A don Primo Mazzolari (1890 - 1959). «Et nos credidimus Charitati...»!

"Adesso"!!! Lettera di un industriale milanese a don Primo Mazzolari, presentata da don Aldo Antonelli - a cura di pfls

mercoledì 4 luglio 2007.
 

[...] Le letture possono essere molteplici ... ma io la trovo molto sofferta e sincera, ed anche molto premonitrice. Chissà cosa scriverebbe, oggi, questo signore quando ormai la produzione si coniuga indissolubilmente con lo sfruttamento e l’inquinamento, con il falso e l’ingiustizia, creando dei vuoti di povertà abissali da una parte e accumulando inique ricchezze dall’altra. Non dico per "progredire", ma anche solo per restare a galla, questi signori sono costretti, nolenti e/o incoscienti che vogliano essere, a un tour de force che li rende schiavi del meccanismo: la macchina non si può fermare! [...]


Le confessioni di un industriale milanese

a cura di don Aldo Antonelli

Tempo fa ho avuto la grande gioia di ricevere una bellissima lettera da una signora di Bozzolo (vi dice niente questo nome? ....è il paese dove ha fatto il parroco don Mazzolari!)

Bianca, questo il nome della signora, si complimentava con me per quello che avevo scritto non so su quale giornale, e mi invitava a visitare Bozzolo: "Devi venire, perché leggendo quello che tu scrivi mi ricorda il grandissimo mio parroco don Mazzolari!". Nello scambio di corrispondenza (tramite le classiche lettere, non avendo lei un indirizzo di posta elettronica) abbiamo preso confidenza al punto di ricevere da lei tutta la raccolta di "Adesso", la rivista di don Primo: quattro grossi volumi che, come leggiamo nell’Apocalisse, sono tentato di mangiare e divorare più che leggere.

Ebbene, sul numero di Adesso del 15 gennaio 1950 leggo una bellissima lettera che un industriale milanese ha scritto a don Mazzolari e che vi incollo qui sotto.

Le letture possono essere molteplici ... ma io la trovo molto sofferta e sincera, ed anche molto premonitrice. Chissà cosa scriverebbe, oggi, questo signore quando ormai la produzione si coniuga indissolubilmente con lo sfruttamento e l’inquinamento, con il falso e l’ingiustizia, creando dei vuoti di povertà abissali da una parte e accumulando inique ricchezze dall’altra. Non dico per "progredire", ma anche solo per restare a galla, questi signori sono costretti, nolenti e/o incoscienti che vogliano essere, a un tour de force che li rende schiavi del meccanismo: la macchina non si può fermare!

Economia drogata, contro la quale solo un severo percorso di disintossicazione può restituire la libertà. Una decisa inversione di tendenza; l’inizio di una "decrescita" direbbe Serge Latouche.

Aldo [don Antonelli]


Milano 1 gennaio 1950

Lasciate la parola anche ai ricchi, non per accusare o difen­dersi, ma per sfogarsi.

Sono un uomo che chiamano fortunato. Ho un’impresa che, rias­sestatasi dai colpi della guerra, cammina e mi fa guadagnare bene.

Il lavoro ogni giorno si allarga e sono preso nella morsa degli affari. Gli altri non vedono che la mia falsa prosperità; dico falsa non perché manchi a me e alla mia famiglia il necessario, anzi, lo confesso, c’è anche il superfluo, ma ogni giorno, tanto più essa pro­spera, tanto più la sento falsa. Sto diventando sempre più schiavo del denaro e degli affari.

Il mio mondo è un mondo di ossessionati dalla paura del domani. Oggi gli affari vanno bene, ma domani riuscirò a garantire l’impegno?

Sono come un cane da caccia: mai un respiro, mai una disten­sione: sono un condannato.

La vita economica moderna è un ingranaggio spietato. Non so se qualcuno dei pesci più grossi di me abbia ormai fatto il callo al me­stiere; ma io mi sento in balia di una lotta sorda e disumana.

Fuori, la concorrenza onesta e disonesta, sempre assillante. I miei operai non mi vogliono male, ma neppure bene: mi sopportano. Per loro rappresento la paga della fine mese; per il resto, un estraneo e un intruso.

In casa ci vogliamo bene; ma il denaro ci impedisce di volerci ancora più bene, di avere una casa magari meno splendente, senza tappeti e lampadari, senza comodità ricercate; ma più intimità, più armonia. Tra noi c’è un equivoco continuo: mi compassionano perché dicono che lavoro troppo, ma i denari non sono mai abbastanza quando entrano in casa, perché le esigenze crescono sempre.

Continuo a lasciarmi invischiare, perché non capisco più dove arriva l’affetto e la previdenza e dove arriva il mercato.

Sono stanco di dovermi comperare una vita che pare così facile ed è così nauseante e stupida. Sì, perchè siamo condannati a star bene, a sembrar felici; siamo condannati a vestire bene e ogni tanto a fare le marionette di lusso alla Scala. Bisogna tenersi su per ingan­nare e ingannarci, vittime stupide dalla coalizione, della ipocrisia dei vicini e dei lontani.

Sono arrivato sino ad odiare, odiare rabbiosamente la mia auto­mobile, le mie cristallerie, le mie poltrone, i miei lucidi e ingom­branti appartamenti: odiare quello che troppi invidiano!

Caro Don Mazzolari, le dica queste cose ai suoi poveri: dica loro che ci perdonino, ma anche che ci compatiscano perché siamo degli infelici più di loro.

Forse essi non ci capiranno; e questo ci fa stare ancora peggio, perché, oltre che condannati, ci sentiamo perfino maledetti.

Venga presto la rivoluzione cristiana, prima per noi che per gli altri, a restituirci la nostra umanità, la nostra famiglia, la pace, la gioia vera.

Scusi lo sfogo. Con stima.

Un industriale milanese.


iN RETE E NEL SITO, SI CFR.:

-  Sulla vita e sulle opere di don Primo Mazzolari, in rete, si cfr.: http://www.fondazionemazzolari.it/

-  «Et nos credidimus Charitati...»!!! MAZZOLARI E GANDHI (E IL DIO "CARITAS" DI PAPA RAZTZINGER). Gandhi, al pari di un vero cristiano, ha creduto nella Carità. Una nota (1948) di don Primo Mazzolari


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