L’"UOMO SUPREMO" DELLA CHIESA CATTOLICA: "Dominus Iesus": RATZINGER, LO "STERMINATORE DI ECUMENISMO". Un ’vecchio’ commento del teologo francescano Leonard Boff.
Preti pedofili perché il Papa difende Sodano?
di Vito Mancuso (la Repubblica, 30 giugno 2010)
Ieri il papa ha sottolineato che il pericolo più grande per la Chiesa viene dal fronte interno: "Il danno maggiore lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità". Ma allora perché, due giorni fa, ha pubblicamente umiliato il cardinale Christoph Schönborn, finora il più coraggioso degli uomini di Chiesa nel lottare contro il terribile inquinamento interno che è la pedofilia del clero?
Io quasi non volevo crederci, non poteva essere vero che Benedetto XVI, dopo aver più volte affermato di voler fare tutto il possibile per stabilire la verità e perseguire la giustizia nello scandalo pedofilia, avesse costretto l’arcivescovo di Vienna a una specie di Canossa vaticana.
Eppure era vero. Benedetto XVI aveva costretto il presule, nonché stimato teologo di orientamento conservatore a lui molto vicino, a una conciliazione forzata con il cardinal Sodano. La logica del potere romano è la forza che ancora domina la Chiesa cattolica.
Quello che però a mente fredda colpisce di più è il disinteresse mostrato dal papa per il merito delle accuse mosse pubblicamente da Schönborn il 28 aprile scorso contro il cardinale Angelo Sodano, Segretario di Stato sotto Giovanni Paolo II, accusandolo di aver insabbiato il caso Groer.
Hans Hermann Groer (1919-2003), monaco benedettino, arcivescovo di Vienna e cardinale, fu costretto a dimettersi nel 1995 per aver molestato un seminarista minorenne (in seguito a suo carico emersero molti altri casi).
Immediato successore di Groer nella diocesi di Vienna, Schönborn quando accusava Sodano parlava di cose che conosce molto bene. Ma diceva la verità oppure mentiva? È vero o non è vero che Sodano da Roma ostacolò le indagini di Vienna? Il papa semplicemente non se ne è curato, non è entrato nel merito, alla verità ha preferito la forma ricordando che solo a lui è concesso accusare un cardinale. Così il comunicato ufficiale: "Nella Chiesa, quando si tratta di accuse contro un cardinale, la competenza spetta unicamente al papa".
Ma se è così, allora il papa è tenuto ad andare fino in fondo verificando se le accuse di Schönborn a Sodano sono fondate o sono solo calunnie. Lo farà? Non lo farà, per il motivo che dirò alla fine di questo articolo.
Nella predica a conclusione dell’Anno sacerdotale a piazza San Pietro l’11 giugno Benedetto XVI aveva detto di "voler fare tutto il possibile affinché un tale abuso non possa succedere mai più". Alla luce del trattamento riservato a Schönborn queste parole appaiono molto sfuocate, mera retorica di stato. Di che cosa stiamo parlando, infatti? Stiamo parlando (occorre ricordarlo sempre!) di migliaia e migliaia di giovani vittime.
Oltre all’Austria scandali sono emersi ovunque. Negli Stati Uniti finora sono stati pagati indennizzi per 1.269 miliardi di dollari, con il conseguente fallimento di non poche diocesi.
In Irlanda nel 2009 sono usciti documenti come il Rapporto Murphy e il Rapporto Ryan, quest’ultimo sugli abusi del clero dagli anni ’30 agli anni ’70 (notare: anni ’30, altro che responsabilità della rivoluzione sessuale del postconcilio come scrive Benedetto XVI nella "Lettera ai cattolici irlandesi"): il risultato è che la Chiesa irlandese deve versare 2.100 milioni di euro di risarcimenti.
Poi c’è la Germania del papa: abbazia benedettina di Ettal in Alta Baviera, coro di Ratisbona, dimissioni di mons. Mixa vescovo di Augusta per molestie sessuali su minori, collegio Canisius dei gesuiti a Berlino...
C’è il Belgio con le dimissioni del vescovo di Bruges per i medesimi tristi motivi e le perquisizioni delle tombe nella cattedrale di Malines con le conseguenti deplorazioni pontificie.
Ci sono Polonia, Svizzera, Olanda, Danimarca, Norvegia, Inghilterra, Australia...
Don Ferdinando Di Noto, il prete da anni in prima linea contro la pedofilia, simbolo della rettitudine della gran parte dei preti, dichiarava il 18 febbraio scorso che in Italia i casi accertati sarebbero un’ottantina. Da allora, vista la frequenza delle notizie sui giornali, temo che la cifra sia aumentata non poco.
Di fronte a questi dati due cose sono sicure. Primo: se non fosse stato per la forza dei giornali e delle tv tutto sarebbe rimasto sconosciuto e insabbiato; se la Chiesa riuscirà un giorno a fare pulizia al proprio interno lo dovrà alla forza delle scomode verità fatte emergere dalla libera informazione.
Secondo: fino a poco tempo fa la linea tenuta dal cardinal Sodano sul caso Groer era la prassi abituale, come appare anche dalla Epistula de delictis gravioribus inviata il 18 maggio 2001 dall’allora cardinal Ratzinger ai vescovi di tutto il mondo che imponeva il secretum Pontificium per tutte le gravi trasgressioni del clero (notare: il caso Groer risale a sei anni prima!). È proprio questa la peculiarità dello scandalo, non tanto la pedofilia di preti e vescovi, quanto l’insabbiamento da parte delle gerarchie, il fatto incredibile che i vertici ecclesiastici sapevano di questi crimini e, per non indebolire il potere politico della Chiesa, tacevano e insabbiavano.
