39 SACERDOTI CATTOLICI: IL "CONCILIO" DI UNA NUOVA CHIESA
Una grande testimonianza di umanità e di verità
di Federico La Sala *
La “Lettera aperta” dei e ai “carissimi fratelli e carissime sorelle in Cristo”, sulla recente "Istruzione" della Congregazione dell’educazione sulla esclusione delle persone con tendenza omosessuale al seminario e al sacerdozio (cfr. www.ildialogo.org/omoses/,15.12.2005), pone alla Gerarchia della Chiesa (e non solo) ineludibili e radicali domande e denuncia chiaramente che la realtà ha già superato le colonne d’Ercole del ‘vecchio mondo’ della ‘vecchia chiesa’!!!.
La questione che viene aperta e che si apre non è più e affatto una questione di statistiche e di sociologia, ma investe direttamente il cuore del sistema e dell’Istituzione: quella che si pone è direttamente e immediatamente una questione insieme antropologica e teologica - vale a dire, quella cristologica!!!
Coloro che parlano non sono persone comuni: “Siamo dei sacerdoti cattolici con tendenza omosessuale, diocesani e religiosi, e il fatto di essere tali non ci ha impedito di essere buoni preti”. E tutti insieme - un vero e proprio inizio dei lavori di un “nuovo concilio” (cosa che si richiedeva e richiede da anni)!!! - hanno osato, scritto, e dichiarato: “Carissimi fratelli e carissime sorelle in Cristo, noi consideriamo la nostra omosessualità come una ricchezza, perché ci aiuta a condividere l’emarginazione e la sofferenza di tanti fratelli e sorelle; per parafrasare San Paolo, possiamo farci tutto a tutti, deboli con i deboli, emarginati con gli emarginati, omosessuali con i gay “; e, ancora: “Carissimi fratelli e carissime sorelle in Cristo, come tutte le persone oneste non possiamo negare la nostra fragilità, condizione della natura umana: portiamo il dono di Dio in vasi di creta, ma la nostra situazione non è un ostacolo ad essere pastori secondo il cuore di Dio”.
Per chi ha orecchie (e intelligenza), per intendere, intenda: al di là delle persone, qui sono nodi epocali che vengono al pettine e questioni cruciali che si pongono all’ordine del giorno!!! E ciò che è in gioco è una vera e propria svolta antropo-teologica!!!
L’emergere della questione della omosessualità della e nella Chiesa ‘cattolica’ e in tutto l’Occidente non è affatto una questione biologica!!! E’ una questione culturale e spirituale, che pone in modo radicale il riorientamento e la ristrutturazione della nostra stessa auto-coscienza, di uomini, di bianchi, di occidentali, e di ‘cattolici’!!! Coerentemente con la tradizione critica e, se si vuole, cristica-evangelica, è una sollecitazione non solo a crescere e a conoscere se stessi e l’altro in modo più maturo e adulto (non da minorenni ...e da minorati!) ma anche a prendere atto che tutta la costituzione stessa della Chiesa (come dell’intero Occidente, e non solo - vedi il caso del Sol Levante: www.ildialogo.org/filosofia, 17.11.2005) riposa su un’antropologia naturalistica, greco-romana ed egiziana, altro che cristiana!!!
La testimonianza e la “lettera aperta” dei 39 preti italiani, se ben vi riflettiamo, invita ad aprire le porte e le finestre del nostro presente storico, senza paura!!! E’ una indicazione e una premessa per modificare non solo la vecchia costituzione terrena della Istituzione Chiesa, ma anche la stessa vecchia costituzione celeste ... e aprire davvero a tutti gli esseri umani, nessuno escluso (l’art. 3 della nostra Costituzione, di chiara derivazione evangelica, è ben al di là del ‘talebanismo’ della teocrazia ‘cattolica’!!!) la porta e la strada del regno di Dio, dove tutti e tutte possono diventare cittadini-sovrani, cittadine-sovrane (don Milani!!!).
Che ce ne facciamo di una chiesa e di una teocrazia assoluta, che riposa su una fondamentale omosessualità (psichica e spirituale, non tanto e affatto quella fisica) negata (dei suoi preti, dei suoi vescovi, dei suoi cardinali e dei suoi papa) - vale a dire sulla diabolica menzogna?! Dio, come ha chiarito Gesù, è Amore: e Amore e Verità vanno insieme - non dimentichiamolo!!!
Federico La Sala
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www.ildialogo.org/filosofia, Lunedì, 19 dicembre 2005
“lettera aperta” scritta da un gruppo di sacerdoti e religiosi omosessuali.
da ADISTA *
Il documento seguente è stato diffuso da Adista che scrive:
NON CI NEGATE DI ESISTERE. LETTERA APERTA DI PRETI OMOSESSUALI CATTOLICI
Non abbiamo nulla da nascondere, e voi? La domanda sale dalla lettera aperta che un gruppo di omosessuali preti sottopone alla comunità cristiana e alla gerarchia cattolica che con la recente Istruzione della Congregazione per l’Educazione Cattolica li vorrebbe far scomparire dalla ‘presentabilità’ ecclesiastica. Non sono nostri gli istinti irrefrenabili nascosti dentro una castità coatta, non è nostra la vostra pedofilia, non è nostro il vostro essere ossessionati dal sesso, non siamo noi ad identificarci con una tendenza sessuale. Noi ci riteniamo e vogliamo essere persone, solo persone. Non vogliono avere nulla da nascondere i preti omosessuali che hanno consegnato ad Adista in esclusiva la lettera aperta. E proprio per questo, questa Chiesa li costringe a nascondersi, a celare il loro volto: costretti a chiedere la garanzia dell’anonimato, pur avendo il coraggio di firmarsi a viso aperto nella redazione di Adista. A firmare la lettera sono 39 preti: 26 diocesani e 13 religiosi, provenienti da tutte le regioni d’Italia (complessivamente 18 diocesi e 6 Istituti religiosi).
Il documento è rivolto a tutti i credenti, e al Cardinale Zenon Grocholewsky, Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, autore dell’”Istruzione”che esclude le persone omosessuali dai seminari. Questo il testo della lettera:
LETTERA APERTA
Carissimi fratelli e carissime sorelle in Cristo,
la recente “Istruzione” della Congregazione dell’educazione sulla esclusione delle persone con tendenza omosessuale al seminario e al sacerdozio ci spinge a presentarvi alcune nostre riflessioni al riguardo.
Siamo dei sacerdoti cattolici con tendenza omosessuale, diocesani e religiosi, e il fatto di essere tali non ci ha impedito di essere buoni preti.
Alcuni di noi hanno speso la loro vita in missione, altri sono parroci e pastori delle anime, amati stimati dalla loro gente, altri ancora vivono il loro sacerdozio nell’insegnamento con molta dedizione e professionalità.
La nostra tendenza omosessuale, come il documento farebbe credere, non è stato un impedimento a far si che la vita del ministro sacro sia animata dal dono di tutta la sua persona alla Chiesa e da un’autentica carità pastorale.
Carissimi fratelli e carissime sorelle in Cristo, la nostra omosessualità non ci ha mai messo in una situazione tale da ostacolare gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne come afferma il documento al paragrafo 2!
Come uomini e sacerdoti ci sentiamo gravemente feriti da questa affermazione assolutamente gratuita!
Non abbiamo problemi maggiori degli eterosessuali a vivere la Castità perché omosessualità non è sinonimo di incontinenza, né di istinti irrefrenabili: non siamo malati di sesso e la tendenza omosessuale non ha intaccato la nostra salute psichica, né le nostre doti morali e umane.
Il documento definisce determinante per il candidato il fatto che eventuali tendenze omosessuali transitorie siano chiarite e superate da tre anni prima dell’ordinazione diaconale.
Vorremmo farvi notare che la maggior parte dei preti hanno vissuto il periodo del seminario come un momento molto sereno dal punto di vista sessuale.
Confrontandoci tra di noi sacerdoti in varie occasioni ci siamo resi conto che i turbamenti, per gli eterosessuali come per gli omosessuali sono venuti dopo, causati non dalla tendenza sessuale, ma dalla solitudine, dalla mancanza di amicizia, dal sentirsi poco amati, e, qualche volta, abbandonati dai superiori o dalle loro comunità.
Inoltre, per quanto ci riguarda moltissimi tra noi hanno preso coscienza della loro omosessualità solo dopo l’ordinazione.
Si ha la sensazione che questo documento nasca come reazione ai casi di pedofilia recentemente manifestati soprattutto nella chiesa americana e brasiliana.
La tendenza omosessuale non è assolutamente sinonimo di pedofilia e soltanto l’idea di essere talvolta scambiati per pedofili diventa per noi insopportabile!
Si ha pure un’altra impressione: che il mondo eterosessuale pensi agli omosessuali come necessariamente inseriti in una cultura gaia, esibizionista, pungente, fuori degli
schemi, una filosofia di vita che spesso appare agli occhi di molti come contraria ad ogni regola morale, in cui tutto è permesso.
Certe manifestazioni del mondo gay così anticonformiste nascono come rivalsa da anni di ghetto e di persecuzione in cui è stato imprigionato il mondo omosessuale, ma sappiate che non tutto il mondo gay condivide tali manifestazioni.
In ogni caso vorremmo assicurarvi che nessun di noi ha mai assunto atteggiamenti stravaganti né accetterebbe un permissivismo edonistico in cui non esistono leggi morali.
Nel documento sembrerebbe che il problema maggior per poter essere buoni preti sia la tendenza sessuale, per poi sorvolare su certi stili di vita che pur ineccepibili dal punto di vista sessuale creano il vero scandalo tra i fedeli: ci riferiamo al lusso, all’attaccamento al denaro, alle egemonie di potere, alla lontananza dai problemi della gente.
Carissimi fratelli e carissime sorelle in Cristo, noi consideriamo la nostra omosessualità come una ricchezza, perché ci aiuta a condividere l’emarginazione e la sofferenza di tanti fratelli e sorelle; per parafrasare San Paolo, possiamo farci tutto a tutti, deboli con i deboli, emarginati con gli emarginati, omosessuali con i gay.
L’esperienza mostra che la nostra condizione omosessuale, se vissuta alla luce del Vangelo, sotto l’azione dello Spirito ci mette in condizione di sostenere e appoggiare nel loro cammino di fede i fratelli e le sorelle con tendenze omosessuali, attuando quella pastorale che la Chiesa riconosce come necessaria e desiderabile.
Quella Chiesa che ha ricevuto il ministero della riconciliazione ha bisogno di riconciliarsi con il mondo gay, di cui fanno parte molti credenti e moltissimi altri figli e figlie di Dio: uomini e donne di buona volontà che hanno il diritto di trovare in essa il tetto della loro anima.
Carissimi fratelli e carissime sorelle in Cristo, come tutte le persone oneste non possiamo negare la nostra fragilità, condizione della natura umana : portiamo il dono di Dio in vasi di creta, ma la nostra situazione non è un ostacolo ad essere pastori secondo il cuore di Dio.
Ora, dopo la pubblicazione del citato documento, proviamo maggiore disagio, come se la nostra vocazione non fosse autentica!
Ci sentiamo figli abbandonati e non amati da quella Chiesa alla quale abbiamo promesso e dato fedeltà e amore!
Ci sentiamo fratelli minori in un presbiterio in cui, ora, ci viene fatto credere essere entrati quasi clandestinamente!
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www.ildialogo.org/omoses, 15.12.2005
Sul tema, nel sito, si cfr.:
IL LETTO DI PROCUSTE DELLA GERARCHIA VATICANA, L’ONU E L’ORIENTAMENTO SESSUALE DELLE PERSONE.
MESSAGGIO EV-ANGELICO E SANTO PADRE?! ABUSO DEL TITOLO E MENZOGNA. L’ERRORE DI RATZINGER.
IDENTIFICARSI CON CRISTO PER SUPERARE EDIPO di Sigmund Freud (1931).
FLS
UNA QUESTIONE DI SPIRITO. La storia millenaria di un errore secolare... *
Trappole dell’ortografia
«A» con l’acca o senza? Le avventure della lettera «H», la più odiata dagli italiani
Dall’alfabeto fenicio all’Ariosto, la vicenda millenaria del simbolo grafico «H» ricostruita dal ricercatore Fabio Copani e rilanciata dai social
di Redazione Scuola *
La più strana delle lettere dell’alfabeto
«Mamma, ma perché “Mario ha un amico” si scrive con l’acca visto che si pronuncia nello stesso identico modo di “Mario va a scuola”?». Perché è voce del verbo avere. «E allora perché non si scrive habbiamo e havete?». In latino effettivamente si scriveva così, ma si pronunciava anche diversamente, aspirando l’acca. Mentre in italiano la «H» è una lettera strana, una lettera muta.
Si scrive ma non si legge, si vede ma non si sente. Eppure è importantissima. Talmente importante che se non ci fosse si scatenerebbe l’Apocalisse: le chiese senza l’acca crollerebbero come sotto le bombe, i cherubini cadrebbero dal cielo, i bicchieri esploderebbero in mano, i galli invece di cantare starnutirebbero: CICCIRICÌ. E’ quanto immaginava Gianni Rodari in una filastrocca del Libro degli Errori in cui l’Acca - «stufa di non valere un’acca» - fuggiva dall’Italia. Ebbene a restituire l’onore perduto alla più bistrattata delle lettere dell’alfabeto ci ha pensato Fabio Copani, giovane dottore di ricerca in Storia greca, che ha ricostruito la sua lunga e travagliata odissea attraverso il Mediterraneo. Una storia che comincia sulle spiagge fenicie, monta a bordo delle navi dei commercianti libanesi, sbarca in Grecia, di lì a Cuma, e poi a Roma dove indispettisce Catullo e insuperbisce l’Ariosto, per atterrare infine sui manuali di scuola.
La lettera Het nella lingua fenicia
La storia della H è antica quanto quella dell’alfabeto che, come si sa, fu inventato dai fenici. La «het» era l’ottava lettera dell’alfabeto fenicio e si scriveva con un segno a forma di rettangolo con un trattino in mezzo («acca chiusa»). Corrispondeva a un suono per noi sconosciuto che veniva prodotto con un restringimento della cavità orale all’altezza della faringe (i linguisti lo chiamano «spirante faringale»).
Dalle coste libanesi alla Grecia
A partire dal IX secolo a.C. i commercianti libanesi ebbero contatti sempre più frequenti con i greci i quali non restarono insensibili alle loro straordinarie invenzioni tecnologiche, dal vetro all’alfabeto. L’adozione dell’alfabeto fu un processo complesso perché il greco antico era una lingua indoeuropea con suoni diversi dal fenicio che era una lingua semitica. In greco molte parole iniziavano con delle vocali aspirate: quelle parole furono trascritte con il segno «het» davanti che stava a indicare appunto un’aspirazione.
Dalla acca chiusa all’acca aperta
Verso la fine del VII secolo a.C. vi fu una semplificazione dell’antico segno «het»: i due trattini superiore e inferiore vennero tralasciati e la lettera assunse la forma della nostra acca. Si passò così, gradualmente, dalla «acca chiusa» alle «acca aperta».
L’alfabeto di Mileto
In greco antico esistevano però molti dialetti. A Mileto per esempio, e più in generale nella Ionia asiatica corrispondente alla costa centrale della Turchia, i greci parlavano un dialetto privo di aspirazioni (i linguisti lo chiamano «psilotico»). Loro usavano il simbolo «het» fenicio per indicare la vocale «e» lunga.
Nel 403 a.C. la città di Atene decise con un decreto ufficiale di adottare l’alfabeto di Mileto. Fu così che il segno a forma di «acca» si impose quasi ovunque nel mondo greco come simbolo della lettera eta, cioè della «e» lunga, mentre per indicare il suono aspirato entrò in uso lo «spirito aspro» sopra le vocali iniziali.
L’alfabeto dei cumani
Il segno a forma di acca ebbe una sorte diversa nelle colonie greche in Campania, prima fra tutte Cuma, che fu fondata dai greci dell’isola Eubea nell’VIII secolo. Nell’alfabeto dei cumani quel segno continuava a indicare il suono dell’acca aspirata e così passò anche ai romani che adottarono il simbolo nella sua variante aperta proprio per indicare il suono dell’aspirazione all’inizio di molte parole latine (homo, uomo, habere, avere, da cui l’acca che sopravvive ancora in italiano - anche se muta - nelle voci del verbo avere).
Catullo e l’acca del sussiegoso Arrio
Come avvenne il passaggio dalla acca aspirata latina all’acca muta italiana? Il fatto è che nell’Antica Roma i ricchi parlavano in un modo e i poveri in un altro: la lingua colta marcava l’acca all’inizio delle parole, il popolo ignorante invece non pronunciava l’acca. Ne dà testimonianza Catullo in una sua poesia in cui ironizza su un certo Arrio che per darsi un tono piazza l’acca aspirata a sproposito un po’ dappertutto.
Ariosto e l’uomo senz’acca che è senza onore
La lingua parlata italiana ereditò la dizione del latino rustico che non pronunciava il suono aspirato all’inizio della parola. Tuttavia la acca sopravvisse nell’italiano scritto. Fra i suoi paladini più convinti, nel Rinascimento, vi fu Ludovico Ariosto («Chi leva la H all’huomo, e chi la leva all’honore, non è degno di honore»). Alla fine però i nemici dell’acca ebbero la meglio e imposero una grafia semplificata senza il segno «H» all’inizio della parola. A partire dalla fine del Seicento si definì una consuetudine ortografica che salvava l’acca solo nelle prime tre persone singolari e nella terza plurale dell’indicativo presente del verbo avere («ho», «hai», «ha», «hanno»), quelle cioè che si prestavano a confusione con altre parole dal suono uguale ma dal significato diverso («o», «ai», a», «anno»). E qui si chiude la storia millenaria di un errore secolare.
* Corriere della Sera, 9 dicembre 1917 (ripresa parziale - senza immagini).
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Sul tema, cfr.:
FLS
Papa Francesco: Dio si fa vicino a tutti con cuore di Padre
Dio "si avvicina con amore ad ognuno dei suoi figli, a tutti e ad ognuno di loro. Il suo cuore è aperto a tutti e a ciascuno. Lui è Padre". Così Papa Francesco in una breve lettera autografa in spagnolo inviata al padre gesuita James Martin, che svolge il suo apostolato tra le persone Lgbt, in occasione del webinar "Outreach 2021", tenutosi ieri.
Il sacerdote ha pubblicato oggi la lettera su Twitter.
"Lo ’stile’ di Dio - scrive il Papa - ha tre tratti: vicinanza, compassione e tenerezza. Questo è il modo in cui si avvicina a ciascuno di noi. Pensando al tuo lavoro pastorale, vedo che cerchi continuamente di imitare questo stile di Dio. Tu sei un sacerdote per tutti e tutte, come Dio è Padre di tutti e tutte. Prego per te affinché tu possa continuare in questo modo, essendo vicino, compassionevole e con molta tenerezza".
Francesco ringrazia padre Martin per il suo zelo pastorale e per la sua "capacità di essere vicino alle persone con quella vicinanza che aveva Gesù e che riflette la vicinanza di Dio".
"Prego per i tuoi fedeli, i tuoi ’parrocchiani’ - conclude il Papa - tutti coloro che il Signore ha posto accanto a te perché tu ti prenda cura di loro, li protegga e li faccia crescere nell’amore di nostro Signore Gesù Cristo".
* https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2021-06/lettera-del-papa-a-padre-james-martin.html
Omosessualità, lezioni di pastorale
Da qui a settembre un percorso per sacerdoti impegnati nell’accompagnamento delle persone Lgbt. Nei giorni scorsi il primo modulo per un centinaio di partecipanti. Obiettivo, andare oltre l’accoglienza.
di Luciano Moia (Avvenire, 25 febbraio 2021, p.19)
Pastorale e omosessualità. Le indicazioni del magistero al tempo di papa Francesco non potrebbero essere più chiare. Tre esempi, per non lasciare parole nel vago.
Cominciamo dalla ‘Relazione dopo la discussione‘ del Sinodo straordinario del 1914. Al n. 50 si afferma: «Le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana».
Secondo esempio, al n.250 di Amoris laetitia (2016), il Papa sollecita i vescovi a fare tutto quanto necessario «affinché coloro che manifestano la tendenza omosessuale possano avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita».
Terzo esempio, Relazione finale del Sinodo dei giovani (2018). Al n.150 si dice: «Esistono già in molte comunità cristiane cammini di accompagnamento nella fede di persone omosessuali: il Sinodo raccomanda di favorire tali percorsi». Tutto ben spiegato. Ma tracciata la strada, cominciamo i problemi.
