Lettera aperta a don Gelmini
di Fausto Marinetti
Se volete fare un "Gelmini day" fatelo in P.zza San Pietro per chiedere perdono alla vittime dei preti pedofili *
10.8.2007
Caro don Pierino,
all’avvicinarsi [il 15 p. v.] del "Gelmini-Day", perché non collaborare con la verità e la giustizia?
Sei la persona più indicata, perché hai la stoffa del martire, come dice il tuo portavoce, che ti mette alla pari di Cristo, "tradito" come Giuda. Sei un uomo votato agli altri, che non ha neppure bisogno del "santo subito". Sei uno che sfida tutti quanti, Dio compreso: «A costo di strisciare per terra, voglio andare avanti. Cadrò quando Dio vorrà, ma rimarrò in mezzo ai miei ragazzi, qualsiasi cosa pensino di me».
E allora, affinché la tua apoteosi sia piena, perché, invece di cantare le tue litanie ad ogni comunicato stampa, non inviti tutti gli abusati a venire alla luce? Suvvia, sottoponiti spontaneamente a una specie di prova del fuoco. Sii tu a lanciare una santa proposta o, se vuoi, una crociata: in tutte le chiese le vittime di qualsiasi pedofilia siano esortate a farsi avanti; si metta su tutti i blog cattolici e non-cattolici un invito a ripulire la chiesa dalla "sporcizia" dei preti pedofili; ogni episcopio, ogni parrocchia abbia un numero verde per le vittime. Non sarebbe il più bel servizio di testimonianza ai tuoi figli e aficionados? Non sarebbe il segno più efficace che prendi sul serio quel Cristo, che grida ancora: "Chi scandalizza un bambino meglio per lui mettersi una macina da mulino al collo e buttarsi in mare"?
Stai tranquillo, sei al sicuro nella mani di Dio e della magistratura umana. Chi non ha debiti da saldare non ha bisogno di sbraitare, attaccare ebrei, massoni, gay, "magistrati mascalzoni", ecc. Hai visto? Le tue esternazioni hanno fatto un certo effetto perfino al tuo avvocato, perché sei "ingestibile". Anche qualche prelato, a titolo personale (secondo lo stile della diplomazia vaticana) ti invita a metterti da parte. Come mai a te non viene applicata la regola d’oro della "tolleranza zero"? Il manuale dei prelati americani (loro si, che se ne intendono) prevede che il solo sospetto di abusi sessuali su minori, è sufficiente per mettere subito il prete in isolamento. Una misura precauzionale (non è mai troppa) per prevenire possibili ricadute e perché fedeli e genitori hanno diritto alla massima sicurezza dei loro figli, siano essi chierichetti, ragazzini del catechismo, seminaristi, tossici, ecc. E allora perché a te è riservato un trattamento speciale, per cui non ti viene imposto, ma sei "invitato" a tirarti da parte?
[Vale la pena ricordarti che don Zeno, al quale pensi di assomigliare, non solo aveva in orrore qualsiasi forma di assistenzialismo, ma riteneva che l’unico ambiente educativo è la famiglia di origine o adottiva. E’ evidente che la presenza di uomini e donne previene le aberrazioni degli ambienti a sesso unico, comunità terapeutiche e seminari compresi, che negli USA si sono rivelati vivai di omosessualismo; che ogni comunità è bene sia gestita da adulti e sia sotto il controllo dei laici, ecc.]
L’hanno capita anche in Vaticano: un’eccessiva auto-esaltazione rischia di essere, quantomeno, sospetta: "Chi troppo si loda, s’imbroda". Ti invitano a fare un passo indietro e tu ne fai due in avanti, paragonandoti ai "martiri", che hanno sofferto per mano di santa madre chiesa, come don Orione, p. Pio, don Zeno di Nomadelfia.
Non è vano ricordare la saggezza popolare: "Scherza con i fanti, non con i santi". Zeno prendeva i soldi dai ricchi, ma gli diceva in faccia: "I soldi non sono vostri, ma del popolo che lavora, suda e soffre". Non li blandiva con pagelle e onorificenze; non dedicava loro lapidi di benemerenza, ma, mentre con una mano prendeva i soldi, con l’altra puntava il dito, ricordando loro: "Il ricco? O iniquo o erede di un iniquo". Nessun vescovo ha mosso un dito per difendere Zeno "nell’ora di Barabba". L’hanno affogato, perché urlava ai politici (alleati, fin da allora, con la gerarchia ecclesiastica) il dovere della giustizia. Gridava in faccia agli uni e agli altri, come Giovanni Battista: "Fate i conti, fate i conti. Le calcolatrici davanti al confessionale! Senza giustizia non si può neanche parlare di cristianesimo". Per questo l’hanno eliminato.
Converrai che i tuoi fans, devoti, ammiratori, anche se per lo più fascisti o di destra (con qualche ingenuo sinistrorso), dovrebbero almeno stupire della tua tanto esaltata "Cristo-terapia". Che la religione offra delle buone ragioni per delle esistenze distrutte dalla "felicità chimica" è un conto, ma ridurre il Cristo ad una ricetta magica è un altro: lui non è venuto a rubare il lavoro a psicoterapeuti, psicologi e psichiatri (sarà utile rileggersi il testo di Marco Salvia, il quale ha affermato di aver voluto descrivere proprio te...).
Non si può mettere in dubbio la tua generosità: 250 case di recupero, 300.000 assistiti, salti mortali per i 5 continenti, zelo "eccessivo" per aiutare i "poveri drogati", ecc. Se hai fatto tanto del bene, non devi avere paura di niente, vero? E allora? Allora non senti quello che ti suggeriscono le vittime della pedofilia, comprese quelle che ti hanno denunciato?
"Caro don,
perché non vai fino in fondo al tuo cammino di gloria? La vita ti ha dato tutto: macchine, ville, soldi, soddisfazioni, gratificazioni, amici "onnipotenti", ecc. Di noi, gli intimi, quelli che più ti hanno dato soddisfazioni spirituali, hai detto tutto il male che hai potuto. Ci hai definito "quei quattro farabutti, quegli sbandati, quei delinquenti...". Ce lo meritiamo, certo, ma non siamo sempre tuoi figli? Noi, tutti i violentati dai preti (senza allusione a te, aspettiamo il giudizio degli addetti ai lavori), abbiamo perso tutto, anche noi stessi, non abbiamo più niente da perdere.
Allora ti facciamo una proposta: alle tue benemerenze ne manca una sola, un gesto coraggioso, degno di te. Lo vedi?, ad ogni momento, viene fuori "un pezzo" di pedofilia clericale. Perché, sia pur innocente, non prendi in mano la bandiera degli "agnelli immolati"? Fino a quando non si avrà la forza di chiedere perdono a chi è stato distrutto non solo nel corpo, ma anche nell’anima dai rappresentanti di Dio, come potremo credergli? Se sei buono, come affermano i tuoi devoti ("È un padre e un santo"), perché non prendi l’iniziativa?
Lo sai: chi è stato "assassinato nell’anima", solo dopo anni di tortura interiore, di incubo notturno ha il coraggio di buttare fuori la verità. Se proprio i tuoi figli e ammiratori ci tengono, se proprio un "Gelmini-day" s’ha da fare, ebbene facciamolo come si conviene ad un patriarca come te: in piazza S. Pietro con tutte le tv del mondo.
Ma, sia chiaro, stiano a casa i leccapiedi. Solo tu, con il papa, i cardinali, i vescovi e noi, le vittime dei vizietti clericali, con i nostri parenti ed amici. Voi, sommi sacerdoti, vestiti di sacco, la testa coperta di cenere, vi inginocchierete davanti a noi (tutti gli abusati del mondo, compresi quei dieci, che ti hanno denunciato), ci laverete i piedi, li bacerete (quelli sì) e direte, urbi et orbi: "Vi chiediamo perdono in nome dei nostri confratelli preti e vescovi, che hanno calpestato anime fragili, le quali hanno visto in noi dei padri, che si sono rivelati dei traditori; chiediamo perdono per non aver fatto tutto quello che era in nostro potere per prevenire il delitto. E siccome non basta chiedere scusa a parole, ci impegniamo a risarcire i danni per giustizia. Vogliamo riparare le nostre colpe. Vi chiediamo perdono anche di avervi calunniato, dicendo che siete dei farabutti, sporchi ricattatori, che volete il nostro denaro (che è dei fedeli, dei genitori delle vittime e dei benefattori). Vi spetta per diritto, non per elemosina: un dovuto atto di GIUSTIZIA.
Noi, le vittime, solo a queste condizioni, assolveremo preti e prelati, alleggerendo la vostra coscienza e vi daremo la giusta penitenza: pane ed acqua per il resto dei vostri giorni. Ma non potremo opporci, anche se lo volessimo, al corso della giustizia, il quale non può che finire in una santa prigione. Solo lì la vostra coscienza troverà pace, lavandosi, giorno e notte con lacrime di dolore.
Così sia".
PS. Notizia dell’ultima ora: il portavoce di don Gelmini, Alessandro Meluzzi, dirotta l’annunciato "Gelmini-day" su un giorno di festa e di preghiera ad uno dei protettori della comunità: S. Michele Arcangelo, perché è "l’unico che può sconfiggere i demoni che stanno arrivando da ogni parte".
"Caro don, anche noi pregheremo con te, per te. Ma la proposta di cui sopra, è sempre valida, anzi raccomandabile".
* Il dialogo, Venerdì, 10 agosto 2007
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Don Gelmini rinviato a giudizio
per molestie sugli ospiti della comunità
Il fondatore della Comunità Incontro sarà processato il 29 marzo 2011. Lo ha deciso il Gup di Terni, Pierluigi Panariello, sulla base delle accuse e delle testimonianze di 12 giovani. Il religioso, assente in aula, ha sempre rivendicato la correttezza del suo operato *
TERNI - Don Pierino Gelmini è stato rinviato a giudizio per avere molestato sessualmente 12 giovani quando erano ospiti della Comunità Incontro di Amelia. La decisione è stata presa dal gup di Terni Pierluigi Panariello. Uno dei legali del religioso, l’avvocato Lanfranco Frezza, aveva chiesto il non luogo a procedere. Nel dispositivo letto in aula, a porte chiuse, il gup ha indicato genericamente il rinvio a giudizio del sacerdote. Il processo comincerà il 29 marzo 2011. Nel corso dell’udienza preliminare sono stati sentiti una decina degli accusatori di don Gelmini con la formula dell’incidente probatorio, le loro dichiarazioni avranno quindi valore di prova al processo.
Il sacerdote, non presente in aula, ha sempre rivendicato la correttezza del suo operato. Che don Gelmini fosse indagato dalla Procura di Terni per abusi sessuali si apprese nell’agosto 2007, quando emerse che le presunte molestie risalivano al periodo 1999-2004. All’epoca dei fatti, almeno due delle presunte vittime erano minorenni. La Procura umbra concluse le indagini già alla fine del 2007, sollecitando nel marzo 2008 il rinvio a giudizio di don Gelmini per violenza sessuale, ritenendo attendibili i racconti degli ospiti della struttura di Amelia, che hanno affermato di essere stati "molestati, palpeggiati, costretti ad atti sessuali".
Nell’ambito dell’udienza preliminare, è stato invece assolto "per non avere commesso il fatto" Gianpaolo Nicolasi, uno dei collaboratori di don Pierino Gelmini che ha chiesto e ottenuto di essere processato con il rito abbreviato.
Per un altro collaboratore, Pierluigi La Rocca, era stata già dichiarata l’estinzione del reato in seguito alla sua morte. Il gup ha inoltre rinviato a giudizio Patrizia Guarino, madre di uno degli accusatori di don Gelmini, accusata di favoreggiamento e di rivelazione di segreti inerenti un procedimento penale. Anche per lei il processo comincerà il 29 marzo del 2011.
