STORIA E MITO.

DANTE, ERNST R. CURTIUS E LA CRISI DELL’EUROPA. Note per una riflessione storiografica - di Federico La Sala

L’EUROPA IN CAMMINO. GIASONE, "L’OMBRA D’ARGO", E “VENTICINQUE SECOLI” DI LETARGO...
sabato 16 marzo 2024.
 

"DI VELLO IN VELLO". COME VIRGILIO PORTA DANTE FUORI DALLA "CAVERNA" DI LUCIFERO: "Com’a lui piacque, il collo li avvinghiai;/ed el prese di tempo e loco poste,/e quando l’ali fuoro aperte assai,//appigliò sé a le vellute coste;/di vello in vello giù discese poscia/tra ’l folto pelo e le gelate croste" (Inf. XXXIV, 70-75).


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INTRODUZIONE:

“MITIDEOLOGIA”: MITO, FILOSOFIA, E TESSITURA ...*

SICCOME “La memoria è ospite del tempo. Viene ricevuta come lui crede e lo accoglie a modo suo” e RICHIAMA attenzione “ai corsi dell’Escorial in Spagna, dove assistemmo, con Giulia Sissa, a un incontro di Sumo!” (cfr. Paolo Fabbri, "Marcel Detienne: memorie felici e concetti indelebili", "Alfabeta-2", 31.03.2019), FORSE, è proprio l’occasione giusta per RICORDARE che “Fu una bella trovata quella di Marcel Detienne e Giulia Sissa di dedicare un libro (edito da Laterza, in Italia) alla «vita quotidiana degli dei greci». Agli dei greci può succedere infatti di ricevere una ferita se si immischiano troppo in una battaglia tra esseri umani. È il caso della divina Afrodite, madre ansiosa di Enea, la quale accorre a difenderlo dal brutale Diomede e da costui viene malmenata e ferita ai polsi, nel quinto libro dell’Iliade. Per non parlare delle risse, passioni, sofferenze, stanchezze di cui questi dei sono partecipi, pur immortali” (cfr. Luciano Canfora, “Quegli dei troppo umani che non avevano la verità. La collera di Posidone, le vendette di Zeus, l’ansia di Afrodite”, Corriere della Sera, 08.06.2009)! E VOLENDO, unitariamente, RILEGGERE qualche “vecchia” pagina di OVIDIO. La tela di Aracne apre il libro sesto delle “Metamorfosi”, la storia di Filomela lo chiude (...) Prima che la dea adirata Atena (Minerva) stracci la stoffa tessuta da Aracne, la tessitrice, donna mortale, racconta su di essa una storia molto particolare.

P. S. 1 - ALL’ESCORIAL - “UN INCONTRO DI SUMO!” - CON FILIPPO II, NEL 1584:

Il punto esclamativo, posto alla fine della frase del secondo capoverso della nota su “Marcel Detienne: memorie felici e concetti indelebili”, “Alfabeta-2”, 02.04.2019) di Paolo Fabbri dallo stesso Paolo Fabbri (“[...] fino ai corsi dell’Escorial in Spagna, dove assistemmo, con Giulia Sissa, a un incontro di Sumo!”), dice di una sorpresa, che sorprende - a sua volta!

La cosa sollecita non solo a “ricordare - come scrive Spagnoletti a proposito del suo “Filippo II” - che la prima globalizzazione fu quella operata da Filippo, che il nome delle Filippine e la diffusione della lingua castigliana (spagnola?) nell’America del centro-sud e, ormai, anche in parte dell’America settentrionale sono un suo lascito culturale dal quale nessun uomo avvertito può oggi prescindere [...] e che forgiò la storia di tanta parte del Vecchio e del Nuovo Mondo [...]” (op. cit., p. 14), ma anche e ancora a rimeditare il prezioso contributo di Arnaldo Momigliano sui limiti della storiografia europea, a partire da “L’errore dei Greci” (cfr. Id., “Saggezza straniera. L’Ellenismo e le altre culture”, Torino 1980, pp. 157-174).

