39 SACERDOTI CATTOLICI: IL "CONCILIO" DI UNA NUOVA CHIESA
Una grande testimonianza di umanità e di verità
di Federico La Sala *
La “Lettera aperta” dei e ai “carissimi fratelli e carissime sorelle in Cristo” , sulla recente "Istruzione" della Congregazione dell’educazione sulla esclusione delle persone con tendenza omosessuale al seminario e al sacerdozio (cfr. www.ildialogo.org/omoses/,15.12.2005), pone alla Gerarchia della Chiesa (e non solo) ineludibili e radicali domande e denuncia chiaramente che la realtà ha già superato le colonne d’Ercole del ‘vecchio mondo’ della ‘vecchia chiesa’!!!.
La questione che viene aperta e che si apre non è più e affatto una questione di statistiche e di sociologia, ma investe direttamente il cuore del sistema e dell’Istituzione: quella che si pone è direttamente e immediatamente una questione insieme antropologica e teologica - vale a dire, quella cristologica!!!
Coloro che parlano non sono persone comuni: “Siamo dei sacerdoti cattolici con tendenza omosessuale, diocesani e religiosi, e il fatto di essere tali non ci ha impedito di essere buoni preti”. E tutti insieme - un vero e proprio inizio dei lavori di un “nuovo concilio” (cosa che si richiedeva e richiede da anni)!!! - hanno osato, scritto, e dichiarato: “Carissimi fratelli e carissime sorelle in Cristo, noi consideriamo la nostra omosessualità come una ricchezza, perché ci aiuta a condividere l’emarginazione e la sofferenza di tanti fratelli e sorelle; per parafrasare San Paolo, possiamo farci tutto a tutti, deboli con i deboli, emarginati con gli emarginati, omosessuali con i gay “; e, ancora: “Carissimi fratelli e carissime sorelle in Cristo, come tutte le persone oneste non possiamo negare la nostra fragilità, condizione della natura umana: portiamo il dono di Dio in vasi di creta, ma la nostra situazione non è un ostacolo ad essere pastori secondo il cuore di Dio”.
Per chi ha orecchie (e intelligenza), per intendere, intenda: al di là delle persone, qui sono nodi epocali che vengono al pettine e questioni cruciali che si pongono all’ordine del giorno!!! E ciò che è in gioco è una vera e propria svolta antropo-teologica!!!
L’emergere della questione della omosessualità della e nella Chiesa ‘cattolica’ e in tutto l’Occidente non è affatto una questione biologica!!! E’ una questione culturale e spirituale, che pone in modo radicale il riorientamento e la ristrutturazione della nostra stessa auto-coscienza, di uomini, di bianchi, di occidentali, e di ‘cattolici’!!! Coerentemente con la tradizione critica e, se si vuole, cristica-evangelica, è una sollecitazione non solo a crescere e a conoscere se stessi e l’altro in modo più maturo e adulto (non da minorenni ...e da minorati!) ma anche a prendere atto che tutta la costituzione stessa della Chiesa (come dell’intero Occidente, e non solo - vedi il caso del Sol Levante: www.ildialogo.org/filosofia, 17.11.2005) riposa su un’antropologia naturalistica, greco-romana ed egiziana, altro che cristiana!!!
La testimonianza e la “lettera aperta” dei 39 preti italiani, se ben vi riflettiamo, invita ad aprire le porte e le finestre del nostro presente storico, senza paura!!! E’ una indicazione e una premessa per modificare non solo la vecchia costituzione terrena della Istituzione Chiesa, ma anche la stessa vecchia costituzione celeste ... e aprire davvero a tutti gli esseri umani, nessuno escluso (l’art. 3 della nostra Costituzione, di chiara derivazione evangelica, è ben al di là del ‘talebanismo’ della teocrazia ‘cattolica’!!!) la porta e la strada del regno di Dio, dove tutti e tutte possono diventare cittadini-sovrani, cittadine-sovrane (don Milani!!!).
Che ce ne facciamo di una chiesa e di una teocrazia assoluta, che riposa su una fondamentale omosessualità (psichica e spirituale, non tanto e affatto quella fisica) negata (dei suoi preti, dei suoi vescovi, dei suoi cardinali e dei suoi papa) - vale a dire sulla diabolica menzogna?! Dio, come ha chiarito Gesù, è Amore: e Amore e Verità vanno insieme - non dimentichiamolo!!!
Federico La Sala
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www.ildialogo.org/filosofia, Lunedì, 19 dicembre 2005
“lettera aperta” scritta da un gruppo di sacerdoti e religiosi omosessuali.
da ADISTA *
Il documento seguente è stato diffuso da Adista che scrive:
NON CI NEGATE DI ESISTERE. LETTERA APERTA DI PRETI OMOSESSUALI CATTOLICI
Non abbiamo nulla da nascondere, e voi? La domanda sale dalla lettera aperta che un gruppo di omosessuali preti sottopone alla comunità cristiana e alla gerarchia cattolica che con la recente Istruzione della Congregazione per l’Educazione Cattolica li vorrebbe far scomparire dalla ‘presentabilità’ ecclesiastica. Non sono nostri gli istinti irrefrenabili nascosti dentro una castità coatta, non è nostra la vostra pedofilia, non è nostro il vostro essere ossessionati dal sesso, non siamo noi ad identificarci con una tendenza sessuale. Noi ci riteniamo e vogliamo essere persone, solo persone. Non vogliono avere nulla da nascondere i preti omosessuali che hanno consegnato ad Adista in esclusiva la lettera aperta. E proprio per questo, questa Chiesa li costringe a nascondersi, a celare il loro volto: costretti a chiedere la garanzia dell’anonimato, pur avendo il coraggio di firmarsi a viso aperto nella redazione di Adista. A firmare la lettera sono 39 preti: 26 diocesani e 13 religiosi, provenienti da tutte le regioni d’Italia (complessivamente 18 diocesi e 6 Istituti religiosi).
Il documento è rivolto a tutti i credenti, e al Cardinale Zenon Grocholewsky, Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, autore dell’”Istruzione”che esclude le persone omosessuali dai seminari. Questo il testo della lettera:
LETTERA APERTA
Carissimi fratelli e carissime sorelle in Cristo,
la recente “Istruzione” della Congregazione dell’educazione sulla esclusione delle persone con tendenza omosessuale al seminario e al sacerdozio ci spinge a presentarvi alcune nostre riflessioni al riguardo.
Siamo dei sacerdoti cattolici con tendenza omosessuale, diocesani e religiosi, e il fatto di essere tali non ci ha impedito di essere buoni preti.
Alcuni di noi hanno speso la loro vita in missione, altri sono parroci e pastori delle anime, amati stimati dalla loro gente, altri ancora vivono il loro sacerdozio nell’insegnamento con molta dedizione e professionalità.
La nostra tendenza omosessuale, come il documento farebbe credere, non è stato un impedimento a far si che la vita del ministro sacro sia animata dal dono di tutta la sua persona alla Chiesa e da un’autentica carità pastorale.
Carissimi fratelli e carissime sorelle in Cristo, la nostra omosessualità non ci ha mai messo in una situazione tale da ostacolare gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne come afferma il documento al paragrafo 2!
Come uomini e sacerdoti ci sentiamo gravemente feriti da questa affermazione assolutamente gratuita!
Non abbiamo problemi maggiori degli eterosessuali a vivere la Castità perché omosessualità non è sinonimo di incontinenza, né di istinti irrefrenabili: non siamo malati di sesso e la tendenza omosessuale non ha intaccato la nostra salute psichica, né le nostre doti morali e umane.
Il documento definisce determinante per il candidato il fatto che eventuali tendenze omosessuali transitorie siano chiarite e superate da tre anni prima dell’ordinazione diaconale.
Vorremmo farvi notare che la maggior parte dei preti hanno vissuto il periodo del seminario come un momento molto sereno dal punto di vista sessuale.
Confrontandoci tra di noi sacerdoti in varie occasioni ci siamo resi conto che i turbamenti, per gli eterosessuali come per gli omosessuali sono venuti dopo, causati non dalla tendenza sessuale, ma dalla solitudine, dalla mancanza di amicizia, dal sentirsi poco amati, e, qualche volta, abbandonati dai superiori o dalle loro comunità.
Inoltre, per quanto ci riguarda moltissimi tra noi hanno preso coscienza della loro omosessualità solo dopo l’ordinazione.
Si ha la sensazione che questo documento nasca come reazione ai casi di pedofilia recentemente manifestati soprattutto nella chiesa americana e brasiliana.
La tendenza omosessuale non è assolutamente sinonimo di pedofilia e soltanto l’idea di essere talvolta scambiati per pedofili diventa per noi insopportabile!
Si ha pure un’altra impressione: che il mondo eterosessuale pensi agli omosessuali come necessariamente inseriti in una cultura gaia, esibizionista, pungente, fuori degli
schemi, una filosofia di vita che spesso appare agli occhi di molti come contraria ad ogni regola morale, in cui tutto è permesso.
Certe manifestazioni del mondo gay così anticonformiste nascono come rivalsa da anni di ghetto e di persecuzione in cui è stato imprigionato il mondo omosessuale, ma sappiate che non tutto il mondo gay condivide tali manifestazioni.
In ogni caso vorremmo assicurarvi che nessun di noi ha mai assunto atteggiamenti stravaganti né accetterebbe un permissivismo edonistico in cui non esistono leggi morali.
Nel documento sembrerebbe che il problema maggior per poter essere buoni preti sia la tendenza sessuale, per poi sorvolare su certi stili di vita che pur ineccepibili dal punto di vista sessuale creano il vero scandalo tra i fedeli: ci riferiamo al lusso, all’attaccamento al denaro, alle egemonie di potere, alla lontananza dai problemi della gente.
Carissimi fratelli e carissime sorelle in Cristo, noi consideriamo la nostra omosessualità come una ricchezza, perché ci aiuta a condividere l’emarginazione e la sofferenza di tanti fratelli e sorelle; per parafrasare San Paolo, possiamo farci tutto a tutti, deboli con i deboli, emarginati con gli emarginati, omosessuali con i gay.
L’esperienza mostra che la nostra condizione omosessuale, se vissuta alla luce del Vangelo, sotto l’azione dello Spirito ci mette in condizione di sostenere e appoggiare nel loro cammino di fede i fratelli e le sorelle con tendenze omosessuali, attuando quella pastorale che la Chiesa riconosce come necessaria e desiderabile.
Quella Chiesa che ha ricevuto il ministero della riconciliazione ha bisogno di riconciliarsi con il mondo gay, di cui fanno parte molti credenti e moltissimi altri figli e figlie di Dio: uomini e donne di buona volontà che hanno il diritto di trovare in essa il tetto della loro anima.
Carissimi fratelli e carissime sorelle in Cristo, come tutte le persone oneste non possiamo negare la nostra fragilità, condizione della natura umana : portiamo il dono di Dio in vasi di creta, ma la nostra situazione non è un ostacolo ad essere pastori secondo il cuore di Dio.
Ora, dopo la pubblicazione del citato documento, proviamo maggiore disagio, come se la nostra vocazione non fosse autentica!
Ci sentiamo figli abbandonati e non amati da quella Chiesa alla quale abbiamo promesso e dato fedeltà e amore!
Ci sentiamo fratelli minori in un presbiterio in cui, ora, ci viene fatto credere essere entrati quasi clandestinamente!
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www.ildialogo.org/omoses, 15.12.2005
Sul tema, nel sito, si cfr. anche
IL LETTO DI PROCUSTE DELLA GERARCHIA VATICANA, L’ONU E L’ORIENTAMENTO SESSUALE DELLE PERSONE.
IDENTIFICARSI CON CRISTO PER SUPERARE EDIPO di Sigmund Freud (1931).
MESSAGGIO EV-ANGELICO E SANTO PADRE?! ABUSO DEL TITOLO E MENZOGNA. L’ERRORE DI RATZINGER.
Papa Francesco: Dio si fa vicino a tutti con cuore di Padre
Dio "si avvicina con amore ad ognuno dei suoi figli, a tutti e ad ognuno di loro. Il suo cuore è aperto a tutti e a ciascuno. Lui è Padre". Così Papa Francesco in una breve lettera autografa in spagnolo inviata al padre gesuita James Martin, che svolge il suo apostolato tra le persone Lgbt, in occasione del webinar "Outreach 2021", tenutosi ieri.
Il sacerdote ha pubblicato oggi la lettera su Twitter.
"Lo ’stile’ di Dio - scrive il Papa - ha tre tratti: vicinanza, compassione e tenerezza. Questo è il modo in cui si avvicina a ciascuno di noi. Pensando al tuo lavoro pastorale, vedo che cerchi continuamente di imitare questo stile di Dio. Tu sei un sacerdote per tutti e tutte, come Dio è Padre di tutti e tutte. Prego per te affinché tu possa continuare in questo modo, essendo vicino, compassionevole e con molta tenerezza".
Francesco ringrazia padre Martin per il suo zelo pastorale e per la sua "capacità di essere vicino alle persone con quella vicinanza che aveva Gesù e che riflette la vicinanza di Dio".
"Prego per i tuoi fedeli, i tuoi ’parrocchiani’ - conclude il Papa - tutti coloro che il Signore ha posto accanto a te perché tu ti prenda cura di loro, li protegga e li faccia crescere nell’amore di nostro Signore Gesù Cristo".
* https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2021-06/lettera-del-papa-a-padre-james-martin.html
Omosessualità, lezioni di pastorale
Da qui a settembre un percorso per sacerdoti impegnati nell’accompagnamento delle persone Lgbt. Nei giorni scorsi il primo modulo per un centinaio di partecipanti. Obiettivo, andare oltre l’accoglienza.
di Luciano Moia (Avvenire, 25 febbraio 2021, p.19)
Pastorale e omosessualità. Le indicazioni del magistero al tempo di papa Francesco non potrebbero essere più chiare. Tre esempi, per non lasciare parole nel vago.
Cominciamo dalla ‘Relazione dopo la discussione‘ del Sinodo straordinario del 1914. Al n. 50 si afferma: «Le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana».
Secondo esempio, al n.250 di Amoris laetitia (2016), il Papa sollecita i vescovi a fare tutto quanto necessario «affinché coloro che manifestano la tendenza omosessuale possano avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita».
Terzo esempio, Relazione finale del Sinodo dei giovani (2018). Al n.150 si dice: «Esistono già in molte comunità cristiane cammini di accompagnamento nella fede di persone omosessuali: il Sinodo raccomanda di favorire tali percorsi». Tutto ben spiegato. Ma tracciata la strada, cominciamo i problemi.
Indubitabile l’esigenza di accogliere, accompagnare, discernere e integrare, ma come farlo? Occorre accogliere la persona o anche il suo stile di vita? Per le persone omosessuali credenti occorre immaginare percorsi specifici oppure l’obiettivo dell’integrazione suggerirebbe l’inserimento nella pastorale ordinaria? A queste e tante altre domande cerca di rispondere il primo Corso di formazione per operatori pastorali e accompagnatori spirituali di Persone omosessuali, di cui si è svolto il primo modulo nei giorni scorsi. L’iniziativa si inserisce nella serie degli incontri promossi già nel 2016 ad Ariccia (diocesi di Albano), e nel 2018 a Bologna.
Programmato come corso ‘in presenza‘ un anno fa, al Centro di Spiritualità ‘Villa San Giuseppe’ dei gesuiti di Bologna, è stato rimandato a quest’anno, in versione on line a causa della pandemia. Una modalità che ha permesso padre Pino Piva, gesuita, esperto di ‘pastorale di frontiera’, anima dell’iniziativa, di accogliere tutte le richieste di partecipazione. Oltre un centinaio, in maggior parte operatori pastorali sui temi della famiglia ma anche nell’accompagnamento delle persone lgbt.