Indubitabile l’esigenza di accogliere, accompagnare, discernere e integrare, ma come farlo? Occorre accogliere la persona o anche il suo stile di vita? Per le persone omosessuali credenti occorre immaginare percorsi specifici oppure l’obiettivo dell’integrazione suggerirebbe l’inserimento nella pastorale ordinaria? A queste e tante altre domande cerca di rispondere il primo Corso di formazione per operatori pastorali e accompagnatori spirituali di Persone omosessuali, di cui si è svolto il primo modulo nei giorni scorsi. L’iniziativa si inserisce nella serie degli incontri promossi già nel 2016 ad Ariccia (diocesi di Albano), e nel 2018 a Bologna.
Programmato come corso ‘in presenza‘ un anno fa, al Centro di Spiritualità ‘Villa San Giuseppe’ dei gesuiti di Bologna, è stato rimandato a quest’anno, in versione on line a causa della pandemia. Una modalità che ha permesso padre Pino Piva, gesuita, esperto di ‘pastorale di frontiera’, anima dell’iniziativa, di accogliere tutte le richieste di partecipazione. Oltre un centinaio, in maggior parte operatori pastorali sui temi della famiglia ma anche nell’accompagnamento delle persone lgbt.
Obiettivo del primo modulo quello di sondare il dato antropologico di fondo (filosofico e psicologico) su cui la teologia è chiamata a riflettere alla luce della Rivelazione e del magistero, tema che sarà affrontato nel secondo modulo, a giugno. Obiettivo finale? Offrire l’orizzonte adeguato per le proposte pastorali opportune. E sarà il terzo modulo, a settembre.
Impegnativi, soprattutto perché originali e spiazzanti, gli approfondimenti presentati. Don Stefano Guarinelli, psicologo e psicoterapeuta, docente alla facoltà teologica dell’Italia settentrionale e autore tra l’altro di Omosessualità e sacerdozio. Questioni formative (Ancora) ha spiegato perché occorre intendere l’omosessualità come ‘tratto’ da integrare in una visione globale della personalità.
«Visto che non abbiamo una teoria condivisa che ci spieghi da dove arrivi l’orientamento omosessuale, spesso facciamo fatica a individuare l’approccio pastorale più opportuno». Così si pensa di risolvere tutto chiedendo semplicemente alla persona omosessuale di tacitare il suo orientamento con una pretesa che suona più o meno così: «Per comportati da cristiano devi diventare ciò che non sei. Ma questa - ha osservato il prete psicologo - è una pretesa anti-cristiana».
Chiara D’Urbano, psicoterapeuta, perita dei Tribunali del Vicariato di Roma, autrice di Percorsi vocazionali e omosessualità (Città Nuova) da anni impegnata nell’accompagnamento psicoterapeutico per il sacerdozio e la vita consacrata, ha spiegato che è giusto parlare di persone omosessuali psicologicamente mature e vocazionalmente compensate. «Anche se - ha ammesso - in ambito vocazionale l’omosessualità continua a costituire un certo imbarazzo». E ha spiegato che, anche in ambito vocazionale esistono persone ‘tipiche e insoddisfatte’ a cui cioè l’orientamento omosessuale non impedisce di comportarsi secondo i parametri della ‘normale’ mascolinità o femminilità.
Damiano Migliorini, docente di filosofia, autore di molti studi sul tema - tra l’altro ha scritto con Beatrice Brogliato L’amore omosessuale. Saggi di psicanalisi, teologia e pastorale (Cittadella Editrice) - partendo da una prospettiva ‘relazionale’, ha proposto una visione antropologica integrata attraverso cui leggere e comprendere la realtà delle persone lgbt.
Infine padre Giovanni Salonia, cappuccino, docente di psicologia e di pastoral counseling nella Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia, escludendo in maniera netta la condizione omosessuale dall’ambito della patologia, ha invitato ad una più profonda riflessione teologica e pastorale, che possa promuovere un vissuto più integrato delle persone omosessuali nella società e nella comunità cristiana.
Quindi, ha detto, basta parlare di accoglienza. «Per un omosessuale è un’offesa. È come se gli dicessimo: sei fuoriposto, sei fatto male e quindi ti devo accogliere. La persona che si dice disposta ad accogliere già indica una diversità. La misericordia di Dio è per tutti e non può far sentire le persone sbagliate, tantomeno - ha concluso - le persone omosessuali».
Tra i relatori i cardinali Semeraro e Zuppi
Il percorso di formazione per operatori pastorali che si dedicano alle persone Lgbt credenti, è organizzato dai gesuiti di Bologna. Il primo modulo ha visto come relatori Damiano Migliorini (docente Filosofia); don Stefano Guarinelli (psicoterapeuta); Chiara D’Urbano (psicoterapeuta); padre Giovanni Salonia (psicologo- psicoterapeuta). Il secondo modulo a giugno sull’approfondimento teologico. Tra i relatori don Valentino Bulgarelli (preside Facoltà Teologica Emilia Romagna); Cristina Simonelli (presidente Coordinamento Teologhe Italiane); don Basilio Petrà (preside Facoltà Teologica Italia Centrale); don Aristide Fumagalli (Facoltà Teologica Italia Settentrionale). A settembre il terzo modulo sull’approfondimento pastorale con i cardinali Matteo Zuppi (arcivescovo di Bologna) e Marcello Semeraro (prefetto Congregazione per i Santi), don Gabriele Davalli (direttore Ufficio Famiglia Bologna); padre Victor De Luna (Apostolato Courage); don Gianluca Carrega (pastorale con persone Lgbt diocesi di Torino).
Politica
I vescovi contro la legge sull’omofobia: «Limita la libertà di opinione»
La Cei attacca i cinque i ddl all’esame della Commissione giustizia di Montecitorio
di Luca Kocci (il manifesto, 11.06.2020)
Durissimo attacco dei vescovi contro i disegni di legge per il contrasto all’omotransfobia in discussione in Parlamento: non servono - dicono i vescovi - e possono limitare la libertà di opinione.
Sono cinque i ddl all’esame della Commissione giustizia di Montecitorio (presentati da Boldrini e Zan del Pd, da Scalfarotto di Italia Viva, da Perantoni del M5S e da Bartolozzi di Forza Italia). Tutti puntano a introdurre nel codice il reato di omotransfobia, visto anche il moltiplicarsi degli episodi di violenza e discriminazione nei confronti delle persone omosessuali e transessuali.
Progetti di legge che però non piacciono alla Presidenza della Conferenza episcopale italiana, che ha emanato una dura nota dal titolo inequivocabile: «Omofobia, non serve una nuova legge».
«Le discriminazioni, comprese quelle basate sull’orientamento sessuale, costituiscono una violazione della dignità umana», scrive la Cei. Che subito dopo aggiunge: ma non ci sono «vuoti normativi» o «lacune che giustifichino l’urgenza di nuove disposizioni», «nell’ordinamento giuridico del nostro Paese esistono già adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio».
La «preoccupazione» dei vescovi, quindi, non è tanto il contrasto all’omotransfobia, quanto il timore che «un’eventuale introduzione di ulteriori norme incriminatrici rischierebbe di aprire a derive liberticide, per cui, più che sanzionare la discriminazione, si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione». Qualche esempio? «Sottoporre a procedimento penale chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma, e non la duplicazione della stessa figura, significherebbe introdurre un reato di opinione», spiegano i vescovi. E questo limiterebbe «la libertà personale, le scelte educative, il modo di pensare e di essere, l’esercizio di critica e di dissenso».
Ad essere puniti, quindi, non sarebbero coloro che discriminano, insultano o aggrediscono le persone omosessuali, ma vescovi, preti, catechisti e genitori che affermano le proprie convinzioni sul valore dell’eterosessualità. Perlomeno questo è quello che pensano i vescovi. E insieme a loro le associazioni della galassia Family Day, che esultano per la presa di posizione della Cei, a cominciare dal presidente Massimo Gandolfini («siamo grati ai vescovi italiani per aver ribadito che non serve una nuova legge sull’omotransfobia»).
«Non si tratta di una legge contro la libertà di opinione, ma di una legge che protegge la dignità delle persone», rassicura Alessandro Zan, il deputato del Pd che sta lavorando all’unificazione dei testi in un unico ddl. «Lo ripeto per l’ennesima volta: non verrà esteso all’orientamento sessuale e all’identità di genere il reato di “propaganda di idee” come oggi è previsto dall’articolo 604 bis del codice penale per l’odio etnico e razziale. Dunque nessuna limitazione della libertà di espressione o censura o bavaglio come ho sentito dire a sproposito. Qui stiamo parlando di vittime vulnerabili e che proprio per questo necessitano di una tutela rafforzata. Stiamo parlando di storie di ragazzi che vengono picchiati per strada solo perché si tengono per mano o che vengono aggrediti, bullizzati e uccisi solo per il loro orientamento sessuale o la propria identità di genere».
Aggiunge Laura Boldrini: «La legge contro l’omotransfobia ha per obiettivo non le opinioni e la libertà di espressione, come afferma erroneamente la nota della Cei, ma gli atti discriminatori o violenti e l’istigazione a commettere questi reati. Si tratta di misure che puntano a tutelare i diritti delle persone seguendo il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione e le indicazioni del Parlamento europeo su questa materia, che risalgono al 2006 ma sono rimaste finora fuori dal nostro ordinamento». E Nicola Fratoianni, portavoce nazionale di Sinistra Italiana: «In questi anni difficili ho apprezzato pubblicamente, da non credente, posizioni coraggiose e controcorrente dei vescovi italiani, e spesso ci siamo trovati insieme nella lotta contro il razzismo, dalla parte dei più deboli. È per questo che oggi, con altrettanta franchezza, dico che non condivido in nessun modo la loro posizione sulla legge contro l’omofobia. L’unica deriva liberticida che conosco è quella sempre più aggressiva nei confronti di persone che vengono ferite nella loro dignità».
Vescovi contro ogni discriminazione.
Omofobia, non serve una nuova legge
La Cei: nessun vuoto normativo per assicurare alle persone omosessuali la tutela contro maltrattamenti, violenze, aggressioni. Nei 5 Ddl in discussione alla Camera anche il rischio ideologico
di Luciano Moia (Avvenire, mercoledì 10 giugno 2020)
Nessun vuoto normativo per assicurare alle persone omosessuali la tutela contro maltrattamenti, violenze, aggressioni. Il nostro codice penale dispone già degli strumenti necessari per garantire in ogni situazione il rispetto della persona. È quanto ribadiscono i vescovi italiani a proposito dei disegni di leggi attualmente in discussione alla Commissione Giustizia della Camera. Si tratta di cinque ddl (Boldrini, Zan, Scalfarotto, Perantoni, Bartolozzi) che puntano a modificare agli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale, in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere.
Obiettivo più che condivisibile visto che, come afferma papa Francesco in Amoris laetitia (n.250), “nessun persona dev’essere discriminata sulla base al proprio orientamento sessuale”. Ma, come spiegano bene i vescovi della presidenza della Cei, c’è il rischio concreto che queste proposte si traducano in confusione normativa e possibilità di nuove discriminazioni verso coloro che non si allineano al cosiddetto “pensiero unico”. Quindi, con l’obiettivo di porre rimedio a un’ingiustizia, si rischia di innescarne di nuove, altrettanto gravi e odiose.
Il primo punto messo in luce da tutti i ddl è quello del vuoto normativo. Indispensabile, si dice, varare una nuova normativa che, si spiega nel ddl di cui è primo firmatario Alessandro Zan (Pd) prevede un allargamento della cosiddetta legge Mancino (n.205 del 1993) con l’obiettivo “di estendere le sanzioni già individuate per i reati qualificati dalla discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi anche alle fattispecie connesse all’omofobia e alla trans fobia”. Ma è davvero necessario? Il nostro codice già prevede sanzioni proporzionate alla gravità del reato per i delitti contro la vita (art. 575 e ss. cod. pen.), contro l’incolumità personale (art. 581 ss. cod. pen.), i delitti contro l’onore, come la diffamazione (art. 595 cod. pen.), i delitti contro la personalità individuale (art. 600 ss. cod. pen.), i delitti contro la libertà personale, come il sequestro di persona (art. 605 cod. pen.) o la violenza sessuale (art. 609 ss. cod. pen.), i delitti contro la libertà morale, come la violenza privata (art. 610 cod. pen.), la minaccia (art. 612 cod. pen.) e gli atti persecutori (art. 612-bis cod. pen.). Fino al 2016 l’ordinamento ha ritenuto illecita anche la semplice ingiuria (art. 594 cod. pen.).
Ma c’è un altro assioma, presente in tutti i ddl, che sembra ampiamente discutibile, quello dell’emergenza omofobia. Secondo i dati diffusi dal ministero degli Interni, negli ultimi otto anni, i reati riferibili all’orientamento sessuale e all’identità di genere, sarebbero solo 212, in media 26,5 ogni anno. Condizionale d’obbligo viste le considerazioni che arrivano dai sostenitori dei vari ddl, secondo cui proprio la mancanza di norme specifiche impedisce la classificazione dei reati. E anche su questo gli esperti di diritto penale sono discordi.
Come altrettanto complesso appare districare la complessa questione legata ai contenuti di espressioni come “identità di genere” e “orientamento sessuale”. Quando si parla di discriminazioni per motivi di razza, provenienza geografica, etnia, religione siamo di fronte a concetti largamente condivisi, che non offrono la possibilità di equivocare. Sull’orientamento sessuale e, soprattutto sull’identità di genere ci troviamo a confrontarci con concetti tutt’altro che definiti in modo stabile e univoco. Quanto è opportuno allora inserire in una legge penale - che per sua natura ha necessità di riferimenti certi - concetti di cui psicologia e antropologia dibattono da decenni senza arrivare a un piattaforma concettuale definita? Il rischio è effettivamente elevato. Ci sono anche studiosi della stessa area lgbt secondo cui il triplice riferimento all’orientamento, all’identità e al ruolo non possono esaurire la complessità della sfera sessuale e, soprattutto, il suo rapporto con la realtà sociale e culturale. Possibile allora che l’obiettivo di sanzionare le discriminazioni basate su concetti fluttuanti come identità di genere e orientamento sessuale finiscano per punire, oltre che i fatti concreti, le legittime opinioni di chi non si allinea al cosiddetto “pensiero unico”? Per essere più chiari: sostenere, per esempio, che le unioni omosessuali sono scelta ontologicamente e biologicamente diversa rispetto al matrimonio fondato sul matrimonio tra uomo e donna, potrebbe diventare opinione sanzionabile? E sottolineare che la tesi della “nessuna differenza” tra gli esiti psicologici-esistenziali mostrati dai figli che vivono all’interno di famiglie gay rispetto a quelli che vivono e crescono con i propri genitori biologici, eterosessuali, potrà diventare atto d’accusa?
I sostenitori dei ddl in discussione alla Commissione Giustizia della Camera escludono queste derive. E speriamo che si tratti di convinzioni sincere. Purtroppo nei Paesi dove legislazioni simili a quelle che si vorrebbero adottare anche in Italia sono già vigenti, i giudici si sono mossi in modo diverso. In Spagna, il 6 febbraio 2014, il cardinale Fernando Sebastián Aguilar (morto di recente), arcivescovo emerito di Pamplona, è stato iscritto nel registro degli indagati per “omofobia” per aver rilasciato un’intervista pubblicata sul quotidiano di Malaga, “Diario Sur” il precedente 20 gennaio, nel corso della quale, sulla premessa che la sessualità è orientata alla procreazione, faceva presente che all’interno di una relazione omosessuale tale finalità era preclusa. In Francia, dove una legge del 2004 sanzionava le discriminazioni razziali (sul modello italiano della legge Mancino - Reale) prima nel 2008, poi nel 2012 quelle disposizioni sono state estese alla discriminazione fondata sull’orientamento sessuale, grazie all’iniziativa del ministro della Giustizia dell’epoca Christiane Taubira. Esempi che non dovrebbero essere dimenticati.
C’è invece un percorso vincente, sottolineano ancora i vescovi, per combattere violenza e intolleranza contro chiunque, e soprattutto verso le persone più fragili, ed è l’impegno educativo finalizzato ad attivare seri percorsi di prevenzione. Su questo punto il dibattito è aperto e la disponibilità della Chiesa italiana è rivolta a “un confronto aperto e intellettualmente onesto”. Nessuna preclusione quindi, nessuna chiusura, ma un atteggiamento di accoglienza e misericordia secondo quel modello di Chiesa in uscita più volte sollecitato dal papa Francesco. Ecco il testo del comunicato della presidenza Cei.
“Nulla si guadagna con la violenza e tanto si perde”, sottolinea Papa Francesco, mettendo fuorigioco ogni tipo di razzismo o di esclusione come pure ogni reazione violenta, destinata a rivelarsi a sua volta autodistruttiva. Le discriminazioni - comprese quelle basate sull’orientamento sessuale -costituiscono una violazione della dignità umana, che - in quanto tale - deve essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni. Trattamenti pregiudizievoli, minacce, aggressioni, lesioni, atti di bullismo, stalking... sono altrettante forme di attentato alla sacralità della vita umana e vanno perciò contrastate senza mezzi termini. Al riguardo, un esame obiettivo delle disposizioni a tutela della persona, contenute nell’ordinamento giuridico del nostro Paese, fa concludere che esistono già adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio. Questa consapevolezza ci porta a guardare con preoccupazione alle proposte di legge attualmente in corso di esame presso la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati contro i reati di omotransfobia: anche per questi ambiti non solo non si riscontra alcun vuoto normativo, ma nemmeno lacune che giustifichino l’urgenza di nuove disposizioni. Anzi, un’eventuale introduzione di ulteriori norme incriminatrici rischierebbe di aprire a derive liberticide, per cui - più che sanzionare la discriminazione - si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione, come insegna l’esperienza degli ordinamenti di altre Nazioni al cui interno norme simili sono già state introdotte. Per esempio, sottoporre a procedimento penale chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma - e non la duplicazione della stessa figura - significherebbe introdurre un reato di opinione. Ciò limita di fatto la libertà personale, le scelte educative, il modo di pensare e di essere, l’esercizio di critica e di dissenso. Crediamo fermamente che, oltre ad applicare in maniera oculata le disposizioni già in vigore, si debba innanzitutto promuovere l’impegno educativo nella direzione di una seria prevenzione, che contribuisca a scongiurare e contrastare ogni offesa alla persona. Su questo non servono polemiche o scomuniche reciproche, ma disponibilità a un confronto autentico e intellettualmente onesto. Nella misura in cui tale dialogo avviene nella libertà, ne trarranno beneficio tanto il rispetto della persona quanto la democraticità del Paese.
COSTANTINO, IL CONCILIO DI NICEA, E LA DICHIARAZIONE DELL’HOMOOUSIOS. *
BENEDETTO xvi
Il ritorno di Ratzinger: «Nozze gay e aborto segni dell’Anticristo»
L’anticipazione del nuovo libro del papa emerito
di Redazione Online (Corriere della Sera, 3 maggio 2020).
Il Papa emerito Ratzinger parla di crisi della società contemporanea paragonando al «matrimonio omosessuale» e l’«aborto» al «potere spirituale dell’Anticristo», in una nuova biografia scritta dal suo amico giornalista Peter Seewald, «Ein Leben» che esce lunedì, mentre per la versione italiana e inglese occorrerà aspettare l’autunno, con una intervista dal titolo «Le ultime domande a Benedetto XVI» e che, come nel libro di Sarah, propone ai lettori un verbo che scalda gli animi dell’ala conservatrice della Chiesa, quella parte che gli è rimasta fedele anche dopo la rinuncia dell’11 febbraio 2013. Lo anticipa il sito americano conservatore LifeSiteNews, lo stesso che in questi mesi ha diffuso le uscite anti-Francesco dell’ex nunzio a Washington Carlo Maria Viganò, attacca a testa bassa l’’ideologia dominante’ nella società e opponendosi alla quale, spiega, si è scomunicati. Si percepisce, nel suo dire, l’eco del testo di un anno fa dedicato alla pedofilia, con quella condanna delle aperture iniziate nel ‘68, l’incipit a detta sua del decadimento morale della società e di una crisi irreversibile della Chiesa.
