UNA VIA DELLA VITA, NON DELLA GUERRA E DELLA MORTE.
Una nota su alcune reazioni all’appello di "Cristiani per l’Uguaglianza"
A quanto pare una viva curiosità ha spinto molti “cattolici” ad avventurarsi in terre sconosciute della rete per respirare aria nuova, dove hanno saputo di altri esseri umani, uomini donne e bambini, altre persone, che vivono in modo molto diverso, con una cultura molto diversa dalla loro. E hanno letto l’Appello “Cristiani per l’uguaglianza”.
Per molti di questi è stato uno shock! E la loro prima naturale reazione è stata la paura e la volontà di sterminare chi vive e pensa diversamente la dimensione cristiana della vita (e della morte). E qualcuno è arrivato a formulare con coraggio e determinazione, tutto il proprio sbigottimento e la propria furia distruttiva contro l’appello, fino a definirlo un vero e proprio “obbrobrio morale, etico, ontologico”!
Evidentemente a molti di loro non è ancora arrivata al cuore la buona-notizia: siamo tutti e tutte persone, figli e figlie dell’Amore (“Deus charitas est”: 1 Gv., 4.8) di Maria e Giuseppe, fratelli e sorelle di Gesù Cristo e figli e figlie del “Padre Nostro” - Amore (“Agape”, “Charitas”). E non hanno compreso che dopo Cristo, la legge naturale non è più la legge di Caino (o dei vari Faraoni di Egitto), ma la legge e il comandamento evangelico: Ama Dio (“Agape”, “Charitas”) e fà cio che vuoi (Agostino). E alla loro mente non è arrivata nemmeno la considerazione di Galileo Galilei, vale a dire che la biologia e la genetica dicono come si producono e riproducono gli esseri viventi sulla Terra, ma non come si diventa esseri umani e persone.
Restare sotto il giogo della legge naturale, costringe solo a pensare a se stessi e agli altri caina-mente, “vangelica-mente” - e non eu-angelica-mente, cristianamente!!! C’è da sperare e augurarsi, che il cattivo incontro diventi una buona-occasione per rinnovarsi nello spirito, per riflettere meglio su di sé - in carne e ossa, e pensarsi al di là di Adamo, Eva, e ... Caino!!!
Se, per molti, dinanzi alla prospettiva dell’appello, la prima naturale reazione è stata una paura pazzesca e la volontà di sterminare chi vive e pensa diversamente, ora - dopo aver preso conoscenza dell’Appello - essi sanno qualcosa di altro e di Altri. E sanno che, ora, non è più necessario e obbligatorio morire (o far morire) di paura: “Homo homini lupus” (“L’uomo è un lupo per l’uomo”, come pensava ancora Hobbes). Ora, la paura possono guardarla in faccia, - e amarla e ringraziarla!!! Sì, amare e ringraziare: ha offerto loro, ha donato loro una grande e buona-occasione per riflettere, uscire, e andare a se stessi! E incontro al proprio prossimo in altro modo: “Homo homini Deus” ("L’uomo è Dio per l’uomo”, come ricordava Spinoza, e anche Feuerbach). Al di là della guerra (e del ‘dia-bolo’), il dialogo - il dialogo vero - è possibile!!! In principio era il Logos ....
VAI A TE STESSO, VAI A TE STESSA: QUESTO E’ IL PROBLEMA!!! Se no, come è possibile distinguere e scegliere tra la “Via della Morte” e la “Via della Vita” (come insegna la Didaché, che qualcuno ancora ricorda)?! Se no, come è possibile incontrare, amare il prossimo tuo come te stesso - e lo stesso Dio-Amore?!! Si consideri! Secondo Moni Ovadia, l’espressione ebraica detta dalla voce del Dio ad Abramo tradotta significa proprio questo: “Vai a te stesso!” (Einaudi Edizioni, Torino 2002).
Qualcuno più lucidamente di altri richiama il libro del Genesi e - come fanno papi cardinali e preti - ripete le parole della ‘canzone’ del “due diventano una carne sola”, ma non riesce a pensare al di là della lettera e uccide il suo spirito - oltre che lo Spirito di Dio!!!