P. S. 2 - "VERSAILLES è un ESCORIAL tradotto in francese” (Ernst R. Curtius, 1934).

Se è vero che “nella House Beautiful di «Letteratura europea» non c’è spazio - come ha scritto Corrado Bologna (Alias/il manifesto, 31.01.2016) - “per Kafka e per il suo Don Chisciotte migrante che viaggia lungo l’Europa fino a giungere a Milano. Commenta fulmineo lo spitzeriano Mancini: «Don Chisciotte milanese, come Stendhal»”, è altrettanto vero che “La Francia stessa è stata tributaria a Madrid della sua civiltà fino all’epoca di Luigi XIV, e Versailles è un Escorial tradotto in francese. Soltanto dopo la pace dei Pirenei nel 1659, la Francia comincia ad avere la supremazia in Europa, e da allora questa supremazia si afferma e si radica così potentemente con tutti i mezzi della politica e della cultura, che ancora oggi ha quasi cancellato la vecchia egemonia ispano-austriaca”(Ernst R. Curtius).

Abbiamo dimenticato troppo presto che l’ombra minacciosa del Sacro Romano Impero era giuridicamente ancora in piedi nell’Europa di Napoleone!

Non è male ricordare, come fa Spagnoletti nel suo “Filippo II”, “Al lungo regno di Filippo corrispose quello di tre imperatori: Ferdinando I (1556-1564), Massimiliano II (1564-1576) e Rodolfo II (1576-1612)” (op. cit., p. 190) e, al contempo, rimeditare su quanto scriveva Curtius nel 1934: “Se ancora oggi la scuola d’equitazione spagnola attira i visitatori alla Hofburg di Vienna, si tratta in fondo dell’ultimo, minimo residuo di quella comunione storica e culturale che univa nello stesso splendore imperiale Vienna e Madrid, senza passare per Parigi”!!! Forse, se si tiene a mente che di lì a poco sulla Tour Eiffel sventolerà la svastica (14 giugno 1940), ci si può rendere conto di quanto l’Europa è stata (e per molti versi è) ancora cieca e sorda all’altro dentro di se e all’altro fuori di sé, e quanto e come un sorprendente “punto esclamativo” possa essere decisivo per svegliarsi da un “sonno dogmatico” di lunga durata. O no?!

P.S. 3 - LA STATUA DELLA LIBERTÀ - CON LA SPADA SGUAINATA: “GUAI AI VINTI”!!! LA LEZIONE DI FRANZ KAFKA.

“Sull’orlo dell’abisso, non ci resta che venir fuori dallo stato (cartesiano-hegeliano) di sonnambulismo: seguire il filo del corpo (l’ombelico!), riacchiappare il senso della vita, e riattivare la memoria delle origini. Con Kant, con Feuerbach, con Marx, con Nietzsche, con Freud, con Rosenzweig, con Buber, e con Kafka ... si tratta di capire il significato della “spada” impugnata dalla “Statua della Libertà”, ritrovare “la fotografia dei genitori” (cfr. America) e riconciliarci con lo spirito di quei due esseri umani, di quei due io, che hanno fatto UNO e dato il via alla più grande rivoluzione culturale mai verificatasi sulla Terra - la nascita di noi stessi e di noi stesse e dell’intero genere umano - e riprendere il nostro cammino di esseri liberi e sovrani, figli della Terra e dello Spirito di D(ue)IO. Camminare eretti, senza zoppicare e con gli occhi aperti, è possibile. Non è un’utopia.”.

P. S. 4 - EUROPA, STRASBURGO 1770: CON “MARIA ANTONIETTA” IN VIAGGIO PER VERSAILLES.

Nel 1770 a Strasburgo, nei pressi del confine del Sacro Romano Impero con la Francia, Goethe “guarda un arazzo che narra le storie di Giasone, di Medea e di Creusa”, preparato “per le feste in onore dell’arrivo della sposa” di Luigi XVI di Borbone, Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena che si stava trasferendo a Versailles, e così commenta: «dunque un esempio del più infelice matrimonio»!

Goethe mostra di avere una conoscenza superficiale della leggenda di Giasone, e della sua nave Argo, e del come e del perché sia arrivata proprio lì, sulle sponde del Reno, in quell’ambiente e per quella occasione, e, colpito, ne resta segnato per moltissimi anni: “era «estremamente» indignato dalla scelta e glien’è restato - commenta Curtius - il ricordo se dopo quarant’anni lo ritiene ancora degno di esser raccontato (Dichtung und Warheit, II, 9)”.