Il nemico è sempre il medesimo: la rivoluzione degli anni Sessanta-Settanta. «Cento anni fa - afferma Benedetto - tutti avrebbero considerato assurdo parlare di un matrimonio omosessuale». Mentre oggi, dice, si è scomunicati dalla società se ci si oppone. E lo stesso vale per «l’aborto e la creazione di esseri umani in laboratorio». E ancora: «La società moderna è nel mezzo della formulazione di un credo anticristiano e se uno si oppone viene punito dalla società con la scomunica. La paura di questo potere spirituale dell’Anticristo è più che naturale e ha bisogno dell’aiuto delle preghiere da parte della Chiesa universale per resistere».
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Sul tema, nel sito, si cfr.:
"NUOVA ALLEANZA" ?!: A CONDIZIONE CHE ACCANTO A "MARIA" CI SIA "GIUSEPPE"!!!
Federico La Sala
L’”ECCE HOMO” (E LA “CORONA DI SPINE”)! Non c’è solo Ponzio Pilato, c’è anche Leonzio Pilato. Non dimentichiamolo... *
DAL PEDUNCOLO ALL’OMUNCOLO: UNA “VIA” PER USCIRE DALLA CAVERNA. Sulla parola “omuncolo”, forse, è utile (cfr. A. Polito, "Dialetti salentini: piticinu", Fondazione Terra d’Otranto) rifletterci un momento: a mio parere, tale parola sollecita a portare alla luce la implicita differenza che veicola in sé. Sorprendentemente, se da una parte dice di un giudizio sul comportamento di una persona di sesso maschile che dovrebbe essere “vir-ile” ma che tale non è, dall’altra, per la sua provenienza etimologica “da una base homo, genitivo hominis, che significa uomo”, veicola e produce una generalizzazione indebita che porta a nascondere la presenza dell’altra metà (il sesso femminile) del “genere umano”.
Come per il greco, la parola “antropologia” vale per ogni persona del “genere umano” (e, per il maschio e per la femmina, abbiamo, rispettivamente, l’andrologia e la ginecologia), così per il latino, la parola “umanità” (da “homo”) vale altrettanto per ogni persona del “genere umano”(e, in italiano, per l’homo-maschio, parliamo di “virile” e, per la homo-femmina, parliamo di “muliebre”).
“ECCE HOMO”. Quando Ponzio Pilato pronunciò la frase «Ecco l’uomo», mostrando alla folla Gesù flagellato cosa disse?! Parlò sì di un “uomo”, ma parlò dell’intero “genere umano”! O NO?! A CHE GIOCO GIOCHIAMO?! A METTERE ANCORA IN TESTA AL “GENERE UMANO” UNA BELLA “CORONA” DI SPINE?!
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Sul tema, mi sia consentito, si cfr.:
A) LA GRECIA, LA MEDIAZIONE DELLA CALABRIA, E IL RINASCIMENTO ITALIANO ED EUROPEO. In memoria di Barlaam (Bernardo) e di Leonzio Pilato ... PER BOCCACCIO, UNA GRANDE FESTA IN TUTTA L’ITALIA E L’EUROPA (http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=5421)
B) PER NON DIVENTARE UN “BOCCALONE”, UNA “BOCCALONE” - PER NON FARE LA FIGURA DEL “FESSO” O DELLA FESSA” (cfr.: https://www.fondazioneterradotranto.it/2017/09/29/fessa-dialetto-salentino-sesso/#comment-63709)
DAL PIEDE ALLA TESTA E DALLA TESTA AL PIEDE: “ECCE HOMO”! *
CARO ARMANDO, credo che la “generalizzazione che finisce per escludere di fatto la donna”, alla luce del prezioso lavoro realizzato da te e dal dott. Marcello Gaballo su “Santa Maria di Casole a Copertino e le sue Sibille” (cfr.: https://www.fondazioneterradotranto.it/2017/03/24/santa-maria-casole-copertino-le-sue-sibille/), non dipende da generici “millenni di maschilismo”.
La riemersione nel nostro presente storico del “piticinu” (“peduncolo”) dell’”ECCE HOMO”, sollecita a riflettere più in profondità sulla nascita dell’uomo Gesù, a reinterrogarci sui suoi genitori e, in particolare, come recentemente e lodevolmente ha fatto la stessa Redazione della Fondazione Terra d’Otranto, su suo padre Giuseppe (cfr. “3 Commenti a De Domo David. 39 autori per i 400 anni della confraternita di San Giuseppe di Nardò”: https://www.fondazioneterradotranto.it/2019/11/10/de-domo-david-39-autori-per-i-400-anni-della-confraternita-di-san-giuseppe-di-nardo/#comment-257181), e a chiedere lumi alla SIBILLA DELFICA (vale a dire, oggi, alla “buonanima” di Sigmund Freud: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=406) per sapere la ragione del diffondersi della peste nella città di “Tebe”!!!
La questione è decisamente antropologica e la situazione storica sollecita ancora e di nuovo a “conoscere sé stessi”, a conoscere sé stesse”, a comprendere finalmente “come nascono i bambini”, “come nascono le bambine”: certamente non da un “omuncolo”(cfr. http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=2923 )! Ciò che è in gioco è la sopravvivenza della nostra stessa umanità, presente e futura. O no?!
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"ECCE HOMO": (ANTROPOLOGIA, NON "ANDROPOLOGIA" O "GINECO-LOGIA")!!! USCIRE DALL’ORIZZONTE COSMOTEANDRICO DA "SACRO ROMANO IMPERO"... *
La parola può tutto
di Ivano Dionigi (Avvenire, venerdì 3 gennaio 2020)
«Chiamo uomo chi è padrone della sua lingua». In questa sentenza fulminante di don Lorenzo Milani (Lettera a Ettore Bernabei 1956), ispirata a un deciso afflato di giustizia sociale, trovo il più bel commento al passo in cui Aristotele (Politica 1253 a) riconosce nella parola (logos) la marca che caratterizza l’uomo e lo distingue dagli animali, che ne sono privi (tà zóa á-loga). La parola: il bene più prezioso, la qualità più nobile, il sigillo più intimo. A una persona, a un gruppo, a un popolo puoi togliere averi, lavoro, affetti: ma non la parola. Un divario economico si ripiana, un’occupazione si rimedia, una ferita affettiva si rimargina, ma la mancanza o l’uso ridotto della parola nega l’identità, esclude dalla comunità, confina alla solitudine e quindi riduce allo stato animale. «La parola - continuava il profetico prete di Barbiana - è la chiave fatata che apre ogni porta»; tutto può, come già insegnava la saggezza classica: «spegnere la paura, eliminare la sofferenza, alimentare la gioia, accrescere la compassione» (Gorgia, Elogio di Elena 8). Ma essa è di duplice segno, nella vita privata come in quella pubblica: con i cittadini onesti e i governanti illuminati si fa simbolica (syn-bállein), e quindi unisce, consola, salva; confiscata dai cittadini corrotti e dai demagoghi si fa diabolica (dia-bállein), e quindi divide, affanna, uccide.
“DE DOMO DAVID”?! GIUSEPPE, MARIA, E L’IMMAGINARIO “COSMOTEANDRICO” (COSMOLOGIA, TEOLOGIA, E ANTROPOLOGIA!) DELLA CHIESA CATTOLICO-COSTANTINIANA... *
CARDINALE CASTRILLON HOYOS: “Duemila anni fa, un ovulo fu miracolosamente fecondato dall’azione soprannaturale di Dio, da questa meravigliosa unione risultò uno zigote con un patrimonio cromosomico proprio. Però in quello zigote stava il Verbo di Dio”(dichiarazione del Cardinale Dario Castrillon Hoyos alla XV conferenza internazionale del Pontificio consiglio, la Repubblica del 17 novembre 2000, p. 35)
PAPA FRANCESCO: “«Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» (Gal 4,4). Nato da donna: così è venuto Gesù. Non è apparso nel mondo adulto ma, come ci ha detto il Vangelo, è stato «concepito nel grembo» (Lc 2,21): lì ha fatto sua la nostra umanità, giorno dopo giorno, mese dopo mese. Nel grembo di una donna Dio e l’umanità si sono uniti per non lasciarsi mai più: anche ora, in cielo, Gesù vive nella carne che ha preso nel grembo della madre. In Dio c’è la nostra carne umana! [...]” (LIII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE, Omelia di papa Francesco, Basilica Vaticana, Mercoledì, 1° gennaio 2020).
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A) - La costruzione del ’presepe’ cattolico-romano .... e la ’risata’ di Giuseppe!!!
MEMORIA DI FRANCESCO D’ASSISI. “VA’, RIPARA LA MIA CASA”!!!;
B) Il magistero della Legge dei nostri Padri e delle nostre Madri Costituenti non è quello di “Mammona” (“Deus caritas est”, 2006)! EUROPA: EDUCAZIONE SESSUALE ED EDUCAZIONE CIVICA. ITALIA “NON CLASSIFICATA”!!! Per aggiornamento, un consiglio di Freud del 1907.
C) GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di “pensare un altro Abramo”.
Federico La Sala
Il Vaticano non accetta i gay (ma solo se seminaristi)
Le frasi del Papa e un dibattito finito. Se questa è la strada intrapresa, perché non partire da vescovi e rettori?
di Marco Marzano (Il Fatto, 26.05.2018)
Incontrando i membri della Cei in Vaticano, Papa Francesco ha fatto un’affermazione importante: evitate, ha detto il papa ai vescovi italiani, di fare entrare gay in seminario e allontanate gli studenti sulla cui identità sessuale nutriate anche il minimo dubbio.
Il papa ha così ribadito, anche su questo punto in perfetta continuità con i suoi predecessori, la cattolica tolleranza zero verso i gay, l’esclusione assoluta degli omosessuali dalla vita della Chiesa. Se si tratta di semplici fedeli, essi, pur presentando, come recita il Catechismo, “un’inclinazione oggettivamente disordinata”, possono essere accolti con misericordia, ma solo a patto che rinuncino a ogni forma di vita sessuale e si mantengano casti e puri. Nel caso di coloro che tra costoro aspirino invece a diventare sacerdoti, ha ricordato il papa, la sola inclinazione deve divenire causa di immediata esclusione.
Le parole di Francesco ci comprovano che il papa è a conoscenza dell’esistenza e delle dimensioni del “problema”, come lui lo ha definito. Dopo esserci occupati del clero pedofilo, ha dichiarato il papa accostando i due fenomeni, dovremo occuparci anche di quello omosessuale. La premessa da cui è partito il papa è corretta: i seminari sono strapieni di gay, così come poi di conseguenza lo sono le case parrocchiali, i monasteri e le altre strutture cattoliche. Alcuni seminaristi e preti omosessuali si astengono dall’avere una vita sessuale attiva, molti altri no.
Dalla letteratura scientifica internazionale giungono delle interessanti conferme di questo dato. Uno dei più autorevoli studiosi della vita sessuale del clero, Richard Sipe, ha sostenuto, analizzando un campione di grandi dimensioni, che circa il 30 per cento del clero americano è omosessuale e che un terzo di questo 20 per cento ha una vita affettiva e sessuale attiva, talvolta accompagnata da un grave senso di colpa. A parere di altri studiosi, il dato fornito da Sipe è da correggere: secondo Nines, più del 40 per cento del clero è omosessuale, mentre secondo Cozzens la stima va corretta verso l’alto e i preti gay sono tra il 45 e il 50 per cento del totale. L’esistenza di una vera e propria subcultura gay nei seminari è confermata (talvolta con fastidio dai chi ne è escluso) dai risultati di altre ricerche sociologiche.
Al di là di quali siano le sue dimensioni reali, io credo che, se vogliono davvero mettere al bando l’omosessualità tra i funzionari dell’organizzazione, il papa e i vescovi debbano assumere alcune decisioni potenzialmente assai dolorose. Ad esempio, il papa dovrebbe iniziare con l’allontanare dalla Chiesa i vescovi “anche solo sospettati” (per usare il suo linguaggio) di essere omosessuali.
La stessa durezza andrebbe usata da parte dei vescovi nei confronti del clero loro sottoposto e soprattutto nei confronti di rettori, prefetti e insegnanti incaricati di formare i futuri preti. Con quale credibilità un rettore di seminario omosessuale può espellere un seminarista gay? E cosa succede, quale dinamica psicologica si instaura, se un prete gay diventa il padre spirituale di un seminarista altrettanto omosessuale?
In secondo luogo, bisognerebbe che la Chiesa potenziasse i suoi strumenti inquisitori per scovare, anche rafforzando il ricorso a psicologi professionisti, la presenza di gay tra gli studenti dei seminari. Una rigorosa attività inquisitoria è necessaria perché i seminari sono affollati da ragazzi che non sono consapevoli o che non accettano la loro “inclinazione” verso persone dello stesso sesso e che vanno in seminario proprio per non porsi il problema della loro sessualità, per rimuoverlo.
Inoltre, per rimediare al fatto che l’espulsione dei gay determinerebbe un vero e proprio crollo nelle vocazioni, e tenuto conto che la Chiesa europea è già, da questo punto di vista, in una situazione difficilissima, occorrerà incoraggiare fortemente l’importazione di funzionari provenienti da quei territori (ad esempio, l’Africa) dove c’è grande abbondanza di clero. Infine andrebbe probabilmente scoraggiato il ricorso a un abbigliamento troppo tradizionale, fatto di lunghe sottane, pizzi e svolazzi vari, dietro il quale spesso si cela un’omosessualità più o meno repressa.
Fatto un sommario elenco di cose che la Chiesa dovrebbe fare se volesse combattere la presenza dei gay al suo interno, rimane da dare un modesto consiglio ai gay cattolici. Esso è presto dato: perché ostinarsi a sperare che venga qualche apertura da un’organizzazione irriducibilmente nemica della libertà e della diversità sessuale? Perché non scegliere un altro luogo, e ce ne sono (penso ad esempio, alla chiesa valdese), dove trascorrere serenamente la propria esistenza di cristiani e di omosessuali, venendo accettati e considerati esseri umani perfettamente uguali a tutti gli altri?
L’Islam contro l’omosessualità
un reato dall’Iran alla Nigeria
Nessuna delle tre religioni monoteiste accetta l’unione tra due persone dello stesso sesso ma per i fedeli musulmani è una ribellione contro Dio
di Tahar Ben Jelloun (la Repubblica, 15.06.2016)
NESSUNA delle tre religioni monoteiste accetta la pratica dell’omosessualità. Per quanto riguarda l’islam, questa è condannata da quattro versetti in tre Sure che la qualificano come un’aberrazione, un crimine, una turpitudine punita molto severamente. Alla giustizia esercitata dagli uomini verso gli omosessuali si aggiunge quella di Dio: l’omosessuale è maledetto, reietto, Dio non poserà gli occhi su «quel peccatore e quel criminale » e nessuna misericordia sarà accordata a chi va contro la legge di Dio.
L’Islam considera l’omosessualità un crimine ben più grave dell’adulterio e dei rapporti prematrimoniali. Peggio di ogni altra cosa, unire due uomini è considerato una rivolta contro Dio, una disobbedienza intollerabile. Questo “crimine” è punito con la lapidazione, o con altre declinazioni della pena capitale, perché introduce nella città delle pratiche che mettono in discussione non tanto la natura quanto l’ordine stabilito da Dio. Questa “decadenza” dei costumi è considerata una forma di smarrimento.
La città di Sodoma era famosa per ospitare degli omosessuali. Ecco che cosa ne dice il Corano: «Lot disse al suo popolo: Vorreste commettere un’infamità che mai nessuna creatura ha mai commesso? Vi accostate con desiderio agli uomini piuttosto che alle donne. Sì, siete un popolo di trasgressori» (Sura VII, versetto 81). Il versetto successivo è ancora più chiaro: «E in tutta risposta il suo popolo disse: “Cacciateli dalla vostra città! Sono persone che vogliono esser pure!”».
Questo concetto di purezza è essenziale nell’Islam e regola lo svolgimento della preghiera, del digiuno di Ramadan e del pellegrinaggio alla Mecca. La purezza o purificazione è alla base di ogni pratica della fede musulmana. È per questo che le piccole abluzioni sono obbligatorie prima della preghiera e le grandi (lavare tutto il corpo) dopo l’atto sessuale. Ebbene, l’omosessuale è colui che, anche se si lava, resta internamente impuro. Non può essere un musulmano perché la sua sporcizia principale deriva dalla ribellione contro Dio. Nella Sura XXVIII la parola del Corano ritorna su questo argomento: «Scacciate dalla vostra città la famiglia di Lot! È gente che pretende di essere pura».
Il codice civile di alcuni paesi musulmani parla di “pratica contro natura” punita con la prigione. In certi casi si arriva alla pena capitale. In Iran, gli omosessuali sono puniti con la flagellazione e, se perseverano, alla terza recidiva sono condannati a morte. In Nigeria per gli omosessuali è prevista la pena di morte. Il Corano non parla di natura ma di ribellione contro la volontà divina, un po’ come per chi attenta alla propria vita: il suicidio è condannato perché è percepito come una sfida all’ordine divino.
Il Corano parla soprattutto di omosessualità maschile. L’omosessualità femminile è citata, ma senza essere criticata così severamente. Nel suo Dictionnaire du Coran, Mohammad Ali Amir-Moezzi ci informa che «la punizione delle donne colpevoli di tribadismo (sihâq) è a discrezione delle autorità ». Lo stesso vale per quanto riguarda l’amore per gli efebi (amrad) e per i travestiti, perché sono effemminati (mukanath): in questi casi l’amore è adorazione e non accoppiamento.
Nelle Mille e una notte, la famosa raccolta di novelle di autori anonimi di diversa provenienza, ci sono riferimenti a tutte le forme di sessualità, ma è una raccolta di racconti di fantasia da cui non si pretende che rispecchino la realtà. Molto probabilmente è proprio per le pagine torride in cui sono rappresentate varie perversioni sessuali che nel mondo arabo e musulmano quel libro è stato spesso messo al bando.
( traduzione di Elda Volterrani)
USA: 111 PASTORI METODISTI FANNO COMING OUT. E CHIEDONO ALLA CHIESA MAGGIORI APERTURE *
38554 PORTLAND-ADISTA. Con tutta probabilità la Conferenza generale della United Methodist Church, in corso a Portland (Oregon) dal 10 al 20 maggio, sarà ricordata come un momento chiave della vita di questa comunità.
Sugli 864 delegati provenienti da Stati Uniti, Europa, Africa e Filippine (in rappresentanza di 12 milioni di fedeli nel mondo) pende infatti la questione dell’accoglienza delle persone lgbtqi, sollevata, a ridosso dell’apertura dei lavori, da 111 membri del clero e candidati al ministero in una lettera aperta pubblicata sul portale Reconciling Ministries Network (il documento è stato cliccato talmente tante volte da mandare in crash il sito). I firmatari si dichiarano gay, lesbiche, bisessuali, transgender, queer e intersessuali (lgbtqi) e accusano la Chiesa metodista di averli costretti a nascondere la propria identità sessuale.
Con questo coming out, spiegano, «vogliamo dare speranza ai giovani lgbtqi che frequentano Chiese metodiste ostili»: «Questi giovani - scrivono - sono più a rischio di suicidio rispetto ai loro coetanei, anche a causa delle condanne che provengono dai pulpiti e dai banchi delle loro chiese». «Facciamo coming out per ricordare loro che l’amore di Dio è incommensurabile e che non li abbandonerà mai». «Facciamo coming out per invitarli ad ascoltare ancora Dio, piccola voce che parlerà nei luoghi tranquilli dei loro cuori, che li chiamerà a posizioni di leadership.
Cerchiamo di creare per loro un cammino di speranza nel ministero, anche se la Chiesa ha cercato di chiudere loro la porta in faccia, tollerando in maniera più o meno aperta la persecuzione delle persone lgbtqi».
«Ti vogliamo bene, cara Chiesa», proseguono i 111 firmatari: «Attraverso di te, posiamo i piedi su un terreno sacro e vediamo il volto di Dio in modo più chiaro. La nostra preghiera, per questo momento di discernimento della Conferenza generale, è che ci si ricordi che in tutto il mondo ci sono persone senza nome affamate di una parola di speranza e di guarigione». «La “questione lgbtqi” non può essere risolta attraverso una legislazione restrittiva - proseguono - ma riconoscendo che tutte le persone sono fatte a immagine di Dio e vanno accolte nella comunità di fede». «Cara Chiesa - è la conclusione - le nostre preghiere sono con voi, con tutti noi, per i prossimi giorni. Potremmo essere sorpresi dallo Spirito che continua a infondere nuova vita in modi inaspettati. In un mondo lacerato dalla paura e dalla diffidenza, potremmo offrire una potente testimonianza trovando unità nelle nostre differenze».