Per anni e anni. Per interi decenni è stata preferita l’onorabilità della struttura politica della Chiesa rispetto alla giustizia verso le vittime, e quindi verso Dio. Le dichiarazioni del cardinal Sodano che riduceva a "chiacchiericcio" le accuse erano esattamente in linea con questa politica dell’insabbiare, e l’umiliazione inferta dal papa al cardinale Schönborn per averlo criticato è una conferma che questa politica non è terminata. La subdola peculiarità di questo scandalo mondiale è purtroppo ancora in vita.
Salvare la Chiesa prima di tutto. Prima dei bambini e della loro vita psichica e affettiva. Prima dei genitori e del loro inestirpabile dolore. Prima del senso di giustizia di tutta una società. Prima della giustizia di cui rendere conto davanti a Dio. Prima di tutto, la Chiesa e la sua immagine, e il conseguente potere che ne deriva.
Per questo l’ordine era (anzi è, perché altrimenti non si sarebbe salvata l’onorabilità del potente cardinal Sodano) coprire, insabbiare, dissimulare, mentire, negare, comprare. Tra l’ottantina di cardinali della Chiesa solo uno aveva avuto il coraggio e l’onestà di puntare il dito contro il vertice della nomenclatura. Il papa l’ha messo a tacere, l’ha fatto rientrare tra le fila, imponendogli una bella dichiarazione di facciata.
Ma com’è possibile che nella Chiesa tanti crimini siano stati occultati e che all’interesse delle vittime sia stato preferito quello dei loro aguzzini? La risposta a mio avviso consiste nella teologia elaborata lungo i secoli che ha condotto a una vera e propria idolatria della struttura politica della Chiesa, a una sorta di sequestro dell’intelligenza da parte della struttura per affermare se stessa sopra ogni cosa, il cui inizio si può emblematicamente collocare, come già intuito da Dante, nella stesura del falso documento conosciuto come "Donazione di Costantino" da parte della cancelleria papale (documento svelato come falso da Lorenzo Valla nel 1440).
Questa teologia ecclesiastica ha condotto a fare dell’obbedienza alla Chiesa gerarchica il segno distintivo dell’essere cattolico: il cattolico è anzitutto colui che obbedisce al papa e ai vescovi. Se non obbedisci, non sei cattolico. Dante non lo sarebbe più, neppure san Paolo, che ebbe l’ardire di opporsi pubblicamente a Pietro, non potrebbe far parte di questa Chiesa cattolica. Al termine degli Esercizi spirituali così Ignazio di Loyola illustrava il rapporto con la verità che deve avere il cattolico: "Quello che io vedo bianco, lo credo nero se lo stabilisce la Chiesa gerarchica".
Da tempo immemorabile la bilancia è il simbolo della giustizia. Su un piatto della bilancia ci sono le vite di migliaia di bambini, ragazzi e giovani irrimediabilmente deturpate da uomini di Chiesa. Sull’altro, che cosa mette la Chiesa? Oggi è costretta a mettere i nomi dei colpevoli, e tantissimi soldi. Ma si ferma qui, e non basta. Essa infatti deve aggiungere se stessa, la struttura di potere che l’ha fatta precipitare in questo abisso. Solo a questa condizione i due piatti possono tornare in equilibrio e generare la vera giustizia, quella che Gesù diceva di cercare sopra ogni altra cosa.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
L’"UOMO SUPREMO" DELLA CHIESA CATTOLICA: "Dominus Iesus": RATZINGER, LO "STERMINATORE DI ECUMENISMO". Un ’vecchio’ commento del teologo francescano Leonard Boff.
FLS
di Marino Nola (la Repubblica, 10 agosto 2010)
Uno nessuno centomila volti per l’inventore della tentazione. Il diavolo non è mai uguale eppure resta sempre lo stesso. Serpente infido, angelo caduto, caprone volante, dragone sulfureo. Ma anche eroe maledetto, libertino irredimibile, mercante d’anime. E ancora anormale, marginale, deviante. Bel tenebroso oppure brutto sporco e cattivo. E perfino terrorista e serial killer. Dalla Genesi ai nostri giorni il maligno ne ha cambiate di facce.
A dirlo è Daniel Arasse, storico dell’arte della Sorbona, in un libro appena uscito in Francia per le Edizioni Arke. Titolo Il ritratto del diavolo. Argomento, le mille sembianze con cui la nostra civiltà nel corso della storia ha cercato di rappresentare il principio attivo del male. Finendo per fare del signore delle tenebre il mutaforma per antonomasia. Proprio come quelli che oggi popolano il cinema e la letteratura fantasy. Ma in realtà ad essere veramente diabolico è proprio questo trasformismo gattopardiano. Cambiare tutto perché nulla cambi, mimetizzarsi per continuare ad indurci in tentazione.
