Giallo sul nuovo libro del papa
di Piergiorgio Odifreddi *
Oggi sono andato in libreria a comprare il libro del papa. Il libraio mi ha riconosciuto, e mi ha mostrato una sedicente “Lettera di embargo” che la RCS Libri aveva mandato nei giorni scorsi a tutti i librai.
Poichè la cosa ha dell’inusuale, oltre che del ridicolo e del paranoico, la riproduco qui, nonostante fosse ovviamente da tenere “segreta”.
Buona lettura, e buona meditazione!
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Milano, 1 marzo 2011
Oggetto: Gesù di Nazaret, Joseph Ratzinger - Benedetto XVI [d’ora in avanti, l’Opera], data di embargo 10 marzo 2011
Gentile libraio,
qualora riceviate il volume in oggetto prima di giovedì 10 marzo 2011, Vi informiamo che le copie che Vi abbiamo consegnato sono soggette a embargo sino a quella data. La motivazione dell’embargo è la salvaguardia dei contenuti editoriali ed il rispetto del primo giorno di Quaresima, ovvero il primo giorno liturgico “forte” a carattere battesimale e penitenziale che coincide con il 9 marzo 2011.
Questo significa che nessuna copia dell’Opera o anche solo il suo contenuto o parte di esso può essere messa in vendita o comunque divulgata prima del 10 marzo 2011.
Quindi, qualora le copie Vi siano arrivate prima di giovedì 10 marzo 2011, Vi chiediamo tassativamente di rispettare la data di messa in vendita e, data l’eccezionalità del caso, di impegnarVi affinchè:
1) fino alla data di embargo i volumi, all’interno delle Vostre strutture, siano mantenuti in un luogo sicuro, accessibile solo al personale autorizzato, sottoposti a controlli adeguati per evitare accessi non autorizzati;
2) gli impiegati delle Vostre strutture siano a conoscenza della natura confidenziale dell’Opera e del vostro impegno a mantenere l’embargo;
3) nessuno, inclusi partner, direttori, impiegati, agenti e altre figure professionali che accedono alla Vostra struttura abbia accesso al contenuto dei volumi;
4) non vengano copiati in alcuna forma, nè riprodotti, nè stampati, nè comunicati, nè pubblicati e nè divulgati in alcun modo i contenuti dell’Opera, nè vengano autorizzati terzi a compiere alcuna delle suddette operazioni.
Vi chiediamo inoltre tassativamente di informare immediatamente la Direzione Commerciale RCS Libri di qualunque tentativo effettuato di rottura di questo embargo di cui possiate venire a conoscenza o di qualunque divulgazione o fornitura non autorizzate di parte o tutti i contenuti dell’Opera. Qualora si verifichi questa circostanza dobbiamo avere da Lei piena collaborazione alle azioni che noi, a nostra discrezione, riterremo opportune per impedire ulteriori danni derivanti da violazioni dell’embargo.
Questa Lettera di embargo contiene i termini integrali del nostro accordo relativo all’Opera e alla sua divulgazione e sostituisce ogni accordo verbale o scritto precedente relativamente ad essa. I termini di questa Lettera di embargo rimangono confidenziali a prescindere da eventuali rotture dell’embargo da parte di terzi.
RingraziandoVi per la Vostra sollecita collaborazione, Vi salutiamo cordialmente
Angela di Biaso
Direttore Commerciale Divisione Libri
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Nessuna spiegazione razionale mi viene in mente.
Posso solo immaginare che, scambiando Ratzinger per Dan Brown, si volesse proteggere il segreto sull’esistenza o meno di un assassinio nel romanzo, e sul nome dell’eventuale assassino. E correre ai ripari in caso di rottura dell’embargo, cambiando il finale.
E posso solo ricordare che, mentre la lettura del libro doveva essere impedita per rispetto del Mercoledì delle Ceneri, il papa offrirà a RaiUno un’intervista sullo stesso il Venerdì Santo, che ovviamente non è così degno di rispetto.
Misteri della fede ...