Obiettivo del primo modulo quello di sondare il dato antropologico di fondo (filosofico e psicologico) su cui la teologia è chiamata a riflettere alla luce della Rivelazione e del magistero, tema che sarà affrontato nel secondo modulo, a giugno. Obiettivo finale? Offrire l’orizzonte adeguato per le proposte pastorali opportune. E sarà il terzo modulo, a settembre.
Impegnativi, soprattutto perché originali e spiazzanti, gli approfondimenti presentati. Don Stefano Guarinelli, psicologo e psicoterapeuta, docente alla facoltà teologica dell’Italia settentrionale e autore tra l’altro di Omosessualità e sacerdozio. Questioni formative (Ancora) ha spiegato perché occorre intendere l’omosessualità come ‘tratto’ da integrare in una visione globale della personalità.
«Visto che non abbiamo una teoria condivisa che ci spieghi da dove arrivi l’orientamento omosessuale, spesso facciamo fatica a individuare l’approccio pastorale più opportuno». Così si pensa di risolvere tutto chiedendo semplicemente alla persona omosessuale di tacitare il suo orientamento con una pretesa che suona più o meno così: «Per comportati da cristiano devi diventare ciò che non sei. Ma questa - ha osservato il prete psicologo - è una pretesa anti-cristiana».
Chiara D’Urbano, psicoterapeuta, perita dei Tribunali del Vicariato di Roma, autrice di Percorsi vocazionali e omosessualità (Città Nuova) da anni impegnata nell’accompagnamento psicoterapeutico per il sacerdozio e la vita consacrata, ha spiegato che è giusto parlare di persone omosessuali psicologicamente mature e vocazionalmente compensate. «Anche se - ha ammesso - in ambito vocazionale l’omosessualità continua a costituire un certo imbarazzo». E ha spiegato che, anche in ambito vocazionale esistono persone ‘tipiche e insoddisfatte’ a cui cioè l’orientamento omosessuale non impedisce di comportarsi secondo i parametri della ‘normale’ mascolinità o femminilità.
Damiano Migliorini, docente di filosofia, autore di molti studi sul tema - tra l’altro ha scritto con Beatrice Brogliato L’amore omosessuale. Saggi di psicanalisi, teologia e pastorale (Cittadella Editrice) - partendo da una prospettiva ‘relazionale’, ha proposto una visione antropologica integrata attraverso cui leggere e comprendere la realtà delle persone lgbt.
Infine padre Giovanni Salonia, cappuccino, docente di psicologia e di pastoral counseling nella Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia, escludendo in maniera netta la condizione omosessuale dall’ambito della patologia, ha invitato ad una più profonda riflessione teologica e pastorale, che possa promuovere un vissuto più integrato delle persone omosessuali nella società e nella comunità cristiana.
Quindi, ha detto, basta parlare di accoglienza. «Per un omosessuale è un’offesa. È come se gli dicessimo: sei fuoriposto, sei fatto male e quindi ti devo accogliere. La persona che si dice disposta ad accogliere già indica una diversità. La misericordia di Dio è per tutti e non può far sentire le persone sbagliate, tantomeno - ha concluso - le persone omosessuali».
Tra i relatori i cardinali Semeraro e Zuppi
Il percorso di formazione per operatori pastorali che si dedicano alle persone Lgbt credenti, è organizzato dai gesuiti di Bologna. Il primo modulo ha visto come relatori Damiano Migliorini (docente Filosofia); don Stefano Guarinelli (psicoterapeuta); Chiara D’Urbano (psicoterapeuta); padre Giovanni Salonia (psicologo- psicoterapeuta). Il secondo modulo a giugno sull’approfondimento teologico. Tra i relatori don Valentino Bulgarelli (preside Facoltà Teologica Emilia Romagna); Cristina Simonelli (presidente Coordinamento Teologhe Italiane); don Basilio Petrà (preside Facoltà Teologica Italia Centrale); don Aristide Fumagalli (Facoltà Teologica Italia Settentrionale). A settembre il terzo modulo sull’approfondimento pastorale con i cardinali Matteo Zuppi (arcivescovo di Bologna) e Marcello Semeraro (prefetto Congregazione per i Santi), don Gabriele Davalli (direttore Ufficio Famiglia Bologna); padre Victor De Luna (Apostolato Courage); don Gianluca Carrega (pastorale con persone Lgbt diocesi di Torino).
Il Vaticano non accetta i gay (ma solo se seminaristi)
Le frasi del Papa e un dibattito finito. Se questa è la strada intrapresa, perché non partire da vescovi e rettori?
di Marco Marzano (Il Fatto, 26.05.2018)
Incontrando i membri della Cei in Vaticano, Papa Francesco ha fatto un’affermazione importante: evitate, ha detto il papa ai vescovi italiani, di fare entrare gay in seminario e allontanate gli studenti sulla cui identità sessuale nutriate anche il minimo dubbio.
Il papa ha così ribadito, anche su questo punto in perfetta continuità con i suoi predecessori, la cattolica tolleranza zero verso i gay, l’esclusione assoluta degli omosessuali dalla vita della Chiesa. Se si tratta di semplici fedeli, essi, pur presentando, come recita il Catechismo, “un’inclinazione oggettivamente disordinata”, possono essere accolti con misericordia, ma solo a patto che rinuncino a ogni forma di vita sessuale e si mantengano casti e puri. Nel caso di coloro che tra costoro aspirino invece a diventare sacerdoti, ha ricordato il papa, la sola inclinazione deve divenire causa di immediata esclusione.
Le parole di Francesco ci comprovano che il papa è a conoscenza dell’esistenza e delle dimensioni del “problema”, come lui lo ha definito. Dopo esserci occupati del clero pedofilo, ha dichiarato il papa accostando i due fenomeni, dovremo occuparci anche di quello omosessuale. La premessa da cui è partito il papa è corretta: i seminari sono strapieni di gay, così come poi di conseguenza lo sono le case parrocchiali, i monasteri e le altre strutture cattoliche. Alcuni seminaristi e preti omosessuali si astengono dall’avere una vita sessuale attiva, molti altri no.
Dalla letteratura scientifica internazionale giungono delle interessanti conferme di questo dato. Uno dei più autorevoli studiosi della vita sessuale del clero, Richard Sipe, ha sostenuto, analizzando un campione di grandi dimensioni, che circa il 30 per cento del clero americano è omosessuale e che un terzo di questo 20 per cento ha una vita affettiva e sessuale attiva, talvolta accompagnata da un grave senso di colpa. A parere di altri studiosi, il dato fornito da Sipe è da correggere: secondo Nines, più del 40 per cento del clero è omosessuale, mentre secondo Cozzens la stima va corretta verso l’alto e i preti gay sono tra il 45 e il 50 per cento del totale. L’esistenza di una vera e propria subcultura gay nei seminari è confermata (talvolta con fastidio dai chi ne è escluso) dai risultati di altre ricerche sociologiche.
Al di là di quali siano le sue dimensioni reali, io credo che, se vogliono davvero mettere al bando l’omosessualità tra i funzionari dell’organizzazione, il papa e i vescovi debbano assumere alcune decisioni potenzialmente assai dolorose. Ad esempio, il papa dovrebbe iniziare con l’allontanare dalla Chiesa i vescovi “anche solo sospettati” (per usare il suo linguaggio) di essere omosessuali.
La stessa durezza andrebbe usata da parte dei vescovi nei confronti del clero loro sottoposto e soprattutto nei confronti di rettori, prefetti e insegnanti incaricati di formare i futuri preti. Con quale credibilità un rettore di seminario omosessuale può espellere un seminarista gay? E cosa succede, quale dinamica psicologica si instaura, se un prete gay diventa il padre spirituale di un seminarista altrettanto omosessuale?
In secondo luogo, bisognerebbe che la Chiesa potenziasse i suoi strumenti inquisitori per scovare, anche rafforzando il ricorso a psicologi professionisti, la presenza di gay tra gli studenti dei seminari. Una rigorosa attività inquisitoria è necessaria perché i seminari sono affollati da ragazzi che non sono consapevoli o che non accettano la loro “inclinazione” verso persone dello stesso sesso e che vanno in seminario proprio per non porsi il problema della loro sessualità, per rimuoverlo.
Inoltre, per rimediare al fatto che l’espulsione dei gay determinerebbe un vero e proprio crollo nelle vocazioni, e tenuto conto che la Chiesa europea è già, da questo punto di vista, in una situazione difficilissima, occorrerà incoraggiare fortemente l’importazione di funzionari provenienti da quei territori (ad esempio, l’Africa) dove c’è grande abbondanza di clero. Infine andrebbe probabilmente scoraggiato il ricorso a un abbigliamento troppo tradizionale, fatto di lunghe sottane, pizzi e svolazzi vari, dietro il quale spesso si cela un’omosessualità più o meno repressa.
Fatto un sommario elenco di cose che la Chiesa dovrebbe fare se volesse combattere la presenza dei gay al suo interno, rimane da dare un modesto consiglio ai gay cattolici. Esso è presto dato: perché ostinarsi a sperare che venga qualche apertura da un’organizzazione irriducibilmente nemica della libertà e della diversità sessuale? Perché non scegliere un altro luogo, e ce ne sono (penso ad esempio, alla chiesa valdese), dove trascorrere serenamente la propria esistenza di cristiani e di omosessuali, venendo accettati e considerati esseri umani perfettamente uguali a tutti gli altri?
CHIESA
Suore sposate
La tristezza del papa
di KRZYSZTOF CHARAMSA*
Recentemente due suore si sono unite in matrimonio. Hanno promesso amore e fedeltà una all’altra. Da cittadine lo hanno fatto in un atto di unione civile, ora finalmente riconosciuto dallo Stato.
Da cattoliche credenti lo hanno fatto in una celebrazione di matrimonio religioso assistite da un sacerdote coraggioso.
Due suore lesbiche mostrano che la comunità omosessuale, incompresa e offesa per secoli, costituisce oggi una chiamata profetica per la Chiesa: esige dalla Chiesa il necessario ripensamento della sua posizione sull’amore umano, confrontandola con l’attuale stato del sapere scientifico ed esperienziale dell’umanità. Infatti, l’amore non può essere riservato solo a una parte dell’umanità, quella eterosessuale, come attualmente obbliga a pensare il magistero della Chiesa.
La Congregazione per la Dottrina della Fede nelle “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali” (2003) impone a tutti i cattolici di ritenere che le relazioni omosessuali non sono umane e non possono esprimere amore, perché «mancano della forma umana e ordinata delle relazioni sessuali».
Chi riflette senza pregiudizi anche solo sulla storia delle due suore innamorate, intende quanto è grossolana la falsità su cui la Chiesa fonda la sua attuale dottrina circa l’omosessualità.
La dottrina “priva” le persone omosessuali di capacità di sentimenti, di affetti e di esperienze d’amore coerenti con il loro orientamento sessuale, mentre la realtà dimostra il contrario.
Osservando la storia delle due suore innamorate e ricordando altre storie di sacerdoti o religiosi gay e religiose lesbiche innamorati, la gente inizia a rendersi conto che non esiste solo l’amore eterosessuale, ma in ugual misura esiste l’amore omosessuale e lesbico.
Quell’amore ha diritto di essere vissuto, proclamato pubblicamente e protetto dalla società e dalla Chiesa. Paradossalmente, mentre la Chiesa si definisce comunità d’amore, fa di tutto affinché l’amore di una parte dell’umanità sia rifiutato, disprezzato, offeso, ma anche negato, ritenuto “impossibile”. Ogni espressione dell’amore omosessuale secondo la Chiesa deve essere denigrato come non-esistente, nascosto come tabù o al massimo vissuto nell’armadio ipocrita (nel closet).
Le due suore hanno avuto il coraggio dell’amore, nonostante la stigmatizzazione da parte della loro Chiesa. Hanno annunciato che non sono uniche, ma che molte religiose nei conventi cattolici vivono esperienze amorose simili a quelle che hanno portato queste due donne credenti al matrimonio.
Ciò che sconvolge in questa storia è solo la reazione della Chiesa. Ciò che inquieta è la reazione di papa Francesco. Infatti, secondo quanto abbiamo appreso dall’apocalittico messaggio di mons. Giovanni Angelo Becciu, sostituto della Segretaria di Stato vaticana: «Quanta tristezza sul volto del papa quando gli ho letto la notizia delle due suore spose».
Ma triste in tutta la vicenda è solo la reazione della mia Chiesa. Davanti alle storie d’amore la Chiesa avrebbe il dovere di una profonda e rinnovata riflessione. Dovrebbe fermarsi nel silenzio rispettoso e riflettere se non ha perso di vista qualcosa che la aiuterebbe a capire la realtà, che stiamo vivendo e che spunta nelle storie d’amore. Dovrebbe domandarsi se non ha offuscato qualcosa di essenziale nella natura umana e se non ha ignorato il sapere umano attuale, stigmatizzando le minoranze sessuali, riducendole a questioni ideologiche o di moda passeggera.
Inquietante è la tristezza del papa, che aveva promesso di essere aperto a studiare la realtà senza pregiudizi. Aveva promesso l’accoglienza non “a parole vuote”, ma l’accoglienza che significa lo sforzo di comprensione della verità dell’altro. Inquietante è la tristezza del papa che sembrava aperto a studiare il sapere umano sulle minoranze sessuali e a smettere di ripetere solo le falsità da tempo superate. Nella sua tristezza egli torna a combattere la realtà e la dignità umana dell’amore, mentre si doveva scrutarla, comprenderla, discernerla.
Forse dovrebbe essere triste il Vaticano e l’intera società cattolica per non aver inteso i segni dei tempi, rinchiudendosi in una mancanza di umanità nei confronti delle persone non eterosessuali, che per ora vengono offese dalla vigente dottrina della Chiesa, che le “priva” di capacità di amore umano. Ora le persone omosessuali: religiose, religiosi, sacerdoti, laiche e laici, stanno mostrando alla Chiesa che sono capaci di amare e non intendono più nascondere il loro amore, che è cristiano e benedetto.
Concedo che per l’umanità la scoperta di quel sano e naturale amore, come espressione di sani e naturali orientamenti sessuali non eterosessuali, è una rivoluzione copernicana. Necessita tempo di comprensione, sforzo intellettuale e formativo, come fu nel processo di superamento della schiavitù. Necessita una Chiesa aperta alla ragione e papi che invitano la Chiesa a pensare.
L’umanità sta affrontando quel processo di civiltà, riconoscendo la dignità e i diritti che spettano alle persone non eterosessuali e chiedendo loro perdono per i secoli di incomprensioni e di offese.
Molte persone omosessuali, suore, preti e laici, attraverso i loro coming out (= uscite dall’oscurità dell’armadio della negazione di sé e del proprio orientamento sessuale) e attraverso le loro storie d’amore partecipano in quel processo coraggioso per un’umanità migliore.
Solo la mia Chiesa, le sue gerarchie e le istituzioni, si sono arroccate nel bastione della tristezza. Ora a pieno titolo in quella “triste tristezza” li presiede niente meno che papa Francesco, il papa della gioia, della comprensione, dell’accoglienza...
Evagrio Pontico aveva inserito la tristezza nel primo elenco di peccati capitali. Poi la tradizione cristiana ha rivisto quell’elenco, riducendo il numero dei peccati al biblico “sette” e cancellando l’“ottava” tristezza.
Oggi, osservando il perdersi della mia Chiesa in mezzo ai segni dei tempi, credo che si dovrebbe tornare al più presto alla tavola dei vizi dei primi secoli: la tristezza è il peccato della Chiesa incapace di usare la ragione e il cuore. È il suo rifugio dalla realtà, il nascondiglio davanti alla dignità dell’amore umano, che va compreso e di cui nessuno può essere privato “in nome di Dio”.
Caro papa Francesco, promettevi la gioia dello studio e della riflessione ecclesiale, libera da pregiudizi, oggettiva e serena, capace di comprendere la realtà. Perché stai tornando alla anti-evangelica realtà della tristezza? Quella tristezza non ci porta da nessuna parte, perché non viene dal Dio dell’Amore.