Sin dai primi secoli del Cristianesimo la vera arma del diavolo è proprio la sua capacità di trucco e di travestimento. Tertulliano, uno dei padri della Chiesa, sosteneva che gli angeli ribelli scacciati dal paradiso rivelarono alle donne arti diaboliche come l’uso della “polvere nera con cui si prolungano gli occhi”. Quello che oggi non a caso si chiama mascara. Seduzione uguale tentazione. Come quella cui viene sottoposto sant’Antonio da un sexy-diavolo in sembianze femminili. Simile alla sensualissima Anita Eckberg che Fellini, in “Le tentazioni del dottor Antonio”, trasforma in una prorompente diavolessa bionda che sulle note di “bevete più latte” fa perdere la testa a Peppino De Filippo nelle vesti del bacchettone di turno. Di fatto Tertulliano, oltre a riaffermare che la tentazione è femmina, condanna la cosmetica in quanto mascheramento che snatura il modello divino di cui il volto umano è la copia rivelatrice. E in molte incisioni medievali il demonio viene riconosciuto proprio quando si toglie la maschera. Finendo letteralmente smascherato. Proprio come Diabolik. E come Arlecchino, la maschera per antonomasia, che in origine è anche lui un diavolo. Lo dice il nome stesso che viene dall’antico germanico hölle könig, che in inglese diventa hell king, ovvero re dell’inferno.
Ma questa capacità illusionistica non è solo uno strumento del mestiere, è anche la storica ragion d’essere del maligno. Che riesce, ieri come oggi, a rendere il male pensabile e soprattutto rappresentabile solo a condizione di restare un’icona a bassa risoluzione cui la Chiesa stessa non ha mai dato un volto definitivo. Ed è proprio grazie a questa indefinizione che il diavolo è rimasto un evergreen. Capace di un morphing perpetuo che ne fa sempre il profilo più aggiornato del male, la sua ultima versione.
Diceva Dostoevskij che in realtà l’uomo ha creato il diavolo a sua immagine e somiglianza. Come dire che ogni epoca ha il Lucifero che si merita. Lo mostra a chiare lettere la storia dell’arte occidentale che registra puntualmente le metamorfosi del grande nemico. Sin dalle prime raffigurazioni altomedievali dove Satana e Belzebù hanno facce da turchi, da mongoli, da africani. Tratti etnici per significare un male straniero, un pericolo che viene dall’esterno. Fino a quel tornante decisivo che sta fra medioevo ed età moderna quando il demonio perde le ali di pipistrello, la coda di dragone, gli zoccoli da satiro pagano, per lasciare il posto a un maligno dal volto umano.
Un diavolo politico, seppur cornuto, come quello che Ambrogio Lorenzetti mette al centro della celebre allegoria del cattivo governo, dipinta per il palazzo pubblico di Siena. Un tiranno, circondato da una squallida consorteria di vizi, che si mette sotto i piedi la giustizia, raffigurata con le mani legate (ogni riferimento al presente è puramente casuale). O addirittura un diavolocardinale, come quello del Michelangelo della Sistina che nel Giudizio universale dà al signore dell’inferno il volto del potentissimo Biagio da Cesena, maestro di cerimonie del pontefice Paolo III. Non più ibridi con gli occhi verdi di ramarro ma uomini dallo sguardo luciferino e dalla crudeltà mefistofelica.
Così il diavolo cede il posto al diabolico che è in ciascuno. Come diceva Paul Valéry, il diavolo diventa come Dio. Entrambi esistono, ma solo in noi e insieme formano una coppia inseparabile di divinità latenti. Come dire che la modernità lascia all’uomo la scelta tra bene e male. Tra resistere alle tentazioni del peccato o al contrario cedere deliberatamente cancellando così l’idea stessa di peccato. Una rivoluzione che finisce per fare del diavolo il simbolo della vittoria del piacere e della libertà. O, addirittura, della forza vindice della ragione, per dirla con Giosuè Carducci. Un eroe bello e impossibile. Come il Satana di William Blake del Victoria and Albert Museum di Londra, uno Spartaco venuto dagli inferi che guida gli angeli ribelli all’assalto del trono di Dio. E come il Satana di Milton che preferisce essere re all’inferno piuttosto che servo in paradiso.
Ma proprio perché si è fatto umano, troppo umano, il diavolo sparisce progressivamente dalla pittura e dall’iconografia. Che hanno bisogno di forconi, di artigli, di squame e di occhi fosforescenti da incubo. Se è facile dipingere dei mostri è difficile rappresentare la mostruosità. E così l’agente del caos esce dai manuali di storia dell’arte per entrare in quelli di criminologia e di psichiatria. E a dargli la caccia sono gli scienziati come Cesare Lombroso che fa dell’antropometria una demonologia positivista popolata di delinquenti, anormali, briganti, mattoidi e “pazzi morali”.
Uno zoo umano affollato di poveri diavoli come il “falsario piemontese”, il “ladro napoletano”, “l’anarchico lucano”. Più demonizzati che demoni in verità. Oggi, scacciato dalla morale religiosa Satana si delocalizza e si scioglie nel sociale. Entra nei moderni tribunali della coscienza laica con un look tutto nuovo. Un diavolo che veste Prada. Terziarizzato, immateriale, interiorizzato. E soprattutto medicalizzato. Un maligno da psicologi e dietologi più che da teologi. Un demonio interinale microfisicamente nebulizzato in mille piccole tentazioni e altrettanto piccole demonizzazioni che ci aiutano ad orientarci tra un bene e un male ad assetto variabile, più mutevoli degli indici della borsa. Dal colesterolo ai radicali liberi, dai grassi idrogenati ai raggi UVA. Dal sovrappeso agli inestetismi. Dalla mucca pazza all’effetto serra. E così il simbolo del male diventa sintomo di malessere. È tutto quel che resta del diavolo nell’era della flessibilità. Che ha tolto il posto fisso anche a Belzebù.
