Cristianesimo ed omosessualità
Silenzi di tomba.
di Agenzia Adista
Per farlo santo, il vaticano tenta di occultare l’omosessualità del card. Newman *
34557. LONDRA-ADISTA.
Era stata la sua "ultima e imperativa volontà": essere sepolto nella stessa tomba dove riposava il suo amico e compagno di una vita, p. Ambrose St. John. E così era avvenuto: nel 1890 il card. John Henry Newman, figura monumentale della teologia cattolica nell’Inghilterra vittoriana, convertitosi dall’anglicanesimo a 44 anni, fu tumulato nel piccolo cimitero degli Oratoriani, congregazione a cui apparteneva, nella città di Rednal. Ora però la sua pace viene turbata dal Vaticano che, in vista della prossima beatificazione - il cui annuncio è previsto per la fine di quest’anno - intende traslarne le spoglie a Birmingham, in una tomba, si dice, che sia più adeguata alla dignità di un beato.
Immediata è stata la protesta dei movimenti per i diritti gay. Lo spostamento della tomba sarebbe "un atto di profanazione religiosa e di vandalismo morale" per l’attivista Peter Tatchell, che all’Ecumenical News International ha ribadito che "Newman ha ripetutamente detto che voleva essere sepolto accanto al suo partner di una vita, Ambrose St. John. Nessuno ha dato il permesso di opporsi ai desideri di Newman". Lo scopo reale dell’operazione, afferma, è di "coprire l’omosessualità di Newman e ripudiare il suo amore per un uomo. È un atto di vergognosa disonestà e un tradimento personale da parte della Chiesa cattolica omofoba".
E mentre certa parte della stampa cattolica si affretta a dar voce a chi assicura che il rapporto tra i due era di semplice amicizia (come ha fatto Avvenire nell’edizione del 26/8), restano inconfutabili le parole che lo stesso Newman scrisse alla morte di St. John, nel 1875: "Ho sempre pensato che non vi fosse lutto paragonabile a quello di un marito o di una moglie, ma mi risulta difficile credere che ve ne sia uno maggiore del mio".
Avvenire riferisce invece quanto dichiarato alla Bbc da Austin Ivereigh, ex consigliere del card. Cormac Murphy O’Connor, primate della Chiesa cattolica d’Inghilterra e Galles: le proteste dei gay sono "sciocchezze" e l’esumazione del corpo di Newman "è parte del processo che porta alla canonizzazione". Per p. Edoardo Aldo Cerrato, procuratore generale della Confederazione degli Oratori di San Filippo Neri, che Newman sia sepolto accanto a St. John è dovuto al fatto che il cimitero "è un fazzoletto di terra". Il governo britannico, nel frattempo ha dato la sua autorizzazione a traslare la salma del cardinale, mentre a Birmingham è già stato allestito un sarcofago di marmo nell’Oratorio di San Filippo Neri, dove Newman visse fino alla fine.
Nato nel 1801, Newman fu alla guida del "Movimento di Oxford" che cercava le radici cattoliche della fede in Inghilterra, poi si convertì e fu ammesso alla Chiesa cattolica nel 1845 e ordinato due anni dopo. Divenuto cardinale nel 1879 su istanza di mons. William Ullathorne da papa Leone XIII, Newman - secondo le parole pronunciate dall’allora card. Joseph Ratzinger nel 1990, in occasione del centenario della morte - fu "l’uomo della coscienza". "Il segno caratteristico del grande dottore nella Chiesa - affermò allora Ratzinger - mi sembra essere quello che egli non insegna solo con il suo pensiero e i suoi discorsi, ma anche con la sua vita, poiché in lui pensiero e vita si compenetrano e si determinano reciprocamente. Se ciò è vero, allora davvero Newman appartiene ai grandi dottori della Chiesa, perché egli nello stesso tempo tocca il nostro cuore e illumina il nostro pensiero".
Prima di lui, già Paolo VI, durante il Concilio Vaticano II, ebbe modo di ricordare la figura del teologo come moderno dottore della Chiesa: era una guida sicura - disse - per tutti coloro che "sono alla ricerca di un preciso orientamento e di una direzione attraverso le incertezze del mondo moderno", anticipando riflessioni ed orientamenti di cui il Concilio si fece interprete.
Nel 1979, poi, nel centenario dell’elevazione cardinalizia di Newman, papa Wojtyla - che nel 1991 lo avrebbe dichiarato Venerabile e nel 2001 avrebbe ricordato il bicentenario della nascita - ricordava i tratti distintivi di Newman attribuendogli "profonda onestà intellettuale, fedeltà alla coscienza ed alla grazia, pietà e zelo sacerdotale, devozione alla Chiesa di Cristo ed amore per la sua dottrina, incondizionata fiducia nella Provvidenza ed assoluta obbedienza al volere di Dio". ( ludovica eugenio )
Articolo tratto da
ADISTA
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Sito www.adista.it
* Il Dialogo, Martedì, 02 settembre 2008
Sul tema, in rete e nel sito, si cfr.:
LA CHIESA ANGLICANA SORPASSA LA CHIESA "CATTOLICA". Il cattolicismo "andropologico" romano è finito
LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est"(2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!
Dublino.
A casa del cardinal Newman il Museo della letteratura d’Irlanda
In quella che fu la sede dell’Università Cattolica di Dublino, il cui primo rettore fu John Henry Newman e dove si laureò Joyce, è appena nato il Museo della letteratura irlandese
di Riccardo Michelucci (Avvenire, venerdì 1 novembre 2019)
Chissà quante storie avrebbero da raccontarci, le mura di questo edificio che per oltre un secolo ha ospitato la sede della seconda università di Dublino. Potrebbero ad esempio dirci cosa accadde quel giorno del 1902, quando un giovane James Joyce si fece immortalare nel giardino insieme ai suoi compagni di studi, subito dopo aver discusso la tesi di laurea.
Quella foto è appesa ancora qui, nell’atrio della Newman House, il grande palazzo georgiano che il futuro autore di Ulysses frequentò per quattro anni, portando a termine i suoi studi universitari in lingue moderne. Queste stesse mura potrebbero anche ricordare quando, alla metà del XIX secolo, l’edificio fu ceduto alla congregazione dei gesuiti per farne la sede della Catholic University of Ireland, la prima istituzione universitaria cattolica dell’isola, fondata nel 1851.
All’epoca era un palazzo fatiscente e infestato dai topi ma di lì a poco sarebbe diventato uno dei cuori pulsanti dell’educazione di tutto il Paese. Il primo rettore fu il cardinale John Henry Newman (canonizzato appena pochi giorni fa), tra i docenti ci fu uno dei più grandi poeti dell’era vittoriana, il gesuita inglese Gerard Manley Hopkins. L’edificio ospitò tutti gli studenti cattolici che non potevano o non volevano iscriversi alla principale università cittadina: l’antico, prestigioso e protestante Trinity College.
All’inizio del ’900 la Catholic University venne trasformata nell’attuale University College Dublin le cui esigenze di spazio, intorno al 1970, imposero il trasferimento di tutte le attività accademiche in un nuovo grande campus fuori città, nell’area periferica di Belfield, dove Ucd ha sede ancora oggi. Da allora questo imponente palazzo georgiano affacciato sul lato sud di St. Stephen’s Green, il principale parco del centro di Dublino, è rimasto inutilizzato per quasi mezzo secolo in attesa di trovare una destinazione degna della sua storia.
«L’idea di trasformarlo in un museo de- dicato alla letteratura nacque quasi per caso, una decina d’anni fa, da una conversazione in un caffè del centro tra Fiona Ross, all’epoca direttrice della National library of Ireland e lo scultore Eamonn Ceannt, nipote di uno dei martiri della Rivolta di Pasqua del 1916. La proposta fu accolta con enorme entusiasmo dalle istituzioni e dal mondo della cultura e si capì fin da subito che anche la comunità degli scrittori ne sentiva il bisogno».
A raccontarci l’aneddoto è Simon O’Connor, che ha visto nascere con i suoi occhi questo museo e adesso è stato chiamato a dirigerlo. Dopo quasi tre anni di lavori, con un investimento pari a dieci milioni e mezzo di euro in gran parte provenienti da finanziatori privati, il nuovissimo MoLI (Museum of literature Ireland) è stato finalmente aperto al pubblico qualche settimana fa.
Il progetto dello studio di architettura Scott Tallon Walker ha consentito di rimodernare l’antica Newman House convertendola in uno spazio moderno a metà strada tra il museo e la biblioteca, conservando tutto il fascino di un edificio risalente al XVIII secolo.
«L’idea iniziale, poi rispettata in fase di progettazione, non era quella di creare un mausoleo per vecchi libri o una semplice attrazione turistica bensì quella di dar vita a un luogo moderno e accogliente, nel quale i visitatori potessero compiere un viaggio attraverso le epoche », spiega O’Connor. «In Irlanda abbiamo un grande rispetto per la nostra tradizione letteraria ma intendiamo anche coinvolgere gli scrittori e le scrittrici in attività aperte al pubblico, senza limitarci quindi a un lavoro didattico sul passato. Il museo vuole anche raccontare l’impatto che la letteratura irlandese ha avuto sulla cultura mondiale, dalla tradizione dei cantastorie medievali fino ai più noti scrittori contemporanei, con uno sguardo a quelli del futuro».
Al suo interno il MoLI ospita mostre permanenti dedicate ai grandi del passato e continui rimandi al presente, con un’attenzione riservata agli autori e alle autrici di oggi. Al pianterreno c’è una stanza molto evocativa che utilizza strumenti multimediali per ricreare il ’riverrun of language’, ovvero il ’costante fluire’ della lingua: brani tratti dai principali capolavori della letteratura Irish si rincorrono in uno schermo gigante ed escono dagli altoparlanti sotto forma di voci registrate.
Una delle stanze più grandi del pianoterra è immancabilmente dedicata a James Joyce, con un enorme plastico che riproduce gli innumerevoli luoghi di Ulysses disseminati per la città di Dublino, insieme a lettere originali d’epoca che raccontano la storia delle sue opere. Joyce ambientò proprio in queste stanze un capitolo del suo Ritratto dell’artista da giovane ma l’alchimia di questo luogo è stata raccontata anche nelle pagine di romanzi come Una pinta di inchiostro irlandese di Flann O’Brien e Amiche di Maeve Binchy, due autori contemporanei che qui vissero e studiarono alla metà del ’900.
Anche la grande scrittrice e drammaturga Kate O’Brien, morta nel 1974, fu una studentessa della Newman House: a lei è dedicata un’esibizione temporanea allestita in un grande studio circolare affacciato sul giardino interno. Ai piani superiori dell’edificio si spalancano invece le stanze tematiche con le varie sezioni, quella per bambini e ragazzi, quella dedicata alle opere cinematografiche ispirate a poesie e romanzi, alle installazioni di arte visiva, gli spazi dedicati alla lettura e alle città europee che hanno avuto legami letterari con l’Irlanda: «adesso abbiamo scelto Parigi ma presto ne allestiremo una su Trieste », ci anticipa O’Connor.
C’è persino uno studio radiofonico digitale che trasmette ininterrottamente, sette giorni su sette, interviste, letture, dibattiti ed eventi con scrittori, poeti, artisti, educatori e accademici mandandoli in onda sulla web radio del museo. Il terzo e ultimo piano ospita infine una prestigiosa collezione di oggetti, quaderni, appunti e lettere, molti dei quali inediti, appartenuti a James Joyce. Tra questi spiccano la famosa copia numero uno di Ulysses con la dedica autografa dell’autore alla sua mecenate Harriet Shaw Weaver, gli appunti scritti a mano del capolavoro joyciano e infine l’imponente ’muro delle traduzioni’, con decine di edizioni tradotte delle opere di James Joyce.
«I riscontri che abbiamo avuto nelle prime settimane dall’apertura sono stati talmente lusinghieri da farci pensare che supereremo facilmente la previsione di oltre ottantamila visitatori l’anno», afferma il direttore Simon O’Connor. «Nei prossimi mesi abbiamo in programma iniziative che vedranno come protagonisti molti scrittori contemporanei. E durante la stagione estiva in alcuni giorni rimarremo aperti fino a tarda sera». Soprattutto allora, clima permettendo, sarà possibile utilizzare lo spazio esterno che si spalanca sul retro dell’edificio: uno splendido giardino botanico vittoriano dominato da una quercia secolare e attrezzato con tavoli e sedie. Un’oasi letteraria aperta a tutti, nel cuore di Dublino, nei luoghi che furono frequentati dai grandi del passato.