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Adista Segni Nuovi NOVEMBRE 2016 • N. 38
USA: 111 PASTORI METODISTI FANNO COMING OUT. E CHIEDONO ALLA CHIESA MAGGIORI APERTURE *
38554 PORTLAND-ADISTA. Con tutta probabilità la Conferenza generale della United Methodist Church, in corso a Portland (Oregon) dal 10 al 20 maggio, sarà ricordata come un momento chiave della vita di questa comunità.
Sugli 864 delegati provenienti da Stati Uniti, Europa, Africa e Filippine (in rappresentanza di 12 milioni di fedeli nel mondo) pende infatti la questione dell’accoglienza delle persone lgbtqi, sollevata, a ridosso dell’apertura dei lavori, da 111 membri del clero e candidati al ministero in una lettera aperta pubblicata sul portale Reconciling Ministries Network (il documento è stato cliccato talmente tante volte da mandare in crash il sito). I firmatari si dichiarano gay, lesbiche, bisessuali, transgender, queer e intersessuali (lgbtqi) e accusano la Chiesa metodista di averli costretti a nascondere la propria identità sessuale.
Con questo coming out, spiegano, «vogliamo dare speranza ai giovani lgbtqi che frequentano Chiese metodiste ostili»: «Questi giovani - scrivono - sono più a rischio di suicidio rispetto ai loro coetanei, anche a causa delle condanne che provengono dai pulpiti e dai banchi delle loro chiese». «Facciamo coming out per ricordare loro che l’amore di Dio è incommensurabile e che non li abbandonerà mai». «Facciamo coming out per invitarli ad ascoltare ancora Dio, piccola voce che parlerà nei luoghi tranquilli dei loro cuori, che li chiamerà a posizioni di leadership.
Cerchiamo di creare per loro un cammino di speranza nel ministero, anche se la Chiesa ha cercato di chiudere loro la porta in faccia, tollerando in maniera più o meno aperta la persecuzione delle persone lgbtqi».
«Ti vogliamo bene, cara Chiesa», proseguono i 111 firmatari: «Attraverso di te, posiamo i piedi su un terreno sacro e vediamo il volto di Dio in modo più chiaro. La nostra preghiera, per questo momento di discernimento della Conferenza generale, è che ci si ricordi che in tutto il mondo ci sono persone senza nome affamate di una parola di speranza e di guarigione». «La “questione lgbtqi” non può essere risolta attraverso una legislazione restrittiva - proseguono - ma riconoscendo che tutte le persone sono fatte a immagine di Dio e vanno accolte nella comunità di fede». «Cara Chiesa - è la conclusione - le nostre preghiere sono con voi, con tutti noi, per i prossimi giorni. Potremmo essere sorpresi dallo Spirito che continua a infondere nuova vita in modi inaspettati. In un mondo lacerato dalla paura e dalla diffidenza, potremmo offrire una potente testimonianza trovando unità nelle nostre differenze».
I firmatari rischiano parecchio considerato che il Book of Discipline della United Methodist Church statuisce che «la pratica dell’omosessualità è incompatibile con l’insegnamento cristiano» e che «pertanto chi si dichiara omosessuale praticante non può accedere al ministero ordinato».
Inoltre le prime battute di questa Conferenza generale (che si riunisce ogni quattro anni) non lasciano sperare nulla di buono. Vicki Flippin, pastora alla Church of the Village di New York, ha raccontato sul proprio profilo Facebook che le era stato chiesto di tenere un breve discorso di benvenuto durante un servizio di culto, a partire dal suo contesto di provenienza, contesto che, ha spiegato, «include molte persone lgbtq». «Avevo pianificato di dire: “Qualunque sia la vostra identità di genere, qualunque sia il vostro orientamento sessuale, la vostra razza o nazionalità, qualunque sia la vostra età, appartenete alla casa di Dio e vi saluto nel nome di Gesù Cristo”. Mi hanno detto che se avessi voluto partecipare, avrei dovuto omettere qualsiasi riferimento a persone lgbtqi».
«Stiamo cercando di rendere i nostri servizi di culto più inclusivi possibile - ha spiegato la pastora Laura Bartlett, a capo dei servizi di culto della Conferenza generale - ma abbiamo ritenuto che citare un gruppo particolare potesse dare a intendere che gli altri sono esclusi e volevamo evitarlo».
Flippin ha deciso quindi di non partecipare: «Non posso in coscienza prendere parte a un servizio di culto che non fa nemmeno finta di accogliere e includere i figli lgbtqi di Dio». (ingrid colanicchia)
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• Adista/Notizie, N. 19, 21 MAGGIO 2016
Sinodo, quale pastorale con le persone omosessuali?
Il coming out di monsignor Krzysztof Charamsa, alla vigilia del Sinodo sulla famiglia, riporta l’attenzione su una pastorale possibile "per" e "con" le persone omosessuali. Ma qual è l’effettiva condizione in cui si trovano gay e lesbiche nella Chiesa cattolica?
di PASQUALE QUARANTA *
ROMA - Per una pastorale inclusiva - concepita non solo "per" ma anche "insieme" alle persone omosessuali - bisogna augurarsi che il Sinodo in corso porti a una svolta. Perché nella storia della Chiesa giudizi assoluti, e spesso infondati, hanno a lungo ferito gay e lesbiche, in particolare i credenti. Una prova è arrivata dal coming out di monsignor Charamsa che ha sollevato il tema dell’omofobia in Vaticano.
Quando si tratta delle persone omosessuali, le parole “rispetto”, “accoglienza”, “dialogo” spesso non hanno trovato spazio nella Chiesa cattolica, come riconosciuto in queste ore in un’intervista a Repubblica dallo stesso cardinale Dionigi Tettamanzi, che ha parlato di "forme di discriminazione" subìte dalla persone omosessuali. Il dialogo, se vuole essere onesto, non può prescindere dall’ammissione di giudizi che tante volte hanno paralizzato le persone (si pensi alle cosiddette "terapie riparative", al tentativo di convincere gay e lesbiche a farsi “curare” le loro “ferite”).
Un noto e importante documento vaticano insegna che “l’attività omosessuale impedisce la propria realizzazione e felicità perché è contraria alla sapienza creatrice di Dio” (Congregazione per la dottrina della fede, Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali). Questo giudizio deriva dall’enciclica Humanae Vitae, secondo la quale esiste una “connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo”.
Da alcuni decenni, com’è noto, questa dottrina tradizionale è ampiamente disattesa e apertamente contestata, perfino in alcuni ambienti della Chiesa. Il sesso solitario, l’uso degli anticoncezionali, l’atto omosessuale non vengono più considerati in se stessi un male, perché si ritiene che la dottrina tradizionale non tenga adeguatamente conto di tutti gli aspetti della natura umana, oggi conosciuti grazie anche alle scienze umane, e perché si ritiene che le ragioni addotte a sostegno della dottrina tradizionale non siano più solidamente fondate.
È vero che mai come oggi - con il Sinodo iniziato da pochi giorni - il tema è al centro della discussione nel mondo cattolico ma la condizione delle persone omosessuali nella Chiesa resta complicata.
Da una parte, i documenti e i testi vaticani insegnano che l’omosessualità ostacola gravemente un corretto relazionarsi con donne e uomini, che l’omosessualità è collegata a una immaturità psicologica, che la condizione omosessuale è disordinata, che gli atti omosessuali impediscono di realizzarsi e di essere felici, che l’amore delle persone omosessuali è contrario alla volontà di Dio, che le coppie gay e lesbiche legalmente riconosciute sono un pericolo per l’umanità.
Dall’altra, i risultati sicuri delle scienze umane mostrano che l’omosessualità non impedisce corrette e sane relazioni umane e che il riconoscimento legale delle coppie gay e lesbiche giova alla società; le coppie omosessuali e le loro famiglie sperimentano che il loro amore li rende felici e che l’omosessualità è per loro una delle opportunità della loro vita e non un problema; varie ricerche filosofiche, bibliche, teologiche mostrano che non ci sono ragioni stringenti per seguire la teoria secondo cui la condizione omosessuale è disordinata e l’amore delle coppie gay e lesbiche è contrario alla volontà di Dio.
Di fatto, le persone omosessuali non possono prendere la parola - argomentando sulla base dei risultati sicuri delle scienze umane, dell’esperienza loro e delle loro famiglie, delle ricerche filosofiche, bibliche e teologiche - per mostrare che le loro ragioni sono le ragioni della Chiesa e non un loro capriccio, per chiedere di riesaminare quei giudizi discutibili, pena l’accusa di fare del male a se stesse e alla Chiesa.
Un’accusa che, tanto più per chi occupa un posto di rilievo nella gerarchia ecclesiastica, si traduce nel silenzio obbligato o nell’espulsione (come nel caso di monsignor Charamsa). La logica che genera l’accusa è chiara: poiché tali giudizi sono verità insegnate dall’autorità garante del bene della Chiesa, mostrare che sono infondati o discutibili, addirittura il solo chiedere di riesaminarli costituisce un rifiuto della verità, una disobbedienza all’autorità, un attentato al bene della Chiesa.
Che fare dunque in questo contesto? Il 3 ottobre si è svolta a Roma una conferenza internazionale di cattolici omosessuali intitolata “Le strade dell’amore”. Ne hanno parlato in pochi. La novità emersa dalle testimonianze di persone provenienti da 13 Paesi diversi è che nelle Chiese cristiane gay e lesbiche credenti sono protagonisti di una grande novità: dicono apertamente con le parole e con i fatti che tra esperienza omosessuale e vita cristiana non esiste alcuna inconciliabilità. Si tratta di una rivoluzione d’amore e in quanto tale non violenta. Perché la comunità non può accoglierla con gioia? Perché la celebrazione di questo amore non può avere la dignità di matrimonio?
* la Repubblica, 08.10.2015 (ripresa parziale).
Marco Marzano
Professore ordinario di Sociologia all’Università di Bergamo *
Ho l’impressione che siano pochi i preti italiani che si attengono fedelmente alla norma celibataria. Un buon numero di loro, qualcuno dice addirittura i tre quarti del totale, è omosessuale e usa il celibato come uno splendido alibi per non dover fornire giustificazioni del desiderio di non avere relazioni sentimentali con le donne e di non sposarsi. Tra gli eterosessuali ve ne sono molti che hanno relazioni regolari e durature, anche con figli. Molti altri hanno solo relazioni occasionali, più o meno numerose. Una vita di assoluta castità non è comunque, anche per quei pochi under settanta che la praticano, sintomo di serenità spirituale o di pace interiore. Perché spesso dà luogo a fenomeni patologici, come l’alcolismo (molto diffuso) o altre forme di dipendenza, e si accompagna ad uno stato depressivo e di profonda infelicità.
In ogni caso, una condotta sessuale attiva può essere vissuta dai preti in modi molto diversi: talvolta con terrificanti sensi di colpa, talaltra con la serenità di chi invece ha compreso di aver diritto a una vita affettiva autonoma dalle imposizioni dell’istituzione. E questo non dipende dagli orientamenti sessuali. Ho intervistato qualche tempo fa un prete gay che mi rivelò il desiderio di vivere il suo amore alla luce del sole. Oggi ha lasciato anche lui. L’idea che il celibato sia lo strumento principale per avere dei presbiteri completamente devoti alla loro comunità e che questa loro devozione soddisfi i bisogni affettivi dei sacerdoti, che li gratifichi come li gratificherebbe l’amore di una compagna o di un compagno e di una famiglia, è una menzogna assoluta.
Il celibato è in realtà la “regola di ingaggio” che consente alla Chiesa di disporre di funzionari a tempo pieno ad essa pienamente dedicati e ricattabili. Semplificando all’estremo, è come se l’istituzione dicesse al suo funzionario: “Tu sapevi quando hai accettato l’ingaggio che c’era questa regola. La puoi violare, ma ti sentirai in colpa e sarai comunque costretto a nasconderti. Perché, quando non rispetti il celibato, sentirai di aver tradito la fiducia del tuo gregge, al quale noi istituzione (con il tuo concorso!) abbiamo insegnato che tu devi essere puro e casto. Noi ti perdoneremo quando ignorerai il divieto. E ti copriremo anche se serve, ad esempio trasferendoti in un altro luogo se hai una donna che ti insegue o mandandoti in clinica invece di denunciarti se hai commesso qualche crimine legato alla sessualità.”
Il celibato diventa la premessa della sacralizzazione della figura asessuata del prete, la condizione della sua superiorità rispetto agli altri fedeli, il segno più tangibile che egli è più puro di loro e che la sua vita coincide con il suo ruolo pubblico. In questa metamorfosi egli si disumanizza, riducendosi a mero simbolo, privato del diritto ad avere una vita privata. Per qualche prete questo regime psichico è la premessa di un narcisismo incontenibile, della convinzione di essere più simile a Gesù che ai propri simili. E di avere un naturale diritto a comandare. Per altri è una terribile camicia di forza che spinge verso il dolore e la morte interiore.
Di seguito pubblico la lettera di una lettrice:
Perché il problema grosso secondo me è proprio questo!
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Il FattoQuotidiano.it / BLOG /di Marco Marzano | 24 settembre 2015
Lettera aperta a Benedetto XVI: perché sbaglia? Santità!
di Giovanni Geraci (portavoce Gruppo del Guado, cristiani omosessuali di Milano)
in “http://gruppodelguado.blogspot.it” del 15 dicembre 2012
Mi permetto di scriverLe, Santità, dopo aver letto il Suo messaggio per la Giornata Mondiale della pace 2013 che cade il prossimo primo Gennaio.
Le dico innanzi tutto di essermi commosso davanti alle parole con cui ha ricordato l’enciclica Pacem in Terris di Giovanni XXIII: io all’epoca ero ancora un bambino, ma quando, diversi anni dopo, ho avuto modo di leggerla, ho vissuto un’esperienza davvero profonda che ha segnato in maniera definitiva la mia Fede
In particolare La ringrazio per aver citato il brano in cui papa Giovanni ricorda che «la realizzazione della pace dipende soprattutto dal riconoscimento di essere, in Dio, un’unica famiglia umana, in cui le relazioni interpersonali e le istituzioni sono sorrette ed animate da un “noi” comunitario implicante un ordine morale, interno ed esterno, ove si riconoscono sinceramente, secondo verità e giustizia, i reciproci diritti e i vicendevoli doveri».
La ringrazio per aver ricordato che la pace c’è solo quando si sentono come propri i bisogni e le esigenze altrui e si rendono partecipi gli altri dei propri beni.
Ed è partendo da queste osservazioni, che fanno senz’altro parte del Magistero che la chiesa esercita quando parla del rapporto tra l’uomo e Dio, che mi permetto di farLe notare quella che, a mio avviso, è una stridente contraddizione presente nel Suo messaggio.
Lei infatti, continuando a sviluppare il discorso intorno alla pace, a un certo punto, afferma che: «La struttura naturale del matrimonio va riconosciuta e promossa, quale unione fra un uomo e una donna, rispetto ai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale».
Mi permetto di farLe notare, in nome di quel realismo che san Tommaso d’Aquino raccomandava ai suoi allievi (quello stesso realismo che ci impone di riconoscere la realtà per quello che è, senza guardarla con gli occhiali del pregiudizio e senza strumentalizzarla con inutili sofismi) che i paesi che più si adoperano per costruire la pace a livello internazionale sono quelli che, per primi, hanno adottato delle leggi che rendono il matrimonio «giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione».
E in nome dello stesso realismo mi permetto di farLe notare che sono gli stati in cui i diritti delle persone omosessuali sono calpestati quelli che, più di frequente, intraprendono azioni violente nei confronti dei paesi confinanti o nei confronti delle popolazioni su cui hanno giurisdizione. Come la mettiamo con questo dato di fatto che contraddice in maniera palese quello che Lei afferma?