* la Repubblica, 18 giugno 2010
Omissioni e abusi di nostra madre chiesa
Un viaggio attraverso gli scandali che stanno investendo il Vaticano e che, dall’Irlanda agli Stati Uniti, non risparmiano certo l’Italia
di Vania Lucia Gaito (il Fatto, 24.03.2010) *
IL CORAGGIO DI PARLARE
MI CHIAMO MARCO MARCHESE. Sono stato abusato per quattro anni, da quando ne avevo dodici. Ero in seminario, pensavo di avere la vocazione”. Cominciò così, diretto, chiaro. Secco come uno schiaffo. “All’epoca abitavo a Favara, vicino ad Agrigento. Sono nato in Germania, poi quando avevo otto anni ci siamo trasferiti in Sicilia. Volevo diventare prete, almeno lo credevo. Sicché entrai in seminario: fu lì che accadde. All’epoca don Bruno era un assistente, un diacono. Divenne prete l’anno successivo. Mi legai fortemente a lui: sembrava una persona affettuosa, e io mi trovavo fuori di casa ed ero piccolo. Mi circondava di attenzioni. Il seminario, sa, è un po’ come un collegio: si mangia lì, si dorme lì. Andavamo a trovare la famiglia una volta alla settimana, spesso ogni due. Inserirsi è difficile, e trovarsi accanto una persona che si mostra amichevole, affettuosa, fa sentire meno soli”. Parlando, cincischiava con il tovagliolo di carta, un tormento gli mangiava le dita, guardava il piattino, la tazzina, il tavolo. Poi mi posò addosso il suo sguardo malinconico. “Accadde una domenica pomeriggio. Era dicembre, e fuori pioveva. In genere, nei pomeriggi di domenica, si giocava a calcetto nel cortile del seminario. Invece quella volta don Bruno venne da me e mi invitò nella sua camera a riposare. Accadeva spesso che noi ragazzi entrassimo nelle camere degli assistenti. Magari per fare due chiacchiere. Invece quel pomeriggio lui mi spogliò, mi baciò, e poi... poi abusò di me”. Per un attimo la voce vacillò, sembrò sul punto di rompersi, ma riprese. Con lentezza, in un rievocare che dava ancora dolore. “Dopo lui andò in bagno. Quando tornò mi chiese solo: ‘Ti sei sporcato?’. Mi diceva di non preoccuparmi, che non c’era nulla di male. La nostra era solo un’amicizia, un’amicizia particolare, ecco. Così mi diceva. E io gli credevo. Non avevo mai avuto esperienze sessuali, e gli credevo. Mi diceva che era normale, che era giusto. Mi diceva anche che non dovevo dirlo a nessuno, perché avrei suscitato invidie, gelosie. E io non lo dissi a nessuno. Neanche quando l’abuso si ripeté. E poi si ripeté ancora, e ancora. Soprattutto quando pioveva. Veniva a chiamarmi e io andavo da lui”. Sul suo volto fiorì un sorriso amaro, una smorfia alla propria ingenuità di un tempo. “Del resto, io mi ero convinto che la nostra fosse un’amicizia ‘divina’, come diceva lui. Era un uomo di Dio: con lui pregavo, mi fidavo. Ciecamente”.
“E poi? Che cos’è accaduto?” “Dopo un anno, lui divenne prete e lasciò il seminario. Però i nostri rapporti divennero ancora più stretti, perché divenne il mio padrino di cresima. Così, nei fine settimana che avevo a disposizione e durante le vacanze, andavo a trovarlo nella sua parrocchia. E accadeva anche lì. In sacrestia. A casa sua. Nel pomeriggio. Anche la sera, se restavo a dormire. Per quattro anni”. [...] Alla fine in tribunale non ci erano arrivati. La trasmissione [Mi manda Raitre del 15 dicembre 2006, ndr] aveva sollevato un grosso scalpore, l’avvocato della Curia aveva saputo attirare perfino le antipatie dei cattolici più accesi. Il vescovo aveva dovuto fare marcia indietro e ritirare la richiesta di danni. Anzi, fece di tutto per evitare il processo civile. Don Bruno firmò un accordo con il quale riconosceva ogni responsabilità e si impegnava a corrispondere a Marco un risarcimento per i danni morali. “Si trattava di cinquantamila euro”. Le mani adesso riposavano tranquille sul tavolo, accanto alla tazzina. “Li ho impiegati per sovvenzionare la mia associazione. Si chiama Mobilitazione Sociale. Ci occupiamo soprattutto di ascoltare e aiutare i bambini vittime di abusi”. Per la prima volta sorrise davvero. Un sorriso aperto, giovane, fiducioso. Durò solo un attimo. “C’è talmente tanto da fare, e se ne sa così poco. Il mio non è un caso isolato. Anzi. Le associazioni contro la pedofilia ricevono migliaia di telefonate, di e-mail, di segnalazioni. Non ci sono solo io. La maggior parte delle vittime non ha il coraggio di denunciare. Subisce e tace. Nonostante i dolori dentro, nonostante gli incubi, i malesseri, il desiderio di morire”. Il sole era scomparso dietro le case, il cielo scuriva, e in via dell’Orologio si accendevano i lampioni. Nell’aria tiepida della sera, la gente sciamava verso i locali, i bar, i ristoranti. Per i vicoli rimbalzavano richiami, chiacchiere, risate. Le donne avevano vestiti leggeri che ondeggiavano intorno alle gambe, tacchi che si impigliavano tra le “balate”, sorrisi come lampi di bianco. Gli uomini profumavano di dopobarba e lanciavano occhiate alle ragazze. Sembrava una serata qualunque. Il viaggio nel silenzio era appena incominciato.
DON GELMINI: “SCHERZI DA PRETE”
“Non mi hanno creduto nemmeno quando per loro facevo il corrispondente lì in Bosnia. La mia strada e quella di don Pierino si sono incrociate molte volte. In un certo momento della mia vita sono finito a vivere in un borgo della Sabina, Castel di Tora, dove il ‘Don’ aveva messo su una comunità spirituale. C’era un numero ristretto di ragazzi, tutti piuttosto avvenenti, ma ben poco spirituali. Andavano di nascosto a comprar vino e alcolici in paese. Con un paio di loro feci amicizia, entrai in confidenza. Mi confermarono quello che già sapevo. Monsignor Giovanni d’Ercole, funzionario del Vaticano con il quale ero in rapporti per via del mio lavoro, lo sapeva. L’avevo informato anni fa su don Pierino: gli avevo detto tutto, che adescava i ragazzi, che molti anni prima aveva adescato anche me assieme a un amico, e che ora era accusato dai suoi ragazzi di molestie sessuali. Padre Federico Lombardi, all’epoca direttore dei servizi giornalistici di Radio Vaticana, lo sapeva. Durante un’accesa discussione glielo dissi in faccia chi erano e cosa erano stati certi preti per me, gli dissi di don Pierino e di come l’avevo conosciuto, non batté ciglio. Poco dopo gli mandai una lettera. Lo informai fino ai dettagli: manco mi rispose. Scrissi anche alla Procura di Terni, ho fatto un esposto senza firmarmi. Mia madre era ancora viva, avevo due figli piccoli. Lottavo nella totale solitudine, e poi avevo paura che mi accusassero di smania di protagonismo. Ma lo sapevano tutti. Uno di quelli che sapevano era il vescovo di Terni, monsignor Gualdrini. E poi lo dissi al segretario della Cei, che mi attaccò il telefono in faccia. Lo dissi a monsignor Salvatore Boccaccio al tempo vescovo di Poggio Mirteto e ora di Frosinone, telefonai a don Ciotti: era perplesso, mi disse di avere le mani legate”. “Ho un dubbio atroce, Bruno. Se lo sapevano tutti, com’è stato possibile che lasciassero centinaia di ragazzi inermi nelle mani di qualcuno che avrebbe potuto approfittarsi della loro debolezza, del loro bisogno di aiuto, del loro bisogno di protezione?”. Mi guardò con amarezza, si passò una mano irruvidita in mezzo ai capelli grigi, a pettinare i pensieri. “Lo sapevano perché io lo avevo detto, e non ero mica il solo. I ragazzi della comunità lo sapevano tutti. Chi non ci stava veniva allontanato, oppure se ne andava da solo. Nessuno si è mai preso la briga di vedere cosa succedeva in queste comunità”. [...]
Di quella giornata, un ospite mi raccontò: “Il più bel regalo di compleanno, ottant’anni ieri, don Pierino Gelmini l’ha avuto da Silvio Berlusconi: dieci miliardi di vecchie lire. Il più bel regalo, senza compleanno, Berlusconi lo ha avuto da don Gelmini, sempre ieri, che ha ordinato di accoglierlo con un canto di ‘Alleluja’ a tutto volume. Ovunque entrasse il premier, prima nella sala mensa e poi nell’auditorium della ‘Comunità Incontro’, veniva preceduto dalle note gloriose riservate, in Chiesa, a onorare il Signore. Un incontro di due ego travolgenti quello di ieri ad Amelia, nella struttura per il recupero dei tossicodipendenti nata nel 1979. Don Gelmini che spiegava al premier: ‘Preferirei essere Papa che capo del governo’. Berlusconi che gli diceva, dopo avere visto i preti, destinati alla successione da don Pierino, inginocchiarsi e promettergli fedeltà: ‘Mi hai dato un’idea, quasi quasi chiamo i miei ministri azzurri e li faccio inginocchiare davanti a me...’. Una festa-show con Gigi D’Alessio che cantava la sua nuova canzone Non c’è vita da buttare dedicata ai ragazzi persi e che salutava Berlusconi con un ‘salve collega’. Amedeo Minghi che dedicava un videoclip a don Pierino. Ad Amelia, per omaggiare questo fenomenale prete, ‘esarca’ precisa lui, che a ottant’anni ha una vitalità e un’energia travolgenti, sono arrivati in tanti a iniziare dal capo del comitato dei festeggiamenti, il ministro delle Telecomunicazioni Maurizio Gasparri. C’erano anche il ministro Rocco Buttiglione, il ministro Lunardi, Gustavo Selva, una sfilata di sottosegretari. Della prima Repubblica c’era l’ex ministro De Lorenzo che sembrava avere una missione: parlare con Berlusconi. E quando c’è riuscito, l’ha baciato, anche. A rappresentare l’opposizione, la presidente della Regione Maria Rita Lorenzetti, che nel salutare il padrone di casa, seduto nell’auditorium in prima fila vicino a Berlusconi, gli ha riconosciuto il grande impegno nella lotta contro la droga, ma ha anche detto: ‘Non siamo d’accordo su molte cose’. Non c’era il fratello di don Pierino, padre Eligio stava male. Una giornata lunga, iniziata di mattina presto nello studio privato di don Pierino dove sono arrivati in tanti a salutarlo, molti genitori di ragazzi salvati dalla comunità. Un padre è entrato piangendo, con una busta da lettera in mano piena di soldi da offrire a colui che aveva ridato la vita a suo figlio. ‘Era rinato qui dentro, purtroppo poi fuori non ce l’ha fatta’. Don Pierino ha preso la busta e lo ha abbracciato. ‘Suo figlio era un cantautore’, ha spiegato poi. A mezzogiorno tutti a messa. Don Pierino è entrato tra due ali di sacerdoti, seguito dal cardinale Jorge Maria Mejia. Mischiato tra i concelebranti c’era anche Alessandro Meluzzi, ex deputato azzurro, psichiatra fino a qualche giorno fa impegnato a commentare in tv gli irrecuperabili de L’Isola dei famosi, e adesso qui, in comunità di recupero, in un angolo di Umbria, con il saio da frate e la croce indosso. Nelle pause del serrato programma, Rocco Buttiglione ha parlato della sua prossima terza prova da nonno, la figlia partorirà ad agosto, e ha rivelato di aver cambiato idea su quale sia la vera vocazione della donna: ‘Credevo che fosse essere mamma. A un certo punto ho anche pensato che potesse essere suocera. Adesso che vedo mia moglie con i nipoti ho capito che la vera vocazione è quella di essere nonna. Un ruolo che la ringiovanisce di vent’anni’. Come sempre, era difficile capire se scherzava o diceva sul serio”.