Cardinale Nichols.
Newman santo, un Paese in festa: «In lui fede e ragione dialogano»
Il teologo britannico sarà canonizzato domenica. Parla il cardinale Nichols, primate di Inghilterra e Galles «Tutta la sua vita nel segno del coraggio personale e della chiarezza intellettuale»
di Silvia Guzzetti (Avvenire, venerdì 11 ottobre 2019)
«La canonizzazione del cardinale Newman sarà un momento unico per il Regno Unito ». È quanto spiega ad Avvenire il cardinale Vincent Nichols, arcivescovo di Westminister e guida, in quanto primate di Inghilterra e Galles, di cinque milioni di cattolici che vivono oltre Manica. «Sarà - spiega il porporato - un’occasione piena di gioia, molto significativa ».
La sua importanza sarà testimoniata dalla presenza, in piazza san Pietro, del principe Carlo, in rappresentanza della regina Elisabetta, e di una delegazione di tredici parlamentari britannici e pari del Regno Unito, guidati dal cattolico sir Edward Leigh. Infatti domenica John Henry Newman (1801-1890) sarà proclamato santo durante il rito presieduto da papa Francesco.
Il primate anglicano Justin Welby, che non potrà partecipare alla Messa in Vaticano, ha mandato al suo posto il vescovo di Portsmouth, Christopher Foster, che sarà accompagnato da Neil Mendoza, responsabile dell’Oriel college di Oxford, del quale Newman era membro, e da Hilary Boulding, presidente del Trinity College, dove il futuro santo si è laureato. Accanto a loro Mohammed Azim, sindaco di Birmingham, città dove Newman ha fondato il suo primo oratorio. In visita a Roma vi saranno anche migliaia di pellegrini in arrivo dalla parrocchie di Inghilterra, Scozia e Galles. È ancora il primate cattolico Nichols, che celebrerà una Messa di ringraziamento per la canonizzazione, nella Basilica di San Giovanni in Laterano, lunedì, a ricordare il contributo del grande teologo alla vita della Chiesa.
«L’esplorazione della fede del cardinale Newman, la profondità del suo coraggio personale, la sua chiarezza intellettuale e la sua sen- sibilità culturale lo rendono un seguace di Cristo profondamente ammirato - spiega il porporato -. I suoi scritti continuano a presentare e chiarire la natura della fede in Dio, il discernimento della presenza di Dio nelle nostre vite e la compatibilità della fede con la ragione umana».
A definire Newman «un gigante del diciannovesimo secolo che firmò poesie, prediche e libri che fecero breccia non soltanto in una “platea” religiosa » è Sally Axworthy, ambasciatore della Gran Bretagna presso la Santa Sede, secondo la quale la canonizzazione è «un momento importante per la Chiesa cattolica ma anche per i rapporti del Regno Unito con la Santa Sede». Della promozione della figura del grande teologo tra i media britannici si è occupato Jack Valero che ha curato un ricco sito dedicato alla canonizzazione e organizzato una conferenza stampa alla quale hanno partecipato importanti testate britanniche come il Times e emittenti come la Bbc.
«La canonizzazione verrà trasmessa in diretta soltanto dalla tv americana Ewtn. Ma della Messa parlerà tutta la stampa - spiega Jack Valero -. Alla figura di Newman la Bbc dedicherà i programmi Sunday, Songs of praise e Sunday morning live ». In programma ci sono anche concerti, simposi, conferenze. Basta un’occhiata al sito www.newmancanonisation.com per capire la ricchezza del calendario con il quale il santo, il primo in Gran Bretagna che non sia un martire dai tempi della Riforma, verrà commemorato in tutto il Regno Unito e soprattutto nelle università di Oxford e Cambridge.
L’“Oriel college” dell’università di Oxford, del quale Newman fu membro, descrive il santo, sul suo sito Internet, come «uno dei suoi più famosi membri » e ospiterà nel settembre 2020 un convegno intitolato Studioso, santo e saggio. A ricordare il grande teologo è anche la Chiesa d’Inghilterra. Sarò il primate anglicano Justin Welby a tenere la meditazione durante i Vespri celebrati insieme al primate cattolico Vincent Nichols nella Cattedrale cattolica di Londra, la Westminster Cathedral, sabato 19 ottobre. E poi una mostra fotografica è stata inaugurata nella chiesa anglicana di Oxford, Saint Mary the Virgin, della quale Newman fu parroco.
Il cardinale John Henry Newman sarà santo
Il Papa riconosce il miracolo dell’intellettuale inglese convertito dall’anglicanesimo. Diventa venerabile il porporato ungherese Giuseppe Mindszenty perseguitato dal comunismo
di Redazione (La Stampa, 13/02/2019)
Roma. Il beato John Henry Newman, il cardinale teologo e poeta inglese della seconda metà dell’800 che si convertì dall’anglicanesimo al cattolicesimo, diventerà santo. Francesco ha approvato oggi il miracolo attribuito alla sua intercessione in un’udienza con il cardinale Angelo Becciu, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, durante la quale il Pontefice ha approvato anche le virtù eroiche del cardinale ungherese Giuseppe Mindszenty, che fu arcivescovo di Esztergom e primate di Ungheria, costretto agli arresti domiciliari dal regime comunista filosovietico e poi esule a Vienna, dove è morto nel 1975.
Grande intellettuale, la cui opera è ancora oggi oggetto di studi e approfondimenti, Newman era cappellano di Oxford prima di convertirsi al cattolicesimo. Anticipatore del rapporto fra fede e ragione e di numerosi temi del Concilio Vaticano II (fra cui la valorizzazione del laicato, la sfida educativa e il dialogo ecumenico) e fondatore in Inghilterra dell’Oratorio di San Filippo Neri, fu creato cardinale da Pio IX. Nel 2010 era stato Papa Benedetto XVI a beatificarlo in occasione del suo viaggio apostolico nel Regno Unito. Francesco ora lo canonizza.
Il cardinale ungherese Mindszenty fu invece un grande oppositore dei regimi comunisti e anche della Ostpolitik della Santa Sede, ossia al dialogo con i Paesi del Blocco dell’Est portata avanti dal cardinale Agostino Casaroli. Nato a Csehimindszent, nella campagna ungherese, ordinato prete nel 1915, venne nominato vescovo di Veszprém nel 1944 e imprigionato dai nazisti. Nel 1945 fu promosso arcivescovo di Esztergom e primate d’Ungheria; Pio XII lo creò cardinale nel ’46. Quando l’Ungheria divenne un Paese satellite dell’Unione Sovietica, Mindszenty si oppose strenuamente al comunismo che individuò in lui un nemico da eliminare. Nel 1948 il porporato fu prelevato in episcopio dalla polizia e arrestato; in prigione fu sottoposto a torture, umiliazioni e violenze fisiche per poi essere condannato all’ergastolo dopo un fino processo. Trascorse otto anni tra carcere e arresti domiciliari, controllato a vista dalle guardie che gli impedivano pure di pregare. Fu liberato nel 1956 ma si rifugiò nell’ambasciata statunitense di Budapest, non potendo partecipare ai Conclavi del ’58 e del ’63.
Tra gli altri decreti firmati oggi dal Pontefice figurano anche quelli di due servi di Dio italiani dichiarati venerabili: il sacerdote bresciano Giovanni Battista Zuaboni, fondatore dell’Istituto Secolare Compagnia della Sacra Famiglia, e la suora toscana Serafina Formai (al secolo Letizia), fondatrice della congregazione delle Suore Missionarie del Lieto Messaggio.
Diventano venerabili anche due gesuiti: un martire dell’Ecuador, Salvatore Vittorio Emilio Moscoso Cardenas, ucciso “in odium Fidei” a Riobamba nel 1897, e lo spagnolo Emanuele García Nieto, morto a Comillas nel 1974, e la religiosa colombiana Maria Berenice Duque Hencker (al secolo Anna Giulia), fondatrice della Congregazione delle Suore dell’Annunziazione.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
ADAMO ED EVA, MARIA E GIUSEPPE UGUALI DAVANTI A DIO: L’ALLEANZA DI FUOCO. SI’ ALLE DONNE VESCOVO: LA CHIESA ANGLICANA SORPASSA LA CHIESA "CATTOLICA". Il cattolicismo "andropologico" romano è finito
Federico La Sala
L’esperto.
Newman? Un ponte fra la Chiesa di Roma e gli anglicani
Parla lo studioso inglese Roderick Strange. «Da convertito ha portato nella Chiesa di Roma una sensibilità tutta inglese, dimostrando come sia possibile essere inglesi e cattolici allo stesso tempo»
di Silvia Guzzetti, da Londra (Avvenire, mercoledì 13 febbraio 2019)
Fare le piccole cose della vita di tutti i giorni bene e coscienziosamente senza puntare a nulla di eccezionale o esagerato. Questa la santità secondo John Henry Newman, il cardinale inglese che presto sarà santo. «Il grande teologo scrisse due paginette su questo argomento in un volume curato da don William Neville, il cappellano che lo assistette mentre moriva», spiega Roderick Strange, grande esperto di Newman, al quale ha dedicato tre libri, A mind alive (“Una mente viva”), Newman and the Gospel of Christ (“Newman e il Vangelo di Cristo”) e John Henry Newman. A portrait in letters (“John Henry Newman. Un ritratto in lettere”).
«Il suo approccio alla santità ha anticipato la piccola via di santa Teresa di Lisieux - dice don Strange -. E questo santo così inglese non puntava certo alla fama e avrebbe sorriso della decisione della Chiesa cattolica di canonizzarlo». «Non ho nulla del santo», scriveva Newman nel 1850, cinque anni dopo essere diventato cattolico, a una donna che suggeriva la possibilità che venisse contato tra i grandi della Chiesa.
Come avrebbe reagito Newman al riconoscimento del miracolo che lo porterà ad essere proclamato santo?
L’idea l’avrebbe confuso e sorpreso e, nello stesso tempo, anche divertito. Certo, lavorava duramente per avvicinarsi alla perfezione indicata dal Signore. Come tutti i veri santi era profondamente consapevole dei suoi limiti e delle sue debolezze e anche delle cose che sbagliava.
Come era Newman?
Riservato, sobrio, modesto. John Henry Newman è il santo inglese per eccellenza. Non a caso è il primo, in quasi cinque secoli, ad essere elevato all’onore degli altari dopo i martiri del sedicesimo e diciassettesimo secolo. Per trovarne un altro, prima di lui, dobbiamo risalire a san Tommaso Moro, John Fisher e alle centinaia di altri che hanno sacrificato la vita per mantenere la fiammella della fede cattolica accesa durante la riforma di Enrico VIII.
Perché un santo inglese dopo così tanto tempo?
Papa Francesco promuove l’idea che ci sono modi diversi di essere cattolici in diversi Paesi e regioni. Non c’è dubbio che il modo di essere cattolico di Newman era strettamente intrecciato con il suo essere inglese.
Perché Newman venne accusato di non essere un vero cattolico una volta entrato a far parte della Chiesa di Roma?
Perché era molto aperto nel suo modo di vivere il cristianesimo rispetto ad altri anglicani diventati cattolici nello stesso periodo. Frederick Faber, per esempio, il fondatore del “Brompton Oratory”, ancora oggi una delle chiese più famose di Londra, amava le devozioni italiane e cercava di importarle in Inghilterra. Nell’Ottocento i cattolici venivano guardati con diffidenza e si parlava della «missione italiana in Inghilterra», ovvero del tentativo dei fedeli di Roma di trasformare gli inglesi in italiani nel loro modo di professare il cristianesimo. Non era questo l’approccio di Newman che cercava sempre di risalire ai padri della Chiesa ovvero a quelle che riteneva le fonti vere del cristianesimo.
Che cosa lo distingueva dagli altri anglicani diventati cattolici a metà 1800?
