le associazioni a tutela delle vittime invece lo esigono.
Il secondo nodo riguarda l’apertura di indagini per scoprire i crimini insabbiati del passato. Molti episcopati, fra cui l’italiano, non vorrebbero imboccare la strada della trasparenza a 360 gradi.
DIO E’ SPIRITO, AMORE ("DEUS CHARITAS EST": 1 Gv. 4.8). SE UN PAPA TEOLOGO SCRIVE LA SUA PRIMA ENCICLICA, TITOLANDOLA "DEUS CARITAS EST" ("CHARITAS", SENZA "H"), E’ ORA CHE TORNI A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO.
LA TRADIZIONALE "SCOLA" COSTANTINIANA DI BENEDETTO XVI: IL MAGISTERO DELL’INGANNARE IL PROSSIMO COME SE STESSO. Un’analisi di Giancarlo Zizola, con note
(...) Von Balthasar, era molto netto (...). Diceva che «al cristiano è vietato il ricorso ai mezzi d’azione specificamente mondani per un preteso incremento del regno di Dio in terra». Criticava l’integralismo di gruppi di «mammalucchi cristiani che aspirano a conquistare il mondo» (...)
FAME NEL MONDO?! CIBO MATERIALE E CIBO SPIRITUALE: UNA SOLA GRANDE SPECULAZIONE TEOLOGICO-POLITICA ED ECONOMICA! La Conferenza della Fao e l’intervento di Benedetto XVI. Una nota sull’evento - con appunti sul tema
"Così il cardinale Ratzinger prese di mira i progressisti e lasciò impuniti i pedofili" *
di Federico Rampini (la Repubblica, 3 luglio 2010)
Joseph Ratzinger, quando da cardinale dirigeva la Congregazione per la dottrina della fede, fu «parte di una cultura di non-responsabilità, negazionismo, e ostruzionismo della giustizia» di fronte agli abusi sessuali commessi da sacerdoti. Lo afferma il New York Times sulla base di documenti interni alla Chiesa, interviste a vescovi ed esperti di diritto canonico. Dal reportage emerge una versione molto diversa, sul ruolo di papa Benedetto XVI, rispetto alla descrizione ufficiale fornita dalla Chiesa.
Tra le rivelazioni spunta un vertice segreto avvenuto in Vaticano nel 2000 tra Ratzinger e i vescovi delle nazioni anglofone più colpite dagli scandali di pedofilia: Stati Uniti, Irlanda, Australia. Secondo il vescovo Geoffrey Robinson di Sidney, che partecipò all’incontro segreto, Ratzinger «impiegò molto più tempo a riconoscere il problema degli abusi sessuali, rispetto a quel che fecero alcuni vescovi locali». Nell’intervista al New York Times il prelato australiano si chiede: «Perché il Vaticano era così tanti anni indietro?».
Il New York Times smonta la linea di difesa che la Santa Sede ha tenuto sull’attuale pontefice. Il Vaticano ha descritto come una svolta la decisione del 2001 di dare alla Congregazione diretta da Ratzinger l’autorità di semplificare le procedure e affrontare direttamente i casi di pedofilia.
Dopo quella decisione, annunciata con una lettera apostolica di Giovanni Paolo II, il cardinal Ratzinger sarebbe emerso come uno dei più coraggiosi nel riconoscere la minaccia degli abusi sessuali per la reputazione della Chiesa. Tutto questo viene confutato nella ricostruzione del giornale americano. In realtà la Congregazione aveva già gli stessi poteri dal 1922, secondo diversi esperti di diritto canonico interpellati. La lettera del 2001 non segnò affatto una svolta. Al contrario, la Chiesa si decise ad agire solo in grande ritardo, sotto la pressione di alcuni vescovi anglofoni in prima linea negli scandali.
«Per i due decenni in cui ebbe la guida della Congregazione», scrive il New York Times, «il futuro Papa non esercitò mai quell’autorità. Evitò di intervenire anche quando le accuse e i processi stavano minando la credibilità della Chiesa in America, Australia, Irlanda, e altri Paesi».
Ancora oggi, prosegue l’articolo, «molti decenni dopo che gli abusi sessuali da parte dei sacerdoti sono diventati un problema, Benedetto XVI non ha istituito un sistema di regole universali» per affrontarlo. Al contrario permane tuttora «una confusione dilagante tra i vescovi, sul modo di affrontare le accuse».
Eppure i segnali d’allarme per il Vaticano vengono da lontano. Nel 1984 il reverendo Gilbert Gauthé di Lafayette, Louisiana, ammise di avere molestato 37 minorenni. Nel 1989 uno scandalo enorme scoppiò in un orfanatrofio cattolico del Canada. Nella prima metà degli anni Novanta 40 fra preti e monaci australiani erano sotto processo per abusi sessuali. Nel 1994 cadde un governo in Irlanda per avere negato l’estradizione di un prete pedofilo. A quel tempo il cardinal Ratzinger aveva consolidato la sua autorità al vertice della Congregazione, dove era stato nominato nel 1981.
«È lui», sottolinea il New York Times, «che avrebbe potuto avviare azioni decisive negli anni Novanta, per impedire che gli scandali diventassero una metastasi, diffondendosi da un Paese all ’altro». Ma le sue priorità erano altre. Fin dal 1981 Ratzinger aveva identificato «la minaccia fondamentale per la fede della Chiesa»: la teologia della liberazione, il movimento dei preti progressisti che si stava affermando in America latina. «Mentre padre Gauthé (il pedofilo, ndr) veniva processato in Louisiana, il cardinal Ratzinger stava sanzionando pubblicamente i preti del Brasile e del Perù per aver sostenuto che la Chiesa doveva impegnarsi a favore dei poveri e degli oppressi. I suoi strali colpirono poi un teologo olandese favorevole a dare funzioni ecclesiali ai laici, e un americano che sosteneva il diritto al dissenso sull’aborto, il controllo delle nascite, il divorzio e l’omosessualità».
Per reprimere ogni velleità di autonomia delle Chiese nazionali, Ratzinger usò la sua autorità per affermare che le Conferenze episcopali «non hanno un fondamento teologico, non appartengono alla struttura della Chiesa». Un’offensiva fatale, scatenata proprio nella fase in cui alcune conferenze episcopali nei Paesi anglofoni avevano cominciato ad affrontare gli scandali in modo aperto, e chiedevano di poter sanzionare i preti pedofili senza aspettare le lungaggini dei processi canonici.
LO SCANDALO DEI RELIGIOSI SOTTO ACCUSA
Perquisita la cripta della Cattedrale
La Santa sede esprime "sdegno"
Perquisizione nella tomba
di un arcivescovo
Il Vaticano convoca
l’ambasciatore e protesta
Il Papa intanto nomina
il nuovo vescovo di Bruges
CITTA’ DEL VATICANO Le perquisizioni di ieri in Belgio, in seguito a nuove denunce sui preti pedofili, hanno riguardato, oltre all’arcivescovado, anche la cripta della cattedrale Saint Rombout a Mechelen. Lo riferiscono oggi diversi quotidiani belgi, secondo i quali i poliziotti sono scesi fino nella cripta alla ricerca di dossier sulla pedofilia che sarebbero stati nascosti nella tomba di un arcivescovo.
Gli agenti avrebbero utilizzato anche martelli pneumatici, ma non sarebbe stato trovato alcun nascondiglio segreto. La «violazione delle tombe» avvenuta in Belgio durante le perquisizioni a Bruxelles ha suscitato «sdegno» nella Segreteria di Stato vaticana, che, in una nota ufficiale, torna a condannare l’abuso di minori da parte di religiosi, esprimendo però «vivo stupore» per le modalità in cui sono avvenute le perquisizioni. A Roma, il comportamento della polizia è parsa insomma una profanazione. Il segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, mons. Dominique Mamberti, ha espresso «personalmente» all’ambasciatore del Belgio presso la Santa Sede, Charles Ghislain, convocato per la questione, il suo «sdegno» e lo «sgomento» per la violazione delle tombe di alcuni alti ecclesiastici durante le perquisizioni in Belgio.
Tornando all’inchiesta, secondo il quotidiano De Morgen, le perquisizioni sono state fatte nell’ambito dell’inchiesta denominata «Operazione Chiesa». «Se dai dossier sequestrati dovesse emergere che alcuni ordini religiosi hanno impedito sistematicamente, per decenni, che i pedofili potessero essere giudicati, allora per la legge formerebbero un’organizzazione criminale. È complice anche chi aiuta a garantire l’impunità», ha indicato la fonte del De Morgen.
La priorità del giudice Wim De Troy, che conduce l’inchiesta, scrive anche il quotidiano La Derniere Heure, è di stabilire se il comportamento della chiesa, «da più di venti anni», può costituire «complicità in senso penale». Il ministro della giustizia dimissionario Stefaan De Clarck (il Belgio non ha un nuovo governo dopo le elezioni del 13 giugno scorso), in un’intervista, si è detto sorpreso delle perquisizioni, ma ha precisato che la magistratura è indipendente e che spetta a quest’ultima decidere se sono necessarie perquisizioni.
Papa Benedetto XVI ha intanto nominato il nuovo vescovo di Bruges, sempre in Belgio: è mons.Jozef De Kesel, finora vescovo di Bulna e ausiliare di Malines-Bruxelles, la diocesi da ieri oggetto di perquisizioni da parte della polizia belga nell’ambito di un’inchiesta su casi di pedofilia. De Kesel è stato chiamato a sostituire l’ex vescovo di Bruges Roger Vangheluwe, reo confesso di abusi le cui dimissioni sono state già accolte dal Papa.
Proprio il Belgio è riesploso in questi giorni il caso dei preti pedofili: una raffica di perquisizioni è stata effettuata ieri dalla polizia dopo nuove denunce di abusi sessuali commessi nell’ambito della chiesa. Una trentina tra poliziotti e investigatori, su richiesta della procura di Bruxelles, per ore ha passato al setaccio l’arcivescovado di Mechelen, a circa 25 chilometri dalla capitale, sede dell’arcidiocesi di Malines-Bruxelles, il quartier generale della chiesa in Belgio, proprio mentre vi era in corso la riunione della Conferenza episcopale.
Gli agenti hanno poi perquisito la sede della commissione creata per esaminare i casi di abuso sessuale all’interno della Chiesa, così come l’abitazione del cardinale Godfried Danneels, ex primate del Belgio. «Si tratta di perquisizioni richieste in merito ad un dossier aperto di recente dalla procura di Bruxelles, dopo alcune denunce di presunti abusi sessuali su minori da parte del clero.
L’obiettivo è quello di ottenere una serie di elementi di prova», si è limitato a dire il portavoce del tribunale Jean-Marc Meilleur. Ma la procura sembrerebbe interessata anche ai casi meno recenti, visto che nelle perquisizioni, oltre a sequestrare il computer del cardinale Danneels, ha anche confiscato 475 dossier della commissione indipendente, guidata dal professor Peter Andraessens, che da mesi raccoglie testimonianze e confidenze su casi di pedofilia in Belgio.
«Siamo scioccati», ha affermato il professore nel corso di una conferenza stampa, dicendosi soprattutto preoccupato per la privacy delle persone citate nei dossier. Si tratta di vittime che, spesso, ha spiegato, hanno chiesto di non trasferire le loro confidenze alla giustizia. Lunedì prossimo, ha aggiunto il professore, «decideremo se vale la pena di proseguire il lavoro svolto finora».
Monsignor Andrè-Joseph Leonard, arcivescovo di Mechelen-Bruxelles ed attuale primate del Belgio, «è stato sempre chiaro dicendo che si doveva praticare una politica di ’tolleranza zerò per gli abusi sessuali», ha ricordato la Conferenza episcopale che, in una breve nota sul suo sito internet, ha anche difeso l’operato della commissione indipendente guidata dal professor Andraessens.
Alla base dell’operazione richiesta dalla procura, potrebbero esserci le denunce fatte da un sacerdote ora in pensione, Rik Devillè. È stato l’anziano prete a riferire di aver trasmesso diversi dossier alla procura una quindicina di giorni fa, pur non dicendosi certo che poi abbiano dato esito a indagini. Secondo lui, centinaia di abusi sessuali da parte dei preti pedofili sono stati commessi durante gli anni ’90, ma solo una parte hanno ricevuto l’attenzione che meritava da parte della Chiesa belga, quando era guidata dal cardinale Danneels. Il portavoce del prelato ha riferito che monsignor Danneels non si è opposto né alla perquisizione né al sequestro del suo pc «ritenendo che la giustizia debba fare il suo corso». Dopo quella olandese, tedesca e irlandese, anche la chiesa belga nei mesi scorsi era finita nel ciclone degli scandali dei preti pedofili, in seguito alle dimissioni del vescovo di Bruges, reo confesso di aver abusato di un minore per diversi anni.
* La Stampa, 25/6/2010 (15:3)
La nostra giustizia e quella di Dio
di Adriano Prosperi (la Repubblica, 30.05.2010)
Monsignor Charles J. Scicluna ha il titolo di «promotore di giustizia» presso la Congregazione per la dottrina della fede. In termini di giustizia laica è il pubblico ministero. In quanto tale ha il compito di trattare i «delicta graviora», cioè quelli dei sacerdoti colpevoli di pedofilia e di uso della confessione per indurre penitenti a rapporti sessuali. In questa veste ha raccontato di aver esaminato circa 9.000 casi di religiosi accusati di quei crimini (in una intervista al quotidiano «Avvenire» del 13 marzo scorso). Lo ha fatto nel corso di procedure segrete, sulla base delle norme canoniche.
Il dilagare della questione dei pedofili sulla stampa mondiale e nei tribunali laici ha spinto il «promotore di giustizia» ad assumere una nuova veste, quella di pubblico e spietato accusatore dei preti pedofili. La voce che è risuonata in San Pietro è stata l’arringa del pubblico ministero che chiede la condanna più dura. Quella chiesta ieri da Scicluna è una condanna a morte eterna: secondo lui sui colpevoli grava la minaccia dell’Inferno, dell’eterna dannazione. Ma non può sfuggire il fatto che questa retorica giudiziaria di accusatore dei delinquenti svolge la funzione di coprire le responsabilità dell’istituzione. Scicluna è il difensore d’ufficio dell’autorità ecclesiastica in generale e di quella della Congregazione in particolare. Tanto più forte l’accusa di quelli quanto più netta la difesa di questa. Non è la prima volta che vediamo ricorrere a un doppio registro di questo genere: già ai tempi del rito della «purificazione della memoria» di papa Wojtyla, le colpe del passato di cui chiedere perdono erano state quelle di singoli cristiani restando santa la Chiesa con i suoi pontefici. Quanto alla minaccia dell’Inferno proferita ieri da monsignor Scicluna, si può immaginare il tormento di un uomo di Chiesa mentre pronuncia una sentenza del genere.
Tuttavia resta il fatto che quella pur tremenda sentenza rimanda ad altro e remoto giudizio, diverso da quelli terreni, un giudizio del quale ognuno è libero di pensare quel che vuole. Da molto tempo l’immagine dell’Inferno come luogo di perenne sofferenza oltre la morte è entrata in crisi anche tra i cristiani, come ha dimostrato la ricerca dello storico inglese D. P. Walker. Declino irreversibile. Da secoli si è andata diffondendo sempre più la convinzione che il vero inferno è qui tra gli uomini, sulla terra. E contemporaneamente si è affermata la distinzione fondamentale della giustizia moderna: quella tra reato e peccato: una distinzione che è all’origine delle legislazioni e delle culture moderne. Il peccato riguarda la coscienza del credente e può essere trattato nel segreto della confessione. Il reato riguarda la giustizia. Per i crimini c’è il codice penale, c’è l’obbligo della denunzia da parte di chi ne è a conoscenza.
Nei riti segreti della Congregazione vaticana questa distinzione fondamentale per ora non si è affermata. Nell’intervista già citata il monsignore ammetteva che nei paesi di cultura anglosassone e in Francia i vescovi a conoscenza di quel tipo di reati sono obbligati a denunziarli all’autorità giudiziaria. In Italia no, perché qui la legge dello stato non lo impone: e in questi casi le autorità della Congregazione vaticana non obbligano i vescovi a denunciare i propri sacerdoti. Ecco il problema che gli anatemi di questi giorni non riescono a nascondere. Un problema per noi cittadini, per lo stato italiano colpevole di tollerare nel suo sistema giudiziario infrazioni come questa al principio dell’uguaglianza davanti alla legge. A noi cittadini corre l’obbligo di ricordare che lo Stato ha le sue leggi e che i suoi inferni sono le prigioni. È allo Stato che spetta obbligare per legge i vescovi e qualunque autorità ecclesiastica a denunziare delitti come questi.
Quanto alla Chiesa, anch’essa ha la sua colpa, diversa da quelle dei singoli religiosi ma non meno grave: quella della connivenza, del segreto con cui ha coperto finché ha potuto i casi dei preti pedofili. E non possiamo nascondere lo sconcerto davanti alle parole di monsignor Scicluna quando chiede la nostra comprensione per le sofferenze della Chiesa e dei vescovi nel denunziare i religiosi colpevoli: «Questi vescovi - ha detto nell’intervista a Avvenire - sono costretti a compiere un gesto paragonabile a quello compiuto da un genitore che denuncia un proprio figlio». E’ una scelta di linguaggio veramente singolare in una storia in cui ci sono veri inferni, veri e terribili dolori: e soprattutto figli veri.
PEDOFILIA
Preghiera di riparazione in Vaticano
"Per i colpevoli l’inferno sarà più duro"
Durissime le parole pronunciate da monsignor Scicluna, promotore di giustizia della Congregazione della Fede: "Sarebbe davvero meglio" che i loro crimini fossero "causa di morte" *
ROMA - "Sarebbe davvero meglio" per i sacerdoti colpevoli di abusi sessuali su minori che i loro crimini fossero "causa di morte" perché per loro "la dannazione sarà più terribile". Lo ha detto il promotore di giustizia della Congregazione della Fede, monsignor Charles Scicluna, incaricato di seguire tutti i casi di preti responsabili di abusi, in una preghiera "di riparazione e di intercessione" a San Pietro per lo scandalo di pedofilia nella Chiesa.