“Le portrait du diable”, un saggio di Daniel Arasse, ed. Arke
Vaticano, "chiuso per restauro"
di Paolo Izzo *
Cara “Liberazione”,
se un giorno si trovano le ossa di una donna nei loro lucernai, dove la luce non entra e nessuna chiarezza è possibile. Se un altro giorno si scopre che l’obbligo della loro astinenz riguarda soltanto i rapporti con l’altro sesso, ma non sono esclusi uomini e bambini; che le violenze su questi ultimi sono fisiche e morali, “annullanti” e distruttive...
Se un altro giorno ancora si stabilisce che, quando la loro parola non ti giunge attraverso campane, messe e politica, viaggia indisturbata su onde elettromagnetiche e cancerogene; vittime sempre i più deboli, i bambini.
Se l’ultimo giorno ci si rende conto che sono ancora tra i Paesi più ricchi del mondo, nonostante l’apparente carità mondiale: evangelizzazione mascherata da solidarietà.
Allora, c’è qualcosa che, ignominiosamente, non va.
Allora, diventa necessario e urgente che dalle loro porte lascino entrare e uscire soltanto... l’arcangelo della Giustizia. E che per tutti gli altri mettano un bel cartello: “chiusi per restauro”
Paolo Izzo
* Liberazione, Lettere - 15.07.2010
Il teologo interviene sulla laicità alle "Parole della politica"
Perché il potere ha perso sacralità
di Vito Mancuso (la Repubblica, 14 luglio 2010)
Qual è l’esperienza concreta da cui è sorto il concetto di laicità? Io credo che sia la consapevolezza della complessità del rapporto tra il proprio mondo mentale e quello di altri. Intendo quindi per laicità il metodo che governa il rapporto tra dimensione interiore e dimensione esteriore della vita: la laicità è un metodo che si applica alla relazione tra il foro interiore delle convinzioni ideali e il foro esteriore della convivenza con chi è diverso da noi.
Questa precisazione è essenziale per capire come agire rispetto ai cosiddetti "principi non negoziabili" di cui parla spesso Benedetto XVI. A mio avviso la non negoziabilità dei principi si dà a livello di foro interiore, nel senso che non si devono tradire i propri ideali, soprattutto quando si agisce in prima persona. Ma la realtà di un mondo sempre più plurale fa sì che il foro interiore della prima persona singolare non sia mai perfettamente traducibile nel foro esteriore della prima persona plurale. Perché si possa pronunciare un armonioso noi, ogni singolo io deve modulare la sua musica interiore con quella degli altri. Solo a questa condizione si avrà una sinfonia e non la cacofonia del conflitto sociale. Ne viene che a livello di foro esteriore non c’è nulla che non sia negoziabile, perché la negoziazione è l’anima del diritto e della politica nella misura in cui essi sono elaborati all’insegna della democrazia.
Quindi riassumo: nessuna negoziazione a livello interiore dove è in gioco l’anima e l’adesione alla verità; ma concrete negoziazioni a livello di foro esteriore dove è in gioco la relazione armoniosa della convivenza tra uomini sempre più diversi. Riuscire a mediare queste due dimensioni significa praticare la laicità.
Quanto detto finora però non è sufficiente. La modernità è stata l’epoca delle distinzioni: la spiritualità dalla religione, la religione dall’etica, l’etica dal diritto, il diritto dalla politica. Occorreva farlo per fondare su basi razionali la convivenza sociale. Alla fine però ne è risultata una politica separata dalla spiritualità, dall’etica e ora sempre più anche dal diritto. Per questo io penso che occorra qualcosa di diverso. Guardando alla nostra società, a me pare infatti che più laica di così, più priva di sacralità di così, la politica non potrebbe essere. Separata dalla spiritualità e dall’etica, la politica oggi si ritrova del tutto priva di sacralità, completamente profana, anzi così profana da essere ormai profanata. Aristotele scriveva che «il vero uomo politico è colui che vuole rendere i cittadini persone dabbene e sottomessi alle leggi» (EN, 135). Quanti sono i politici così? È stato messo in piedi un meccanismo che esclude quasi automaticamente chi si vorrebbe avvicinare alla politica con questi ideali, una specie di selezione naturale al ribasso.
A mio parere il nostro tempo ha bisogno di un ritorno alla dimensione sacrale della politica. Non sto certo auspicando il ritorno alle teocrazie, meno che mai collateralismi neoguelfi di sorta e presenze di cardinali a cene di uomini di potere. So solo che le grandi civiltà del passato non conoscevano la rigida separazione tra Cesare e Dio e l’avrebbero trovata innaturale. Sono certo che neppure Gesù l’avrebbe praticata se sulla moneta ci fosse stata l’effigie del re Davide e non quella di un re straniero. E quando Roma perse la sua sacralità e si laicizzò al punto da risultare del tutto profana agli occhi dei cittadini, perse anche la sua forza politica e militare. Scriveva Hegel due secoli fa: «Ci potrebbe venire l’idea di istituire un paragone con il tempo dell’Impero romano quando il razionale e necessario si rifugiava solo nella forma del diritto e del benessere privato, perché era scomparsa l’unità generale della religione e altrettanto era annullata la vita politica generale, e l’individuo, perplesso, inattivo e sfiduciato, si preoccupava solamente di se stesso... Come Pilato domandò: "che cos’è la verità?", così al giorno d’oggi si ricerca il benessere e il godimento privato. È oggi corrente un punto di vista morale, un agire, opinioni e convinzioni assolutamente particolari, senza veridicità, senza verità oggettiva. Ha valore il contrario: io riconosco solo ciò che è una mia opinione soggettiva». Nella stessa prospettiva oggi Eugenio Scalfari parla dei contemporanei come di barbari: «I contemporanei sono i nostri barbari».