* IL NON-SENSO DELLA VITA. BLOG DI PIERGIORGIO ODIFREDDI - Scritto venerdì, 11 marzo 2011 alle 00:21
Sul tema, nel sito, si cfr.:
"Deus caritas est". La prima enciclica di Ratzinger è a pagamento
RATZINGER ’A SCUOLA’ DEL VISIONARIO SWEDENBORG. Una nota di Leonard Boff e una di Immanuel Kant
Una catechesi erudita
di Stéphanie Le Bars
“Le Monde” dell’11 marzo 2011 (traduzione: www.finesettimana.org)
Raramente un papa è stato così prolifico. Pubblicando, il 10 marzo, il secondo tomo del suo studio su Gesù, Benedetto XVI moltiplica gli eventi editoriali “in uscita mondiale”. Alcuni mesi dopo la pubblicazione del suo libro-intervista, Luce del mondo, (80 000 copie vendute in Francia), il papa esce dai sentieri battuti dai suoi predecessori (encicliche di difficile approccio, esortazioni apostoliche, catechesi romane...) per affermare che la sua elezione a capo della Chiesa cattolica, quasi sei anni fa, non gli ha impedito di proseguire le sue ricerche di teologia. Ha terminato il suo libro il 25 aprile 2010, in piena tormenta per gli scandali di pedofilia nella Chiesa.
Presenta quindi il secondo tomo di una trilogia, la cui prima parte, uscita nel 2007, affrontava la vita di Gesù, dal battesimo alla trasfigurazione. Questa volta lo studio riguarda i principali punti della fede cristiana, “la passione, la morte e la resurrezione di Gesù”, ed invita i suoi lettori ad una catechesi erudita. “Non ho voluto scrivere una ’Vita di Gesù’”, precisa il papa, che dà per acquisita l’idea secondo la quale “in duecento anni di studio esegetico, l’interpretazione storico-critica ha ormai dato tutto ciò che aveva di essenziale da dare”.
Senza rifiutare questo studio scientifico, Benedetto XVI si impegna a far scoprire quello che chiama il “Gesù reale”, - quello che i credenti “conoscono” attraverso la fede - , come complemento al “Gesù storico”. Quest’ultimo approccio, largamente trattato da altri autori di ogni tendenza, è “insufficiente” a render conto della capacità di Gesù a “superare le esperienze comuni dell’umanità”, come spiega Mons. Eric de Moulins-Beaufort, incaricato dalla Chiesa cattolica francese di presentare il libro del papa.
Benedetto XVI, nella prefazione, assicura di aver sentito le critiche espresse sul primo tomo, giudicato troppo astratto e teologico: “Ho cercato di riflettere solo sulle parole e sugli atti essenziali di Gesù - guidato dall’ermeneutica della fede ma tenendo conto allo stesso tempo e in maniera responsabile della ragione storica contenuta in questa stessa fede.”
In un racconto cronologico e narrativo, il papa si basa naturalmente sui quattro vangeli, ma si avvale anche dell’Antico Testamento per svolgere la sua esegesi ed affrontare nuovamente nozioni come il rapporto del cristianesimo con l’universale, con la violenza o con lo Stato. Riprende inoltre gli insegnamenti diffusi a partire dal Concilio Vaticano II (1962-1965). Ad esempio, il rifiuto riaffermato della nozione di “popolo deicida” nei confronti del popolo ebraico nel suo insieme, è valso a Benedetto XVI le “felicitazioni” del primo ministro israeliano e del Consiglio delle istituzioni ebraiche in Francia (CRIF)...
L’opera, che si legge più facilmente di un manuale di teologia, non contiene né rivelazioni né scontri frontali. Con dei riferimenti “un po’ datati”, secondo Mons. de Moulins-Beaufort, Benedetto XVI prosegue a suo modo lo studio sull’articolazione tra fede e ragione. Inoltre, benché firmi il libro “Joseph Ratzinger-Benedetto XVI”, l’autore non si pone come papa che esercita il “magistero della Chiesa”.
Ma è chiaro che la sua posizione darà alla sua analisi un’eco superiore a quella di qualunque altro teologo contemporaneo. Un’eco che il papa desidera amplificare rispondendo per la prima volta, il 22 aprile, venerdì santo, a domande su Gesù nel corso di una trasmissione della TV pubblica italiana RAI Uno.