La risposta, saggiamente, la suggerisce Lei stesso, quando scrive che «questi principi non sono verità di Fede» e ci fa quindi capire che, anche se pensa di fare riferimento a una specifica visione della natura umana «riconoscibile con la ragione», quando critica le leggi che riconoscono le unioni omosessuali non fa riferimento al Vangelo, ma fa riferimento a quella che Lei considera una retta ragione che, però, più per ignoranza che per malanimo, in questo caso tanto retta magari non è. Ho l’impressione che Lei parta da una visione parziale e distorta dell’omosessualità, che la porta a valutare in maniera sbagliata il reale rapporto che c’è tra pace e diritti delle persone omosessuali. Una visione distorta che Le impedisce di vedere quanto il mancato riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali sia in palese contraddizione con l’atteggiamento di chi, come Lei scrive nel brano che ho ricordato all’inizio di questa lettera, riconosce «come propri i bisogni e le esigenze altrui» e rende gli altri partecipi del propri beni».
Perché non riconoscere come proprio il bisogno che le persone omosessuali hanno di costruire delle relazioni di coppia fedeli e responsabili?
Perché non renderle partecipi di quei diritti e di quei doveri che, regolando la vita famigliare, aiutano la società nel suo complesso a strutturarsi meglio? E come la mettiamo con i tanti fanatici che nel Suo articolato messaggio leggono solo una dura condanna delle leggi che riconoscono le unioni omosessuali e che, spinti dal loro fanatismo fanno poi di tutto per perseguitare le persone omosessuali?
Certe affermazioni, già gravi quando vengono pronunciate dal primo parroco che parte per la tangente durante un’omelia, diventano gravissime quando compaiono all’interno di un messaggio firmato dal Papa.
Ed è per questo che La invito a domandarsi in cosa sta sbagliando se è arrivato addirittura a stabilire tra pace e rispetto dei diritti delle persone omosessuali una relazione che è l’esatto contrario di quella che tutti possono osservare e se è arrivato a contraddire una raccomandazione morale importante come quella, da Lei ricordata, che ci invita a fare nostri i bisogni degli altri. Si tratta di un invito che Le viene da un cattolico che Le vuole bene e che non vuole che, tra qualche anno, quando Lei si troverà di fronte a nostro Signore, venga interpellato per le conseguenze gravissime (in termini di discriminazioni, di sopraffazioni e di violenze) che possono avere le parole che ha scritto nel suo messaggio di quest’anno.
Inizi finalmente ad incontrare delle coppie di persone omosessuali, a parlare con loro, ad ascoltarle, a guardarle negli occhi e vedrà che il Suo atteggiamento nei confronti della loro situazione cambierà radicalmente. Glielo dice uno che ha fatto questa esperienza e che, forte di questa esperienza osa dirle con chiarezza che, quando parla di diritti delle coppie omosessuali non solo non segue una retta ragione, ma rischia di non seguire nemmeno il Vangelo.
Chiesa cattolica e omosessualità. Lettera aperta al vescovo di Firenze
di don Fabio Masi, don Alessandro Santoro, don Giacomo Stinghi, suor Stefania Baldini *
"Il numero di ‘Toscana Oggi’ del 24 Giugno 2012 dedicava largo spazio all’argomento dell’omosessualità e delle coppie di fatto eterosessuali, con alcuni articoli del giornale e diverse lettere al Direttore, queste ultime critiche nei riguardi della posizione ufficiale della Chiesa sull’argomento.
Ci sembra che gli articoli del Settimanale diocesano non facciano che ripetere sull’omosessualità le norme ecclesiastiche di sempre, senza approfondire l’argomento che negli ultimi anni si è notevolmente sviluppato e chiarito e che ha ancora bisogno di ricerca.
Il nostro intervento vuole dare testimonianza della diversità di posizioni che ci sono oggi di fronte a questo tema, nella riflessione laica e anche nelle Chiese. Noi, e insieme a noi anche teologi, vescovi e laici cristiani, non ci riconosciamo in quell’analisi che traspare dagli articoli di ‘Toscana Oggi’. Quello che ha portato ad un cambiamento radicale nella comprensione dell’omosessualità è stato un tragitto importante. Nel passato l’omosessualità era considerata un ‘vizio’ praticato da persone ‘etero’ in cerca di piaceri alternativi, e come tale condannata. Ma allora si parlava di ‘comportamenti omosessuali’; soltanto nel secolo scorso si è cominciato a parlare di ‘condizione omosessuale’ e non solo di ‘atti’, inducendo alcuni ad ipotizzare che l’omosessualità fosse da considerare non un vizio ma una ‘malattia’.
In questi ultimi anni è maturato un modo di comprendere l’omosessualità radicalmente diverso, che ormai, con varie sfaccettature, è accettato da quasi tutti. Si parla dell’omosessualità come di un elemento pervasivo della persona che la caratterizza nella sua profonda identità e le fa vivere la sessualità in modo ‘altro’.
E’ importante che la Chiesa riconosca positivamente il cammino della scienza nella conoscenza dell’uomo e non dichiari verità assolute quelle che poi dovrà riconoscere errate, come è accaduto in passato. Questi fatti ci inducono a vedere l’omosessualità in un orizzonte nuovo e ad affrontarla con uno sguardo morale diverso. Su questo tema la Bibbia non dice né poteva dire nulla, semplicemente perché non lo conosceva, così come non dice nulla sull’ecologia e sull’uso della bomba atomica. Comunque nella cultura biblica, come in tutta l’antichità, è totalmente assente l’idea di ‘persona omosessuale’, si parla solo di ‘comportamenti’ e non di ‘condizione omosessuale’, ed è chiaro che vengono condannati non solo perché infecondi, ma anche in quanto legati alla violenza o alla prostituzione sacra.
A questo riguardo sono opportune alcune precisazioni sulla Sacra Scrittura spesso citata per stigmatizzare il rapporto omosessuale. Nel Nuovo Testamento solo Paolo chiama ‘contro natura’ il rapporto omosessuale (Romani 1, 26-27) ma bisogna tener presente che egli si riferisce, più che all’aspetto fisico, al fatto che l’omosessualità minava l’ordine sociale di allora, quando era la donna, per natura, a dover essere ‘sottomessa’ all’uomo. Fra l’altro è cambiata anche la nostra comprensione del concetto di ‘natura’: l’idea di ‘natura’ come realtà già conclusa non corrisponde più al modo di sentire odierno.
Ormai è anche abbastanza chiaro che quegli episodi dell’Antico Testamento su cui ancora si basa la condanna dell’omosessualità hanno un altro significato: negli episodi di Sodoma (Genesi 19) e di quello simile di Gabaa (Giudici 19) il crimine non sta tanto nell’omosessualità, quanto nella violenza e nella volontà di umiliare e rifiutare lo straniero.
Nell’Antico Testamento invece ci sono segnali molto importanti e molto belli, non esplicitamente riferiti all’omosessualità, ma piuttosto al cammino di maturazione che il popolo ebraico compie rispetto all’emarginazione di gruppi e di persone. La Bibbia ci offre così una cornice più larga in cui porre anche questo aspetto della vita.
Dio ‘sceglie’ il popolo ebraico perché sia segno, in mezzo agli altri popoli, della sua volontà di giustizia che vuole salve tutte le creature. Poi Israele, con l’illusione di essere sempre più all’altezza della missione che Dio gli ha dato, al suo interno opera altre ‘scelte’ emarginando gruppi considerati ‘impuri’. Nel Deuteronomio, per esempio, (23, 2-9) si elencano le categorie escluse dall’Assemblea del culto: gli eunuchi, i bastardi e i forestieri. Ma il cammino verso i tempi messianici è un cammino verso l’inclusione, perché i tempi messianici sono per tutti, come si legge nel Terzo Isaia (56,1.3-5): Osservate il diritto e praticate la giustizia..... Non dica lo straniero che ha aderito al Signore: «Certo mi escluderà il Signore dal suo popolo!» Non dica l’eunuco: «Non sono che un albero secco!». Perché così dice il Signore: “Agli eunuchi, che osservano i miei sabati, si comportano come piace a me e restan fermi nella mia alleanza, io darò un posto nel mio Tempio per il loro nome. Questo sarà meglio che avere figli e figlie perché io renderò eterno il loro nome. Nulla potrà cancellarlo”.
Questo capovolgimento di Isaia è una pietra miliare! Non ha alcun valore davanti a Dio lo stato oggettivo di natura o di cultura in cui uno si trova: uomo, donna, omosessuale, eterosessuale, bastardo, straniero, genio o di modesta intelligenza; ciò che conta è osservare il diritto e praticare la giustizia, ciò che conta è amare il Signore e i fratelli.
Non vogliamo dire che Isaia in questo passo alludesse agli omosessuali, non poteva per i motivi che abbiamo detto prima. Ma noi non dovremmo vedere l’omosessualità in questa luce? Compito della Chiesa è allargare le braccia, includere e non emarginare, amare le persone piuttosto che salvare i principî. Ha detto il Maestro: “Il Sabato è stato fatto per l’uomo, non l’uomo per il Sabato”. (Marco 2,27)
Di questo cambiamento hanno preso atto anche i Capi della Chiesa cattolica che più volte hanno dichiarato di non condannare gli omosessuali ma l’omosessualità, e questo per loro è un passo in avanti. In realtà non se ne capisce il significato! sarebbe, come dire ad uno zoppo: "Non abbiamo nulla contro il tuo ’essere zoppo’, basta che tu cammini diritto o che tu stia a sedere!"
A proposito dell’essere sterili o fecondi, Gesù ha detto che è il cuore che deve essere fecondo e Paolo dirà che si entra nel popolo di Dio per fede, non per diritto ereditario. Ma allora chi può onestamente definirsi fecondo? Chi può farsi giudice della fecondità altrui o della propria? La sterilità ci può colpire tutti.
Questo modo di accogliere profondamente la vita di ogni essere umano lo abbiamo imparato dalla Chiesa! Per i discepoli di Gesù non si tratta tanto di difendere principî, di custodirli rigorosamente come gli angeli con la spada di fuoco davanti all’albero della vita, ma di ‘scrutare’ la vita delle donne e degli uomini del nostro tempo, per farla progredire verso la pienezza. Si tratta di esser fedeli non ad un Dio noto e posseduto, ma ad un Dio ‘che viene’. Ha detto Gesù: “Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete valutarlo?” (Luca 12, 56)
A noi sembra che proprio dalla Chiesa dovrebbe arrivare un riconoscimento del modo nuovo di comprendere l’omosessualità, con un segno di accoglienza e di profondo rispetto per i sentimenti di amore di chi vive personalmente questa condizione. Due persone che si amano non sono un attentato alla società né il tradimento del Vangelo. Gli scandali vanno cercati altrove! Rifacendosi da una parte a queste fonti bibliche e dall’altra all’esperienza umana che viviamo ogni giorno con queste persone, sentiamo evangelico e naturale accogliere in pienezza di comunione queste differenti forme di amore. Le sentiamo parte integrante del nostro cammino di comunità di fede e di vita, e con loro, così come con tutti gli altri, partecipiamo insieme alla Comunione sacramentale e comunitaria.
Il Libro della Sapienza (11, 24-26) ci offre un tratto stupendo del Creatore, che dovrebbe essere ‘luce sul nostro cammino’: “Tu, Signore, ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure creata. Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi? O conservarsi se tu non l’avessi chiamata all’esistenza? Tu risparmi tutte le cose, perché tutte son tue, Signore, amante della vita”."
La Chiesa, Martini e i gay
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 24 marzo 2012)
Nell’arco di neanche un mese tre colpi di maglio sono calati sulla pretesa della Chiesa di bloccare in Italia una legge sulle coppie di fatto. Prima c’è stato il clamoroso funerale di Lucio Dalla a Bologna: celebrato in cattedrale con tutti i crismi, permettendo al compagno omosessuale del defunto omosessuale di commemorarlo a pochi passi dall’altare.
Poi, il 15 marzo, è venuta la sentenza della Corte di Cassazione, che pur respingendo la trascrizione in Italia di un matrimonio omosessuale celebrato all’estero, ha sancito per la coppia gay, in presenza di specifiche situazioni, il diritto a un “trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata”.
ORA SI FA sentire direttamente dall’interno della Chiesa il cardinale Martini, affermando che non ha senso demonizzare le coppie omosex e impedire loro di stringere un patto. Con la pacatezza che lo contraddistingue l’ex arcivescovo di Milano sfida, dunque, quella “dottrina Ratzinger” che consisterebbe nell’obbligo dei politici cattolici di uniformarsi ai “principi non negoziabili” proclamati dalla cattedra vaticana, impedendo il varo di una legislazione sulle unioni civili e meno che mai sulle unioni gay.
Da molti anni Carlo Maria Martini esercita la sua notevole libertà di giudizio, esortando con mitezza la Chiesa a non scambiare il nocciolo della fede con la fossilizzazione di posizioni non sostenibili per il sentire contemporaneo. Vale anche per la posizione da adottare nei confronti dei rapporti omosessuali, dove l’istituzione ecclesiastica è ferma da anni in mezzo al guado. Perché quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede Joseph Ratzinger aveva emanato documenti per esortare al rispetto delle persone omosessuali e ripudiare ogni tipo di discriminazione, irrisione e persecuzione. Ma al tempo stesso aveva ribadito che la pratica omosessuale rappresenta una grave offesa all’ordine morale: di qui la condanna senza appello delle relazioni uomo-uomo oppure donna-donna. Con la conseguenza di sabotare in Italia i tentativi dell’ultimo governo Prodi di approvare una legge sulle coppie di fatto.
Nel libro Credere e conoscere (ed. Einaudi), dove dialoga con il chirurgo cattolico Ignazio Marino esponente del Pd, il cardinale Martini afferma invece che vi sono casi in cui “la buona fede, le esperienze vissute, le abitudini contratte, l’inconscio e probabilmente anche una certa inclinazione nativa possono spingere a scegliere per sé un tipo di vita con un partner dello stesso sesso”. Nel mondo attuale, sostiene il porporato, questo comportamento non può venire “né demonizzato né ostracizzato”. E perciò Martini si dichiara “pronto ad ammettere il valore di un’amicizia duratura e fedele tra due persone dello stesso sesso”.
L’EX ARCIVESCOVO di Milano, peraltro, sottolinea il significato profondo del fatto che Dio ha creato l’uomo e la donna e quindi il valore primario del matrimonio eterosessuale e aggiunge anche di non ritenere un “modello” l’unione di coppia dello stesso sesso. E tuttavia, attento ai bisogni delle persone nella loro umanità, il cardinale afferma che se due partner dello stesso sesso “ambiscono a firmare un patto per dare una certa stabilità alla loro coppia, perché vogliamo assolutamente che non sia?”. Le motivazioni del matrimonio tradizionale, spiega, sono talmente forti che non hanno bisogno di essere puntellate con mezzi straordinari.
D’altronde molti nella Chiesa, vescovi e parroci, la pensano come lui. Anche se non parlano. Nel 2008 la rivista dei gesuiti milanesi Aggiornamenti sociali pubblicò uno studio per dire che - ferma restando la dottrina - dal punto di vista del bene sociale era positivo dare la possibilità alle coppie gay di avere una relazione stabile regolamentata dal diritto. E quindi era giusto legiferare in materia.I VERTICI ecclesiastici, sulla questione, chiudono occhi e orecchie.
Eppure è un segnale che alla televisione, intervenendo a Otto e mezzo, il leader cattolico Pier Ferdinando Casini si sia detto pubblicamente d’accordo con la sentenza della Cassazione, rimarcando che le “coppie omosessuali hanno diritto alla loro affettività e a essere tutelati nei loro diritti”. Casini ha fatto un esempio concreto: “Se convivo da trent’anni con una persona, in tema di asse ereditario bisogna essere sensibile a quella persona che ha convissuto con me”. È uno dei motivi per cui una legge è necessaria. Ed è bene che in parlamento si torni a parlare di alcune proposte di legge sin qui congelate.