Al cospetto di una politica ormai priva di sacralità, io avverto il bisogno di un movimento contrario rispetto alla laicità come separazione: c’è bisogno di reciproca fecondazione tra dimensione spirituale e politica. Se la politica vuol tornare a essere capace di toccare la mente e il cuore degli uomini (e non solo le loro tasche) deve ricollegarsi organicamente al diritto, all’etica, alla religione, alla spiritualità.
Come debba fare non so perché non sono un politico, ma credo che il vero problema da affrontare non siano le piccole rivendicazioni del neoguelfismo all’italiana. Queste sono manovre di poco conto, a loro volta segno di decadenza. Il vero problema è il nichilismo che dilaga nelle anime, il bisogno dell’uomo di sacralità e la politica che non sa più neppure cosa sia la sacralità.
L’anima della nostra civiltà è malata, intendendo con anima della civiltà ciò che tiene unite le persone al di là degli interessi immediati, quel senso ideale per cui il singolo percepisce di essere al cospetto di una realtà più importante di lui nella quale però si identifica e quindi serve con onestà.
Di fronte a questa situazione penso che ogni persona responsabile debba cercare di capire in che modo la propria area di appartenenza possa servire il paese con equità. E al riguardo mi permetto di ritenere inadeguata l’impostazione della Chiesa cattolica. Essa infatti pensa i cattolici come interessati solo ad alcuni aspetti della vita quali bioetica, scuole cattoliche, famiglia, e non invece all’insieme della società. Che le questioni ricordate siano importanti è ovvio, ma esse non possono rappresentare l’unico punto di vista in base al quale giudicare la politica perché il cristiano deve essere fedele al mondo nella sua integralità e non crearsi un mondo a parte.
Dietro l’impostazione del Magistero c’è invece l’idea che i cattolici siano una realtà estranea rispetto al mondo e vi si rapportino solo per trarne più benefici possibili per il loro piccolo mondo particolare. Questo però è teologicamente sbagliato perché significa trasformare i cattolici in una delle tante lobby del mondo e far perdere sapore al sale: «ma se il sale perde il sapore, a null’altro serve che a essere gettato via» (Mt 5,13).
Una croce fondata sulla P2
Nasce un movimento per la difesa del crocifisso: ispirato dal Venerabile
di Carlo Tecce e Giampiero Calapà (il Fatto, 03.07.2010)
Il crocifisso di legno cade tre volte dal trespolo di una lavagna. Le braccia dell’emozionato Roberto Mezzaroma che l’agitava, in quel momento mistico e (un po’) pacchiano, erano le protesi di Licio Gelli, il gran maestro della P2.
Il cosiddetto Venerabile ha ispirato il Movimento etico per la difesa internazionale del crocifisso (Medic), presentato nella sala congressi del Michelangelo di Roma, un albergo a pochi passi dal Vaticano. La politica è corsa a sostenere l’iniziativa: c’era Olimpia Tarzia, consigliere regionale Pdl, l’ex direttore del Tg1 Nuccio Fava, atteso invano l’ex mezzobusto del Tg1 Francesco Pionati (Adc) e sono stati annunciati telegrammi ricevuti (ma non letti) dal presidente della Camera, Gianfranco Fini, dal presidente emerito Francesco Cossiga e dal “divo” Giulio Andreotti.
Il disegno dell’uomo P2
Per la Chiesa è un appuntamento imperdibile: don Walter Trovato, cappellano della polizia di Stato, è il primo a sedersi al tavolo degli oratori; l’anziano monsignore Antonio Silvestrelli è l’ultimo. Non è facile contare i collarini bianchi dei preti. Gelli ha scritto il codice etico e addirittura disegnato il simbolo dell’associazione: una sfera tagliata da cerchi concentrici su sfondo azzurro, una croce nera avvolta in una stretta di mano, quattro frecce ai bordi. Il Venerabile è nella sua Villa Wanda sulle colline di Arezzo: “Questa è la mia nuova battaglia - spiega al Fatto Quotidiano - e il colore scelto per il simbolo rimanda al mare, al cielo e al grembiule della Madonna, il resto a San Francesco e le frecce rappresentano i punti cardinali”.
L’età avanzata ha impedito a Gelli di officiare la cerimonia in una sala moderna, affollata di uomini e donne vestiti con abiti scuri da sera nel caldo di mezzogiorno. Un amico di Gelli ha rimpianto l’assenza del Venerabile, criticando “la gestione troppo rude della cerimonia del costruttore Mezzaroma”. Accenti che si mescolano, spillette che si confondono. Segni, simboli, messaggi più o meno occulti, più o meno massonici. Il secondo capitolo di uno Statuto suggellato da Gelli, più che a un piano di rinascita nazionale, somiglia a una crociata pop: difendere, coinvolgere, riconoscere.
“Medic vuole far emergere - declama Mezzaroma - le radici giudaico-cristiane del mondo occidentale e promuovere il significato autentico del crocifisso quale simbolo condiviso di amore assoluto; nasce con l’ambizione di essere un movimento trasversale, che raccoglie non solo cattolici ma anche ebrei, musulmani, atei, convinti che la croce abbraccia l’umanità intera”. Quasi un comizio, senza leggere, e un po’ fuori dal protocollo per un evento mondano in pieno giorno.