I lettori hanno invitato i presenti a pregare "per le vittime di abusi perpetrati da uomini e donne della Chiesa, perché possano giungere alla guarigione delle loro ferite e a sperimentare la vera pace" e "per i chierici e i religiosi che hanno commesso abusi, perché alla luce della verità possano affrontare con onestà le conseguenze delle loro colpe e accogliere le esigenza della giustizia".
Mons. Scicluna ha introdotto la preghiera con una meditazione del vangelo di Marco ricordando anche il passaggio in cui si afferma: "Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare". "Diversi ’Santi Padri’ - ha detto il prelato commentando il brano - interpretano la mano, il piede, l’occhio come l’amico caro al nostro cuore, con cui condividiamo la nostra vita, a cui siamo legati con legami di affetto, concordia, fraternità". Tuttavia, ha aggiunto, "c’è un limite a questo legame. L’amicizia cristiana si sottomette alla legge di Dio" e dunque, ha spiegato Scicluna, "se il mio amico, il mio compagno, la persona a me cara è per me occasione di peccato, è per me un inciampo nel mio peregrinare io non ho altra scelta secondo il criterio del Signore se non di tagliare questo legame".
Una scelta che rappresenta "uno strazio", ha continuato il promotore di giustizia, "eppure il Signore è chiaro: è meglio per te entrare da solo nel Regno, senza una mano, senza un piede, senza un occhio, che con il mio amico andare nella Gaenna (nell’inferno ndr.), nel fuoco inestinguibile". "Questa immagine così forte delle membra, del corpo - ha osservato monsignor Scicluna - ci mette senza troppa confusione di fronte allo specchio della nostra coscienza".
* la Repubblica, 29 maggio 2010
Dolenti riflessioni di un cattolico
di Rodolfo Venditti*
Sono un cattolico, impegnato nella Chiesa cattolica fin dai tempi della giovinezza (i tempi di Carlo Carretto e della GIAC-Gioventù italiana di Azione cattolica), e sono profondamente amareggiato dal modo con cui la mia Chiesa gestisce il tremendo e dilagante scandalo della pedofilia. Si scopre oggi che nell’arco dell’ultimo mezzo secolo si è verificata una grande quantità di casi di pedofilia praticata da membri del clero (o da appartenenti ad istituzioni religiose cattoliche) a danno di bambini e di adolescenti.
Il fenomeno è apparso ben presto di proporzioni enormi, rivelando una diffusione inimmaginabile: è esploso dapprima negli USA, poi ha coinvolto il Canada; in seguito ha investito l’Europa (Irlanda, poi Germania, poi Italia); e, a questo punto, non è improbabile che la frana si allarghi ad altri Paesi europei ed extraeuropei (già arrivano notizie allarmanti dalla Norvegia, dal Messico, dal Sudafrica).
Non mi interessano le conseguenze economiche che la Chiesa cattolica giustamente subisce e che - pur comportando un imponente dissanguamento patrimoniale che distoglie consistenti risorse economiche dalle finalità istituzionali della Chiesa - riguardano la ovvia necessità di risarcire i gravissimi danni prodotti alle vittime. Mi interessano, invece, la obiettiva gravità dei fatti e la linea difensiva adottata dalla mia Chiesa: una linea volta anzitutto a minimizzare, affermando che tal genere di fatti è ampiamente diffuso nella società di oggi. Come se dal cristiano (ed in particolare dal prete) non ci si dovesse attendere una particolare limpidezza di comportamenti ed un senso di responsabilità superiore alla media della popolazione.
Mi addolora, in particolare, la disinvoltura con cui oggi si parla - nelle alte sfere della gerarchia cattolica - di “tolleranza zero” quando fino a ieri si è adottata, nei confronti di quell’orrendo fenomeno delinquenziale, un’ampia e sistematica tolleranza, consistente nel limitarsi a trasferire (talvolta imponendo, tutt’al più, un mero trattamento psicologico) il prete colpevole in un’altra parrocchia o in un altro istituto religioso: favorendo in tal modo - con incredibile insipienza - una “metàstasi” che diffondeva largamente il “cancro”.
Sta emergendo, inoltre, un particolare impressionante: la mia Chiesa ha sempre evitato di informare di quei delitti le Autorità giudiziarie dei Paesi in cui i fatti venivano commessi; ed anzi, esisteva persino una severa normativa canonica (emessa anni fa nientemeno che dall’ex “Sant’Uffizio”, oggi denominato “Congregazione per la dottrina della fede”) che imponeva il più assoluto silenzio sui delitti in questione e che comminava addirittura la scomunica per chi avesse lasciato trapelare il terribile segreto all’esterno della struttura ecclesiastica. Quindi anche la denuncia all’Autorità giudiziaria competente era rigorosamente vietata.
Tutto ciò è gravissimo. In qualunque tipo di società civile causerebbe, secondo i comuni criteri di correttezza, dimissioni a valanga. Eppure ad altissimi livelli ecclesiastici si parla sprezzantemente di “chiacchiericcio”. E’ ben vero che la stampa ci sguazza; ma ci sguazza non solo per gusto scandalistico, bensì perché si tratta di cose che interessano fortemente genitori ed educatori (specialmente quelli che confidavano nella sicura correttezza educativa delle istituzioni cattoliche); e, inoltre, perché la linea seguita dalla mia Chiesa in questa vicenda è - a mio modesto avviso - una linea inaccettabile, debolissima e, oltre tutto, controproducente perché suscita la netta impressione che si voglia sopire, impedire critiche, imporre il silenzio.
Io ho fatto il giudice per tutta la vita (ora sono in pensione) e tale atteggiamento della mia Chiesa mi ferisce profondamente perché è in aperto contrasto con le esigenze della giustizia, che sono esigenze di verità. Inoltre, come cristiano, rilevo che nella tristissima vicenda io non ho mai - dico MAI - sentito citare dalla mia Chiesa una frase fortissima che Cristo ha detto proprio in relazione a casi di questo genere. La frase è nel Vangelo di Matteo, cap.18, versetti 6 e 7: “Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina da mulino e fosse gettato negli abissi del mare”.
E’ un’immagine durissima, che è - senza dubbio - simbolica (Cristo non intendeva, certo, approvare la pena di morte); ma essa esprime con plastica efficacia, e con infinito amore per i più piccoli e i più indifesi, la enorme gravità di simili delitti; una gravità che la normativa emanata a suo tempo dalla “Congregazione per la dottrina della fede” e l’attuale comportamento della mia Chiesa non sembrano, purtroppo, cogliere pienamente.
Occorrerà che la Chiesa cattolica, a tutti i livelli, faccia un profondo esame di coscienza ed abbia il coraggio e l’umiltà di accettare con prontezza e fino in fondo il messaggio di Cristo.
* Il prof. Rodolfo Venditti, già magistrato di Cassazione e libero docente di diritto penale militare nella Università di Torino, autore dei più pregevoli studi scientifici sull’obiezione di coscienza (Dott. A. Giuffrè editore), di scritti e conferenze di educazione alla pace e alla nonviolenza, fine musicofilo e divulgatore della cultura spirituale nella musica.
*Fonte: Chicco di Senape, 15 aprile 2010
Si prepara una grande manifestazione per chiedere una riforma
Le vittime Usa degli abusi
"Tutti a S. Pietro il 31 ottobre"
La data è simbolica: in quel giorno del 1517 Lutero affisse le sue 95 Tesi
di Arturo Zampaglione (la Repubblica, 8.4.2010)
NEW YORK - Due anni fa, in occasione del primo viaggio ufficiale di Benedetto XVI negli Stati Uniti, le vittime dei preti pedofili decisero di mobilitarsi: scesero in piazza, organizzarono manifestazioni di protesta e riuscirono, alla fine, a ottenere un incontro riservato con il Papa. Adesso, con il riesplodere dello scandalo a livello internazionale, gli stessi protagonisti della mobilitazione hanno deciso di rilanciare la lotta promuovendo una "giornata di riforma" della Chiesa cattolica che si terrà a fine ottobre a piazza San Pietro.
«Le vittime di quei reati non potranno superare i loro traumi fino a quando la chiesa non sarà chiamata a rispondere», hanno spiegato al National Catholic Reporter Bernie McDeid e Olan Horne, due delle cinque vittime degli abusi dei sacerdoti della diocesi di Boston presenti al colloquio con il Pontefice il 17 aprile 2008. L’obiettivo è raccogliere almeno 50mila persone nel cuore del Vaticano: non solo vittime, ma anche attivisti per la riforma e normali fedeli. Chiederanno un intervento del Papa. Lanceranno quattro proposte per rendere più trasparente la Chiesa, a cominciare da indagini periodiche, indipendenti e obbligatorie sulle istituzioni ecclesiastiche. Anche la data prescelta - il 31 ottobre - ha un aspetto simbolico: in quel giorno del 1517 Martin Lutero pubblicò le 95 Tesi dando il via alla riforma protestante.
«La nostra mobilitazione andrà avanti a prescindere dalla partecipazione del Santo Padre», chiariscono McDeid e Horne. Come dire: non si aspettano che il Vaticano accolga l’invito, ma non hanno dubbi sulla importanza della loro azione per i destini stessi della Chiesa. McDeid, che definì "storico" il suo incontro con il Papa, ha molti ripensamenti: adesso non crede più che Benedetto XVI abbia capito fino in fondo la drammaticità della questione e ritiene che solo un’azione esterna possa rimettere in carreggiata la vita dei cattolici.
L’annuncio della marcia su San Pietro conferma l’estremo malessere di ampi settori della Chiesa americana. Il tema è in primo piano su tv e giornali: dopo gli attacchi del New York Times e le difese del Papa da parte del Wall Street Journal, il quotidiano conservatore di Murdoch, è stato il Washington Post a ricordare ieri, attraverso il suo esperto di media Howard Kurtz, che il Times ha fatto il suo lavoro giornalistico sui preti pedofili con professionalità.
ECONOMIA, VIOLENZA SUI MINORI, TRIBUNALI, E TEOLOGIA. IL MESSAGGIO EU-ANGELICO ED EU-CHARISTICO DI GESU’ CRISTO ("DEUS CHARITAS EST": 1 Gv., 4.8) E LA LINGUA BIFORCUTA E IL "LATINORUM" DEL VATICANO....
LA CHIESA, UNA MULTINAZIONALE. PER BENEDETTO XVI "DIO E’ RICCHEZZA" ("Deus caritas est"), MA IL SUO PORTAVOCE LOMBARDI LO CONTRADDICE, PER EVITARE COINVOLGIMENTO NELLE CAUSE IN CORSO.
Lombardi: "La chiesa non è una multinazionale"
Il ricorso della Chiesa alla Corte Suprema americana per fermare le cause
di GIACOMO GALEAZZI (La Stampa, 7/4/2010)
CITTA’ DEL VATICANO E’ il fascicolo più delicato in Segreteria di Stato ed è questione di giorni. Nei tribunali in Kentucky e Oregon si vuole permettere alle vittime di abusi sessuali del clero di chiamare in causa direttamente il Vaticano, ma la Santa Sede ha fatto ricorso alla Corte Suprema per fermare i procedimenti. In attesa della sentenza, nei Sacri Palazzi cresce il timore di un esito sfavorevole. Il rischio è che i sacerdoti siano assimilati ad «impiegati» del Vaticano e che quindi il «datore di lavoro» venga chiamato in causa per chiarire se abbia coperto o meno le violenze sui minori, accedendo ai documenti e sentendo come testimoni i prelati. Ora l’«exit strategy», comunicativa e legale, punta a «differenziare» le responsabilità «in loco» delle diocesi da quelle della Santa Sede.
«La Chiesa non è una multinazionale», evidenzia il portavoce papale, padre Federico Lombardi. «Il governo di Roma è un servizio all’unità della Chiesa, che offre indicazioni». Quindi, nella bufera-pedofilia, «non si possono imputare a Roma responsabilità concrete delle autorità locali». Inoltre, puntualizza padre Lombardi, «c’era una cultura generale, così come una naturale vergogna, a non rendere pubbliche queste cose e trattarle in modo privato». Dunque, «le differenti conferenze episcopali hanno avviato misure per cambiare la situazione». La maggioranza dei casi emersi «sono avvenuti trent’anni fa, mentre oggi la situazione è sensibilmente migliorata, in parte perché i criteri di selezione e formazione dei candidati al sacerdozio sono migliorati». Il Papa «sta portando trasparenza» ed è «il paladino di come affrontare queste questioni, fin da quando era alla guida della Congregazione per la dottrina della fede, periodo nel quale, nel 2001, avviò una nuova legislazione».
Quanto alla cospirazione contro il Papa, padre Lombardi si chiede: «Chi sta dando ai media i documenti? Gli avvocati delle vittime. Cospirazione? Chiamatela come volete, ma ci sono degli avvocati che stanno passando ai mass media documenti sui loro casi per guadagnare più soldi. E mass media che diffondono i casi più polemici senza approfondire». Dal Nord America all’Australia, Benedetto XVI lavora per squarciare il velo di ipocrisia che molti avevano supposto che la Chiesa intendesse ancora innalzare a difesa delle violenze del clero.
La «tolleranza zero» di Ratzinger non si riduce ad un anatema religioso e chiama in causa oltre alla giustizia divina quella terrena. Dunque, i vescovi dovranno denunciare le nefandezze del «clero infedele» ai magistrati. I preti pedofili andranno sempre portati davanti ai giudici. Nulla legittimerà l’omertà davanti alla «vergogna» e le diocesi avranno l’obbligo di farsi carico delle «sofferenza delle vittime». Nessuna copertura, nessuno sconto, nessuna protezione per i colpevoli dei misfatti. L’ex Sant’Uffizio alle linee-guida che obbligheranno tutti gli episcopati nazionali ad applicare la linea di «tolleranza zero» introdotta proprio da Ratzinger dopo decenni di sottovalutazione del fenomeno e di sistematici insabbiamenti (come per il fondatore dei Legionari, Maciel). L’arcivescovo gesuita Ladaria sta ultimando il pacchetto di provvedimenti anti-abusi che prevede maggiore selezione nell’accesso ai seminari con test e valutazioni psicologiche, rimozione immediata dall’incarico dei preti sospettati, procedure accelerate per la riduzione allo stato laicale dei colpevoli, cancellazione della prescrizione per i reati contro i minori, denuncia automatica alla magistratura.
Dunque, il «repulisti» nella Chiesa non si ferma, anzi «adesso è più che mai necessario arrivare fino in fondo e togliere le mele marce», assicurano nei Sacri Palazzi. «A lavoro finito il caos delle polemiche lascerà spazio alla verità che distingue il bene dal male, il colpevole dall’innocente». Sono in ballo la compassione per le vittime, il dolore per il danno arrecato alla «testimonianza della Chiesa», la fiducia tradita dei fedeli. Il Papa teme «la notte in cui tutte le vacche sono nere». La preoccupazione è che l’opera di pulizia nella Chiesa sia sovrastata dall’onda anomala del fango, dalla «caccia alle streghe» in cui le colpe autentiche dei singoli finiscono confuse in un indistinto e generalizzato atto d’accusa alla Chiesa.
Chi imponeva l’omertà
di GIANCARLO ZIZOLA *
Se mai il comportamento di un vescovo è stato irreprensibile di fronte ai doveri della coscienza verso la verità e verso la Chiesa sugli abusi sessuali del clero, questo è il caso dell’arcivescovo di Milwaukee monsignor Weakland, una delle figure più luminose del cattolicesimo degli Stati Uniti d’America.
Egli non avrebbe meritato uno solo dei rimproveri mossi di recente da Benedetto XVI ai vescovi irlandesi. Fin dagli anni Novanta aveva tentato di tutto per fare breccia nelle maglie procedurali del Vaticano in modo da fare entrare nel sistema un approccio più chiaro, realistico e insieme evangelico del trattamento della piaga della pedofilia del clero. Ciò che ha portato alla luce il New York Times della storia di questo pastore, morto con parole di perdono per coloro che lo avevano ingiustamente coinvolto in accuse infamanti, testimonia con chiarezza ciò da cui alcuni circoli cattolici tentano di difendersi. Cioè, che la questione soggiacente alle perversioni dei singoli riguarda alcuni dei funzionamenti strutturali della Chiesa. Alcune buone prove e buone fedi al servizio della missione del vangelo non la rendono immune da deficit di sistema sui quali ha finito per infrangersi la rivolta di vescovi consci della loro vocazione. È troppo evidente che l’omissione di una seria riforma della Chiesa ha fatto marcire i problemi al coperto di palliativi illusori.
"È una conversione strutturale che si impone" ha dichiarato al giornale cattolico francese La Croix la psicologa Isabelle De Gaulmyn, augurandosi che la Chiesa possa servirsi degli scandali per interrogarsi su alcune sue distorsioni istituzionali. Nella stessa logica della verità che Benedetto XVI pone a fondamento della morale, la Chiesa dovrebbe esprimere la propria gratitudine ai media che l’hanno aiutata a far cadere le maschere, invece di attaccarli come aggressori dell’autorità. Ma se è plausibile far risalire a un fallimento di sistema il circuito letale instauratosi fra il crimine di una minoranza del clero e la generale omertà del sistema ecclesiastico, ben prima del fantasma del liberalismo sessuale sessantottino, diverrebbe ben provata la ragione per cui neanche gli sforzi dei più lucidi fra i pastori siano riusciti a rompere questo blocco in cui la considerazione dell’autodifesa istituzionale, la cultura del segreto e della negazione, un concetto idolatrico dell’autorità hanno finito per sottomettere i valori della giustizia, della trasparenza e dei diritti umani degli innocenti.
Quanti guardano alla Chiesa con ammirazione pari alla sincerità, sanno che essa conserva, malgrado le deviazioni di alcuni uomini e dei suoi apparati, le risorse sufficienti per scrutare con lucidità le cause istituzionali della crisi. La "Lettera ai cattolici d’Irlanda" potrebbe essere un primo passo. È possibile presumere che lo stesso papa Ratzinger, al tempo in cui era capo della Congregazione per la Dottrina, avesse fatto l’esperienza del dramma tra la forza della verità e le pressioni istituzionali per il suo insabbiamento. Di fronte alla vastità del fenomeno egli ha finito per prorompere nel grido del Venerdì Santo del 2005 sulla "sporcizia nella Chiesa", che era già la promessa di un programma di moralizzazione presto legato alla sua candidatura alla successione era una denuncia forse a lungo repressa, il segnale di quanto fosse faticoso anche per lui liberare delle linee guida efficaci senza intaccare a fondo la logica del sistema. Non si può dire che non abbia mantenuto le promesse: la bonifica è in corso. D’altra parte, solo annettendo il giusto valore al peso lordo del sistema sarebbe possibile separare ciò che è di Benedetto XVI da ciò che era del cardinale Ratzinger alla testa dell’ex Sant’Uffizio.