Due diventano una carne sola. Innanzitutto, non vuol dire che uno dei due mangia l’altro e fa una carne sola!!! Ma vuol dire che, quando due persone si vogliono bene e si amano (biblicamente, eu-angelica-mente: amore, charitas), la relazione delle due persone produce una nuova, una buona-unità dei due, e una carne sola - quella dei due! A pensarci su, quando due persone si danno la mano, consapevolmente e amichevolmente, già lo fanno: “una carne sola”!
Questa è la premessa per ragionare bene, e per pensare bene anche e successivamente il concepimento e la nascita di “una carne sola”, la nostra stessa condizione di creatura - figlio, figlia, e persona - con e al di là di Adamo ed Eva, e della “Lupa” (legge naturale), nell’ottica di Maria e Giuseppe (di due persone in evangelica relazione), del Figlio e del Padre Nostro: Amore (“Agape”, “Charitas”).
Dopo Cristo, la strada è aperta!!! L’umanità intera può “uscire dallo stato di minorità”(I. Kant). Non siamo più sotto un pedagogo, ateo o devoto: faraone o gran sacerdote, che sia!!! Così per l’Evangelo, così per la Costituzione della Repubblica Italiana.
Così Paolo ai Galati : “(...) non siamo più sotto un pedagogo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna ["non est masculus neque femina", poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Galati: 3, 25-28).
Così la Costituzione italiana: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini [...] (art. 3).
DIVENTARE MAGGIORENNI. Andare a se stessi e venir fuori dalla preistoria, da interi millenni di labirinto è possibile ...
Federico La Sala (16.02.2010)
Sul tema, in rete e nel sito, si cfr.:
Stefano Catucci
Le cose stesse:
appunti su un’autocritica
trascendentale della fenomenologia
"X"- FILOSOFIA. A FIGURA DEL "CHI": IL NUOVO PARADIGMA.
FLS
FILOSOFIA, ANTROPOLOGIA E PSICOANALISI. LA CRISI DELLE SCIENZE: ENZO PACI, "AUT AUT", E L’ENIGMA DEL SOGGETTO. *
Quel gesto fenomenologico che ha fatto cultura
di Pier Aldo Rovatti *
Se mi chiedessero di dire in una battuta che cosa ha prodotto il settantennio di vita della rivista “aut aut”, messa al mondo nel 1951 dal filosofo Enzo Paci e oggi tutt’altro che estinta, risponderei senza esitazione: “il gesto fenomenologico”.
A tale atteggiamento o pratica di pensiero è stato dedicato anche il fascicolo della rivista attualmente in circolazione, in cui si guarda tanto al lunghissimo passato quanto a un futuro ancora da realizzare: sì, perché siamo ancora lontani dall’avere ben compreso questo gesto e dall’essere riusciti a metterlo in atto.
Di cosa si tratta? È un tentativo di dar corpo alla parola “critica”, forse più facile da collegare a quella cultura che voleva prendere distanza dai dogmatismi e dagli ideologismi del ventennio fascista di quanto sia riconoscibile oggi in una situazione nella quale tutti ci riempiamo la bocca di un’idea di democrazia alquanto superficiale e di tanti propositi culturali che spesso risultano vuoti e dai piedi di argilla. Parliamo infatti di pensiero critico, di responsabilità e di etica pubblica, ma non sembra proprio che riusciamo a dare troppo peso a quello che diciamo, come se dalla bocca di molti intellettuali uscisse soltanto un esile vapore, un flatus vocis che si disperde subito nell’aria.
Il gesto fenomenologico avrebbe invece la pretesa di tenere i piedi ben piantati sulla terra e di non consumarsi subito in una vacua cortina fumogena, come capita alla gran parte dei prodotti dell’attuale mondo della comunicazione, frettolosi e dunque superficiali. Questo gesto è invece qualcosa che ci coinvolge integralmente: non un semplice pensiero, qualcosa che ci passa per la testa e che comunque si riduce all’ambito del mentale, al contrario riguarda la nostra intera soggettività. È un atteggiamento “concreto” che concentra l’insieme delle nostre facoltà e ci mette completamente in gioco.
