Anatema del Papa contro gli scienziati: attratti da facili guadagni
Ricerca, Ratzinger condanna «l’arroganza di sostituirsi a Dio».
E poi mette in guardia sulla «speculazione sfrenata»
di Roberto Monteforte *
La scienza non è in grado di elaborare una sua etica. Deve confrontarsi con la filosofia e con la teologia per evitare che «proceda da sola in un sentiero tortuoso e non privo di rischi» e non cadere «nelle sue patologie». Lo afferma Benedetto XVI ricevendo in udienza i partecipanti al congresso sull’enciclica «Fides e Ratio» organizzato dalla Pontificia università Lateranense. Per il Papa questo non significa affatto limitare la ricerca scientifica o impedire alla tecnica di produrre «strumenti di sviluppo», quanto piuttosto di «mantenere vigile il senso di responsabilità che la ragione e la fede possiedono nei confronti della scienza» e - aggiunge - perché questa «permanga nel solco del suo servizio all’uomo».
Vede pericoli Ratzinger che non crede alla possibilità da parte della comunità scientifica di darsi un suo autonomo codice deontologico. Evoca il rischio che la scienza moderna anziché seguire il benessere dell’umanità, persegua «il facile guadagno o, peggio ancora, l’arroganza di sostituirsi al Creatore». Definisce la tentazione di «produrre» la natura oltre che a studiarne le verità più profonde, «una forma di hybris (arroganza) che «può assumere caratteristiche pericolose per la stessa umanità». Parole che suonano come un vero affondo contro l’autonomia della scienza, come sfiducia verso la sua capacità di darsi autonomi riferimenti etici e di resistere alle pressioni del mercato. Una sortita che ha provocato le reazioni di figure eminenti della comunità scientifica. Critica è stata quella dell’astrofisica Margherita Hack per la quale le parole del Papa sono «fuori dal mondo». «Gli scienziati - ha detto - sono persone come tutte le altre. Tra di essi, quindi, c’è chi pensa solo ai soldi e chi invece dedica tutta la sua vita al progresso dell’umanità». «Considerato che la maggior parte degli scienziati, soprattutto quelli italiani, lavorano il più delle volte in condizioni di estrema precarietà, le dichiarazioni del Papa sono davvero fuori dal mondo». «I principi etici - ha aggiunto - non sono solo dei credenti. Il principio etico “non fare agli altri ciò che non vorresti che gli altri facciano a te” riguarda i credenti come i laici e gli atei». Hanno, invece, apprezzato le parole del Papa il fisico Antonino Zichichi e il presidente dell’Istituto superiore di Sanità, Enrico Garaci.
Quello sulla scienza non è stato l’unico richiamo ieri del Papa. Nel suo messaggio inviato alla Fao in occasione della giornata mondiale dell’alimentazione, Benedetto XVI ha lanciato un monito fortissimo contro la «speculazione sfrenata» che tocca i meccanismi dei prezzi e dei consumi e che finisce per colpire gli «ultimi». «Basta agli egoismi degli Stati» ha aggiunto osservando come, malgrado vi siano mezzi e risorse sufficienti per soddisfare le crescenti necessità di tutti, «nel mondo, invece, ci sono sempre più affamati». Nonostante la crisi economica mondiale - questo il suo invito - «occorre promuovere un nuovo modo di intendere la cooperazione internazionale, basato sul rispetto della dignità della persona», perché l’indirizzo economico deve essere orientato «verso la condivisione dei beni, verso il loro uso durevole e la giusta ripartizione dei benefici che ne derivano».
* l’Unità, 17.10.2008
UN CODICE ETICO PER LA TEOLOGIA!!! Il cattolicesimo-romano ha sempre e per lo più confuso "Erode" con Cesare e Dio con "Mammona"!!!
Dopo Wojtyla, subito è stata chiara la nuova linea teologica ed economica del Vaticano: la prima enciclica a pagamento!!! A questo punto, oggi come oggi, credo proprio che sia necessario un CODICE ETICO sia per l’economia sia per la teologia!!!
Il cattolicesimo-romano ha sempre e per lo più confuso "Erode" con Cesare e Dio con "Mammona". E continua a farlo!!! Teniamo presente che, oggi - e, appunto, dopo Wojtyla - sul Vaticano, svetta tracotante il "Logo" del Grande Mercante: Dio è “caro-prezzo” (Benedetto XVI, "Deus caritas est", 2006).
