PER LA PACE PERPETUA. ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO....

MICHELANGELO, PER UN RITRATTO A PROUST: UNA ILLUMINANTE INDICAZIONE DI WALTER BENJAMIN. Materiali sul tema - di Federico La Sala

"Nel secolo scorso c’era a Grenoble un’osteria che si chiamava «Au temps perdu» (non so se ci sia ancora). Anche da Proust noi siamo avventori che sotto l’insegna oscillante varchiamo una soglia [...]"
giovedì 15 febbraio 2018.
 



MICHELANGELO, PER UN RITRATTO A PROUST: UNA ILLUMINANTE INDICAZIONE DI WALTER BENJAMIN. Materiali sul tema - di Federico La Sala

A

I. I tredici volumi della Recherche di temps perdu di Marcel Proust sono il risultato di una sintesi impossibile, in cui lo sprofondarsi del mistico, l’arte del prosatore, la verve del satirico, il sapere del dotto e l’ossessione del monomane convergono in un’opera autobiografica. È stato detto giustamente che tutte le grandi opere della letteratura fondano un genere o lo dissolvono, e cioè costituiscono un caso a sé. Ma tra di esse questa è una delle più difficili da determinare. A cominciare dalla struttura, dove sono insieme rappresentate la libera invenzione, la memoria, il commentario, fino alla sintassi di frasi senza sponde (il Nilo del linguaggio, che qui trabocca a fecondare i campi della verità), tutto è fuori dalla norma. Che questo grande caso unico della poesia rappresenti nello stesso tempo la sua massima opera negli ultimi decenni, è la prima, istruttiva conoscenza a cui perviene l’osservatore. E le condizioni che stavano alla base di quest’opera sono malsane in sommo grado. Una malattia insolita, ricchezza non comune e una disposizione anormale. Non tutto in questa vita è esemplare, ma tutto ha valore di esempio. Essa mostra che oggi l’opera letteraria superiore ha la sua sede nel cuore dell’impossibilità, al centro e insieme nel punto d’indifferenza di tutti i pericoli, e contrassegna questa grande realizzazione dell’«opera di tutta una vita» [Lebenswerk] come l’ultima per molto tempo. L’immagine di Proust è l’estrema espressione fisiognomica che potesse assumere l’incessantemente crescente discrepanza di poesia e vita. È questa la morale che giustifica il tentativo di rievocarla.

Si sa che Proust nella sua opera non ha descritto una vita così com’è stata, ma una vita quale la ricorda colui che l’ha vissuta. Ma ci siamo espressi in modo ancora impreciso e troppo grossolano. Poiché qui, per l’autore che ricorda, la parte principale non è affatto svolta da ciò che egli ha vissuto, ma dal lavoro del suo ricordo, dalla tela di Penelope della sua memoria. O non sarebbe meglio dire dalla tela di Penelope del suo oblio? La «memoria involontaria» di Proust non è forse assai più vicina all’oblio che a ciò che comunemente si chiama ricordo? E quest’opera della memoria spontanea, in cui il ricordo è la trama e l’oblio l’ordito, non è forse il contrario dell’opera di Penelope, piuttosto che la sua copia? Poiché qui il giorno disfà ciò che aveva fatto la notte. Ogni mattino, quando ci svegliamo, teniamo in mano, per lo più debolmente, solo per qualche frangia il tappeto dell’esistenza vissuta, quale l’ha tessuto in noi l’oblio. Ma ogni giorno disfà il tessuto, gli ornamenti dell’oblio con l’agire pratico, e, ancor di più, con il ricordare legato alla prassi. È per questo che Proust alla fine ha trasformato i suoi giorni in notti, per dedicare tutte le sue ore all’opera, indisturbato, nella stanza buia, alla luce artificiale, per non lasciarsi sfuggire nessuno degli intricati arabeschi. (...).

III. Nel secolo scorso c’era a Grenoble un’osteria che si chiamava «Au temps perdu» (non so se ci sia ancora). Anche da Proust noi siamo avventori che sotto l’insegna oscillante varchiamo una soglia oltre la quale ci attendono l’eternità e l’ebbrezza. (...) Ma questa eternità non è affatto platonica o utopistica (...) L’eternità di cui Proust dischiude degli aspetti non è il tempo illimitato, ma il tempo intrecciato. Ciò che veramente gli importa è il corso del tempo nella sua forma più reale, e cioè intrecciata con lo spazio, che in nessun altro luogo domina così inalterata come nel ricordo, interiormente, e nella senescenza, esternamente. Seguire il contrappunto di senescenza e ricordo significa penetrare nel cuore del mondo di Proust, nell’universo dell’intreccio.
-  È il mondo nello stato dell’analogia, e in esso dominano le «corrispondenze», che colse per primo il romanticismo e con la massima profondità Baudelaire, ama che Proust fu il solo a saper evidenziare nella nostra vita vissuta. È l’opera della memoria involontaria, della forza del ringiovanimento che non è inferiore all’inesorabile invecchiare. Dove ciò che è stato si rispecchia nel nuovo, immacolato «istante», un doloroso choc di ringiovanimento lo afferra ancora una volta così irresistibilmente come la direzione di Guermantes si intrecciò per Proust con la direzione di Swann, quando (nel tredicesimo volume) egli percorre per l’ultima volta la contrada di Combray e scopre l’intreccio delle due vie. Nell’istante il paesaggio muta direzione come un bambino. «Ah, come è grande il mondo alla luce delle lampade, come è piccolo agli occhi del ricordo!» - Proust ha realizzato l’impresa inaudita di far invecchiare, nell’istante, tutto il mondo di un’intera vita umana. Ma proprio questa concentrazione in cui fulmineamente si consuma ciò che altrimenti soltanto appassisce e si spegne lentamente, si chiama ringiovanimento.
-  A la recherche du temps perdu è il continuo tentativo di caricare un’intera vita della suprema presenza dello spirito. Non è già la riflessione, ma la presentificazione che è il procedimento di Proust.
-  Egli è dominato dalla verità che noi tutti non abbiamo tempo di vivere i veri drammi dell’esistenza che ci è destinata. Per questo invecchiamo - non per altro. Le rughe e le grinze sul nostro volto sono i biglietti da visita delle grandi passioni, dei vizi, delle conoscenze che passarono da noi -, ma noi, i padroni di casa, non c’eravamo.(...)

E del resto, quanto sia stata profonda la simbiosi di questa determinata creatività e di questa determinata sofferenza è dimostrato con la massima evidenza dal fatto che Proust non giunge mai a quell’eroica ribellione con cui altri uomini dotati di forza creativa insorgono contro le loro sofferenze. E, quindi si può dire, d’altro lato, che una così profonda complicità con il corso del mondo e con l’esistenza come quella di Proust avrebbe dovuto infallibilmente portare a una soddisfazione pigra e volgare, se si fosse fondata su una qualsiasi altra base che quella di una sofferenza così profonda e costante. Ma in tal modo questa sofferenza era destinata a farsi indicare il suo posto nel grande processo dell’opera da un furore senza desideri e senza pentimenti.
-  Per la seconda volta è stata eretta un’impalcatura come quella di Michelangelo, su cui l’artista, con la testa arrovesciata, dipingeva la creazione nel soffitto della Sistina: il letto di malato, dove Marcel Proust ha dedicato alla creazione del suo microcosmo gli innumerevoli fogli che egli ricopriva con la sua scrittura, nell’aria”.
-  (Walter Benjamin, “Per un ritratto di Proust”, in “Avanguardia e rivoluzione”, Torino, Einaudi, 1973, pp. 27-41).

B.

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Federico La Sala (15.02.2018)


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