Federick Faber e anche il cardinale Henry Edward Manning erano degli appassionati difensori del potere temporale del Papa. Al futuro santo Newman gli aspetti politici del cattolicesimo non interessavano. Un esempio fra tanti. Mentre i vescovi inglesi pensavano che i cattolici dovessero frequentare università gestite dalla Chiesa, Newman era convinto che dovessero andare nelle università statali e studiare insieme a chi non credeva. Era molto pratico e sapeva che l’unica possibilità concreta che avevano di assicurarsi un’istruzione universitaria era frequentare gli atenei che già esistevano. Newman diceva anche che le università pubbliche non potevano essere ambienti più corrotti di un esercito o del mondo degli affari, ambienti che i cattolici potevano frequentare. Per queste sue opinioni veniva considerato con sospetto, anche se la Chiesa di Roma, ufficialmente, non aveva ancora preso posizione sulla questione delle università.
È possibile immaginare Newman come un patrono dell’ecumenismo e pensare che la Chiesa cattolica e quella anglicana siano oggi più vicine?
Non c’è dubbio. Spero che la Chiesa d’Inghilterra possa riconoscere che quello che Newman ha portato alla Chiesa cattolica faceva parte della sua identità anglicana. Il grande teologo è sempre stato molto coerente. Era giunto alla conclusione che, per essere un vero seguace di Cristo, bisognasse appartenere alla Chiesa cattolica ma era anche persuaso che una grande parte di quello in cui credeva fosse compatibile con le sue radici anglicane. È significativo che, una volta diventato cattolico, abbia ripubblicato i suoi sermoni anglicani senza modificarli. Penso che molti anglicani vedano Newman come un vero ponte tra le due Chiese. Qualcuno che ha portato nella Chiesa di Roma una sensibilità tutta inglese, dimostrando come sia possibile essere inglesi e cattolici allo stesso tempo.
Gb: scatta Turing Law, ’riabilita’ i gay
Cancella migliaia di condanne del passato. E onora matematico
di Redazione ANSA *
LONDRA Entra in vigore la legge che sancisce la ’riabilitazione’ giudiziaria di migliaia di "gay e bisessuali" condannati nel regno in anni neppure tanto lontani.
Ribattezzata ’Turing Law’, era stato promessa fin dal 2013, quando a ricevere ’l’assoluzione postuma’ fu il solo Alan Turing: geniale matematico inglese, la cui storia e’ stata portata sul grande schermo dal film ’The Imitation Game’, che durante la II Guerra Mondiale contribuì a scardinare i cifrari segreti nazisti di Enigma. Salvo finire suicida dopo un processo nel 1951 per "comportamento indecente con un 19enne".
In Gb l’omosessualità è stata punita per secoli come un crimine: fino al 1967 in Inghilterra e Galles, fino al 1980 in Scozia, fino al 1982 in Irlanda del nord. L’iniziativa riguarda potenzialmente 49.000 uomini giudicati all’epoca colpevoli per comportamenti oggi non più reato e potrà essere invocata dagli eredi, con il diritto a ottenere la cancellazione delle relative sentenze di condanna dall’anagrafe giudiziaria.
Qualche anziana vittima delle leggi del passato ha tuttavia rigettato l’opportunita’, dicendo di volere "le scuse, non il perdono". La norma e’ valida a partire da oggi dopo essere stata inserita nel Policing and Crime Bill in seguito al cosiddetto Royal Assent, riporta la Bbc
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CHIESA
Teologia e pastorale
Fare l’amore sotto il sorriso di Dio
di MATTEO MENGHINI*
Sebbene, in seguito all’elezione di Bergoglio, alcune cose siano cambiate e ci siano state delle parziali aperture da parte dello stesso Francesco, non si può certo dire che a queste abbiano fatto seguito dei concreti mutamenti nella pastorale. Anzi, eccetto qualche raro caso, si è di fatto rimasti fermi ad una teologia di stampo tridentino.
Per rendersene conto, sarebbe sufficiente recarsi in una delle tantissime parrocchie cattoliche o chiedere a qualche coppia omosessuale o di conviventi quale sia il trattamento loro riservato. Non nego che ci siano alcuni bravi parroci che sappiano guardare oltre il diritto canonico e siano in grado di mettere in secondo piano la rigida morale vaticana.
Noi teologi abbiamo però un difetto (per fortuna!): difficilmente - nel mio caso “mai” - ci accontentiamo delle risposte preconfezionate e ciò che amiamo fare di più è dubitare di quanto “da sempre e in ogni luogo”, per parafrasare Vincenzo di Lerino, ci viene insegnato ed è accettato da molti come vero.
Pensando alla bimillenaria condanna dell’omosessualità, ma non solo, da parte della Chiesa, la mia mente non può dimenticare quanto si afferma al par. 2357 del Catechismo della Chiesa cattolica, un testo - non dimentichiamolo! - fortemente voluto da Giovanni Paolo II ed espressione della teologia promossa nel corso del suo pontificato. In esso, si parla, a proposito dell’omosessualità, di una «genesi psichica (...) in gran parte inspiegabile » e di «atti intrinsecamente disordinati».
Chiunque incappi in queste parole non può non essere portato a pensare all’omosessualità come ad un disturbo di natura psichica. Fortunatamente, nel 1973, l’Associazione psichiatrica americana ha declassificato l’omosessualità come disturbo mentale. Oggi, si sa, omosessuali si nasce, non ci si diventa né, tanto meno, ci si ammala.
In questa sede, il mio intento non è semplicemente quello di invitare alla riflessione circa l’accettazione o meno degli omosessuali o delle coppie conviventi, quanto piuttosto di rilevare alcune delle innumerevoli aporie, o contraddizioni che dir si voglia, fra il messaggio e l’antropologia biblica, da un lato, e l’atteggiamento della Chiesa, dall’altro.
Ciò che è in ballo non è infatti la sola omosessualità, ma, in termini molto più generali, la visione complessiva della sessualità umana.
Premesso che sarebbe un grave errore ecclesiologico identificare nella Chiesa la sola gerarchia (la Chiesa comprende, a mio avviso, non solo quanti sono stati battezzati, ma l’umanità intera, se è vero che c’è un solo Padre, del quale siamo perciò tutti figli), è ormai noto che l’antropologia cattolica è tutto fuorché cristiana.
La netta distinzione dell’essere umano in corpo e anima ed il disprezzo per le realtà materiali, sessualità compresa, non risale certo a Gesù di Nazareth, ma al pensiero greco ed, in particolar modo, a Platone.
Il cristianesimo ha, ahimè, ereditato e fatto proprio quest’erroneo modo di vedere le cose. Perché erroneo? Perché esso non ha nulla a che fare con la predicazione evangelica, né con l’antropologia biblica.
Chi ha un po’ di dimestichezza con le Scritture, le legga e, soprattutto nell’Antico Testamento, che io preferisco chiamare “Primo”, non troverà la benché minima contrapposizione fra corpo e anima. L’essere umano si qualifica, sin dalle prime pagine della Genesi, come un’unità inscindibile. Non è un caso che Gesù s’incarni e risorga anche corporalmente.
Quel che allora mi chiedo e che, senza dubbio, molti prima di me si saranno chiesti è: se io sono figlio di Dio e Sua creatura, perché mai dovrei disprezzare il mio corpo e, in particolar modo, la mia sessualità che, dopo il linguaggio verbale, costituisce il mio principale approccio al mondo?
Se questo corpo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio e se l’essenza di Dio è Amore e relazione, perché mai, al di fuori del matrimonio, la sessualità dovrebbe costituire un atto peccaminoso?
Non si tratta, come molti potrebbero pensare, di giustificare la sessualità come puro e semplice atto di godimento, in cui l’altro è ridotto a mero strumento del mio personale piacere.
La sessualità va invece vista e vissuta come dono e apertura all’altro; se, dunque, essa si concretizza nella dimensione dell’amore, non può essere classificata come peccato e questo per il semplice fatto che, laddove c’è amore, non ci può essere peccato, a prescindere dalla natura di questo amore (sia esso etero o omosessuale).
C’è di più. In un recente intervento, Vito Mancuso ha non a torto parlato di una dimensione triplice dell’amore, che ognuno di noi avrà certamente, almeno una volta, sperimentato e che trova, per così dire, conferma nei tre sostantivi con cui gli antichi Greci designavano quello che oggi è troppo facilmente etichettato come amore. Vi siete mai chiesti quale sia il vero e profondo significato della parola amore: essa significa carità (agape), cioè quella propensione insita in ciascuno ad amare il prossimo come se stessi, amicizia (philia) e passione (eros).
Ebbene, ogni essere umano è chiamato a vivere questa dimensione triplice dell’amore e a non soffocare l’una in favore dell’altra. Questo non vuol certo dire che sbaglia chi, consapevolmente ed in piena libertà, sceglie di vivere nella castità o nella continenza o nell’attesa.
Però, si noti bene: ho scritto “in piena libertà”. La libertà è quello spazio della nostra coscienza che, per definirsi tale, necessita di essere assoluto, cioè svincolato da ogni realtà o istituzione esterna. È naturale che se, non dico vogliamo, ma almeno aspiriamo ad essere cristiani, l’esercizio di questa libertà deve sempre avvenire nel rispetto di chi ho di fronte.
Concludendo questa mia riflessione, ricordo con simpatia la teologa Caterina Jacobelli, autrice del tanto amato-odiato “Risus paschalis”: un contributo, quello di Jacobelli, a cui devo molto e che ha segnato la mia giovinezza e il mio modo di studiare e vivere la teologia.
La mia simpatia va anche a Franco Barbero che, in un faccia a faccia con Oreste Benzi, non si vergognava a dire: «Fate l’amore sotto il sorriso di Dio».
* Laureato in Scienze bibliche e teologiche alla Valdese di Roma e in Scienze delle religioni all’Università di Padova. Il suo blog è teologiainpillole.wordpress.com/blog
* Adista Segni Nuovi 19 NOVEMBRE 2016 • N. 40
CHIESA
Suore sposate
La tristezza del papa
di KRZYSZTOF CHARAMSA*
Recentemente due suore si sono unite in matrimonio. Hanno promesso amore e fedeltà una all’altra. Da cittadine lo hanno fatto in un atto di unione civile, ora finalmente riconosciuto dallo Stato.
Da cattoliche credenti lo hanno fatto in una celebrazione di matrimonio religioso assistite da un sacerdote coraggioso.
Due suore lesbiche mostrano che la comunità omosessuale, incompresa e offesa per secoli, costituisce oggi una chiamata profetica per la Chiesa: esige dalla Chiesa il necessario ripensamento della sua posizione sull’amore umano, confrontandola con l’attuale stato del sapere scientifico ed esperienziale dell’umanità. Infatti, l’amore non può essere riservato solo a una parte dell’umanità, quella eterosessuale, come attualmente obbliga a pensare il magistero della Chiesa.
La Congregazione per la Dottrina della Fede nelle “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali” (2003) impone a tutti i cattolici di ritenere che le relazioni omosessuali non sono umane e non possono esprimere amore, perché «mancano della forma umana e ordinata delle relazioni sessuali».
Chi riflette senza pregiudizi anche solo sulla storia delle due suore innamorate, intende quanto è grossolana la falsità su cui la Chiesa fonda la sua attuale dottrina circa l’omosessualità.
La dottrina “priva” le persone omosessuali di capacità di sentimenti, di affetti e di esperienze d’amore coerenti con il loro orientamento sessuale, mentre la realtà dimostra il contrario.
Osservando la storia delle due suore innamorate e ricordando altre storie di sacerdoti o religiosi gay e religiose lesbiche innamorati, la gente inizia a rendersi conto che non esiste solo l’amore eterosessuale, ma in ugual misura esiste l’amore omosessuale e lesbico.
Quell’amore ha diritto di essere vissuto, proclamato pubblicamente e protetto dalla società e dalla Chiesa. Paradossalmente, mentre la Chiesa si definisce comunità d’amore, fa di tutto affinché l’amore di una parte dell’umanità sia rifiutato, disprezzato, offeso, ma anche negato, ritenuto “impossibile”. Ogni espressione dell’amore omosessuale secondo la Chiesa deve essere denigrato come non-esistente, nascosto come tabù o al massimo vissuto nell’armadio ipocrita (nel closet).
Le due suore hanno avuto il coraggio dell’amore, nonostante la stigmatizzazione da parte della loro Chiesa. Hanno annunciato che non sono uniche, ma che molte religiose nei conventi cattolici vivono esperienze amorose simili a quelle che hanno portato queste due donne credenti al matrimonio.