Detto altrimenti, questo gesto ci espone agli altri, non è una postura comprimibile nella privatezza, perciò ha sempre una dimensione pubblica, nel senso appunto dell’esposizione e del confronto. Siamo lontani dall’idea di una filosofia come disciplina a sé, dotata di una sua autorevolezza, piuttosto siamo vicini a un impegno di pensiero che ci chiederebbe di uscire dal bozzolo di un “io” separato, vale a dire di tentare di liberarci dalla presa di qualunque egoismo (egologia, egolatria) e dunque anche di sospettare di ogni pervasiva psicologia.
Perciò il gesto fenomenologico, così difficile da mantenere, così facile da inquinare e infrangere, dunque raro, è innanzi tutto un atteggiamento autocritico: ciascuno di noi, ogni “soggetto”, dovrebbe cominciare con il togliersi di dosso la camicia di forza dell’egoismo, tentare almeno di farlo, se vuole che il suo gesto agisca come un gesto critico. Non è certo lo scenario che vediamo ogni giorno perché, invece, abbiamo costantemente davanti una scena opposta in cui non si scorge quasi nessuna traccia di tale necessaria critica di sé stessi.
Ma cosa significa quel parolone, “fenomenologico”, che accompagna la parola “gesto”? Qui compare la specificità filosofica che caratterizza i settant’anni della rivista. È chiaro che il rimando è a Husserl e soprattutto alla sua ultima opera La crisi delle scienze. Si parte da una diagnosi di perdita di senso, cioè appunto di “crisi”, che non investe soltanto il mondo scientifico e la sua tecnicizzazione, come aveva fatto negli anni Trenta lo stesso Heidegger (peraltro, inizialmente discepolo di Husserl), ma investe per intero la cultura poiché riguarda lo stile di vita di ciascuno. Il titolo preciso di quest’opera di Husserl, che davvero ha fatto testo per comprendere un’epoca, certo non ancora conclusa, è: La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale (in italiano è stata pubblicata dal Saggiatore, lo stesso editore di “aut aut”).
“Fenomenologia” e in più “trascendentale”? Non è poi così difficile arrivare al nocciolo di una frase che potrebbe giustamente allarmare i non addetti (tra i quali, in questo caso, vorrei potermi collocare a mia volta): quel “trascendentale” è lì per dirci che non dobbiamo confondere fenomenologia con fenomeno (o con qualcosa di semplicemente fenomenico) perché ciò che viene messo in gioco è l’idea di soggetto e di soggettività nella sua concretezza non superficiale.
Per mantenere o ritrovare il suo carattere fenomenologico, questa idea non dovrà essere soltanto la meno idealistica, categoriale, metafisica possibile, perché non basta che la concretezza equivalga a ciò che è empirico, ma dovrebbe riuscire a dar corpo a una soggettività che non è mai fissabile attraverso un’etichetta. Perciò il termine fenomenologia risulta essenziale per mettere in primo piano proprio il problema del soggetto.
Aggiungo, per far capire l’importanza di tale problema, che il soggetto che viene così evocato non è mai traducibile in un concetto chiuso, di cui si possa costruire una scienza comunemente intesa. È piuttosto, come diceva lo stesso Husserl, un “enigma” che non possiamo cessare di sondare e di rilanciare, qualcosa che ha a che fare con l’insieme dei nostri vissuti e con la nostra stessa vita.
Qualcosa che fa tutt’uno con lo stile di vita di ognuno di noi, come ha mostrato con chiarezza Paci nelle pagine del suo personale Diario fenomenologico (ora riedito da Orthotes). E proprio da qui discende l’intero corredo critico di “aut aut”, cioè - per indicarne solo qualche aspetto - l’importanza della “sospensione del giudizio” (la famosa epoché, rilanciata anche da Franco Basaglia nella sua critica alla psichiatria ufficiale), l’importanza di non isolare mai il sapere dall’etica con il rischio di svuotare il “gesto” facendolo diventare unicamente una tecnica di pensiero, o anche l’importanza di conservare a ogni costo l’apertura del dubbio e la possibilità del “sempre di nuovo”.
Perché questo gesto non può essere mai considerato un atteggiamento esclusivamente individuale? La tonalità “politica” della rivista, presente fin dal suo inizio, può ritrovarsi nella risposta a quest’ultima domanda, nel senso che non si dà soggettività senza intersoggettività, cioè che nel vissuto personale è sempre presente e attiva l’esperienza dell’“altro” ed è quindi comunque decisiva un’esperienza del noi.