(traduzione: www.finesettimana.org)
Ma dov’è oggi il vento della Chiesa?
di Angelo Bertani (Europa, 11 marzo 2011)
Voci di disagio nella chiesa italiana. Ma è un disagio che è anche indice di speranza che si possa cambiare, uscire dal pantano. Già qualche anno fa Luigi Bazoli, fra i protagonisti del cattolicesimo democratico a Brescia, la cui moglie fu tra le vittime di Piazza della Loggia, scriveva: «Il pericolo più grave non è quello che viene da fuori, bensì un male oscuro che insidia da dentro le istituzioni.
È un appannarsi dei valori ideali, è lo scivolare della vita politica su binari di interessi corporativi inconfessabili, è una montante mediocrità di comportamenti civili, amministrativi, politici, che allontana i giovani dalla vita pubblica, e diffonde sfiducia e scetticismo. Se resta povera di ideali, di rigore morale nella vita pubblica, ogni democrazia si corrompe».
Del resto, un laico cristiano come Nando Fabro, già ai tempi in cui finiva la prima repubblica e si cercava di dar vita a nuovi partiti, scriveva: «Vorrei un partito che prima ancora di proporsi di migliorare la società si proponesse di migliorare i suoi aderenti». Oggi la sfida è tutta qui. Non è solo la politica a preoccupare. Don Angelo Casati, scrittore e teologo, ricorda don Michele Do, altro profeta del cristianesimo conciliare, nella rivista Il Gallo (febbraio 2011), confessa il suo timore che nella Chiesa stia venendo meno il vento della libertà e dello Spirito. Ricorda le parole di Gesù e scrive: «Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non si sa di dove viene e dove va. Così è chiunque è nato dallo Spirito. Ma adesso dov’è il vento nella Chiesa? Io l’ho respirato a pieni polmoni nel Concilio; oggi mi manca l’aria».
Accanto al disagio anche segni di speranza. Difficoltà e sfide suscitano un impegno a capire e proporre pensieri e comportamenti nuovi. I vescovi lombardi, vincendo le tentazioni del silenzio, hanno confessato un forte disagio per la situazione socio-politica, per i temi e i toni del dibattito pubblico, per l’inquietudine diffusa.
Il vescovo di Brescia Luciano Monari per la festa dei patroni Faustino e Giovita (15 febbraio) aveva diffuso una bella lettera sui temi dell’immigrazione (Stranieri, ospiti, concittadini) disegnando un progetto di accoglienza certamente molto diverso da ciò che le scelte amministrative della Lega vorrebbero imporre anche in luoghi di radicata ispirazione cristiana.
Si tratta infatti di mettere in luce la contraddizione tra lo spirito evangelico e una politica gretta ed egoista. Ilvo Diamanti (Aggiornamenti sociali, febbraio 2011) l’aveva scritto: «La Chiesa in questi anni è stata nell’insieme troppo realista e molto divisa, non soltanto nei confronti della Lega ma di tutto il centro-destra, creando un forte disorientamento nei fedeli e lasciando troppi margini di strumentalizzazione ai singoli partiti».
Dov’è il vento dello Spirito?
di Angelo Casati (Il Gallo, n° 2. febbraio 2011)
Lo scorso 20 novembre a Saint Jacques, in Valle d’Aosta, dove don Michele Do aveva abitato contemplato insegnato, un gruppo di amici si è incontrato per ritrovare il suo spirito: partecipiamo di quella atmosfera offrendo ai lettori un passaggio intenso dell’appassionata testimonianza di don Angelo Casati, ben noto a chi frequenta queste pagine. Vorrei ora sfiorare paure e speranze che si mescolano in questa stagione nell’orizzonte più prettamente ecclesiale. La paura del venir meno del vento.
Il vento nella chiesa. Lego l’immagine del vento allo Spirito. Non è una legatura, frutto di fantasie o fuori le righe, è dentro la fantasia e le righe del vangelo, l’immagine l’ha usata Gesù: «il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va, così è chiunque è nato dallo Spirito» (Gv 3,7).