Ciò che sconvolge in questa storia è solo la reazione della Chiesa. Ciò che inquieta è la reazione di papa Francesco. Infatti, secondo quanto abbiamo appreso dall’apocalittico messaggio di mons. Giovanni Angelo Becciu, sostituto della Segretaria di Stato vaticana: «Quanta tristezza sul volto del papa quando gli ho letto la notizia delle due suore spose».
Ma triste in tutta la vicenda è solo la reazione della mia Chiesa. Davanti alle storie d’amore la Chiesa avrebbe il dovere di una profonda e rinnovata riflessione. Dovrebbe fermarsi nel silenzio rispettoso e riflettere se non ha perso di vista qualcosa che la aiuterebbe a capire la realtà, che stiamo vivendo e che spunta nelle storie d’amore. Dovrebbe domandarsi se non ha offuscato qualcosa di essenziale nella natura umana e se non ha ignorato il sapere umano attuale, stigmatizzando le minoranze sessuali, riducendole a questioni ideologiche o di moda passeggera.
Inquietante è la tristezza del papa, che aveva promesso di essere aperto a studiare la realtà senza pregiudizi. Aveva promesso l’accoglienza non “a parole vuote”, ma l’accoglienza che significa lo sforzo di comprensione della verità dell’altro. Inquietante è la tristezza del papa che sembrava aperto a studiare il sapere umano sulle minoranze sessuali e a smettere di ripetere solo le falsità da tempo superate. Nella sua tristezza egli torna a combattere la realtà e la dignità umana dell’amore, mentre si doveva scrutarla, comprenderla, discernerla.
Forse dovrebbe essere triste il Vaticano e l’intera società cattolica per non aver inteso i segni dei tempi, rinchiudendosi in una mancanza di umanità nei confronti delle persone non eterosessuali, che per ora vengono offese dalla vigente dottrina della Chiesa, che le “priva” di capacità di amore umano. Ora le persone omosessuali: religiose, religiosi, sacerdoti, laiche e laici, stanno mostrando alla Chiesa che sono capaci di amare e non intendono più nascondere il loro amore, che è cristiano e benedetto.
Concedo che per l’umanità la scoperta di quel sano e naturale amore, come espressione di sani e naturali orientamenti sessuali non eterosessuali, è una rivoluzione copernicana. Necessita tempo di comprensione, sforzo intellettuale e formativo, come fu nel processo di superamento della schiavitù. Necessita una Chiesa aperta alla ragione e papi che invitano la Chiesa a pensare.
L’umanità sta affrontando quel processo di civiltà, riconoscendo la dignità e i diritti che spettano alle persone non eterosessuali e chiedendo loro perdono per i secoli di incomprensioni e di offese.
Molte persone omosessuali, suore, preti e laici, attraverso i loro coming out (= uscite dall’oscurità dell’armadio della negazione di sé e del proprio orientamento sessuale) e attraverso le loro storie d’amore partecipano in quel processo coraggioso per un’umanità migliore.
Solo la mia Chiesa, le sue gerarchie e le istituzioni, si sono arroccate nel bastione della tristezza. Ora a pieno titolo in quella “triste tristezza” li presiede niente meno che papa Francesco, il papa della gioia, della comprensione, dell’accoglienza...
Evagrio Pontico aveva inserito la tristezza nel primo elenco di peccati capitali. Poi la tradizione cristiana ha rivisto quell’elenco, riducendo il numero dei peccati al biblico “sette” e cancellando l’“ottava” tristezza.
Oggi, osservando il perdersi della mia Chiesa in mezzo ai segni dei tempi, credo che si dovrebbe tornare al più presto alla tavola dei vizi dei primi secoli: la tristezza è il peccato della Chiesa incapace di usare la ragione e il cuore. È il suo rifugio dalla realtà, il nascondiglio davanti alla dignità dell’amore umano, che va compreso e di cui nessuno può essere privato “in nome di Dio”.
Caro papa Francesco, promettevi la gioia dello studio e della riflessione ecclesiale, libera da pregiudizi, oggettiva e serena, capace di comprendere la realtà. Perché stai tornando alla anti-evangelica realtà della tristezza? Quella tristezza non ci porta da nessuna parte, perché non viene dal Dio dell’Amore.
*
Adista Segni Nuovi NOVEMBRE 2016 • N. 38
L’ex monsignore gay: «Così mi sono rivelato So che Dio mi accetta»
Il libro di Charamsa e la scelta di fare coming out
di Elena Tebano (Corriere della Sera, 28.06.2016)
«Racconterò tutto in un libro» aveva detto Krzysztof Charamsa, teologo gay del Sant’Uffizio, all’indomani del coming out sul Corriere della Sera che a ottobre gli è costato l’abito talare e la carica di ufficiale della Congregazione per la Dottrina della fede. Quel libro, La prima pietra. Io, prete gay, e la mia ribellione all’ipocrisia della Chiesa , arriva giovedì sugli scaffali delle librerie italiane, edito da Rizzoli. «Un’autobiografia che sarà forse accusata di essere incentrata soltanto sull’esperienza della sessualità» la descrive ora dalle sue stesse pagine l’ex monsignore polacco 44enne.
Ma chi si aspetti aneddoti e particolari rischia di rimanere deluso. C’è un accenno all’incontro con Eduard Planas, l’uomo catalano con cui oggi condivide la vita a Barcellona e che è stato fondamentale per il suo coming out. «Lui - racconta - sapeva tutto quello che possono sapere gli amanti di una notte» e nient’altro: non che l’uomo che stringeva tra le braccia era un prete. «Però io non volevo più nascondermi. Ma perché desideravo svelarmi? - si chiede -. Non volevo perderlo, mi ero innamorato. E quella notte avevo visto Dio che mi amava, mi abbracciava, mi accettava».
C’è la descrizione del percorso che lì l’ha portato, a partire dalla sua prima storia con un uomo iniziata quando già aveva preso i voti: «Un prete italiano: si era innamorato di me e fece il suo coming out». Dichiarazione d’amore dapprima respinta da Charamsa con «paroloni su come ciascuno di noi porti dentro di sé le proprie difficoltà e sul fatto che tutto vada dominato con la forza della ragione». Per poi tornare sui suoi passi un mese dopo: «Questo uomo mi ha aperto a me stesso, ha innescato il processo della mia uscita dalla gabbia imposta dalla Chiesa, è stata la scintilla di cui avevo bisogno» scrive adesso l’ex monsignore di quella storia («la mia prima relazione omosessuale»).
Ma c’è più di ogni altra cosa la testimonianza di un doloroso percorso intellettuale e spirituale per giungere ad accettare la propria omosessualità, che l’ha portato a una frattura insanabile con quella Chiesa in cui nutriva una fede incrollabile perché incrollabile era (ed è) la sua fede in Dio. Proprio perché il suo amore e la sua dedizione verso la Chiesa erano totali, ora è fortissima la rabbia per quello che Charamsa percepisce come un tradimento e come la «scoperta» che l’istituzione alla quale ha dedicato la vita era incompatibile con un aspetto centrale della sua persona. Anche per questo
La prima pietra contiene parole durissime nei confronti della Chiesa e del suo clero, che non possono non ferire chi nutre un sentimento cattolico. «Questo libro - dichiara - è anche “la” biografia di una Chiesa, che domina le persone, le sottomette, inculca loro il senso di colpa e promette la salvezza. “Se pubblicamente rinuncerai alla tua sessualità, ti salverai”. Da cosa vorrebbe salvarmi? Dalla felicità di vivere, dalla serenità, dall’accettazione di me stesso, dalla tolleranza, dagli artisti gay, dai baci di Michelangelo?» chiede.
Il suo diventa così un atto di accusa senza appello contro la dottrina cattolica della sessualità (etero e gay) e contro le gerarchie ecclesiastiche. Charamsa ne descrive gli atteggiamenti, compreso quello che definisce «l’odio verso papa Francesco» diffuso «nel Sant’uffizio», in termini tanto sconvolgenti quanto impossibili da verificare per il lettore. Fino a raccontare anche - dall’interno e con un mea culpa - la sua mancata denuncia di un prete che avrebbe abusato di un suo parente quando questi era adolescente.
Lo fa con toni inaccettabili per chi si riconosce nella Chiesa di Roma. Convinto di essere dalla parte (giusta) di Dio, che non ci possa essere conciliazione e che i molti - secondo le sue stime - omosessuali «buoni preti, dovrebbero abbandonare l’istituzione che si permette continuamente di offenderli». Forse è il suo limite più grande, perché gli impedisce di parlare a quella Chiesa di cui è comunque ancora figlio. E a cui molti fedeli chiedono oggi di confrontarsi con questi temi.
di Aldo Maria Valli *
Noi cristiani lo sappiamo, o dovremmo saperlo: la nostra fede è all’insegna dell’et et, non dell’aut aut. Non siamo esclusivisti. Dio è uno e trino. È Padre e Figlio e Spirito Santo. Gesù è Dio e uomo, vero Dio e vero uomo. Per il cristiano, l’uomo è carne e spirito, corpo e anima. Al cristiano piace integrare, includere, non ergere barriere. Con l’incarnazione Dio si è fatto uomo. La Chiesa stessa vive all’insegna dell’et et.
È Chiesa di preghiera e di azione, di grandi asceti e grandi lavoratori, di contemplazione e di missione. Ora et labora, non ora aut labora. La Chiesa ha i predicatori e i confessori, i monaci e le monache di clausura e i preti di strada. La Chiesa accoglie tutti: poveri e ricchi, colti e incolti, giovani e vecchi. Da qualche tempo però sembra di notare che alla logica dell’et et si stia sostituendo nella nostra Chiesa una logica diversa: quella del non solum, sed etiam, cioè del «non solo, ma anche». Potrebbe sembrare che, tutto sommato, non vi siano differenze, ma non è così.
Pensiamo ad Amoris laetitia, nella quale la logica del «ma anche» si trova un po’ ovunque. Dando vita spesso ad affermazioni singolari. Prendiamo per esempio il punto 308, dove si dice: «I Pastori che propongono ai fedeli l’ideale pieno del Vangelo e la dottrina della Chiesa devono aiutarli anche ad assumere la logica della compassione verso le persone fragili e ad evitare persecuzioni o giudizi troppo duri e impazienti».
Dobbiamo dedurne che il modo più efficace per essere compassionevoli non è esattamente quello di proporre l’ideale pieno del Vangelo? Quanto poi alla vexata quaestio circa la comunione ai divorziati risposati, qual è la conclusione? Dopo aver letto e riletto il testo più e più volte, la risposta è: comunione sì, ma anche no. Oppure: comunione no, ma anche sì. Nel documento, in effetti, entrambe le conclusioni sono legittimate. A ciò conduce la logica del caso per caso, a sua volta figlia dell’etica della situazione. Mi devo considerare un peccatore? Sì, ma anche no. No, ma anche sì. Dipende.
I sintomi della logica del «ma anche» emergono qua e là, in occasioni diverse, ma sono sempre più frequenti.
Vado in ordine sparso.
Primo esempio. Quando papa Francesco si è recato in visita alla chiesa luterana di Roma e gli è stato chiesto se un cattolico e un luterano possono partecipare alla comunione, Bergoglio, attraverso una lunga risposta a braccio, ha detto in sostanza: no, ma anche sì, bisogna vedere caso per caso, perché «è un problema a cui ognuno deve rispondere».
Secondo esempio. Quando, nella sala stampa vaticana, il cardinale Schönborn, commentando Amoris laetitia, ha detto che il divieto di fare la comunione, per i divorziati risposati, non è stato revocato, ma, attraverso la via caritatis indicata da Francesco, «si può dare anche l’aiuto dei sacramenti in certi casi», in pratica ha detto: no, ma anche sì; sì, ma anche no.
Terzo esempio. Quando Francesco, prendendo parte a un video sul dialogo interreligioso (nel quale appaiono un musulmano, un buddista, un ebreo e un prete cattolico) ha detto che le persone «trovano Dio in modi diversi» e «in questa moltitudine c’è una sola certezza per noi: siamo tutti figli di Dio», chi eventualmente volesse avere un’altra certezza di un certo spessore (qual è la vera fede?) potrebbe arrivare alla conclusione che è la nostra, ma anche quella degli altri.