IL CASO AMERICANO
A Boston cominciò così. In sordina, senza troppo rumore. L’avvocato che mise la prima pietra aveva un nome armeno, difficile da pronunciare: si chiamava Mitchell Garabedian, e non era mai stato uno di quegli avvocati inseguiti dai giornalisti all’uscita dell’aula di dibattimento. Si era laureato all’Università statale, si era sempre occupato di piccoli casi. Insomma, uno sconosciuto. Uno fra i tanti avvocati di Boston. Gli piaceva il suo lavoro; certe mattine arrivava in ufficio prestissimo e andava avanti a lavorare fino a tarda sera. Era il 1994 quando un uomo era entrato nel suo studio, s’era seduto di fronte alla vecchia scrivania, e gli aveva parlato di padre Geoghan. Mitch non lo sapeva, ma quell’incontro avrebbe segnato la sua vita. “Ero un ragazzino normale” raccontò l’uomo all’avvocato, “andavo bene a scuola e mi piaceva lo sport. Facevo anche parte di una squadra. Non avevo neanche dodici anni, ma mi dicevano che ero un bravo atleta. I miei genitori erano orgogliosi di me. Poi arrivò lui. I miei si fidavano, lo consideravano quasi una persona di famiglia: lo invitavano a cena, a qualche partita di bridge, ai compleanni. Spesso, dopo cena, mi portava fuori a prendere un gelato, a fare un giro in macchina. Nessuno ha mai saputo che mi facesse quelle cose. Non lo dissi neppure a mia madre, a mio padre. Per loro, padre Geoghan era un buon amico, un amico di tutta la famiglia. Come potevo dirgli che mi faceva quelle cose? Stavo male. Riuscivo a fare solo questo: star male. Certi giorni non andavo nemmeno a scuola, agli allenamenti. Lasciai la squadra. E cominciai a bere. Ero solo un bambino, Dio mio, ero solo un bambino”.
GLI INTOCCABILI LEGIONARI DI CRISTO
Il potere della Legione di Cristo all’interno della Chiesa è tale che Lennon, uno degli accusatori di Maciel, parlando dei rapporti tra quest’ultimo e il Vaticano, affermò: “Maciel è intoccabile. Ha lavorato con molti Papi, conosce i procedimenti interni, conosce vescovi, conosce cardinali, conosce quelli che hanno realmente il potere, e li conosce bene, molto bene”. Alejandro Espinosa, nel libro El prodigioso ilusionista, il seguito di El legionario, avanza sospetti e ipotesi inquietanti sulla vita del fondatore dei Legionari di Cristo. Già in El legionario, Espinosa aveva fatto riferimento alle “morti provvidenziali” di alcuni nemici di Maciel, ma è soprattutto nel suo secondo libro che le ipotesi si fanno dettagliate. Espinosa parte dagli anni giovanili del sacerdote, dai tempi in cui frequentava il seminario retto da suo zio, il vescovo Rafael Guizar y Valencia, e sostiene che si siano verificate circostanze quanto meno singolari, coincidenze preoccupanti. Sembra che lo stesso giorno della sua morte, il vescovo avesse avuto un’accalorata discussione con Marcial Maciel, e avesse decretato la sua espulsione per mancanza di attitudine allo studio, per mancanza di spirito di sacrificio e di vocazione al sacerdozio, oltre che per avere saputo dei suoi approcci sessuali nei confronti di seminaristi più giovani. Pare sia arrivato perfino a dire che se avesse proseguito il cammino verso l’ordinazione si sarebbe 198 Viaggio nel silenzio esposto alla dannazione eterna. Rafael Guizar y Valencia morì poche ore dopo. Un dettagliato resoconto sulla sua morte, racconta che fu impossibile coricarlo nel letto e dovettero lasciarlo steso al suolo, spiegando che volle giacere lì “come san Francesco”. A dodici anni dalla morte, le spoglie del vescovo furono riesumate per essere trasportate dal cimitero di Xalapa alla Cattedrale: aprendo la bara, il corpo fu trovato integro, ma i suoi capelli bianchi erano diventati rossicci. Espinosa sostiene che Maciel possa aver avvelenato lo zio con il cianuro, secondo alcune confessioni che lo stesso Maciel gli avrebbe fatto quando Alejandro era stato in seminario, e la colorazione rossiccia dei capelli dovrebbe esserne testimonianza, così come l’impossibilità di trasportare il vescovo agonizzante nel letto, poiché le convulsioni e gli spasmi dell’avvelenamento sono tali da riuscire a fratturare la colonna vertebrale. Tuttavia, padre Rafael González Hernández, il sacerdote che si è occupato della canonizzazione del vescovo, smentisce assolutamente l’ipotesi di un omicidio: “Monsignore Guizar morì nel 1938 a causa di un’insufficienza cardiaca e di un attacco di diabete. Aveva sessant’anni ma era piuttosto malandato per aver speso la vita al servizio dei fedeli”. Espinosa prosegue con l’elenco delle morti “provvidenziali” tra quelli che disturbarono Maciel. Padre Francisco Orozco Yepes morì in strane circostanze, mentre viaggiava dall’Irlanda a Roma, dove aveva il fermo proposito di denunciare le perversioni di Marcial Maciel davanti alla Sacra Rota Romana. Non si sa che cosa o chi lo convinse ad abbandonare l’aereo allo scalo di Madrid, si sa solo che preferì affittare un’automobile all’aeroporto e fare migliaia di chilometri per raggiungere Roma, dove non arrivò mai.
Un vescovo del Messico, che si opponeva al riconoscimento canonico della Legione di Cristo, fu minacciato da Marcial Maciel durante una discussione, davanti a testimoni. Pochi giorni dopo, un camion investì l’automobile del vescovo: morirono due dei suoi quattro occupanti ma il prelato riuscì a uscirne indenne. Nello stesso mese, si verificò un secondo incidente con la stessa dinamica del precedente, questa volta con esito tragico per il vescovo. Anche la morte di Juan-Manuel Fernández Amenábar, come abbiamo visto, avvenne in circostanze singolari: soffocato da un pezzo di pollo mentre era in ospedale, dove si stava riprendendo da un ictus. Perfino Juan José Vaca temeva una reazione alla lettera che inviò a Maciel quando lasciò la Legione. Perciò quella lettera, nella quale gli rimproverava il danno irreparabile che gli aveva fatto e gliene domandava conto, conteneva un avvertimento: “Desiderando essere assolutamente sincero con lei, l’informo che l’originale di questo scritto, più altre undici copie, si trovano dentro buste sigillate, in un deposito inaccessibile agli indiscreti. Queste dodici buste recano già il nome e l’indirizzo dei destinatari - alte personalità della Chiesa e della società che, nel caso, conosceranno il loro contenuto - e immediatamente giungeranno nella mani dei destinatari, in due circostanze. La prima, nel caso in cui io muoia o sparisca inaspettatamente... “.
SILENZIO ASSORDANTE
Vania Lucia Gaito, psicologa, salernitana di origine, collabora dal 2006 con il blog di controinformazione “Bipensiero” sul quale, nel maggio 2007, ha trasmesso e sottotitolato il documentario della Bbc, “Sex crimes and Vatican”. Lo scoop del video, visto in Italia da oltre cinque milioni di persone, ha aiutato a uscire allo scoperto decine di vittime di abusi, le cui testimonianze sono in parte raccolte in “Viaggio nel silenzio”. “In quei giorni accadde anche qualcos’altro - scrive l’autrice - Alla mia casella di posta arrivarono centinaia di e-mail. Di protesta, di ringraziamento, di rabbia, di indignazione. E in mezzo a tante, c’erano anche le lettere di chi aveva subìto abusi. Vergognandosi di ciò che avevano patito. Le leggevo e sapevo che non potevo ritirarmi adesso, non potevo gettare solo uno sguardo su quello che avevo visto, appena dietro la porta”.
*“Viaggio nel silenzio”, edito nel 2008 da Chiarelettere, è stato ripubblicato di recente per i Tascabili degli Editori Associati.
Un libro scritto da un sacerdote anonimo raccoglie gli ultimi esposti alle procure
Sono gli stessi sacerdoti a raccontare vecchie storie di abusi, chiedendo che riaffiori la verità
Denunce e richieste di risarcimento ora la Santa Sede teme il fronte italiano
Papa Ratzinger ha esortato la Chiesa alla trasparenza, ma il Vaticano è preoccupato
di Marco Ansaldo (la Repubblica, 14.03.2010)
CITTÀ DEL VATICANO Forse era inevitabile. Di certo se l’aspettavano tutti, anche in Vaticano. Ma che lo scandalo dei preti pedofili arrivasse prima o poi anche in Italia sembrava più che un’ipotesi. Era una preoccupazione latente. Ora, una certezza, visto che le prime denunce sono già partite. Dopo i casi scoppiati negli Stati Uniti nel 2002, quelli in Brasile del 2005, le condanne in Australia nel 2008, il rapporto Murphy sugli abusi in Irlanda nel 2009, e le recentissime inchieste avviate nel 2010 in Germania, Austria e Olanda, la Santa Sede dovrà prepararsi per un nuovo fronte.
Non è stato infatti un caso se, solo pochi giorni fa, la diocesi di Bolzano e Bressanone, colpita dall’eco dello sconcerto provocato nella vicina area di lingua tedesca, ha indicato sul proprio sito un indirizzo e-mail al quale le vittime possono fare segnalazioni. Un’azione preventiva, avviata dal vescovo Karl Golser, nel segno della trasparenza totale raccomandata da Papa Ratzinger. Già l’altro ieri un altoatesino si è fatto avanti, raccontando al giornale Tageszeitung gli abusi subiti da ragazzo, negli Anni sessanta, da cinque frati durante un soggiorno estivo in un convento di Bolzano. Violenze avvenute «nei vigneti, in cantina e in stanza». Subito dopo è stata la volta di un ex studente di un collegio di Novacella, nei pressi di Bressanone, che ha denunciato anche frustate.
A Firenze è poi tornata alla ribalta ieri la vicenda di don Lelio Cantini, il prete colpevole di abusi sessuali contro minori compiuti fra il 1973 e l’87, da parroco della Chiesa "Regina della pace". Dopo lunghe vicende processuali, nel 2008 Cantini fu ridotto da Benedetto XVI allo stato laicale. Ora le sue vittime imputano alle autorità ecclesiastiche la «mancata consapevolezza delle loro responsabilità». Dice Francesco Aspettati, a nome di tutti: «Troppo facile offrire la testa del pedofilo di turno senza affrontare il vero problema: perché, quando abbiamo chiesto di essere ascoltati, la Chiesa ci ha prima intimato il silenzio, accusato di accanimento, e poi minacciato e invitato a dimenticare?».
Altre storie riemergono, descritte in dettaglio nel libro "Il peccato nascosto" (editore Nutrimenti, curato da Luigi Irdi) in uscita mercoledì. L’autore, che si firma come Anonimo sigla che comprende il contributo di più mani fra cui quella di un sacerdote che ha preferito non comparire in prima persona raccoglie le tante denunce arrivate di recente in varie Procure d’Italia. C’è la vicenda di un gruppo di bambine di un paese vicino a Cento, diocesi di Ferrara, abusate da don Andrea Agostini, condannato nel 2008 a 6 anni e 10 mesi di reclusione, e al risarcimento di 28mila euro. Il loro avvocato, Claudia Colombo, aveva anche scritto al cardinale di Bologna, Carlo Caffarra, chiedendo una presa di responsabilità della curia locale. Nel dispositivo della sentenza i giudici di primo grado hanno denunciato «il silenzio dei vertici ecclesiastici e la loro ritrosia a mettere sul tappeto le notizie sulle accuse che già da tempo circolavano».