Mi sono chiesto dove annuso il vento? Lo annuso nella chiesa? Forse sono impietoso, io l’ho respirato a pieni polmoni nella stagione del concilio, oggi mi manca l’aria. Come se faticassi ad annusare il vento ai piani alti. I documenti sono pesanti, logorroici. Sono tomi. Li confronto con i vangeli, quattro, poche pagine e stracolme di vento, di profezia, ti fanno alzare la testa. Oggi i documenti ecclesiastici vengono sfornati a getto continuo e chi li legge? Hanno il linguaggio degli ambienti clericali, sono pallidi, non c’è vento.
Se tento di decifrare minimamente le ragioni della mancanza di vento [...] mi verrebbe da attribuirla, tra le molte, a due, che hanno in comune la mancanza di ascolto.
Un non ascolto delle Scritture sacre. Oggi che il card. Martini non ha quasi più voce, chi parla o scrive a partire dalle Scritture Sacre? Da tutto meno che da quelle. [...] Mi sembra, perdonate, di essere ritornato per certi aspetti alla vecchia teologia del mio Seminario, dove si costruivano elucubrazioni e poi si andava a scovare, per suffragarle, un versetto delle Scritture sacre. Se non si parte da quelle non c’è vento, il vento è nella parola. Non nei nostri idoli, per religiosi che siano: hanno bocca e non parlano! Fattura di mani di uomini.
Alla mancanza di vento darei un’altra causa: il non ascolto dei fedeli. Dello Spirito che li abita, quasi si sia creata una riserva esclusiva ed escludente dello Spirito, una riserva in alto o nel clero. Si è reagito alla complessità rafforzando l’istituzione, ricompattando, dilatando l’ossessione delle appartenenze, cercando di entrare nelle strategie dell’agone politico. Nella paura che qualcosa sfugga. C’è qualcuno che pensa per tutti, in un unico movimento dall’alto in basso, mai dal basso in alto. Il laicato dove è consultato? Le donne dove? I piccoli, quelli cui sono rivelati i segreti del Regno, quelli che facevano esultare Gesù, mi dite dove? Sono loro la nostra frequentazione? O siamo sui terrazzi alle cene con coloro che contano, molto in potere e poco nello Spirito? Di qui una chiesa monocorde, che canta a una sola voce, che ha un solo colore e pensa che questa uniformità sia ricchezza. Una chiesa che non entra nelle case - e pensa di essere la depositaria del vento, mentre se c’è qualcosa di imprendibile è il vento. Una chiesa immobile, prevedibile. Sai già dov’è e che cosa ripeterà. Mentre dei guidati dallo Spirito è detto che sono come il vento che «non sai di dove viene dove va».
E poi c’è un sommerso della chiesa. Dove respiri. Io, vecchio come sono, vengo chiamato di qui e di là in comunità, parrocchie, gruppi e me ne ritorno, un po’ stanco la sera per via che sono consumato dagli anni, ma sorpreso: spazi, donne e uomini, dove vedo la passione del vangelo, la passione della terra, uomini e donne nel mondo, ma non arresi alla mondanità. In ascolto di Dio e della carovana dell’umanità in cui camminano, donne e uomini in ascolto del cielo e della terra.
Questa è la chiesa dimenticata, di cui non si parla né si scrive, di cui Don Michele Do diceva la bellezza.
Il Gesù «storico» e le verità della chiesa
di Enzo Mazzi (il manifesto, 13 marzo 2011)
Rivela un affanno il nuovo libro su Gesù con cui papa Ratzinger si adopera a mostrare e dimostrare la storicità di Cristo e in particolare della morte-resurrezione di lui. Lo ammette chiaramente quando scrive: «La barca della Chiesa ... spesso si ha l’impressione che debba affondare». Ed ecco l’importanza della realtà pienamente divina e pienamente umana del Salvatore Gesù. È Gesù Cristo l’unico salvatore e la chiave della salvezza universale. Ed è la Chiesa cattolica governata dal papa e dai vescovi uniti al papa la custode unica e universale per tutti i secoli della chiave affidatale da Gesù. Tutta la ricerca umana di senso della vita e di salvezza materiale e morale sarebbe completamente inutili senza il Dio che si fa uomo e offre in sacrificio la sua vita.