L’operazione verità potrebbe essere fruttuosa solo a patto di aprire ogni sipario sui gangli del sistema che l’hanno lungamente inibita. Delle due l’una: o il cardinale Ratzinger aveva gestito il dossier sporco utilizzando da solo o coi suoi propri stretti collaboratori la delega papale, all’insaputa del suo superiore Giovanni Paolo II. Oppure, come è consuetudine specie per i casi più gravi, il prefetto della Congregazione per la Dottrina è andato a riferirne al Papa in una delle sue udienze settimanali di tabella. E ha ricevuto da lui carta bianca per agire nel senso in cui ha agito. Un’ipotesi forse più verosimile ma le cui conseguenze difficilmente lascerebbero indenne la responsabilità di Wojtyla, alla vigilia della sua beatificazione. Anche se proprio quel Papa fu inesorabile coi vescovi americani e il loro clero pedofilo e le coperture del sistema.
© la Repubblica, 26 marzo 2010
Il mea culpa che Ratzinger non fa
di Enzo Mazzi (il manifesto, 21 marzo 2010)
Finora puntava rigidamente verso il buio, ora sembra orientarsi al contrario verso la luce. Questa svolta radicale, di centottanta gradi, della barca di Pietro annunciata dall’attesissima lettera pastorale ai fedeli d’Irlanda pubblicata ieri, non può che essere salutata con soddisfazione. Ma la genericità dei discorsi non basta.
Non sono soddisfatte soprattutto le migliaia di vittime devastate nel profondo da fatti di violenza gravissimi. Chiedevano una assunzione di responsabilità personale da parte del sommo pontefice, un mea culpa chiaro e tondo, e si ritrovano con un vero e proprio scarico di responsabilità sui suoi sottoposti.
«Non si può negare che alcuni di voi e dei vostri predecessori - dice il papa ai vescovi irlandesi - avete mancato, a volte gravemente, nell’applicare le norme del diritto canonico codificate da lungo tempo circa i crimini di abusi di ragazzi». Chiedevano modificazioni strutturali del sistema chiesa come ad esempio almeno una apertura verso il superamento dell’obbligo del celibato ecclesiastico. Nemmeno un accenno.
Chiedevano meno indottrinamento catechistico dei bambini e più Vangelo. Non un parola. Chiedevano attuazione pratica reale del Concilio e si ritrovano con l’accusa del papa al «frainteso» approccio al Concilio Vaticano II. Chiedevano meno potere della casta sacerdotale, meno assolutismo monarchico della gerarchia e più democrazia o almeno più circolarità comunitaria nella pastorale, nei riti, nella nomina dei vescovi e dei parroci, unica soluzione alla mancanza di trasparenza. E si trovano solo una frase un po’ sibillina del papa in cui tra le cause enumera anche «una tendenza nella società a favorire il clero e altre figure in autorità».
Hanno ragione le vittime ad essere insoddisfatte. Ed è al pari comprensibile l’insoddisfazione di tanti e tante cattolici a cui non basta questa virata della rotta quando è la barca stessa che sta facendo acqua da tutte le parti e che va a fuoco. Non basta l’annuncio di una «Visita Apostolica in alcune diocesi dell’Irlanda, come pure in seminari e congregazioni religiose».
E qui mi sento di esprimere un bisogno che sta emergendo dalla base della chiesa seppure ancora troppo timidamente: riprendere con fede e amore la scelta di considerare l’obbedienza non più una virtù, vincere la paura di drizzarsi in piedi di fronte al potere con tutta la forza della coscienza alimentata dalla rete di relazioni comunitarie e dal Vangelo. Uscire dal silenzio, dai mugugni sussurrati, dalle frammentazioni delle conventicole, dal condizionamento di diadi muffite: dentro/fuori, credenti/non credenti, sacro/profano, obbedienza/disobbedienza e collegare con umiltà ma anche con determinazione le tante e tante esperienze ecclesiali che maturano nell’ombra, chi più dentro e chi più fuori e chi alla frontiera. Senza esclusioni né emarginazioni. Tutto questo sarebbe l’attualizzazione della più genuina tradizione cristiana.
Il cristianesimo è nato così, dal coordinamento di piccole comunità ed esperienze eretiche, è geneticamente ribelle verso tutte le forme di alienazione e in particolare nei confronti del dominio del sacro. Dall’età di Costantino c’è stata una modificazione genetica nell’assetto istituzionale ecclesiastico. Ma una linea di fedeltà al carattere ribelle del primo cristianesimo è stata mantenuta, pur con fatica e contraddizioni, nella storia di questi due millenni fino ad oggi da movimenti, correnti di pensiero critico e comunità di base. La liberazione dal dominio del sacro non si è mai interrotta. Ed oggi occorre forse ridarle forza e visibilità.
di Enzo Mazzi (il manifesto, 20 marzo 2010)
La pedofilia del clero è un fenomeno antico, come del resto la pedofilia intra-familiare. Se oggi emerge e fa scandalo non è necessariamente perché tale fenomeno si sia aggravato ma perché le vittime e i loro genitori hanno il coraggio di denunciare gli abusi. Si conferma ancora una volta il paradigma storico che da sempre anima i movimenti dal basso, le comunità di base e questo stesso giornale: la salvezza del mondo viene dalla forza delle vittime.
È grazie a loro, alle vittime coraggiose, che finalmente si è rivelata la fallibilità, reale umana, dell’«infallibile» supremo pontefice, il quale ha dovuto scusarsi, in qualche modo e mai abbastanza, firmando una lettera che riconosce la necessità di cambiare strada. È grazie a loro che molti vescovi, maestri, padri e dottori, hanno dovuto chinare il capo, perfino dimettersi e imparare a tornare uomini fragili scendendo dal piedistallo della sacralità. È grazie a loro che la Chiesa cattolica tutta, la quale si autodefinisce «indefettibile», ha mostrato il suo volto intimo più vero, di realtà defettibile, precaria, umana, ispirata dal messaggio e dalla testimonianza di un uomo che ha detto «se il seme non muore non porta frutto».
La pedofilia è un crimine e quella dei preti lo è a un livello di gravità e pericolosità particolarmente pesante. Il «sacro», cose sacre, persone sacre, luoghi e tempi sacri, proprio in quanto realtà separata tende ad annullare la sacralità dell’esistenza normale, esclude la sacralità del tutto e quindi è implicitamente e intrinsecamente fonte di violenza. Ma se il sacro si rende responsabile di esplicite forme di violenza, come nella pedofilia dei preti, allora la violenza esplicita e quella implicita si potenziano reciprocamente. Il colpevole di turno Gli episodi di pedofilia che stanno emergendo in tutto il mondo evidenziano contraddizioni e deficienze strutturali dell’istituzione Chiesa. È fuorviante scaricare tutto e solo sul colpevole di turno. Ognuno è responsabile delle proprie azioni e ne deve rispondere verso le vittime e verso la giustizia; ma la responsabilità individuale non assolve affatto le responsabilità dell’istituzione. Vari analisti del fenomeno della pedofilia nella Chiesa e lo stesso Benedetto XVI arrivano a parlare di tolleranza zero, utilizzando acriticamente il linguaggio della destra estrema, ma si guardano bene dal cercarne le radici nella struttura istituzionale ecclesiastica. Sarebbe invece proprio lì, nella struttura del sacro che andrebbe applicata la tolleranza zero.
È nota ormai la relazione che c’è fra il sesso e il potere. Già per i greci ed i romani il fallo era simbolo di potere. Nell’antica Roma non di rado le dimensioni e la forma del pene agevolavano la carriera politica e militare. Tutto ciò che si erige sembra essere un riferimento fallico. Gli obelischi, i campanili, le torri, il bastone del comando, lo scettro regale, il pastorale, la stessa mitria vescovile, che cosa sono se non simboli fallici? Non a caso nella Chiesa il potere è riservato rigidamente a chi possiede il sesso maschile e negato in assoluto alla donna. La pedofilia è interna a questo rapporto fra sesso e potere. Chi cerca il bambino o la bambina per soddisfare l’appetito sessuale lo fa per esprimere la propria sete di dominio verso una creatura fragile. È la sete di dominio la radice più profonda della pedofilia. Per cui combattere la pedofilia senza porre la scure alla radice non dico che è inutile ma certo è insufficiente. Ed è la sete di dominio che andrebbe sradicata dalla struttura del sacro. I fedeli, perenni bambini Fa ancora parte di una pastorale «normale», che avrebbe dovuto essere superata nel dopoconcilio ma non lo è affatto, il condizionamento di coscienze infantili attraverso l’imposizione di sensi di colpa che s’insinuano nel profondo e si trascinano inconsapevolmente per tutta la vita. Per non parlare degli indottrinamenti di un certo modo di fare catechesi e di insegnare religione nelle scuole, che è ancora purtroppo largamente maggioritario. Il Compendio del Catechismo pubblicato di recente dal Vaticano, a domande e risposte preconfezionate, da cui non emerge nemmeno un minimo di senso di ricerca, di autonomia, di coscienza critica, non è esso stesso un invito all’indottrinamento? Come una madre possessiva, sembra che Madre Chiesa voglia mantenere in una perenne condizione infantile i suoi figli, tanto li ama. Se non rischiasse di essere male interpretato, verrebbe voglia di chiamare tutto questo «pedofilia strutturale» della Chiesa, nel senso appunto di amore verso gli uomini e donne perennemente bambini. E la sacralizzazione del potere ecclesiastico, la teologia e la pastorale del disprezzo verso il corpo, il sesso e il piacere, la condanna di ogni forma di rapporto fra sessi che non sia consacrato dal matrimonio, non è tutto questo dominio violento?
C’è in questo momento la tendenza a puntare sulla concessione del matrimonio ai preti rendendo il celibato una scelta facoltativa e non definitiva. Ma è il sacerdozio in sé come casta sacrale detentrice di un potere derivante direttamente da Dio da porre in discussione. È tempo che si crei un grande movimento per restituire al cristianesimo il senso della liberazione dal sacro, in quanto realtà separata, liberazione non solo dalle oppressioni economiche e politiche, ma anche psicologiche, etiche-morali, simboliche. Forse non sparirà la pedofilia ma certo verrà colpita a fondo e non solo quella dei preti.
Il capo dei vescovi tedeschi ammette "La Chiesa ha nascosto gli abusi"
La stampa: Benedetto XVI sapeva e taceva. Indagati 14 sacerdoti
Mea culpa del cardinale Zollitsch
Centinaia i casi denunciati ma sarebbero migliaia
di Andrea Tarquini (la Repubblica, 22.03.2010)
BERLINO - «Sì, è vero, la Chiesa ha nascosto casi di abusi sessuali per anni. È un problema di tutta la società, ma ognuno di questi casi oscura il volto della Chiesa». La clamorosa ammissione viene, per la prima volta, dal presidente della Conferenza episcopale tedesca, monsignor Robert Zollitsch. Nella patria del pontefice, il cattolicesimo, la Chiesa e le sue istituzioni sono ormai sprofondate in una crisi ogni giorno più grave. Almeno 14 religiosi sono indagati dalla magistratura per sospetto di abusi o violenze su minori, e 250 sono i casi accertati tra gli anni Cinquanta e Ottanta, quindi in maggioranza prescritti.
E l’edizione cartacea di Der Spiegel rincara il tono delle accuse al Papa in persona già lanciate sabato, e riportate da Repubblica: quando era vescovo di Monaco e Frisinga, Joseph Ratzinger sapeva che padre Peter Hullermann, trasferito da Essen a Monaco, aveva precedenti pedofili. Esaminò i dossier, accettò il suo trasferimento, per dargli ospitalità e seguire una terapia. Ma appena due settimane dopo il suo arrivo in Baviera, il sacerdote - con ogni probabilità all’insaputa di Ratzinger - era di nuovo attivo: diceva la messa, era a contatto con minori.
Quattordici religiosi indagati, è quanto dicono le procure che hanno accettato di fornire dati su inchieste su sacerdoti. Altre tacciono. E soprattutto tacciono ancora, oppresse dalla vergogna, molte vittime. Per cui il numero degli abusi, ufficialmente di qualche centinaio, secondo fonti vicine allo stesso mondo cattolico potrebbe essere anche di venti volte superiore.
La confessione di monsignor Zollitsch - in un’intervista al settimanale conservatore Focus che esce oggi - è una svolta. «Da anni ormai seguiamo una pratica del tutto diversa, ma sebbene l’intera società abbia taciuto e rimosso per decenni e la maggior parte degli abusi sia avvenuta fuori dalla Chiesa, provo vergogna e spavento davanti a un numero così elevato di casi commessi nelle nostre istituzioni», dice il presidente della Conferenza episcopale. «Spesso le vittime non sono disposte a denunciare gli atti di violenza subìti, e questo per noi è un problema morale, perché noi siamo interessati a portare i responsabili davanti al giudice, affinché con un processo si arrivi a una sentenza».
Un altro caso grave è emerso al Windsbacher Knabenchor, un’istituzione protestante. Dove, almeno fino al 2004, ai ragazzi venivano somministrate botte da orbi, secondo i media tedeschi.
La posizione del Papa, anche dopo la sua lettera, è difficile in patria. «Ratzinger, figlio di un poliziotto, sapeva che nessuno (nella Chiesa) aveva mai chiamato la polizia», accusa Der Spiegel. E continua: non solo a Monaco, ma anche più tardi a Roma, come prefetto della Congregazione della dottrina della fede, si lasciò sfuggire la possibilità di affrontare il problema. Una vittima - una donna oggi sulla quarantina, abusata da un sacerdote e poi da un altro da quando aveva dieci anni - ha detto ieri: «Per la lettera del Papa provo solo disgusto e rabbia, questi freddi vecchi uomini non vogliono modificare le strutture della Chiesa, soprattutto riguardo alla sessualità». Un clima pesante, e alcuni prelati reagiscono oltre misura. Il vescovo di Ratisbona, Gerhard Ludwig Mueller, ha accusato ieri i media di «attaccare la Chiesa come facevano i nazisti con le loro campagne contro il cristianesimo».
Parla Christian Weisner, leader del movimento dei cattolici critici "Wir sind Kirche"
"Crisi da affrontare con urgenza il Pontificato mai così oscurato"
Dobbiamo accettare che gli stupri sono un problema globale cui serve una risposta globale di A. T. (la Repubblica, 22.03.2010)
BERLINO - Christian Weisner, leader di Wir sind Kirche la Chiesa siamo noi (il forte movimento dei cattolici critici), è deluso dalla lettera del Papa ma esorta a incoraggiarlo a fare chiarezza fino in fondo. È la grande chance, altrimenti la crisi acquisterà qualche parallelo con quella del socialismo reale sovietico.
Signor Weisner, come giudica la lettera del Papa?
«Il dramma della violenza sessuale viene affrontato con grande apertura. È inusuale per un pontefice. Ma sulle cause e i consigli per la prevenzione futura purtroppo è molto deludente. Egli è all’inizio della presa di coscienza. Lui vede più le tendenze secolari mondiali nella morale come cause, e mi sembra mostruoso anche che veda una falsa lettura del Concilio Vaticano II come concausa. Allora lavorò per il Concilio ma oggi cerca di tornare a più tradizione che innovazione».
E non una parola sulla Germania. Che ne dice?
«Un silenzio accettabile, ma i tedeschi si aspettavano almeno una parola di compassione per le vittime tedesche quando il Papa il 12 marzo ricevette il rapporto dei vescovi tedeschi. Purtroppo il Papa tacque allora e tace in questa lettera. Posso in parte accettarlo, riguarda la ben più grave situazione irlandese. Ma tutti noi cristiani, da ogni fedele al Papa, dobbiamo accettare che la violenza sessuale contro bimbi, minori o donne nella Chiesa è un problema globale e necessita d’una risposta globale».
Il pontificato di Benedetto è in pericolo?
«La crisi deve essere affrontata con urgenza. Mai, nemmeno nei secoli più bui, la luce del Vangelo è stata tanto oscurata come oggi, lo scrive anche il Papa. È cosciente della gravità del problema. Ma la crisi non finisce così. Nessuno chiede le sue dimissioni. Tutti nella Chiesa, vescovi e cardinali, devono aiutarlo in questa tempesta. Egli non ha ancora individuato i problemi strutturali».
Ritiene il Papa responsabile di silenzi e insabbiamenti?
«Vedo una corresponsabilità. Dirlo non è chiederne le dimissioni, ma un vescovo deve avere un’alta autorità morale ma anche amministrativa. Manager e politici pagano gli errori dimettendosi, nella Chiesa c’è la riconciliazione. Ma se lui riconoscesse sue responsabilità, ciò gioverebbe alla sua autorità e a quella della Chiesa».
La difesa del sistema non ricorda l’autunno del socialismo reale sovietico?
«Anche all’Est mancava, ai vertici, la consapevolezza della gravità della crisi. Paralleli ci sono, tra sistemi centralisti e gerarchici, con dogmi. La differenza che mi fa sperare è che cristianesimo non è solo strutture centraliste, ma messaggio di Gesù. Se il sistema entra in una crisi di quel tipo, il messaggio cristiano resta, ben più vitale del socialismo. Ma la mancata riforma della Curia è stata un grave errore». (a.t.)
Il segretario di Stato, Tarcisio Bertone: "Si diffonde un atteggiamento di anti-cristianesimo"
Il Papa: "Fermezza sul peccato ma indulgenza con i peccatori"
Attesa per quello che dirà oggi il cardinale Bagnasco sulla situazione in Italia
di M. Ans. (la Repubblica, 22.03.2010)
CITTA’ DEL VATICANO - «Impariamo a essere intransigenti con il peccato, a partire dal nostro, e indulgenti con le persone». All’Angelus di ieri in piazza San Pietro, il Papa preferisce non tornare sulla Lettera pastorale ai cattolici d’Irlanda, presente già sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Ma gli echi di un messaggio unico nella sua forma sono ancora nelle orecchie di tutti, fedeli e non.