Un altro caso descritto è quello di una parrocchia alla periferia nord di Roma, dove don Ruggero Conti, parroco della Natività di Maria Santissima, è stato processato nel febbraio 2008 al palazzo di giustizia di Roma per abusi sessuali nei confronti di sette ragazzi che hanno testimoniato le violenze al pubblico ministero Francesco Scavo.
Ma, fra i tanti, il caso forse più atroce è quello di Alice, una bambina di 8 anni di Bolzano, per un lungo periodo violentata, filmata, abusata con il messale in mano dall’educatore al quale i genitori l’avevano affidata per insegnarle il catechismo. L’accusato, don Giorgio Carli, affrontati tutti i gradi di giudizio per accuse che risalgono agli anni Ottanta e sempre condannato il 19 marzo 2009 viene «assolto» dalla terza sessione penale della Cassazione che dichiara quei reati prescritti per effetto della legge ex Cirielli. La sentenza, pur confermando l’autenticità dei fatti, può contemplare solo la condanna al risarcimento. Peraltro mai giunto.
Il Vaticano, che conosce molti dei casi, appare preoccupato. Non solo per una questione di immagine. Ma anche perché l’apertura del fronte italiano significherebbe l’avvio di cause di risarcimento di cui difficilmente le sole diocesi potrebbero farsi carico. La Curia teme questo rischio. In alcuni casi sono addirittura i sacerdoti a denunciare storie ormai sepolte, con documentazioni e dossier. Chiedono loro stessi trasparenza, perché la verità, dopo tanti anni, finalmente riaffiori.
Lo scandalo pedofilia arriva fino a Ratzinger
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 13 marzo 2010)
“Il Papa è sconvolto!”. Dal Vaticano il presidente dei vescovi tedeschi Zollitsch riferisce in diretta l’umore di Benedetto XVI. Poche ore dopo esplode il caso di un prete pedofilo a Monaco, quando Ratzinger era arcivescovo. Riferisce la Sueddeutsche Zeitung che, mentre Ratzinger guidava la diocesi, venne trasferito in città un prete con precedenti di abusi sessuali. Interpellato, l’arcivescovado di Monaco rivela adesso: “Nel 1980 fu deciso di sistemare in una casa parrocchiale il sacerdote H. perchè seguisse una terapia. L’arcivescovo (Joseph Ratzinger) contribuì alla decisione”. Tuttavia, la Suddeutsche Zeitung riferisce che nella sua nuova sistemazione il prete tornò ad abusare di minori. In affanno, gli odierni responsabili ecclesiastici di Monaco specificano che l’arcivescovo Ratzinger aveva deciso di dare ospitalità al prete ai fini della cura. Successe invece - si spiega in una nota - che, “discostandosi da questa decisione”, l’allora vicario generale della diocesi Gerhard Gruber (e diretto collaboratore di Ratzinger) “fece assegnare H. alla pastorale di una parrocchia senza limitazioni”.
Un caso tipico, già visto migliaia di volte: il prete-predatore spostato da un posto all’altro. Allarmato interviene ora il Vaticano. Il portavoce padre Lombardi dichiara che la diocesi di Monaco ha riconosciuto “errori nella gestione del personale negli anni Ottanta" e che Gruber si è assunto “piena responsabilità dell’accaduto”. Evidentemente, per Lombardi, Gruber non ha seguito le indicazioni di Ratzinger. Così, alla fine, si è verificato ciò che da giorni nel palazzo apostolico chiamavano “l’incubo”: il rischio che il ciclone pedofilia colpisse anche Monaco negli anni in cui Ratzinger era arcivescovo. Dunque si fa sempre più urgente la necessità di una pulizia radicale.
A colloquio a tu per tu per quarantacinque minuti, Zollitsch ha fatto al Papa il quadro della situazione tedesca, dove la stampa segnala circa 350 casi di abusi di minori e di metodi correttivi violenti. La conferenza episcopale tedesca ha delegato un vescovo a seguire a livello nazionale ogni caso di abuso sessuale. É stato istituito un numero verde. La linea ufficiale, ribadita dal portavoce dell’episcopato, consiste nell’allontanare i preti coinvolti e “nell’appoggiare incondizionatamente” l’autorità giudiziaria statale nel perseguire gli abusi sessuali commessi da sacerdoti e religiosi. Zollitsch ha rinnovato le sue pubbliche scuse alle vittime e confermato l’apertura di un’inchiesta nazionale, in cui ogni vescovo esaminerà nella sua diocesi vicende e denunce, anche lontane nel tempo, per rendere giustizia alle vittime “senza falsi riguardi verso chicchessia”. In caso di inerzia il vescovo locale renderà conto alla conferenza episcopale. La Chiesa tedesca parteciperà inoltre ad una tavola rotonda, promossa dal governo di Berlino per studiare misure efficaci di contrasto.
Benedetto XVI, riferisce Zollitsch, approva le iniziative prese e “incoraggia a procedere coerentemente”. Dai suoi incontri in Vaticano il presule riporta la notizia che la Congregazione per la Dottrina della Fede sta raccogliendo materiale da tutto il mondo al fine di rielaborare le direttive emanate nel 2001. Probabilmente verrà redatta un’apposita Istruzione dell’ex sant’Uffizio.
Di fatto l’episcopato di Germania si è attrezzato ad affrontare gli scandali di pedofilia con un documento di “Orientamenti”, redatto già nel 2002. É l’unico episcopato, insieme all’Austria, ad avere elaborato linee guida specifiche. A parte i punti stabiliti a suo tempo dall’episcopato nord-americano quando - dopo l’esplodere di migliaia di casi, tra i quarantamila e i sessantamila secondo cifre realistiche - fu varata la “tolleranza zero”.
Gli Orientamenti dell’episcopato tedesco prevedono un referente per i casi di pedofilia in ogni diocesi (suggerimento ripreso pochi giorni fa dal vescovo di Bolzano mons. Golser con un apposito indirizzo e-mail), immediato esame dei casi sospetti, apertura di un procedimento ecclesiastico, esortazione al colpevole di costituirsi e, in casi provati, informazione diretta da parte della diocesi alla procura federale tedesca. Contemporaneamente è prevista “assistenza umana, terapeutica e pastorale” alle vittime. Attualmente, ha spiegato Zollitsch, si sta studiando anche la possibilità di un aiuto economico.
In Italia l’episcopato sembra comportarsi come se il fenomeno non richiedesse iniziative collettive. Eppure don Fortunato Noto, responsabile dell’associazione anti-pedofilia “Meter”, ha dichiarato alla Radio Vaticana che nell’ultimo decennio si sono registrati pubblicamente ottanta casi di abusi sessuali commessi da religiosi. Cifra - alla luce dell’esperienza - probabilmente per difetto. Ad esempio nel caso di don Gelmini, ora ridotto allo stato laicale perché accusato di abusi, né il Vaticano né la Cei hanno dato l’input per un’immediata indagine ecclesiastica. Ma senza indagini a tappeto da parte dei vertici ecclesiastici non si volterà realmente pagina.
DON GELMINI, 50 LE DENUNCE PER ABUSI
di Fiorenza Sarzanini
In 2 hanno raccontato che all’epoca delle presunte molestie erano minori
Le accuse da ex ospiti della sua comunità. Sospetti su pressioni per ritrattare. Si allunga la lista delle testimonianze
Tratto da Corriere.it
ROMA, 11 settembre 2007 - È come se avessero preso coraggio all’improvviso, trovando la forza di rivelare segreti fino ad allora apparsi inconfessabili. Sono una cinquantina le persone che durante l’estate hanno presentato formale denuncia contro don Pierino Gelmini. Si sono unite al coro di chi lo accusa di averli molestati, insidiati, a volte violentati.
La maggior parte si è presentata spontaneamente davanti al pubblico ministero di Terni. Ha ripercorso episodi di tanti anni fa che, hanno detto in molti, «mi hanno cambiato la vita». Due di loro hanno raccontato di aver subito abusi dal fondatore della comunità «Incontro» - che assiste i tossicodipendenti in programmi di recupero - quando erano minorenni. Non c’è ancora una nuova contestazione formale, ma se queste dichiarazioni trovassero conferma, la posizione del prete già indagato per violenza sessuale, potrebbe aggravarsi. Perché si tratterebbe di episodi di pedofilia e dunque un reato diverso da quello finora ipotizzato nei suoi confronti.
LE INDAGINI - I magistrati procedono con cautela, sanno bene che in casi del genere ci può essere una sorta di suggestione, talvolta anche un desiderio di rivalsa. Ma sanno anche che i collaboratori più stretti di don Gelmini si sono attivati per convincere alcuni giovani a ritrattare. In almeno due casi avrebbero cercato di incontrare chi aveva presentato la denuncia, avrebbero offerto soldi e favori per tentare di mettere tutto a tacere. E questo ha naturalmente contribuito a confermare il quadro accusatorio già delineato dai pubblici ministeri. Al fascicolo gli investigatori della squadra mobile di Terni hanno allegato decine e decine di intercettazioni telefoniche che mostrerebbero questa volontà di alcuni operatori della comunità di favorire don Gelmini. La voce del prete si sente raramente nei colloqui. Ad ascoltare le registrazioni sembra che ad occuparsi della vicenda siano i responsabili della sua segreteria. Sono loro a tenere i contatti con chi accusa, a tentare di far cambiare idea a chi ha fatto riaffiorare i ricordi. I magistrati hanno già verificato una trasferta a Torino di uno di loro che sarebbe stata organizzata per incontrare in carcere due giovani detenuti che erano stati tra i primi a presentare denuncia. Ora si va avanti. Il primo accertamento da svolgere per verificare i nuovi verbali riempiti nelle ultime settimane riguarda il periodo di permanenza di ogni giovane all’interno della comunità. Poi bisogna verificare che tipo di legami avessero con il fondatore, se ci siano stati problemi, quali siano stati i rapporti successivi. Sembra che in alcuni casi gli episodi raccontati siano molto circostanziati, che alcuni abbiano anche indicato testimoni in grado di confermare le proprie dichiarazioni. Soltanto al termine dei nuovi controlli, il magistrato deciderà eventuali provvedimenti. A metà agosto era circolata voce che potesse essere richiesta al giudice per le indagini preliminari una misura interdettiva per impedire un eventuale inquinamento delle prove. In realtà erano in corso altri riscontri e proprio in questi giorni si starebbe rivalutando la possibilità di sollecitare un pronunciamento del gip.
LA DIFESA - Inizialmente erano sei le persone che avevano raccontato le violenze. Uno ha narrato fatti risalenti al 1993, ha detto di essersi anche confidato con don Mazzi quando si è trasferito nella sua comunità. Il sacerdote ha confermato di aver ricevuto quelle confidenze, di aver consigliato al giovane di rivolgersi ad uno psicologo, di aver continuato ad aiutarlo prima di perdere le sue tracce. «Mi accusano - si era difeso don Gelmini - perché li ho allontanati dalla comunità. Alcuni di loro erano stati scoperti a compiere reati e sono stati cacciati. È la loro vendetta. Sono innocente e dunque resto assolutamente tranquillo. Porto la croce e prego per loro». Aveva anche attaccato la lobby ebraica e la massoneria come ispiratrici «di questa campagna diffamatoria contro di me» e ciò aveva spinto il suo avvocato Franco Coppi ad abbandonare la difesa. Ma poi la lista si è allungata, altri tre ragazzi sono usciti allo scoperto dopo aver saputo che era stata avviata un’inchiesta. E con il trascorrere delle settimane le denunce sono diventate decine. Adesso è possibile che don Gelmini decida di farsi nuovamente interrogare per continuare a respingere quelle che ha sempre definito «fantasie».