“Omofobica e piena di gay”: il teologo cattolico David Berger racconta l’ipocrisia della chiesa tedesca
da: Adista - Notizie (n. 97, 18 dicembre 2010)
“Gran parte del clero cattolico e degli aspiranti preti in Europa e negli Stati Uniti è omosessuale”.
“Nella Chiesa cattolica esiste una connessione tra la sessualità repressa e l’omofobia”.
A pronunciare queste parole è il teologo cattolico tedesco David Berger in un libro-confessione appena uscito in Germania intitolato Der heilige Schein. Als schwuler Theologe in der katholischen Kirche (“La santa apparenza. Un teologo gay nella Chiesa cattolica”).
Nel suo libro Berger, ex professore della Pontificia Accademia San Tommaso D’Aquino a Roma ed ex direttore della rivista di punta dei cattolici conservatori in lingua tedesca Theologisches, snocciola i numeri della “grande ipocrisia” della Chiesa cattolica sul tema omosessualità. “Secondo studi empirici nella Chiesa cattolica tedesca la percentuale di religiosi gay si aggira tra il 25% e il 40%. Alcuni teologi, come Wunibald Müller, stimano che nei seminari i docenti gay siano addirittura il 50%. Negli Usa la percentuale di preti gay è stimata tra il 25 e il 50%”. Berger racconta che lui stesso, da teologo cattolico convivente con un partner, per molti anni ha dovuto subire come un incubo l’atmosfera ostile ai gay della sua Chiesa, fino a quando, nell’aprile del 2010, ha deciso di fare outing, ricevendo dopo poche settimane la lettera di licenziamento dall’Accademia pontificia. Per spiegare la propria appartenenza agli ambienti più tradizionalisti della Chiesa cattolica, da cui ora prende le distanze, ma ai quali deve la sua carriera fulminante,
Berger si richiama alla sua precocissima “fascinazione per la liturgia latina e tridentina”. “Proprio l’estetica del culto tradizionalista - spiega - esercita una particolare attrazione sui gay”, anche se d’altra parte “è tra i difensori della liturgia tridentina che si trova l’omofobia più radicale”. Alla base di questo paradosso, ha spiegato in un’intervista rilasciata al settimanale Der Spiegel, c’è un meccanismo inquietante: “La sublimazione omosessuale è una radice e un nutrimento continuo del culto della Chiesa tradizionale, ma è anche un meccanismo di resistenza all’omosessualità, che spiega l’omofobia diffusa tra gli amici del rito classico e tra gli avversari della riforma liturgica”. Sulla confessione pubblica di Berger si era già espresso il teologo morale Eberard Schockenhoff.
In un’intervista rilasciata il 26 aprile 2010 alla Frankfurter Rundschau, Schockenhoff aveva dichiarato che la confessione di Berger accende i riflettori sui “pericoli mortali della doppia morale” della Chiesa cattolica sull’omosessualità. “Ci sono ambienti gay clericali - ha affermato - dove la sessualità viene vissuta esclusivamente in luoghi anonimi e con partner sessuali occasionali, per non incorrere nei pericoli di una relazione di lungo periodo che alla lunga non può essere nascosta. Le regole della dottrina morale del cattolicesimo finiscono per promuovere sesso poligamo, anonimo (spesso anche non protetto), con tutti i rischi connessi per la salute dell’anima e del corpo”.
C’è forse un implicito riferimento anche a questa realtà - si chiedono ora i giornali tedeschi - dietro le ultime dichiarazioni del papa, laddove come esempio di eccezione giustificabile nell’utilizzo del condom questi ha parlato espressamente di “uomini che si prostituiscono”?
Padre Felice esce allo scoperto: ora ho una storia, chi sa lo accetta
«IO, PRETE GAY ALL’ATTACCO DELL’IPOCRISIA CATTOLICA»
di Patrizia Albanese (Il Secolo XIX, 09 gennaio 2009)
Genova. «Come vive la propria omosessualità un prete come me? Con molta serenità». Padre Felice, 50 anni, parroco in un Comune della Liguria, parla con il tono leggero di chi questa «serenità» non soltanto la vive davvero, ma la trasmette pure agli altri. Anche perché se l’è conquistata a caro prezzo. Con anni di tormenti, iniziati da adolescente. E poi in seminario, dove confida di aver «avuto la fortuna di una relazione con un altro seminarista». Una bella storia d’amore, «poetica, durata a lungo: per 15 anni». Ma che non gli ha risparmiato riflessioni interminabili e molto critiche. Sia verso se stesso, sia verso la Chiesa. Oggi che anche il quotidiano dei vescovi Avvenire ha aperto il dibattito su sacerdozio e omosessualità, padre Felice può rivelare tranquillamente di essere un prete gay.
«Sì, sono gay come molte altre persone all’interno della Chiesa, sebbene non tutte si manifestino». Appunto. Molti religiosi - preti e suore - sono omosessuali. Ma difficilmente ne parlano. Tantomeno in pubblico. Invece Italo, come si chiamava padre Felice nel mondo laico, quando ancora abitava in Lombardia con la famiglia, non soltanto ne parla, ma lo fa con estrema naturalezza. Conferma padre Felice: «Per vivere l’omosessualità con serenità occorre accettare se stessi. E mettere un filtro alla dinamica della gerarchia ecclesiastica e omofobica».
Padre, non è che qui parte una sospensione a divinis?
«All’inizio, vivi con terrore. Nascondendolo a te stesso. Poi capisci che devi accettarti, facendo un cammino di maturazione affettiva. Un cammino che di solito viene negato. Basta leggersi "Il diario di un curato di campagna" di George Bernanos per capire che cosa prova il classico pretino schiacciato».
Quando ha realizzato di essere gay?
Da ragazzino, si percepisce. In seminario, si realizza pienamente. Verso i vent’anni, si arriva all’accettazione».
Di nascosto? Pregando e macerandosi?
«Ho avuto la fortuna di una relazione con un altro seminarista. Era tutto molto poetico. Si hanno vent’anni. E tutta l’incoerenza dei vent’anni. Ma con la speranza data dalle aperture del Concilio. Così almeno si pensava allora. Perché poi è arrivata la Restaurazione. Ma la Chiesa non è una compagnia militare. È una comunione di più voci. Di più anime».
Quant’è durata la storia in seminario?
«Quindici anni. Anche lui è diventato prete. Poi ci siamo lasciati. L’amicizia è rimasta. Ora è missionario in Centro America».
Lei è così tranquillo...
«Guardi che conosco molti preti omosessuali, molto tranquilli e altrettanto sereni. Diverso è il caso di quelli che rifiutano di accettarlo e di accettarsi. Sono i primi a scagliarsi...».
Lei è single?
«Ho una storia da sei mesi. Con un coetaneo. Prete? No, pure lui single».
Scusi, padre, e la comunità?
«Non tutti sanno tutto. Mica siamo a un reality. Però chi sa accetta. E non ha problemi. Anzi, proprio per questo sono diventato un punto di riferimento per chi ha problemi d’amore. No, non soltanto gay. Anzi. Direi che si rivolgono a me i ragazzi etero. Sanno che posso comprenderli».
Scusi, ma la castità?
«Bella domanda. Soltanto i monaci e i frati fanno voto di castità sul modello greco di perfezione. Noi preti facciamo promessa di celibato».
Ossia?
«In realtà è frutto di un diktat della Chiesa del 1200, decisa a evitare che i patrimoni finissero alle famiglie dei religiosi. In realtà, non c’è mai stato obbligo di celibato. Tant’è che non esiste nelle altre religioni. E fino al 1200 neppure per noi. Francamente, penso che il fatto di vivere da soli non faccia maturare. Non ti fa preoccupare dell’altro».
Come dire che senza un partner e dei figli non si possono comprendere gli affanni quotidiani dei fedeli?
«Concordo. Ma sempre più la famiglia etero viene usata come scudo contro gli omosessuali. È la tragedia del nostro tempo. Che esiste solo da noi. Non in Africa, per esempio. La vita celibataria nelle Missioni non esiste. È importante, però, non farlo sapere. È il gap tra realtà e gerarchie ecclesiastiche. Che all’inizio tutelavano i patrimoni, ora disprezzano la sessualità. A parole. Nell’ipocrisia cattolica, basta non farlo sapere».
Invece lei fa coming out. È innamorato?
«Sì, felicemente. Da sei mesi. Una cosa molto serena».
Chi ha fatto il primo passo?
«Direi lui, eravamo in vacanza. Abbiamo iniziato parlando molto. Ci incontravamo».
E ora quando vi vedete? Nel fine settimana?
«Veramente, sabato e domenica io non posso... - ride - Ma nei giorni feriali, stiamo insieme».
Allora, auguri.
«Grazie di cuore».
Patrizia Albanese
Don Z., sacerdote di campagna: "I miei fedeli lo sanno, spesso la gente è più avanti di quel che si pensi"
"PARROCO E OMOSEX, NON MI NASCONDO SONO I VESCOVI A TEMERE LO SCANDALO"
Cominciò tutto in seminario, mi innamorai di un ragazzo: ora è andato via, siamo amici
di MARCO POLITI (la Repubblica, 09 gennaio 2009)
ROMA - Prete, gay, cinquantenne. Don Z. non è rimasto affatto colpito dal fatto che si stia aprendo una breccia nel muro di tabù che nella Chiesa circonda ancora l’omosessualità.
«L’Avvenire - risponde sorridendo - agli occhi del clero rappresenta un po’ il giornale governativo. Certo affermare la normalità dell’omosessualità diventa importante per quei fedeli i quali attendono ancora la linea dalla gerarchia. Però interessa meno a quei preti che da tempo vivono liberi la propria affettività».
Don Z. è parroco di campagna, è stato ordinato circa una ventina di anni fa e in un certo senso è gay da sempre.
Quando ha scoperto il suo orientamento sessuale?
«Da adolescente, come molti, e poi più chiaramente al seminario».
Cosa è successo?
«Mi sono innamorato di un altro seminarista. È una storia durata qualche anno, anche lui è diventato prete, ha cambiato città e siamo rimasti buoni amici».
Non siete stati scoperti?
«In seminario ognuno si faceva gli affari propri. C’era una vita abbastanza libera e su una trentina di allievi circa sette, otto avevano relazioni. Etero oppure omosessuali».
Prima dell’ordinazione ha avuto dubbi?
«No».
Poi ha avuto altre storie?
«Ci sono stati anche periodi in cui sono stato per conto mio, una breve stagione in cui ho frequentato ritrovi gay, ma in complesso ho vissuto una vita tranquilla. Adesso da un anno ho una nuova relazione. Credo che tutto dipenda dalla maturazione di una persona. Ci sono preti bravissimi che non hanno alcuna relazione e preti altrettanto bravi che hanno un rapporto».
Tutto avviene sempre in maniera così serena?
«Niente affatto. Ci sono preti che vivono la loro situazione con grande sofferenza, perché oscillano fra liberazione e repressione. Non hanno il coraggio di essere chiari con se stessi. Non c’è cosa più drammatica che rifiutare se stessi e contemporaneamente abbandonarsi ad una sessualità sregolata e poi ricadere nel bisogno di colpevolizzazione. Alla fine è essenziale chiarirsi e affrontare la vita con maturità».
I vescovi sanno?
«I vescovi sono terrorizzati, soprattutto in questa fase di restaurazione in Vaticano. Se c’è scandalo, cercano di coprire. Se tutto avviene senza scalpore, spesso fingono di non vedere. Magari vengono a sapere che un prete ha un nipote in canonica che nipote non è, ma sono restii a intervenire o suggeriscono semplicemente di non creare situazioni che possano creare scompiglio».
I suoi fedeli lo sanno di avere un parroco gay?
«Alcuni sì. Spesso i fedeli sono più avanti di quanto si pensi. "Sappiamo che quel prete ha amici - dicono - ma è bravo, predica bene, confessa bene, assiste gli anziani. Apprezziamo quello che fa". Da me in parrocchia i ragazzi e i giovani lo sanno».
Come l’hanno scoperto?
«Gliel’ho detto io».
Sul serio?
«Ho alcuni gruppi di ragazzi. Un giorno uno di loro ha detto di non sopportare gli omosessuali. Allora gli ho risposto: guarda, che ne hai uno davanti! I ragazzi hanno reagito in modo molto tranquillo, nessuno è andato in giro a dire niente. D’altronde uno di loro ha una zia lesbica, in paese lo sanno tutti e niente più».
In confessione ha incontrato fedeli, che hanno sollevato il problema di essere gay?
«Qualche volta. In genere, giovani angosciati dall’insegnamento cattolico tradizionale, che li spinge a non accettarsi, quasi a odiarsi, perché l’omosessualità è presentata come una cosa orribile e mostruosa».
E lei cosa fa?
«Li consiglio a rivolgersi a qualcuno che possa aiutarli a capire meglio se stessi».
"Preti gay, per i fedeli non è più tabù"
Reazioni positive all’articolo di Avvenire su clero e omosessualità. "Giusto discuterne"
di m. pol. (la Repubblica, 9.1.2009)
Aprire la discussione su omosessualità e preti gay sulle pagine dell’Avvenire è stato come una scossa culturale, che sta attraversando l’opinione pubblica cattolica. Il giorno dopo il direttore Dino Boffo commenta sereno: «Ci è parso normale parlarne nei termini civili e documentati come ha fatto il professore Andreoli. Ho condiviso la sua intenzione di toccare anche situazioni dolorose e casi estremi». Però, precisa Boffo, l’articolo va inquadrato in un reportage di quarantotto puntate che sta affrontando tutti gli aspetti del sacerdozio: dai problemi in seminario ai rapporti tra clero e politica, dai preti operai ai sacerdoti presenti nei mass media.
Di fatto lo psichiatra - ponendo la questione del rapporto tra vocazione ed omosessualità - ha sfiorato la punta di un iceberg, che rimanda ad una realtà molto più sviluppata di quanto siano pronte ad ammettere le autorità ecclesiastiche. «Tranne casi di disperazione e di grande tormento interiore - commenta un prete omosessuale romano - una parte consistente del clero gay non si considera minimamente malata e c’è una giovane generazione che vive la propria vita senza paura di rappresaglie». Può anche accadere, spiega a Repubblica un sacerdote gay del settentrione, che un prete lo dica al proprio vescovo e non accada nulla, perché le autorità hanno soprattutto paura dello scandalo. «Io l’ho fatto e poi ho lasciato il mio ministero - racconta - ma ho rifiutato di firmare una lettera di richiesta di riduzione allo stato laicale. E non è stato aperto nessun procedimento canonico contro di me. Ufficialmente sono ancora prete».
Don Domenico Pezzini, professore emerito di Letteratura inglese medievale, fondatore e animatore di gruppi cattolici omosessuali, ritiene che vi siano parecchi preti gay che «vivono ormai serenamente la loro condizione e per i quali non ha più nemmeno importanza come si pronuncia l’istituzione ecclesiastica. Chi rimane nel ministero, che sia etero oppure omosessuale, ha la stessa fatica nel gestire il celibato e se incontra difficoltà le affronta a misura della sua saggezza e percezione di sé». Quanto ai credenti gay, afferma, c’è chi fa il sagrestano, l’organista, il cerimoniere o il membro del consiglio parrocchiale e il parroco lo sa e non obietta. Nelle parrocchie, peraltro, l’atteggiamento dei fedeli è diventato in genere molto più aperto. Toccherebbe all’episcopato, semmai, mandare finalmente un messaggio più «inclusivo» invece di ripetere tanti no.