Nel 1950, Ernst R. Curtius, che ha già pubblicato nel 1947 “Letteratura europea e Medio Evo latino”, in un saggio intitolato “La nave degli argonauti” (cfr. Id.,“Letteratura della letteratura”, Saggi critici a cura di Lea Ritter Santini, Bologna 1984, pp. 301-325), quasi a conclusione, dopo aver ricordato che per Dante “il viaggio di Giasone è la più stupefacente impresa di tutti i tempi” e premesso che “il pensiero storico di Dante ha bisogno di prospettive millenarie - come quello di Goethe,” così prosegue e commenta: “A guardarlo oggi, Goethe si avvicina sempre più a Dante, e non solo nel tempo. Come Dante, anche egli rappresentò ancora una volta il Thesaurus della tradizione europea. Anche in lui troviamo il mito degli Argonauti”.

Curtius cosa sta cercando di dire - e di fare con le parole, con queste parole? Cambiata di segno, la sua affermazione appare essere una forma di sollecitazione subliminale volta ad avvicinare sempre più Goethe a Dante, sino a portarci a pensare: «dunque un esempio del più felice “matrimonio”»! Ma qualcosa resiste, sia nella memoria di Goethe sia di Curtius e fa emergere un non-detto del messaggio. Un’ipotesi: forse, e per caso, sono le stesse parole “sussurrate” al cuore e alla mente di Maria Antonietta dalla madre, l’Imperatrice Maria Teresa d’Austria, al momento del suo trasferimento a Parigi: «Rimanete una buona tedesca!», «Rimanete un buon tedesco!»?!

Incredibilmente Curtius - pur sapendo che “Giasone, nel XVIII canto dell’Inferno, compare fra i seduttori e Virgilio glielo presenta con ammirazione”, che “la nobile e bella figura giovanile di Giasone era già piaciuta ad Ovidio” e, ancora, che “Dante va oltre” lo stesso Ovidio e gli attribuisce “i tratti dell’eroe ideale” riservati “ai suoi prediletti” - fa sua la maschera di Goethe (“Der Brautigam” è il titolo di una sua poesia del 1829), divenuto egli stesso un Argonauta (“Linceo è l’Antifaust, Linceo è Goethe, l’argonauta trasformato”) e, nel tentativo di avvicinarsi “sempre più a Dante”, ricorda più il Thesaurus (il “Tresor” e il “Tesoretto”) della tradizione di Brunetto Latini, che quello della “Divina Commedia”, della nuova Argo, la nave del viaggio terrestre e celeste di Dante - più il Vitello (“T-aurus”) d’oro della tradizione egiziana, che il Vello d’oro dell’Ariete di Giasone e del Vello d’oro dell’Agnello di Dante. Che cagliostrosità!

Dopo i “venticinque secoli a la ‘mpresa” di Giasone (Dante, Par., XXXIII, 95), Curtius - ipnotizzato dalla magia di Goethe, che “scherzando” si autodefiniva “un Argonauta”, prende la sua maschera tratta fuori “dall’esatta descrizione storica dei mitologi”, e fa suo “il suo testamento. In ogni età c‘è una Argo, come aveva predetto Virgilio: «Ci saranno ancora un altro Tifi e un’altra Argo a trasportare eroi eletti»”.

Ma per quale destinazione?! Ancora e sempre per Versailles?!

Non è meglio uscire dal “letargo”, svegliarsi dal “sonno dogmatico”, e uscire “a rivedere le stelle”?!

P. S. - 5 L’EUROPA, DOPO “VENTICINCINQUE SECOLI” DI LETTERATURA.

A commento dei “tratti dell’eroe ideale”, attribuiti da Dante a Giasone, in nota, Curtius così scrive: “Una anticipazione del romanticismo burgundo che circonda Giasone. Filippo il Buono di Borgogna sposò nel 1430 Isabella del Portogallo. In questa occasione - o forse quale omaggio alla popolazione di allora, stupenda nel navigare - fondò l’ordine del Toson d’Oro. I suoi protettori erano Giasone e Gedeone. Anche nella loro storia un vello miracoloso aveva avuto la sua parte (Libro dei Giudici, VI, 36-40). Un auto sacramentale di Calderón si intitola La Piel de Gedeon (1650), stampato nella edizione di Pando y Mier (1717), vol. III; in tedesco in F. Lorinser: Calderóns geistliche Festpiele, vol IX. Sul romanticismo di Giasone: v. Georges Doutrepont, La Littérature Française à la Cour des Ducs de Bourgogne, 1909, pp. 147-176” (cfr. Ernst R. Curtius, Letteratura della letteratura..., op. cit., pp. 317-318).