L’imprenditore Mezzaroma, ex europarlamentare di Forza Italia, è stato nominato segretario generale del Medic in una riunione a Villa Wanda che, diretta come è logico da Gelli, ha indicato presidente onoraria la duchessa d’Aosta, Silvia Paternò, dei marchesi di Regiovanni , dei conti di Prades, dei baroni di Spedalotto, appartenente al Sovrano Militare Ordine di Malta .
Una roba da far impallidire la contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare di fantozziana memoria. Araldica pesante, insomma, tanto che “siamo già in 500: faccio politica per passione, sono iscritto al Pdl; stimo tantissimo Gel-li, ma non mi confido al telefono con nessuno” e attacca la cornetta Mezzaroma, contattato all’ultima forchettata di un banchetto fastoso. Il costruttore romano è un fan della prim’ora dei Circoli del buon governo di quel Marcello dell’Utri appena condannato a 7 anni in appello per concorso esterno in associazione mafiosa.
Ex romanista parente di Lotito
Ex europarlamentare, responsabile del dipartimento “lotta alla povertà” del partito ai tempi di Forza Italia, Mezzaroma è lo zio della moglie di Claudio Lotito. Nel 2005 diventò il secondo azionista della Lazio vantandosi di “aver già salvato la Roma nel 1992 assieme ai miei fratelli, perché bisogna costruire non demolire”. E detto da lui vale un capitale, perché di cemento se ne intende. L’avventura con la Lazio è costata una condanna a un anno e 8 mesi, per un accordo definito “interpositorio” che permise a Mezzaroma di acquistare il 14,61% delle azioni biancocelesti di fatto per conto di Lotito, in modo da nascondere la titolarità del pacchetto completo con cui lo stesso Lotito avrebbe poi lanciato l’Opa. Aggiotaggio e ostacolo all’attività degli organi di vigilanza, per Lotito la condanna è di due anni.
Tra i padrini chiamati a battezzare il Medic, c’era anche monsignor Alberto Silvestrelli: un alto prelato che risponde all’invito di Licio Gelli. Esponente del governo Vaticano con l’incarico di sottosegretario alla Congregazione per il clero, oltre ad essere giudice di appello del Vicariato di Roma (il tribunale dei preti) e commissario della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, si occupa di sociale: alcolismo e disabili. Ai tempi della gestione Ratzinger, monsignor Silvestrelli ha ricoperto incarichi anche nella Congregazione per la dottrina della fede, la moderna Inquisizione.
Il consigliere regionale (Lazio) Olimpia Tarzia, altra commensale, vanta un ampio curriculum tra fede e politica: fondatore (e segretario generale dal ‘97 al 2006) del Movimento per la vita, il cui successo più importante è stato il fallimento del referendum sulla fecondazione assistita nel 2005. “Il crocifisso - ha affermato Tarzia - è simbolo di vita: si invoca lo Stato laico, ma lo Stato laico come democratico difende i diritti umani e il primodiquestidirittièquelloalla vita”.IlMedicèprontoadifendere il crocifisso “anche con azioni forti, a promuovere un referendum che rimetta al popolo italiano la decisione di continuare a riconoscersi in quei valori che hanno delineato i confini culturali e spirituali dell’Italia e dell’Europa”. A quei valori che affascinano Licio Gelli.
IL J’ACCUSE CONTRO BENEDETTO XVI
Il "New York Times" contro il Papa
Papa Benedetto XVI è oggetto di pesanti accuse da parte del New York Times
Per il quotidiano "ci fu rimozione ed esplicito ostruzionismo sui casi di violenze sessuali" *
NEW YORK Dopo la decisione della Corte Suprema americana sulla possibilità di processare la Santa Sede per un caso di molestie sessuali perpetrate dal clero locale, il New York Times torna oggi ad affrontare lo scandalo degli abusi con un lungo articolo che prende in esame il ruolo svolto da Benedetto XVI prima e dopo essere diventato Papa. E l’autorevole quotidiano statunitense in prima pagina sottolinea come «il futuro papa è stato parte della cultura della non responsabilità, della rimozione, di rinvii cavillosi ed esplicito ostruzionismo» da parte della Chiesa.
«Più di ogni altro responsabile del Vaticano, fatta eccezione per Giovanni Paolo II, il Cardinale Joseph Ratzinger», al tempo in cui era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, «avrebbe potuto prendere misure decisive negli anni ’90 per evitare che lo scandalo (della pedofilia, ndr) si diffondesse come una metastasi da un paese all’altro, crescendo in proporzioni tali da minacciare adesso di consumare il papato», scrive il New York Times.
Il quotidiano ricorda come il Vaticano abbia tenuto un «meeting segreto» nel 2000 - dopo le ripetute preoccupazioni espresse dai vescovi anglosassoni sull’argomento - che l’anno successivo produsse la decisione di attribuire all’allora Cardinale Joseph Ratzinger l’autorità di occuparsi direttamente dei presunti scandali.
Ma il New York Times ricorda che l’ufficio guidato dal futuro pontefice, la Congregazione per la Dottrina della Fede, «aveva assunto già la competenza sui casi di abusi sessuali da circa 80 anni, nel 1922». «Ma per i due decenni in cui è stato a capo di quell’ufficio, il futuro papa non ha mai affermato quella autorità», aggiunge il quotidiano.