I firmatari rischiano parecchio considerato che il Book of Discipline della United Methodist Church statuisce che «la pratica dell’omosessualità è incompatibile con l’insegnamento cristiano» e che «pertanto chi si dichiara omosessuale praticante non può accedere al ministero ordinato».
Inoltre le prime battute di questa Conferenza generale (che si riunisce ogni quattro anni) non lasciano sperare nulla di buono. Vicki Flippin, pastora alla Church of the Village di New York, ha raccontato sul proprio profilo Facebook che le era stato chiesto di tenere un breve discorso di benvenuto durante un servizio di culto, a partire dal suo contesto di provenienza, contesto che, ha spiegato, «include molte persone lgbtq». «Avevo pianificato di dire: “Qualunque sia la vostra identità di genere, qualunque sia il vostro orientamento sessuale, la vostra razza o nazionalità, qualunque sia la vostra età, appartenete alla casa di Dio e vi saluto nel nome di Gesù Cristo”. Mi hanno detto che se avessi voluto partecipare, avrei dovuto omettere qualsiasi riferimento a persone lgbtqi».
«Stiamo cercando di rendere i nostri servizi di culto più inclusivi possibile - ha spiegato la pastora Laura Bartlett, a capo dei servizi di culto della Conferenza generale - ma abbiamo ritenuto che citare un gruppo particolare potesse dare a intendere che gli altri sono esclusi e volevamo evitarlo».
Flippin ha deciso quindi di non partecipare: «Non posso in coscienza prendere parte a un servizio di culto che non fa nemmeno finta di accogliere e includere i figli lgbtqi di Dio». (ingrid colanicchia)
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• Adista/Notizie, N. 19, 21 MAGGIO 2016
Marco Marzano
Professore ordinario di Sociologia all’Università di Bergamo *
Ho l’impressione che siano pochi i preti italiani che si attengono fedelmente alla norma celibataria. Un buon numero di loro, qualcuno dice addirittura i tre quarti del totale, è omosessuale e usa il celibato come uno splendido alibi per non dover fornire giustificazioni del desiderio di non avere relazioni sentimentali con le donne e di non sposarsi. Tra gli eterosessuali ve ne sono molti che hanno relazioni regolari e durature, anche con figli. Molti altri hanno solo relazioni occasionali, più o meno numerose. Una vita di assoluta castità non è comunque, anche per quei pochi under settanta che la praticano, sintomo di serenità spirituale o di pace interiore. Perché spesso dà luogo a fenomeni patologici, come l’alcolismo (molto diffuso) o altre forme di dipendenza, e si accompagna ad uno stato depressivo e di profonda infelicità.
In ogni caso, una condotta sessuale attiva può essere vissuta dai preti in modi molto diversi: talvolta con terrificanti sensi di colpa, talaltra con la serenità di chi invece ha compreso di aver diritto a una vita affettiva autonoma dalle imposizioni dell’istituzione. E questo non dipende dagli orientamenti sessuali. Ho intervistato qualche tempo fa un prete gay che mi rivelò il desiderio di vivere il suo amore alla luce del sole. Oggi ha lasciato anche lui. L’idea che il celibato sia lo strumento principale per avere dei presbiteri completamente devoti alla loro comunità e che questa loro devozione soddisfi i bisogni affettivi dei sacerdoti, che li gratifichi come li gratificherebbe l’amore di una compagna o di un compagno e di una famiglia, è una menzogna assoluta.
Il celibato è in realtà la “regola di ingaggio” che consente alla Chiesa di disporre di funzionari a tempo pieno ad essa pienamente dedicati e ricattabili. Semplificando all’estremo, è come se l’istituzione dicesse al suo funzionario: “Tu sapevi quando hai accettato l’ingaggio che c’era questa regola. La puoi violare, ma ti sentirai in colpa e sarai comunque costretto a nasconderti. Perché, quando non rispetti il celibato, sentirai di aver tradito la fiducia del tuo gregge, al quale noi istituzione (con il tuo concorso!) abbiamo insegnato che tu devi essere puro e casto. Noi ti perdoneremo quando ignorerai il divieto. E ti copriremo anche se serve, ad esempio trasferendoti in un altro luogo se hai una donna che ti insegue o mandandoti in clinica invece di denunciarti se hai commesso qualche crimine legato alla sessualità.”
Il celibato diventa la premessa della sacralizzazione della figura asessuata del prete, la condizione della sua superiorità rispetto agli altri fedeli, il segno più tangibile che egli è più puro di loro e che la sua vita coincide con il suo ruolo pubblico. In questa metamorfosi egli si disumanizza, riducendosi a mero simbolo, privato del diritto ad avere una vita privata. Per qualche prete questo regime psichico è la premessa di un narcisismo incontenibile, della convinzione di essere più simile a Gesù che ai propri simili. E di avere un naturale diritto a comandare. Per altri è una terribile camicia di forza che spinge verso il dolore e la morte interiore.
Di seguito pubblico la lettera di una lettrice:
Perché il problema grosso secondo me è proprio questo!
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Il FattoQuotidiano.it / BLOG /di Marco Marzano | 24 settembre 2015
La confessione del monsignore Krzysztof Charamsa: "Io gay felice e con un compagno".
La Santa Sede: "Lasci l’insegnamento"
"So che pagherò conseguenze, ma ora Chiesa apra gli occhi"
di Redazione ANSA *
ROMA. "Certamente mons. Charamsa non potrà continuare a svolgere i compiti precedenti presso la Congregazione per la dottrina della fede e le università pontificie, mentre gli altri aspetti della sua situazione sono di competenza del suo Ordinario diocesano". Lo ha detto padre Federico Lombardi.
"La scelta di operare una manifestazione così clamorosa alla vigilia della apertura del sinodo - dichiara padre Lombardi - appare molto grave e non responsabile, poiché mira a sottoporre l’assemblea sinodale a una indebita pressione mediatica". E questo nonostante il rispetto per le vicende personali.
La confessione del monsignore. "Voglio che la Chiesa e la mia comunità sappiano chi sono: un sacerdote omosessuale, felice e orgoglioso della propria identità. Sono pronto a pagarne le conseguenze, ma è il momento che la Chiesa apra gli occhi di fronte ai gay credenti e capisca che la soluzione che propone loro, l’astinenza totale dalla vita d’amore, è disumana". Lo afferma al Corriere della Sera, monsignor Krzysztof Charamsa, 43 anni, polacco, ufficiale della Congregazione per la Dottrina della Fede e segretario aggiunto della Commissione Teologica Internazionale vaticana, oltre che docente alla Pontificia Università Gregoriana e al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum.
Molto attivo sui social network, da twitter a linkedin, monsignor Krzysztof Charamsa, il teologo gay ha anche un suo blog, attivato alla fine di questo mese agosto. Pochi ancora i post pubblicati e il monsignore si presenta al pubblico della rete con una foto in t-shirt gialla e con un saluto in diverse lingue.
Sulle ragioni del suo coming out, spiega: "Arriva un giorno che qualcosa si rompe dentro di te, non ne puoi più. Da solo mi sarei perso nell’incubo della mia omosessualità negata, ma Dio non ci lascia mai soli. E credo che mi abbia portato a fare ora questa scelta esistenziale così forte , forte per le sue conseguenze, ma dovrebbe essere la più semplice per ogni omosessuale, la premessa per vivere coerentemente, perché - aggiunge - siamo già in ritardo e non è possibile aspettare altri cinquant’anni".
"Dunque dico alla Chiesa chi sono - aggiunge -. Lo faccio per me, per la mia comunità, per la Chiesa. È anche mio dovere nei confronti della comunità delle minoranze sessuali". Alla domanda su che cosa pensi di ottenere, mons. Charamsa afferma: "Nella Chiesa non conosciamo l’omosessualità perché non conosciamo gli omosessuali. Li abbiamo da tutte le parti, ma non li abbiamo mai guardati negli occhi, perché di rado essi dicono chi sono.
Vorrei con la mia storia scuotere un po’ la coscienza di questa mia Chiesa. Al Santo Padre rivelerò personalmente la mia identità con una lettera".
Il teologo spiega di parlare alla vigilia del sinodo sulla Famiglia perché "vorrei dire al Sinodo che l’amore omosessuale è un amore familiare, che ha bisogno della famiglia. Ogni persona, anche i gay, le lesbiche o i transessuali, porta nel cuore un desiderio di amore e familiarità. Ogni persona ha diritto all’amore e quell’amore deve esser protetto dalla società, dalle leggi. Ma soprattutto deve essere curato dalla Chiesa".
“La Chiesa dovrebbe superare le ipocrisie sulla sessualità”
intervista a Gianni Vattimo,
a cura di Marco Neirotti (La Stampa, 13 giugno 2013)
Il filosofo Gianni Vattimo, parlamentare europeo eletto con l’Italia dei Valori, guarda con attenzione e su diversi piani la frase di Papa Francesco sulla «lobby gay». Sono in realtà poche parole, dette durante un’udienza privata e appaiono più che altro conferma di una voce diffusa e giunta concretamente fino a lui.
Professor Vattimo, riesce a immaginarla questa struttura di potere?
«Non so se esista realmente, ma se c’è è perché raccoglie qualcosa di segreto e ricattabile. Non si parla di lobby degli eterosessuali, ma non mi vengano a dire che non esistono monsignori che si accompagnano con donne».
In altre parole, una sorta di autodifesa contro una repressione?
«Contro un’ipocrisia. È come il formarsi di una delinquenza intorno alle droghe: se fossero libere non nascerebbe nulla. Così qui si vuole negare, soffocare una realtà e se ne ottiene la riunione delle persone».
In poche parole, essendo un’autodifesa è lecita o quasi?
«Assolutamente no. Dico soltanto come può generarsi, i meccanismi di una possibile nascita. Le lobby di per sé sono comunque negative, pericolose, in quanto centri di potere e vanno combattute indipendentemente dal tipo di soggetti che riuniscono, eterosessuali o omosessuali per esempio. In questo senso Papa Francesco, il cui cammino osservo amichevolmente, con simpatia, può avere ragione».
I gay nella Chiesa passerebbero in questo modo da emarginati a potenti...
«Un potere di questo genere si combatte eliminando il pregiudizio e tutta la gran polvere sulla sessualità. È un problema della Chiesa istituzione: Cristo non ha mai detto nulla contro i gay. Il discorso religioso deve riguardare in generale la sessualità del clero. Lo stesso Papa ha parlato dei concetti di peccato (un problema individuale che il credente deve affrontare prima di tutto con se stesso) e di corruzione, cioè un sistema di potere».
Il passo dall’autodifesa all’organizzazione di potere non è molto lungo.
«Per questo dico che le lobby vanno combattute comunque. Ma i problemi profondi non stanno nell’omosessualità rispetto all’eterosessualità, alla demonizzazione. Magari ci si occupasse, all’interno del Vaticano, un po’ di più dello Ior».
L’operazione pulizia contro i nemici interni
Quel muro che ostacola il cambiamento in Curia
di Marco Politi (il Fatto, 12.06.2013)
Tra i requisiti del pontefice da eleggere - disse il cardinale Bergoglio pochi giorni prima di lasciare Buenos Aires in partenza per il conclave del marzo scorso - c’è anche quello che “il nuovo Papa deve essere in grado di ripulire la Curia romana”.
BASTA QUESTA frase lapidaria, riportata dalla giornalista argentina Evangelina Himitian, unitamente ai gesti fortemente innovatori compiuti da Francesco nei primi tre mesi di governo, per dare un’idea delle fortissime resistenze con cui il pontefice argentino deve misurarsi per riportare trasparenza nella Curia e - compito ancora più gravoso - per riformare la Chiesa, il suo personale, il suo stile di agire allo scopo di darle credibilità nel XXI secolo.
Le sue parole, rimbalzate da un sito cileno a Roma, dove aveva incontrato una delegazione di ordini religiosi latino-americani, sono veramente una “voce dal sen fuggita...”. Si capisce che il pontefice ha risposto con l’abituale sincerità a domande rivoltegli dai partecipanti all’udienza, dando sfogo alle preoccupazioni nascoste che lo tormentano in questa fase di ricognizione dei problemi vaticani. “Sì, esiste un problema di corruzione” nella Santa Sede: quella corruzione che mons. Viganò aveva invano cercato di denunciare allo stesso Benedetto XVI prima di essere mandato in esilio a Washington. E sì, esistono cordate composte di persone dalla doppia vita, che agiscono a fini di potere.
Il silenzio di padre Lombardi, che insiste sul carattere “privato” dell’incontro, esprime l’imbarazzo di quanti non sanno come gestire questa bomba. Papa Francesco ha letto il rapporto di trecento pagine, che i cardinali Herranz, Tomko e De Giorgi hanno redatto per Benedetto XVI indagando sullo scandalo Vatileaks.
E sa che in quelle pagine scottanti sono indicati tre vizi capitali, che minano l’immagine della Curia romana: carrierismo, sesso e soldi. Ma è anche consapevole che sradicare tanti microtessuti di interessi e di potere, ben sedimentati, richiede uno sforzo gigantesco. Remando contro forze conservatrici, che hanno già cominciato a seminare mugugni contro il papa argentino, accusandolo di parlare troppo imprudentemente.
Il problema non è la mera sostituzione del Segretario di Stato Bertone, che entro l’anno lascerà necessariamente il suo posto. Il problema è il coagulo di personalità dentro la Curia e nella Chiesa universale, che vuole mantenere un papato autoritario, conservatore e garante di quella omertà che in passato ha sempre “condonato” ogni tipo di storture se non veri e propri crimini come la pedofilia.
NON C’È DUBBIO che le ammissioni di Bergoglio sulla corruzione in Vaticano e sulla cosiddetta “lobby gay” (che poi in quanto tale non opera, ma si esprime piuttosto con l’aggregarsi di singoli personaggi a varie cordate di potere dove si annidano monsignori dalla doppia vita etero ed omosessuale) saranno sfruttate dai suoi nemici per rimproverargli di gettare fango sul governo centrale della Chiesa e saranno usate per frapporre macigni dietro le quinte alla sua volontà innovatrice.
Per molto meno, una sua battuta su “San Pietro (che) non aveva un conto in banca”, lo scrittore Messori - dando voce a malumori conservatori - ha messo ieri in guardia Francesco dal “rischio di demagogia”, invitandolo alla prudenza e a fermarsi in tempo. Un segnale inquietante.
La verità è che in Vaticano è iniziata una rivoluzione. Che non sarà affatto indolore. E sarebbe ingenuo pensare che non vi sia chi spera di stoppare il papa venuto dalla fine del mondo.
Francesco in trincea contro i conservatori: resistere e cambiare
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 13 giugno 2013)
Le critiche sono già cominciate. Sotterranee e micidiali. “È ripetitivo... demagogico... imprudente... pauperista... non è all’altezza del pensiero di Ratzinger... non decide... troppo folclore latino-americano... speriamo che la smetta di fare il parroco”.
Passati i primi tre mesi, papa Bergoglio si sta accorgendo che esiste in Vaticano la grande palude di quelli che non vogliono cambiare e spargono veleni contro chi intende dar la vuelta a la tortilla (copyright Bergoglio): noi diremmo ‘rivoltare il calzino’.
Poi ci sono i timorosi come l’ Avvenire , che riferisce della corruzione in Vaticano, ma nasconde in fondo all’articolo il tema dei carrieristi gay in tonaca.
Papa Francesco incassa. Ieri ha criticato i conservatori con la testa rivolta all’indietro e i progressisti frettolosi. Prima del conclave diceva che il futuro pontefice doveva “ripulire la Curia”.
Adesso , dal suo colloquio a ruota libera con i vertici dei religiosi sudamericani (CLAR), avvenuto il 6 giugno scorso, affiora un certo affanno. Affrontare i problemi della Curia, ha confessato, “è difficile... dobbiamo vedere cosa fare... non posso fare la riforma da solo... pregate che faccia meno errori possibile!”. Dice un vip curiale che Francesco intende “cambiare con l’esempio”. Certo non basterà.
Lo zoccolo conservatore della Curia resiste. C’è da cambiare strutture e quadri in Vaticano e nella Chiesa universale, se la rivoluzione di Francesco non intende arenarsi nei segnali personali lanciati dal pontefice.
Perciò ha rinunciato alle vacanze, tranne due giorni a Ferragosto. Bergoglio si alza alle 5 del mattino, prega e medita sulle Scritture fino alle 6, poi prepara l’omelia per la messa in Santa Marta, alle 10 si sposta negli appartamenti del Palazzo apostolico per udienze rese note e per incontri tenuti riservati.
Nel pomeriggio lavora nella sua suite alberghiera. Resta ad abitare lì, non vuole sentirsi isolato, ha spiegato. Nella sala mensa si siede a tavola con chi vuole o lascia che venga a mangiare con lui chi ha bisogno di scambiare due parole con il pontefice.
Quando interrompe il lavoro, esce dalla sua stanza a Santa Marta e va tranquillamente nel corridoio alla macchinetta del caffè, cava di tasca la monetina e si serve un espresso. Rifiutando l’appartamento papale, ha smitizzato di colpo l’Appartamento che in gergo vaticano ha sempre significato la suprema stanza dei bottoni, accessibile solo a pochi eletti.
La sua attività in questi primi mesi è tutta concentrata in una ricognizione a tappeto degli uffici vaticani (le Congregazioni e i Consigli), i loro dirigenti, il modo di lavorare. “Riflettere, pregare, dialogare” ha dichiarato ai cardinali come metodologia del suo lavoro. “È un uomo che rumina e ascolta molto”, lo descrive un veterano di Curia. Settimana dopo settimana Francesco riceve i capi dicastero, si intrattiene con loro anche un’ora di seguito. Confronti “concreti e senza formalismi”.
Il Papa analizza ciò che si fa e chiede ciò che si può cambiare. Bergoglio progetta una Curia più snella, meno burocratica, più collegata con l’episcopato mondiale e che - spiega un monsignore - “sia attenta alla condizione degli uomini di oggi”.
Questo implica anche un nuovo sguardo sulla sessualità nel mondo odierno come richiesto sottovoce da parecchi cardinali e vescovi nell’ultima fase del pontificato ratzingeriano. Senza annacquare la dottrina (fa notare chi lo frequenta), ma con una sensibilità reale ai problemi quotidiani dei divorziati, delle coppie di fatto e persino delle convivenze gay. Matrimonio omosessuale escluso. Citando i libretti d’opera, un uomo di Curia ha esclamato riferendosi ai fondamenti dottrinali di Ratzinger e Bergoglio: “Il testo è uguale, la musica è diversa”.
Più volte Bergoglio ha già incontrato il cardinale Maradiaga, coordinatore dello speciale gruppo di lavoro consultivo di otto cardinali di tutto il mondo, che farà una sua proposta organica di riforma della Curia ai primi di ottobre.
Si attendono novità in primo luogo nel settore economico della Santa Sede. Governatorato vaticano e Amministrazione del Patrimonio apostolico (Apsa) potrebbero essere unificati sotto una direzione comune. Non si pensa all’abolizione dello Ior, ma ad una accelerazione in direzione di una piena trasparenza e rispondenza alle regole del comitato europeo Moneyval.
Alla Frankfurter Allgemeine Zeitung il nuovo presidente dello Ior, von Freyberg, ha dichiarato “tolleranza zero” sulle operazioni opache e garantito una verifica totale dei conti correnti: “Nei prossimi mesi faremo controllare ogni singolo rapporto dei clienti (i correntisti dello Ior, ndr) da un’agenzia esterna, la Promontory, internazionalmente riconosciuta”. D’altronde sono già partite nel 2012 le prime indagini interne su sospetto riciclaggio.
I più accesi fautori della riforma della Curia - e ce ne sono all’interno del Vaticano - lamentano che papa Francesco non abbia ancora sostituito il Segretario di Stato cardinale Bertone. C’è chi spera in un annuncio per il 29 giugno, ‘festa del papato’ dedicata ai santi Pietro e Paolo, ma Bertone ha annunciato ufficialmente che andrà in vacanza dal 1 al 13 agosto e dunque lascia intendere che dopo sarà ancora al suo posto. Forse spera in una proroga di un anno come fu per Sodano all’avvento sul trono papale di Benedetto XVI, però in Curia la maggioranza pensa che al massimo il 2 dicembre, quando compirà 79 anni, dovrà ritirarsi. Per molti trascinare la scelta del nuovo Segretario di Stato è un errore.
Come successore circola il nome del cardinale Bertello, attuale Governatore della Città del Vaticano. Fa parte del “consiglio della corona” di Bergoglio, il gruppo di otto porporati chiamati a dargli consigli per il governo. Eppure c’è suggerisce altri nomi: i nunzi Ventura di Parigi e Mennini di Londra. In Francia hanno anche preconizzato un Segretario di Stato francese: il nunzio vaticano in Messico, Christophe Pierre. Per gli Esteri è in pole position mons. Parolin, già viceministro per le relazioni internazionali.