Prendendo spunto dal celebre brano evangelico dell’adultera, e dalla famosa frase di Cristo «chi è senza peccato lanci la prima pietra», Ratzinger ha esortato a imparare «da Gesù a non giudicare e a non condannare il prossimo». La folla, oltre 50 mila persone, ha lanciato un fragoroso applauso quando Benedetto XVI ha ricordato Papa Wojtyla attraverso l’evento di domenica prossima: «Il 25esimo anniversario dell’inizio delle Giornate mondiali della Gioventù, volute dal Venerabile Giovanni Paolo II».
A tornare sulla Lettera è stato il segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone: «Molto bella speriamo che venga capita a cominciare dai giornalisti e da tutti i destinatari», facendo così intendere che la missiva pontificia ha una valenza capace di oltrepassare i confini irlandesi.
Parlando poi della necessità di armonia fra vita attiva e contemplativa espressa da San Benedetto, Bertone ha affermato che «oggi sembrano diffondersi in forma strisciante atteggiamenti di anti-cristianesimo radicale e micidiale in tutta Europa», dove c’è «un diffuso deficit di etica».
Un commento interessante alla Lettera è stato poi quello dell’arcivescovo di Chieti Vasto, monsignor Bruno Forte, considerato dagli osservatori come un teologo progressista. «C’è una forza, una chiarezza nel dire le cose - ha detto alla Radio Vaticana - che mi sembra assolutamente salutare, liberante; nello stesso tempo, però, c’è un velo di misericordia che guarda anche al colpevole, al carnefice, proprio perché ne vuole la redenzione». Forte ha considerato come condivisibili le cause indicate dal Papa per spiegare i troppi casi di abusi sessuali avvenuti negli anni ‘70 e ‘80 del post Concilio Vaticano II, come un indebolimento della fede che ha fatto venir meno la necessaria vigilanza.
C’è attesa dunque per oggi per quello che dirà sul testo pontificio e sulla situazione in Italia anche il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, che aprirà i lavori del Consiglio episcopale permanente.
Svizzera. Il consiglio del priore: registro consultabile dei religiosi pedofili (l’Unità, 22.03.2010)
Un registro dei sacerdoti sospettati di pedofilia che possa essere consultato dai vescovi in tutto il mondo per prevenire nomine di sospettati di abusi sessuali. Lo suggerisce al Vaticano Martin Werlen, membro della conferenza episcopale svizzera e priore dell’abbazia benedettina di Einsiedeln. Il priore teme «che la gerarchia cattolica a Roma non abbia preso abbastanza sul serio la situazione... È in gioco la nostra credibilità». Nel monastero di Einsiedeln, in Svizzera, cinque monaci sono stati coinvolti in casi di abusi o molestie sessuali dal 1970. La Chiesa svizzera sta esaminando «con serietà» almeno nove casi di presunti abusi sessuali negli ultimi anni.
Appello a tutti coloro che hanno subito violenze da
parte dei religiosi, appuntamento il prossimo settembre
"Basta col silenzio anche in Italia"
nasce
l’associazione delle vittime
All’incontro già molte le iscrizioni da Brescia, Mantova e Verona
Caso agghiacciante a Chievo: piccoli sordomuti violentati dai sacerdoti
di Marco Ansaldo (la Repubblica, 22.03.2010)
CITTA’ DEL VATICANO - Il senso del programma è già nel titolo: "Anch’io ho subito violenza dal prete". E il manifesto scelto, solo in apparenza un paradosso: un bambino che porta la sua croce, trascinandola sulla tonaca nera di un sacerdote impassibile. La rabbia delle vittime è tanta, covata a volte per decenni, e le parole forti usate dal Papa nella sua Lettera pastorale contro i preti pedofili sono appena un balsamo sulle ferite ancora aperte.
Adesso però basta con il silenzio. Anche in Italia, i genitori di bambini abusati dai sacerdoti hanno deciso di reagire. Gruppi di famiglie si sono mobilitati organizzando, per il 25 settembre, a Verona, il loro primo incontro. E hanno chiamato a raccolta tutti coloro che sono stati abusati, molestati, violentati dai sacerdoti in seminari e parrocchie. Un raduno che avrà come titolo "Noi vittime dei preti pedofili". Nel Nord Italia, fra Brescia, Mantova e Verona, sono tante le persone che stanno iscrivendosi all’incontro, attraverso l’indirizzo mail lacolpalibero. it.
Un’iniziativa sorta anche con il contributo dell’Associazione "Antonio Provolo" di Verona, da decenni impegnata nel sostegno a bambini sordi, che lo scorso anno ha denunciato decine di casi di bambini abusati dai sacerdoti. Spiega il loro portavoce udente, Marco Lodi Rizzini: «Molta gente si vergogna di avere subito violenza, anche se la colpa non è loro. Scopo di questa iniziativa è di dare il coraggio di uscire allo scoperto. Noi indichiamo una strada. Poi la giustizia farà il suo corso».
Agghiacciante è il caso di quest’istituto di Chievo, dove per trent’anni, fino al 1984, molti piccoli sordi e muti furono abusati dai sacerdoti. «Bambini - ricorda Lodi Rizzini - messi in istituto dalle famiglie, e che ovviamente non potevano esprimersi e spiegare quel che accadeva». Sevizie patite nei luoghi più sacri, dentro i confessionali o dietro gli altari. Lo scorso anno 15 di loro, ormai fra i 40 e i 70 anni, hanno infine pubblicato le violenze subite, con tanto di firme e testimonianze video. Per tre anni l’istituto aveva chiesto inutilmente l’intervento della Curia di Verona.
Ora il vescovo Giuseppe Zenti, denunciato dall’Associazione, dovrà presentarsi in tribunale per un’udienza fissata dai magistrati il 9 giugno prossimo. «La triste storia in cui ci troviamo - dice a Repubblica una delle famiglie del Nord Italia coinvolte negli abusi - ci ha insegnato che per le vittime e per i parenti delle vittime è di aiuto il confronto con altre persone che hanno attraversato il medesimo dramma. Nel caso poi di violenze perpetrate da religiosi si aggiunge la sofferenza del rapporto con l’istituzione ecclesiastica. Così abbiamo pensato di tentare un collegamento fra noi».
All’incontro di Verona saranno presenti dei professionisti per un confronto sulle questioni psicologiche, sociali e legali. Una mobilitazione concreta anche sul piano operativo. Le famiglie hanno compilato un data-base, con i casi già noti in Italia e pubblicati sui giornali negli ultimi anni, e una bibliografia ragionata su libri e testi che hanno approfondito la pedofilia ecclesiale.
Ma il fenomeno è trasversale in Italia. E molto spesso è lo stesso fronte cattolico a tenere utilmente conto di numeri, dati e statistiche. La rivista Il Regno, quindicinale di attualità e documenti edita a Bologna dai sacerdoti dehoniani, enumera decine di casi nel periodo 2005-08. L’Associazione "Meter" di don Fortunato Di Noto, da anni attiva a Palermo contro la pedofilia, ha seguito solo lo scorso anno 824 casi di abusi con il supporto psicologico dei propri volontari. E adesso un’altra organizzazione, "La caramella buona", di Reggio Emilia, attraverso il suo presidente Roberto Mirabile vuole di più: «Che il Papa vada oltre la giusta presa di posizione sui preti pedofili nel mondo, e chieda ora ai vescovi italiani di fare chiarezza su troppi episodi oscuri a casa nostra».
Pedofilia clericale - riflessione
Il Papa e Bertone chiedano perdono alla vittime
di Paolo Farinella, prete *
Mercoledì scorso non avevo ancora finito di scrivere che dopo gli Usa , l’Irlanda e la Germania sarebbe venuto il turno dell’Italia che ... zac ... vengono fuori alcuni casi di pedofilia. Mi si stringe il cuore perché ci troviamo di fronte a tragedie che sono gravi e complicate sotto molti aspetti. Penso che la responsabilità primaria sia dell’educazione di seminario che spersonalizza e «infantilizza» anche chi entra adulto: il prete deve essere un eterno bambino, senza testa propria, sempre pronto ad eseguire ordini dei superiori che deve anche adorare come idoli indiscutibili. I preti che crescono bambini non hanno coscienza, almeno sul momento, di fare male ai bambini, ma con essi giocano avendo una struttura psicologica ed affettiva fanciullesca e deviata perché vissuta in modo subliminale. Quando qualcuno gli fa prendere coscienza, allora è troppo tardi.
Come sono state tristi le parole di P. Lombardi che cerca di scusare il suo mondo dicendo che questi misfatti accadono anche in altri ambienti che pure dovrebbero tutelare i bambini! E’ vero che anche alcuni/molti genitori sono colpevoli di abusi su minori «dentro le mura domestiche», ma ciò non è un motivo né logico né etico per tentare di ridurre il dànno: le responsabilità sono indivisibili e chi pretende di insegnare la morale deve saperlo e, in casi anche tacere. Non hanno parlato quando dovevano, stiano zitti adesso, se tentano di straparlare.
Più grave ancora il maldestro tentativo del cardinale-prima donna in gonnella e coppola, Bertone che gongola di avere sventato il «complotto» di denigrare la Chiesa e il papa. Poveretto, non si rende conto di quello che pensa, non solo di quello che dice. A denigrare la Chiesa ci pensano i prelati in gonnella come lui e i preti che lui/loro hanno formato e che adesso scaricano, tirandosi fuori in modo vigliacco e lasciando abbandonati a se stessi i preti colpevoli, ma non da soli: si lavano le mani anche senz’acqua e si stirano la coscienza.
Non è possibile perché anche se in Germania e nella diocesi che fu del papa non fosse successo nulla e suo fratello fosse totalmente estraneo, il papa in quanto tale è responsabile di tutto ciò che succede nella Chiesa universale. Se pretende tutta l’autorità e impone tutta l’obbedienza al suo magistero, deve anche assumersi tutta la responsabilità che gli deriva dal suo ruolo. Chi fa le leggi? Chi fa le norme e i regolamenti? Chi obbliga al celibato senza misericordia? Chi ordina preti persone immature e magari fallite in altri campi? Chi accoglie nei seminari candidati malati? Chi ordina vescovi carrieristi disposti a vendersi anche l’anima senza alcuna fatica pur di avere una striscia rossa come i carabinieri? Chi forma i preti alla degenerazione psichica e affettiva?
Il papa è colpevole come e forse più del prete pedofilo. Bertone è colpevole se crede di salvarsi con una battuta degna del peggiore berlusconismo che deve avere sempre ragione a costo di girare le frittate non una, ma dieci, cento, mille volte. Invece di dire di avere «protezione dall’alto», Bertone chieda perdono alla vittime e rassegni le dimissioni per evidente fallimento suo e della cricca che sgoverna la Chiesa.
* Il Dialogo,Giovedì 18 Marzo,2010 Ore: 10:57
di Hans Küng (la Repubblica, 18.03.2010)
Si è detto che dopo aver ricevuto in udienza l’arcivescovo Robert Zollisch il Papa era «profondamente scosso» e «sconvolto» per i numerosi casi di abusi. Dal canto suo, il presidente [della Conferenza episcopale tedesca] ha chiesto perdono alle vittime, citando nuovamente le misure già adottate e quelle previste. Ma nessuno dei due ha risposto a una serie di domande di fondo che non è più possibile eludere. Stando ai risultati dell’ultimo sondaggio Emnid, solo il 10% degli interpellati trova soddisfacente l’opera di rielaborazione della Chiesa, mentre per l’86% dei tedeschi l’atteggiamento degli alti livelli della gerarchia ecclesiastica manca di chiarezza. Le loro critiche troveranno peraltro conferma nell’insistenza con cui i vescovi continuano a negare ogni rapporto tra l’obbligo del celibato e gli abusi commessi sui minori.
Prima domanda: Perché il Papa continua, contro la verità storica, a definire il «santo» celibato un «dono prezioso», ignorando il messaggio biblico che consente espressamente il matrimonio a tutti i titolari di cariche ecclesiastiche? Il celibato non è «santo», e non è neppure una grazia, bensì piuttosto una disgrazia, dal momento che esclude dal sacerdozio un gran numero di ottimi candidati, e ha indotto molti preti desiderosi di sposarsi a rinunciare alla loro missione.
L’obbligo del celibato non è una verità di fede, ma solo una norma ecclesiastica che risale all’XI secolo, e avrebbe dovuto essere sospesa ovunque in seguito alle obiezioni dei riformatori dal XVI secolo.
In nome della verità, il Papa avrebbe dovuto quanto meno promettere un riesame di questa norma, da tempo auspicato dalla grande maggioranza del clero e della popolazione. Anche personalità come Alois Glück, presidente del Comitato centrale dei cattolici tedeschi, o Hans-Jochen Jaschke, vescovo ausiliare di Amburgo, si sono espresse in favore di un rapporto più sereno con la sessualità e della possibilità di far coesistere fianco a fianco sacerdoti celibi e sposati.
Seconda domanda: È possibile che «tutti gli esperti» abbiano escluso l’esistenza di qualsiasi rapporto tra la pedofilia e l’obbligo del celibato sacerdotale, come ha nuovamente asserito l’arcivescovo Zollitsch? Chi mai può conoscere il parere di «tutti gli esperti»!? Di fatto si potrebbero citare innumerevoli psicoanalisti e psicoterapeuti che al contrario hanno sottolineato questo rapporto: mentre l’obbligo del celibato impone ai preti di astenersi da qualunque attività sessuale, i loro impulsi sono però virulenti, col rischio che il tabù e l’inibizione sessuale li induca a ricercare una qualche compensazione.
In nome della verità, la correlazione tra l’obbligo del celibato e gli abusi non può essere semplicemente negata, ma va presa invece in seria considerazione. Lo ha ben chiarito ad esempio lo psicoterapeuta americano Richard Sipe, che a questi studi ha dedicato un quarto di secolo (cfr. «Knowledge of sexual activity and abuse within the clerical system of the Roman Catholic church», 2004): la forma di vita del celibato, e in particolare la socializzazione che la prepara (il più delle volte nei convitti e successivamente nei seminari) può favorire tendenze pedofile. Richard Sipe ha individuato un tipo di inibizione dello sviluppo psicosessuale più frequente nei celibi che nella media della popolazione; ma spesso la consapevolezza dei deficit dello sviluppo psicologico e delle tendenze sessuali si raggiunge solo dopo l’ordinazione al sacerdozio.
Terza domanda. Oltre a chiedere perdono alle vittime, i vescovi non dovrebbero finalmente riconoscere anche le proprie corresponsabilità? Per decenni, dato il tabù sulla norma del celibato, hanno occultato gli abusi, limitandosi a disporre il trasferimento dei responsabili. Tutelare i preti era più importante che proteggere bambini. C’è poi una differenza tra i casi individuali di abusi commessi nelle scuole, al di fuori della Chiesa cattolica, e gli abusi sistemici, spesso reiterati e frequenti, all’interno stesso della Chiesa cattolica romana, in cui vige tuttora una morale sessuale quanto mai rigida e repressiva, che culmina nella norma sul celibato.
In nome della verità, anziché porre un ultimatum di 24 ore al ministro federale della giustizia, sopravvalutando peraltro gravemente l’autorità ecclesiastica, il presidente della Conferenza episcopale avrebbe dovuto finalmente dichiarare con chiarezza che d’ora in poi, in caso di reati di natura penale le gerarchie della Chiesa non cercheranno più di eludere l’azione giudiziaria dello Stato. O dovremo aspettare che per ricredersi, la gerarchia sia costretta a pagare risarcimenti dell’ordine di milioni di euro? Negli Usa la Chiesa cattolica ha dovuto versare a questo titolo, nel 2006, ben 1,3 miliardi di dollari; e in Irlanda, nel 2009 il governo ha stabilito con gli ordini religiosi un accordo - rovinoso per questi ultimi - per un fondo risarcimenti di 2,1 miliardi di euro. Cifre del genere sono assai più eloquenti dei dati statistici sulle percentuali dei celibi tra gli autori di reati sessuali, citati nel tentativo di sdrammatizzare il dibattito.
Quarta domanda: Il papa Benedetto XVI non dovrebbe assumersi a sua volta le proprie responsabilità, anziché lamentarsi di una campagna che sarebbe in atto contro la sua persona? Nessuno finora, in seno alla Chiesa, si è mai trovato sulla scrivania un così gran numero di denunce di abusi. Vorrei ricordare quanto segue:
Per otto anni docente di teologia a Regensburg e in stretti rapporti col fratello Georg, maestro della cappella del Duomo (Domkapellmeister), Joseph Ratzinger era perfettamente al corrente della situazione dei Domspatzen, i piccoli cantori di Regensburg. E non si tratta qui dei ceffoni, purtroppo all’ordine del giorno a quei tempi, bensì anche di eventuali reati sessuali.
Arcivescovo di Monaco per cinque anni, in un periodo durante il quale un prete, trasferito nel suo episcopato, perpetrò una serie di ulteriori abusi che oggi sono venuti alla luce. Anche se Mons. Gerhard Gruber, suo vicario generale (oltre che mio ex collega di studi) si è assunta la piena responsabilità di questi episodi, la sua lealtà non poteva bastare a scagionare l’arcivescovo, responsabile anche sul piano amministrativo.
Per 24 anni Joseph Ratzinger è stato prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, nel cui ambito si prendeva atto dei più gravi reati sessuali commessi dal clero in tutto il mondo, per raccoglierli e trattarli nel più totale segreto («Secretum pontificium». Il 18 maggio 2001, con una lettera rivolta a tutti i vescovi sul tema delle «gravi trasgressioni», Joseph Ratzinger aveva confermato per gli abusi il «segreto pontificio», la cui violazione è punita dalla Chiesa).