La Tradizione è stata restaurata. E un "lapsus" e una confusione spirituale di lunga durata ha ripreso il suo cammino!!!
Credete e diventerete ricchi. La fiducia senza “h” del Vaticano è riposta più sui “soldi” e meno sull’amore. Il lapsus non è un lapsus e la confusione non è una confusione. LA CASA DEL VATICANO E’ COSTRUITA SULLA "ROCCIA D’ORO" - letteralmente!!!
TABLET (RIVISTA INGLESE) rivela: nel 2007 parte delle azioni del Vaticano sono state trasformate in oro e obbligazioni. Che operazione lungimirante!!!
Tuttavia, ora che il dio Dollaro (“IN GOD WE TRUST”) è al tramonto, e l’egemonia dell’economia e della teologia del dio Mammona ("Deus caritas est") sta crollando, la Chiesa cattolica cerca di riciclare lo sterco di Mammona - ma non ancora di fare chiarezza (claritas)!!!
La casa di Giuseppe e Maria era fondata sull’Amore (Charitas)... O no?!
In Vaticano, e nel mondo cattolico, la confusione è grande. Non sanno ascoltare più né Cristo né i cristiani. E continuano a pensare platonicamente, credendo che il cristianesimo sia un cattolicismo, come il fascismo, il comunismo, il nazismo... Per loro il cattolicesimo romano è il vero cristianesimo!!!
Dopo Wojtyla,indietro è più possibile tornare. Cerchiamo di non perdere né la testa né la fede!!! E nemmeno la “H”!!!
"CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1GV., 4, 1-8)... E "SE SBALIO, MI CORIGGERETE"(GIOVANNI PAOLO II).
FEDERICO LA SALA
«Il progresso scientifico e le sue conquiste hanno un valore positivo. Ma a volte sembra prevalere nei ricercatori lo scopo del facile guadagno o, peggio ancora, l’arroganza di sostituirsi al Creatore»
il testo Benedetto XVI: «L’etica vigili sulla ricerca»
Pubblichiamo qui il discorso tenuto dal Papa ai partecipandi del convegno che celebra i dieci anni della «Fides et ratio». (Avvenire, 17.10.2008)
Signori Cardinali, Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, Gentili Signore, Illustri Signori! Sono lieto di incontrarvi in occasione del Congresso opportunamente promosso nel decimo anniversario dell’Enciclica Fides et ratio. Ringrazio innanzitutto Mons. Rino Fisichella per le cordiali parole che mi ha rivolto introducendo l’odierno incontro. Mi rallegro che le giornate di studio del vostro Congresso vedano la fattiva collaborazione tra l’Università Lateranense, la Pontificia Accademia delle Scienze e la Conferenza Mondiale delle Istituzioni Universitarie Cattoliche di Filosofia.
Una simile collaborazione è sempre auspicabile, soprattutto quando si è chiamati a dare ragione della propria fede dinanzi alle sempre più complesse sfide che coinvolgono i credenti nel mondo contemporaneo.
A dieci anni di distanza, uno sguardo attento all’Enciclica Fides et ratio permette di coglierne con ammirazione la perdurante attualità: si rivela in essa la lungimirante profondità dell’indimenticabile mio Predecessore. L’Enciclica, in effetti, si caratterizza per la sua grande apertura nei confronti della ragione, soprattutto in un periodo in cui ne viene teorizzata la debolezza. Giovanni Paolo II sottolinea invece l’importanza di coniugare fede e ragione nella loro reciproca relazione, pur nel rispetto della sfera di autonomia propria di ciascuna. Con questo magistero, la Chiesa si è fatta interprete di un’esigenza emergente nell’attuale contesto culturale. Ha voluto difendere la forza della ragione e la sua capacità di raggiungere la verità, presentando ancora una volta la fede come una peculiare forma di conoscenza, grazie alla quale ci si apre alla verità della Rivelazione (cfr Fides et ratio, 13).
Si legge nell’Enciclica che bisogna avere fiducia nelle capacità della ragione umana e non prefiggersi mete troppo modeste: «È la fede che provoca la ragione a uscire da ogni isolamento e a rischiare volentieri per tutto ciò che è bello, buono e vero. La fede si fa così avvocato convinto e convincente della ragione» (n. 56).