Benedetto XVI e la laicità cattolica
di Giancarla Codrignani *
La responsabilità assunte in questi giorni da Papa Benedetto XVI sono la dimostrazione più evidente della necessità espressa dal Concilio Vaticano II di aprire le porte alla collegialità, abbandonando le tentazioni dogmatiche a favore della pastoralità, valore evidentemente superiore. Definire i matrimoni omosessuali "una grave ferita inflitta alla giustizia e alla pace" e aborto ed eutanasia "attentati e delitti contro la vita (che) chi vuole la pace non può tollerare" è una caduta di stile inaccettabile.
La Chiesa ha il diritto di rivolgersi ai suoi fedeli ricordando la coerenza con i princìpi, ma non di riferirsi al vincolo della pace, comune a tutti gli umani, in relazione a condizioni di vita rese drammatiche proprio dai pregiudizi, a cui non è neppure immaginabile dichiarare guerra. Tanto più che il primo e più grave delitto e attentato contro la vita è proprio la guerra, che ancora resta giustificata nel catechismo cattolico.
Ma più grave è la mancanza di rispetto nei confronti dei fratelli omosessuali, tanto più che un teologo dovrebbe ripensare - ormai da gran tempo - il senso profondo della sessualità e della "natura" alla luce di quel Dio che è anche per lui Amore. La mia generazione ha pagato la crescita della coscienza a proprie spese: al liceo scoprendo i pronomi "strani" nei testi greci amorosi e, una volta recuperato il senso dell’essere persona sessuata in forma "etero" e riconosciuta la criminalità del nazismo nella priorità della persecuzione degli omosessuali, incontrando attorno a sé la persistenza dal pregiudizio.
L’avanzamento culturale ha evidenziato quanto grande sia il numero dei discriminati per differenze che debbono far riflettere sulla ricchezza dell’umanità. Come donna mi è venuto solo tardivamente di pensare alle migliaia e migliaia di donne lesbiche che nei secoli furono sposate e generarono figli subendo, ignare quasi sempre anche a se stesse, la violenza del sesso legittimato e benedetto.
Oggi la crudeltà di giudizi non negoziabili dovrebbe essere evitata, soprattutto dopo che i casi di pedofilia non più celati, per essere quasi sempre a danno di bimbi e adolescenti maschi, hanno svelato che dietro le ombre di gravi delitti - che per la chiesa sono anche peccati - si delineano responsabilità dovute a concezioni deterministiche della corporeità e alla definizione dei comportamenti "naturali" o "innaturali" per dogma presunto.
Una delle donne invitate cinquant’anni fa al Vaticano II polemizzò sulla formula del matrimonio religioso fondato su mutuo aiuto, procreazione e - orribile in un sacramento che evidentemente riconosce nella benedizione del prete ai due sposi (che pur sono i reali ministri del rito) l’autorizzazione a "fare le brutte cose" - il remedium concupiscentiae. Ebbe infatti ad ammonire: "Voi padri conciliari ricordate che le vostre madri vi hanno concepito nell’amore e non nella concupiscenza".
Anche questo è un segno che il Vaticano II ha dato indicazioni aperte a realizzazioni che - a dispetto di ogni disputa sulla discontinuità prodotta dal Concilio di Giovanni XXIII - vanno "oltre": per la prima volta nei testi della Chiesa cattolica la Gaudium et Spes riconosceva che principio fondante del matrimonio è l’amore degli sposi. Perché mai dovremmo oggi sentire offensivo "per la giustizia e la pace" l’amore comunque si presenti (soprattutto nella laicità sociale degli stati) e il senso profondo di una sessualità e di una "natura" quando diventano per tutti - i credenti osservanti non sono obbligati dalla legge "permissiva" - diritti alla mutua assistenza, alla cura del prossimo, alla vita?
* FINESETTIMANA.ORG, 16 dicembre 2012
Chiesa cattolica e omosessualità. Lettera aperta al vescovo di Firenze
di don Fabio Masi, don Alessandro Santoro, don Giacomo Stinghi, suor Stefania Baldini *
"Il numero di ‘Toscana Oggi’ del 24 Giugno 2012 dedicava largo spazio all’argomento dell’omosessualità e delle coppie di fatto eterosessuali, con alcuni articoli del giornale e diverse lettere al Direttore, queste ultime critiche nei riguardi della posizione ufficiale della Chiesa sull’argomento.
Ci sembra che gli articoli del Settimanale diocesano non facciano che ripetere sull’omosessualità le norme ecclesiastiche di sempre, senza approfondire l’argomento che negli ultimi anni si è notevolmente sviluppato e chiarito e che ha ancora bisogno di ricerca.
Il nostro intervento vuole dare testimonianza della diversità di posizioni che ci sono oggi di fronte a questo tema, nella riflessione laica e anche nelle Chiese. Noi, e insieme a noi anche teologi, vescovi e laici cristiani, non ci riconosciamo in quell’analisi che traspare dagli articoli di ‘Toscana Oggi’. Quello che ha portato ad un cambiamento radicale nella comprensione dell’omosessualità è stato un tragitto importante. Nel passato l’omosessualità era considerata un ‘vizio’ praticato da persone ‘etero’ in cerca di piaceri alternativi, e come tale condannata. Ma allora si parlava di ‘comportamenti omosessuali’; soltanto nel secolo scorso si è cominciato a parlare di ‘condizione omosessuale’ e non solo di ‘atti’, inducendo alcuni ad ipotizzare che l’omosessualità fosse da considerare non un vizio ma una ‘malattia’.
In questi ultimi anni è maturato un modo di comprendere l’omosessualità radicalmente diverso, che ormai, con varie sfaccettature, è accettato da quasi tutti. Si parla dell’omosessualità come di un elemento pervasivo della persona che la caratterizza nella sua profonda identità e le fa vivere la sessualità in modo ‘altro’.
E’ importante che la Chiesa riconosca positivamente il cammino della scienza nella conoscenza dell’uomo e non dichiari verità assolute quelle che poi dovrà riconoscere errate, come è accaduto in passato. Questi fatti ci inducono a vedere l’omosessualità in un orizzonte nuovo e ad affrontarla con uno sguardo morale diverso. Su questo tema la Bibbia non dice né poteva dire nulla, semplicemente perché non lo conosceva, così come non dice nulla sull’ecologia e sull’uso della bomba atomica. Comunque nella cultura biblica, come in tutta l’antichità, è totalmente assente l’idea di ‘persona omosessuale’, si parla solo di ‘comportamenti’ e non di ‘condizione omosessuale’, ed è chiaro che vengono condannati non solo perché infecondi, ma anche in quanto legati alla violenza o alla prostituzione sacra.
A questo riguardo sono opportune alcune precisazioni sulla Sacra Scrittura spesso citata per stigmatizzare il rapporto omosessuale. Nel Nuovo Testamento solo Paolo chiama ‘contro natura’ il rapporto omosessuale (Romani 1, 26-27) ma bisogna tener presente che egli si riferisce, più che all’aspetto fisico, al fatto che l’omosessualità minava l’ordine sociale di allora, quando era la donna, per natura, a dover essere ‘sottomessa’ all’uomo. Fra l’altro è cambiata anche la nostra comprensione del concetto di ‘natura’: l’idea di ‘natura’ come realtà già conclusa non corrisponde più al modo di sentire odierno.
Ormai è anche abbastanza chiaro che quegli episodi dell’Antico Testamento su cui ancora si basa la condanna dell’omosessualità hanno un altro significato: negli episodi di Sodoma (Genesi 19) e di quello simile di Gabaa (Giudici 19) il crimine non sta tanto nell’omosessualità, quanto nella violenza e nella volontà di umiliare e rifiutare lo straniero.
Nell’Antico Testamento invece ci sono segnali molto importanti e molto belli, non esplicitamente riferiti all’omosessualità, ma piuttosto al cammino di maturazione che il popolo ebraico compie rispetto all’emarginazione di gruppi e di persone. La Bibbia ci offre così una cornice più larga in cui porre anche questo aspetto della vita.
Dio ‘sceglie’ il popolo ebraico perché sia segno, in mezzo agli altri popoli, della sua volontà di giustizia che vuole salve tutte le creature. Poi Israele, con l’illusione di essere sempre più all’altezza della missione che Dio gli ha dato, al suo interno opera altre ‘scelte’ emarginando gruppi considerati ‘impuri’. Nel Deuteronomio, per esempio, (23, 2-9) si elencano le categorie escluse dall’Assemblea del culto: gli eunuchi, i bastardi e i forestieri. Ma il cammino verso i tempi messianici è un cammino verso l’inclusione, perché i tempi messianici sono per tutti, come si legge nel Terzo Isaia (56,1.3-5): Osservate il diritto e praticate la giustizia..... Non dica lo straniero che ha aderito al Signore: «Certo mi escluderà il Signore dal suo popolo!» Non dica l’eunuco: «Non sono che un albero secco!». Perché così dice il Signore: “Agli eunuchi, che osservano i miei sabati, si comportano come piace a me e restan fermi nella mia alleanza, io darò un posto nel mio Tempio per il loro nome. Questo sarà meglio che avere figli e figlie perché io renderò eterno il loro nome. Nulla potrà cancellarlo”.
Questo capovolgimento di Isaia è una pietra miliare! Non ha alcun valore davanti a Dio lo stato oggettivo di natura o di cultura in cui uno si trova: uomo, donna, omosessuale, eterosessuale, bastardo, straniero, genio o di modesta intelligenza; ciò che conta è osservare il diritto e praticare la giustizia, ciò che conta è amare il Signore e i fratelli.
Non vogliamo dire che Isaia in questo passo alludesse agli omosessuali, non poteva per i motivi che abbiamo detto prima. Ma noi non dovremmo vedere l’omosessualità in questa luce? Compito della Chiesa è allargare le braccia, includere e non emarginare, amare le persone piuttosto che salvare i principî. Ha detto il Maestro: “Il Sabato è stato fatto per l’uomo, non l’uomo per il Sabato”. (Marco 2,27)
Di questo cambiamento hanno preso atto anche i Capi della Chiesa cattolica che più volte hanno dichiarato di non condannare gli omosessuali ma l’omosessualità, e questo per loro è un passo in avanti. In realtà non se ne capisce il significato! sarebbe, come dire ad uno zoppo: "Non abbiamo nulla contro il tuo ’essere zoppo’, basta che tu cammini diritto o che tu stia a sedere!"
A proposito dell’essere sterili o fecondi, Gesù ha detto che è il cuore che deve essere fecondo e Paolo dirà che si entra nel popolo di Dio per fede, non per diritto ereditario. Ma allora chi può onestamente definirsi fecondo? Chi può farsi giudice della fecondità altrui o della propria? La sterilità ci può colpire tutti.
Questo modo di accogliere profondamente la vita di ogni essere umano lo abbiamo imparato dalla Chiesa! Per i discepoli di Gesù non si tratta tanto di difendere principî, di custodirli rigorosamente come gli angeli con la spada di fuoco davanti all’albero della vita, ma di ‘scrutare’ la vita delle donne e degli uomini del nostro tempo, per farla progredire verso la pienezza. Si tratta di esser fedeli non ad un Dio noto e posseduto, ma ad un Dio ‘che viene’. Ha detto Gesù: “Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete valutarlo?” (Luca 12, 56)
A noi sembra che proprio dalla Chiesa dovrebbe arrivare un riconoscimento del modo nuovo di comprendere l’omosessualità, con un segno di accoglienza e di profondo rispetto per i sentimenti di amore di chi vive personalmente questa condizione. Due persone che si amano non sono un attentato alla società né il tradimento del Vangelo. Gli scandali vanno cercati altrove! Rifacendosi da una parte a queste fonti bibliche e dall’altra all’esperienza umana che viviamo ogni giorno con queste persone, sentiamo evangelico e naturale accogliere in pienezza di comunione queste differenti forme di amore. Le sentiamo parte integrante del nostro cammino di comunità di fede e di vita, e con loro, così come con tutti gli altri, partecipiamo insieme alla Comunione sacramentale e comunitaria.
Il Libro della Sapienza (11, 24-26) ci offre un tratto stupendo del Creatore, che dovrebbe essere ‘luce sul nostro cammino’: “Tu, Signore, ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure creata. Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi? O conservarsi se tu non l’avessi chiamata all’esistenza? Tu risparmi tutte le cose, perché tutte son tue, Signore, amante della vita”."
Dalla, il compagno in chiesa rompe il velo dell’ipocrisia
di Michele Serra (la Repubblica, 5 marzo 2012)
Con la compostezza, il dolore e la legittimità di un vedovo, il giovane Marco Alemanno ha reso pubblico omaggio al suo uomo e maestro Lucio Dalla in San Petronio, dopo l’eucaristia, se non rompendo almeno scheggiando il monolito di ipocrisia che grava, nell’ufficialità cattolica, sul "disordine etico" nelle sue varie forme, l’omosessualità sopra ogni altra.
È importante prenderne atto. Anche se è altrettanto importante sapere che fuori dalla basilica, nel denso, sconfinato abbraccio che i bolognesi hanno dedicato a Dalla, i suoi costumi privati non costituivano motivo di dibattito. Se non per lodare e rimpiangere la dimestichezza di strada e di osteria che Dalla aveva con "chiunque", il suo promiscuo prendere e dare parole, tempo e compagnia, la sua disponibilità umana. Ma dentro San Petronio la vita privata di Lucio, la sua omosessualità pure così poco ostentata, e mai rivendicata, creava un grumo che Bologna ha provveduto a sciogliere nella sua maniera, che è compromissoria, strutturalmente consociativa. Città rossa e vicecapitale del Papato, massonica e curiale, borghese e comunista. Un consociativismo interpretato al meglio (cioè senza malizia, per pura apertura di spirito) proprio da Dalla, che era amico quasi di tutti, interessato quasi a tutti. Non avere nemici è molto raramente un merito. Nel suo caso lo era.
In ogni modo si capisce che quel grumo, specie per una Curia che da Biffi in poi si è guadagnata una fama piuttosto retriva, non era semplice da gestire. Il vescovo non era presente, il numero due neppure, "altri impegni" incombevano e sarebbe infierire domandarsi quale impegno, ieri, fosse più impellente, per ogni singolo abitante della città di Bologna, di andare a salutare Lucio. L’omelia è stata affidata al padre domenicano Bernardo Boschi, amico personale del cantante, che non avendo zavorre istituzionali sulle spalle ha potuto e saputo essere affettuoso, rispettoso e libero, dunque prossimo alla città e ai suoi sentimenti.
L’ingrato compito di mettere qualche puntino sulle "i", per controbilanciare la quasi sorprendente "normalità" di una cerimonia così solenne, e insieme così semplice, nella quale il solo laico a prendere la parola, a parte il teologo Vito Mancuso, è stato il compagno di Dalla; quel compito ingrato, dicevo, se l’è caricato in spalla il numero tre della Curia, monsignor Cavina, che nel suo breve discorso introduttivo ha voluto ricordare che «chi desidera accostarsi al sacramento dell’Eucarestia non deve trovarsi in uno stato di vita che contraddice il sacramento».
Concetto che, rivolto alla cerchia di amici di Lucio presenti in chiesa, e ai tanti "freaks" che affollavano chiesa e sagrato anche in memoria della dimestichezza che avevano con Dalla, e Dalla con loro, faceva sorridere: più che severo appariva pateticamente inutile, perché dello "stato di vita" delle persone, dell’essere canoniche o non canoniche le loro scelte amorose e affettive, a Lucio non importava un fico secco, né si sarebbe mai sognato, nelle sue recenti e purtroppo finali incursioni nella teologia, di stabilire se a Dio le scelte sessuali interessino quanto interessano a molti preti.
Comunque - e tutto sommato è il classico lieto fine - il breve monito di monsignor Cavina a tutela dell’eucaristia e contro gli "stati di vita che contraddicono quel sacramento" (?!) è passato quasi inosservato e inascoltato. Come un dettaglio burocratico.
Marco Alemanno ha incarnato in una chiesa, e in una cerimonia che più pubblica non si sarebbe potuto, tutta la dignità di un amore tra uomini. Semmai, c’è da domandarsi quanti omosessuali cattolici meno famosi, e meno protetti dal carisma dell’arte, abbiano potuto sentirsi allo stesso modo membri della loro comunità.
L’augurio è che la breve orazione di Marco per Lucio costituisca un precedente. Per gli omosessuali non cattolici, il dettato clericale in materia non costituisce il benché minimo problema: francamente se ne infischiano. Ma per gli omosessuali cattolici lo costituisce, eccome. Ed è a loro, vedendo Marco Alemanno pregare per il suo uomo accanto all’altare, che corre il pensiero di tutte le persone di buona volontà.
Il teologo David Berger:
“Papa Benedetto XVI è gay”
Secondo lo studioso “quando si parla tra studiosi in privato, tutti concordano sull’omosessualità di Ratzinger”. Indignati i cattolici
di Emiliana Costa *
“Papa Ratzinger è gay”. La scioccante dichiarazione è di David Berger, il teologo tedesco che nel novembre scorso era salito alla ribalta delle cronache per aver fatto coming out e aver lanciato input pruriginosi sull’omosessualità di molti preti nella chiesa cattolica. A distanza di pochi mesi, Berger è tornato con un pettegolezzo choc sulle inclinazioni sessuali di Benedetto XVI. E lo ha fatto dalle colonne del mensile gay “Fresh”.
Secondo il teologo “quando si parla tra studiosi in privato, tutti concordano sull’omosessualità di Ratzinger. Lui viene da una cultura clericale nella quale il tema dell’amore per persone dello stesso sesso era totalmente tabù. Quello che odia in sé lo proietta sugli altri e lo disprezza”.
Nel suo libro “Una sola illusione: un teologo gay nella Chiesa cattolica”ci sarebbero anche le dichiarazioni della giornalista Valeska von Roques, secondo cui Benedetto XVI durante la sua attività di cardinale avrebbe avuto storie omosessuali con alcune guardie svizzere.
“Il Papa - ha aggiunto Berger - è costantemente preoccupato dell’omosessualità, la prima cosa che ha fatto nel 2005 è stato un documento contro i preti gay, per lui sono pericolosi”. Secondo il teologo, Benedetto XVI avrebbe avuto contatti regolari con cardinali omosessuali.
Mentre sul web, la notizia rimbalza da un portale all’altro, il mondo cattolico si indigna davanti a simili dichiarazioni. Il sito cattolico kath.net sostiene che quella di Berger sia pura diffamazione di un uomo potente come papa Ratzinger. Anzi alcuni sono molto taglienti e ribattono che la tesi di Berger dimostrerebbe come l’omosessualità spenga il cervello.
Kreuz.net definisce Berger una “latrina omosessuale”, in quanto “avrebbe insultato il Papa nello squallido mensile omosessuale descrivendolo come un sodomita”.
* REPORTER: Emiliana Costa, 15 aprile 2011
La macina da appendersi al collo
Sulla vicenda dell’attacco al direttore di Avvenire e su due articoli del giornalista Pino Nicotri
di Giovanni Sarubbi
LA CROCE SUGLI OMOSESSUALI
La redenzione vaticana dei preti gay (MicroMega, Editoriale - 15.01.2009
di Franco Grillini )
Ha ragione Pierfranco Pellizzetti quando dice che la chiesa cattolica è irriformabile dall’interno e la questione dei “preti gay” lo conferma. La vicenda è tornata alla ribalta dopo la pubblicazione di un articolo dello psichiatra Vittorino Andreoli su omosessualità e sacerdozio sull’Avvenire del 7 gennaio. Il giorno successivo Marco Politi su Repubblica in prima pagina riporta il commento a questo articolo di vari personaggi tra cui il sottoscritto. Andreoli dice che non essendo l’omosessualità una malattia andrebbe riconsiderata l’esclusione dei gay dal sacerdozio. Il direttore del quotidiano dei vescovi Dino Boffo dice che la cosa si può discutere. Ma dato che in vari documenti ufficiali del Vaticano e dell’attuale chiacchieratissimo papa si dice esattamente il contrario, evidentemente anche questo dibattito è la spia di un più vasto dissenso che percorre i sotterranei vaticani, soprattutto verso un papato che non entusiasma e che non decolla (prova ne sia il crollo dell’audience: in un solo anno 1 milione e 800 mila fedeli in meno in piazza san Pietro).