Senza il compito dello stare assieme in una comunità possibile e necessaria di soggetti, il gesto fenomenologico perde il suo significato, letteralmente si annulla nel suo senso e nei suoi obiettivi. Siamo ancora lontani da questo telos, dall’impegnarci seriamente nella pratica di una simile finalità, e allora si comprende perché il tragitto che “aut aut” ha iniziato fin dal primo fascicolo non sia affatto esaurito.
[articolo uscito in versione ridotta su “La Stampa” il 20 settembre 2021]
*Fonte: Aut Aut, 23/09/2021
NOTA:
L’ENIGMA DEL SOGGETTO E LA PROVA DELL’ESISTENZA DI DIO. Note su un dialoghetto "platonico" diffuso in rete:
USCIRE DALLA CAVERNA, E NON RICADERE NELL’ILLUSIONE DI “DIO” CONCEPITO COME “UOMO SUPREMO” (KANT).
COSA PENSANO I due BAMBINI nella pancia della madre "della VITA DOPO IL PARTO"? Ma l’autore "scrittore" di questo "bel" testo (sopra) ha mai sollecitato i "due bambini" a pensare sul come sono ’arrivati’ là dove sono, su come nascono i bambini?, e ha mai visto il Sole? O vive ancora nel pancione della Mamma-Terra, nella caverna di Platone (ama il mondo chiuso e la claustrofilia) e, per il trauma della nascita, si è sempre rifiutato di aprire gli occhi alla luce del Sole e vedere la Terra dalla Luna, dallo spazio?!
"ACHERONTA MOVEBO" (IL "MUOVERE LE ACQUE INFERNALI" DI FREUD) E AFFRONTARE IL TRAUMA DELLA NASCITA (OTTO RANK): SAPERE AUDE! ("IL CORAGGIO DI SERVIRSI DELLA PROPRIA INTELLIGENZA" DI KANT) !
Senza la critica di Kant del sogno dell’amore cieco e zoppo della ragion pura (di Socrate/Platone) non si può riconoscere a Diotima piena cittadinanza né nell’Accademia né nella Polis. La logica della tragedia (Edipo) porta davvero la peste!
La Sibilla Delfica (dell’oracolo di Apollo) a Socrate disse la verità, ma la storiografia ha preferito credere al sogno della nascita del cigno e alla storia di Platone, figlio di Zeus / Apollo!
Nietzsche perché ha scavato nella nascita della tragedia? Freud cosa cercava a Tebe?! Come Edipo, già a partire dal caso Dora, chiarirsi le idee sulla morte e uccisione del padre ("Interpretazione dei sogni") e sul desiderio incestuoso nei confronti della #madre, fare luce su "L’uomo #Mosè" e sull’esistenza di "Dio"! Con Dante e come Dante ha avuto il coraggio di agitare le acque infernali e uscirne: a Londra, è arrivato!
LA QUESTIONE DEL SOGGETTO, IL TRAUMA DELLA NASCITA, E LA VITA DOPO IL PARTO.
"OTTO RANK, IL DOPPIO E LA PSICOANALISI" (alcune mie note, in "Psicoterapia e Scienze Umane", 4, 1980, pp. 75-79) ). Se Freud osò agitare e rompere le acque infernali ("Acheronta movebo) e riuscì a portare alla luce la psicoanalisi, è da dire, però, che non fu altrettanto attento a riconoscere il trauma della nascita e a portarsi oltre le colonne d’Ercole dell’Edipo.
Andando in America, nel 1909, Freud era ancora fiducioso e ottimista nella possibilità della psicoanalisi di affrontare il diffondersi della peste; ma nel 1924, con la sua parziale comprensione del complesso di Edipo, non riesce ad accogliere la sollecitazione di Otto Rank a riflettere sul trauma della nascita e l’avvenire della sua stessa creatura comincia a oscurarsi.
Elvio Fachinelli (1928-1989) ha saputo vincere la Claustrofilia (1983), si è portato "Sulla spiaggia" (1985), ma l’ Accademia platonica della Filosofia come della Psicoanalisi ha continuato a chiudere un occhio su come nascono i bambini. E il platonismo continua a oscurare il cielo...