Lo scorrere del tempo, del resto, manifesta quali traguardi la ragione, N mossa dalla passione per la verità, abbia saputo raggiungere. Chi potrebbe negare il contributo che i grandi sistemi filosofici hanno recato allo sviluppo dell’autoconsapevolezza dell’uomo e al progresso delle varie culture? Queste, peraltro, diventano feconde quando si aprono alla verità, permettendo a quanti ne partecipano di raggiungere obiettivi che rendono sempre più umano il vivere sociale. La ricerca della verità dà i suoi frutti soprattutto quanto è sostenuta dall’amore per la verità.
Ha scritto Agostino: «Ciò che si possiede con la mente si ha conoscendolo, ma nessun bene è conosciuto perfettamente se non si ama perfettamente » (De diversis quaestionibus 35,2).
Non possiamo nasconderci, tuttavia, che si è verificato uno slittamento da un pensiero prevalentemente speculativo a uno maggiormente sperimentale. La ricerca si è volta soprattutto all’osservazione della natura nel tentativo di scoprirne i segreti. Il desiderio di conoscere la natura si è poi trasformato nella volontà di riprodurla. Questo cambiamento non è stato indolore: l’evolversi dei concetti ha intaccato il rapporto tra la fides e la ratio con la conseguenza di portare l’una e l’altra a seguire strade diverse. La conquista scientifica e tecnologica, con cui la fides è sempre più provocata a confrontarsi, ha modificato l’antico concetto di ratio; in qualche modo, ha emarginato la ragione che ricercava la verità ultima delle cose per fare spazio ad una ragione paga di scoprire la verità contingente delle leggi della natura.
La ricerca scientifica ha certamente il suo valore positivo. La scoperta e l’incremento delle scienze matematiche, fisiche, chimiche e di quelle applicate sono frutto della ragione ed esprimono l’intelligenza con la quale l’uomo riesce a penetrare nelle profondità del creato. La fede, da parte sua, non teme il progresso della scienza e gli sviluppi a cui conducono le sue conquiste quando queste sono finalizzate all’uomo, al suo benessere e al progresso di tutta l’umanità. Come ricordava l’ignoto autore della Lettera a Diogneto: «Non l’albero della scienza uccide, ma la disobbedienza. Non si ha vita senza scienza, né scienza sicura senza vita vera» (XII, 2.4).
Avviene, tuttavia, che non sempre gli scienziati indirizzino le loro ricerche verso questi scopi. Il facile guadagno o, peggio ancora, l’arroganza di sostituirsi al Creatore svolgono, a volte, un ruolo determinante. È questa una forma di hybris della ragione, che può assumere caratteristiche pericolose per la stessa umanità. La scienza, d’altronde, non è in grado di elaborare principi etici; essa può solo accoglierli in sé e riconoscerli come necessari per debellare le sue eventuali patologie. La filosofia e la teologia diventano, in questo contesto, degli aiuti indispensabili con cui occorre confrontarsi per evitare che la scienza proceda da sola in un sentiero tortuoso, colmo di imprevisti e non privo di rischi. Ciò non significa affatto limitare la ricerca scientifica o impedire alla tecnica di produrre strumenti di sviluppo; consiste, piuttosto, nel mantenere vigile il senso di responsabilità che la ragione e la fede possiedono nei confronti della scienza, perché permanga nel solco del suo servizio all’uomo.
La lezione di sant’Agostino è sempre carica di significato anche nell’attuale contesto: «A che cosa perviene - si domanda il santo Vescovo di Ippona - chi sa ben usare la ragione, se non alla verità?
Non è la verità che perviene a se stessa con il ragionamento, ma è essa che cercano quanti usano la ragione... Confessa di non essere tu ciò che è la verità, poiché essa non cerca se stessa; tu invece sei giunto ad essa non già passando da un luogo all’altro, ma cercandola con la disposizione della mente» (De vera religione 39,72). Come dire: da qualsiasi parte avvenga la ricerca della verità, questa permane come dato che viene offerto e che può essere riconosciuto già presente nella natura. L’intelligibilità della creazione, infatti, non è frutto dello sforzo dello scienziato, ma condizione a lui offerta per consentirgli di scoprire la verità in essa presente. «Il ragionamento non crea queste verità - continua nella sua riflessione sant’Agostino - ma le scopre. Esse perciò sussistono in sé prima ancora che siano scoperte e una volta scoperte ci rinnovano» ( Ibid., 39,73). La ragione, insomma, deve compiere in pieno il suo percorso, forte della sua autonomia e della sua ricca tradizione di pensiero.