Sono due millenni che queste «verità», questi assoluti, vengono ripetuti identici, declinati in codici espressivi diversi tradotti in tutte le lingue del mondo ma sempre nella sostanza uguali a se stessi: è Gesù l’unico salvatore universale attraverso il suo sacrificio perenne.
Di fatto del Gesù storico non si sa quasi nulla. Ormai è un dato acquisito nella teologia biblica non servile. I Vangeli non sono la storia di Gesù ma la riflessione teologica in forme narrative o rituali delle comunità cristiane del primo secolo in ambiente pagano. Inoltre è accertato ormai che le più antiche testimonianze scritte non sono i Vangeli canonici. Sono le tradizioni dei cosiddetti loghia, cioè dei «detti» di Gesù. Che prima sono stati tramandati oralmente nell’ambiente palestinese e poi sono stati inseriti nei Vangeli. Quei «detti» di Gesù sono «il Vangelo prima dei Vangeli». Poi il Vangelo dei detti di Gesù è andato perso perché gli scribi smisero di farne copie in conseguenza della fissazione autoritativa del canone.
Oggi si direbbe sbrigativamente che ha subito una censura. È stato recuperato o riscoperto nel 1838,
attraverso un delicato lavoro di filologia, incastonato nei Vangeli canonici. È stato pubblicato solo
nel 2007 in italiano dalla Queriniana in un volume a cura di un grande specialista,
James M.
Robinson: I detti di Gesù.
Questo ritardo di quasi due secoli la dice lunga sulle resistenze poste
dall’autorità ecclesiastica alla pubblicazione di un testo storico che mette in crisi le certezze
dogmatiche.
Perché è importante questo Proto-Vangelo? Perché l’immagine di Gesù che se ne ricava è molto diversa da quella fissata nelle narrazioni canoniche dei Vangeli. E soprattutto è diversa l’immagine che si ricava del cristianesimo nascente. Non ci sono che nel sottofondo racconti di miracoli e soprattutto non c’è notizia dei fatti della nascita, della morte e della resurrezione. Questa assenza di eventi così fondamentali per i Vangeli canonici e poi per il dogma è impressionante.
L’accento è posto non sulla persona di Gesù ma sul messaggio e sul movimento messianico di impegno per la realizzazione del Regno di Dio. Il quale tradotto in termini moderni si potrebbe definire come movimento per un «mondo nuovo possibile».
Il Gesù del Proto-Vangelo è soprattutto un «figlio dell’uomo», che alla lettera può significare «Figlio dell’umanità», parte di un movimento storico di liberazione radicale. C’è in quel documento solo un’eco flebile del processo di mitizzazione della persona di Gesù che è appena agli inizi e che però presto sfocerà nella divinizzazione. È assente l’essere divino-umano, il dio incarnato che si sacrifica per redimere l’umanità peccatrice. Il quale invece sarà poi offerto soprattutto dalla Chiesa di Paolo al mondo pagano avido di sacro e di salvezza mistica.
Ovviamente le persone all’origine di questo Proto-Vangelo, che di bocca in bocca si tramandavano i detti di Gesù, conoscevano la morte di Gesù. Ma per loro la morte del profeta non aveva il significato di sacrificio. Non si sentivano impegnati ad annunciare la morte. «Seguimi e lascia che i morti seppelliscano i loro morti» è un’affermazione fondamentale del Proto-Vangelo. Non la morte né il sacrificio né il miracolo aveva cambiato la loro vita. Ma il messaggio culturalmente rivoluzionario di Gesù aveva dato un senso nuovo alla loro esistenza; in quello e non nel miracolo trovavano il senso della resurrezione; quel messaggio e l’esperienza di vita che c’era dietro si sentivano impegnati ad annunciare perché cambiasse la vita di molti e trasformasse radicalmente la società dando vita a un mondo nuovo.
La teologia sacrificale del Cristo che salva in quanto Figlio di Dio morto e risorto verrà dopo, quando il cristianesimo dovrà rivolgersi al mondo pagano. Sarà tale teologia la carta vincente, il fulcro del trionfo della nuova religione. Un trionfo però contestato da persone, anche sinceramente credenti, con senso critico, lungo tutta la storia, dall’antichità fino ad oggi, quale tradimento e devitalizzazione del Dna generativo del movimento di Gesù.