Benché nella “Letteratura europea” (1947) abbia citato il lavoro dello storico olandese Johan Huizinga (morto nel 1945), in particolare l’opera “L’autunno del Medio Evo” (del 1919), una straordinaria lettura del “secolo della Borgogna”, ove si racconta diffusamente di “ordini e voti cavallereschi”, della nascita dell’ordine del Toson d’oro, ecc - ora, qui, nel saggio “La nave degli Argonauti” (1950), Curtius non ne fa alcun cenno; e, addirittura, delle opere di Calderón cita solo “La Piel de Gedeon” (ma non “El divino Jasón”, “El divino Orfeo”, “El Laberinto del Mundo”, ecc.)!

Cosa è successo?! La “maschera” di Goethe, forse, gli ha giocato un brutto scherzo e lo ha costretto a rimettersi nei panni di Faust? Incredibilmente, già in “Letteratura europea e Medio Evo Latino”, dato per valido il calcolo dei “venticinque secoli” di Dante dall’impresa di Giasone (Par., XXXIII, 95), tre anni prima (1947), egli aveva già scritto: “La letteratura europea abbraccia il medesimo periodo di tempo della cultura europea, comprende cioè circa ventisei secoli (calcolati da Omero a Goethe)”(p. 20).

Che dire? Davvero “Goethe si avvicina sempre più a Dante”?! Boh?! Bah!

P. S. - 6 CURTIUS E LA CRISI DELL’EUROPA. A che gioco giochiamo?!

Nel 1929, in un breve saggio dedicato a "Hugo Hofmannsthal. In memoriam" (op. cit., pp. 165-176), Curtius scrive: "La regalità era la figurazione più interiore nel rapporto tra Hofmannsthal e il mondo. La funzione di poeta non era per lui che una delle forme in cui essa si manifestava [...] tutte le opere di Hofmannsthal tendono verso la forma ideale di un theatrum mundi, un poema cosmico allegorico-simbolico che eleva il caso dell’esistenza all’ordine delle grandi leggi, che nel temporale, fanno apparire l’eterno. L’allegoria non è qui indebolita ricchezza di vita e la maschera non è apparenza, al contrario, soltanto quando riusciamo a vedere la deformazione, la maschera della nostra esistenza, ne comprendiamo il senso e la verità più profonda".

E poco oltre, condividendo il programma e lo spirito della sua “rivoluzione conservatrice”, così prosegue : "La nostra poesia ha molto sentimento del mondo (Weltgefuhl), ma poco mondo: ha molte visioni del mondo (Weltanschauungen), ma mediocre ne è la sua conoscenza. In Goethe esisteva la possibilità di unire i due aspetti e ristabilire le giuste proporzioni. Ha dovuto condurre il suo Faust alla corte dell’imperatore: era anzi ancora legato all’impero e colorate feste d’incoronazione avevano illuminato la sua infanzia. Non ha sentito più battere il cuore dell’impero [...] L’orizzonte universale del vecchio impero asburgico era stato dato in eredità a Hofmannsthal. Vienna e Madrid non ne facevano meno parte [...]". E, così chiude: “Hofmannsthal ha raccolto nel suo tesoro reale, i beni più preziosi del linguaggio e dell’anima dei paesi latini: noi lo conserviamo come la sua eredità, come «munus Austriacum»”.

Nel 1932 fa il passo “decisivo”: pubblica “Deutscher Geist in Gefahr “ (“Lo spirito tedesco in pericolo”), un libro (una raccolta di articoli di quegli anni), e nella postfazione, confidando nella “metafisica dello spirito”, chiude con il richiamo al “Veni creator spiritus” - “l’inno del franco-renano Rabano Mauro” (“Mille anni più tardi un altro franco-renano, Goethe, ha tradotto questo “splendido canto religioso” e lo ha definito un “appello al genio”) - e con l’auspicio che “sotto questo segno la fede nella Germania e la fede nello spirito possono trovarsi legate e confermate” (cfr. Ernst R. Curtius, “Lo spirito tedesco in pericolo”, in Annamaria Bercini, “Il discorso politico culturale del «Deutscher Geist in Gefahr» di Ernst Robert Curtius”, Bologna 2015)