Anche per padre Bartolomeo Sorge, gesuita, direttore della rivista Aggiornamenti Sociali, non bisogna avere nessuna paura di sviluppare una ricerca seria su temi che pongono anche interrogativi nuovi. Resta la domanda, soggiunge, se la massa dei fedeli sia pronta a recepire tutto. Perciò «ci vuole prudenza nella divulgazione».
ANCHE IL GAY PUO’ ESSERE PRETE
di Vittorio Andreoli (Avvenire, 7/01/2009)
Nel 1992 l’omosessualità veniva cancellata da quel Registro delle Malattie che è redatto dall’Organizzazione mondiale della Sanità, e del quale ogni quattro anni si fa una revisione, in vista di un aggiornamento. In precedenza, l’omosessualità era inclusa tra le malattie, e da allora non vi figura più, venendo scientificamente considerata invece «una caratteristica della personalità».
Come tale non rientra più né in una diagnosi né in una cura medica. Io sono un medico e uno psichiatra, e anche da questo solo punto di vista non considero l’omosessualità una malattia; seppure non posso dimenticare che prima di quella data c’erano schemi di cura sia organica (per la modificazione cioè dei parametri biochimici) sia psicoterapica. E neppure posso dimenticare che non pochi di quei cosiddetti malati venivano ricoverati addirittura in manicomio: ricordo ancora le cartelle cliniche con indicata la diagnosi di omosessualità.
È appena il caso tuttavia di segnalare che qui ci stiamo riferendo a quello che comunemente viene chiamato orientamento omosessuale, che è connesso alla persona, prima dunque che essa si esplichi in determinati comportamenti. So bene che la "pratica" omosessuale investe anche altri ambiti di competenza, ad esempio quella della teologia morale, sulla quale tuttavia io non entro, per il rispetto che porto alla materia. Ogni lettore peraltro ha sotto il profilo morale un suo quadro di riferimento, che pure rispetto. Nel mio discorso svolgo un ragionamento che si pone sul versante di una competenza scientifica, per la quale le manifestazioni e i comportamenti che scaturiscono dall’omosessualità non sono patologie ma variabili all’interno di quella che si chiama normalità, pur se questa è difficile da definire.
Mi pare si possa dire anche che l’omosessualità è una diversità, seppure la persona omosessuale non è definibile solo rispetto ad una propensione sessuale: egli è connotato da un insieme più ampio di caratteristiche e di abilità. Sarebbe insomma un errore circoscrivere e qualificare un uomo per l’uso di un suo organo, come altrettanto stravagante sarebbe ridurre tutte le variazione dell’eterosessuale a questo solo comportamento.
So che sull’argomento si potrebbe aprire una discussione infinita, confesso però che come membro di una comunità scientifica non posso arrogarmi un diritto definitorio, che nel suo ambito spetta alla scienza, a cui partecipo come scienziato, senza tuttavia poterla rappresentare. Non a caso questa attività ¿ mia e dei miei colleghi ¿ è disciplinata anche dall’Ordine dei medici, e non ha molto senso che un singolo emetta "diagnosi" se la scienza ha appurato che di altro si tratta. Questa mia posizione ovviamente non impedisce che ne esistano altre, che attribuiscono all’omosessualità un significato differente. Approdi, questi, che io reputo un errore ma che non mi sogno di negare.
Quanto dicevo prima non significa però che l’omosessualità possa ridursi a qualcosa di irrilevante. E faccio un esempio. Fino al 1992 il regolamento che normava il Servizio militare di leva, allora obbligatorio, prevedeva l’esclusione dell’omosessuale come persona non idonea al servizio stesso. Questo comma decadde, e ricordo che ci fu una commissione ¿ incaricata di rivedere la faccenda ¿ a cui anch’io partecipai. L’esclusione non poteva più essere motivata su quella base, ma avrebbe potuto essere argomentata in forza delle caratteristiche che sono richieste per quel dato servizio. Appare infatti del tutto legittimo che una forza armata cui sono demandati determinati compiti, scelga - specie oggi che il servizio è volontario - gli aspiranti che lasciano prevedere di saper realizzare, al meglio e senza fatica, il compito richiesto.
Su un piano forse fin troppo pragmatico taluno arriva a dire che un ragionamento simile potrebbe valere anche nelle scelte che la Chiesa deve fare circa il proprio personale. Chi le impedisce infatti di riscontrare che determinate caratteristiche mettono l’aspirante al sacerdozio in particolare difficoltà, e per questo di decidere che l’omosessuale non verrà ammesso? Su una simile base, molto concreta e operativa, avviene in fondo per ogni ricerca di personale, e persino nella selezione dei grandi cervelli da indirizzare ai vari campi del sapere. C’è chi ha una propensione straordinaria per il mondo del digitale, e chi invece fatica moltissimo anche solo avvicinarvisi. Va da sé che il secondo non lo manderei mai in una Sillicon Valley.
Voglio dire che non mi scandalizzo se un’organizzazione, come in fondo è la Chiesa, decide di escludere dal sacerdozio ministeriale l’omosessuale. Date le mie convinzioni, potrei scandalizzarmi se lo ritenesse un malato, ma non certo se essa si dà dei criteri per la selezione del proprio personale.
Anche se questo lascia, a mio avviso, aperta la questione sul perché debbano essere per forza escluse oggi dalla vita sacerdotale le persone di orientamento omosessuale.
Riconosco che è un argomento difficile, almeno per me, e ¿ ripeto ¿ ho rispetto per la Chiesa, che in questo campo fa valere un criterio di somma prudenza. Benché qui continuiamo a tenerci lontani da quell’esercizio anomalo della sessualità esercitata senza consenso, e magari su un incapace, e che la legge stessa punisce comunque come abuso e violenza, sia che si tratti di omosessualità che di eterosessualità.
In ragione della mia professione, qualche prete omosessuale l’ho conosciuto: o che desiderava superare da questa tendenza comportamentale, o che - casto - voleva saper contenere l’urgenza che gli si presentava. Posso solo dire che in genere si è trattato di persone provate dal confronto tra la loro personale inclinazione e una vocazione, quella del prete, che ti induce ad ascoltare gli altri, e a mettere sé in secondo piano così che sia Dio in quel rapporto a prevalere. Erano cioè persone non prive di un desiderio di autenticità, ma che certo sentivano e vivevano drammaticamente la loro fragilità.
Che poi è una fragilità che il costume vigente bolla in modo marcato. La sensibilità popolare infatti ha in genere una reazione differenziata di fronte a uno scandalo eterosessuale oppure omosessuale, nel senso che considera un male minore per un prete la relazione con una donna piuttosto che con un uomo.
E questo lo si può capire, seppure in ultima istanza non è in alcun caso l’argomento forte per la deterrenza. In primo luogo, infatti, contano la serietà e la lealtà con cui ciascuno affronta il proprio progetto di vita. E poi non dimentichiamo che ci sono contesti geografici e ambientali in cui i costumi cambiano, e cambia anche la sensibilità prevalente. E dunque, non è su questa che ci si può basare per impostare una strategia correttiva.
Ripeto, nel discorso vocazionale deve contare soprattutto la coerenza con il messaggio che si annuncia perché questa sola rende testimoni credibili.
Va da sé, ma lo diremo ancor meglio nella tappa successiva, che l’omosessualità si distanzia anni luce dalla pedofilia: questa infatti, per la medicina, rientra clinicamente tra le malattie sessuali, legate alla difformità dell’"oggetto" di attrazione. E anche dal punto di vista sociale la pedofilia resta un delitto avvertito come abominevole, in quanto non solo non rispetta l’altro, più piccolo, ma lo violenta in una fase per di più delicatissima della sua esistenza.
Nella tappa odierna ho inteso portare in scena una visione dell’omosessualità che non è più quella degli stereotipi culturali di un tempo. Occorre stare attenti infatti a non infliggere stigmi non solo intollerabili ma anche falsi. C’è un’evoluzione culturale in atto che, acquisendo i portati della scienza, può oggi presentare l’omosessualità entro uno schema diverso da ieri. Tra l’altro, si deve sempre stare attenti al carico di sofferenza inutile che si mette sulle spalle delle persone, senza che abbiano colpe particolari. Non per questo tuttavia si deve arrivare a valutazioni di irrilevanza o a nuovi e opposti eccessi, ad esempio sul piano di una femminilizzazione del costume. E per ciò occorre stare attenti a che nei processi educativi siano sempre chiari i parametri di riferimento.
Per quanti poi si incamminano nella strada che porta al sacerdozio è importante svolgere un sapiente discernimento, che non disdegni all’occorrenza le competenze professionali. Torno a ripetere qualcosa che già dissi all’inizio di questo viaggio, e cioè che non bisogna aver paura di rivolgersi agli esperti di psicologia. Meglio una disamina chiara dei problemi che ci sono oggi che un fallimento domani.
Ovvio che non intenda con queste affermazioni mettermi neppure lontanamente in conflitto con le determinazioni del magistero, sia per quel che concerne la conduzione delle comunità educative particolari che sono i seminari, sia - ancor prima - per quanto riguarda l’impostazione della dottrina morale. Che va presentata e offerta alle persone come una pista di crescita nell’autenticità e nel rispetto di sé e degli altri.
Arrivato al termine di questa puntata, non posso tuttavia esimermi dall’inviare un pensiero di riguardo ai sacerdoti che si sono scoperti omosessuali, e che in questa declinazione affettiva soffrono per restare fedeli alla loro vocazione: a costoro vorrei dire - io non credente - di rivolgersi a Dio per chiedergli l’aiuto a far sì che anche questa "caratteristica" diventi una ricchezza a servizio della missione cui stanno dedicando la loro vita.
"La Chiesa non escluda i preti gay"
l’apertura del giornale dei vescovi
Il direttore di "Avvenire": dibattito costruttivo
Lo psichiatra Vittorino Andreoli: "L’omosessualità non è una malattia"
di Marco Politi (la Repubblica, 8.1.2009)
Smettere di considerare l’omosessualità come una malattia. Lo scrive su "Avvenire" lo psichiatra e scrittore Vittorino Andreoli, invitando i lettori cattolici a fare i conti con l’evoluzione culturale e scientifica e a capire che l’omosessualità non risponde più a vecchi stereotipi. Ma Andreoli va anche più in là. Pur sottolineando di non entrare minimamente nella questione del diritto della Chiesa di selezionare il clero secondo propri criteri, lo psichiatra mette nero su bianco: «Questo lascia aperta la questione sul perché debbano essere per forza oggi escluse dalla vita sacerdotale le persone di orientamento omosessuale».
Andreoli sta svolgendo sul giornale dei vescovi un’inchiesta sui preti che ha già raggiunto le quarantotto puntate. E l’articolo su «Il sacerdote nei casi estremi: l’omosessualità» è introdotto con tutti i crismi dal direttore Dino Boffo, che rende omaggio alla sua professionalità, spiegando che il suo argomentare «è affidato alla nostra riflessione libera e ad un dibattito costruttivo».
In effetti l’intervento cade come un sasso nello stagno, mentre da anni la gerarchia ecclesiastica batte sul tasto dell’omosessualità come peccato orribile da non assolvere se si vive stabilmente con un partner gay, come «grave disordine morale» e causa di non ammissione all’ordinazione secondo quanto ribadito recentemente da un’Istruzione vaticana. Leggere sull’ "Avvenire" che sul piano scientifico «le manifestazioni e i comportamenti che scaturiscono dall’omosessualità non sono patologie, ma variabili all’interno di quella che si chiama normalità, pur se questa è difficile da definire», è un piccolo terremoto. Un «fatto importante» dicono a "Repubblica" tre persone di orientamento del tutto differente: il professor Tonino Cantelmi, presidente dell’Associazione psicologi e psichiatri cattolici, Franco Grillini già presidente dell’Arcigay, Gianni Geraci del gruppo omosessuale cattolico milanese «Il Guado».
Per il professor Cantelmi affrontare il tema «è positivo». Fermo restando che tocca alla Chiesa l’aspetto morale e spirituale, Cantelmi sottolinea da psichiatra cattolico che «noi ci adeguiamo ai convincimenti della comunità scientifica e comunque la scelta dell’ "Avvenire" dimostra che la Chiesa non ha un atteggiamento discriminatorio verso i gay». Più colorito Grillini: «È bene che nella tana del lupo (l’ "Avvenire") si leggano cose di buon senso. In America un dirigente dell’associazione Exodus, che organizzava corsi di pseudoguarigione dall’omosessualità, ha dovuto chiedere scusa all’opinione pubblica gay».
Gianni Geraci, che per anni ha animato il coordinamento dei gay cattolici italiani, trova «interessantissimo» che sul giornale dei vescovi si manifesti attenzione a «discorsi scientificamente fondati», respingendo la tendenza di certi movimenti carismatici a voler guarire gli omosessuali.
Andreoli preannuncia un approfondimento. Il suo approccio iniziale è stato estremamente soft. Parla di «orientamento omosessuale» e non di pratica. Ribadisce: «Non mi scandalizzo se un’organizzazione come la Chiesa decide di escludere dal sacerdozio ministeriale l’omosessuale». Ma le sue conclusioni lasciano il segno. Ai sacerdoti scopertisi omosessuali e che soffrono per restare fedeli alla loro vocazione (in castità) «vorrei dire � io non credente � di rivolgersi a Dio e chiedergli l’aiuto che anche questa caratteristica diventi una ricchezza al servizio della missione».
Gay in piazza contro il Vaticano: appoggia le peggiori dittature *
Sono scesi in piazza per protestare contro le dichiarazioni del Vaticano che non ha firmato i documento dell’Onu in cui si chiedeva agli 80 paesi che ancora considerano l’omosessualità un reato, di depenalizzarlo. Sono i gay, trans, lesbiche e bisessuali italiani che non ci stanno ad essere considerati dei criminali. A capitanarli, c’è l’ex deputato di Rifondazione Comunista Vladimir Luxuria: porta il cappio al collo, per ricordare tutte quelle persone che, a causa del proprio orientamento sessuale, vengono uccise e torturate. «Il Vaticano - spiegano gli organizzatori del sit-in - non firmando il documento che la Francia ha proposto all’Onu per chiedere la depenalizzazione dell’omosessualità, di fatto sostiene gli oltre 80 paesi del mondo che perseguitano gli omosessuali, in 9 dei quali è prevista la pena di morte».
Alla manifestazione, promossa dalle associazioni Certi Diritti, Arcigay e Arcilesbica, hanno aderito Radicali Italiani e, tra le altre, le associazioni lgbt Mario Mieli, DjGayProject, GayLib, Libellula, Rosa Arcobaleno, oltre alle Associazioni Luca Coscioni e Nessuno Tocchi Caino. In piazza c’è anche l’ex deputato socialista Franco Grillino: «Con il rifiuto di sottoscrivere la mozione europea all’Onu - dice - il Vaticano getta la maschera del suo presunto buonismo schierandosi con le peggiori dittature islamiche comprese quelle dove governi islamo-fascisti comminano la pena di morte agli omosessuali: Iran, Mauritania, Sudan, Emirati arabi uniti, Yemen, Arabia Saudita, Nigeria».
Secondo Luxuria, quella del Vaticano contro i gay è una vera e propria crociata: «Ormai hanno un’ossessione di odio nei nostri confronti da rimanerne accecati - dice - non c’è nulla di evangelico nè di cristiano contro la depenalizzazione gay e la difesa della vita - conclude - non può essere fatta solo per gli embrioni o per Eluana Englaro».
* l’Unità, 06 Dic 2008
Ripresi gli orientamenti già affermati in un altro testo pubblicato nel 2005
Vaticano ribadisce: ’’No ai sacerdoti gay’’
Non contiene sostanziali novità rispetto al magistero tradizionale della Chiesa il documento redatto dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica guidata dal cardinale Gorchelewski. Sì al rispetto del celibato, attenzione all’aspetto psicologico dei futuri preti spesso messi in crisi da una società consumistica, da relativismo morale e instabilità affettiva.