La ragione, peraltro, sente e scopre che, oltre a ciò che ha già raggiunto e conquistato, esiste una verità che non potrà mai scoprire partendo da se stessa, ma solo ricevere come dono gratuito. La verità della Rivelazione non si sovrappone a quella raggiunta dalla ragione; purifica piuttosto la ragione e la innalza, permettendole così di dilatare i propri spazi per inserirsi in un campo di ricerca insondabile come il mistero stesso.
La verità rivelata, nella ’pienezza dei tempi’ ( Gal 4,4), ha assunto il volto di una persona, Gesù di Nazareth, che porta la risposta ultima e definitiva alla domanda di senso di ogni uomo. La verità di Cristo, in quanto tocca ogni persona in cerca di gioia, di felicità e di senso, supera di gran lunga ogni altra verità che la ragione può trovare. È intorno al mistero, pertanto, che la fides e la ratio trovano la possibilità reale di un percorso comune.
In questi giorni, si sta svolgendo il Sinodo dei Vescovi sul tema «La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa». Come non vedere la provvidenziale coincidenza di questo momento con il vostro Congresso. La passione per la verità ci spinge a rientrare in noi stessi per cogliere nell’uomo interiore il senso profondo della nostra vita. Una vera filosofia dovrà condurre per mano ogni persona e farle scoprire quanto fondamentale sia per la sua stessa dignità conoscere la verità della Rivelazione. Davanti a questa esigenza di senso che non dà tregua fino a quando non sfocia in Gesù Cristo, la Parola di Dio rivela il suo carattere di risposta definitiva. Una Parola di rivelazione che diventa vita e che chiede di essere accolta come sorgente inesauribile di verità.
Mentre auguro a ciascuno di avvertire sempre in sé questa passione per la verità, e di fare quanto è in suo potere per soddisfarne le richieste, desidero assicurarvi che seguo con apprezzamento e simpatia il vostro impegno, accompagnando la vostra ricerca anche con la mia preghiera. A conferma di questi sentimenti imparto volentieri a voi qui presenti ed ai vostri cari l’Apostolica Benedizione.
Benedetto XVI
La replica di margherita hack: «Benedetto XVI FUORI DAL MONDO»
Il Papa attacca: «Scienziati arroganti»
«Il facile guadagno o, peggio ancora, l’arroganza di sostituirsi al Creatore svolgono un ruolo determinante» *
ROMA - Benedetto XVI torna a esaltare il valore della ricerca scientifica a servizio del progresso dell’umanità, ma nel contempo ricorda che «la scienza non è in grado di elaborare principi etici; essa può solo accoglierli in sé e riconoscerli come necessari per debellare le sue eventuali patologie».
Per questo, spiega, la scienza non può fare da sola: «La filosofia e la teologia diventano, in questo contesto, degli aiuti indispensabili con cui occorre confrontarsi per evitare che la scienza proceda da sola in un sentiero tortuoso, colmo di imprevisti e non privo di rischi».
L’ARROGANZA DEGLI SCIENZIATI - Nel discorso in occasione dei dieci anni dell’enciclica «Fides et Ratio» di Giovanni Paolo II - celebrati in un convegno alla Lateranense - il Papa ha citato in proposito l’ignoto autore della Lettera a Diogneto per il quale «non l’albero della scienza uccide, ma la disobbedienza. Non si ha vita senza scienza, né scienza sicura senza vita vera». «Avviene, tuttavia - osserva Papa Ratzinger - che non sempre gli scienziati indirizzino le loro ricerche verso questi scopi. Il facile guadagno o, peggio ancora, l’arroganza di sostituirsi al Creatore svolgono, a volte, un ruolo determinante». Secondo il Pontefice, «è questa una forma di "hybris" della ragione, che può assumere caratteristiche pericolose per la stessa umanità. Ciò - precisa il Pontefice - non significa affatto limitare la ricerca scientifica o impedire alla tecnica di produrre strumenti di sviluppo; consiste, piuttosto, nel mantenere vigile il senso di responsabilità che la ragione e la fede possiedono nei confronti della scienza, perchè permanga nel solco del suo servizio all’uomo».
FAME NEL MONDO - Successivamente Benedetto XVI in un messaggio indirizzato al direttore generale della Fao, Jacques Diouf, in occasione della giornata mondiale dell’alimentazione ha attaccato la «speculazione sfrenata» che tocca i meccanismi dei prezzi e dei consumi e gli egoismi degli Stati. «I mezzi e le risorse di cui il mondo dispone al giorno d’oggi - ha affermato il Papa - sono in grado di fornire cibo sufficiente per soddisfare le crescenti necessità di tutti».