Quarto esempio. Quando eminenti esponenti della curia romana ci dicono che la Chiesa, dopo la rinuncia di Benedetto XVI, ha sì un unico papa legittimo, però ha in effetti due successori di Pietro, entrambi viventi ed entrambi pienamente papi, si vede anche lì all’opera la logica del «ma anche»: abbiamo un papa, ma anche due. E se qualcuno, inopportunamente, sostenesse che non possono essere entrambi pienamente papi, la risposta sarebbe assicurata: perché no? Lo è l’uno, ma anche l’altro.
Mi fermo con gli esempi e vengo al dunque. Attenzione: i cattolici sono pluralisti e non amano l’uniformità. Fin dall’inizio le comunità cristiane nascono all’insegna dell’inculturazione della fede e dunque sono multiformi. Tanto è vero che ancora oggi abbiamo riti diversi. La Chiesa si incultura in Occidente e in Oriente, al Nord e al Sud, in ogni contesto. In quanto cattolica, è opportuno ripeterlo, si rivolge a tutti e tutti accoglie: non seleziona a priori su base di censo o di conoscenza. Altrimenti sarebbe settaria, non cattolica. E fin qui siamo in pieno nella logica dell’et et.
La logica del «ma anche» però è un’altra cosa. È la pretesa di tenere uniti gli opposti o comunque qualcosa che insieme non ci può stare, o ci può stare solo a prezzo di forzature. C’è una differenza profonda tra la logica dell’et et e quella del «ma anche». Se l’et et unisce, il «ma anche» più che altro giustifica. Se l’et et rispetta la complessità e la riporta a unità, il «ma anche» cerca di superare la complessità attraverso qualche scorciatoia logica ed etica. Laddove l’et et unisce, il «ma anche» banalizza. Mentre l’et et punta alla verità, il «ma anche» si mette al servizio dell’utilità.
Qualcuno dirà: scusa tanto, ma che c’è poi di male nella Chiesa del «ma anche»? È così bello poter dire sì ma anche no, no ma anche sì. È umano. Noi siamo creature complesse, dunque perché andare alla ricerca di impossibili risposte nette e univoche? È tanto bello e buono non giudicare e prendere la realtà per quella che è, cioè complicata e contraddittoria. Perché dobbiamo sottoporre le persone a dure prove? Non è meglio smussare gli angoli e giustificare?
Ecco che cosa c’è di male: che la Chiesa del «ma anche» sposa esattamente la logica del mondo, non quella del Vangelo di Gesù. E infatti riceve gli applausi del mondo. Ma noi sappiamo che questo non è un buon segno. Il cristiano, quando è coerente, è perseguitato dal mondo, non applaudito.
D’altra parte, mentre suscita gli entusiasmi degli atei e dei laicisti, che vi trovano conferme e giustificazioni, la logica del «ma anche» lascia perplessi coloro che sono in cerca della fede. Chi cerca la Verità con la V maiuscola non vuole scorciatoie e parole ambivalenti. Ha desiderio di indicazioni di senso.
Lo scivolamento dalla logica dell’et et a quella del non solum, sed etiam avviene ogni giorno, in modo magari impercettibile, ma inesorabile. E coinvolge persone degnissime e buonissime, convinte in cuor loro di essere al servizio del Vangelo. Più che colpevoli, sono vittime. Perché la logica del «ma anche» è nell’aria che respiriamo.
Essere uomini e donne dell’et et significa non essere ambigui e non lasciare spazio alla confusione. La logica dell’et et sfocia nell’inclusione, non nella confusione. Gesù, campione dell’et et e non dell’aut aut, ha raccomandato che il nostro parlare sia «sì sì, no no». La confusione e la doppiezza sono specialità del diavolo, che in questo modo persegue il suo obiettivo: separare.
Personalmente, proprio perché so che, come tutti, respiro ogni giorno aria impregnata dalla logica del «ma anche», per cercare di stare in guardia uso un semplice espediente: ogni volta che in un’argomentazione trovo sintomi di «ma anche», lascio che un campanello squilli nella testa e nel cuore. Lì, mi dico, c’è qualcosa che non va.
Lì il soggettivismo è in agguato. E quando poi il soggettivismo, come il lupo della favola, si traveste e indossa l’abito della coscienza morale e, per giustificarsi, dice con voce suadente «ma io, in coscienza...», il campanello suona ancora più forte.
E mi viene in mente il cardinale Newman, per il quale la coscienza non era la scorciatoia verso l’etica della situazione, ma l’originario vicario di Cristo.
Sentiamo in proposito le cristalline parole di Benedetto XVI (20 dicembre 2010): «Nel pensiero moderno, la parola “coscienza” significa che, in materia di morale e di religione, la dimensione soggettiva, l’individuo, costituisce l’ultima istanza della decisione. La concezione che Newman ha della coscienza è diametralmente opposta. Per lui “coscienza” significa la capacità di verità dell’uomo: la capacità di riconoscere proprio negli ambiti decisivi della sua esistenza - religione e morale - una verità, “la” verità».
«La coscienza, la capacità dell’uomo di riconoscere la verità, gli impone con ciò, al tempo stesso, il dovere di incamminarsi verso la verità, di cercarla e di sottomettersi ad essa laddove la incontra. Coscienza è capacità di verità, e obbedienza nei confronti della verità, che si mostra all’uomo che cerca col cuore aperto. Il cammino delle conversioni di Newman è un cammino della coscienza, un cammino non della soggettività che si afferma, ma, proprio al contrario, dell’obbedienza verso la verità che, a passo a passo, si apriva a lui».
Il che spiega perché, nella famosa Lettera al Duca di Norfolk, Newman scrisse che, nel caso avesse dovuto portare la religione in un brindisi, certamente avrebbe brindato per il papa, ma prima per la coscienza e poi per il papa. Ovvero: prima per la ricerca della verità, poi per l’autorità.
Ecco: coscienza è capacità di verità. Quando la coscienza del cristiano abbandona il sentiero stretto e impervio di questa ricerca e si incammina lungo i boulevard del «ma anche» (illuminati dai mass media e gratificanti, ma senza uscita), ho l’impressione che rischi fortemente di perdersi. E di finire dritta dritta nella tana del lupo.
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Aldo Maria Valli , 28.05.2016.
USA: 111 PASTORI METODISTI FANNO COMING OUT. E CHIEDONO ALLA CHIESA MAGGIORI APERTURE *
38554 PORTLAND-ADISTA. Con tutta probabilità la Conferenza generale della United Methodist Church, in corso a Portland (Oregon) dal 10 al 20 maggio, sarà ricordata come un momento chiave della vita di questa comunità.
Sugli 864 delegati provenienti da Stati Uniti, Europa, Africa e Filippine (in rappresentanza di 12 milioni di fedeli nel mondo) pende infatti la questione dell’accoglienza delle persone lgbtqi, sollevata, a ridosso dell’apertura dei lavori, da 111 membri del clero e candidati al ministero in una lettera aperta pubblicata sul portale Reconciling Ministries Network (il documento è stato cliccato talmente tante volte da mandare in crash il sito). I firmatari si dichiarano gay, lesbiche, bisessuali, transgender, queer e intersessuali (lgbtqi) e accusano la Chiesa metodista di averli costretti a nascondere la propria identità sessuale.
Con questo coming out, spiegano, «vogliamo dare speranza ai giovani lgbtqi che frequentano Chiese metodiste ostili»: «Questi giovani - scrivono - sono più a rischio di suicidio rispetto ai loro coetanei, anche a causa delle condanne che provengono dai pulpiti e dai banchi delle loro chiese». «Facciamo coming out per ricordare loro che l’amore di Dio è incommensurabile e che non li abbandonerà mai». «Facciamo coming out per invitarli ad ascoltare ancora Dio, piccola voce che parlerà nei luoghi tranquilli dei loro cuori, che li chiamerà a posizioni di leadership.
Cerchiamo di creare per loro un cammino di speranza nel ministero, anche se la Chiesa ha cercato di chiudere loro la porta in faccia, tollerando in maniera più o meno aperta la persecuzione delle persone lgbtqi».
«Ti vogliamo bene, cara Chiesa», proseguono i 111 firmatari: «Attraverso di te, posiamo i piedi su un terreno sacro e vediamo il volto di Dio in modo più chiaro. La nostra preghiera, per questo momento di discernimento della Conferenza generale, è che ci si ricordi che in tutto il mondo ci sono persone senza nome affamate di una parola di speranza e di guarigione». «La “questione lgbtqi” non può essere risolta attraverso una legislazione restrittiva - proseguono - ma riconoscendo che tutte le persone sono fatte a immagine di Dio e vanno accolte nella comunità di fede». «Cara Chiesa - è la conclusione - le nostre preghiere sono con voi, con tutti noi, per i prossimi giorni. Potremmo essere sorpresi dallo Spirito che continua a infondere nuova vita in modi inaspettati. In un mondo lacerato dalla paura e dalla diffidenza, potremmo offrire una potente testimonianza trovando unità nelle nostre differenze».
I firmatari rischiano parecchio considerato che il Book of Discipline della United Methodist Church statuisce che «la pratica dell’omosessualità è incompatibile con l’insegnamento cristiano» e che «pertanto chi si dichiara omosessuale praticante non può accedere al ministero ordinato».
Inoltre le prime battute di questa Conferenza generale (che si riunisce ogni quattro anni) non lasciano sperare nulla di buono. Vicki Flippin, pastora alla Church of the Village di New York, ha raccontato sul proprio profilo Facebook che le era stato chiesto di tenere un breve discorso di benvenuto durante un servizio di culto, a partire dal suo contesto di provenienza, contesto che, ha spiegato, «include molte persone lgbtq». «Avevo pianificato di dire: “Qualunque sia la vostra identità di genere, qualunque sia il vostro orientamento sessuale, la vostra razza o nazionalità, qualunque sia la vostra età, appartenete alla casa di Dio e vi saluto nel nome di Gesù Cristo”. Mi hanno detto che se avessi voluto partecipare, avrei dovuto omettere qualsiasi riferimento a persone lgbtqi».
«Stiamo cercando di rendere i nostri servizi di culto più inclusivi possibile - ha spiegato la pastora Laura Bartlett, a capo dei servizi di culto della Conferenza generale - ma abbiamo ritenuto che citare un gruppo particolare potesse dare a intendere che gli altri sono esclusi e volevamo evitarlo».
Flippin ha deciso quindi di non partecipare: «Non posso in coscienza prendere parte a un servizio di culto che non fa nemmeno finta di accogliere e includere i figli lgbtqi di Dio». (ingrid colanicchia)
*
• Adista/Notizie, N. 19, 21 MAGGIO 2016
La confessione del monsignore Krzysztof Charamsa: "Io gay felice e con un compagno".
La Santa Sede: "Lasci l’insegnamento"
"So che pagherò conseguenze, ma ora Chiesa apra gli occhi"
di Redazione ANSA *
ROMA. "Certamente mons. Charamsa non potrà continuare a svolgere i compiti precedenti presso la Congregazione per la dottrina della fede e le università pontificie, mentre gli altri aspetti della sua situazione sono di competenza del suo Ordinario diocesano". Lo ha detto padre Federico Lombardi.
"La scelta di operare una manifestazione così clamorosa alla vigilia della apertura del sinodo - dichiara padre Lombardi - appare molto grave e non responsabile, poiché mira a sottoporre l’assemblea sinodale a una indebita pressione mediatica". E questo nonostante il rispetto per le vicende personali.
La confessione del monsignore. "Voglio che la Chiesa e la mia comunità sappiano chi sono: un sacerdote omosessuale, felice e orgoglioso della propria identità. Sono pronto a pagarne le conseguenze, ma è il momento che la Chiesa apra gli occhi di fronte ai gay credenti e capisca che la soluzione che propone loro, l’astinenza totale dalla vita d’amore, è disumana". Lo afferma al Corriere della Sera, monsignor Krzysztof Charamsa, 43 anni, polacco, ufficiale della Congregazione per la Dottrina della Fede e segretario aggiunto della Commissione Teologica Internazionale vaticana, oltre che docente alla Pontificia Università Gregoriana e al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum.
Molto attivo sui social network, da twitter a linkedin, monsignor Krzysztof Charamsa, il teologo gay ha anche un suo blog, attivato alla fine di questo mese agosto. Pochi ancora i post pubblicati e il monsignore si presenta al pubblico della rete con una foto in t-shirt gialla e con un saluto in diverse lingue.