Papa per cinque anni, non ha cambiato di una virgola questa prassi infausta. In nome della verità Joseph Ratzinger, l’uomo che da decenni è il principale responsabile dell’occultamento di questi abusi a livello mondiale, avrebbe dovuto pronunciare a sua volta un «mea culpa». Così come lo ha fatto il vescovo di Limburg, Franz-Peter Tebartz-van Elst, che in un’allocuzione trasmessa per radio il 14 marzo 2010 si è rivolto a tutti i fedeli in questi termini: «Poiché un’iniquità così atroce non può essere accettata né occultata, abbiamo bisogno di cambiare strada, di invertire la rotta per dare spazio alla verità. Per convertirci ed espiare, dobbiamo incominciare col riconoscere espressamente le colpe, fare atto di pentimento e manifestarlo, assumerci le responsabilità e aprire così la strada a un nuovo inizio».
Il tempo delle vittime
di Luc Chatel
in “Témoignage chrétien” n° 3388 del 18 marzo (traduzione: www.finesettimana.org)
Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna (Austria), è uno dei rarissimi membri dell’alto clero ad aver trovato le parole giuste di fronte alle rivelazioni di crimini pedofili che riguardano la Chiesa cattolica. Tra coloro che presentano la Chiesa come una macchina produttrice di mostri e coloro che, in Vaticano in particolare, praticano la confutazione, il cardinale Schönborn ha posto il problema essenziale, quello delle vittime. Citiamo un brano dal testo da lui pubblicato all’inizio di marzo: «“La verità farà di noi degli uomini liberi” (Giovanni 8,32). Ma che cos’è la verità senza la misericordia? Si pone allora immediatamente la domanda: la misericordia verso chi? Verso le vittime, in primo luogo! Queste ultime sono state spesso ignorate, e lo sono ancora, essendo perfino eventualmente sospettate, in un certo modo, di essere almeno in parte colpevoli del torto subìto. Allora, bisogna poter dire no!»
Se vi è un rimprovero incontestabile da fare alla Chiesa cattolica, è proprio di non aver preso in sufficiente considerazione la voce e la sorte delle vittime. O negando gli echi di crimini che le erano pervenuti, o soffocando gli scandali con cui si era trovata a confrontarsi. Quante vittime hanno dichiarato di essere state soccorse da un religioso? Un’esigua minoranza rispetto a delle migliaia. Di questa assenza, di questo silenzio, di questa colpa, la Chiesa dovrebbe chiedere perdono. Riconoscere di sentirsi, come scrive il cardinale Schönborn, “sporca e piena di vergogna”.
René Girard, filosofo e antropologo, aveva dimostrato, nel suo libro Je vois Satan tomber comme l’éclair, che una delle più potenti verità evangeliche, quella che ha contrassegnato la rottura tra il tempo dei miti e quello del cristianesimo, riguardava l’attenzione prestata alle vittime. Dal tempo delle vittime sacrificate per necessità, quando la violenza regolava la violenza, si è passati a quello della protezione della vittima innocente, alla lotta alla violenza da parte della pace. Un tempo nuovo, riassunto, secondo René Girard, nelle parole che designano Gesù: agnello di Dio.
Quando la Chiesa dubita di fronte a violenze criminali, quando dimentica le vittime e rifiuta di riconoscere che ha protetto dei torturatori, allora rinnega una delle sue verità fondamentali.
Venerdì Benedetto XVI firmerà la lettera pastorale per gli irlandesi "scossi da una situazione dolorosa"
L’ammissione di colpa di Sean Brady: "Mi vergogno per non aver detto nulla. Rifletterò sul mio ruolo"
Pedofilia, il Papa: "Guarire le ferite"
Primate d’Irlanda si scusa: "Ho taciuto"
Merkel al Parlamento: "Gli abusi sessuali sui minori sono un dramma che affligge la società Necessario fare chiarezza, ma senza puntare il dito su un solo gruppo" *
BERLINO - Dalla Germania all’Irlanda, si torna a parlare degli scandali dei preti pedofili che negli ultimi tempi hanno travolto ambienti della Chiesa cattolica. Oggi il Papa ha annunciato che venerdì prossimo firmerà una lettera per i fedeli irlandesi scossi dagli episodi di pedofilia, nella speranza che possa essere di aiuto nel "processo di pentimento, guarigione e rinnovamento". E nel giorno di San Patrizio ha parlato anche il capo della Chiesa cattolica irlandese, il cardinale Sean Brady, che ha fatto le sue scuse per non aver avvertito la polizia dei comportamenti di un sacerdote pedofilo a metà anni Settanta. Brady, rivolgendosi ai fedeli, ha anche detto che "rifletterà" sul suo ruolo nel futuro. Per quanto riguarda la Germania, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha condannato duramente gli abusi sui minori, invitando però a non demonizzare un unico gruppo, perché "la pedofilia è un problema abominevole che tocca tutta la società e non solo la Chiesa cattolica".
La lettera del Papa agli irlandesi. Il Papa ha annunciato che questo venerdì, giorno di San Giuseppe, firmerà la lettera ai fedeli irlandesi sui casi degli abusi sessuali sui bambini. "Come sapete - ha detto il Papa salutando i pellegrini irlandesi nella festa di San Patrizio - negli ultimi mesi la Chiesa in Irlanda è stata severamente scossa in conseguenza della crisi degli abusi sui minori". "Come segno della mia profonda preoccupazione - ha aggiunto - ho scritto una lettera pastorale che tratta di questa dolorosa situazione. La firmerò nella solennità di San Giuseppe, il guardiano della Sacra Famiglia e patrono della Chiesa universale, e la manderò presto". "Vi chiedo - ha concluso il Pontefice - di leggerla voi stessi, con cuore aperto e spirito di fede. La mia speranza è che aiuti nel processo di pentimento, guarigione e rinnovamento".
Le scusa di Sean Brady. "Questa settimana mi è tornato davanti un episodio doloroso del mio passato", ha detto il cardinale Brady. "Ho ascoltato la reazione della gente al mio ruolo negli eventi di 35 anni fa. Voglio dire a chiunque sia stato ferito da qualsiasi mancanza da parte mia che gli chiedo perdono con tutto il cuore. Chiedo perdono a coloro che sentono che li ho delusi. Guardando indietro, mi vergogno di non aver sempre tenuto fede ai valori che professo e in cui credo’’. Per il porporato, la Chiesa d’Irlanda deve ’’continuare ad affrontare l’enorme dolore causato dall’abuso di bambini da parte di alcuni preti e religiosi e dalla risposta disperatamente inadeguata a questi abusi nel passato’’. ’’Come San Patrizio e San Pietro - ha proseguito - noi vescovi, successori degli apostoli nella Chiesa d’Irlanda, dobbiamo oggi riconoscere i nostri errori. L’integrità della nostra testimonianza del Vangelo ci sfida a confessare e a assumerci la responsabilità per ogni errore nella gestione o per ogni copertura degli abusi sui minori. Per il bene dei sopravvissuti, per il bene dei fedeli cattolici e dei preti e dei religiosi di questo Paese, dobbiamo mettere fine allo stillicidio quotidiano di rivelazioni di errori".
Merkel: "Problema che affligge tutta la società". "Il dramma degli abusi sessuali sui minori è un problema abominevole che si è ripetuto in numerosi settori della società", e dunque non riguarda solo il Vaticano. Lo ha detto oggi la cancelliera tedesca Angela Merkel, dopo l’emersione di una serie di casi di pedofilia avvenuti negli istituti scolastici. "Non ha senso - ha spiegato Merkel al Bundestag, la Camera bassa del Parlamento tedesco - puntare il dito su un solo gruppo, anche se i primi casi sono emersi nella Chiesa cattolica". La conferenza episcopale tedesca, da parte sua, si è impegnata a far luce sullo scandalo dei preti pedofili in Germania.
"C’è solo una possibilità affinché la nostra società venga a capo di questi casi - ha detto Merkel - fare chiarezza e appurare la verità su ciò che è successo". La cancelliera ha inoltre sottolineato che si deve parlare anche dei termini di prescrizione per questo tipo di reati e dei risarcimenti alle vittime. "Questa è una prova per la società", ha poi sottolineato, spiegando che "la gente che ha fatto queste esperienze terribili" deve almeno poter "ricevere un pezzo di risarcimento".
Denunce di abusi nel coro dei Piccoli Cantori di Vienna. Nel mentre crescono le denunce di abusi sessuali e fisici avvenuti all’interno del rinomato coro dei Piccoli Cantori di Vienna negli anni Ottanta. Dopo le rivelazioni di un giornale austriaco, la direzione del coro - che è un’istituzione privata e non dipende dalla Chiesa - ha istituito una linea telefonica per raccogliere ulteriori testimonianze. Da allora altri otto ex allievi del coro hanno fornito le loro testimonianze. Secondo il quotidiano Der Standard, i ragazzi avrebbero subito "forti pressioni" e "umiliazioni permanenti" e nelle accuse il coro viene paragonato a un "campo di concentramento". La responsabile del servizio telefonico, Tina Breckwoldt, non ha specificato la natura degli abusi segnalati, né se le vittime fossero bambini o adulti. Le denunce finora pubblicate dalla stampa riguardano due ex membri del coro, oggi adulti, che hanno raccontato di essere stati vittime di violenze sessuali.
* la Repubblica, 17 marzo 2010
Pedofilia
Cattolici tedeschi chiedono le dimissioni del Papa *
Il movimento cattolico progressista tedesco, «Iniziativa Chiesa dal basso», chiede le dimissioni di Benedetto XVI per lo scandalo sugli abusi sessuali. «Sarebbe un gesto purificatore», ha detto il direttore Bernd Goehrig al Financial Times Deutschland. Goehrig ha ricordato anche il caso di Monaco di Baviera che ha visto coinvolto un prete nel periodo in cui il Papa era arcivescovo della capitale bavarese. L’allora Vicario generale, Gerhard Gruber, 81enne, si è assunto la responsabilità della vicenda, ma secondo Goehrig c’è una responsabilità morale.
*l’Unità 16.03.2010
Monaco, si dimette il prete dello scandalo
di Alessandro Alviani e Giacomo Galeazzi (La Stampa, 16 marzo 2010)
Lo scandalo pedofilia travolge la Chiesa mondiale. In Brasile due vescovi e un sacerdote sono nella bufera per un video che documenta i loro abusi sessuali su minori. Il primate d’Irlanda Brady, accusato di aver indotto al silenzio le vittime delle violenze, è pronto a lasciare su richiesta di Benedetto XVI. E in Germania padre Hullermann è stato sospeso con effetto immediato.
L’arcidiocesi di Monaco, infatti, ha tolto tutti gli incarichi pastorali al sacerdote che ha fatto sì che lo scandalo pedofilia arrivasse a sfiorare anche il Papa. Col consenso dell’allora arcivescovo Ratzinger, padre Hullermann venne accolto nel 1980 a Monaco per sottoporsi a una terapia (era stato accusato di abusi su un undicenne a Essen); pochi anni dopo, però, fu denunciato nuovamente per pedofilia e condannato. Hullermann «non si è attenuto alle condizioni che gli erano state imposte», comunica l’arcidiocesi: nel 2008 gli era stato vietato di lavorare a contatto diretto coi minorenni; la scorsa estate era invece in un campeggio per ragazzi a celebrare messa da solo.
Comunque, ha precisato l’arcidiocesi, non ci sono indizi che facciano pensare che il sacerdote abbia commesso nuovi abusi da quando, nel 2008, era stato trasferito a Bad Tölz, nel Sud della Baviera.
Sempre ieri il superiore di Hullermann, il prelato Josef Obermaier, ha deciso di rassegnare le dimissioni, prontamente accolte. È la seconda volta in 62 anni di vita che padre Hullermann viene sospeso dall’arcidiocesi di Monaco. Dopo che nel 1980 l’allora vicario generale, Gerhard Gruber, decise autonomamente di riaffidargli degli incarichi pastorali, il sacerdote rimase dapprima a Monaco, poi venne spostato nella vicina Grafing. Lì lavorò anche come insegnante di religione nel liceo locale. Sei ore a settimana per tre mesi, dal 18 settembre 1984 all’inizio delle ferie natalizie, il 21 dicembre. Poi, d’un tratto, fece perdere le sue tracce. «Mi spiace dover rinunciare al mio incarico, ma sono stato improvvisamente trasferito», scrisse l’8 gennaio 1985 in una breve lettera all’allora direttore. Pochi giorni dopo, il 29 gennaio, veniva sospeso a causa di nuove accuse di pedofilia e l’anno dopo veniva condannato a 18 mesi con la condizionale. «Nella scuola non è successo nulla; dev’essere quindi successo qualcosa in parrocchia, coi chierichetti», spiega l’attuale direttore del liceo di Grafing, Harald Parigger.
Nel frattempo in Germania si allarga il fronte di quanti chiedono a gran voce una chiara presa di posizione del Pontefice. Ieri la stampa bavarese lamentava «il silenzio del Papa» e la Abendzeitung arrivava persino a chiedergli «delle scuse ufficiali». Anche la Gioventù cattolica ha auspicato un suo intervento e l’associazione «Iniziativa Chiesa dal basso» (Ikvu) è arrivata persino a chiedere provocatoriamente le sue dimissioni. E, mentre il ministro della Giustizia tedesco Sabine Leutheusser-Schnarrenberger annunciava che incontrerà il 15 aprile il presidente della Conferenza episcopale tedesca Robert Zollitsch, si è inserita nel dibattito anche Angela Merkel. «La cancelliera accoglie con favore il fatto che il Santo Padre abbia sottolineato espressamente la necessità di far piena luce su questi fatti ripugnanti», ha detto un suo portavoce.
Lo scandalo pedofilia
Ratzinger
Lo spettro delle dimissioni
Impensabili: ma il velo caduto sugli abusi ha rotto un dogma
Dai Legionari di Cristo agli Stati Uniti: l’impunità garantita per anni ai sacerdoti ha minato le fondamenta del sistema
L’opinione pubblica è scossa, non si parla nemmeno più dei silenzi ma della credibilità dell’istituzione
di Marco Politi (il Fatto, 11.4.2010)
A lla fine la valanga degli scandali è piombata ai piedi del trono papale. La firma di Ratzinger su una lettera del 1985, che sconsiglia l’espulsione immediata di un prete pedofilo, è un colpo pesante al Papato. Negli Stati Uniti colgono la crisi gravissima e agitano lo spettro delle dimissioni. “Un Papa può dimettersi?”, si domandano a New York. E poi: “Qualcuno può spingerlo a ritirarsi?”. Perché la mentalità anglosassone è fatta di un’essenzialità dalle formulazioni brutali. L’Autorità colta in fallo, il Potere supremo inchiodato nell’attimo in cui dice o fa ciò che non doveva né dire né fare perde credibilità, prestigio, autorevolezza. E l’unica via d’uscita per il leader dopo l’errore fatale è l’abbandono di campo. Giorni fa la vescova tedesca Margot Kaesemann si è dimessa da presidente delle Chiese protestanti di Germania per il solo fatto di essersi trovata in macchina con un tasso alcolico superiore a quanto permesso. Non sarebbe stata più credibile, ha spiegato.
“(In)Fallibile”, titola in copertina il settimanale tedesco Spiegel, raffigurando Benedetto XVI. In Vaticano le dimissioni papali non sono in agenda, sono impensabili, sono inimmaginabili. Nessuno può chiederle, nessuno può costringerlo. Ma la paura sta invadendo i sacri palazzi. Si teme che la crisi - la più destabilizzante da quando i bersaglieri a Porta Pia cancellarono il millenario Stato pontificio - sia foriera di sviluppi impensabili, di contraccolpi imprevedibili, di sorprese sempre peggiori. Non cominciò così, dicono in America, il Watergate: un piccolo scasso effettuato da falsi idraulici? Sembrava un incidente facilmente circoscrivibile... Per la prima volta che il Papato si misura con un avversario più potente di qualsiasi stato, di qualsiasi movimento, di qualsiasi ideologia. L’opinione pubblica internazionale, che ha capito quanto la pressione dei media e dei processi abbia spinto la Chiesa a confessare le sue colpe, alzando il velo sugli insabbiamenti di crimini odiosi e ponendo la Suprema Autorità del cattolicesimo dinanzi ad una scelta cruciale: raccontare tutta la verità su ciò che è stato fatto o non fatto nel cuore stesso dell’apparato vaticano o lasciarsi travolgere da ondate di rivelazioni.
Se in America l’80 per cento dei cattolici non si riconosce nella linea tenuta da Ratzinger nelle ultime settimane, anche in Italia l’opinione pubblica non gli è favorevole. Il 62 per cento degli italiani “non approva l’operato della Chiesa e del Papa in questo frangente” (Istituto Piepoli). Perché Benedetto XVI non ha proseguito sulla via della denuncia e del pubblico mea culpa a Pasqua, quando il mondo intero guardava a lui. E perché arrivano nuovi materiali che lo chiamano direttamente in questione.
I punti di vulnerabilità si stanno accumulando.
1. A Monaco di Baviera un prete pedofilo, accolto in diocesi solo per una terapia, viene riassegnato nel 1980 ad un’altra parrocchia. Il vicario generale (che si è assunto ogni responsabilità) scrisse un memorandum in proposito all’arcivescovo Ratzinger. L’arcivescovo ha letto l’appunto? C’è un motivo, per cui in una realtà così attenta alle regole burocratiche come quella tedesca, non doveva essere letto?
2. Nel 1996 il vescovo di Milwaukee chiede alla Congregazione per la Dottrina della fede, guidata dal cardinale Ratzinger, di aprire un processo canonico contro il prete pedofilo Murphy, che ha abusato di duecento minori sordomuti. Nel 1997 mons. Bertone, vice di Ratzinger al Sant’Uffizio, autorizza l’apertura del procedimento. Nel 1998 il vescovo americano e un suo confratello vengono convocati in Vaticano da Bertone e il processo fermato, perché in Vaticano sono sorti improvvisamente “dubbi sulla fattibilità e opportunità”. Di fatto Murphy, vicino a morire, ha chiesto clemenza a Ratzinger.
3. Nel 2000 viene insabbiato il caso del fondatore dei Legionari di Cristo, padre Maciel, accusato di abusi plurimi. Ratzinger vorrebbe intervenire, ma resta aperto l’interrogativo su chi fra i collaboratori papali è riuscito a convincere Giovanni Paolo II a non aprire un’inchiesta.