Città del Vaticano, 30 ott. (Adnkronos) - No all’ingresso nei seminari degli omosessuali, sì al rispetto del celibato, attenzione all’aspetto psicologico dei futuri sacerdoti spesso messi in crisi da una società consumistica, da relativismo morale e instabilità affettiva. Non contiene sostanziali novità rispetto al magistero tradizionale della Chiesa il documento presentato oggi in Vaticano dal titolo ’’Orientamenti per l’utilizzo delle competenze psicologiche nell’ammissione e nella formazione dei candidati al sacerdozio’’, redatto dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica guidata dal cardinale Zenon Gorchelewski.
Il testo di fatto riprende gli orientamenti già affermati in un altro testo pubblicato nel 2005 e cerca di precisare alcuni punti. In ogni caso il sacerdozio rimane precluso alle persone con ’’tendenze omosessuali fortemente radicate’’.
Fra gli aspetti che hanno trovato un approfondimento c’è quello relativo al sostengo psicologico dei seminaristi: insomma la Chiesa accetta l’aiuto e il sostegno di Freud per gestire i problemi di solitudine e le carenze affettive dei sacerdoti: ’’Il cammino formativo dovrà essere interrotto nel caso in cui il candidato - afferma il documento - nonostante il suo impegno, il sostegno dello psicologo o la psicoterapia, continuasse a manifestare incapacità ad affrontare realisticamente, sia pure con la gradualità di ogni crescita umana, le proprie gravi immaturità (forti dipendenze affettive, notevole mancanza di libertà nelle relazioni, eccessiva rigidità di carattere, mancanza di lealtà, identità sessuale incerta, tendenze omosessuali fortemente radicate, ecc)’’. ’’Lo stesso deve valere - si spiega ancora - anche nel caso in cui risultasse evidente la difficoltà a vivere nel celibato, vissuto come un obbligo così pesante da compromettere l’equilibrio affettivo e relazionale’’.
I gay anglicani si mobilitano per la Conferenza anglicana mondiale di Lamberth
Esserci per testimoniare
di Gionata News *
Sono arrivati in Inghilterra i 650 vescovi anglicani che dal 16 al 31 luglio 208 parteciperanno alla "Lambeth Conference", la riunione di tutti i primati anglicani del mondo che si svolge ogni 10 anni a Canterbury, sede storica dell’arcivescovo anglicano.
La Conferenza si svolgerà quest’anno in un clima estremamente delicato, poichè circa 300 vescovi anglicani hanno contestato apertamente la volontà della chiesa d’Inghilterra di ammettere all’episcopato le donne e la decisione delle chiese episcopaliane di Canada e Stati Uniti di ordinare vescovi dichiaratamente gay ed anche di benedire le unioni omosessuali.
Anche le maggiori associazioni di gay anglicani saranno presenti alla Conferenza di Lambeth con eventi paralleli al programma ufficiale perche "i vescovi possano ... onorare l’impegno preso di ascoltare le nostre esperienze".
Segnaliamo alcune delle iniziative e delle tematiche della conferenza di Lamberth 2008:
Alla Conferenza di Lambeth gli anglicani discutono di donne vescovo e omosessualità
I gruppi gay anglicani si mobilitano per la Conferenza di Lambeth
Il vescovo gay Robinson: "diamo un’altra possibilità alla Chiesa" anglicana
I gay anglicani a Lambeth per testimoniare "l’amore inclusivo di Dio"
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L’idea dell’ordine in un opuscolo distribuito in 1300 parrocchie
La notizia riportata dalla Sir: nessuna reazione dalla Cei
Proposta choc dei domenicani olandesi
"Donne e gay dicano messa"*
CITTA’ DEL VATICANO - I frati domenicani olandesi hanno lanciato una proposta che farà discutere il mondo religioso: a dire messa, siano anche i laici, uomini o donne, etero o omosessuali, senza alcuna limitazione. La notizia viene riportata dal Sir, l’agenzia stampa promossa dalla Cei, che riferisce anche del giudizio critico espresso in merito da mons. Huub Ernst, vescovo emerito di Breda, che bolla l’idea come "in contrasto con la dottrina sociale della Chiesa". Da parte della Conferenza episcopale italiana, sottolinea il Sir, ancora non vi è stata alcuna reazione.
La proposta è stata diffusa attraverso la brochure "Kerk en Ambt" (Chiesa e ministero) distribuita a fine agosto dai domenicani olandesi nelle 1.300 parrocchie del Paese. Il testo rifletterebbe, scrive l’agenzia dei vescovi, tesi vicine a padre Edward Schillebeeckx che negli anni ’80 finì sotto l’esame della Congregazione per la dottrina della fede, guidata dall’allora card. Ratzinger.
L’opuscolo (38 pagine) propone che a presiedere l’eucaristia, in mancanza di sacerdoti, siano anche laici, "non fa differenza che sia uomo o donna, omo o eterosessuale, sposato o celibe". Il tema del celibato sacerdotale così come quello della possibilità che a presiedere la celebrazione eucaristica fossero anche dei laici, era già stato sollevato nel corso del sinodo generale dei vescovi che si svolse a Roma nell’ottobre del 2005. Benedetto XVI, finora, ha riaffermato più volte la dottrina della Chiesa in merito al ruolo del sacerdote quale guida della comunità e unico soggetto autorizzato a celebrare la messa.
Alla proposta dei domenicani olandesi ha replicato, mons. Huub Ernst, vescovo emerito di Breda, che definisce "ambiguo", "erroneo" e "non significativo" il contenuto del libretto. Tace per il momento la Conferenza episcopale olandese.
* la Repubblica, 17 settembre 2007.
Omofobia
Offese ai gay, Insulti ai fedeli
L’omelia di mons. Matarrese
di Laura Eduati *
Che sia chiaro, «i gay non possono essere considerati cristiani». Lezione di catechismo con digressione omofoba, quella impartita il 26 maggio da mons. Giuseppe Matarrese, vescovo di Frascati, ad un gruppo di ragazzini in preparazione per la cresima.
Il fatto è accaduto a Montecompatri, piccolo paese in provincia di Roma, ed è stato riportato dalla agenzia cattolica Adista che da lunedì darà un resoconto dettagliato della vicenda. Il vescovo stava parlando della famiglia, della famiglia naturale eterosessuale, quando ha sentito il dovere di spiegare il posto degli omosessuali: fuori dalla Chiesa. Una dottrina in chiaro contrasto con il magistero cattolico, visto che le pecorelle smarrite vanno accolte. Probabilmente mons. Matarrese ha voluto parlare chiaramente, per farsi capire meglio dai giovani ragazzi. Che hanno afferrato il concetto. Una ragazzina presente al ritiro spirituale ha alzato la mano e lo ha contestato: «Secondo me non è giusto».
Così ha detto: «Secondo me non è giusto perché i gay invece possono amarsi come un uomo e una donna». E qui, racconta Adista, il vescovo 73enne ha perso la pazienza, zittendo in malomodo la ragazzina ribelle chiamandola "scema" e rivolgendo un irritato "hai la capoccia vuota" ad una compagna che tentava di difendere l’amica. Peggio: mons. Matarrese si è rivolto ai genitori e al parroco pretendendo le scuse da parte dei cresimandi, minacciando di escluderli dalla celebrazione del giorno successivo. Mamme e papà preoccupati hanno tentato di convincere i figli, inutilmente. Le scuse non sono arrivate. Il vescovo ha comunque deciso di impartire la cresima ai ragazzi ribelli e agli adulti che li accompagnavano, ma si è tolto un sassolino dalla scarpa: durante l’omelia, ha parlato direttamente con i genitori invitandoli caldamente di tenere sott’occhio i figli che «evidentemente si sono allontanati dalla retta via». "Liberazione" ha tentato di raggiungere telefonicamente mons. Matarrese, che però si trova in ritiro spirituale e non ha potuto fornire una spiegazione.
Ruiniano di ferro, il vescovo di Frascati è fratello del più celebre Antonio Matarrese, presidente della Lega Calcio, e di Vincenzo, presidente della squadra di calcio del Bari. Non ha mai fatto mistero delle sue posizioni politiche. Alla vigilia delle amministrative 2005 aveva organizzato un incontro con trenta preti della sua diocesi e il candidato regionale Francesco Storace, poi battuto da Piero Marrazzo. «Sono di destra. Che c’è di male a dire: "Votate Storace"?». Una famiglia, i Matarrese, schierata completamente a destra: la sorella è sposata con un senatore di Forza Italia, mentre Antonio faceva parte della direzione nazionale dell’Udc ed ex segretario provinciale a Bari del partito di Casini.
L’episodio di Montecompatri non è isolato. Poche settimane fa un sacerdote del barese aveva negato la comunione ad un giovane. Un fatto sgradevole: il prete ha atteso che il ragazzo si avvicinasse durante la messa per ricevere l’ostia e lo ha allontanato dicendo apertamente e davanti ai fedeli «No, a te no perché sei gay». Il movimento gay-lesbo-trans-bisex e queer denuncia da tempo una recrudescenza dell’omofobia in Italia. Scritte xenofobe dell’estrema destra a parte, gli omosessuali si lamentano apertamente delle opinioni anti-gay espresse quotidianamente da politici ed esponenti della Chiesa cattolica.
Pochi giorni fa andava in onda sul Tg2, ha denunciato Franco Grillini, un appello di Buttiglione al movimento omosessuale perché condanni apertamente la pedofilia, «come se ci fosse una qualche continguità».
* Il Dialogo, Domenica, 24 giugno 2007
BENEDETTO XVI°- “L’OMOSESSUALITA’ E’ UN PECCATO CHE GRIDA VENDETTA AL COSPETTO DI DIO”
di Francesco Cossiga
SANTO PADRE LEI CHE HA PROMOSSO, NELLA PIENA RIAFFERMAZIONE DELLA DOTTRINA MORALE DELLA CHIESA, COMUNE ANCHE ALLE ALTRE GRANDI RELIGIONI MONOTEISTE CIRCA L’OGGETTIVO E INTRINSECO GRAVE DISORDINE DELLE RELAZIONI OMOSESSUALI, GIÀ DEFINITE DAI CATECHISMI CATTOLICI COME «PECCATI CHE GRIDANO VENDETTA AL COSPETTO DI DIO» *
Santo Padre, ho l’onore di conoscerla di persona e attraverso i suoi scritti da molti, molti anni. E so bene quali siano le Sue doti non solo d’intelligenza e di carità cristiana, ma di comprensione e di tolleranza...
Quando prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede Lei ha promosso, nella piena riaffermazione della dottrina morale della Chiesa, comune anche alle altre grandi religioni monoteiste circa l’oggettivo e intrinseco grave disordine delle relazioni omosessuali, già definite dai catechismi cattolici come «peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio», ha promosso documenti dei Vescovi e della stessa Congregazione che prescrivono il dovere di ogni cristiano di rispettare la dignità delle persone omosessuali.
Le scrivo questa lettera per chiederle scusa, oltre che a Lei come Vescovo di Roma, come a cittadino elettivo di questa città che La ospita da oltre venticinque anni. Le chiedo scusa per le offese che sono state recate alla Chiesa di Roma, ai suoi simboli e ai suoi principi, e direttamente alla Sua persona da parte dei partecipanti di una manifestazione priva di decoro e di dignità.
Io le chiedo scusa come semplice cittadino di questa città e come cattolico, cattolico liberale che crede fermamente nella libertà e nella civile tolleranza, ma «cattolico infante» che, anche se un giorno ricoprì quasi occasionalmente alcune cariche rappresentative dello Stato, nessuna influenza ha né alcun ruolo riveste ormai più nella vita politica e istituzionale del nostro Paese, ma che come cittadino di uno Stato democratico ha il diritto di rammaricarsi per l’offuscamento nella vita italiana per quelli che sono stati i valori storici fondanti della nostra comunità nazionale, il riconoscimento del cui carattere fondamentale fece scrivere a un grande filosofo laico e liberale un saggio dal titolo: Perché non possiamo non dirci cristiani.
Questa lettera aperta di scuse gliela avrebbe dovuta forse scrivere il Presidente del Consiglio dei ministri, cattolico e «cattolico adulto»: ma egli, e lo comprendo, non può perché ritiene che la politica e la religione debbano essere non solo distinte ma separate, e che ciò debba valere anche sul piano della buona educazione, perché il suo Governo ha dato il suo patronato a questa carnascialesca e volgare manifestazione e tre suoi ministri vi hanno partecipato insieme a leader di partiti della sua coalizione di governo, e infine perché coloro che vi hanno partecipato sono suoi elettori e suoi sostenitori. Credo vi abbia partecipato in nome della laicità anche un manipolo di «cattolici democratici».
Questa lettera aperta di scuse gliela avrebbe dovuta scrivere il Sindaco di Roma, non cattolico, ma molto ossequioso verso la Chiesa e soprattutto verso i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose che sono elettori nel Comune di Roma; ma non può perché anche suoi elettori e suoi sostenitori sono i partecipanti della sfilata dell’altro giorno. Ma anche se io non rappresento altri che me stesso, ed è assai poco - anche se penso che molti romani, cattolici o no, almeno in nome della buona educazione e dello spirito di ospitalità la pensino come me -, sono certo che vorrà accettare queste scuse da un tempo suo affezionatissimo amico (il teologo anche se cardinale era una cosa, per me «cattolico infante» il Papa è un’altra cosa!) e Suo devoto fedele.
* Il Giornale, 19/06/2007
"BRUCEREM IL VATICAN...."
di Angela Azzarro *
COME FAR ARRIVARE LA VOCE DEL GAY PRIDE AI MEDIA? COSA PENSA IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI CIÒ CHE I SUOI ELETTORI, NON QUELLI DELLA DESTRA, GLI HANNO CHIESTO? FARÀ LA LEGGE SULLE UNIONI CIVILI E QUELLA CONTRO LE DISCRIMINAZIONI OMOFOBICHE? DIRÀ CHE LE OFFESE DA PARTE DEL VATICANO CONTRO GAY, LESBICHE, TRANS NON SONO PIÙ ACCETTABILI IN UNO STATO LAICO? *
Ventiquattro ore dopo il Family day i più grandi giornali e telegiornali italiani non avevano avuto dubbi: il titolo di apertura era stato dedicato - nella stampa scritta, a caratteri cubitali - al presunto milione che aveva occupato piazza San Giovanni in difesa dei valori tradizionali. I giorni successivi la litania non era cambiata: tutto un susseguirsi di dichiarazioni e servizi per dire che quella manifestazione chiedeva, pretendeva una risposta da parte della politica.
Il giorno dopo il Pride, con un milione di donne e uomini in piazza per chiedere l’estensione dei diritti a tutte e tutti, la stampa e i tg non hanno avuto lo stesso riguardo. Portare tante persone, gay, lesbiche, trans, non è bastato per conquistare i titoli di apertura, né per sperare che il lunedì fosse dedicato alle reazioni della politica. Che cosa farà da oggi il governo Prodi? Cosa pensa il presidente del Consiglio di ciò che i suoi elettori, non quelli della destra, gli hanno chiesto? Farà la legge sulle unioni civili e quella contro le discriminazioni omofobiche? Dirà che le offese da parte del Vaticano contro gay, lesbiche, trans non sono più accettabili in uno Stato laico?
Silenzio. Un assordante silenzio, con Prodi che preferisce denunciare «la brutta aria» che c’è nel Paese, riferendosi alla destra che blocca le decisioni. Insomma, per parafrasare la sua dichiarazione: aria fritta. La distanza tra i cittadini, le cittadine e la politica, anche e soprattutto quella fatta dai media, non era mai stata così ampia. Drammatica. La crisi della politica e della rappresentanza così pesante e disarmante. Se il Papa parla e offende gay, lesbiche o trans accusandoli di essere pedofili e perversi le prime pagine sono assicurate, blindate. Si riempiono subito di titoli cubitali. Poche le proteste. Poche le voci di editorialisti che si sollevano per dire che così cresce l’odio, la violenza contro gli omosessuali. Poche voci si sollevano dal pulpito dei grandi quotidiani per dire che non approvare una legge sulle unioni civili è un fatto grave, che lede l’uguaglianza sancita dalla Costituzione.