Sulle ragioni del suo coming out, spiega: "Arriva un giorno che qualcosa si rompe dentro di te, non ne puoi più. Da solo mi sarei perso nell’incubo della mia omosessualità negata, ma Dio non ci lascia mai soli. E credo che mi abbia portato a fare ora questa scelta esistenziale così forte , forte per le sue conseguenze, ma dovrebbe essere la più semplice per ogni omosessuale, la premessa per vivere coerentemente, perché - aggiunge - siamo già in ritardo e non è possibile aspettare altri cinquant’anni".
"Dunque dico alla Chiesa chi sono - aggiunge -. Lo faccio per me, per la mia comunità, per la Chiesa. È anche mio dovere nei confronti della comunità delle minoranze sessuali". Alla domanda su che cosa pensi di ottenere, mons. Charamsa afferma: "Nella Chiesa non conosciamo l’omosessualità perché non conosciamo gli omosessuali. Li abbiamo da tutte le parti, ma non li abbiamo mai guardati negli occhi, perché di rado essi dicono chi sono.
Vorrei con la mia storia scuotere un po’ la coscienza di questa mia Chiesa. Al Santo Padre rivelerò personalmente la mia identità con una lettera".
Il teologo spiega di parlare alla vigilia del sinodo sulla Famiglia perché "vorrei dire al Sinodo che l’amore omosessuale è un amore familiare, che ha bisogno della famiglia. Ogni persona, anche i gay, le lesbiche o i transessuali, porta nel cuore un desiderio di amore e familiarità. Ogni persona ha diritto all’amore e quell’amore deve esser protetto dalla società, dalle leggi. Ma soprattutto deve essere curato dalla Chiesa".
Nel libro per le omelie anche un testo di Vendola
di Angela Frenda (Corriere della Sera, 28.01.2011)
MILANO- È accanto a Madre Teresa di Calcutta, al cardinale Van Thuan e a Charles de Foucauld, come testimone della quaresima nel Sussidio liturgico-pastorale edito dai Paolini e diretto ai sacerdoti, cioè uno strumento per preparare le omelie del tempo liturgico penitenziale. Ma Nichi Vendola questa notizia l’ha appresa soltanto ieri, uscito da una riunione a Bruxelles. Ed è stato subito entusiasta: «Che abbiano scelto il mio pezzo su Don Tonino Bello mi ha molto commosso. Non ne sapevo nulla. D’altronde io amo la Chiesa quando sa accogliere. Quando sa annunciare. Quando è crocevia di salvezza» .
Non nasconde, il presidente della Regione Puglia e leader di Sel, di poter essere un personaggio «scomodo» per una parte della Chiesa. Ma rilancia con orgoglio: «So bene che nella Chiesa ci sono coloro che pensano che la mia vita sia incompatibile con la fede. Il mio peccato è di non essere un’ipocrita. Sono pronto a una discussione vera anche sui temi dell’omosessualità. Non mi sono mai nascosto. Perché la cosa che più ho aborrito è l’ipocrisia» .
A scegliere il suo pezzo è stato don Giuseppe Turani, parroco di Monte Marenzo, in provincia di Lecco, che ha curato anche l’introduzione dell’opuscolo di 155 pagine. E che ieri, interpellato, mostrando preoccupazione soprattutto per eventuali strumentalizzazioni sulla sua scelta, ha spiegato: «Ho voluto pubblicare la lettera di Vendola perché parla del vescovo Tonino Bello. E credo sia un segnale positivo presentare questo personaggio attraverso una persona che è impegnata in politica. Persona, Vendola, che io so molto religiosa e in gamba. E che io stimo da tempo» .
La lettera del presidente della Regione Puglia (pubblicata sulla Gazzetta per il Mezzogiorno del 19 aprile 2010) è idealmente indirizzata a don Tonino Bello, mitico vescovo del Sud da molti ritenuto un santo, scomparso nell’aprile ’ 93, ed inserita nella meditazione per la prima domenica di Quaresima. Scrive Vendola: «Oggi vincono e convincono quelli che non hanno tempo per occuparsi di vittime, di poveri, di esuberi, di quelle pietre di scarto che nel Vangelo saranno pietre angolari dell’edificio della salvezza. Quelli che girano lo sguardo dall’altra parte, quelli che fingono di non vedere l’orrore, quelli che sono gli eroi di cartapesta del nostro immaginario e della nostra etica. Oggi gli afflitti vengono ulteriormente afflitti e i consolati ulteriormente consolati...» .
Il governatore della Puglia riflette anche, nella sua lettera, su quella Chiesa che «spesso pare più vocata all’autodifesa che non all’annuncio» . Ad accompagnare la lettera del governatore pugliese, però, è stato inserito dai Paolini anche un boxino legato al tema del perdono dei peccatori, e che è intitolato «La sapienza dei padri» in cui si narra di Bessarione, grande monaco vissuto nel IV secolo. «Capitato in una chiesa durante la predica- scrive la rivista dei Paolini - gli toccò sentire il presbitero scacciare un peccatore, giudicato indegno di stare tra la gente per bene. Bessarione non mosse ciglio, si alzò e uscì con lui dicendo: anch’io sono un peccatore» .
COME L’UOMO VECCHIO MANGIA L’UOMO NUOVO ("NEW-MAN") E LA FEDELTA’ ALLA VERITA E A DIO VIENE CONTRABBANDATA COME FEDELTA’ AL PAPA - E ALL’ "UOMO SUPREMO" DEL VISIONARIO SWEDENBORG.
Sul tema, si cfr.:
RATZINGER ’A SCUOLA’ DEL VISIONARIO SWEDENBORG. Una nota di Leonard Boff e una di Immanuel Kant
LA TEOLOGIA DEL MENTITORE, LA CHIESA DI COSTANTINO, E LA SOVRANITA’ DEL PAPA.
Perché il Papa ha beatificato l’anti-orgoglio di Newman *
di Bruno Forte (Il Sole-24 ore, 19 settembre 2010)
Che cosa ha da dire alle donne e agli uomini della nostra inquieta post-modernità John Henry Newman, il pensatore inglese che Papa Benedetto XVI ha dichiarato beato oggi a Birmingham? Vorrei evidenziare la forza del suo messaggio attraverso due sottolineature. La prima è espressa da un testo scritto da Newman poco più che trentenne, quando era ancora soltanto un giovane cercatore della verità, che fosse capace di illuminare il cuore e la vita.
È il 1833 e sulla nave che lo porta dalla Sicilia a Napoli nel suo primo viaggio in Italia la nebbia che scorge gli appare una sorta di metafora della condizione umana, figura di tutti noi che nella scarsa visibilità dell’orizzonte cerchiamo un senso alla vita: «Lead Kindly Light... Guidami, luce gentile, tra la nebbia che mi circonda, guidami tu! Buia è la notte, lontana la casa... Guida i miei passi; non voglio vedere l’orizzonte lontano; un passo alla volta è sufficiente per me».
Newman aveva fatto l’esperienza dell’autonomia presuntuosa della ragione, in questo non diverso da tanti di noi e dalle grandi avventure della coscienza moderna. È lui stesso a confessarlo: «Non sempre invocai così la tua guida. Amavo scegliere la mia strada... Amavo il giorno luminoso, l’orgoglio mi guidava... ma ora, guidami tu!».
Per questa sua vicinanza a tutti gli inquieti cercatori del vero Benedetto XVI ha potuto dire di lui, parlando ai giornalisti sull’aereo che lo portava a Edimburgo: «Newman è soprattutto un uomo moderno che ha vissuto tutto il problema della modernità, che ha vissuto anche l’agnosticismo, il problema dell’impossibilità di conoscere Dio, di credere. Un uomo che è stato tutta la sua vita in cammino, per lasciarsi trasformare dalla verità in una ricerca di grande sincerità e di grande disponibilità di conoscere e di trovare e di accettare la strada che dà la vera vita».
Cercatore di Dio, Newman è approdato alla fede e successivamente al "porto" della Chiesa cattolica attraverso un esemplare esercizio di onestà intellettuale.
Intento a scrivere quella che doveva essere un’apologia del suo anglicanesimo, il Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana, la sua mente fu come rapita dalla forza della verità, che non è il lampo di un’ora estrema o l’illuminazione di una stagione che passa, ma la luce che avvolge la ragione e la conquista nella forza serena della sua permanenza nello spazio e nel tempo: «L’acquisizione della verità non assomiglia in niente all’eccitazione per una scoperta; il nostro spirito è sottomesso alla verità, non le è, quindi, superiore ed è tenuto non tanto a dissertare su di essa, ma a venerarla... Noi ci fondiamo sulla pienezza cattolica».
Ed è struggente la confessione del senso di libertà e di pace così raggiunto, scritta da Newman vari anni dopo nella Apologia pro vita sua: «Al momento della conversione non mi rendevo conto io stesso del cambiamento intellettuale e morale operato nella mia mente. Non mi pareva di avere una fede più salda nelle verità fondamentali della rivelazione, né una maggior padronanza di me; il mio fervore non era cresciuto; ma avevo l’impressione di entrare in porto dopo una traversata agitata; per questo la mia felicità, da allora a oggi, è rimasta inalterata». Non fu facile mantenere questa pace: abbandonato da molti degli amici e ammiratori di un tempo, osteggiato e guardato con sospetto da molti fra gli stessi cattolici, Newman dovette tener fede alla luce ricevuta con grande fortezza d’animo. A chi gli chiedeva che cosa lo avesse convinto a divenire e rimanere cattolico, rispondeva senza esitazione: «l’obbedienza alla verità».
Ed è questa la seconda sottolineatura con cui vorrei cogliere l’attualità del suo messaggio: in un’epoca di inquietudini e di incertezze, nella permanente insicurezza della nostra "società liquida", Newman dimostra che è possibile conoscere la verità che rende liberi. È la storia della sua vita a dimostrarlo. Una sorta di confessione, scritta nei suoi ultimi anni, ce lo rivela con la forza di un’esperienza vissuta, custodita con identica passione dai tempi in cui era un neofita a quelli in cui fu fatto cardinale della Chiesa romana: «O mio Dio, tutta la mia vita non è che una catena di misericordie e di benefici, diffusi sopra di un essere che ne è indegno. Non ho bisogno della fede per credere alla tua provvidenza verso di me, giacché ne ho fatto lunga esperienza. Tu mi hai condotto d’anno in anno, mi hai allontanato dalle strade pericolose, mi hai ritrovato se smarrito, mi hai rianimato, ristorato, mi hai sopportato, mi hai diretto, mi hai sostenuto. O, non abbandonarmi nel momento in cui la forza mi vien meno! Tu non mi abbandonerai mai! Io posso riposarmi in te con sicurezza». A chi di noi non parla, almeno nella forma del desiderio, una simile testimonianza?
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IL PROFILO
John Henry Newman (Londra, 21 febbraio 1801 - Edgbaston, 11 agosto 1890), che verrà beatificato oggi da Benedetto XVI, è stato un teologo, filosofo e cardinale inglese. Nato in una famiglia anglicana, diventato diacono nel 1824, si convertì al cattolicesimo nel 1845, dopo essersi dedicato a profondi studi filosofici e teologici. È considerato uno dei più grandi prosatori inglesi, e la sua opera è molto apprezzata anche dai non cattolici. È stato definito uno dei "padri assenti" del Concilio Vaticano II per la profondità e l’originalità del suo pensiero teologico e filosofico.
NEWMAN E MANZONI. L’importanza della lezione dei "PROMESSI SPOSI", oggi.
Newman, quell’italiano
di Lorenzo Fazzini *
Si era lui stesso addirittura tradotto in «Giovanni Enrico Neandri». Tanto grande sentiva il suo debito ammaliante con l’Italia e i suoi abitanti, prima e dopo la conversione al cattolicesimo. Il teologo John Henry Newman vanta un fecondissimo rapporto con il Belpaese e alcuni dei suoi esponenti, illustri e meno celebri, determinati nel cammino che rese il pensatore di Oxford uno dei più grandi apologeti della Chiesa contemporanea. E in vista dell’imminente beatificazione di Newman, che Benedetto XVI presiederà a Birmingham il prossimo 19 settembre durante la visita in Gran Bretagna, riemergono i legami tra la «casa» della Chiesa cattolica, l’Italia, e il futuro beato.
Anzitutto, i retaggi culturali: già in una lettera da quindicenne citava le tragedie di Vittorio Alfieri, mentre da adolescente si era innamorato della musica di Nicolò Paganini, tanto da volersi cambiare cognome appunto in «Neandri» in onore dell’amato musicista.