4. I fatti di Oakland sono esplosivi. Un vescovo chiede nel 1981 alla Congregazione per la Dottrina della fede di ridurre allo stato laicale un prete pedofilo, già condannato in tribunale e che ha chiesto personalmente di lasciare la tonaca. Il cardinale Ratzinger, nella risposta data solo nel 1985, non disconosce i gravi motivi “e tuttavia” (attamen, che in latino è un “ma” molto rafforzato) invita il vescovo a tenere conto del “bene della Chiesa universale” e dei “danni” che potrebbero venire alla comunità parrocchiale. (Quest’anno, nella sua lettera gli Irlandesi, Benedetto XVI parlerà di “preoccupazione malriposta per il buon nome della Chiesa”). Il vescovo sostiene che il pedofilo crea più scandalo ai fedeli rimanendo nelle fila del clero che andandosene. Però il Vaticano non gli dà retta ed esige un esame “più accurato”. Solo nel 1987 al prete verrà tolta la tonaca.
La lettera riflette l’atmosfera nella Chiesa cattolica negli anni Ottanta: protagonisti sono le autorità ecclesiastiche, il prete accusato, il “bene della Chiesa”, l’eventuale scandalo per i fedeli. Le vittime non sono mai menzionate.
E’ un paradosso tragico che Joseph Ratzinger, il quale appena eletto pontefice si è battuto con grande fermezza e coerenza contro gli abusi sessuali del clero, venga oggi inseguito dai fantasmi di un passato in cui a tutti i livelli della Chiesa cattolica le “vittime non furono ascoltate” (come lui stesso ha scritto nel messaggio agli Irlandesi). Ma nel meccanismo delle rivelazioni c’è qualcosa di inarrestabile. E certamente si scaricano oggi su Benedetto XVI malumori, insofferenze e tensioni accumulate nell’opinione pubblica esterna e interna alla Chiesa nei confronti della sua linea tradizionalista, così chiusa alle riforme.
Nell’arco di poche settimane è mutato l’oggetto del contendere. Non si parla più dei silenzi della Chiesa, ma è in discussione l’inattaccabilità o meno del Romano Pontefice. La sua credibilità internazionale. A sua difesa si stanno muovendo i grossi calibri. Vescovi e cardinali, l’Opus Dei, i Cavalieri di Colombo che in America hanno indetto una “novena” di solidarietà al Papa. In Italia si sta progettando una manifestazione dei cattolici in appoggio del Papa.
Eppure, se non riuscirà a chiudere la vicenda con un atto di trasparenza totale, Benedetto XVI vedrà profilarsi sulla scena internazionale l’interrogativo bruciante: come potrà guidare la Chiesa cattolica? Con quale carisma?
SCANDALO PEDOFILIA
CAPO CHIESA IRLANDESE PARTECIPÒ A RIUNIONI PER SILENZIO VITTIME
"Si dimetta il primate d’Irlanda"
di GIACOMO GALEAZZI (La Stampa, 14/3/2010)
Associazioni irlandesi per la difesa delle vittime di abusi sessuali hanno chiesto oggi le dimissioni del cardinale Sean Brady, primate d’Irlanda, dopo la sua conferma di aver partecipato a riunioni nel corso delle quali le presunte vittime si sarebbero impegnate al silenzio. La Chiesa cattolica ha confermato, in un comunicato, che il cardinale, che all’epoca era sacerdote e segretario part time dell’arcivescovo di Kilmore, Francis McKiernan, ora deceduto, aveva partecipato nel 1975 a tali riunioni.Sean Brady ha partecipato a due riunioni con due vittime presunte, nel corso delle quali queste ultime «hanno firmato impegni promettendo di rispettare la confidenzialità della raccolta d’informazioni», ha confermato la Chiesa. Maeve Lewis, direttrice dell’associazione di difesa delle vittime ’One in Four’ ritiene che il cardinale debba lasciare le sua funzioni perchè, ha detto, «il cardinale Brady è il capo della Chiesa irlandese. Deve dare risposte a diversi scandali su abusi sessuali che sono emersi. Questa rivelazione toglie ogni credibilità al cardinale Brady che deve dimettersi».
INTERVISTA
Il «pm» vaticano: «Chiesa rigorosa sulla pedofilia»
Monsignor Charles J. Scicluna è il «promotore di giustizia» della Congregazione per la Dottrina della fede.
di Gianni Cardinale (Avvenire, 13 Marzo 2010)
In pratica si tratta del pubblico ministero del tribunale dell’ex sant’Uffizio, che ha il compito di indagare sui cosiddetti delicta graviora i delitti che la Chiesa cattolica considera i più gravi in assoluto: e cioè quelli contro l’Eucaristia, quelli contro la santità del sacramento della penitenza e il delitto contro il sesto comandamento («non commettere atti impuri») di un chierico con un minore di diciotto anni. Delitti che un motu proprio del 2001, Sacramentorum sanctitatis tutela, ha riservato, come competenza, alla Congregazione per la dottrina della fede.
Di fatto è il «promotore di giustizia» ad avere a che fare, tra l’altro, con la terribile questione dei sacerdoti accusati di pedofilia periodicamente alla ribalta sui mass media. E monsignor Scicluna, un maltese affabile e gentile nei modi, ha la fama di adempiere il compito affidatogli con il massimo scrupolo, senza guardare in faccia a nessuno.
Monsignore, lei ha la fama di essere un "duro", eppure la Chiesa cattolica viene sistematicamente accusata di essere accomodante nei confronti dei cosiddetti "preti pedofili".
Può essere che in passato, forse anche per un malinteso senso di difesa del buon nome dell’istituzione, alcuni vescovi, nella prassi, siano stati troppo indulgenti verso questi tristissimi fenomeni. Nella prassi dico, perché sul piano dei principi la condanna per questa tipologia di delitti è stata sempre ferma e inequivocabile. Per rimanere al secolo scorso basta ricordare l’ormai celebre istruzione Crimen Sollicitationis del 1922...
Ma non era del 1962?
No, la prima edizione risale al pontificato di Pio XI. Poi con il beato Giovanni XXIII il Sant’Uffizio ne curò una nuova edizione per i Padri conciliari, ma ne vennero fatte solo duemila copie e non bastarono per la distribuzione che fu rinviata sine die. Si trattava comunque di norme procedurali da seguire nei casi di sollecitazione in confessione e di altri delitti più gravi a sfondo sessuale come l’abuso sessuale di minori ...
Norme che raccomandavano però il segreto...
Una cattiva traduzione in inglese di questo testo ha fatto pensare che la Santa Sede imponesse il segreto per occultare i fatti. Ma non era così. Il segreto istruttorio serviva per proteggere la buona fama di tutte le persone coinvolte, prima di tutto le stesse vittime, e poi i chierici accusati, che hanno diritto - come chiunque - alla presunzione di innocenza fino a prova contraria. Alla Chiesa non piace la giustizia spettacolo. La normativa sugli abusi sessuali non è stata mai intesa come divieto di denuncia alle autorità civili.
Quel documento però viene periodicamente rievocato per accusare l’attuale Pontefice di essere stato - in qualità di prefetto dell’ex Sant’Uffizio - il responsabile oggettivo di una politica di occultamento dei fatti da parte della Santa Sede...
Si tratta di un’accusa falsa e calunniosa. A questo proposito mi permetto di segnalare alcuni fatti. Tra il 1975 e il 1985 mi risulta che nessuna segnalazione di casi di pedofilia da parte di chierici sia arrivata all’attenzione della nostra Congregazione. Comunque dopo la promulgazione del Codice di diritto canonico del 1983 c’è stato un periodo di incertezza sull’elenco dei delicta graviora riservati alla competenza di questo dicastero. Solo col motu proprio del 2001 il delitto di pedofilia è ritornato alla nostra competenza esclusiva. E da quel momento il cardinale Ratzinger ha mostrato saggezza e fermezza nel gestire questi casi. Di più. Ha mostrato anche grande coraggio nell’affrontare alcuni casi molto difficili e spinosi, sine acceptione personarum (cioé senza riguardi per nessuno ndr). Quindi accusare l’attuale Pontefice di occultamento è, ripeto, falso e calunnioso.
Nel caso che un sacerdote sia accusato di un delictum gravius, cosa succede?
Se l’accusa è verosimile il vescovo ha l’obbligo di investigare sia l’attendibilità della denuncia che l’oggetto stesso della medesima. E se l’esito di questa indagine previa è attendibile non ha più potere di disporre della materia e deve riferire il caso alla nostra Congregazione, dove viene trattato dall’ufficio disciplinare.
Da chi è composto questo ufficio?
Oltre al sottoscritto, che essendo uno dei superiori del dicastero, si occupa anche di altre questioni, c’è un capo ufficio, padre Pedro Miguel Funes Diaz, sette ecclesiastici ed un penalista laico che seguono queste pratiche. Altri officiali della Congregazione prestano il loro prezioso contributo secondo le esigenze di lingua e di competenza.
Questo ufficio è stato accusato di lavorare poco e con lentezza...
Si tratta di rilievi ingiusti. Nel 2003 e 2004 c’è stata una valanga di casi che ha investito le nostre scrivanie. Molti dei quali venivano dagli Stati Uniti e riguardavano il passato. Negli ultimi anni, grazie a Dio, il fenomeno si è di gran lunga ridotto. E quindi adesso cerchiamo di trattare i casi nuovi in tempo reale.
Quanti ne avete trattato finora?
Complessivamente in questi ultimi nove anni (2001-2010) abbiamo valutato le accuse riguardanti circa tremila casi di sacerdoti diocesani e religiosi che si riferiscono a delitti commessi negli ultimi cinquanta anni.
Quindi di tremila casi di preti pedofili?
Non è corretto dire così. Possiamo dire che grosso modo nel 60% di questi casi si tratta più che altro di atti di efebofilia, cioè dovuti ad attrazione sessuale per adolescenti dello stesso sesso, in un altro 30% di rapporti eterosessuali e nel 10% di atti di vera e propria pedofilia, cioè determinati da una attrazione sessuale per bambini impuberi. I casi di preti accusati di pedofilia vera e propria sono quindi circa trecento in nove anni. Si tratta sempre di troppi casi - per carità! - ma bisogna riconoscere che il fenomeno non è così esteso come si vorrebbe far credere.
Tremila quindi gli accusati. Quanti i processati e condannati?
Intanto si può dire che un processo vero e proprio, penale o amministrativo, si è svolto nel 20% dei casi e normalmente è stato celebrato nelle diocesi di provenienza - sempre sotto la nostra supervisione - e solo rarissimamente qui a Roma. Facciamo così anche per una maggiore speditezza dell’iter. Nel 60% dei casi poi, soprattutto a motivo dell’età avanzata degli accusati, non c’è stato processo, ma, nei loro confronti, sono stati emanati dei provvedimenti amministrativi e disciplinari, come l’obbligo a non celebrare Messa coi fedeli, a non confessare, a condurre una vita ritirata e di preghiera. È bene ribadire che in questi casi, tra i quali ce ne sono alcuni particolarmente eclatanti di cui si sono occupati i media, non si tratta di assoluzioni. Certo non c’è stata una condanna formale, ma se si è obbligati al silenzio e alla preghiera qualche motivo ci sarà...
All’appello manca ancora il 20% dei casi...
Diciamo che in un 10% di casi, quelli particolarmente gravi e con prove schiaccianti, il Santo Padre si è assunto la dolorosa responsabilità di autorizzare un decreto di dimissione dallo stato clericale. Un provvedimento gravissimo, preso per via amministrativa, ma inevitabile. Nell’altro 10% dei casi poi, sono stati gli stessi chierici accusati a chiedere la dispensa dagli obblighi derivati dal sacerdozio. Che è stata prontamente accettata. Coinvolti in questi ultimi casi ci sono stati sacerdoti trovati in possesso di materiale pedopornografico e che per questo sono stati condannati dall’autorità civile.
Da dove vengono questi tremila casi?
Soprattutto dagli Stati Uniti che per gli anni 2003-2004 rappresentavano circa l’80% del totale di casi. Per il 2009 la percentuale statunitense è scesa a circa il 25% dei 223 nuovi casi segnalati da tutto il mondo. Negli ultimi anni (2007-2009), infatti, la media annuale dei casi segnalati alla Congregazione dal mondo è stata proprio di 250 casi. Molti paesi segnalano solo uno o due casi. Cresce quindi la diversità ed il numero dei paesi di provenienza dei casi ma il fenomeno è assai ridotto. Bisogna ricordare infatti che il numero complessivo di sacerdoti diocesani e religiosi nel mondo è di 400mila. Questo dato statistico non corrisponde alla percezione che si crea quando questi casi così tristi occupano le prime pagine dei giornali.
E dall’Italia?
Finora il fenomeno non sembra abbia dimensioni drammatiche, anche se ciò che mi preoccupa è una certa cultura del silenzio che vedo ancora troppo diffusa nella Penisola. La Conferenza episcopale italiana (Cei) offre un ottimo servizio di consulenza tecnico-giuridica per i vescovi che devono trattare questi casi. Noto con grande soddisfazione un impegno sempre maggiore da parte dei vescovi italiani di fare chiarezza sui casi segnalati loro.
Lei diceva che i processi veri e propri riguardano circa il 20% dei circa tremila casi che avete esaminato negli ultimi nove anni. Sono finiti tutti con la condanna degli accusati?
Molti dei processi ormai celebrati sono finiti con una condanna dell’accusato. Ma non sono mancati quelli dove il sacerdote è stato dichiarato innocente o dove le accuse non sono state ritenute sufficientemente provate. In tutti i casi comunque si fa non solo lo studio sulla colpevolezza o meno del chierico accusato, ma anche il discernimento sull’idoneità dello stesso al ministero pubblico.
Un’accusa ricorrente fatta alle gerarchie ecclesiastiche è quella di non denunciare anche alle autorità civili i reati di pedofilia di cui vengono a conoscenza.
In alcuni Paesi di cultura giuridica anglosassone, ma anche in Francia, i vescovi, se vengono a conoscenza di reati commessi dai propri sacerdoti al di fuori del sigillo sacramentale della confessione, sono obbligati a denunciarli all’autorità giudiziaria. Si tratta di un dovere gravoso perché questi vescovi sono costretti a compiere un gesto paragonabile a quello compiuto da un genitore che denuncia un proprio figlio. Ciononostante, la nostra indicazione in questi casi è di rispettare la legge.
E nei casi in cui i vescovi non hanno questo obbligo per legge?
In questi casi noi non imponiamo ai vescovi di denunciare i propri sacerdoti, ma li incoraggiamo a rivolgersi alle vittime per invitarle a denunciare quei sacerdoti di cui sono state vittime. Inoltre li invitiamo a dare tutta l’assistenza spirituale, ma non solo spirituale, a queste vittime. In un recente caso riguardante un sacerdote condannato da un tribunale civile italiano, è stata proprio questa Congregazione a suggerire ai denunciatori, che si erano rivolti a noi per un processo canonico, di adire anche alle autorità civili nell’interesse delle vittime e per evitare altri reati.
Un’ultima domanda: è prevista la prescrizione per i delicta graviora?
Lei tocca un punto - a mio avviso - dolente. In passato, cioè prima del 1898, quello della prescrizione dell’azione penale era un istituto estraneo al diritto canonico. E per i delitti più gravi solo con il motu proprio del 2001 è stata introdotta una prescrizione di dieci anni. In base a queste norme nei casi di abuso sessuale il decennio incomincia a decorrere dal giorno in cui il minore compie i diciotto anni.
È sufficiente?
La prassi indica che il termine di dieci anni non è adeguato a questo tipo di casi e sarebbe auspicabile un ritorno al sistema precedente dell’imprescrittibilità dei delicta graviora. Il 7 novembre 2002, comunque, il Servo di Dio Venerabile Giovanni Paolo II ha concesso a questo dicastero la facoltà di derogare dalla prescrizione caso per caso su motivata domanda dei singoli vescovi. E la deroga viene normalmente concessa.
Gianni Cardinale
*IL DOCUMENTO
Nel 2001 il motu proprio di Wojtyla
Il motu proprio «Sacramentorum sanctitatis tutela» è stato firmato da Giovanni Paolo II il 30 aprile 2001 e pubblicato nel fascicolo degli Acta Apostolicae Sedis, del 5 novembre successivo. Il documento pontificio dà delle indicazioni «per definire più dettagliatamente sia i delitti più gravi (delicta graviora) commessi contro la morale e nella celebrazione dei sacramenti, per i quali la competenza rimane esclusiva della Congregazione per la dottrina della fede, sia anche le Norme processuali speciali per dichiarare o infliggere le sanzioni canoniche». In pratica si tratta di un motu proprio di promulgazione delle «Norme circa i delitti più gravi riservati alla Congregazione per la dottrina della fede, distinte in due parti: la prima contiene le Norme sostanziali, e la seconda le Norme processuali».
Norme che sono state annunciate e sintetizzate con una Lettera (Epistula) a tutti i vescovi della Chiesa cattolica «sui delitti più gravi» (de delictis gravioribus) della Congregazione per la dottrina della fede del 18 maggio 2001, firmata dall’allora prefetto cardinale Joseph Ratzinger e dall’allora arcivescovo segretario Tarcisio Bertone.
MEMORIA FALLACE
di Vania Lucia Gaito *
[...] Lo scandalo, venuto a galla negli Stati Uniti, è solo l’inizio. Altrettanti scandali travolgono l’Australia, il Sudamerica, il Messico, il Canada, l’Alaska, la Polonia, l’Irlanda, la Spagna, l’Inghilterra, la Germania, l’Olanda e moltissimi paesi africani. Una vergogna dietro l’altra, si svelano i retroscena di sacerdoti che hanno molestato, abusato, violentato decine di bambini, alcuni piccolissimi.
Così, nel 2001, il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede dal 25 novembre 1981 fino alla sua nomina al soglio pontificio, promulgò un epistola nota come De Delictis Gravioribus o come Ad exsequandam. In essa richiamava il Crimen sollicitationis e avocava un diretto controllo, da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede, sui "crimini più gravi", compresi gli abusi sui minori.