La croce sugli omosessuali, mi si perdoni l’irriverente metafora, la si è buttata soprattutto di recente, tentando di sviare le gigantesche responsabilità della gerarchie romano cattolica per i clamorosi scandali sessuali che l’hanno scossa un po’ in tutto il mondo, ma con l’epicentro nella chiesa americana, la più ricca. Anzichè mettere in discussione il ridicolo obbligo di celibato, ovvero di astinenza, cioè di castità, del clero cattolico che sta alla base di ogni manolesta clericale, si è voluto cercare un comodo capro espiatorio dando la colpa a qualcun altro e chi, se non gli omosessuali e l’omosessualità, poteva fungere da perfetto capro espiatorio rispetto ad una chiesa innocente e illibata?
Ecco allora che una istruzione tutta interna, come quella sul reclutamento dei preti, è stata presentata alla stampa mondiale con dovizia di particolari e un gran strombazzamento mediatico. I gay non possono essere ammessi al sacerdozio cattolico. A tal fine, e per scovare i furbetti che si intrufolano, i seminaristi verranno sottoposti ad esami severi per accertarne una sana e robusto eterosessualità.
Peccato che tutto ciò sia illecito sul territorio italiano sia per quanto riguarda la nostra legislazione che in materia di tutela della privacy (e soprattutto per ciò che riguarda i dati sensibili come quelli sulla sessualità) è chiarissima sia perché non essendo l’omosessualità una malattia tutti gli psichiatri e psicologi che si prestassero a una tale porcheria sarebbero passibili di espulsione dai rispettivi ordini professionali.
D’altra parte se un prete non deve fare sesso in alcun modo che differenza fa se uno è gay o etero? Possiamo pure dire chi se ne frega se la chiesa di Roma recluta chi gli pare, visto che dal mestiere di prete sono eslcuse anche le donne? Vero. Tuttavia quando si da un rilievo così grande a una discriminazione, questa assume un significato che travalica la questione in se e il risultato è quello di una pesante campagna omofobica cui è lecito e necessario reagire con forza.
Ma la domanda vera è: è possibile per un maschio adulto e in buone condizioni di salute passare una intera vita in castità ovvero in assenza totale di vita sessuale? Da psicologo quale sono dico un deciso no, non è possibile, pena una grave e sadica sofferenza umana. Se si esclude una quota della popolazione che è di fatto asessuata (si parla del 10-11%) e che non ha esigenze sessuali particolari, il resto non solo ne ha bisogno, ma per avere una certa serenità e una vita sessuale normale dovrebbe fare sesso tra le due e le tre volte a settimana. Dal che se ne deduce che anche i preti, in maggioranza, se non si vuole essere “contram naturam”, si danno da fare e anche parecchio, ogni settimana se non ogni giorno, omo o etero che siano. Il che significa che in Italia su 33 mila preti, tolti quelli troppo vecchi e quelli a cui l’astinenza non da fastidio, almeno 20 mila si danno molto da fare in materia sessuale come tutti gli esseri umani normali. Se questo è vero, significa che siamo di fronte a una gigantesca ipocrisia, ovvero di una religione, l’unica nel globo, che impone un’impraticabile astinenza al suo clero. Il quale, nell’impossibilità di mettere mano a un sesso normalmente praticato, mette mano su quello che ha a disposizione e tutti possiamo immaginare su cosa.
Personalmente ricordo nella mia infanzia un prete che in confessionale mi chiedeva se mi “toccavo” e a quell’età non sapevo proprio che volesse dire. Visto che la legge italiana vigente definisce come bambino tutti coloro che hanno meno di 18 anni sarebbe così difficile chiedere al Vaticano di vietare qualsiasi domanda a contenuto sessuale in confessionale ai minori di 18 anni?
E sarrebbe così drammatica una riforma semplice semplice che consentisse al clero di sposarsi e di avere una normale vita sessuale e di coppia? Vista, tra l’altro, l’ossessiva campagna per la natalità e la famiglia uomo donna non sarebbe il caso di dare l’esempio in prima persona?
Da agnostico quale sono mi chiedo infine, perché mai un omosessuale sano di mente dovrebbe fare il prete cattolico, ovvero il ministro di una religione che, almeno nella sua versione ufficiale, è ossessionata dagli omosessuali e dall’omosessualità (sul perché di questa ossessione magari torneremo in un secondo momento se i lettori di questo sito sono interessati) e che quasi ogni giorno dal pulpito di San Pietro lancia strali su strali verso una delle comunità umane, quella lgbt (lesbica, gay, bisessuale, transessuale), più tranquilla e più mite che la storia umana ricordi.
Forse è proprio la monosessualità del clero cattolico una delle principali attrattive di questa professione in crisi che è ormai così difficile e sofferente che i numeri degli addetti sono impietosamente crollati e si debbono “importare” preti come si importano le badanti.
Probabilmente una mano pietosa dovrebbe aggiungere anche quello del prete nel novero dei mestieri tutelati in quanto “usuranti”.
In ogni caso, per fortuna, esistono apparati religiosi meno rigidi, come quello della chiesa episcopale americana dove un prete omosessuale, il reverendo Gene Robinson, è stato eletto alla carica di vescovo e in questa veste parteciperà all’inaugurazione della nuova presidenza americana. Un altro mondo, un altro pianeta.
Padre Felice esce allo scoperto: ora ho una storia, chi sa lo accetta
«IO, PRETE GAY ALL’ATTACCO DELL’IPOCRISIA CATTOLICA»
di Patrizia Albanese (Il Secolo XIX, 09 gennaio 2009)
Genova. «Come vive la propria omosessualità un prete come me? Con molta serenità». Padre Felice, 50 anni, parroco in un Comune della Liguria, parla con il tono leggero di chi questa «serenità» non soltanto la vive davvero, ma la trasmette pure agli altri. Anche perché se l’è conquistata a caro prezzo. Con anni di tormenti, iniziati da adolescente. E poi in seminario, dove confida di aver «avuto la fortuna di una relazione con un altro seminarista». Una bella storia d’amore, «poetica, durata a lungo: per 15 anni». Ma che non gli ha risparmiato riflessioni interminabili e molto critiche. Sia verso se stesso, sia verso la Chiesa. Oggi che anche il quotidiano dei vescovi Avvenire ha aperto il dibattito su sacerdozio e omosessualità, padre Felice può rivelare tranquillamente di essere un prete gay.
«Sì, sono gay come molte altre persone all’interno della Chiesa, sebbene non tutte si manifestino». Appunto. Molti religiosi - preti e suore - sono omosessuali. Ma difficilmente ne parlano. Tantomeno in pubblico. Invece Italo, come si chiamava padre Felice nel mondo laico, quando ancora abitava in Lombardia con la famiglia, non soltanto ne parla, ma lo fa con estrema naturalezza. Conferma padre Felice: «Per vivere l’omosessualità con serenità occorre accettare se stessi. E mettere un filtro alla dinamica della gerarchia ecclesiastica e omofobica».
Padre, non è che qui parte una sospensione a divinis?
«All’inizio, vivi con terrore. Nascondendolo a te stesso. Poi capisci che devi accettarti, facendo un cammino di maturazione affettiva. Un cammino che di solito viene negato. Basta leggersi "Il diario di un curato di campagna" di George Bernanos per capire che cosa prova il classico pretino schiacciato».
Quando ha realizzato di essere gay?
Da ragazzino, si percepisce. In seminario, si realizza pienamente. Verso i vent’anni, si arriva all’accettazione».
Di nascosto? Pregando e macerandosi?
«Ho avuto la fortuna di una relazione con un altro seminarista. Era tutto molto poetico. Si hanno vent’anni. E tutta l’incoerenza dei vent’anni. Ma con la speranza data dalle aperture del Concilio. Così almeno si pensava allora. Perché poi è arrivata la Restaurazione. Ma la Chiesa non è una compagnia militare. È una comunione di più voci. Di più anime».
Quant’è durata la storia in seminario?
«Quindici anni. Anche lui è diventato prete. Poi ci siamo lasciati. L’amicizia è rimasta. Ora è missionario in Centro America».
Lei è così tranquillo...
«Guardi che conosco molti preti omosessuali, molto tranquilli e altrettanto sereni. Diverso è il caso di quelli che rifiutano di accettarlo e di accettarsi. Sono i primi a scagliarsi...».
Lei è single?
«Ho una storia da sei mesi. Con un coetaneo. Prete? No, pure lui single».
Scusi, padre, e la comunità?
«Non tutti sanno tutto. Mica siamo a un reality. Però chi sa accetta. E non ha problemi. Anzi, proprio per questo sono diventato un punto di riferimento per chi ha problemi d’amore. No, non soltanto gay. Anzi. Direi che si rivolgono a me i ragazzi etero. Sanno che posso comprenderli».
Scusi, ma la castità?
«Bella domanda. Soltanto i monaci e i frati fanno voto di castità sul modello greco di perfezione. Noi preti facciamo promessa di celibato».
Ossia?
«In realtà è frutto di un diktat della Chiesa del 1200, decisa a evitare che i patrimoni finissero alle famiglie dei religiosi. In realtà, non c’è mai stato obbligo di celibato. Tant’è che non esiste nelle altre religioni. E fino al 1200 neppure per noi. Francamente, penso che il fatto di vivere da soli non faccia maturare. Non ti fa preoccupare dell’altro».
Come dire che senza un partner e dei figli non si possono comprendere gli affanni quotidiani dei fedeli?
«Concordo. Ma sempre più la famiglia etero viene usata come scudo contro gli omosessuali. È la tragedia del nostro tempo. Che esiste solo da noi. Non in Africa, per esempio. La vita celibataria nelle Missioni non esiste. È importante, però, non farlo sapere. È il gap tra realtà e gerarchie ecclesiastiche. Che all’inizio tutelavano i patrimoni, ora disprezzano la sessualità. A parole. Nell’ipocrisia cattolica, basta non farlo sapere».
Invece lei fa coming out. È innamorato?
«Sì, felicemente. Da sei mesi. Una cosa molto serena».
Chi ha fatto il primo passo?
«Direi lui, eravamo in vacanza. Abbiamo iniziato parlando molto. Ci incontravamo».
E ora quando vi vedete? Nel fine settimana?
«Veramente, sabato e domenica io non posso... - ride - Ma nei giorni feriali, stiamo insieme».
Allora, auguri.
«Grazie di cuore».
Patrizia Albanese
Don Z., sacerdote di campagna: "I miei fedeli lo sanno, spesso la gente è più avanti di quel che si pensi"
"PARROCO E OMOSEX, NON MI NASCONDO SONO I VESCOVI A TEMERE LO SCANDALO"
Cominciò tutto in seminario, mi innamorai di un ragazzo: ora è andato via, siamo amici
di MARCO POLITI (la Repubblica, 09 gennaio 2009)
ROMA - Prete, gay, cinquantenne. Don Z. non è rimasto affatto colpito dal fatto che si stia aprendo una breccia nel muro di tabù che nella Chiesa circonda ancora l’omosessualità.
«L’Avvenire - risponde sorridendo - agli occhi del clero rappresenta un po’ il giornale governativo. Certo affermare la normalità dell’omosessualità diventa importante per quei fedeli i quali attendono ancora la linea dalla gerarchia. Però interessa meno a quei preti che da tempo vivono liberi la propria affettività».
Don Z. è parroco di campagna, è stato ordinato circa una ventina di anni fa e in un certo senso è gay da sempre.
Quando ha scoperto il suo orientamento sessuale?
«Da adolescente, come molti, e poi più chiaramente al seminario».
Cosa è successo?
«Mi sono innamorato di un altro seminarista. È una storia durata qualche anno, anche lui è diventato prete, ha cambiato città e siamo rimasti buoni amici».
Non siete stati scoperti?
«In seminario ognuno si faceva gli affari propri. C’era una vita abbastanza libera e su una trentina di allievi circa sette, otto avevano relazioni. Etero oppure omosessuali».
Prima dell’ordinazione ha avuto dubbi?
«No».
Poi ha avuto altre storie?
«Ci sono stati anche periodi in cui sono stato per conto mio, una breve stagione in cui ho frequentato ritrovi gay, ma in complesso ho vissuto una vita tranquilla. Adesso da un anno ho una nuova relazione. Credo che tutto dipenda dalla maturazione di una persona. Ci sono preti bravissimi che non hanno alcuna relazione e preti altrettanto bravi che hanno un rapporto».
Tutto avviene sempre in maniera così serena?
«Niente affatto. Ci sono preti che vivono la loro situazione con grande sofferenza, perché oscillano fra liberazione e repressione. Non hanno il coraggio di essere chiari con se stessi. Non c’è cosa più drammatica che rifiutare se stessi e contemporaneamente abbandonarsi ad una sessualità sregolata e poi ricadere nel bisogno di colpevolizzazione. Alla fine è essenziale chiarirsi e affrontare la vita con maturità».
I vescovi sanno?
«I vescovi sono terrorizzati, soprattutto in questa fase di restaurazione in Vaticano. Se c’è scandalo, cercano di coprire. Se tutto avviene senza scalpore, spesso fingono di non vedere. Magari vengono a sapere che un prete ha un nipote in canonica che nipote non è, ma sono restii a intervenire o suggeriscono semplicemente di non creare situazioni che possano creare scompiglio».
I suoi fedeli lo sanno di avere un parroco gay?
«Alcuni sì. Spesso i fedeli sono più avanti di quanto si pensi. "Sappiamo che quel prete ha amici - dicono - ma è bravo, predica bene, confessa bene, assiste gli anziani. Apprezziamo quello che fa". Da me in parrocchia i ragazzi e i giovani lo sanno».
Come l’hanno scoperto?
«Gliel’ho detto io».
Sul serio?
«Ho alcuni gruppi di ragazzi. Un giorno uno di loro ha detto di non sopportare gli omosessuali. Allora gli ho risposto: guarda, che ne hai uno davanti! I ragazzi hanno reagito in modo molto tranquillo, nessuno è andato in giro a dire niente. D’altronde uno di loro ha una zia lesbica, in paese lo sanno tutti e niente più».
In confessione ha incontrato fedeli, che hanno sollevato il problema di essere gay?
«Qualche volta. In genere, giovani angosciati dall’insegnamento cattolico tradizionale, che li spinge a non accettarsi, quasi a odiarsi, perché l’omosessualità è presentata come una cosa orribile e mostruosa».
E lei cosa fa?
«Li consiglio a rivolgersi a qualcuno che possa aiutarli a capire meglio se stessi».
"Preti gay, per i fedeli non è più tabù"
Reazioni positive all’articolo di Avvenire su clero e omosessualità. "Giusto discuterne"
di m. pol. (la Repubblica, 9.1.2009)
Aprire la discussione su omosessualità e preti gay sulle pagine dell’Avvenire è stato come una scossa culturale, che sta attraversando l’opinione pubblica cattolica. Il giorno dopo il direttore Dino Boffo commenta sereno: «Ci è parso normale parlarne nei termini civili e documentati come ha fatto il professore Andreoli. Ho condiviso la sua intenzione di toccare anche situazioni dolorose e casi estremi». Però, precisa Boffo, l’articolo va inquadrato in un reportage di quarantotto puntate che sta affrontando tutti gli aspetti del sacerdozio: dai problemi in seminario ai rapporti tra clero e politica, dai preti operai ai sacerdoti presenti nei mass media.
Di fatto lo psichiatra - ponendo la questione del rapporto tra vocazione ed omosessualità - ha sfiorato la punta di un iceberg, che rimanda ad una realtà molto più sviluppata di quanto siano pronte ad ammettere le autorità ecclesiastiche. «Tranne casi di disperazione e di grande tormento interiore - commenta un prete omosessuale romano - una parte consistente del clero gay non si considera minimamente malata e c’è una giovane generazione che vive la propria vita senza paura di rappresaglie». Può anche accadere, spiega a Repubblica un sacerdote gay del settentrione, che un prete lo dica al proprio vescovo e non accada nulla, perché le autorità hanno soprattutto paura dello scandalo. «Io l’ho fatto e poi ho lasciato il mio ministero - racconta - ma ho rifiutato di firmare una lettera di richiesta di riduzione allo stato laicale. E non è stato aperto nessun procedimento canonico contro di me. Ufficialmente sono ancora prete».
Don Domenico Pezzini, professore emerito di Letteratura inglese medievale, fondatore e animatore di gruppi cattolici omosessuali, ritiene che vi siano parecchi preti gay che «vivono ormai serenamente la loro condizione e per i quali non ha più nemmeno importanza come si pronuncia l’istituzione ecclesiastica. Chi rimane nel ministero, che sia etero oppure omosessuale, ha la stessa fatica nel gestire il celibato e se incontra difficoltà le affronta a misura della sua saggezza e percezione di sé». Quanto ai credenti gay, afferma, c’è chi fa il sagrestano, l’organista, il cerimoniere o il membro del consiglio parrocchiale e il parroco lo sa e non obietta. Nelle parrocchie, peraltro, l’atteggiamento dei fedeli è diventato in genere molto più aperto. Toccherebbe all’episcopato, semmai, mandare finalmente un messaggio più «inclusivo» invece di ripetere tanti no.
Anche per padre Bartolomeo Sorge, gesuita, direttore della rivista Aggiornamenti Sociali, non bisogna avere nessuna paura di sviluppare una ricerca seria su temi che pongono anche interrogativi nuovi. Resta la domanda, soggiunge, se la massa dei fedeli sia pronta a recepire tutto. Perciò «ci vuole prudenza nella divulgazione».
ANCHE IL GAY PUO’ ESSERE PRETE
di Vittorio Andreoli (Avvenire, 7/01/2009)
Nel 1992 l’omosessualità veniva cancellata da quel Registro delle Malattie che è redatto dall’Organizzazione mondiale della Sanità, e del quale ogni quattro anni si fa una revisione, in vista di un aggiornamento. In precedenza, l’omosessualità era inclusa tra le malattie, e da allora non vi figura più, venendo scientificamente considerata invece «una caratteristica della personalità».
Come tale non rientra più né in una diagnosi né in una cura medica. Io sono un medico e uno psichiatra, e anche da questo solo punto di vista non considero l’omosessualità una malattia; seppure non posso dimenticare che prima di quella data c’erano schemi di cura sia organica (per la modificazione cioè dei parametri biochimici) sia psicoterapica. E neppure posso dimenticare che non pochi di quei cosiddetti malati venivano ricoverati addirittura in manicomio: ricordo ancora le cartelle cliniche con indicata la diagnosi di omosessualità.
È appena il caso tuttavia di segnalare che qui ci stiamo riferendo a quello che comunemente viene chiamato orientamento omosessuale, che è connesso alla persona, prima dunque che essa si esplichi in determinati comportamenti. So bene che la "pratica" omosessuale investe anche altri ambiti di competenza, ad esempio quella della teologia morale, sulla quale tuttavia io non entro, per il rispetto che porto alla materia. Ogni lettore peraltro ha sotto il profilo morale un suo quadro di riferimento, che pure rispetto. Nel mio discorso svolgo un ragionamento che si pone sul versante di una competenza scientifica, per la quale le manifestazioni e i comportamenti che scaturiscono dall’omosessualità non sono patologie ma variabili all’interno di quella che si chiama normalità, pur se questa è difficile da definire.
Mi pare si possa dire anche che l’omosessualità è una diversità, seppure la persona omosessuale non è definibile solo rispetto ad una propensione sessuale: egli è connotato da un insieme più ampio di caratteristiche e di abilità. Sarebbe insomma un errore circoscrivere e qualificare un uomo per l’uso di un suo organo, come altrettanto stravagante sarebbe ridurre tutte le variazione dell’eterosessuale a questo solo comportamento.
So che sull’argomento si potrebbe aprire una discussione infinita, confesso però che come membro di una comunità scientifica non posso arrogarmi un diritto definitorio, che nel suo ambito spetta alla scienza, a cui partecipo come scienziato, senza tuttavia poterla rappresentare. Non a caso questa attività ¿ mia e dei miei colleghi ¿ è disciplinata anche dall’Ordine dei medici, e non ha molto senso che un singolo emetta "diagnosi" se la scienza ha appurato che di altro si tratta. Questa mia posizione ovviamente non impedisce che ne esistano altre, che attribuiscono all’omosessualità un significato differente. Approdi, questi, che io reputo un errore ma che non mi sogno di negare.