Le illusioni di Curtius di diventare una guida spirituale della “rivoluzione conservatrice” sono infondate e vengono spazzate via in un baleno: “Il 24 marzo del 1933, subito dopo l’ascesa al Reichstag di Hitler, sul Beiblatt del «Völkischer Beobachter», il giornale ufficiale del partito nazista sin dal 1920, comparve un durissimo articolo di Hermann Sauter (che di lì a qualche anno diverrà direttore della Stadtbibliothek di Monaco), Deutscher Geist in Gefahr?, che era in effetti una stroncatura senza appello del libro di Curtius. L’assenso di Curtius alla missione tedesca è, come si può vedere, in realtà una negazione del nuovo, potente volere tedesco. Ma questo è il nostro credo: che il vero spirito tedesco otterrà nuovamente onore, e sarà capace di avere valenza mondiale, quando sarà ripulito dal peso accumulato nella cosiddetta libertà spirituale del decennio passato. Sauter concludeva con quello che appare un vero avvertimento da mafioso. Curtius può avere ancora un ruolo importante nella nuova Germania, ma a patto di non tentare più di fare il Kulturpolitiker, perché non capisce nulla dei fondamenti autentici - cioè biologici - della cultura tedesca.” (cfr. Carlo Donà, “Lo spirito tedesco e la crisi della mezza età: «Deutscher Geist in Gefahr» (1932)” ).

Dopo la catastrofe della Germania del “Terzo Reich”, Curtius ancora non capisce: continua il suo “sogno” calderonico e la “vacanza” nel suo “illuminato” (contro e) pre-illuministico “stato di minorità” (I. Kant, 1784). E nel 1947, come se niente fosse successo, alla fine del primo capitolo di “Letteratura europea Medio Evo latino”, intitolato “Letteratura europea”, con un “occhiolino” a Benedetto Croce (e alla memoria di Hegel), riprende il lavoro per il “nuovo ordine culturale”, già proposto nel “Deutscher Geist in Gefahr” del 1932, e ricomincia: “Della letteratura europea l’eroe fondatore (heros ktistes) è Omero, l’ultimo autore universale è Goethe. Ciò che questi rappresenta per la Germania lo ha riassunto Hofmannsthal [...] La letteratura del secolo XIX e dell’inizio del XX non è stata ancora scandagliata, in essa non è stato ancora distinto ciò che è vivo e ciò che è morto. Ciò potrà dare materia per molte dissertazioni, la parola decisiva sarà però pronunciata non dalla storia della letteratura, ma dalla critica letteraria. Per questo compito noi, in Germania, abbiamo Friedrich Schlegel - e seguaci” (op. cit., p. 24)!

Purtroppo, per Curtius, che è vissuto e cresciuto all’interno di coordinate storico-culturali da Sacro Impero (romano, spagnolo, e germanico), e nelle cui orecchie risuona ancora l’ordine dato a Maria Antonietta dalla Madre-Imperatrice (“Rimanete un buon tedesco!”), “la vita è sogno” e non c’e alcuna possibilità di riconsiderare critica-mente né il lavoro di Ernst H. Kantorowicz (anch’egli vicino al “cerchio” di Stefan George) sulla figura dell’Imperatore Federico II (1927/1931), né tantomeno “l’autunno del Medio Evo”, il “declino del simbolismo” e la lezione su Dante di Johan Huizinga ("L’autunno del Medio Evo" [1919, 1921, 1928]): “[...] per indicare il rapporto fra l’autorità spirituale e quella temporale il Medioevo si serviva costantemente di due similitudini simboliche [...] La forza del simbolo è tale da intralciare l’indagine sullo sviluppo storico dei due poteri. Dante, avendo riconosciuto la necessità e il valore decisivo di tale indagine, si vede costretto, nel suo Monarchia, a spezzare prima la forza del simbolo, contestando la sua applicabilità, ed aprendosi così la strada alla ricerca storica".

La totale incomprensione del “relazionismo” proposto da Karl Mannheim in “Ideologia e Utopia” (1929), esaminato e rigettato nel capitolo quarto dello “Spirito tedesco in pericolo”, impedisce a Curtius di aprire gli occhi su stesso e sul mondo, di uscire dal relativismo-assolutismo dogmatico in cui naviga, e di smetterla di sognare il “sogno dei visionari” (sul tema, mi sia lecito, cfr.: “Heidegger, Kant, e la miseria della filosofia - oggi”).