[DATA: 11/09/2007]
* il dialogo, Martedì, 11 settembre 2007
COSA NE PENSI DI DON GELMINI?
Bella, anche se pesante, questa estate.
Mi sono riposato e stancato allo stesso tempo. Di sicuro mi sono disintossicato dalle tossine della cronaca e della politica.
In ambedue i campi si va profilando (in atto già da tempo, per la verità) un travisamento della realtà da far restare allibiti: ladri che si
spacciano per benefattori, puttane che si riciclano come verginelle, mentitori incalliti dal sorriso di angioletti!
Più di qualche amico mi ha chiesto di dire cosa penso di don Gelmini.
Per esperienza diretta so solo che la sua comunità di Scurcola Marsicana, a nemmeno dieci chilometri di Avezzano, è nel più completo abbandono: uno sfascio completo; per cui ho l’impressione che si tenga il centro di Amelia come specchio per le allodole....
Comunque non posso non proporvi quanto l’amico Valerio Gigante scrive sull’ultimo numero di Adista (n.57 del 1 Settembre).
E’ una miniera di dati e date, luoghi e fatti che si fa leggere tutta di un fiato.
Vi incollo l’articolo qui sotto (e in allegato).
Aldo [don Antonelli]
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34006. ROMA-ADISTA. Ha detto di essere vittima della “lobby ebraica-radical-chic” (ritrattando poi lo scivolone, costatogli una valanga di critiche e la rinuncia dell’avvocato Franco Coppi a difenderlo), della massoneria, dei gay, del laicismo radicale, della magistratura anticlericale. Ma la vicenda di don Pierino Gelmini, indagato dai pm di Terni per presunti abusi sessuali nei confronti di alcuni ragazzi della Comunità Incontro (ad accusarlo, diversi ex ospiti della struttura da lui fondata e diretta) parte da lontano.
La “vocazione” dei fratelli Gelmini
Quella dei Gelmini è infatti una biografia lunga e con diverse zone d’ombra. Nato nel 1925 in provincia di Milano, ha vissuto e studiato in Lombardia. Ma è stato ordinato prete nel 1949 lontano dalla sua zona di onigine, nella diocesi di Grosseto. Circostanza curiosa, che le note biografiche riportate sul sito web della Comunità Incontro spiegano così: da Milano, Gelmini si presenta al vescovo di Grosseto, “diocesi bisognosa di clero”, e “si prepara al sacerdozio A quell’epoca il vero “don Gelmini”, quello famoso, non era lui, ma il fratello padre Eligio, esuberante frate minore che preferiva il cachemire al ruvido panno francescano, precursore di tante figure di preti mediatici e mondani che frequentano salotti, feste e studi televisivi. Padre Eligio era confessore e assistente spirituale di vip e calciatori (era, tra l’altro, il “cappellano” del Milan, oltre che amico intimo di Gianni Rivera), l’unico prete al mondo a poter vantare di aver concesso un’intervista al settimanale sexy Playboy, frequentatore di eventi mondani, nonché fondatore della comunità di recupero per tossicodipendenti «Mondo X» e del Telefono Amico.
Particolarmente dettagliata nel raccontare i primi anni di sacerdozio di don Pierino - che negli anni ‘60 diventa segretario del card. Luis Copello, arcivescovo di Buenos Aires fino al 1959, passato poi in forze alla Curia vaticana come Cancelliere di Santa Romana Chiesa -, la sezione del sito internet della “Comunità Incontro” dedicato alla biografia di Gelmini omette del tutto gli eventi che caratterizzano il periodo che va dalla metà degli anni sessanta al 1979. Sono infatti gli anni in cui per don Pierino iniziano i problemi con la giustizia e le vicissitudini giudiziarie.
I primi guai giudiziari
“Già nel 1965 - racconta Marco Lillo in un articolo pubblicato dall’Espresso il 16/8 - un anno prima di darsi ai tossicodipendenti, il sacerdote aveva comprato la splendida tenuta di Caviggiolo con tanto di maniero e riserva di caccia a Barberino del Mugello, sull’Appennino toscano. I giornali dell’epoca raccontano che gli assegni per 200 milioni di lire (del 1965) consegnati alla Società Idrocarburi per l’acquisto erano scoperti e il tribunale inflisse tre mesi di galera a don Pienino”.
Nel 1969 il prete acquista un’altra villa all’Infernetto, zona Casal Palocco, una delle più “in” dell’hinterland romano. La biografia ufficiale di Gelmini si limita ad accennare all’abitazione definendola “una casa più ampia” di quella dove don Pienino aveva sino ad allora vissuto. Per la precisione si trattava invece di una villa in cortina a due piani protetta da un largo muro di cinta con ringhiera di ferro battuto, un vasto giardino in cui era custodita una Jaguar, piscina, due cani, tre persone a servizio: un autista, una cuoca e una cameriera. Insomma, se al fratello Eligio piaceva la bella vita, don Pierino non era da meno. Ma il tenore di vita di don Pierino viene compromesso dalla magistratura: il 13 novembre 1969 i carabinieri lo arrestano nella sua abitazione (grande scalpore sui giornali dell’epoca suscitò la notizia che i carabinieri avevano trovato una Jaguar nel giardino di don Pierino) per emissione di assegni a vuoto, truffa e fallimento di una cooperativa di costruzioni collegata con le Acli di cui il sacerdote era tesoriere e che doveva costruire palazzine all’Eur. Gelmini viene anche coinvolto in un inchiesta che riguarda la ditta di import-export tra Italia e Argentina che aveva costituito sfruttando - si disse - le buone entrature ottenute attraverso i servizi resi al card. Copello. Nel 1970 il prete ripara quindi all’estero, nel Vietnam del Sud, dove fa amicizia con l’ex arcivescovo della cittadina di Huè, mons. Pierre Martin Ngo Dình Thuc, fratello di Jean Baptiste Ngo Dình Diem, dittatore del Vietnam del Sud, assassinato nel 1963, ormai caduto in disgrazia presso gli Stati Uniti. Ma anche in Vietnam Gelmini ha grane con la giustizia: proprio dall’ex-arcivescovo di Hué, insieme a madame Nhu, vedova del fratello minore del presidente Dièm e per anni sua first lady, viene denunciato per appropriazione indebita. Nel 1971 torna in Italia. Ed entra in carcere. Il processo a suo carico si era infatti concluso con la condanna a quattro anni, che don Pienino sconterà interamente.
Uscito di prigione - dopo aver trascorso un breve periodo di ritiro in Maremma per volontà delle autorità ecclesiastiche - nel 1976 don Gelmini torna in cella, ad Alessandria. Insieme al fratello Eligio è infatti accusato di aver ricevuto una bustarella di 50 milioni da Vito Passera, imprenditore in difficoltà che puntava sui buoni uffici dei fratelli Gelmini per diventare console onorario della Somalia e ottenere facilitazioni nel commercio di burro tra gli Usa e il Paese africano. Stavolta però in prigione don Pienino ci rimane poco tempo. Assieme al fratello, viene prosciolto dalle accuse e nel ‘77 è di nuovo nella sua villa romana a Casal Palocco. Nel 1979 don Pierino, sulle orme del fratello (che nel 1974 era riuscito a farsi assegnare gratuitamente dal conte Lodovico Gallarati Scotti l’uso del suo castello di Cozzo Lomellina come sede del suo “Mondo X”), dà inizio al business antidroga
1979: nasce la holding della tossicodipendenza
“Don Gelmini Spa”, titola il 16 agosto l’Espresso, ricostruendo la nascita dell’impero economico del prete antidroga. La prima comunità di recupero nasce ad Amelia, in provincia di Terni. Don Pierino si fa assegnare in comodato d’uso per 40 anni un frantoio abbandonato, il Mulino Silla, in una piccola valle chiamata delle Streghe, facendone la sede della sua nuova attività. Nel 1988 sindaco di Amelia diviene l’ex leader della Cgil Luciano Lama. È lui a segnalate alla procura il fatto che a don Pierino i vincoli del piano regolatore stavano stretti e i piccoli casali abbandonati che andava acquisendo si trasformavano in enormi strutture senza le necessarie autorizzazioni. “Alla fine - racconta l’Espresso - tutto fu sanato, grazie anche ai socialisti della giunta”. Così le proprietà immobiliari della Comunità Incontro hanno potuto estendersi senza sosta, al punto da comprendere, nella sola provincia di Terni, boschi, uliveti, vigneti e pascoli per una ventina di ettari, oltre a diversi fabbricati sparsi tra Cenciolello, Porchiano e la strada di Orvieto.
Oggi la Comunità di don Gelmini conta ufficialmente 164 sedi in Italia e 74 nel mondo. Dati contestati però da Stefania Nardini in un articolo comparso su Gente d’Italia, quotidiano italiano delle Americhe. La giornalista, che ha passato un periodo presso la Comunità Incontro, racconta di culto della personalità, di body guard armati di pistola, di macchinoni di lusso (un vizio antico), di disparità nel trattamento degli ospiti, ma anche di cifre gonfiate a beneficio della sua immagine pubblica: “Si parla di 164 sedi residenziali in Italia - scrive la Nardini - e invece sono 64, di 180 gruppi d’appoggio che in realtà sono una ventina, di un turnover residenziale di 12 mila persone (turnover in cui sono comprese semplici richieste di informazioni), di 126.624 ingressi in comunità tra il 1990 e il 2002, mentre attualmente si registrano non più di 20 o 30 colloqui al mese, il che significa al massimo 360 ingressi all’anno, cifra che si riduce alla metà considerando coloro che rinunciano”.
Anche sui cospicui introiti delle Comunità i numeri sono incerti: “La trasparenza amministrativa - racconta l’Espresso - non è mai stata una priorità della comunità. Sul sito internet non c’è traccia del bilancio. Bisogna andare alla Camera di commercio a Roma per scoprire che la Comunità Incontro, organizzazione non lucrativa a fini sociali, è presieduta da una sconosciuta: Umbertina Valeria Mosso, avvocato di 86 anni. Il comitato direttivo è composto dalle persone più vicine a don Pierino, come Claudio Legramanti e Claudio Previtali e dal ‘don’, che è il segretario generale, ma con ampi poteri di gestione”.
La politica: un ritorno di “fiamma”
In ogni caso, il suo piccolo impero don Gelmini lo ha realizzato anche in virtù delle sue ottime entrature politiche, oltre che alle cospicue donazioni che il suo carisma ha saputo intercettare. Solo in occasione della megafesta per gli 80 anni di don Pierino, nel 2005, Berlusconi dichiarò di volergli devolvere 10 miliardi delle vecchie lire. Alla mega kermesse in onore del prete ottuagenario c’era anche un altro grande amico di Gelmini, l’allora ministro Maurizio Gasparri. Insieme ad altri rappresentanti del governo, come Rocco Buttiglione e Pietro Lunardi, oltre a Gustavo Selva e ad una sfilza di sottosegretari. E ad un esponente della “Prima Repubblica”, l’ex ministro della Sanità Francesco De Lorenzo, da anni tra i volontari della “Comunità Incontro”.
A tanta benevolenza da parte del leader e degli esponenti della Casa della Libertà, Gelmini ha sempre risposto con una indefessa militanza a destra, che - oltre ad intercettare verso Berlusconi il consenso di migliaia di visitatori ed ospiti (nonché delle loro famiglie) passati in comunità negli ultimi 30 anni - si è più volte caratterizzata con la presenza di Gelmini a manifestazioni politiche ed elettorali. Lo si è visto spesso con esponenti di An (lo scorso anno, in campagna elettorale, era a fianco del candidato sindaco di Roma Gianni Alemanno). Nel 2006 don Pierino fu uno dei maggiori sostenitori della nuova legge sulla droga che ha eliminato la differenza tra droghe leggere e pesanti. “Grazie, Gianfranco, per la legge contro la droga, affido a voi di An il compito di difendere i principi cristiani”, disse don Gelmini ai delegati di An presenti alla conferenza programmatica del partito, il 5 febbraio 2006.