Per quella lettera, il cardinale Ratzinger fu citato in giudizio dall’avvocato Daniel Shea davanti al tribunale dalla Corte distrettuale della contea di Harris (Texas), dove fu accusato di "ostruzione alla giustizia". Secondo l’accusa, infatti, il documento della Congregazione avrebbe favorito la copertura di prelati coinvolti nei casi di molestie sessuali ai danni di minori negli Stati Uniti. Nel febbraio 2005 fu emanato dalla corte un ordine di comparizione per il cardinale Joseph Ratzinger. Il 19 aprile 2005, il cardinale Ratzinger fu eletto papa e i suoi legali negli Stati Uniti si rivolsero al Dipartimento di Stato chiedendo l’immunità diplomatica per il loro assistito. L’Amministrazione Bush acconsentì e Joseph Ratzinger fu esonerato dal processo. [...]
* Per leggere l’intero scitto, clicca su: BISPENSIERO
Omissioni e abusi di nostra madre chiesa
Un viaggio attraverso gli scandali che stanno investendo il Vaticano e che, dall’Irlanda agli Stati Uniti, non risparmiano certo l’Italia
di Vania Lucia Gaito (il Fatto, 24.03.2010) *
IL CORAGGIO DI PARLARE
MI CHIAMO MARCO MARCHESE. Sono stato abusato per quattro anni, da quando ne avevo dodici. Ero in seminario, pensavo di avere la vocazione”. Cominciò così, diretto, chiaro. Secco come uno schiaffo. “All’epoca abitavo a Favara, vicino ad Agrigento. Sono nato in Germania, poi quando avevo otto anni ci siamo trasferiti in Sicilia. Volevo diventare prete, almeno lo credevo. Sicché entrai in seminario: fu lì che accadde. All’epoca don Bruno era un assistente, un diacono. Divenne prete l’anno successivo. Mi legai fortemente a lui: sembrava una persona affettuosa, e io mi trovavo fuori di casa ed ero piccolo. Mi circondava di attenzioni. Il seminario, sa, è un po’ come un collegio: si mangia lì, si dorme lì. Andavamo a trovare la famiglia una volta alla settimana, spesso ogni due. Inserirsi è difficile, e trovarsi accanto una persona che si mostra amichevole, affettuosa, fa sentire meno soli”. Parlando, cincischiava con il tovagliolo di carta, un tormento gli mangiava le dita, guardava il piattino, la tazzina, il tavolo. Poi mi posò addosso il suo sguardo malinconico. “Accadde una domenica pomeriggio. Era dicembre, e fuori pioveva. In genere, nei pomeriggi di domenica, si giocava a calcetto nel cortile del seminario. Invece quella volta don Bruno venne da me e mi invitò nella sua camera a riposare. Accadeva spesso che noi ragazzi entrassimo nelle camere degli assistenti. Magari per fare due chiacchiere. Invece quel pomeriggio lui mi spogliò, mi baciò, e poi... poi abusò di me”. Per un attimo la voce vacillò, sembrò sul punto di rompersi, ma riprese. Con lentezza, in un rievocare che dava ancora dolore. “Dopo lui andò in bagno. Quando tornò mi chiese solo: ‘Ti sei sporcato?’. Mi diceva di non preoccuparmi, che non c’era nulla di male. La nostra era solo un’amicizia, un’amicizia particolare, ecco. Così mi diceva. E io gli credevo. Non avevo mai avuto esperienze sessuali, e gli credevo. Mi diceva che era normale, che era giusto. Mi diceva anche che non dovevo dirlo a nessuno, perché avrei suscitato invidie, gelosie. E io non lo dissi a nessuno. Neanche quando l’abuso si ripeté. E poi si ripeté ancora, e ancora. Soprattutto quando pioveva. Veniva a chiamarmi e io andavo da lui”. Sul suo volto fiorì un sorriso amaro, una smorfia alla propria ingenuità di un tempo. “Del resto, io mi ero convinto che la nostra fosse un’amicizia ‘divina’, come diceva lui. Era un uomo di Dio: con lui pregavo, mi fidavo. Ciecamente”.
“E poi? Che cos’è accaduto?” “Dopo un anno, lui divenne prete e lasciò il seminario. Però i nostri rapporti divennero ancora più stretti, perché divenne il mio padrino di cresima. Così, nei fine settimana che avevo a disposizione e durante le vacanze, andavo a trovarlo nella sua parrocchia. E accadeva anche lì. In sacrestia. A casa sua. Nel pomeriggio. Anche la sera, se restavo a dormire. Per quattro anni”. [...] Alla fine in tribunale non ci erano arrivati. La trasmissione [Mi manda Raitre del 15 dicembre 2006, ndr] aveva sollevato un grosso scalpore, l’avvocato della Curia aveva saputo attirare perfino le antipatie dei cattolici più accesi. Il vescovo aveva dovuto fare marcia indietro e ritirare la richiesta di danni. Anzi, fece di tutto per evitare il processo civile. Don Bruno firmò un accordo con il quale riconosceva ogni responsabilità e si impegnava a corrispondere a Marco un risarcimento per i danni morali. “Si trattava di cinquantamila euro”. Le mani adesso riposavano tranquille sul tavolo, accanto alla tazzina. “Li ho impiegati per sovvenzionare la mia associazione. Si chiama Mobilitazione Sociale. Ci occupiamo soprattutto di ascoltare e aiutare i bambini vittime di abusi”. Per la prima volta sorrise davvero. Un sorriso aperto, giovane, fiducioso. Durò solo un attimo. “C’è talmente tanto da fare, e se ne sa così poco. Il mio non è un caso isolato. Anzi. Le associazioni contro la pedofilia ricevono migliaia di telefonate, di e-mail, di segnalazioni. Non ci sono solo io. La maggior parte delle vittime non ha il coraggio di denunciare. Subisce e tace. Nonostante i dolori dentro, nonostante gli incubi, i malesseri, il desiderio di morire”. Il sole era scomparso dietro le case, il cielo scuriva, e in via dell’Orologio si accendevano i lampioni. Nell’aria tiepida della sera, la gente sciamava verso i locali, i bar, i ristoranti. Per i vicoli rimbalzavano richiami, chiacchiere, risate. Le donne avevano vestiti leggeri che ondeggiavano intorno alle gambe, tacchi che si impigliavano tra le “balate”, sorrisi come lampi di bianco. Gli uomini profumavano di dopobarba e lanciavano occhiate alle ragazze. Sembrava una serata qualunque. Il viaggio nel silenzio era appena incominciato.
DON GELMINI: “SCHERZI DA PRETE”
“Non mi hanno creduto nemmeno quando per loro facevo il corrispondente lì in Bosnia. La mia strada e quella di don Pierino si sono incrociate molte volte. In un certo momento della mia vita sono finito a vivere in un borgo della Sabina, Castel di Tora, dove il ‘Don’ aveva messo su una comunità spirituale. C’era un numero ristretto di ragazzi, tutti piuttosto avvenenti, ma ben poco spirituali. Andavano di nascosto a comprar vino e alcolici in paese. Con un paio di loro feci amicizia, entrai in confidenza. Mi confermarono quello che già sapevo. Monsignor Giovanni d’Ercole, funzionario del Vaticano con il quale ero in rapporti per via del mio lavoro, lo sapeva. L’avevo informato anni fa su don Pierino: gli avevo detto tutto, che adescava i ragazzi, che molti anni prima aveva adescato anche me assieme a un amico, e che ora era accusato dai suoi ragazzi di molestie sessuali. Padre Federico Lombardi, all’epoca direttore dei servizi giornalistici di Radio Vaticana, lo sapeva. Durante un’accesa discussione glielo dissi in faccia chi erano e cosa erano stati certi preti per me, gli dissi di don Pierino e di come l’avevo conosciuto, non batté ciglio. Poco dopo gli mandai una lettera. Lo informai fino ai dettagli: manco mi rispose. Scrissi anche alla Procura di Terni, ho fatto un esposto senza firmarmi. Mia madre era ancora viva, avevo due figli piccoli. Lottavo nella totale solitudine, e poi avevo paura che mi accusassero di smania di protagonismo. Ma lo sapevano tutti. Uno di quelli che sapevano era il vescovo di Terni, monsignor Gualdrini. E poi lo dissi al segretario della Cei, che mi attaccò il telefono in faccia. Lo dissi a monsignor Salvatore Boccaccio al tempo vescovo di Poggio Mirteto e ora di Frosinone, telefonai a don Ciotti: era perplesso, mi disse di avere le mani legate”. “Ho un dubbio atroce, Bruno. Se lo sapevano tutti, com’è stato possibile che lasciassero centinaia di ragazzi inermi nelle mani di qualcuno che avrebbe potuto approfittarsi della loro debolezza, del loro bisogno di aiuto, del loro bisogno di protezione?”. Mi guardò con amarezza, si passò una mano irruvidita in mezzo ai capelli grigi, a pettinare i pensieri. “Lo sapevano perché io lo avevo detto, e non ero mica il solo. I ragazzi della comunità lo sapevano tutti. Chi non ci stava veniva allontanato, oppure se ne andava da solo. Nessuno si è mai preso la briga di vedere cosa succedeva in queste comunità”. [...]
Di quella giornata, un ospite mi raccontò: “Il più bel regalo di compleanno, ottant’anni ieri, don Pierino Gelmini l’ha avuto da Silvio Berlusconi: dieci miliardi di vecchie lire. Il più bel regalo, senza compleanno, Berlusconi lo ha avuto da don Gelmini, sempre ieri, che ha ordinato di accoglierlo con un canto di ‘Alleluja’ a tutto volume. Ovunque entrasse il premier, prima nella sala mensa e poi nell’auditorium della ‘Comunità Incontro’, veniva preceduto dalle note gloriose riservate, in Chiesa, a onorare il Signore. Un incontro di due ego travolgenti quello di ieri ad Amelia, nella struttura per il recupero dei tossicodipendenti nata nel 1979. Don Gelmini che spiegava al premier: ‘Preferirei essere Papa che capo del governo’. Berlusconi che gli diceva, dopo avere visto i preti, destinati alla successione da don Pierino, inginocchiarsi e promettergli fedeltà: ‘Mi hai dato un’idea, quasi quasi chiamo i miei ministri azzurri e li faccio inginocchiare davanti a me...’. Una festa-show con Gigi D’Alessio che cantava la sua nuova canzone Non c’è vita da buttare dedicata ai ragazzi persi e che salutava Berlusconi con un ‘salve collega’. Amedeo Minghi che dedicava un videoclip a don Pierino. Ad Amelia, per omaggiare questo fenomenale prete, ‘esarca’ precisa lui, che a ottant’anni ha una vitalità e un’energia travolgenti, sono arrivati in tanti a iniziare dal capo del comitato dei festeggiamenti, il ministro delle Telecomunicazioni Maurizio Gasparri. C’erano anche il ministro Rocco Buttiglione, il ministro Lunardi, Gustavo Selva, una sfilata di sottosegretari. Della prima Repubblica c’era l’ex ministro De Lorenzo che sembrava avere una missione: parlare con Berlusconi. E quando c’è riuscito, l’ha baciato, anche. A rappresentare l’opposizione, la presidente della Regione Maria Rita Lorenzetti, che nel salutare il padrone di casa, seduto nell’auditorium in prima fila vicino a Berlusconi, gli ha riconosciuto il grande impegno nella lotta contro la droga, ma ha anche detto: ‘Non siamo d’accordo su molte cose’. Non c’era il fratello di don Pierino, padre Eligio stava male. Una giornata lunga, iniziata di mattina presto nello studio privato di don Pierino dove sono arrivati in tanti a salutarlo, molti genitori di ragazzi salvati dalla comunità. Un padre è entrato piangendo, con una busta da lettera in mano piena di soldi da offrire a colui che aveva ridato la vita a suo figlio. ‘Era rinato qui dentro, purtroppo poi fuori non ce l’ha fatta’. Don Pierino ha preso la busta e lo ha abbracciato. ‘Suo figlio era un cantautore’, ha spiegato poi. A mezzogiorno tutti a messa. Don Pierino è entrato tra due ali di sacerdoti, seguito dal cardinale Jorge Maria Mejia. Mischiato tra i concelebranti c’era anche Alessandro Meluzzi, ex deputato azzurro, psichiatra fino a qualche giorno fa impegnato a commentare in tv gli irrecuperabili de L’Isola dei famosi, e adesso qui, in comunità di recupero, in un angolo di Umbria, con il saio da frate e la croce indosso. Nelle pause del serrato programma, Rocco Buttiglione ha parlato della sua prossima terza prova da nonno, la figlia partorirà ad agosto, e ha rivelato di aver cambiato idea su quale sia la vera vocazione della donna: ‘Credevo che fosse essere mamma. A un certo punto ho anche pensato che potesse essere suocera. Adesso che vedo mia moglie con i nipoti ho capito che la vera vocazione è quella di essere nonna. Un ruolo che la ringiovanisce di vent’anni’. Come sempre, era difficile capire se scherzava o diceva sul serio”.
IL CASO AMERICANO
A Boston cominciò così. In sordina, senza troppo rumore. L’avvocato che mise la prima pietra aveva un nome armeno, difficile da pronunciare: si chiamava Mitchell Garabedian, e non era mai stato uno di quegli avvocati inseguiti dai giornalisti all’uscita dell’aula di dibattimento. Si era laureato all’Università statale, si era sempre occupato di piccoli casi. Insomma, uno sconosciuto. Uno fra i tanti avvocati di Boston. Gli piaceva il suo lavoro; certe mattine arrivava in ufficio prestissimo e andava avanti a lavorare fino a tarda sera. Era il 1994 quando un uomo era entrato nel suo studio, s’era seduto di fronte alla vecchia scrivania, e gli aveva parlato di padre Geoghan. Mitch non lo sapeva, ma quell’incontro avrebbe segnato la sua vita. “Ero un ragazzino normale” raccontò l’uomo all’avvocato, “andavo bene a scuola e mi piaceva lo sport. Facevo anche parte di una squadra. Non avevo neanche dodici anni, ma mi dicevano che ero un bravo atleta. I miei genitori erano orgogliosi di me. Poi arrivò lui. I miei si fidavano, lo consideravano quasi una persona di famiglia: lo invitavano a cena, a qualche partita di bridge, ai compleanni. Spesso, dopo cena, mi portava fuori a prendere un gelato, a fare un giro in macchina. Nessuno ha mai saputo che mi facesse quelle cose. Non lo dissi neppure a mia madre, a mio padre. Per loro, padre Geoghan era un buon amico, un amico di tutta la famiglia. Come potevo dirgli che mi faceva quelle cose? Stavo male. Riuscivo a fare solo questo: star male. Certi giorni non andavo nemmeno a scuola, agli allenamenti. Lasciai la squadra. E cominciai a bere. Ero solo un bambino, Dio mio, ero solo un bambino”.
GLI INTOCCABILI LEGIONARI DI CRISTO
Il potere della Legione di Cristo all’interno della Chiesa è tale che Lennon, uno degli accusatori di Maciel, parlando dei rapporti tra quest’ultimo e il Vaticano, affermò: “Maciel è intoccabile. Ha lavorato con molti Papi, conosce i procedimenti interni, conosce vescovi, conosce cardinali, conosce quelli che hanno realmente il potere, e li conosce bene, molto bene”. Alejandro Espinosa, nel libro El prodigioso ilusionista, il seguito di El legionario, avanza sospetti e ipotesi inquietanti sulla vita del fondatore dei Legionari di Cristo. Già in El legionario, Espinosa aveva fatto riferimento alle “morti provvidenziali” di alcuni nemici di Maciel, ma è soprattutto nel suo secondo libro che le ipotesi si fanno dettagliate. Espinosa parte dagli anni giovanili del sacerdote, dai tempi in cui frequentava il seminario retto da suo zio, il vescovo Rafael Guizar y Valencia, e sostiene che si siano verificate circostanze quanto meno singolari, coincidenze preoccupanti. Sembra che lo stesso giorno della sua morte, il vescovo avesse avuto un’accalorata discussione con Marcial Maciel, e avesse decretato la sua espulsione per mancanza di attitudine allo studio, per mancanza di spirito di sacrificio e di vocazione al sacerdozio, oltre che per avere saputo dei suoi approcci sessuali nei confronti di seminaristi più giovani. Pare sia arrivato perfino a dire che se avesse proseguito il cammino verso l’ordinazione si sarebbe 198 Viaggio nel silenzio esposto alla dannazione eterna. Rafael Guizar y Valencia morì poche ore dopo. Un dettagliato resoconto sulla sua morte, racconta che fu impossibile coricarlo nel letto e dovettero lasciarlo steso al suolo, spiegando che volle giacere lì “come san Francesco”. A dodici anni dalla morte, le spoglie del vescovo furono riesumate per essere trasportate dal cimitero di Xalapa alla Cattedrale: aprendo la bara, il corpo fu trovato integro, ma i suoi capelli bianchi erano diventati rossicci. Espinosa sostiene che Maciel possa aver avvelenato lo zio con il cianuro, secondo alcune confessioni che lo stesso Maciel gli avrebbe fatto quando Alejandro era stato in seminario, e la colorazione rossiccia dei capelli dovrebbe esserne testimonianza, così come l’impossibilità di trasportare il vescovo agonizzante nel letto, poiché le convulsioni e gli spasmi dell’avvelenamento sono tali da riuscire a fratturare la colonna vertebrale. Tuttavia, padre Rafael González Hernández, il sacerdote che si è occupato della canonizzazione del vescovo, smentisce assolutamente l’ipotesi di un omicidio: “Monsignore Guizar morì nel 1938 a causa di un’insufficienza cardiaca e di un attacco di diabete. Aveva sessant’anni ma era piuttosto malandato per aver speso la vita al servizio dei fedeli”. Espinosa prosegue con l’elenco delle morti “provvidenziali” tra quelli che disturbarono Maciel. Padre Francisco Orozco Yepes morì in strane circostanze, mentre viaggiava dall’Irlanda a Roma, dove aveva il fermo proposito di denunciare le perversioni di Marcial Maciel davanti alla Sacra Rota Romana. Non si sa che cosa o chi lo convinse ad abbandonare l’aereo allo scalo di Madrid, si sa solo che preferì affittare un’automobile all’aeroporto e fare migliaia di chilometri per raggiungere Roma, dove non arrivò mai.