Il New York Times ricorda poi che «come Papa, Benedetto ha incontrato le vittime di abusi sessuali per tre volte», ma il quotidiano non manca di sottolineare che «oggi la crisi degli abusi sta divampando nel cuore cattolico dell’Europa» e «il Vaticano sta rispondendo ancora agli abusi dei preti con il suo (personale, ndr) ritmo, mentre è assediato da un mondo esterno che vuole che si muova più velocemente e con più decisione».
* La Stampa, 2/7/2010
“Crisi sessuale” fra il clero
“UNA crisi sessuale sta logorando il sistema nervoso della Chiesa Cattolica”, ha dichiarato Jason Berry, uno scrittore della Louisiana che ha ricevuto un premio della Catholic Press Association per il suo servizio sulla pedofilia nel National Catholic Reporter. Riguardo agli atti di perversione compiuti da ecclesiastici su bambini, Berry ha detto anche nel Washington Post: “Dal 1985 sono stati registrati in tutta l’America e il Canada decine e decine di casi di pedofilia in cui erano coinvolti sacerdoti o frati laici. Di conseguenza le diocesi statunitensi hanno sostenuto ingenti perdite nei processi, e la copertura delle assicurazioni per tali azioni si è volatilizzata. Questi cambiamenti sono sopraggiunti insieme ad alcune notizie secondo cui niente meno che dal 10 al 20 per cento dei sacerdoti statunitensi potrebbe essere costituito da omosessuali attivi”. Il Providence Sunday Journal del Rhode Island dichiara: “Vescovi di 29 stati . . . si sono visti chiedere i risarcimenti dalle vittime di abusi sessuali commessi da ecclesiastici cattolici, e finora la Chiesa ha pagato almeno 60 milioni di dollari a seguito di sentenze giudiziarie e accordi estragiudiziali”. Nella Louisiana un sacerdote ha ammesso di avere molestato 35 ragazzi ed è stato condannato a 20 anni di prigione, sebbene, dice il succitato periodico, fosse chiaro che “in oltre 10 anni aveva commesso atti di violenza privata contro almeno 75 minori”. E un sacerdote del Rhode Island si è dichiarato colpevole di 26 reati sessuali nei confronti di ragazzini. Da un’inchiesta condotta presso la Covenant House, un ricovero di New York per ragazzi scappati di casa, è emerso che il sacerdote responsabile si era reso colpevole di reati sessuali con vari giovani e ragazzi. E l’arcivescovo cattolico di Atlanta ha dato le dimissioni dopo che era stato dimostrato che aveva avuto una relazione durata due anni con una ragazza madre. Una conferenza di vescovi cattolici americani ha ricevuto un rapporto dove si parla della “catastrofe” dei processi per pedofilia a carico di sacerdoti. Il rapporto di 100 pagine, dice il Providence Sunday Journal, “esponeva una strategia dettagliata per limitare a 1 miliardo di dollari, in base alle 30 cause allora pendenti, la responsabilità della Chiesa nelle cause civili”. Le cause sono intentate dai genitori cattolici dei minori coinvolti. E gli psichiatri che hanno in cura le giovani vittime di questi reati riferiscono che il danno ha effetti a lungo termine e spesso è permanente. Il Vaticano e’ assediato... che vuole che si muova più velocemente e con più decisione». DOVE!!!
Il prezzo del celibato Il celibato obbligatorio dei sacerdoti “porta ad azioni legali per l’accertamento della paternità, amanti, maggiore attività omosessuale fra ecclesiastici e seminaristi, solitudine e in alcuni casi pedofilia”. Questa, secondo il National Catholic Reporter, è la sostanza dell’allarme dato da Joe Sternak, ex sacerdote cattolico dell’arcidiocesi di Chicago (Stati Uniti), a proposito del celibato durante una recente conferenza annuale. Sternak, che sta scrivendo un libro sulla pedofilia, afferma che le diocesi di oltre 20 stati usano le donazioni fatte alla chiesa per pagare i procedimenti penali e le transazioni amichevoli per casi di abusi sessuali da parte di sacerdoti ai danni di bambini.
In meno di 300 anni, il campo di grano del cristianesimo era stato infestato dalle zizzanie, anticristi apostati, finché, con l’entrata in scena di Costantino il Grande (colpevole dell’assassinio di almeno sette intimi amici e familiari), si arrivò all’istituzione di una religione di stato mascherata da “cristianesimo”.
“Gli uomini hanno scoperto che è molto più conveniente adulterare la verità che raffinare se stessi”. Charles Caleb Colton, ecclesiastico inglese del XIX secolo quando una religione diventa oggetto di complicata erudizione metafisica, la sua vera vitalità come fede si va perdendo”. - World Encyclopedia (giapponese).
Le persone che in Europa vanno ancora in chiesa di solito non ci vanno per scoprire cosa Dio richiede da loro. Un articolo dall’Italia dice: “Gli italiani si costruiscono una religione su misura che sia adatta al loro stile di vita”. E un sociologo italiano afferma: “Dal papa prendiamo qualunque cosa ci sia congeniale”. Lo stesso si può dire dei cattolici in Spagna, dove la religiosità ha lasciato il posto al consumismo e alla ricerca di un paradiso da ottenere subito, quello economico! Queste tendenze sono in netto contrasto con il cristianesimo insegnato e praticato da Cristo e dai suoi seguaci. Gesù non offrì una religione “self-service” o “a buffet”, in cui ognuno prende ciò che più gli aggrada e scarta quello che non è di suo gradimento. Egli disse: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda di giorno in giorno il suo palo di tortura e mi segua di continuo”. Gesù insegnò che il modo di vivere cristiano richiedeva sacrificio e sforzo a livello personale.