“Sogno o son desto?”: a che gioco si continua a giocare? Non è meglio cambiare gioco!? Per l’Europa - e per l’intero Pianeta? Boh? e bah!?

P. S. 7 - "LE ASTUZIE DELL’ INTELLIGENZA NELL’ANTICA GRECIA", I “TOPOI” DELLA "RETORICA ANTICA", E "LA CRISI DELLE SCIENZE EUROPEE"...

ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO. Se Curtius avesse seguito il filo (etico e metodologico) rintracciato nell’analisi dell’opera di Marcel Proust (il "relazionismo", poi, proposto da Mannheim in "Ideologia e utopia" ) e, al contempo, esplorato di più e meglio i "topoi" della «retorica antica» (R. Barthes), forse, avrebbe condiviso con Marcel Detienne "la divertita scoperta che nella Grecia della geometria e della logica, le dicerie avevano una loro dea, «Femé»" (Paolo Fabbri), sarebbe stato molto più critico nei riguardi della "Fama" di Goethe, più attento nei confronti del lavoro di Karl Mannheim e del vincitore del "Premio Goethe" dell’anno 1930 (Sigmund Freud) e meno fiducioso in una prospettiva di "individuazione" (Carl G. Jung) ancora segnata dalla figura di Edipo.

SU COME E QUANTO CURTIUS avesse ragione, però, è da dire che Harold Bloom lo ha ben chiarito nel capitolo dedicato al «Faust: seconda parte di Goethe: il poema controcanonico» nel suo "Canone occidentale", richiamando "[...] la straordinaria fantasticheria su Elena, meravigliosa quanto oltraggiosa trasposizione della Germania in Grecia":

"Con la solita audacia, Goethe - così prosegue Bloom - parodizza Omero e le tragedie ateniesi per offrirci uno dei più singolari poemi mai scritti: la resurrezione di Elena di Troia, la sua unione con Faust, la nascita e morte del loro figlio Euforione, e il ritorno di Elena tra le ombre. Al pari della notte di Valpurga classica, e al pari dei cori celestiali che concludono la «Seconda parte», la Elena che Goethe ci offre è un poema controcanonico, una impensabile revisione di Omero, Eschilo ed Euripide, come se la Notte di Valpurga classica rivoltasse come un guanto le origini della mitologia greca, e i cori conclusivi parodiano il Paradiso di Dante con una verve sottilmente crudele".

CURTIUS - scrive Bloom - "aveva ragione: Goethe ha messo fine a un aspetto della tradizione. [...] è davvero l’ultimo grande scrittore dell’età inaugurata da Dante. Per scrivere un epos controcanonico o un dramma cosmologico come «Faust, Seconda parte», occorre un intimo rapporto con il Canone di cui nessun’altro, dopo Goethe, ha sofferto (o goduto). Ciò conferisce particolare pregnanza al decesso di Faust, perché a morire è ben più che non il personaggio Faust" (cfr. H. Bloom, "Il canone occidentale. I libri e le scuole delle età", Milano 1996, pp. 208-209).

Sul tema, infine (mi sia lecito), si cfr. -«L’homunculus di Goethe è il simbolo di quella che Husserl denuncia come “crisi delle scienze”» di Enzo Paci (dal "Diario fenomenologico") , e le mie note sul suo dialogo "Nicodemo o della nascita".

P.S. 8 - L’EUROPA IN CAMMINO - SULLA STRADA DI GOETHE O DI ENZO PACI (“NICODEMO O DELLA NASCITA”, 1944)?!

Doomsday Clock.... Fine della Storia o della “Preistoria”?
-  TROIA, L’OCCIDENTE, E IL PIANETA TERRA. PER LA PACE PERPETUA.