Un vescovo del Messico, che si opponeva al riconoscimento canonico della Legione di Cristo, fu minacciato da Marcial Maciel durante una discussione, davanti a testimoni. Pochi giorni dopo, un camion investì l’automobile del vescovo: morirono due dei suoi quattro occupanti ma il prelato riuscì a uscirne indenne. Nello stesso mese, si verificò un secondo incidente con la stessa dinamica del precedente, questa volta con esito tragico per il vescovo. Anche la morte di Juan-Manuel Fernández Amenábar, come abbiamo visto, avvenne in circostanze singolari: soffocato da un pezzo di pollo mentre era in ospedale, dove si stava riprendendo da un ictus. Perfino Juan José Vaca temeva una reazione alla lettera che inviò a Maciel quando lasciò la Legione. Perciò quella lettera, nella quale gli rimproverava il danno irreparabile che gli aveva fatto e gliene domandava conto, conteneva un avvertimento: “Desiderando essere assolutamente sincero con lei, l’informo che l’originale di questo scritto, più altre undici copie, si trovano dentro buste sigillate, in un deposito inaccessibile agli indiscreti. Queste dodici buste recano già il nome e l’indirizzo dei destinatari - alte personalità della Chiesa e della società che, nel caso, conosceranno il loro contenuto - e immediatamente giungeranno nella mani dei destinatari, in due circostanze. La prima, nel caso in cui io muoia o sparisca inaspettatamente... “.
SILENZIO ASSORDANTE
Vania Lucia Gaito, psicologa, salernitana di origine, collabora dal 2006 con il blog di controinformazione “Bipensiero” sul quale, nel maggio 2007, ha trasmesso e sottotitolato il documentario della Bbc, “Sex crimes and Vatican”. Lo scoop del video, visto in Italia da oltre cinque milioni di persone, ha aiutato a uscire allo scoperto decine di vittime di abusi, le cui testimonianze sono in parte raccolte in “Viaggio nel silenzio”. “In quei giorni accadde anche qualcos’altro - scrive l’autrice - Alla mia casella di posta arrivarono centinaia di e-mail. Di protesta, di ringraziamento, di rabbia, di indignazione. E in mezzo a tante, c’erano anche le lettere di chi aveva subìto abusi. Vergognandosi di ciò che avevano patito. Le leggevo e sapevo che non potevo ritirarmi adesso, non potevo gettare solo uno sguardo su quello che avevo visto, appena dietro la porta”.
*“Viaggio nel silenzio”, edito nel 2008 da Chiarelettere, è stato ripubblicato di recente per i Tascabili degli Editori Associati.
Pedofilia, il portavoce della Santa Sede "Falliti tentitavi di coinvolgere il papa"
CITTA’ DEL VATICANO - Il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, in una dichiarazione alla Radio vaticana, ha denunciato i tentativi, fatti anche "con un certo accanimento" da taluni di "coinvolgere personalmente il Santo Padre nella questione degli abusi" e dello scandalo della pedofilia in Germania. Tuttavia, ha rimarcato, "per ogni osservatore obiettivo, è chiaro che questi sforzi sono falliti".
"E’ piuttosto evidente che negli ultimi giorni vi è chi ha cercato - a Regensburg e a Monaco - elementi per coinvolgere personalmente il papa", ha detto padre Lombardi. Che poi ha aggiunto: "Nonostante la tempesta, la Chiesa vede bene il cammino da seguire, sotto la guida sicura e rigorosa del pontefice".
L’auspicio formulato dal portavoce di Benedetto XVI è che "questo travaglio possa essere alla fine di aiuto alla società nel suo insieme per farsi carico sempre meglio della protezione e della formazione dell’infanzia e della gioventù".
Ieri l’edizione online dell’autorevole quotidiano liberal di Monaco di Baviera, la Sueddeutsche Zeitung, aveva scritto che negli anni Ottanta un sacerdote pregiudicato per violenze pedofile fu trasferito da Essen in Baviera, nel periodo in cui l’attuale pontefice Benedetto XVI era arcivescovo di Monaco e Freising e quindi teoricamente massimo responsabile di ogni affidamento di missione e trasferimento di sacerdoti. In Baviera, il prete pregiudicato si abbandonò di nuovo a violenze pedofile e attualmente esercita ancora il suo ministero nell’Alta Baviera
* la Repubblica, 13 marzo 2010
intervista a mons. Luciano Pacomio
“Nessuna immunità, siamo tutti uguali”
a cura di Giacomo Galeazzi (La Stampa, 13 marzo 2010)
«Tutti i battezzati sono uguali davanti alle leggi della Chiesa. Anche il Papa». Il vescovo Luciano Pacomio, commissario Cei per la Dottrina della fede è sicuro che «Joseph Ratzinger saprà fornire tutte le necessarie spiegazioni», ma chiarisce che «per il diritto canonico non esiste immunità a nessun livello della gerarchia ecclesiastica».
Il Papa può essere chiamato a rispondere della propria condotta quand’era arcivescovo di Monaco?
«Per il diritto canonico sì. La distinzione giuridica per la Chiesa è tra chi è battezzato e chi non lo è. Per il resto si è tutti uguali davanti alla legge. L’uguaglianza nell’umanità e nella fede rende tutti i battezzati soggetti di diritti e di doveri, incluso il Pontefice. In questa bufera viene coinvolto il periodo in cui il Santo Padre era in Germania alla guida dell’arcidiocesi di Monaco di Baviera. E di questo è chiamato ora a rendere conto Joseph Ratzinger».
Anche se ora è il Pontefice?
«Tecnicamente, il fatto che venticinque anni dopo quelle vicende Joseph Ratzinger sia stato eletto Papa, non lo esime dal dover rendere conto della sua condotta da arcivescovo di Monaco. E nessuno più di lui ha le carte in regola per far luce su ciascuna fase storica del suo servizio alla Chiesa. Come responsabilità a qualunque livello, l’immunità nella Chiesa non esiste. Il problema è accertare se da arcivescovo Joseph Ratzinger fosse a conoscenza o no dello scandalo finito oggi sotto i riflettori dei “mass media”. Il punto è verificare se abbia avuto o meno la responsabilità di una omissione, di un mancato avviso, di una decisione non presa».
Qual è il suo giudizio?
«Io sono sicuro che fosse all’oscuro di tutto, altrimenti sarebbe intervenuto nel modo più intransigente e limpido. In genere queste cose aberranti avvengono all’insaputa di chi ha autorità. Basta che il sacerdote direttamente colpevole non parli dell’accaduto e il vescovo suo superiore non viene a saperlo. Non si tratta però di fare distinzioni tra chi resta vescovo e chi diventa Papa».
Perché?
«Il diritto canonico vale sempre. Il Papa assomma in sé i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Chi è il legislatore non può andare contro la legge, anche se è superiore alla legge. Nello scandalo esploso a Monaco va stabilita la verità dal punto di vista della responsabilità, bisogna accertare come siano andate veramente le cose. Deve essere lo stesso Joseph Ratzinger a chiarire la sua posizione rispetto al presidente della conferenza episcopale tedesca perché la vicenda risale a quando era arcivescovo in Germania».
In che modo?
«Ciascun vescovo è responsabile del periodo in cui regge una diocesi nella misura in cui abbia fatto qualcosa o abbia omesso di intervenire o, pur essendo avvisato, non abbia agito. Per la tipologia di persona che è Joseph Ratzinger ritengo che non fosse a conoscenza degli abusi perpetrati a Monaco nei suoi anni. Da sempre il Santo Padre è rigoroso e molto attento alle forme di giustizia, come attestano le singole, durissime decisioni che ha assunto anche quando riguardavano autorevoli personalità della Chiesa. L’ipotesi più probabile è che non fosse stato avvisato, che non ne fosse cosciente e che perciò non abbia coinvolto altri nelle decisioni».
E’ tecnicamente possibile un Papa «sotto processo»?
«Joseph Ratzinger, come tutti, non può essere soggetto del diritto canonico e sottoposto alla giustizia ecclesiastica se non per un’autentica, comprovata omissione o, peggio, per una vera azione di tacitazione degli abusi sessuali commessi da esponenti del clero a Monaco negli anni di sua responsabilità. In teoria è previsto anche per il Papa l’istituto delle dimissioni volontarie. A livello di diritto canonico può darle, ma nessuno può con autorità imporle. Ma non è ovviamente questo il caso».
Se sapeva e ha taciuto ne risponderebbe anche adesso?
«Dovrebbe attestare i fatti e rendere conto della la situazione in cui si trovava da arcivescovo. Serve cautela. Non perché ora è Papa ma perché in queste cose chiunque diventa responsabile solo di fronte alla vera omissione o, peggio ancora, se ha manovrato per nascondere gli avvenimenti. Dal punto di vista giuridico il Papa non è sciolto dalla legge. Anche lui è tenuto al rispetto delle norme canoniche. Tutti siamo soggetti alla legge e dobbiamo rispondere per aver omesso interventi chiarificatori o denunce dei colpevoli. Ognuno di noi porta le proprie responsabilità per il momento storico in cui le ha vissute».
La lettera ai vescovi irlandesi "Avete tradito la Chiesa"
Ratzinger ai preti pedofili "Vi condanno senza appello"
Ecco la lettera di Benedetto XVI ai vescovi irlandesi: "Sdegno profondo"
Quei religiosi hanno tradito il mandato evangelico e messo a repentaglio la vita di tante giovani vittime Gli abusi sui minori sono un segno contrario al Vangelo della vita Le ferite procurate da simili atti sono profonde ed è urgente ristabilire la fiducia e la verità di ciò che è accaduto in passato per evitare che simili drammi si ripetano in futuro
di Orazio La Rocca (la Repubblica, 20.03.2010)
CITTÀ DEL VATICANO - «Lettera pastorale ai fedeli irlandesi per il tempo di Quaresima». Salvo sorprese dell’ultima ora, sarà questo il titolo della lettera scritta da Benedetto XVI alla Chiesa d’Irlanda travolta dallo scandalo dei preti pedofili. Sacerdoti che - scrive tra l’altro Ratzinger - con la loro «condotta» hanno tradito «il mandato evangelico» e messo a repentaglio la vita di tanti giovani vittime, «meritevoli» per questo di una «condanna senza appello» da parte della Chiesa e della giustizia civile dopo regolari processi.
Il Papa l’ha firmata ieri mattina, festività di S. Giuseppe, «custode della Sacra Famiglia e patrono della Chiesa universale», come lo stesso pontefice aveva specificato all’udienza generale di mercoledì scorso, preannunciando la pubblicazione della lettera col chiaro intento di sottolineare la non casualità del giorno scelto per firmare quello che viene universalmente considerato come il documento più sofferto del suo pontificato. Un testo in cui il Pontefice esprime tutto il suo «sdegno» per quanto avvenuto negli anni passati in Irlanda, dove - secondo anche 2 inchieste governative - nella diocesi di Dublino una quarantina di bambini e bambine hanno subito violenze sessuali da sacerdoti e religiosi.
La lettera - 11 cartelle, tradotte in diverse lingue, tedesco compreso - sarà distribuita questa mattina, alle 11 nella Sala Stampa della Santa Sede dove il direttore e portavoce papale, padre Federico Lombardi, terrà anche un breve briefing per rispondere alle domande dei giornalisti. Stando a quanto trapelato ieri ufficiosamente in Vaticano, il Pontefice nel testo sintetizza quanto già detto sul drammatico tema delle violenze sessuali a minori nella Chiesa cattolica durante i recenti viaggi fatti negli Usa e in Australia, e nel corso delle due udienze concesse l’11 dicembre 2009 e il 16 febbraio scorso ai vescovi irlandesi.
«Gli abusi sessuali sui minori - scrive tra l’altro Ratzinger - sono un segno contrario al Vangelo della vita», generano «dolore nella Chiesa» e procurano «danni indescrivibili alle vittime e alla comunità...». Ed ancora: gli abusi sessuali su minorenni «da parte di alcuni sacerdoti generano vergogna» sono atti di «grave tradimento della fiducia» loro riposta. Le vittime, per il Papa, non vanno mai «dimenticate». Chi ha subito violenza deve ricevere «compassione e cura», mentre i responsabili di atti così «abominevoli» vanno «portati davanti alla giustizia» per «essere condannati in modo inequivocabile».
Le «ferite» procurate da «simili atti» - scrive il Papa - «sono profonde ed è urgente ristabilire la fiducia e la verità di ciò che è accaduto in passato per evitare che simili drammi si ripetano in futuro». Ai cattolici irlandesi - ma il richiamo è estensibile anche in quegli altri paesi dove si sono verificati analoghe violenze come gli Usa, la Germania, l’Olanda, l’Austria - Benedetto XVI ricorda, comunque, che «il grande impegno della maggioranza di sacerdoti e religiosi di Irlanda non deve essere oscurato dalle trasgressioni e dai tradimenti di alcuni loro confratelli...». Per il futuro, Ratzinger alla Chiesa chiede un impegno maggiore per «la difesa dei bambini» e ai sacerdoti di sforzarsi ancora di più «nella preghiera e nella santificazione lungo il cammino tracciato da Gesù».
La strada sbagliata del diritto canonico
di GIAN ENRICO RUSCONI (La Stampa, 26/3/2010)
Povera Chiesa. Si sente ingiustamente attaccata, diffamata, umiliata per comportamenti che essa stessa considera orribili peccati. Si sente colpevolizzata per aver cercato di arginare in silenzio il male commesso da alcuni suoi rappresentanti, per aver tentato di contenerne gli effetti nefasti. Per aver tentato di isolare i responsabili senza infierire su di essi. In breve, si sente vittima di un inatteso rigurgito antireligioso.
È questo ciò che pensano le autorità ecclesiastiche, che prendono la parola pubblicamente in queste settimane, di fronte all’inarrestabile torrente di rivelazioni sugli abusi e le violenze contro i minori, in tutte le parti del mondo. È sorprendente però che in questo contesto non sia emerso che cosa la Chiesa abbia fatto per risarcire (spiritualmente!) le vittime. Ma supponiamo che lo abbia fatto con umiltà e generosità. In silenzio.
Eppure c’è un terribile equivoco in questo comprensibile atteggiamento. Il silenzio non è più una virtù. Gli uomini di Chiesa non capiscono che hanno a che fare con un profondo mutamento della sensibilità pubblica. Con un’etica pubblica che essi - convinti di essere esperti di comunicazione sociale - non hanno saputo cogliere né tanto meno interpretare. È penoso sentir dire che i comportamenti patologici denunciati sono gli effetti del «relativismo» e del «permissivismo amorale», alludendo in particolare all’apertura verso l’omosessualità.
Nei casi di pedofilia si tratta invece di fenomeni radicati antropologicamente, che sono esaltati, se non prodotti, da particolari condizioni ambientali e istituzionali (di istituzioni più o meno chiuse) ma sono presenti nello stesso ambito familiare.
Povera Chiesa, se per reagire a tutto questo - oltre ad assicurare per il futuro assoluta inflessibilità, e chiedere scusa per lo scandalo dato ai fedeli - continuerà ad avere come criterio primario di orientamento la difesa ad oltranza delle istituzioni coinvolte. E come strumento di giudizio il codice di diritto canonico. In altre parole se continuerà a considerare la problematica che è esplosa come una questione trattabile con gli strumenti della legislazione ecclesiastica interna.
In questi mesi i non esperti di diritto canonico hanno appreso con stupore l’assoluta inadeguatezza di tale codice nella definizione del crimine (o se vogliamo, del peccato) della pedofilia e della fenomenologia connessa. Come si può punire un crimine (o un peccato) anzi individuarne l’eccezionale gravità morale, se mancano gli strumenti della sua definizione? Senza contare la posizione di insindacabile potere discrezionale e decisionale della massima autorità della Chiesa su questa tematica.
Ma - ripeto - la questione non è giuridica bensì di sensibilità morale. E qui tocchiamo un punto cruciale. A una malriposta, anche se soggettivamente benintenzionata disponibilità a non infierire (uso questo termine soltanto per capire le autorità ecclesiastiche giudicanti) contro i preti pedofili, corrisponde un atteggiamento assolutamente inadeguato verso la sessualità come tale.
L’associazione che è stata fatta nelle settimane scorse - anche a livelli alti della gerarchia - tra la questione della pedofilia, il celibato dei preti e la posizione della donna è un’associazione impropria. Ma in modo improprio appunto segnala l’enorme rilevanza della problematica della sessualità che la Chiesa cattolica non sa ancora affrontare in modo maturo.
Si tratta invece di una questione di importanza pedagogica, pubblica e civile di prima grandezza. Anche in Italia dove, più che altrove, alla Chiesa è di fatto demandato informalmente (ma quotidianamente confermato dalla classe politica al governo) il ruolo di garante ed espressione dell’etica pubblica. Dove la Chiesa con la sua rete di istituzioni di ogni ordine e grado si presenta come il modello educativo per eccellenza. Il fatto che sinora in Italia non si sia verificato (nei fatti o nelle denunce - poco importa) nulla di paragonabile a quanto è accaduto in Irlanda, negli Stati Uniti o nelle vicine Germania e Austria, non è un buon motivo per assumere un atteggiamento tra il vittimistico e il risentito.
In Germania il governo ha preso la coraggiosa iniziativa di riconoscere l’esistenza di un’emergenza pedagogica il cui decorso non può essere lasciato agli scoop mediatici, alle contestazioni contro il Papa o alle transazioni private tra vittime, avvocati e istituzioni coinvolte. Si è davanti a una situazione che esige la piena e leale collaborazione dell’istituzione ecclesiale con la magistratura e con le autorità scolastiche. Il governo ha incaricato collegialmente tre delle sue ministre (Educazione, Famiglia, Giustizia) a gestire l’operazione.
Non oso pensare a un’iniziativa analoga nel nostro Paese. Eppure è anche così che si misura la maturità o l’immaturità di una società civile.
Non so come la gerarchia della Chiesa si comporterà nelle prossime settimane soprattutto se l’ondata delle denunce non dovesse diminuire. Il coinvolgimento diretto di alcune alte personalità in alcuni episodi passati, a motivo del loro ruolo d’autorità allora svolto, solleva la questione della insindacabilità e della discrezionalità assoluta dell’autorità ecclesiastica, ricordata sopra parlando del codice di diritto canonico. Invece soltanto la piena trasparenza dei processi decisionali e l’approfondimento radicale della tematica della sessualità sarebbero la risposta adeguata - almeno per il futuro - a molte obiezioni. Ma una Chiesa che ha paura del fantasma del Concilio Vaticano II ha la forza di fare questa piccola rivoluzione?