Quanto dicevo prima non significa però che l’omosessualità possa ridursi a qualcosa di irrilevante. E faccio un esempio. Fino al 1992 il regolamento che normava il Servizio militare di leva, allora obbligatorio, prevedeva l’esclusione dell’omosessuale come persona non idonea al servizio stesso. Questo comma decadde, e ricordo che ci fu una commissione ¿ incaricata di rivedere la faccenda ¿ a cui anch’io partecipai. L’esclusione non poteva più essere motivata su quella base, ma avrebbe potuto essere argomentata in forza delle caratteristiche che sono richieste per quel dato servizio. Appare infatti del tutto legittimo che una forza armata cui sono demandati determinati compiti, scelga - specie oggi che il servizio è volontario - gli aspiranti che lasciano prevedere di saper realizzare, al meglio e senza fatica, il compito richiesto.
Su un piano forse fin troppo pragmatico taluno arriva a dire che un ragionamento simile potrebbe valere anche nelle scelte che la Chiesa deve fare circa il proprio personale. Chi le impedisce infatti di riscontrare che determinate caratteristiche mettono l’aspirante al sacerdozio in particolare difficoltà, e per questo di decidere che l’omosessuale non verrà ammesso? Su una simile base, molto concreta e operativa, avviene in fondo per ogni ricerca di personale, e persino nella selezione dei grandi cervelli da indirizzare ai vari campi del sapere. C’è chi ha una propensione straordinaria per il mondo del digitale, e chi invece fatica moltissimo anche solo avvicinarvisi. Va da sé che il secondo non lo manderei mai in una Sillicon Valley.
Voglio dire che non mi scandalizzo se un’organizzazione, come in fondo è la Chiesa, decide di escludere dal sacerdozio ministeriale l’omosessuale. Date le mie convinzioni, potrei scandalizzarmi se lo ritenesse un malato, ma non certo se essa si dà dei criteri per la selezione del proprio personale.
Anche se questo lascia, a mio avviso, aperta la questione sul perché debbano essere per forza escluse oggi dalla vita sacerdotale le persone di orientamento omosessuale.
Riconosco che è un argomento difficile, almeno per me, e ¿ ripeto ¿ ho rispetto per la Chiesa, che in questo campo fa valere un criterio di somma prudenza. Benché qui continuiamo a tenerci lontani da quell’esercizio anomalo della sessualità esercitata senza consenso, e magari su un incapace, e che la legge stessa punisce comunque come abuso e violenza, sia che si tratti di omosessualità che di eterosessualità.
In ragione della mia professione, qualche prete omosessuale l’ho conosciuto: o che desiderava superare da questa tendenza comportamentale, o che - casto - voleva saper contenere l’urgenza che gli si presentava. Posso solo dire che in genere si è trattato di persone provate dal confronto tra la loro personale inclinazione e una vocazione, quella del prete, che ti induce ad ascoltare gli altri, e a mettere sé in secondo piano così che sia Dio in quel rapporto a prevalere. Erano cioè persone non prive di un desiderio di autenticità, ma che certo sentivano e vivevano drammaticamente la loro fragilità.
Che poi è una fragilità che il costume vigente bolla in modo marcato. La sensibilità popolare infatti ha in genere una reazione differenziata di fronte a uno scandalo eterosessuale oppure omosessuale, nel senso che considera un male minore per un prete la relazione con una donna piuttosto che con un uomo.
E questo lo si può capire, seppure in ultima istanza non è in alcun caso l’argomento forte per la deterrenza. In primo luogo, infatti, contano la serietà e la lealtà con cui ciascuno affronta il proprio progetto di vita. E poi non dimentichiamo che ci sono contesti geografici e ambientali in cui i costumi cambiano, e cambia anche la sensibilità prevalente. E dunque, non è su questa che ci si può basare per impostare una strategia correttiva.
Ripeto, nel discorso vocazionale deve contare soprattutto la coerenza con il messaggio che si annuncia perché questa sola rende testimoni credibili.
Va da sé, ma lo diremo ancor meglio nella tappa successiva, che l’omosessualità si distanzia anni luce dalla pedofilia: questa infatti, per la medicina, rientra clinicamente tra le malattie sessuali, legate alla difformità dell’"oggetto" di attrazione. E anche dal punto di vista sociale la pedofilia resta un delitto avvertito come abominevole, in quanto non solo non rispetta l’altro, più piccolo, ma lo violenta in una fase per di più delicatissima della sua esistenza.
Nella tappa odierna ho inteso portare in scena una visione dell’omosessualità che non è più quella degli stereotipi culturali di un tempo. Occorre stare attenti infatti a non infliggere stigmi non solo intollerabili ma anche falsi. C’è un’evoluzione culturale in atto che, acquisendo i portati della scienza, può oggi presentare l’omosessualità entro uno schema diverso da ieri. Tra l’altro, si deve sempre stare attenti al carico di sofferenza inutile che si mette sulle spalle delle persone, senza che abbiano colpe particolari. Non per questo tuttavia si deve arrivare a valutazioni di irrilevanza o a nuovi e opposti eccessi, ad esempio sul piano di una femminilizzazione del costume. E per ciò occorre stare attenti a che nei processi educativi siano sempre chiari i parametri di riferimento.
Per quanti poi si incamminano nella strada che porta al sacerdozio è importante svolgere un sapiente discernimento, che non disdegni all’occorrenza le competenze professionali. Torno a ripetere qualcosa che già dissi all’inizio di questo viaggio, e cioè che non bisogna aver paura di rivolgersi agli esperti di psicologia. Meglio una disamina chiara dei problemi che ci sono oggi che un fallimento domani.
Ovvio che non intenda con queste affermazioni mettermi neppure lontanamente in conflitto con le determinazioni del magistero, sia per quel che concerne la conduzione delle comunità educative particolari che sono i seminari, sia - ancor prima - per quanto riguarda l’impostazione della dottrina morale. Che va presentata e offerta alle persone come una pista di crescita nell’autenticità e nel rispetto di sé e degli altri.
Arrivato al termine di questa puntata, non posso tuttavia esimermi dall’inviare un pensiero di riguardo ai sacerdoti che si sono scoperti omosessuali, e che in questa declinazione affettiva soffrono per restare fedeli alla loro vocazione: a costoro vorrei dire - io non credente - di rivolgersi a Dio per chiedergli l’aiuto a far sì che anche questa "caratteristica" diventi una ricchezza a servizio della missione cui stanno dedicando la loro vita.
"La Chiesa non escluda i preti gay"
l’apertura del giornale dei vescovi
Il direttore di "Avvenire": dibattito costruttivo
Lo psichiatra Vittorino Andreoli: "L’omosessualità non è una malattia"
di Marco Politi (la Repubblica, 8.1.2009)
Smettere di considerare l’omosessualità come una malattia. Lo scrive su "Avvenire" lo psichiatra e scrittore Vittorino Andreoli, invitando i lettori cattolici a fare i conti con l’evoluzione culturale e scientifica e a capire che l’omosessualità non risponde più a vecchi stereotipi. Ma Andreoli va anche più in là. Pur sottolineando di non entrare minimamente nella questione del diritto della Chiesa di selezionare il clero secondo propri criteri, lo psichiatra mette nero su bianco: «Questo lascia aperta la questione sul perché debbano essere per forza oggi escluse dalla vita sacerdotale le persone di orientamento omosessuale».
Andreoli sta svolgendo sul giornale dei vescovi un’inchiesta sui preti che ha già raggiunto le quarantotto puntate. E l’articolo su «Il sacerdote nei casi estremi: l’omosessualità» è introdotto con tutti i crismi dal direttore Dino Boffo, che rende omaggio alla sua professionalità, spiegando che il suo argomentare «è affidato alla nostra riflessione libera e ad un dibattito costruttivo».
In effetti l’intervento cade come un sasso nello stagno, mentre da anni la gerarchia ecclesiastica batte sul tasto dell’omosessualità come peccato orribile da non assolvere se si vive stabilmente con un partner gay, come «grave disordine morale» e causa di non ammissione all’ordinazione secondo quanto ribadito recentemente da un’Istruzione vaticana. Leggere sull’ "Avvenire" che sul piano scientifico «le manifestazioni e i comportamenti che scaturiscono dall’omosessualità non sono patologie, ma variabili all’interno di quella che si chiama normalità, pur se questa è difficile da definire», è un piccolo terremoto. Un «fatto importante» dicono a "Repubblica" tre persone di orientamento del tutto differente: il professor Tonino Cantelmi, presidente dell’Associazione psicologi e psichiatri cattolici, Franco Grillini già presidente dell’Arcigay, Gianni Geraci del gruppo omosessuale cattolico milanese «Il Guado».
Per il professor Cantelmi affrontare il tema «è positivo». Fermo restando che tocca alla Chiesa l’aspetto morale e spirituale, Cantelmi sottolinea da psichiatra cattolico che «noi ci adeguiamo ai convincimenti della comunità scientifica e comunque la scelta dell’ "Avvenire" dimostra che la Chiesa non ha un atteggiamento discriminatorio verso i gay». Più colorito Grillini: «È bene che nella tana del lupo (l’ "Avvenire") si leggano cose di buon senso. In America un dirigente dell’associazione Exodus, che organizzava corsi di pseudoguarigione dall’omosessualità, ha dovuto chiedere scusa all’opinione pubblica gay».
Gianni Geraci, che per anni ha animato il coordinamento dei gay cattolici italiani, trova «interessantissimo» che sul giornale dei vescovi si manifesti attenzione a «discorsi scientificamente fondati», respingendo la tendenza di certi movimenti carismatici a voler guarire gli omosessuali.
Andreoli preannuncia un approfondimento. Il suo approccio iniziale è stato estremamente soft. Parla di «orientamento omosessuale» e non di pratica. Ribadisce: «Non mi scandalizzo se un’organizzazione come la Chiesa decide di escludere dal sacerdozio ministeriale l’omosessuale». Ma le sue conclusioni lasciano il segno. Ai sacerdoti scopertisi omosessuali e che soffrono per restare fedeli alla loro vocazione (in castità) «vorrei dire � io non credente � di rivolgersi a Dio e chiedergli l’aiuto che anche questa caratteristica diventi una ricchezza al servizio della missione».
Ripresi gli orientamenti già affermati in un altro testo pubblicato nel 2005
Vaticano ribadisce: ’’No ai sacerdoti gay’’
Non contiene sostanziali novità rispetto al magistero tradizionale della Chiesa il documento redatto dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica guidata dal cardinale Gorchelewski. Sì al rispetto del celibato, attenzione all’aspetto psicologico dei futuri preti spesso messi in crisi da una società consumistica, da relativismo morale e instabilità affettiva.
Città del Vaticano, 30 ott. (Adnkronos) - No all’ingresso nei seminari degli omosessuali, sì al rispetto del celibato, attenzione all’aspetto psicologico dei futuri sacerdoti spesso messi in crisi da una società consumistica, da relativismo morale e instabilità affettiva. Non contiene sostanziali novità rispetto al magistero tradizionale della Chiesa il documento presentato oggi in Vaticano dal titolo ’’Orientamenti per l’utilizzo delle competenze psicologiche nell’ammissione e nella formazione dei candidati al sacerdozio’’, redatto dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica guidata dal cardinale Zenon Gorchelewski.
Il testo di fatto riprende gli orientamenti già affermati in un altro testo pubblicato nel 2005 e cerca di precisare alcuni punti. In ogni caso il sacerdozio rimane precluso alle persone con ’’tendenze omosessuali fortemente radicate’’.
Fra gli aspetti che hanno trovato un approfondimento c’è quello relativo al sostengo psicologico dei seminaristi: insomma la Chiesa accetta l’aiuto e il sostegno di Freud per gestire i problemi di solitudine e le carenze affettive dei sacerdoti: ’’Il cammino formativo dovrà essere interrotto nel caso in cui il candidato - afferma il documento - nonostante il suo impegno, il sostegno dello psicologo o la psicoterapia, continuasse a manifestare incapacità ad affrontare realisticamente, sia pure con la gradualità di ogni crescita umana, le proprie gravi immaturità (forti dipendenze affettive, notevole mancanza di libertà nelle relazioni, eccessiva rigidità di carattere, mancanza di lealtà, identità sessuale incerta, tendenze omosessuali fortemente radicate, ecc)’’. ’’Lo stesso deve valere - si spiega ancora - anche nel caso in cui risultasse evidente la difficoltà a vivere nel celibato, vissuto come un obbligo così pesante da compromettere l’equilibrio affettivo e relazionale’’.
I gay anglicani si mobilitano per la Conferenza anglicana mondiale di Lamberth
Esserci per testimoniare
di Gionata News *
Sono arrivati in Inghilterra i 650 vescovi anglicani che dal 16 al 31 luglio 208 parteciperanno alla "Lambeth Conference", la riunione di tutti i primati anglicani del mondo che si svolge ogni 10 anni a Canterbury, sede storica dell’arcivescovo anglicano.
La Conferenza si svolgerà quest’anno in un clima estremamente delicato, poichè circa 300 vescovi anglicani hanno contestato apertamente la volontà della chiesa d’Inghilterra di ammettere all’episcopato le donne e la decisione delle chiese episcopaliane di Canada e Stati Uniti di ordinare vescovi dichiaratamente gay ed anche di benedire le unioni omosessuali.
Anche le maggiori associazioni di gay anglicani saranno presenti alla Conferenza di Lambeth con eventi paralleli al programma ufficiale perche "i vescovi possano ... onorare l’impegno preso di ascoltare le nostre esperienze".
Segnaliamo alcune delle iniziative e delle tematiche della conferenza di Lamberth 2008:
Alla Conferenza di Lambeth gli anglicani discutono di donne vescovo e omosessualità
I gruppi gay anglicani si mobilitano per la Conferenza di Lambeth
Il vescovo gay Robinson: "diamo un’altra possibilità alla Chiesa" anglicana
I gay anglicani a Lambeth per testimoniare "l’amore inclusivo di Dio"
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LIBRI
esegesi
Geovisti «falsari» della Bibbia
di MAURIZIO SCHOEPFLIN (Avvenire, 20.10.2007)
Dei Testimoni di Geova - 250.000 in Italia, poco più di sei milioni nel mondo - colpisce in particolare la facilità con cui penetrano negli ambienti cristiani. Tale facilità, come nota padre Tarcisio Stramare nella presentazione del nuovo libro di Valerio Polidori, «è dovuta in gran parte al massiccio utilizzo degli strumenti cristiani - Bibbia e vocabolario - di cui essi si servono in modo equivoco come propri, creando nelle persone non preparate quella confusione che fa di ogni erba un fascio». Dunque, il primo impegno di chiunque voglia confrontarsi con i geovisti consiste nello smascherare la tendenziosità della traduzione del testo biblico di cui si essi si servono. E Polidori fa proprio questo: non a caso il suo lavoro si conclude con un indice dei principali brani biblici citati in modo alterato dalla «Traduzione del Nuovo Mondo» (il testo che i Testimoni di Geova pongono a fondamento delle loro interpretazioni), brani peraltro presi direttamente in considerazione nelle dense pagine del volume, ove vengono sviluppate analisi e comparazioni molto precise che indicano gli errori che stanno alla base della lettura geovista della Sacra Scrittura. Tali errori - sostiene Polidori - assumono una particolare gravità nell’ambito, ovviamente decisivo, della cristologia. I Testimoni di Geova, per esempio, affermano che Cristo non è coeterno al Padre e lo considerano la prima delle sue creature. Per suffragare questa dottrina, essi leggono l’inizio del Vangelo di San Giovanni nel modo seguente: «In principio era la Parola, e la Parola era con Dio, e la Parola era un dio». Come è facile osservare, tale traduzione del testo giovanneo è frutto di un evidente travisamento, e Polidori è bravo nel mostrare con dovizia di particolari e mediante dotti approfondimenti linguistici in quale modo si sia concretizzata una simile erronea interpretazione. Particolarmente interessante è la parte del libro dedicata all’escatologia geovista, al centro della quale sta la negazione dell’immortalità dell’anima, sostenuta a partire dalla convinzione che il concetto di anima immortale sia totalmente extrabiblico, frutto di contaminazioni greche che influenzarono il pensiero giudaico. Altre fini puntualizzazioni sono riservate alla questione del significato che i Testimoni di Geova attribuiscono al termine parousia. Il primo capitolo del libro, in cui viene ricostruita la storia del geovismo, risulta utilissimo per comprendere il contesto nel quale si è realizzata la falsificazione della Bibbia, che Polidori contesta con nitida sicurezza.
Valerio Polidori
I TESTIMONI DI GEOVA E LA FALSIFICAZIONE DELLA BIBBIA
Edb. Pagine 164. Euro 14,00.
L’idea dell’ordine in un opuscolo distribuito in 1300 parrocchie
La notizia riportata dalla Sir: nessuna reazione dalla Cei
Proposta choc dei domenicani olandesi
"Donne e gay dicano messa"*
CITTA’ DEL VATICANO - I frati domenicani olandesi hanno lanciato una proposta che farà discutere il mondo religioso: a dire messa, siano anche i laici, uomini o donne, etero o omosessuali, senza alcuna limitazione. La notizia viene riportata dal Sir, l’agenzia stampa promossa dalla Cei, che riferisce anche del giudizio critico espresso in merito da mons. Huub Ernst, vescovo emerito di Breda, che bolla l’idea come "in contrasto con la dottrina sociale della Chiesa". Da parte della Conferenza episcopale italiana, sottolinea il Sir, ancora non vi è stata alcuna reazione.
La proposta è stata diffusa attraverso la brochure "Kerk en Ambt" (Chiesa e ministero) distribuita a fine agosto dai domenicani olandesi nelle 1.300 parrocchie del Paese. Il testo rifletterebbe, scrive l’agenzia dei vescovi, tesi vicine a padre Edward Schillebeeckx che negli anni ’80 finì sotto l’esame della Congregazione per la dottrina della fede, guidata dall’allora card. Ratzinger.
L’opuscolo (38 pagine) propone che a presiedere l’eucaristia, in mancanza di sacerdoti, siano anche laici, "non fa differenza che sia uomo o donna, omo o eterosessuale, sposato o celibe". Il tema del celibato sacerdotale così come quello della possibilità che a presiedere la celebrazione eucaristica fossero anche dei laici, era già stato sollevato nel corso del sinodo generale dei vescovi che si svolse a Roma nell’ottobre del 2005. Benedetto XVI, finora, ha riaffermato più volte la dottrina della Chiesa in merito al ruolo del sacerdote quale guida della comunità e unico soggetto autorizzato a celebrare la messa.
Alla proposta dei domenicani olandesi ha replicato, mons. Huub Ernst, vescovo emerito di Breda, che definisce "ambiguo", "erroneo" e "non significativo" il contenuto del libretto. Tace per il momento la Conferenza episcopale olandese.
* la Repubblica, 17 settembre 2007.
POLEMICA
Un pamphlet del docente americano Harry G. Frankfurt attacca duramente la cultura postmoderna che elude il senso del vero
Cari filosofi, ritornate alla verità
«La gente ama ciò che possa aiutarla a vivere e a diventare se stessa in modo più pieno». Ma nell’attuale sfiducia dei pensatori verso il problema del giusto e dello sbagliato si nasconde solo l’insidiosa dittatura del relativismo
Di Lorenzo Fazzini (Avvenire, 31.08.2007)
Possiamo vivere senza preoccuparci della verità? Impossibile. Anzi, per restare nel campo semantico del vero e del falso, a chi afferma che, dopo tutto, «la verità non è poi così importante», qualcuno risponde che «questo sarebbe un errore deplorabile». A sostenerlo è Harry G. Frankfurt, docente emerito di Filosofia alla Princeton University, di cui Rizzoli manda in libreria il saggio filosofico Il piccolo libro della verità. Un testo breve nelle dimensioni (90 pagine tascabili, euro 9), anche perché Frankfurt a tali proporzioni è abituato: ancora più ridotto fu il suo bestseller On Bullshit, che in pochi mesi registrò 400 mila copie negli Stati Uniti. Orbene, dopo qualche anno, Frankfurt è tornato - l’edizione originale è del 2006 - ad affrontare il tema della menzogna in via «costruens«, occupandosi della verità. Con piglio decisamente anticonformista: come affermato in un’intervista al New York Times,
Frankfurt scrive un saggio che è pure un pamphlet contro i postmoderni. «Insegnavo a Yale - dichiarò il filosofo al quotidiano americano - che un tempo fu un centro della teoria letteraria postmoderna. C’era Derrida, c’era Paul de Man. All’inizio scrissi il mio saggio sulle menzogne a Yale, e un professore di fisica mi disse che era appropriato che quel saggio fosse scritto a Yale perché, dopo tutto, sosteneva lui, Yale è la capitale mondiale delle menzogne». E nel suo breve scritto, in effetti, Frankfurt attacca con forza i postmoderni: «Numerosi scettici e cinici riguardo all’importanza della verità (...) si trovano tra gli autori da best seller o tra i vincitori dei maggiori premi, tra coloro che scrivono per i giornali più quotati, e pure tra rispettati storici, biografi, memorialisti, teorici della letteratura, scrittori ed anche tra i filosofi».