Le accuse a don Gelmini: nella Chiesa, qualcuno sapeva
Le recenti accuse di molestie sessuali hanno - per la verità - qualche precedente negli anni d’oro della Comunità incontro. Come quando, il 23 novembre 1991, venne ritrovato morto sgozzato a Rimini Fabrizio Franciosi, cittadino di San Marino, anni prima ospite della Comunità del Mulino Silla. Durante le indagini, il fratello della vittima raccontò che poco tempo prima di morire Fabrizio gli aveva raccontato di aver subito da don Gelmini abusi sessuali in una casetta nel parco della comunità. Nel 2003 don Antonio Mazzi, animatore della comunità per tossicodipendenti Exodus, ricevette la lettera di un ragazzo che raccontava di aver subito molestie sessuali da parte di don Gelmini nel 1993, quando aveva trascorso un periodo di sei mesi ad Amelia. Poi il giovane si era trasferito in una struttura di don Mazzi, con il quale si era confidato ed aveva continuato a mantenere rapporti epistolari. Ma Mazzi ha raccontato questi fatti solo nelle scorse settimane, quando il caso don Gelmini era già scoppiato. Sentito dal procuratore di Terni Carlo Maria Scipio e del pm Barbara Mazzullo, Mazzi ha comunque ribadito punto per punto ciò che aveva già rivelato circa il contenuto della missiva.
Nel 2004, un libro di Marco Salvia, Mara come me racconta la vita all’interno di una comunità di recupero di tossicodipendenti, delineata nei termini di un lager gestito da un prete bigotto e fanatico e da responsabili violenti. La storia è romanzata, ma il 23 gennaio 2005 il quotidiano il manifesto pubblica una lettera con cui l’autore usciva allo scoperto, dichiarando che i fatti narrati nel libro erano reali e che dietro la figura di don Luigi, il padre-padrone della comunità, si celava don Pierino Gelmini.
E poi ci sono le accuse fatte da Bruno Zanin nel suo libro-autobiografia Nessuno dovrà saperlo, in cui afferma di aver subito abusi sessuali da Don Gelmini all’età di 13 anni (il capitolo che parla dell’abuso è stato messo online dall’autore all’indirizzo internet www.bispensiero.it/documents/DonGiustino.pdf). Nel libro, Zanin, che è Stato negli anni ‘90 collaboratore di Radio Vaticana, racconta anche di aver parlato degli abusi all’allora direttore dei programmi dell’emittente, p. Federico Lombardi (oggi direttore della Sala Stampa vaticana) ed a mons. Giovanni d’Ercole, religioso orionino, capo ufficio della sezione affari generali della segreteria di Stato del Vaticano, da sempre amico di don Pierino e da qualche mese direttore responsabile della rivista della comunità “Il Cammino” e dell’emittente Tele Umbria Viva, di cui Gelmini è proprietario.
Titoli e sottotitoli
Anche con la Chiesa cattolica i rapporti, a dispetto delle difese d’ufficio tratta che oggi vengono fatte di don Pierino come dell’ennesimo prete vittima delle persecuzioni mediatiche e laiciste, sono piuttosto tesi. Fin dal 1963, quando don Pierino iniziò a fregiarsi del titolo di monsignore, senza esserlo, il Vaticano ha iniziato a diffidano dall’utilizzare quel titolo e in seguito lo ha anche sospeso a divinis. Sospensione poi ritirata, ma il titolo tanto agognato non arrivava. Nel 1988 Gelmini risolse allora il problema con un abile éscamotage: pur essendo un prete di rito latino, aderì ad una Chiesa cattolica di rito orientale, quella melkita, e si fece insignire del titolo di Esarca Mitrato della Chiesa cattolica greco-melkita. Titolo onorifico che non equivale certo a quello di vescovo. E nemmeno a quello di monsignore. Nelle biografie “ufficiali” di don Gelmini però il titolo ottenuto dalla Chiesa melkita è messo in grande evidenza insieme ad un’altra lunghissima sequela di bizzarri riconoscimenti: da “maggiore garibaldino e primo cappellano della Legione Garibaldina” a “gran comandante dell’Ordine di Géorge Washington”). Non solo per la sua altisonanza, ma perché dà all’esuberante prete il diritto all’uso dell’anello, della mitra, della croce e del pastorale quando celebra la messa con rito greco (o avendo ottenuto dal Vaticano uno speciale permesso a celebrare con il doppio rito). Ma a don Gelmini certe sottigliezze liturgiche vanno strette e la messa continua a celebrarla in rito romano, vestendo però i sontuosi paramenti greco-cattolici.
Una piccola rivincita con la gerarchia che tanto lo ha bistrattato don Pierino se l’è presa il 20 ottobre del 2000, quando Wojtyla ricevette in piazza San Pietro trentamila rappresentanti delle Comunità Incontro. La benedizione del papa polacco non ha però migliorato i difficili rapporti con la Curia, che continua a non amarlo. Recentemente, al card. Francesco Marchisano, presidente dell’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, che gli ha chiesto di fare un passo indietro per meglio difendersi dalle accuse, don Pierino ha risposto: “Mi chiede di fare un passo indietro? Lo faccia lui in avanti, in un burrone”. E comunque, ha tenuto a precisare don Pierino, “io non guido un’associazione religiosa, ma laica”. (valerio gigante)
Politica - Dibattito
Le metafore sbagliate del cardinale Bertone.
di Rosario Amico Roxas *
Di ritorno dagli Stati Uniti, dove è andato a cercare l’appoggio della curia americana al suo disegno pontificale, il card. Bertone è stato travolto da quesiti che ha cercato di glissare prima, per poi azzerare con una metafora che, in verità si trasforma in un boomerang.
Ha tentato una parvenza di difesa di don (!) Gelimini, per poi partire all’attacco in difesa dell’ulteriore scandalo che sta investendo la Chiesa italiana, quello riguardante il prestigioso liceo della Torino-bene Valsalice.
Difende attaccando il cardinale Bertone, per dimostrare una sua personale autorevolezza che dovrebbe surclassare le motivazioni accusatorie.
Dice Bertone:
«La Cappella Sistina restaurata è uno splendore e ha riacquistato i colori originali di Michelangelo, specialmente il grande affresco del Giudizio Universale. Ci sono dei ritagli di affresco che hanno mantenuto il colore rovinato, viziato dalle candele, dai secoli, dalle celebrazioni. Quindi, ci sono dei ritagli, dei rettangoli oscuri. Se uno puntasse la telecamera per riprendere la Cappella Sistina su questo angolo oscuro e non la puntasse sullo splendore, sarebbe una falsificazione. Anche questo frammento è Cappella Sistina, certamente, ma non è il grande capolavoro. La Chiesa - prosegue Bertone - è un grande capolavoro di Dio e degli uomini e delle donne di Chiesa, nel passato della sua storia gloriosa e nell’attualità di un volume immenso di bene che la Chiesa produce in ogni parte del mondo». Per questo la «requisitoria» si chiude con una condanna: il «modo dei media di presentare la Chiesa, qualunque sia l’intenzione o la colpa, è un modo mistificatore».
A metafora non si può rispondere che con un’altra metafora; non comprendere, il cardinale Bertone, che sotto accusa non sono “i ritagli dell’affresco”, bensì lo splendore che circonda quei ritagli.
La Chiesa “è un grande capolavoro di Dio e degli uomini e delle donne di Chiesa, nel passato della sua storia gloriosa....”. La Chiesa, come comunità dei cristiani è quella voluta da Cristo; è la Chiesa che vive e opera nel mondo proponendo la solidarietà fra gli uomini, l’amore, la giustizia, l’equità; è la Chiesa che condivide i drammi che in tutte le epoche si sono verificate nel pianeta, per lenirne i catastrofici effetti; è la Chiesa che condivide le parole e l’insegnamento di Cristo e ne fa motivo di proselitismo lì dove la voce di Cristo non giunge; è la Chiesa dell’esempio vivente, l’esempio di Madre Teresa di Calcutta, l’esempio dei sacerdoti dell’America latina, l’esempio dei preti-operai e di tutte quelle persone che si sono fatte carico delle croci altrui portando la Croce di Cristo, ben consapevoli che una croce senza Cristo è troppo gravosa da portare.
Ma Bertone non rappresenta questa Chiesa; è il n. 2 della nomenclatura vaticana, ma dello Stato Città del Vaticano, quello che brilla dello splendore degli affreschi, della ricchezza degli ori, della magnificenza dei suoi musei, della solidità del suo Istituto per le Opere Religiose, conosciuto come IOR, la banca che tratta a livello internazionale con le altre banche del pianeta e non sempre in maniera limpidissima; è la Chiesa che amministra il più ingente patrimonio immobiliare privato d’Italia; è la Chiesa che gestisce l’8 per mille dei proventi dello Stato, ma ne utilizza solo il 18% per opere di beneficenza, riservando il resto alle esigenze di apparenza e non di sostanza.
I ritagli dell’affresco, dal colore rovinato, possono rappresentare l’eccezione che conferma come la Chiesa vive nel mondo e subisce le alterazioni del tempo; è la magnificenza che non corrisponde all’insegnamento di Cristo, è l’opulenza, il formalismo, l’indottrinamento, le esegesi, le epistemologie del trascendente, che allontanano il mondo della fede che non si riconosce più nelle parole private dell’esempio. Il capolavoro di Dio è il cristianesimo che è dilagato quando “i cristiani venivano dato in pasto ai leoni” e non per meriti delle gerarchie vaticane, ma per la fede del popolo cristiano.
Cercando l’imposizione forzata, identificando le radici elettivamente nell’Europa, dichiarando un primato che dovrebbe ridurre gli altri popoli e le altre religioni a fenomeni antropologici subordinati, non al cristianesimo, bensì alle gerarchie dello Stato Città del Vaticano, si capovolgono i termini del mandato di Cristo e si pretende di dare “i leoni in pasto ai cristiani”, vanificandone lo spirito.
* Il dialogo, Domenica, 02 settembre 2007
«Nessuno osa più comandare, si pretende dalla Chiesa il dialogo invece della disciplina. Ci si scandalizza del sacerdote molestatore, poi però il vescovo diventa un odioso despota se nega l’ingresso in seminario ad un gay. Ci si indigna dei peccati dei sacerdoti ma se l’autorità ecclesiastica cerca di imporre le regole scoppia il finimondo e si grida alla repressione, all’autoritarismo, alla discriminazione. Casi come quelli esplosi in questi giorni, la Chiesa li ha sempre ricondotti sotto il proprio controllo. Ma oggi il “vietato vietare” le proibisce di esigere disciplina al suo interno. La Chiesa ha sempre saputo che seminari e monasteri attirano omosessuali. Prima era molto attenta a porre barriere all’ingresso e a sorvegliare la formazione. Chi dimostrava tendenze gay veniva messo fuori. Poi il no alla discriminazione ha permesso l’ingresso in forze degli omosessuali e ora la Chiesa paga quell’imprudenza».
Vittorio Messori, La Stampa 11 agosto 2007
Caro Biasi ( e Caro Messori)
è proprio l’im-prudenza (la poca-saggezza) e il ritardo culturale e scientifico tuo (e suo) e della Gerontocrazia Vaticana -- oltre che ovviamente da un punto di vista teologico e storico la sua lettura e interpretazione del messaggio ev-angelico in chiave edipica (traduco: il vangelo di Mamma Elena Imperatrice e del Figlio Costantino Imperatore della chiesa cattolico-romana - senza e contro Giuseppe, il "perfido giudeo" del tuo caro messale tridentino rilanciato dal Papa del Deus caritas- Dio Mammona, Caro-Prezzo!!!) -- la confusione tra omosessualità (l’orientamento sessuale di una persona - rispetto al quale, vedi art. 3 della nostra Costituzione) con la pedofilia (un abuso e un crimine abnorme!!!), a portare non solo te e Messori ma tutti gli omosessuali del Vaticano sulla strada del pregiudizio e razzismo omofobico, del fascismo e del nazismo - sia storicamente sia attualmente, a braccetto con i Gentili e con i Gentilini della nostra Italia e della Terra, purtroppo!!!