Quindi, la presenza: Newman fu in Italia in tre occasione: un primo viaggio nel 1833, all’insegna della tradizione del «grand tour» degli intellettuali del Nord Europa, che guardavano alla Penisola come la sede della grande cultura classica. Soprattutto è la Sicilia, con le rovine di Segesta, a toccarlo: qui, tra l’altro, contrae una malattia, che gli fa sperimentare un «Provvidenza divina» manzoniana ante litteram (e vedremo perché).
«In Italia egli ha visto una vibrane e viva Chiesa cattolica con tradizioni che esistono da secoli» commenta Jo Anne Cammarata Sylva, autrice del recente How Italy and Her People Shaped Cardinal Newman, il cui sottotitolo - «Influenze italiane su una mente inglese» - spiegano il senso di questa monografia uscita per le edizioni americane Newman House Press (pp. 190, 10$). Il 2 marzo seguente Newman è nella Città eterna: «E ora cosa posso dire di Roma se non che è la prima delle città? È possibile che un luogo così sereno e nobile sia la gabbia di creature immonde? Mi sono sentito quasi in imbarazzo, confuso per la grandezza unita all’estrema cura e grazia». Così scriveva l’anglicano (e antipapista) in una lettera citata in John Henry Newman. La ragionevolezza della fede, biografia edita da Ares a firma di Lina Callegari (pp. 424, euro 23).
Il secondo passaggio in Italia avviene nel 1846, a conversione già avvenuta: Newman visita Milano, città a lui cara perché terra dei grandi padri della fede, Ambrogio e Agostino. Infine, l’ultima venuta data al 1856 quando visita alcuni oratori di San Filippo Neri, di cui è membro, ad esempio giungendo in inverno a Verona, presso l’abate filippino Carlo Zamboni, cui voleva porre alcune domande sulla regola dell’ordine.
Fondamentale è l’episodio «italico» quando Newman divenne cattolico per mano di un missionario di Viterbo, trasferitosi in Inghilterra dove voleva rinverdire la morente tradizionale cattolica. Parliamo del beato Domenico Barberi, nato nel 1792, che invece della Cina e dell’America scelse la terra di Shakespeare come missione (nel 1963 Paolo VI lo proclamerà beato). Ebbene, è la Cammarata a ricordarci come quel 9 ottobre 1845 fu proprio padre Barbarini,venuto in contatto con Newman in precedenza, ad accoglierne la confessione e l’ingresso nella Chiesa cattolica. Racconterà Barbarini: «Arrivammo a Littlemore un’ora prima di mezzanotte. Mi misi davanti al fuoco per asciugarmi. La porta si aprì e che spettacolo fu per me vedere ai miei piedi Newman che mi chiedeva di ascoltare la sua confessione, con straordinaria umiltà e devozione». Commenta Cammarata: «Che cosa curiosa che il "Papa dei protestanti" sia stato convertito da un piccolo prete italiano». Quasi per riconoscenza Newman cercò di imparare l’idioma di Dante tanto che nel suo viaggio l’anno successivo (1846) poté rivolgersi nella nostra lingua al cardinale Fransoni, prefetto del Collegio di Propaganda Fide.
Alfonso Maria de’ Liguori fu un altro apporto italico al cammino del teologo verso la Chiesa. Il santo napoletano, con i suoi Sermoni, aiutò Newman a comprendere la reale portata dell’importanza della figura di Maria nella vita cristiana, così da sopire la freddezza del pensatore inglese verso la figura della Madonna.
Ancora: il fecondo legame Newman-Italia si esplica nella devozione del teologo per Alessandro Manzoni e i suoi Promessi sposi, nonché la simpatia di Antonio Rosmini per l’autore di Oxford. Il beato roveretano infatti era venuto in contatto con Newman tramite padre Luigi Gentili, cappellano di un benestante cattolico inglese. Il loro rapporto intellettuale - i due non si conobbero mai di persona - era così intenso che nel 1849 addirittura dal cardinale Wiseman venne chiesto a Newman di leggere le Cinque piaghe della Chiesa di Rosmini, sul quale non ebbe niente da dire in termini dottrinali. E probabilmente tale giudizio influenzò anche la decisione vaticana di non censurare l’opera dello studioso di Rovereto.
Ancora più interessante il rapporto tra Manzoni e il cardinale dell’Oratorio: nel 1837 Newman scriveva di «aver letto il suo romanzo, che mi è decisamente piaciuto. Non ha la ricchezza o il vigore di un Walter Scott, ma mi sembra pieno di naturalità e dispiega una profondo senso religioso che non compare nelle composizioni di Scott, per quanto belle siano». La Cammarata ipotizza anche che nella figura letteraria di fra Cristoforo Newman abbia trovato il proprio ideale di sacerdote. E quando venne in Italia nel 1846 - sia Callegari che la Cammarata lo ricordano - Newman voleva incontrare Manzoni («mi propongo di andare da lui», scrisse in una coeva lettera a Edward Badeley). Solo l’assenza del romanziere da Milano non favorirò un incontro che sarebbe passato di certo agli annali della storia della cultura.
Lorenzo Fazzini
* Avvenire, 10 settembre 2010
Newman, il cardinale che visse fra due Chiese
di Richard Newbury (La Stampa, 16.09.2010)
Su quale Chiesa John Henry Newman abbia avuto maggiore influenza a lungo termine è questione di storia ecclesiastica: la Chiesa d’Inghilterra, per la quale era un apostata o quella di Roma, che per due volte lo accusò di eresia quando era un prete cattolico? In qualità di fondatore del Movimento di Oxford e Vicario della University Church ha portato a una parte della Chiesa anglicana una nuova visione della spiritualità interiore e un rituale esteriore - «incensi e campane» per i suoi oppositori - nonché fatto conoscere l’importanza dei Padri della Chiesa.
Alla Chiesa cattolica ha dimostrato che si deve motivare l’esistenza di Dio nel mondo: in città industriali come Birmingham, dove aprì il suo oratorio in una ex distilleria di gin o ragionando sull’ateismo e sul socialismo utopistico di Owen. Newman vedeva la teoria dell’evoluzione di Darwin come parte integrante della creazione divina. Ciò che il cardinale trovava assai problematico da accettare erano il Concilio Vaticano I e l’infallibilità papale. Eppure lui stesso che aveva attaccato i presuli anglicani perché troppo servili verso l’autorità laica e secolare, sarebbe stato accusato di eresia per aver criticato i vescovi cattolici di non prestare abbastanza ascolto all’opinione laica. Newman era comunque in anticipo sui tempi. Papa Paolo VI avrebbe definito il Concilio Vaticano II «il Concilio di Newman», mentre Papa Benedetto XVI che beatificherà il cardinale domenica a Birmingham, è ispirato dal suo impegno teologico in un mondo secolarizzato.
Newman nacque a Londra nel 1801, figlio di un banchiere che si era fatto da sè. Andato in bancarotta nel 1816, morì per la vergogna nel 1824. La madre era una francese ugonotta, il che potrebbe spiegare la mancanza in John Henry del pragmatismo anglosassone. Fu cresciuto nella «religione nazionale di Inghilterra», «la religione della Bibbia», che «non consiste in riti o credenze, ma soprattutto nel leggere la Bibbia, in Chiesa, nella famiglia, e in privato».
La prima conversione avvenne a scuola, a 15 anni, come evangelico anglicano «rinato», «una conversione interiore, di cui sapevo - scriveva - (e di cui sono ancora oggi più certo che di avere mani e piedi) che sarebbe durata nella vita ultraterrena e che ero stato eletto alla gloria eterna». Gli ultimi risparmi della famiglia furono spesi per mandare il brillante studente 16enne a Oxford.
In uno dei suoi ricorrenti esaurimenti nervosi causati dal troppo studio fallì gli esami, ma vinse comunque una cattedra a vita ad Oriel e nel 1825 prese i voti. Furono i suoi colleghi a minare le sue convinzioni evangeliche e insieme fondarono il Movimento di Oxford enfatizzando il rito rispetto all’individualismo: un’intera generazione di studenti di Oxford fu estremamente influenzata dalla sua predicazione. Per Newman la coscienza personale e Dio erano le uniche due realtà.
Il giovane che ebbe il maggior impatto emotivo e spirituale su Newman fu Hurrell Froude, che stava morendo di tubercolosi. Nel 1833 insieme visitarono Roma, dove Newman provò «sentimenti contrastanti» in questo luogo di martiri e Apostoli, ma anche di superstizione e indulgenze. Ciò che spinse molti evangelici a diventare anglo-cattolici furono gli atti del Parlamento del 1828 e del 1829 che permisero ai protestanti non anglicani e ai cattolici di essere eletti al Parlamento, perché era il Parlamento che disciplinava la Chiesa d’Inghilterra.
Newman cercò una «via di mezzo» tra la «corruzione» di Roma, il libero pensiero del potere secolare e le «false» dottrine del protestantesimo evangelico. Il Movimento di Oxford era un gruppo di pressione di minoranza nell’anglicanesimo e faceva proselitismo attraverso gli Opuscoli. Nel 1841 l’Opuscolo 90 provocò una fortissima reazione. Newman confermava in pratica che un prete anglicano poteva, pur accettando alcune distinzioni, celebrare una messa tridentina. E questo gli costò la condanna dell’Università e la perdita della sua Chiesa. Tuttavia solo nel 1845 Newman si unì ai 165 mila cattolici romani inglesi. Un approdo reso possibile dal libro scritto mentre era seminarista a Roma, (Sullo sviluppo della Dottrina cristiana) e che fu condannato come eretico.
L’incontentabile, egocentrico Newman detestava Roma ma la sopportò, così come più tardi sopportò i costanti attacchi nei suoi confronti con l’aiuto del suo giovane angelo custode dai capelli d’oro Ambrose St John, che svolse per 35 anni il ruolo di sostegno che nella tradizione anglicana sarebbe stato quello della moglie di un vicario. E che non visse abbastanza da vedere diventare cardinale Newman nel 1879. «Dal momento della sua morte continuo a rimproverarmi di non avergli fatto capire quanto ho sentito il suo amore», scrisse il cardinale Newman, che ha lasciato due ultimi desideri. Il primo era che la sua bara fosse sepolta accanto a quella di Ambrose St John in un vero e proprio «connubio». Il secondo era che il suo feretro fosse riempito di compost (concime). Newman aveva sempre «temuto» di poter essere fatto santo e il risultato è che ora le tombe contengono solo terra: sono rimaste soltanto le due lastre di ottone da venerare. O denigrare.
Reso noto il programma del viaggio che si svolgerà dal 16 al 19 settembre
Il Papa nel Regno Unito per beatificare John Henry Newman
A un mese dal suo inizio, sono stati messi a punto gli ultimi dettagli della prossima visita del Papa nel Regno Unito. Il programma definitivo reso noto mercoledì 18 agosto dalla Sala Stampa della Santa Sede conferma quello già anticipato nelle settimane scorse, offrendo gli orari e le tappe dell’itinerario del Pontefice nelle quattro giornate - da giovedì 16 a domenica 19 settembre - che egli trascorrerà in Gran Bretagna.
Nel suo diciassettesimo viaggio internazionale, che avrà come tema Cor ad cor loquitur, "Il cuore parla al cuore" - ispirato al motto cardinalizio di John Henry Newman - Benedetto XVI visiterà quattro città: Edimburgo, Glasgow, Londra e Birmingham. Sedici in tutto i discorsi previsti, comprese omelie e saluti. "Il programma è molto ricco, intenso, articolato" ha commentato il direttore della Sala Stampa, il gesuita Federico Lombardi, presentando ai microfoni della Radio Vaticana i momenti più importanti della visita. A cominciare dall’incontro con la regina Elisabetta ii, in programma nella mattina di giovedì 16.
Il Papa - che partirà dall’aeroporto di Roma Ciampino poco dopo le 8 - giungerà intorno alle 10.30 allo scalo internazionale di Edimburgo, dove avrà luogo l’accoglienza ufficiale. Quindi raggiungerà il palazzo reale di Holyroodhouse per la cerimonia di benvenuto. Successivamente la visita alla regina: un momento - ha sottolineato Lombardi - che "si attende con grande intensità ed emozione". Al termine, nel parco del palazzo reale, il Pontefice pronuncerà il primo discorso rivolgendosi alle autorità del Paese. La mattinata si concluderà con il pranzo nella residenza arcivescovile.