A questo punto resta la domanda: che cosa fare per conquistare spazio, visibilità alle ragioni della civiltà e della laicità? Non è bastato, nel silenzio degli organi di informazione, portare un milione di persone in piazza. Non è bastato riempire piazza San Giovanni con una manifestazione rabbiosa, ma pacifica, dura ma anche orgogliosa. No, non è bastato. Bisogna forse arrivare a gesti eclatanti davanti al Vaticano o al Parlamento, bruciarsi come gesto disperato, come un ultimo tentativo di vedersi riconosciuto un diritto? Certo è che così non si può andare avanti. La totale impermeabilità tra media e politica da una parte e società civile dall’altra è talmente alta che non si può stare più indifferenti.
Fa bene Aurelio Mancuso, presidente dell’Arcigay, a lanciare lo sciopero fiscale e a invitare lesbiche, gay, trans a restituire le tessere elettorali. In Italia le persone non eterosessuali sono considerate cittadine di serie B, non godono degli stessi diritti. Tanto vale allora non assumersi neanche i doveri oppure esasperare lo scollamento privandosi della possibilità di decidere chi votare e chi no. Forse così i politici capirebbero, forse così capirebbe anche la Chiesa che dei contributi Irpef vive. Lo capirebbero anche le cosiddette famiglie tradizionali al cui welfare contribuiscono quegli uomini e quelle donne che, oggi, non possono avere una relazione riconosciuta e tutelata, oppure come single non possono sperare in nessuna facilitazione.
Il Pride di sabato è riuscito perché ha parlato un linguaggio che coinvolge tutte e tutti. Non riguarda solo gay, lesbiche e trans. Lo ha dimostrato l’ampia partecipazione in maniera organizzata del movimento femminista e l’ampia presenza di eterosessuali. E’ importante che quel coinvolgimento continui e che le associazioni omosessuali non siamo lasciate sole in questo momento, forse il più delicato, quello più duro da digerire. Non si aspetti l’ennesima esternazione del Papa per risollevare la richiesta delle unioni civili. Deve essere un sentire comune, una richiesta continua, condivisa, in ogni sede, in ogni occasione. Ma prima di tutto bisogna affrontare il rapporto con l’informazione, metterlo al centro dell’azione politica. Oggi sicuramente i giornali daranno molto più spazio alle polemiche sullo spettacolo annullato a Bologna "La Madonna piange sperma", perché considerato blasfemo, che alle richieste di un milione di persone.
L’Amaca
di Michele Serra (la Repubblica, 15.03.2007)
Cerco di dirlo così come mi viene, mi scusino eventuali pignoli o suscettibili. Leggere sulle prime pagine le parole "contro natura", pronunciate dal papa a proposito delle unioni omosessuali, mi fa rivoltare le viscere.
La natura umana è così complicata e ricca (essendo biologica, psicologica, culturale, sociale) che estrarne un pezzo e appenderlo al lampione del Giudizio Divino equivale ad amputarla. L’omosessualità è sempre esistita ed esisterà sempre, consiste di amore e di vizio, di eros e di moda, di piacere e di colpa, di profondità e di futilità, tanto quanto le altre pulsioni dell’animo e del corpo.
Si può diffidarne, si può criticarla, ma solo una violenta e impaurita torsione dello sguardo sulle persone, sulla vita, sull’eros, può arrivare addirittura a scacciare l’amore omosessuale dalla "natura umana".
Leggendo quei titoli ho pensato ai miei amici omosessuali, ad alcune storie di sofferenza e di punizione, all’orribile marchio di "anormale" che qualcuno di loro ha dovuto leggere negli occhi e nelle parole degli altri, e mi sono profondamente vergognato per quel "contro natura". Possibile che i preti omosessuali, notoriamente molti, non abbiano niente da dire a questa Chiesa spietata?
"SO DI 2 MILA PRETI GAY"
Non la manda certo a dire, don Franco Barbero, ed è anche per questo (e le sue battaglie contro l’omofobia) che la chiesa lo ha ridotto allo stato laicale
di Paola Bonatelli (il manifesto, 19 ottobre 2006 - e http://donfrancobarbero.blogspot.com/)
Verona - «Continuo a celebrare matrimoni, anche fra gay e lesbiche, e so di almeno duemila preti omosessuali che hanno paura a dichiararsi tali». Non la manda certo a dire, don Franco Barbero, ed è anche per questo (e le sue battaglie contro l’omofobia) che la chiesa lo ha ridotto allo stato laicale. Insomma, lo ha cacciato.
Il sacerdote della comunità cristiana di base «Viottoli» di Pinerolo, in Piemonte, non è a Verona per il convegno della Cei ma per il «contromeeting» del circolo Pink di Verona, dove ha parlato di «Una chiesa "altra" che sa ascoltare e accompagnare». Dopo il suo intervento e l’intenso dibattito che ne è seguito, gli abbiamo rivolto alcune domande.
Don Franco, lei continua a celebrare messe e matrimoni?
La Chiesa mi ha dispensato dai miei obblighi di sacerdote ma la dottrina ufficiale dice che chi è prete lo rimane per sempre. Io per il Vaticano esercito illecitamente. Mai come adesso ho fatto il prete. Mi occupo di scienze bibliche, seguo una comunità di duecento persone, tra cui moltissimi preti e suore, dico messa in una cappella concessa dal Comune. E continuo a celebrare matrimoni. Anche fra persone omosessuali e transessuali.
Lei è un prete scomodo. Ma quanti ce ne sono come lei?
Pochissimi visibili ma tra gli indirizzi della mia posta elettronica ci saranno almeno 5000 preti e più di 2000 sono gay. Cose che non si sanno perché l’Italia è poco laica, le notizie che riguardano la fede vengono filtrate da giornalisti interni al mondo cattolico. E poi, la prima cosa che ti toglie la Chiesa è lo stipendio. E per molti preti, se gli togli la parrocchia, cosa mangiano?
Il convegno di Verona parla di speranza. Lei ne ha?
Molta. Noi siamo una regione dell’impero vaticano ma i processi di laicità avanzano perché la realtà sopravanza le pratiche politiche. La speranza la vedo nella gente, nei movimenti, nei gruppi. Io seguo un gruppetto di suore lesbiche, che ovviamente sono uscite dal convento. Hanno ritrovato il loro equilibrio, un po’ di serenità. Io credo che ogni uomo ed ogni donna abbiano qualcosa da dire. Dobbiamo vincere la paura, abituarci al confronto. Nessuno ha la verità, nemmeno il papa e quelli che lo idolatrano. Ma abbiamo il diritto di manifestare delle opinioni. Anche di fronte ai dogmi.
Distribuita da stasera a Roma e Firenze, ha una presentazione del cardinal Ruini. Nel testo: non confondere "le altre forme di convivenza" con il matrimonio
Nelle parrocchie una lettera contro i Dico. "Famiglia privatizzata, senza rilevanza sociale"
CITTA’ DEL VATICANO - Il Vaticano continua la sua offensiva contro il ddl sui Dico. Da stasera infatti, in tutte le parrocchie di Roma e Firenze verranno distribuiti ai fedeli volantini che riproducono una letteradel cardinale di Firenze, Ennio Antonelli, a difesa dell’istituto familiare. La lettera è accompagnata da una breve presentazione del cardinale vicario Camillo Ruini.
"La famiglia - si legge nel testo Ruini - è da tempo al centro dell’attenzione pastorale della diocesi di Roma oltre che di un ampio confronto sociale e culturale. Ho ritenuto perciò di fare cosa utile offrendo alle famiglie romane, tramite i sacerdoti impegnati nelle benedizioni pasquali, un testo scritto dal cardinale Ennio Antonelli per la diocesi di Firenze".
Nella lettera, scritta da Antonelli per i suoi parrocchiani, si legge che "la famiglia sta venendo privatizzata, ridotta a un semplice rapporto affettivo, senza rilevanza sociale, come se si trattasse soltanto di una forma di amicizia".
E ancora: "La famiglia fondata sul matrimonio è non solo una comunità di affetti, ma anche un’istituzione di interesse pubblico; e come tale va riconosciuta, tutelata, sostenuta e valorizzata dalle pubbliche autorità che hanno la responsabilità specifica di promuovere il bene comune. Non vanno confuse con la famiglia altre forme di convivenza, che non comportano l’assunzione degli stessi impegni e doveri nei confronti della società e si configurano piuttosto come un rapporto privato tra individui, analogo al rapporto di amicizia, per il quale nessuno si sogna di chiedere un riconoscimento giuridico. Le esigenze private possono trovare risposta nei diritti riconosciuti alle singole persone".
Il prossimo Consiglio permanente della Cei programmato per il 26 marzo discuterà la Nota "impegnativa" per i cattolici italiani sull’atteggiamento da tenere nei confronti del ddl sui Dico.
* la Repubblica, 17 marzo 2007
CRISTIANI OGGI
il documento Il testo consegnato dai vescovi alle comunità ecclesiali suggella l’assemblea dell’ottobre 2006 e offre il profilo di una fede che sa incidere nella società complessa
Italia, ecco il cammino
Nella Nota dopo il Convegno di Verona le scelte per il futuro della Chiesa nel Paese
di Francesco Ognibene (Avvenire, 30.06.2007)
Un ritratto di Chiesa viva, aperta sul futuro, consapevole delle sfide, una cosa sola con la gente: lo si coglie nella «Nota pastorale», introdotta dal presidente della Cei monsignor Angelo Bagnasco, con cui il nostro episcopato suggella il 4° Convegno ecclesiale di Verona, mettendolo nelle mani della comunità cristiana. Il documento, articolato in quattro capitoli e trenta paragrafi, intende infatti «riconsegnare l’esperienza del Convegno» a tutte le comunità ecclesiali d’Italia attraverso una riflessione snella, vivida e chiara, perché esse «vi possano individuare le scelte più adatte per la loro vita». A ispirarle sarà l’intuizione scolpita nelle parole di Benedetto XVI nel suo discorso veronese, con quel «grande "sì" di Dio all’uomo» - espressione divenuta quasi un simbolo del Convegno - nel quale si riassume il profilo che la Chiesa italiana intende assumere.
Il «terreno favorevole». La Nota anzitutto riflette attorno a un’altra bella espressione del Papa (l’Italia di oggi costituisce «un terreno assai favorevole per la testimonianza cristiana») per ricordare che «la Chiesa italiana ha scelto di mettere al centro della sua azione l’impegno a comunicare il Vangelo» decidendo di darsi una «chiara connotazione missionaria fondata su un forte impegno formativo e su una più adeguata comunicazione del mistero di Dio».
Le tre scelte. I vescovi indicano alcune opzioni «di fondo» che - scrivono - «vorremmo diventassero patrimonio comune»: «Il primato di Dio nella vita e nella pastorale della Chiesa», «la testimonianza, personale e comunitaria, come forma dell’esistenza cristiana capace di far adeguatamente risaltare il grande "sì" di Dio all’uomo» e «una pastorale che converge sull’unità della persona».
Il centro di tutto. È solo «l’incontro con il Risorto» e «la fede in lui» a rendere i cristiani « persone nuove, risorti con lui»: questo, non altro, è «il centro delle nostre comunità». L’«essenziale della nostra vita nel cuo re della fede» è «il primato di Dio e del suo amore»: in una «stagione difficile e complessa» come la nostra è decisivo puntare a quella «misura alta e possibile del nostro essere cristiani» che è la «santità». Questo è il centro di tutto: «Dall’essere "di" Gesù - spiega la Nota - deriva il profilo di un cristiano capace di offrire speranza». A credenti così animati è chiesto «un forte impegno nel far nascere e sostenere percorsi che riavvicinino le persone alla fede», capaci di scorgere come la stessa «immigrazione si presenta quale nuovo areopago di evangelizzazione»
Da un «sì» all’altro Il "sì" che «Dio pronuncia sull’uomo» fonda il "sì" con cui il credente «risponde ogni giorno» con «l’amore nei confronti della vita, di ogni persona, del mondo plasmato dalle mani di Dio». Questo duplice "sì" prende forma nella «testimonianza personale e comunitaria», «radicata in una spiritualità profonda e culturalmente attrezzata» «Il testimone - scrivono i vescovi - comunica con le scelte di vita» perché «il linguaggio della testimonianza è quello della vita quotidiana», a cominciare dai cinque àmbiti sui quali lavorò il Convegno (la Nota riassume efficacemente le proposte dei gruppi di lavoro che li esaminarono): vita affettiva, lavoro e festa, fragilità umana, tradizione, cittadinanza.
La sfida culturale. Centrale nella Nota è il ruolo della cultura: «Fede e cultura si richiamano reciprocamente», un dato ormai acquisito dodici anni dopo l’intuizione del Progetto culturale al Convegno ecclesiale di Palermo. È il momento ora di imprimergli «un nuovo impulso» puntando al «suo consolidamento e radicamento, sia in chiave formativa sia in prospettiva missionaria», con l’obiettivo di «un nuovo incontro tra la fede e la ragione» a partire da una elaborazione culturale «curata anzitutto nelle sue forme ordinarie e popolari». Un punto determinante, tanto che «l’elaborazione culturale e la formazione delle coscienze» vengono definiti come «i primi obiettivi de l discernimento ecclesiale».
Chi è l’uomo? Due filoni del Progetto culturale vengono sottolineati: la "questione antropologica" - «ossia la domanda su che cosa sia e che cosa significhi essere uomo» - e la «questione della verità» nel tempo del relativisimo, da intrecciare alla libertà mostrando come «la coscienza umana non esca mortificata, ma anzi arricchita, dal confronto con la verità cui la fede ci fa rivolgere». Vengono qui registrati i «notevoli passi compiuti» dai media dei cattolici, incluso Avvenire.
Il bene della società. Nell’«interesse per il rispetto della dignità della persona umana in ogni momento della vita, per il sostegno alla famiglia fondata sul matrimonio, per la giustizia e la pace, per lo sviluppo integrale e il bene della comunità» si esprime una vera «sollecitudine per il bene della società umana»: questo «fa sì che la Chiesa, senza rischiare sconfinamenti di campo, parli e agisca non per preservare un "interesse cattolico" bensì per offrire il suo peculiare contributo per costruire il futuro della comunità sociale in cui vive e alla quale è legata da vincoli profondi». E i cattolici che si impegnano in politica? Citando il Papa i vescovi ricordano come essi «sanno che "operano come cittadini sotto propria responsabilità"» e che «devono essere protagonisti di uno stile politico virtuoso, guidati da una coscienza retta e informata, illuminata dalla fede e dal magistero della Chiesa».
La persona al centro. Chiara l’opzione pastorale: rispetto a un’impostazione centrata «sui tre compiti fondamentali della Chiesa (l’annuncio del Vangelo, la liturgia e la testimonianza della carità)» la Nota indica di «mettere la persona al centro», scelta che «costituisce una chiave preziosa per rinnovare in senso missionario la pastorale e superare il rischio di ripiegamento», attraverso una «pastorale sempre più "integrata"».
Le aggregazioni dei laici. Il recente «percorso che avvicina le esperienze e le sensibilità» ha condotto molti laici a scoprire «il valore che l’essere insieme aggiunge alle proprie iniziative, condotte come espressione corale di una testimonianza cristiana che, pur nelle molteplici forme, attinge all’unico Vangelo». Questo cammino «che porta a una fisionomia laicale non omologata né uniforme, non dispersa né contrapposta» va senza dubbio accelerato: esso è animato infatti da «uno spirito di comunione che sa generare testimonianza unitaria».