Per approfondimento - non è male , penso, approfondire il problema e possibilmente andare più a fondo delle questioni - ti allego questa scheda:
Papi e omosessualità, cosa nasconde il Vaticano?
di Giovanbattista Brambilla *
All’annuncio dell’uscita del libro "No, no, no! Ratzy non è gay", di Angelo Quattrocchi, Malatempora Editore di Roma, mi sono immaginato ciò che il viperino Roger Peyrefitte (1907-2000), se fosse ancora tra noi, avrebbe potuto commentare sulla relazione tra Papa Ratzinger e don Georg. Sin dalla quarta di copertina si legge: Perché è omofobo da sempre? Perché si è preso un segretario così bello che lo segue ovunque e gli aggiusta il mantello? Perché ha una dottrina così rigida e una sartoria così garrula, praticamente un coming-out sartoriale? In questo libro le risposte.
Augurandomi che tutto possa essere palesato, mi viene in mente il petardo che il francese Peyrefitte fece esplodere nel 1976 dichiarando, sulle pagine dalla rivista francese "Lui", l’omosessualità di Paolo VI (1897-1978) in risposta alle sue condanne ai gay (assai blande, ad onore del vero, rispetto quelle mitragliate da Ratzinger).
Peyrefitte disse che quando Giovanni Battista Montini era l’Arcivescovo di Milano aveva amato l’attore Paolo Carlini (1922-1979), da cui prese in suo onore il nome quando fu eletto pontefice. Ed in effetti erano secoli che nessun papa assumeva tale nome. Seguì una manifestazione del FUORI in Piazza San Pietro, presto dispersa a causa dello slogan inalberato dai “diversi”: Paolo, combattiamo anche per te... La Domenica delle Palme, dal suo balcone, Paolo VI addolorato denunciò: "Le cose calunniose e orribili che sono state dette sulla mia santa persona...".
Le chiese di tutto il mondo organizzarono veglie per mondare con la preghiera tali accuse. Peyrefitte rispose: Sono rattristato che la Chiesa si intrometta in affari che non la riguardano, perché non credo che l’omosessualità metta in pericolo la Chiesa cattolica, ma sono anche commosso perché io penso che per Sua Santità sia stato un modo indiretto di fare una pubblica confessione.
Non pago, nel 1978, Peyrefitte spettegolò su Pio XII Pacelli (1876-1958) col suo nuovo libro “Scene di caccia” ( Garzanti editore), attribuendogli una relazione appassionata con l’architetto dei palazzi vaticani.
Ma dicerie del genere fanno parte della storia pontificia. Il primo papa a farsi una nomea fu (guarda caso!) Benedetto IX Tuscolo (1021-1052), eletto a soli 12 anni in piene lotte politiche medioevali, fu accusato di simonia (cioè la pratica di vendere e comprare cariche ecclesiastiche), d’orge gay e soprattutto d’aver venduto ad una cifra strabiliante il trono per più di un anno al romano Giovanni Graziano, col nome di Gregorio VI. Deposto poi dall’imperatore Enrico III, finì con l’avvelenare il suo sostituto tedesco Clemente II e ritornare al potere fino al 1048, per poi morire scomunicato 4 anni dopo.
Ma l’epoca d’oro dell’omosessualità in Vaticano arrivò con grande sfarzo e ritmo incessante negli splendori del Rinascimento.
Paolo II Barbo ( 1417-1471), veneto nipote di un papa, riuscì a far pacificare i principi italiani, fece guerra ai turchi e minacciò di scomunica il re di Francia che non voleva pagargli le tasse. D’una vanità senza limite, effeminatissimo, si vestiva con tessuti d’oro guarniti di diamanti, ribattezzandosi Formosus cioè “Il Bello”. La sua favolosità era talmente risaputa che il popolo lo soprannominò “Nostra Signora Paola”. Collezionista di statue, gioielli, e bei giovani. Morì proprio a causa d’un attacco di cuore durante un rapporto sessuale con un paggio. Uno dei suoi successori propose di chiamarlo Maria Pietissima, per la sua inclinazione a scoppiare in pianto durante le crisi di nervi.
A lui succedette Sisto IV della Rovere ( 1414-1484) ed è il papa da cui prende il nome la Cappella Sistina. Nominò cardinali giovanissimi e celebri per la loro bellezza, tra cui il diciassettenne, nipote e amante, Raffaello Riario.
Anche il futuro Giulio II della Rovere (1443-1513), noto come "il Papa guerriero", era suo nipote e si deve a lui le decorazioni di Michelangelo per la Sistina. Fu soprattutto un politico nella guerra tra Francia e Germania, tanto che l’imperatore di tedesco per avere come alleato l’inglese Enrico VIII gli rese nota la pederastia del papa. Nel 1511 il Concilio di Pisa lo depose, fu definito "sodomita" e accusato di aver infettato la chiesa con la sua corruzione.
Ma tra i due fu proclamato papa Alessandro VI Borgia (1431-1503), bisessuale e padre dei celebri e famigerati Lucrezia e Cesare Borgia (anch’esso bisex, di cui si dice aver violentato il bellissimo e forzuto principe di Faenza Astorre Manfredi).
Forse tutto ciò fa parte della propaganda anglicana, da una parte, e del predicatore Savonarola, dall’altra. Difficile scoprirlo ma il crudele papa Borgia morì avvelenato e il suo cadavere fatto sparire senza tante cerimonie.
Ma ritorniamo a Giulio II, a lui succedette immediatamente uno dei papi più chiacchierati: Leone X de Medici (1475-1521). Il suo favorito fu il nobile fiorentino Andrea Degli Albrizzi. Dopo un salto temporale di dodici anni e due papi, ritornano le chiacchiere sull’omosessualità d’un nuovo pontefice: Paolo III Farnese (1468-1549). Bisessuale e padre di Pier Luigi Farnese ( 1503-1547), il quale aveva il permesso pontificio di rapire e stuprare tutti i ragazzi che gli piacevano. Il papa si limitò a deplorare blandamente l’incoscienza giovanile del figlio e lo nominò Duca di Parma e Piacenza. Restò famoso il cosiddetto “oltraggio di Fano”, riportato pure dallo storico Benedetto Varchi (1503-1565). In occasione di una ispezione Pier Luigi si recò a Fano, dove fu accolto con tutti gli onori dal vescovo Cosimo Gheri, un ragazzo poco più che ventenne. Il giorno successivo il Farnese incontrò nuovamente il vescovo e manifestò le sue intenzioni: cominciò, palpando e stazzonando il vescovo, a voler fare i più disonesti atti che con femmine far si possano. Tuttavia il vescovo non era disponibile e si opponeva in maniera decisa. Pier Luigi lo fece legare e, sotto la minaccia dei pugnali delle guardie, lo violentò. Non sopportando l’umiliazione per l’oltraggio subito, dopo poche settimane il vescovo morì. Qualcuno pensa che il ragazzo fu fatto avvelenare dallo stesso Pier Luigi, per non far trapelare la notizia dello stupro.
Succedette al Farnese lo sfarzoso Giulio III del Monte (1487-1555), preso di mira dal famoso Pasquino per le sue tendenze omosessuali. Nominò cardinale il suo mignon, di 17 anni, nipote adottivo Innocenzo del Monte (1532-1577) e organizzò orge con altri porporati di poco più grandi.
Alla sua morte fu eletto, per reazione, un papa d’alta moralità e spiritualità che però schiattò dopo un mese. Così fu eletto un notorio omosessuale Paolo IV Carafa (1476-1559) ma, guarda caso, a lui si deve la creazione del Ghetto a Roma, l’Indice dei Libri Proibiti e i tribunali dell’Inquisizione che tanti gay mandarono al rogo. Alla sua morte i romani si vendicarono buttando la sua statua nel Tevere.
Dopo 21 anni salì al soglio il bolognese Gregorio XV Ludovisi (1554-1623), la vox populi lo diceva fròscio. Tanto che il Tallemant des Réaux (1619-1692) riportò pettegolo: Poiché il Ludovisi aveva nominato marchese il suo bardassa (ndr: amante passivo) giocando sul doppiosenso di “marchese”(cioè: mestruazione) si sparse questa battuta: “Mai culo aveva fatto marchese”!
*pubblicato in “Pride”, giugno 2007
Caro Federico,
cosa devo aggiungere ? Vai ancora appresso alle leggende nere sulla Chiesa, probabilmente credi ancora alla papessa Giovanna, alle fandonie che scrivono i mensili gay, ti interessi instancabilmente degli scandali che possono colpire il Vaticano, le sue alte gerarchie...Cosa vuoi concludere ? Cosa vuoi dimostrare ? Che la Chiesa non è costituita solamente da Santi ? Ma lo sappiamo da duemila anni !! Eppure come te lo spieghi che le strutture della Chiesa, nonostante tutto, esistono da venti secoli ?
Riconosco le persone come te profondamente deluse dall’atteggiamento di uomini di Chiesa che con i loro compromessi, le loro omissioni e persino crimini li hanno profondamente scandalizzati. Ma per me la Chiesa rimane sempre un mistero, mistero che il concilio Vaticano II è riuscito così mirabilmente a rivalutare, chiedendoci di viverlo e di approfondirlo, amandolo perchè espressione di una volontà esplicita di Gesù ! Questa certezza, come cattolico, mi consente di continuare ad amare la Chiesa anche quando sono colpito profondamente, come te, da certe sue istituzioni e da alcuni suoi elementi.
Come Madeleine Delbrêl scriveva: "Vorrei scrivere la parola CHIESA in tutte le righe, ogni volta che scrivo la parola DIO".
Cari saluti
ba
Caro Biasi
apprezzo molto il cambiamento di piano della risposta. E, per proseguire l’approfondimento, vale la pena - credo - riprendere parte di un intervento (non mio) su un forum precedente:
" A me pare molto più utile osservare che se, da un lato, fino a ieri si ammetteva spensieratamente in Seminario ragazzi che continuavano ad avere una loro vita omosessuale (di questo sono sicuro almeno per certi casi), oggi ci si ponga radicalmente contro di essi.
Quello che manca è un vero e proprio percorso di formazione umana, un percorso sereno ma chiaro. Sia chi accoglieva con indifferenza in seminario un ragazzo gay (e molti sono i casi di questo genere confessati e risaputi) sia chi oggi lo respinge tout-court dimostra una sola cosa: NON SA DARE UN VERO E PRATICO PERCORSO FORMATIVO!
Questo a sua volta significa che dietro alle conclamate apparenze e ai molti documenti scritti le istituzioni cattoliche (ma anche altre istituzioni, visto che questo è un problema sociale molto ampio) non riescono a dare un percorso di formazione perché una singola persona con certe caratteristiche possa costruirsi positivamente.
LA PERSONA RIMARRA’ SOLA e si dovrà costruire una identità da "prete fai da te". Non sempre ce la farà e allora ecco emergere, spesso dopo tanto tempo, gli scandali di tipo sessuale o i fatti di pedofilia nel clero. Così, dietro alla drammatica "caccia ai gay", emerge questo dato, dato reale e inquietante, sul quale pare esistere una incapacità del mondo cattolico ufficiale di CAPIRE la portata della problematica.
Manca una vera e propria convincente confessione: "Non sappiamo affrontare questi problemi e quindi ci arrocchiamo solo su principi teorici. Non sappiamo affrontare i probelmi della vita e quindi finiamo solo per essere i guardiani della legge etica".