P.S. 9 - “DELLA TERRA, IL BRILLANTE COLORE”: L’AUTOCTONIA, IL MITO DI EDIPO, E L’ORDINE SIMBOLICO DELLA MADRE-TERRA... *

A) MITIDEOLOGIA. Il cielo della preistoria (Marx) getta ancora le sue terribili ombre sul nostro presente! Cogliere le cose alla radice non è facile. A richiamare tutta l’attenzione sul lavoro di Marcel Detienne è bene ricordare quanto scrive Fabbri: “[...] È il concetto di Autoctonia, antica e moderna, che ha occupato gli ultimi anni dell’antropologo (Essere autoctoni. Come denazionalizzare le storie nazionali, Sansoni 2004). Un problema politico che Heidegger aveva evitato attribuendo a “polis” la falsa etimologia di “essere”. Per Detienne non c’era autoctonia in Atene e in Roma, e il concetto è l’esempio d’una “mitideologia” impiegata nella costruzione dei nazionalismi passati e, purtroppo, presenti e futuri (Paolo Fabbri, “Marcel Detienne: memorie felici e concetti indelebili”, Alfabeta-2, 31.03.2019).

B) LA STRUTTURA DEI MITI: L’AUTOCTONIA. Il problema era già stato posto con grande chiarezza da Claude Lévi-Strauss, nel 1955: “[...] il mito di Edipo [...] esprimerebbe l’impossibilità in cui si trova una società, che professa di credere all’autoctonia dell’uomo (si veda ad esempio Pausania, VII, XXIX, 4: il vegetale è il modello dell’uomo), di passare da questa teoria al riconoscimento del fatto che ciascuno di noi è realmente nato dall’unione di un uomo e una donna. La difficoltà è insuperabile. Ma il mito di Edipo offre una specie di strumento logico che permette di gettare un ponte tra il problema iniziale - nasciamo da uno solo o da due? - e il problema derivato che si può approssimativamente formulare così: il medesimo nasce dal medesimo o dall’altro? [...] Il problema posto da Freud in termini «edipici» non è più probabilmente quello dell’alternativa fra autoctonia e riproduzione bisessuata. Ma si tratta pur sempre di capire come uno possa nascere da due: come avviene che non abbiamo un solo genitore, ma una madre e in più un padre?” (C. Lévi-Strauss, “Antropologia strutturale”, Il Saggiatore, Milano 2015).

C) L’ORDINE SIMBOLICO DELLA MADRE - TERRA. UNA CATTOLICA, UNIVERSALE, ALLEANZA “EDIPICA” REGNA ANCORA COME IN TERRA COSI’ IN CIELO.

* COME NASCONO I BAMBINI (Enzo Paci). Sul tema, mi sia lecito, si cfr. Federico La Sala, “Della Terra, il brillante colore”, pref. di Fulvio Papi, Roma-Salerno, Edizioni Ripostes, 1996 (Milano, Nuove Scritture, 2013), in particolare, il cap. 5° e il cap. 6° della Parte III; e, Federico La Sala, “Freud, Kant, e l’ideologia del superuomo”.

Federico La Sala (20.04.2018)

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Federico La Sala




Sul tema, in rete e nel sito, si cfr.:

DANTE ALIGHIERI (1265-1321)!!! LA LINGUA D’AMORE: UNA NUOVA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO. CON MARX E FREUD. Una "ipotesi di rilettura della DIVINA COMMEDIA".


-  IL MITO DELLA ROMANITÀ, LA MONARCHIA, E IL FASCISMO --- La politica nobiliare del Regno d’Italia 1861-1946. Actes du colloque de Rome, 21-23 novembre 1985 (Giorgio Rumi)

Disagio della civiltà: "Poi che l’apostolo Paolo ebbe posto l’amore universale tra gli uomini a fondamento della sua comunità critiana, era inevitabile sorgesse l’estrema intolleranza della Cristianità contro coloro che rimanevano al di fuori; i Romani, che non avevano fondato la loro collettività statale sull’amore, non conobbero l’intolleranza religiosa, benché per loro la religione fosse un affare di Stato e lo stato fosse imbevuto di religione. Non fu un puro caso che il sogno germanico del dominio del mondo facesse appello all’antisemitismo come a suo complemento, e non è inconcepibile che il tentativo di stabilire una nuova civiltà comunista in Russia trovi il suo sostegno psicologico nella persecuzione della borghesia. Ci si chiede soltanto, con apprensione, che cosa si metteranno a fare i Sovieti, dopo che avranno sterminato la loro borghesia [...]" (S. Freud, Il disagio della civiltà, 1929).



25 MARZO - DANTEDì

GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro Abramo".


FLS


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