Con tutto il rispetto e la stima del mondo; accompagnato, con tanto bene...fino a quando servira’! Dall’Emigrato Integrato da quasi 50 anni.
Mi chiedo! molto spesso...dopo una ponderata e proficua meditazione....SE! La Politica e’ come e’!!! La Religione continua a fare quello che ha’ sempre fatto!!! e il calcio l’hanno smesso di giocarlo!!! ( Chissa’ se la NUTELLA continueranno a farla e venderla!!! (PER COMPRERLA AL MIO NIPOTINO?)
"Così il cardinale Ratzinger prese di mira i progressisti e lasciò impuniti i pedofili" *
di Federico Rampini (la Repubblica, 3 luglio 2010)
Joseph Ratzinger, quando da cardinale dirigeva la Congregazione per la dottrina della fede, fu «parte di una cultura di non-responsabilità, negazionismo, e ostruzionismo della giustizia» di fronte agli abusi sessuali commessi da sacerdoti. Lo afferma il New York Times sulla base di documenti interni alla Chiesa, interviste a vescovi ed esperti di diritto canonico. Dal reportage emerge una versione molto diversa, sul ruolo di papa Benedetto XVI, rispetto alla descrizione ufficiale fornita dalla Chiesa.
Tra le rivelazioni spunta un vertice segreto avvenuto in Vaticano nel 2000 tra Ratzinger e i vescovi delle nazioni anglofone più colpite dagli scandali di pedofilia: Stati Uniti, Irlanda, Australia. Secondo il vescovo Geoffrey Robinson di Sidney, che partecipò all’incontro segreto, Ratzinger «impiegò molto più tempo a riconoscere il problema degli abusi sessuali, rispetto a quel che fecero alcuni vescovi locali». Nell’intervista al New York Times il prelato australiano si chiede: «Perché il Vaticano era così tanti anni indietro?».
Il New York Times smonta la linea di difesa che la Santa Sede ha tenuto sull’attuale pontefice. Il Vaticano ha descritto come una svolta la decisione del 2001 di dare alla Congregazione diretta da Ratzinger l’autorità di semplificare le procedure e affrontare direttamente i casi di pedofilia.
Dopo quella decisione, annunciata con una lettera apostolica di Giovanni Paolo II, il cardinal Ratzinger sarebbe emerso come uno dei più coraggiosi nel riconoscere la minaccia degli abusi sessuali per la reputazione della Chiesa. Tutto questo viene confutato nella ricostruzione del giornale americano. In realtà la Congregazione aveva già gli stessi poteri dal 1922, secondo diversi esperti di diritto canonico interpellati. La lettera del 2001 non segnò affatto una svolta. Al contrario, la Chiesa si decise ad agire solo in grande ritardo, sotto la pressione di alcuni vescovi anglofoni in prima linea negli scandali.
«Per i due decenni in cui ebbe la guida della Congregazione», scrive il New York Times, «il futuro Papa non esercitò mai quell’autorità. Evitò di intervenire anche quando le accuse e i processi stavano minando la credibilità della Chiesa in America, Australia, Irlanda, e altri Paesi».
Ancora oggi, prosegue l’articolo, «molti decenni dopo che gli abusi sessuali da parte dei sacerdoti sono diventati un problema, Benedetto XVI non ha istituito un sistema di regole universali» per affrontarlo. Al contrario permane tuttora «una confusione dilagante tra i vescovi, sul modo di affrontare le accuse».
Eppure i segnali d’allarme per il Vaticano vengono da lontano. Nel 1984 il reverendo Gilbert Gauthé di Lafayette, Louisiana, ammise di avere molestato 37 minorenni. Nel 1989 uno scandalo enorme scoppiò in un orfanatrofio cattolico del Canada. Nella prima metà degli anni Novanta 40 fra preti e monaci australiani erano sotto processo per abusi sessuali. Nel 1994 cadde un governo in Irlanda per avere negato l’estradizione di un prete pedofilo. A quel tempo il cardinal Ratzinger aveva consolidato la sua autorità al vertice della Congregazione, dove era stato nominato nel 1981.
«È lui», sottolinea il New York Times, «che avrebbe potuto avviare azioni decisive negli anni Novanta, per impedire che gli scandali diventassero una metastasi, diffondendosi da un Paese all ’altro». Ma le sue priorità erano altre. Fin dal 1981 Ratzinger aveva identificato «la minaccia fondamentale per la fede della Chiesa»: la teologia della liberazione, il movimento dei preti progressisti che si stava affermando in America latina. «Mentre padre Gauthé (il pedofilo, ndr) veniva processato in Louisiana, il cardinal Ratzinger stava sanzionando pubblicamente i preti del Brasile e del Perù per aver sostenuto che la Chiesa doveva impegnarsi a favore dei poveri e degli oppressi. I suoi strali colpirono poi un teologo olandese favorevole a dare funzioni ecclesiali ai laici, e un americano che sosteneva il diritto al dissenso sull’aborto, il controllo delle nascite, il divorzio e l’omosessualità».
Per reprimere ogni velleità di autonomia delle Chiese nazionali, Ratzinger usò la sua autorità per affermare che le Conferenze episcopali «non hanno un fondamento teologico, non appartengono alla struttura della Chiesa». Un’offensiva fatale, scatenata proprio nella fase in cui alcune conferenze episcopali nei Paesi anglofoni avevano cominciato ad affrontare gli scandali in modo aperto, e chiedevano di poter sanzionare i preti pedofili senza aspettare le lungaggini dei processi canonici.