Dire semplicemente "NO" non è una risposta e, alla fine, è anche molto comodo. Ma con i semplici "no" ci si esclude da ogni tipo di dialogo e, quindi, ci si isola. Questo non può che portare a nefaste conseguenze che non possono essere esorcizzate attraverso pie aspirazioni devozionalistiche o con la credenza di "magiche" assistenze divine. Dio agisce nell’umano e se l’umano non è pronto e non è in grado di capire, Dio rimane impotente ad agire. Succede, allora, che le chiese logicamente si svuotino (Teologo italiano - cfr. Forum relativo all’art.: IL TERZO MILLENNIO DOPO CRISTO E’ INIZIATO, MA IN VATICANO INVECE DI AVERE FEDE E CORAGGIO DISPERANO ALLA GRANDE?!! "PAPA WOJTYLA, PAPA RATZINGER E I GAY. Una Chiesa senza speranza né futuro". Un urlo evangelico di amore e un invito allo stesso Papa a rinnovare mente e cuore ...).
M. saluti,
Federico La Sala
La chiesa senza pastori
di FILIPPO DI GIACOMO (La Stampa, 11/8/2007)
Nessuno deve essere considerato colpevole prima di una sentenza passata in giudicato, insegna la nostra Costituzione. E le vicende che coinvolgono sacerdoti a Terni e a Torino sembrano fatte per ricordarci, come ogni volta che le forche mediatiche iniziano di nuovo a penzolare dai teleschermi, che è per vera profezia sociale che la legge ci impone di chiamare «giustizia» solo gli atti e le sentenze dei giudici. E ai magistrati bisogna sempre affidarsi, come ha detto don Luigi Ciotti, per vedere rispettati i diritti di tutte le parti in causa, degli accusati e degli accusatori.
Sui giudici di Terni che lo hanno interrogato, don Pierino Gelmini ha fatto correre il sospetto di anticlericalismo. E sui magistrati che in molti Paesi hanno dovuto dirimere sui guasti esistenziali causati da un gruppuscolo di pedofili con la tonaca, lasciati liberi di infierire per anni e a volte persino cooptati per alte responsabilità, ha lanciato l’accusa di congrega radical-massonica-filoebraica. Su questa esilarante interpretazione della libertà di parola e della libertà della Chiesa, il cattolico normale, dopo aver smaltito la sua sacrosanta rabbia, ha cristianamente riflettuto. Partendo da un sano esame di coscienza, così come insegna il catechismo. Da questa pia pratica, nascono diverse domande.
La prima: a quale Chiesa appartengono i preti che in questi giorni si sono dati persino dell’imbecille sui giornali? Nella struttura dell’agire ecclesiale, un battezzato, anche quando è un ministro ordinato, interagisce con una comunità, ha una guida, un pastore, qualcuno che lo consiglia e lo indirizza. E, se necessario, gli fa anche da superiore. La Chiesa «fai da te» non esiste. Erano tutti impegnati altrove i superiori dei sacerdoti che urlano e piangono, in questi giorni, con i giornalisti? Don Gelmini, salvo errore, è stato ordinato sacerdote nella Chiesa cattolica latina. Da anni, lo vediamo con gli abiti del corepiscopo (l’equivalente del nostro monsignore) della Chiesa greco-melchita. Ama apparire sull’altare, per celebrare la messa secondo il rito latino, con la corona, il bastone e la croce pettorale. Spesso, sull’altare, vescovi e cardinali gli fanno da accompagnatori. Nessuno di questi sa che un prete cattolico-latino non può essere un dignitario di un altro rito? Quando è in clergymen, ha la croce pettorale come i nostri vescovi latini: tra i tanti prelati suoi amici, nessuno sa che il Codice di diritto canonico proibisce, e punisce, il chierico che esibisce i segni di una dignità ecclesiastica che non possiede?
Un suo assistente, battezzato cattolico latino, ha persino annunciato che sta per essere ordinato diacono secondo il rito greco-melchita, probabilmente sotto la guida di don Gelmini: tra i tanti frequentatori delle Comunità Incontro, nessun canonista ha mai avuto modo di dirgli che questo non è permesso dal Codice di diritto canonico? Essendo sacerdote, e qualunque sia lo status giuridico delle sue comunità, ogni opera fondata da don Gelmini è sottoposta al controllo dell’autorità ecclesiastica locale. Oltretutto, senza la sua autorizzazione don Gelmini non potrebbe celebrare né messa né sacramenti all’interno dei suoi centri.
Quanti parroci, quanti vescovi hanno esercitato il loro diritto-dovere di visita? E se hanno visitate le sue case, trovandovi solo cose ottime, perché ora tacciono? Nella stanza di uno degli indagati di Torino sono stati trovati dei fogli di carta che dimostrano che il taglieggio subito durava da mesi e mesi: un calvario esistenziale facilmente immaginabile. Vissuto in disperata, e spaventata, solitudine.
Mentre questo accadeva, nessun confratello aveva occhi per vedere, orecchie per sentire e un po’ di fiato, mettendosi a fianco di chi era in difficoltà, per lanciare almeno due improperi contro il ricattatore? Mentre le risposte tardano, al cattolico serio non resta che tifare forte per la partita giocata da Benedetto XVI e dai pochi che, a quanto si dice, lo stanno sinceramente aiutando. Con fatica, papa Ratzinger sta riuscendo a far giungere all’episcopato «umili lavoratori nella vigna del Signore», secondo la visione pastorale da lui desiderata per l’episcopato cattolico. Ancora un paio d’anni, e anche l’Italia riavrà pastori costruttori di comunità. Nel frattempo, speriamo che la nottata non sia troppo buia.
Ansa» 2007-08-12 12:08
PAPA: SULLA TERRA SIAMO DI PASSAGGIO, TENDIAMO VERSO L’ALTO
CASTEL GANDOLFO (ROMA) - "Sulla terra siamo tutti di passaggio". E’ il monito che oggi, all’Angelus pronunciato nella residenza di Castel Gandolfo, Benedetto XVI ha rivolto ai fedeli. "Un invito - ha detto commentando le odierne letture bibliche - a spendere la nostra esistenza in modo saggio e previdente, a considerare attentamente il nostro destino, e cioé quelle realtà che noi chiamiamo ultime: la morte: il giudizio finale, l’eternità, l’inferno e il paradiso". In particolare il contenuto della pagina evangelica, secondo il Papa, oggi, "proseguendo il messaggio di domenica scorsa, invita i cristiani a distaccarsi dai beni materiali in gran parte illusori, e a compiere fedelmente il proprio dovere con una costante tensione verso l’alto".
Anche l’altra lettura, tratta dalla Lettera agli Ebrei, accennando all’aspirazione alla meta del "paradiso", indica che "la primitiva comunità cristiana si considerava quaggiù ’forestiera’" e che "i primi cristiani esprimevano la caratteristica più importante della Chiesa, che è appunto la tensione verso il cielo". Da qui l’esortazione di Benedetto XVI a pensare "alla vita del mondo che verrà" e a "non dimenticare che qui, sulla terra, siamo solo di passaggio". Se viviamo "in modo saggio e previdente", considerando le realtà ultime come "il giudizio finale", "l’inferno e il paradiso", allora - ha aggiunto il Papa parlando ’a braccio’ - "proprio così viviamo in responsabilità e costruiamo un mondo migliore".
Un appello alla comunità internazionale affinché aiuti "tempestivamente e generosamente" le popolazioni colpite dalle inondazioni nel Sud-Est asiatico è stato pronunciato oggi da Benedetto XVI subito dopo la recita dell’Angelus dalla residenza di Castel Gandolfo. Il Papa ha ricordato dapprima le "numerose vittime" e i "milioni di senza tetto" causati dalle "gravi inondazioni" che nei giorni scorsi "hanno devastato vari Paesi del Sud-Est asiatico". "Nell’esprimere la mia profonda partecipazione al dolore delle popolazioni colpite - ha proseguito -, esorto le comunità ecclesiali a pregare per le vittime e a sostenere quelle iniziative di solidarietà promosse per alleviare le sofferenze di tante persone duramente provate". "Non manchi a questi nostri fratelli e sorelle - ha quindi aggiunto - l’aiuto tempestivo e generoso della comunità internazionale!".
Le benedizioni e la mossa dell’ombrello: la magisteriale lezione di Don Gelmini, a difesa della "roba". Altro che "Mastro don Gesualdo", questa è la logica dela Chiesa Cattolico-romana ("Deus caritas est") e questa è la sua "Cristoterapia"!!!(fls)
Don Gelmini, ritorno ad Amelia
benedizioni e gesto dell’ombrello
dal nostro inviato ELSA VINCI *
AMELIA - "Credevano che don Pierino mollasse. Pensavano di avere a che fare con un coniglio invece hanno trovato un cane che morde. Volevano prendersi la comunità. Ah! Ah! Io li benedico, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen". E don Gelmini fa il gesto dell’ombrello.
Plateale, perfino sonoro. Strappa l’applauso delle circa trecento persone venute ad accoglierlo nella casa madre della Comunità Incontro di Amelia, al Mulino Silla, sull’argine della Fossa delle Streghe, un acquitrino tra le colline dell’Umbria trasformato "nella valle della speranza", con fiori, alberi e uno zoo con due leoni e una tigre. Che sonnecchiano mentre lui ruggisce. "Non sono sicuro di vincere ma sono certo di non perdere".
C’è un tifo da stadio ed accenna uno show. Don Pierino è arrivato dall’Aspromonte, dove da sempre passa le vacanze.
Ottantadue anni, un pace-maker, un occhio quasi cieco, 800 chilometri sulle spalle e il peso di un’accusa infamante da cinque dei suoi ex ragazzi: molestie sessuali. Don Gelmini agita il bastone di legno di ulivo fabbricato per lui. Ce n’è per tutti.
Il colpo a chi lo accusa, a chi avrebbe orchestrato il complotto "per farlo fuori", arriva nel nome del Signore.
Con la benedizione. Un colpo pure ai giornalisti. "Accolti a Zervò sotto l’albero di Giobbe" ma che hanno scritto "il falso". Dell’inchiesta non vuole parlare perché i magistrati hanno chiesto silenzio. "Non sarò io a tradire anche se sono stato tradito. Ho risposto ai pm. L’infamia non mi tocca, perché ci siete voi ragazzi, che siete la mia vita, la mia forza".
Canti, applausi, baci e abbracci. Gli hanno preparato un palchetto sopraelevato con una sedia don Pierino fa un piccolo comizio lancia un’occhiata di sfida a sinistra, dove c’è una casetta con la famosa "stanza del silenzio", è lì che sarebbero avvenuti gli abusi. "Lì dove il fuoco rimane sempre acceso, come il verbo di Dio. Dove hanno detto che c’era la moquette che non c’è mai stata". "A chi mi accusa non ho niente da dire, se non l’invito alla verità. San Francesco spiega che non sempre chi ti copre di lordure ti fa del male".
Dentro l’Audi che lo ha riportato a casa ci sono sette faldoni con 2737 e-mail, centinaia di fax e telegrammi di solidarietà. "Non mi hanno abbattuto", dice don Pierino, con il dito indica una quercia. "Mi hanno scritto tra gli altri l’arcivescovo di Gerusalemme e quello di Damasco". Il testo dei messaggi viene fotocopiato per i giornalisti.
Perché l’impressione a Ferragosto che la Chiesa lo avesse lasciato solo. Il cardinale Francesco Marchisano, ex vicario papale per la Città del Vaticano, lo ha invitato ad abbassare i toni della polemica e a farsi da parte, il cardinal Bertone, segretario di Stato ha suggerito prudenza. E don Antonio Mazzi, fondatore di Exodus, è andato dai magistrati a confermare le confidenze ricevute da un ragazzo su un episodio del 1993. "Questo mi ha addolorato - dice don Pierino - e mi addolora ancora. Ma mi fa piacere che ora don Mazzi abbia chiesto di incontrarmi. Ci vedremo, lo accoglierò".
* la Repubblica, 25 agosto 2007.