La sferzata del nostro è durissima verso i «minimalisti« del senso: «Questi svergognati nemici del senso comune - i membri di un certo emblematico sottogruppo di loro si fanno chiamare "postmoderni" - in maniera ribelle e autosoddisfatta negano che la verità possegga una qualsiasi realtà oggettiva». E invece per il pensatore di Princeton la verità è questione ineludibile e necessaria, sia a livello sociale che personale: sembra qui riecheggiare il pericolo di quella «dittatura del relativismo» denunciato da Benedetto XVI all’inizio del suo ministero petrino. E non è un caso che il passaggio più interessante del saggio di Frankfurt sia laddove analizza la comprensione spinoziana della verità: usando termini che - guarda caso - spesso ricorrono nel lessico ratzingeriano (amore e gioia), l’autore del Piccolo libro annota, sulla scia di Spinoza, che la gente «ama ciò che essa crede la aiuti a continuare la propria esistenza e a diventare più pienamente se stessa». Detto altrimenti, la sfiducia postmoderna rispetto al vero viene vinta dalla «debolezza» dell’amore per la verità: «Praticamente tutti noi amiamo la verità, sia che siamo coscienti di farlo sia che non lo siamo».
Certo, il contributo di Frankfurt - inficiato dalla brevità di scrittura - non rappresenta un lavoro epocale per la storia della filosofia. Ma gli va ascritto il merito di aver proposto, con un testo accessibile a tutti, il problema filosofico della verità, della necessità di riporre il nodo del vero e del falso, del giusto e dello sbagliato. In un panorama filosofico che troppo spesso sembra un laboratorio scientifico, dove ciascun pensatore pare concentrato sulla minuscola monade della propria specialità e resta alieno dalla comprensione di un dato generale, merita un plauso chi - forse troppo «all’americana», con tratto leggero e talvolta un po’ generico - ripropone il quesito che fu di Ponzio Pilato: «Quid est veritas?».
Perche’ non posso essere cattolico
di Massimo Consoli
E’ da quando ho raggiunto una certa maturita’ politica che ho notato un fatto curioso: ogni volta che mi sono trovato a confrontarmi con un mio diritto, che mi sembrava naturale e legittimo, ad impedirmi di usufruirne si ergeva sempre una particolare classe di individui.
Perche’ “particolare”?
Perche’ tra di loro, questi individui, avevano delle caratteristiche speciali che li caratterizzavano in un certo modo: erano cattolici.
Ho sofferto molto, durante la mia infanzia e adolescenza. Ho sofferto molto fino all’eta’ di diciassette anni. Ho pensato in maniera ossessiva al suicidio. E questo perche’? Per un solo motivo: ero gay e non mi accettavo.
Ho cominciato piuttosto presto a capire che c’era qualcosa, in me, che non rientrava nel gradimento generale della societa’.
Ho utilizzato tutti gli strumenti che avevo a disposizione. Ho comprato un numero infinito di libri e di giornali cercando di capire chi fossi e per quale motivo. Ho parlato con chiunque fosse disposto ad ascoltarmi (ben poche persone, in realta’), e mi sono sentito sempre peggio, come se stessi sprofondando in chissa’ quale baratro di abiezione e perversione.
La chiesa cattolica mi ha spiegato, con abbondanza di particolari, che io non avrei mai potuto aspirare al regno di Dio, non importa cosa avessi fatto di buono nella vita. Sarei potuto essere la persona migliore del mondo, ma il fatto di essere gay mi assegnava automaticamente un biglietto di sola andata per l’inferno.
Ma questo non m sembrava giusto! Com’era possibile che io fossi responsabile di un qualcosa del quale non avevo nessuna responsabilita’, che non avevo voluto e che non avevo cercato in nessun modo? Come poteva essere giusto un Dio che mi condannava senza possibilita’ di appello, senza permettere di giustificarmi in alcun modo? Un Dio che mi si presentava feroce, malvagio, impietoso ed anche falso e ipocrita perche’ appariva sotto altre vesti che non gli spettavano.
Col trascorrere del tempo ho cercato di approfondire questo argomento che mi stava cosi’ a cuore. Una delle cose che piu’ mi appassionavano era la religione, la storia della religione, la storia del cristianesimo. Cosi’, ho potuto scoprire che, in effetti, la mia non era stata una sensazione. Il cristianesimo, e soprattutto il cattolicesimo romano, mi appariva sempre piu’ come un’istituzione che mirava soltanto ad una cosa: il potere! Tutto il resto era una sovrastruttura necessaria per confondere gli ingenui e abbindolare i puri di cuore, per farli cadere nella rete e presentarli all’esterno come modelli da imitare, visto che le gerarchie ecclesiastiche erano abitualmente impresentabili.
Il cristianesimo condanna il politeismo, ma in nessuna religione ci sono cosi’ tanti dei (chiamati «santi») come nel calendario cattolico.
Parla della necessita’ di esser poveri, ma la Chiesa e’ stata per secoli la struttura piu’ ricca e potente.
Vuole i suoi sacerdoti celibi, ma pretende sposato il resto della popolazione.
E’ sempre stato contro l’omosessualita’, ma in nessuna comunita’ come nel clero questa la si pratica con cosi’ tanta convinzione.
Dice agli altri: "Crescete e moltiplicatevi", sostenendo che coloro che non vogliono i figli sono degli egoisti, ma loro si guardano bene dal mettere su famiglia.
Invita a «non uccidere», ed e’ responsabile dei piu’ grandi eccidi nella storia dell’umanita’.
Dice di non fare guerre, e sono poche quelle non scatenate dal Papa.
Del resto, sono proprio loro hanno inventato un detto: «fai quello che il prete ti dice di fare, ma non fare quello che fa lui».
Ci sono sempre stati dei preti a nostro favore. Fin da quando ero bambino sentivo i piu’ grandi che dicevano: “Le acque si stanno smuovendo. Avete sentito cosa ha detto don Filippo, quel prete di Modena secondo il quale anche gli omosessuali possono andare in paradiso?”.
Troppi ce ne sono stati di preti di Modena, di Firenze, di Reggio Calabria, di Torino e di chissa’ddove. Ma dove sono finiti? E’ la chiesa di Roma quella che conta e che e’ sempre, drasticamente, antiomosessuale. Tutti gli altri sono polvere sollevata artificialmente per confondere, nascondere, illudere.
Questo puo’ sembrare strano. Ci sono molti studi, molte ricerche (Sipe, Wagner...) che rivelano come nel clero cattolico ci sia una percentuale di omosessualita’ che arriva fino all’80 per cento! Com’e’ possibile che una struttura che ne e’ cosi’ profondamente impregnata rinneghi se stessa fino a questo punto?
In realta’, bisogna stare attenti alle parole. La chiesa di Roma e’ stata sempre molto brava nel linguaggio usato. Spesso ha impiegato secoli per modificare il senso delle parole e portarlo a soddisfare i propri interessi (vedi il caso dei Benandanti, sul quale Carlo Ginsburg ha scritto un libro illuminante).
In questi ultimi anni la chiesa ha operato una sottile distinzione tra “omosessuali” e “gay”. E noi, oggi, stiamo assistendo ad una lotta feroce tra gli omosessuali, che sono quelli che vivono con dolore la propria condizione e sono sottomessi alla sua autorita’, ed i gay, che sono quelli che rivendicano con orgoglio quella stessa condizione e pretendono di essere felici anche al di fuori del suo magistero.
E’ logico che vinceranno i gay, perche’ sono ormai storicamente predisposti alla vittoria, ma e’ anche vero che, dopo questa guerra, la chiesa di Roma ne uscira’ fuori profondamente trasformata.
Massimo Consoli
CENTRO STUDI TEOLOGICI
Diocesi della Chiesa Cattolica Antica Apostolica di Milano e Monza*
Milano, 9 luglio 2007
NOTA ALLA STAMPA
Come Vescovo e come Teologi siamo amareggiati e disgustati dal clima di odio e di intolleranza che cresce verso le persone e le coppie omosessuali: quando poi è la gente comune, o alcuni gruppi indistinti, (fascisti?) che si fanno portatori di questo crescendo di intolleranza, ed un Vescovo della città, come accaduto a Formia, che dipende dalla diocesi di Gaeta, con tutto il suo presbiterio, cioè il clero diocesano (scomodatosi tutto per una questione che non lo richiedeva!) si mettono publicamente ad attaccare un Sindaco, "colpevole" di aver promosso uno strumento civile e di progresso come il registro dei conviventi, sia di uguale che di diverso sesso, allora significa che tempi molto brutti ci attendono.
Il comportamento di questo arcivescovo di Gaeta , mons. Pier Luigi Mazzoni, va detto con franchezza, di cristiano ha ben poco o niente, poichè dall’alto della sua cattedra attacca una minoranza sempre discriminata e vessata nella storia, anche dal potere ecclesiastico, come sono le coppie omosesuali e le persone omosessuali : il nostro Centro Studi Teologici trasmetterà a lui e al suo presbiterio (obbediente al comando del suo pastore nel discriminare i deboli! ) una copia degli Atti relativi al 1300, quando i "sodomiti" erano bruciati vivi dall’Inquisizione della Chiesa Cattolica Romana, perchè possano conoscere e, meditando, magari fare qualche esame di coscienza, se non ritengano d’essere i degni successori oggi di quella Chiesa anticristiana, spesso criminale ,che ha in nome di Cristo e del vangelo fatto uccidere e torturare tante persone colpevoli soltanto di provare affetto ed amore per altre persone del loro stesso sesso biologico.
Questo accanimento del clero, che poi si riverbera nella violenza di molti intolleranti in modo più prosaico e meno sottile e teorico (quanto accade in provincia di Latina contro gli omosessuali ), ci ricorda quanto patirono gli ebrei sotto i regimi dei pontefici romani che crearono i ghetti ebraici e la cultura ferocemente antigiudaica protrattasi per secoli, fino al’epilogo dell’antisemitismo moderno del secolo scorso (vedi i testi di Anna Arendt sul tema).
Dunque se proclamano questi uomini di Chiesa un Cristo che è amore del prossimo, comincino a rivedere le loro tesi teologiche intessute di ignoranza e di presupponenza, avulse dal sapere scientifico ed esegetico attuale aggiornato e documentato, facciano cadere gli atavici pregiudizi fondati in una concezione arcaica della morale religiosa, ed evitino di accusare i Sindaci, le pubbliche autorità civili che cercano di rimediare a ritardi e vuoti istituzionali e giuridici gravissmi, per l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte allo Stato e alla società.
E’ inutile farsi vedere gentili, praticare la dolcezza nel tenere le omelie, con modi suadenti e affabili , come è in uso astutamente anche ai vertici della Chiesa Romana, per dire allo stesso tempo parole feroci e drastiche, impregnate di intolleranza (che si nasconde però dietro la dichiarata "difesa della famiglia" ) che sono come sassi lapidari all’indirizzo di persone e coppie omosessuali ignare ed innocenti.
Queste direttive generali e universali dei vertici poi producono questi effetti deleteri nell’ ambito delle realtà locali e nelle loro concrete applicazioni pastorali. Cristo Signore aiuti questi pastori, per una autentica metanoia, cambiamento profondo e umile della mente e del cuore, perchè essi, senza il suo amore, fanno devastazione del gregge loro affidato (libro del profeta Ezechiele).
+ Mons. Giovanni Climaco MAPELLI Vescovo
presidente del CENTRO STUDI TEOLOGICI di MILANO
Comitato Direttivo dei Teologi
Diocesi della Chiesa Cattolica Antica Apostolica
di Milano e Monza*
CENTRO ECUMENICO
tel 339.5280021
02.95310741 fax
www.centrostuditeologici.too.it
ufficio di segreteria Vescovile
Via Vescovo Garibaldo,5/a
20065 INZAGO MILANO
* Chiesa di tradizione e successione apostolica autentica non dipendente dal Vaticano e dal papa. (ANTICA CATTOLICA ED APOSTOLICA DEL PRIMO MILLENNIO )
Caro Giuseppe
lode a te per l’onestà e il coraggio!!! Mi auguro che tu possa trovare subito e presto altri "religiosi e preti che vivono" il tuo stesso sentire, altrettanto onesti e coraggiosi. Che la fede e la fiducia non ti vengano meno!!! Senz’altro a te e a tutti gli altri e a tutte le altre, la grazia di Dio (Charitas) non mancherà - anzi, sarà data in abbondanza!!!
Sul tema, nel sito, cfr. questi altri interventi:
M. cordiali saluti.
Per la redazione
Federico La Sala
IDEE
Il filosofo Spaemann mette in guardia da chi accusa le religioni di fomentare l’odio e il terrore: all’origine dei tre monoteismi vi è una divinità che si rivolge all’uomo attraverso il «logos». La ragione, dunque, appartiene al credente in quanto relazione con l’altro. Chi rifiuta questa dimensione dialogica apre la strada alla conflittualità
Ma Dio non è violenza
«Troppo spesso ancora nel mondo musulmano vince la via sanguinaria. Anche l’islam deve intraprendere la strada del dialogo comune»
di Robert Spaemann (Avvenire, 18.07.2007)
Non è un caso che il discorso di Regensburg abbia aperto un controverso dialogo con l’Islam. Senza il colpo di avvertimento costituito dalla citazione di un imperatore bizantino, più di trenta famosi professori islamici forse non avrebbero mai pensato di accettare l’invito al dialogo, di prenderlo sul serio, di rispondere gentilmente e di cominciare subito ad avanzare delle critiche invece dei soliti scambi di cortesie. Che altri musulmani abbiano reagito con un atto di violenza sanguinaria conferma che la questione del rapporto fra fede e violenza resta per l’Islam un problema aperto. Il Papa ha facilitato l’apertura di un dialogo serio ammettendo senza infingimenti apologetici che anche la cristianità ha avuto questo problema per tanto tempo e che spera che l’Islam compia lo stesso processo di apprendimento che ha compiuto la Chiesa. Oggetto di tale dialogo sarà verificare se il Corano favorisca un tale processo allo stesso modo del Nuovo Testamento. Metterlo inizialmente in dubbio fa parte di un onesto inizio di dialogo.
Ci si potrebbe chiedere perché bisogna discuterne e forse scontrarsi. Se i musulmani avessero un altro Dio rispetto ai cristiani un tale scontro sarebbe privo di senso. I cristiani potrebbero solo ribadire che non credono all’esistenza di quel Dio. In effetti tanti cristiani ritengono che Allah sia un altro Dio rispetto a quello dei cristiani. Se fosse così non avrebbe alcun senso scontrarsi rispettosamente su come si debba pensare e parlare correttamente di Dio. Ma in conformità col suo grande predecessore medievale Gregorio VII e col Concilio Vaticano II, Benedetto XVI parte dal presupposto che gli ebrei, i cristiani e i musulmani pregano lo stesso Dio uno e unico.
La lezione magistrale di Regensburg parla soprattutto della differenza che nel mondo di oggi salta agli occhi. Essa riguarda il tema «Dio e violenza». Ricollegandosi alle riflessioni di un imperatore bizantino, il Papa collega questo all’altro tema: «Dio e ragio ne». La ragione è quello step beyond ourselves la cui possibilità la modernità nega. Ho cercato, riferendomi a Nietzsche, di mostrare che questa possibilità dipende dall’esistenza di Dio e proprio di un Dio che nella sua essenza è luce. La ragione dunque non è uno strumento di sopravvivenza dell’homo sapiens, ma partecipazione alla luce divina e un vedere il mondo in questa «luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo» (Gv 1,9). Questa luce, come dice Platone, fa vedere il bene come il koinon, «ciò che è comune a tutti» (cfr. Platone, Fedone). Non a caso Eraclito parla a questo riguardo del logos, e logos significa anche «parola».
Soltanto attraverso la parola, soltanto attraverso la lingua, attraverso il parlare con gli altri, noi ragioniamo. La violenza però è l’esatto contrario del parlare con gli altri. Lo scopo del discorso è l’intesa tramite la comune sottomissione al criterio del vero, lo scopo della violenza è la sottomissione dell’altro alla volontà di colui che si dimostra fisicamente più forte. Michel Foucault, che nega l’intelligibilità del mondo, deve di conseguenza minimizzare la differenza tra dialogo e violenza. Siccome non esiste un qualcosa che sia verità, anche nel dialogo può trattarsi solo di misurare le forze nella lotta per il potere. Così già pensavano d’altronde i sofisti con i quali si scontrò Socrate. Soltanto quando si dà verità come koinon si dà un’alternativa alla violenza. Il criterio della forza fisica non ha nulla a che fare con quello della verità. E la vittoria nello scontro violento solo per caso può anche essere la vittoria del migliore. C’è la forza legittima dello Stato, la cui ragione risiede nell’impedire la violenza tra gli individui, c’è la forza legittima del potere statale per la difesa contro la violenza di un’ingiusta aggressione. Ma lo scatenarsi della violenza, la trasformazione del dialogo in violenza è semp re il fallimento della ragione, e la probabilità che una situazione violenta possa essere migliorata con la violenza è scarsa.
Ma è soprattutto la violenza nel nome di Dio che è condannata inequivocabilmente da Benedetto XVI. Dio come Signore della storia agisce attraverso tutto ciò che succede e anche la violenza dei violenti alla fine dovrà servire al Suo scopo. Ma lo serve solo come tutto ciò che è malvagio. La Sua volontà è fatta sempre e dappertutto. Non deve chiedere il permesso. Ma non dappertutto sulla terra succede come in cielo, e cioè attraverso il conformarsi della volontà degli angeli e degli uomini alla volontà di Dio. Mefistofele, nel Faust di Goethe, confessa di essere parte «di quella Forza che sempre vuole il male e sempre il bene crea». Noi preghiamo affinché la volontà di Dio non sia fatta sulla terra così, ma «come in cielo», e questo significa anche: non tramite la violenza. Anche il popolo di Israele, a questo riguardo, ha compiuto un processo di apprendimento che si conclude soltanto con Gesù. E nonostante questa conclusione, la cristianità nel Medioevo ha creduto ancora di dover punire con pene temporali fino alla condanna a morte almeno l’apostasia e l’eresia: un punto di vista che vige ancora oggi nei Paesi islamici.
Ma non si può costringere a rimanere nella luce con i mezzi delle tenebre. Laddove dei cristiani vengono perseguitati in quanto cristiani, essi, seguendo il loro Signore, rinunciano a restituire la violenza. Dove dei cristiani, d’altronde, difendono legittimamente la civitas terrena in qualità di cittadini di essa, sanno che il processo della violenza, nei suoi esiti, è indifferente alla giustizia e all’ingiustizia. Non si presenteranno dunque in nome di Dio e in nome del bene per punire i cattivi e terranno l’odio che avvelena l’anima fuori dallo scontro. Dove vige la violenza, la ragione tace e l’unica forma della sua perdurante presenza può essere soltanto quel rispetto dei nemici che anticipa già la riconciliazione.
Non sempre possiamo decidere se avere o no nemici. A volte può essere giusto smitizzare l’idea del nemico, a volte no. Dobbiamo verificare l’idea che abbiamo del nemico confrontandola con la realtà. Ma ciò che invece possiamo decidere è di chiedere la forza di amare i nemici. Tale forza trasforma lo status della violenza che si oppone a Dio ed è il suo modo supremo con cui la luce può illuminare le tenebre, la luce della ragione e dell’amore, il cui massimo testimone è nel nostro tempo Papa Benedetto XVI.
IL DIBATTITO
Dopo Ratisbona, quale dialogo tra le fedi?
Il richiamo alla ragione che Benedetto XVI ha fatto nel discorso di Ratisbona ha suscitato un dibattito molteplice e anche incomprensioni forzate, sebbene il discorso del Papa fosse incentrato sulla necessità di un dialogo che abbia come riferimento il criterio della verità. Su questo ora prendono la parola cinque intellettuali nel volume «Dio salvi la ragione», edito da Cantagalli, che, oltre al testo di Benedetto XVI, presenta gli interventi di Wael Farouq, André Glucksmann, Sari Nusseibeh, Robert Spaemann e Joseph H.H. Weiler. Dal volume, pubblichiamo alcuni stralci del saggio del filosofo Robert Spaemann (nella foto), incentrati sulla questione del presunto rapporto fra religione e violenza.