Nel pomeriggio di giovedì Benedetto XVI si trasferisce a Glasgow, dove presiede la prima messa del viaggio nel Bellahouston park. Sarà un momento di preghiera e di spiritualità molto importante per i cattolici del Paese, anche in considerazione del fatto che proprio quel giorno ricorre la festa di san Ninian, patrono ed evangelizzatore della Scozia. A conclusione della celebrazione, dall’aeroporto internazionale di Glasgow, il Papa partirà alla volta di Londra, dove giungerà in serata.
La successiva giornata di venerdì comincerà con la messa celebrata in privato dal Pontefice nella cappella della nunziatura apostolica a Wimbledon. Quindi, alle 10, l’incontro con il mondo dell’educazione cattolica del Paese, nella cappella e nel campo sportivo del Saint Mary’s university college, a Twickenham. Subito dopo, nella Waldegrave drawing room dello stesso college, Benedetto XVI rivolgerà un discorso ai capi e ai responsabili delle altre comunità religiose presenti nel Paese.
La visita all’arcivescovo di Canterbury, nel Lambeth palace, aprirà il pomeriggio di venerdì. Poco dopo le 17, il viaggio vivrà uno dei suoi momenti più significativi con l’incontro tra il Papa e gli esponenti della società civile, del mondo accademico, culturale e imprenditoriale, i membri del corpo diplomatico e i leader religiosi, nella Westminster hall. Sarà un’occasione di riflessione per tutte le componenti più attive e autorevoli della società inglese, alle quali il Pontefice rivolgerà un discorso ad ampio raggio, che toccherà i temi più attuali della vita sociale e culturale del Regno Unito. Anche la successiva celebrazione ecumenica, che avrà luogo nella Westminster abbey, costituirà un momento importante di verifica e di dialogo nei rapporti tra la comunità cattolica e la comunione anglicana.
L’incontro con il primo ministro David Cameron, nel palazzo arcivescovile, sarà il primo di una serie di colloqui che Benedetto XVI avrà, nella mattina di sabato 18, con i maggiori esponenti politici inglesi. Dopo il premier il Papa vedrà il vice primo ministro Nick Clegg e il leader dell’opposizione. Alle 10 la messa del Pontefice nella cattedrale del Preziosissimo sangue di nostro Signore Gesù Cristo.
Nel pomeriggio, alle 17, dopo la visita alla casa di riposo St Peter’s residence, il momento centrale del viaggio - la beatificazione del cardinale Newman - avrà un prologo suggestivo nella veglia di preghiera che Benedetto XVI presiederà nell’Hyde park. Nel suo discorso il Papa anticiperà quelli che saranno i temi spirituali e pastorali dell’omelia del giorno successivo, domenica 19, quando - dopo essersi congedato dalla nunziatura apostolica - partirà in elicottero dal Wimbledon park alla volta dell’eliporto nei pressi del Cofton park di Rednal, a Birmingham, dove celebrerà la messa e proclamerà beato il grande pensatore e teologo.
La mattinata di domenica si conclude con la visita all’oratorio di San Filippo Neri, che sorge a Edgbaston, e il pranzo con i vescovi di Inghilterra, Galles e Scozia, e con i membri del seguito papale nel refettorio della Francis Martin house dell’Oscott college. Agli stessi presuli Benedetto XVI rivolgerà un discorso nell’incontro previsto nel primo pomeriggio, prima di raggiungere l’aeroporto internazionale di Birmingham, dove avrà luogo la cerimonia di congedo. La partenza è prevista intorno alle 18.45, mentre l’arrivo allo scalo romano di Ciampino avverrà alle 22.30.
Il Regno Unito si prepara dunque ad accogliere Benedetto XVI a quasi trent’anni dalla precedente visita di Giovanni Paolo II, che si svolse dal 28 maggio al 6 giugno 1982. "I viaggi di quest’anno del Santo Padre, quello di Malta, del Portogallo, di Cipro - ha evidenziato padre Lombardi - sono stati viaggi molto positivi. Noi ci auguriamo che anche questo viaggio sia veramente una manifestazione della bellezza, della positività del servizio del Santo Padre nella società, tanto più in tempi in cui abbiamo anche avuto momenti di contestazione. L’auspicio è di poter ripresentare con efficacia il lato positivo, fondamentale che la Chiesa dà a una società di oggi, una società moderna, pluralistica, diciamo pure secolarizzata, che non dimentichi ma che anzi sappia apprezzare in modo nuovo il contributo positivo che la fede offre".
Quanto, infine, agli aspetti più strettamente organizzativi, c’è da registrare un ulteriore chiarimento da parte del direttore della Sala Stampa della Santa Sede sulla questione dei "biglietti" previsti per partecipare ad alcuni degli avvenimenti della visita, come la veglia di preghiera in Hyde park. Già il coordinatore del viaggio papale, monsignor Summersgill, nei giorni scorsi aveva puntualizzato che si tratta, in realtà, di un contributo non obbligatorio per i fedeli. Padre Lombardi ha precisato che "gli impegni organizzativi della visita sono naturalmente di chi invita" e, di conseguenza, "il Vaticano non ha stabilito nulla di questo". Si tratta - ha spiegato - "di modalità organizzative affrontate sul luogo dalla Chiesa locale, ma tenendo conto di tutti i molti vincoli di carattere organizzativo imposti dalle autorità civili".
In questo senso, i principali eventi pubblici della visita prevedono la predisposizione di mezzi di trasporto adeguati agli spostamenti di una gran massa di fedeli e la realizzazione di adeguate misure di sicurezza, tra le quali un pass particolare e un piccolo kit logistico per ogni partecipante. Da qui deriva la richiesta di un piccolo contributo a ogni gruppo che si organizza per prendere parte all’avvenimento.
* ©L’Osservatore Romano - 20 agosto 2010
intervista
Newman paladino della coscienza
Il grande pensatore, che sarà beatificato a settembre, cambiò la teologia con una nuova visione storica. Parla il biografo Gilley
«Era critico verso il cattolicesimo liberal: per lui le religioni non erano tutte uguali. Rivalutò molto il ruolo dei classici»
DA LONDRA SILVIA GUZZETTI (Avvenire, 28.07.2010)
Sheridan Gilley, autore del saggio Newman and his age, ovvero Newman e il suo tempo , pubblicato dall’editore Darton, Longman and Todd, è uno dei più importanti esperti del famoso teologo che il Papa beatificherà il prossimo 19 settembre a Cofton Park, vicino al cimitero dell’Oratorio di Birmingham dove Newman venne sepolto il 19 agosto 1890.
All’accademico di Oxford, diventato poi pastore anglicano e infine ricevuto nella Chiesa cattolica nell’ottobre del 1845, Gilley ha anche dedicato una serie di articoli e interventi a convegni. Professore di teologia all’università inglese di Durham dal 1978 al 2002, Gilley è uno specialista del cristianesimo e dell’identità irlandese in epoca vittoriana.
Professor Gilley, perché per Benedetto XVI Newman è così importante, tanto che ha deciso di beatificarlo personalmente?
«Perchè Newman è uno dei più grandi teologi del diciannovesimo secolo. Il pensiero ma anche l’azione di Newman ebbero un impatto pubblico notevole. Il suo tentativo di ricattolicizzare la Chiesa di Inghilterra, che partì dall’università di Oxford, dove Newman insegnava, provocò una reazione pubblica molto ampia».
Perché era così famoso che le sue vicende spirituali, il suo passaggio al cattolicesimo per esempio, diventavano un fatto pubblico?
«Penso che molti, atei, anglicani e cattolici potessero ritrovarsi in Newman: egli stesso era stato prima ateo, poi anglicano per poi passare alla Chiesa cattolica. Io stesso ero anglicano, nel 1993 sono diventato cattolico e ho ritrovato molti dei miei problemi in Newman. Fra l’altro va anche detto che scriveva in un modo meraviglioso. Era un grande divulgatore e la sua autobiografia spirituale, l’Apologia pro vita sua, è stata letta da migliaia di persone».
Quale fu la sua importanza come teologo?
«La grandezza di Newman sta nel fatto che ha studiato i primi Padri della Chiesa e ha saputo spiegare come, da quel nucleo centrale del Vangelo e della Bibbia, si siano sviluppate le altre fondamentali dottrine cristiane. Nel Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana Newman ha messo a punto un metodo rivoluzionario per spiegare lo sviluppo degli insegnamenti cristiani dando loro una prospettiva storica. Per lui gli insegnamenti contenuti nel Nuovo Testamento impiegano secoli per svilupparsi, attualizzarsi e diventare dottrine e a questa evoluzione contribuiscono spiritualità e liturgia. Per esempio il credo niceno, secondo il quale Gesù è vero uomo e vero Dio, non è una serie di dottrine che vanno comprese solo con la ragione, ma è uno sviluppo spirituale, dell’insegnamento e della liturgia».
Come si trovò Newman nella Chiesa cattolica?
«Si sentiva molto lontano dal partito degli ultramontanisti, forte a quell’epoca, che propugnavano un’autorità fortissima del Papa. Quando nel 1870 venne proclamata l’infallibilità del Papa, Newman S pensava che il momento fosse sbagliato. Eppure l’interpretazione che Newman dette di quella dottrina, i limiti che, secondo lui, l’infallibilità del Papa doveva avere, furono quelli accettati dalla Chiesa cattolica».
Che cosa avrebbe detto di quello che sta succedendo oggi nella Chiesa anglicana d’Inghilterra che si sta dividendo tra chi è a favore e chi è contro l’ordinazione delle donnevescovo?
«Newman era contro una concezione dipendente dal liberalismo che pensa che tutte le religioni si equivalgono e credeva fermamente nell’autorità. Direbbe che quello che sta succedendo dipende dal fatto che la Chiesa di Inghilterra non ha una singola autorità vivente, un centro vivo di autorità come la Chiesa cattolica. Per Newman la Chiesa era altrettanto importante di Gesù ed essenziale al cristianesimo».
Newman viene spesso presentato come il campione della coscienza contro l’autorità. Che cosa ne pensa?
«Penso che sia una interpretazione sbagliata. La sua famosa frase ’brindo alla coscienza prima e poi al Papa’ non è stata letta in modo corretto ed è stata usata spesso per dire che Newman preferiva, all’autorità del Papa, quella della coscienza. In realtà Newman è convinto che la coscienza, nella quale crede profondamente, lo porterà sempre alla Chiesa e ad accettare quello che la Chiesa presenta come vero».
Che cosa pensava Newman del rapporto tra fede e cultura?
«Credeva che per il cristianesimo è difficile mettersi in rapporto con la cultura nella quale vive. Da un lato il cristianesimo deve vivere nel mondo e trovarsi a suo agio in esso perché il mondo è stato creato da Dio. Nello stesso tempo però il cristianesimo deve redimere il mondo. Newman era profondamente consapevole del rischio di essere troppo amici del mondo, ma anche di quello di volerlo cristianizzare a tutti i costi».
Che idea aveva Newman dell’università?
«Newman, che fu rettore dell’Università cattolica di Dublino dal 1851 al 1857, pensava che l’obiettivo principale di una università fosse la diffusione della cultura più che l’insegnamento della religione. Aveva anche una idea della cultura piuttosto elitaria, tipica dei tempi nei quali viveva. Lo scopo dell’istruzione universitaria era, secondo Newman, di dare, a una particolare sezione della popolazione, accesso alla tradizione classica. Secondo Newman la cultura era soprattutto cultura classica, filosofia, greco e latino ed era questo che costruiva il gentiluomo o la persona colta».
Che cosa pensa dell’ipotesi tanto sbandierata di recente da alcuni media che egli fosse omosessuale, giustificata dal fatto che abbia voluto essere sepolto col suo amico Ambrose St. John al quale era molto legato?
«È una polemica inesistente. Era infatti normale all’epoca che si sviluppassero fortissimi legami tra uomini e che essi volessero essere sepolti insieme. Newman aveva anche molte amiche donne, ma a quel tempo, negli ambienti di Oxford, la maggioranza di insegnanti erano uomini e quindi inevitabilmente si sviluppavano forti amicizie tra uomini. Chi ha studiato il Newman giovane e adolescente si rende conto benissimo che era assolutamente eterosessuale».