Federico La Sala
NICODEMO 0 DELLA NASCITA: "SE NON RIDIVENTERETE COME I BAMBINI, NON ENTRERETE NEL REGNO DEI CIELI" (Mt. 18, 3). *
Luca, l’evangelista delle donne (blog di Gianfranco Ravasi, Cardinale arcivescovo e biblista)
Il caso della donna dai sette mariti
di Gianfranco Ravasi (Famiglia Cristiana, 16 maggio 2019)
Siamo in pieno periodo pasquale ed è quindi significativo affrontare un tema connesso con la risurrezione, un argomento che già ai tempi di Gesù era oggetto di dispute con posizioni antitetiche. Noi consideriamo il soggetto secondo un curioso profilo femminile. Si tratta di un caso estremo ipotetico che gli avversari propongono a Gesù per metterlo in difficoltà (l’episodio, citato anche da Matteo e Marco, è da leggere in Luca 20,27-40). Nell’Antico Testamento era codificata una prassi secondo la quale, se un uomo sposato decedeva senza figli, l’eventuale fratello ne doveva sposare la vedova, così da assicurare una discendenza e una memoria al defunto.
Si trattava del cosiddetto “levirato” (dal latino levir, “cognato”), come facilmente si può comprendere da chi era coinvolto in questa normativa (Deuteronomio 25,5-10). Il nostro compito ora è spiegare il caso limite addotto dagli avversari di Gesù appartenenti alla corrente aristocratico-conservatrice dei sadducei a prevalenza sacerdotale. Essi negavano la risurrezione perché tale dottrina, pur presente nella Bibbia (si veda Ezechiele 37), era assente nella Torah (la Legge), ossia nei primi cinque libri della Sacra Scrittura.
Essi puntano a mettere in imbarazzo il rabbì di Nazaret prospettandogli una catena di “levirati” che hanno per protagonista una sola donna: ben sette fratelli subentrano in matrimoni successivi, morendo però tutti prima di aver assicurato una discendenza alla vedova e, quindi, al loro primo fratello defunto. Il paradosso fittizio è introdotto per costringere Gesù a schierarsi con loro contro i farisei - l’altra corrente giudaica avversaria - negando la risurrezione che questi ultimi sostenevano come dottrina di fede. Infatti, sogghignando, alla fine gli domandano: «Alla risurrezione, di quale dei sette la donna sarà moglie?».
Cristo, nella sua risposta, non cade nel tranello e replica volando alto: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio» (Luca 20,34-36). Egli nega, così, una lettura “materialistica” della risurrezione. E aggiunge una motivazione teologica ulteriore, citando un passo dell’incontro di Mosè con il Signore al roveto ardente del Sinai: «Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui» (Luca 20,37-38; cf. Esodo 3,6).
Dio non si lega a cadaveri, ma a esseri viventi ai quali apre un orizzonte di vita oltre la morte secondo categorie differenti rispetto a quelle meramente “carnali”, basate sulla nostra storia che si muove sulla base delle coordinate spazio-temporali. Si tratta di un nuovo ordine di rapporti, di una nuova creazione, di un orizzonte nel quale i vincoli parentali e sociali sono trasfigurati. Queste parole di Gesù avevano conquistato quel grande filosofo e scienziato credente che fu Blaise Pascal. A partire dal 1654 fino alla morte (1662) egli le portò sempre con sé, scritte su un foglio, cucito nella fodera del farsetto, intitolato “Fuoco”, e scoperto alla morte del pensatore da un domestico.
Eccone il testo modulato sulle parole di Gesù, commentate liberamente da Pascal: «Dio d’Abramo, Dio d’Isacco, Dio di Giacobbe, non dei filosofi e dei dotti. Certezza, certezza. Sentimento. Gioia. Pace. Dio di Gesù Cristo. Dio mio e Dio vostro. Il tuo Dio sarà il mio Dio. Oblio del mondo e di tutto fuorché di Dio. Egli non si trova se non per le vie indicate dal Vangelo».
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
DANTE, ERNST R. CURTIUS E LA CRISI DELL’EUROPA. Note per una riflessione storiografica
L’EUROPA IN CAMMINO - SULLA STRADA DI GOETHE O DI ENZO PACI (“NICODEMO O DELLA NASCITA”, 1944)?!
GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro Abramo".
Federico La Sala
Adottare la violenza ermeneutica
di Vittorio Cristelli (vita trentina, 15 gennaio 2012)
Una delle obiezioni che si fanno al pacifismo, alla predicazione evangelica dell’amore a tutti gli uomini è la mancanza di efficacia, di incisione sulla realtà. Buonisti e sognatori vengono chiamati coloro che credono ancora nella forza dell’amore e all’offesa porgono l’altra guancia. Viene rimproverato loro soprattutto di non riuscire a cambiare nulla e di lasciare le cose come stanno, anche la criminalità ordinaria, perché ignorano che l’uomo è capace anche del male.
Eppure San Giovanni ha detto nella sua prima lettera che abbiamo letto domenica scorsa: "Questa è la forza che vince il mondo, la nostra fede". Ha parlato di forza che vince, non di debolezza che soccombe.
Il prete filosofo Italo Mancini, che ha studiato a fondo il pensiero negativo moderno e il liberismo della nuova destra si è occupato anche di questa apparente debolezza del pacifismo, della predicazione dell’amore e del dialogo.
Ed è approdato a quella che ha chiamato "violenza ermeneutica", che vuol dire lettura inesorabile della realtà senza cedimenti e senza sconti per nessuno, neanche per la Chiesa. Scrive esplicitamente: "Una nuova persuasiva lettura del mondo o della storia o della fede è capace di sconvolgimenti inauditi, suscita fuochi che scaldano il petto e crea fronti di lotta dai coaguli enormi". Cita ad esempio il Mahatma Gandhi che conquista un impero con il suo Satyagraha, ma anche Papa Giovanni e il suo Concilio Vaticano II. Violenza ermeneutica era quella di Sant’Agostino quando scriveva: "Uccidiamo la guerra con la parola, perché non vengano uccisi gli uomini con la guerra". E violenza ermeneutica era pure quella di Gesù quando gridava: "Guai a voi farisei ipocriti!" e quando scacciò con furore i mercanti dal tempio.
Oggi noi potremmo citare come violenza ermeneutica la rivoluzione araba che ha scosso tutto il Nord Africa dall’Egitto alla Tunisia, alla Libia, con effetti inattesi e sorprendenti di abbattimenti di forti dittature e germi promettenti di democrazia. Anche gli "indignados" della Spagna e poi del nostro Paese sono violenza ermeneutica che reclama giustizia sociale senza ricorrere alla violenza fisica, anzi, proprio nelle infiltrazioni dei Black Block incappucciati spacca-vetrine vede il suo principale nemico che rovina dal di dentro la sua concezione nonviolenta. Una lettura inesorabile della situazione può essere anche la via di uscita dalla crisi che ci attanaglia, se diventa, per usare le espressioni di Italo Mancini, "fuoco che riscalda i petti e crea fronti di lotta dai coaguli enormi". E mi pare di intravederla nell’incontro dei cattolici italiani a Todi, cui ha fatto eco e necessario completamento quello del cattolicesimo democratico a Roma.
Interessanti e allusive le tre "C" di quest’ultimo: "Costituzione, Concilio, Cittadinanza", perché se da una parte richiamano un momento alto di dialogo tra forze politiche e ideologie diverse che segnò l’uscita dalla crisi del dopoguerra e la nascita della nostra Repubblica, dall’altra rilanciano il Concilio che fu primavera della Chiesa. Il tutto calato nell’attualità della cittadinanza. Una Costituzione nonviolenta, che all’articolo 11 ripudia esplicitamente la guerra. Un Concilio che definisce la Chiesa "popolo di Dio" in cui c’è pari dignità di tutti. La Cittadinanza infine oggi è planetaria. Utopia, dirà qualcuno. E va bene, ma sul modello del Regno di Dio che deve instaurarsi già su questa terra. Idee-forza, che già ispirano missionari, mondo del volontariato e cristiani fino al martirio. Attendono però di diventare fuochi che riscaldano i cuori di tutti i credenti e fonte di ispirazione dei cosiddetti "nuovi politici cattolici’. E la crisi non farà più paura.