HACK - Alle affermazioni del Papa sugli scienziari replica l’astrofisica Margherita Hack: «Gli scienziati sono persone come tutte le altre. Tra di essi, quindi, c’è chi pensa solo ai soldi e chi invece dedica tutta la sua vita al progresso dell’umanità». «Considerato che la maggior parte degli scienziati, soprattutto quelli italiani, lavorano il più delle volte in condizioni di estrema precarietà - ha aggiunto la Hack - le dichiarazioni del Papa sono davvero fuori dal mondo». Per quanto riguarda, invece, la presunta incapacità della scienza, sottolineata dal Ponteficie, di elaborare principi etici, Hack è stata ancora molto più pungente: «I principi etici non sono solo dei credenti. Il principio etico ’non fare agli altri ciò che non vorresti che gli altri facciano a te’ infatti riguarda i credenti come i laici e gli atei». Non si può non riconoscere, ha detto ancora la Hack, che la scienza ha dato molti benefici all’umanità. Inoltre, ha aggiunto, «parlare di arroganza e desiderio di guadagno non è proprio molto adatto in un momento in cui i giovani scienziati italiani stanno rischiando di perdere il lavoro e morire di fame, senza avere più a disposizione nemmeno i mille euro al mese che guadagnano adesso». «Il Santo Padre dovrebbe pensarci due volte prima di parlare», ha concluso la Hack.
* Corriere della Sera, 16 ottobre 2008
Ernie Chambers, in carica da 38 anni, voleva portare il Signore in tribunale per aver diffuso paura e terrore e di permettere catastrofi e sciagure
Usa, un senatore vuole fare causa a Dio "Respinta, l’Onnipotente non ha indirizzo"
Il giudice: è impossibile notificare l’atto all’accusato
di MARCO PASQUA
Aveva fatto causa a Dio, responsabile, a suo dire, di aver diffuso paura e terrore in tutto il mondo. Ma il procedimento giudiziario non avrà alcun seguito: un giudice del Nebraska lo ha infatti respinto, perché Dio non ha alcun indirizzo al quale poter notificare l’avvio della causa. Si chiude così la vicenda che vede protagonista lo storico senatore democratico del Nebraska, Ernie Chambers, che, il 14 settembre dello scorso anno, aveva depositato la sua provocatoria causa in una corte del Nebraska.
Secondo il documento redatto dal senatore 71enne (definito da molti "l’uomo di colore più arrabbiato di tutto lo Stato"), Dio e tutti i suoi seguaci, sarebbero responsabili "delle continue minacce terroristiche, con conseguenti danni per milioni e milioni di persone in tutto il mondo". Minacce la cui credibilità è avallata, secondo Chambers, "dalla storia personale di Dio".
Nel documento gli si attribuisce anche la responsabilità di "terremoti, uragani, guerre e nascite di bimbi con malformazioni". Ancora: Dio è accusato di aver "distribuito, in forma scritta, documenti che servono a trasmettere paura, ansia, terrore e incertezza, al fine di ottenere obbedienza" da parte degli uomini.
Chambers ha spiegato di aver avviato questo procedimento per dimostrare che "tutti possono avere accesso a una corte, indipendentemente dal fatto se siano ricchi o poveri" e per sottolineare che "ognuno può essere citato in giudizio". Il suo obiettivo era di ottenere dai giudici una diffida, in cui si sarebbe dovuto sollecitare Dio a interrompere ogni genere di "minaccia" sul mondo.
La causa, comunque, non avrà alcun seguito, perché "non è stato possibile reperire un indirizzo ufficiale di Dio". Il giudice Marlon Polk si è appellato a una legge del Nebraska, secondo la quale chi avvia un procedimento giudiziario deve avere l’indirizzo della persona chiamata a difendersi in aula.
Chambers non si dà per vinto, e anzi si è detto soddisfatto della decisione del giudice. "La corte - ha dichiarato - ha ammesso l’esistenza di Dio. La conseguenza di questa decisione è che viene riconosciuta l’onniscienza di Dio. Quindi, se è vero che sa tutto, deve anche essere a conoscenza di questa causa". Il senatore, che è in carica da 38 anni, ha adesso 30 giorni di tempo per decidere se fare appello.
* la Repubblica, 16 ottobre 2008