dibattito
Le accuse di anti-ecologia rivolte al comando biblico di «dominare la terra» sono infondate. L’atteggiamento aggressivo verso la natura e lo stesso uomo è piuttosto «laico» e soprattutto ateo
La tecnocrazia? Colpa di Platone...
Dio non ci ha invitato a sventrare il creato. È stato il pensiero greco a istituire (forse con troppo ottimismo...) tecnologia e politica quali sostituti degli dei; purché mantenessero l’ispirazione al Bene
di VITTORIO POSSENTI (Avvenire, 15.10.2008)
L’ uomo è preparato al radicale mutamento di mondo che la tecnica gli propone e impone? L’imperativo tecnico a dominare la terra è prefigurato dalla Bibbia oppure è un’ideologia moderna?
Le domande sono notevoli: nell’età della tecnica cresce la spinta anti-umanistica a «naturalizzare» l’uomo, cancellando la sua richiesta di senso e il bisogno di proiettarsi oltre l’orizzonte della caducità, cui la ragione tecnica non può assegnare risposta alcuna. Essa offre potenza, cura, successo, ma non salva né apre il cammino verso la verità.
Agli inizi della modernità non fu così, anzi in Bacone ebbe corso l’assunto secondo cui scienza e tecnica andavano intese come un aiuto fondamentale capace di restaurare il dominio dell’uomo sulla creazione, perso con la disobbedienza: «In seguito al peccato originale, l’uomo decadde dal suo stato e dal suo dominio sulle cose create. Ma entrambe le cose si possono recuperare, almeno in parte, in questa vita. La prima mediante la religione e la fede, la seconda mediante le tecniche e le scienze».
Nella prospettiva baconiana la tecnica assume un carattere quasi redentivo per recuperare l’antico dominio sul creato. La Bibbia non lo presenta però come principalmente di tipo tecnico, ma legato ad una restaurazione fondamentale di tutti i rapporti dell’essere umano con Dio, l’altro, la natura. Nella modernità muta il modo di intendere il comando divino a riempire la terra e a soggiogarla; col procedere della secolarizzazione esso venne trasformato nell’invito a creare il regno dell’uomo e a dominare duramente le cose.
Senza motivo continua ad avere corso l’idea di una responsabilità del messaggio biblico in merito, come se l’orizzonte biblico, diversamente da quello greco, conducesse al più sconsiderato dominio e all’impossibilità perciò di opporsi alla violenza della tecnica. Vi è molto che stride nel considerare la tecnica occidentale come la fedele esecuzione del comando biblico di «dominare» il mondo, poiché tale dominio affidato all’uomo rimane teocentrico, assume carattere regolativo e «politico», non dispotico.
È più sensato sostenere che le posizioni come quella citata siano influenzate da un’ontologia molto problematica, quella neo-parmenidea dell’eternità e immodificabilità di ogni ente e del tutto. Una concezione non solo infondata, ma che non trova avallo nella Bibbia, ed anzi le è contrapposta.
Ponendo nelle mani dell’uomo il creato, Dio non lo ha invitato a sventrarlo, né ha pensato ad un dominio tirannico ma a una guida mite, in cui siamo collettivamente responsabili verso il cosmo e l’altro. L’atteggiamento aggressivo verso la terra e l’uomo è moderno, «laico» e spesso ateo. L’atteggiamento religioso si esprime nella preghiera che è un congiungere le mani. Giungendo le mani, il soggetto orante lascia da parte ogni mani-polazione, ogni fare e agire tramite le mani, ogni idea che vi siano cose e problemi che saranno risolti soltanto operando con le mani. Là dove si prega, si attesta che il fare non può tutto, che l’essere e la vita non sono completamente a portata delle mani.
Platone aveva meditato sul nesso tra tecnica e politica, ritenendo quest’ultima la «tecnica régia», capace cioè di assumere la guida. La questione è elaborata nel Politico col ricorso a un mito cosmico che concerne il nesso tra il dio e il mondo. Incarnando le posizioni di Platone, lo Straniero introduce il tema: «Ascolta. Questo nostro tutto ora è guidato nel suo cammino e nel suo volgersi dal dio stesso, ora è lasciato andar solo», senza alcuna guida. Quando il dio era al timone del mondo, gli uomini soddisfacevano liberamente i loro bisogni, e «la divinità stessa li guidava al pascolo e presiedeva loro», e non vi era bisogno né di costituzione né di Stati.
Ma quando il pilota dell’universo abbandonò il timone del mondo, una nuova tendenza volse il cosmo nel nuovo corso, sino a quando nuovamente il dio riprende a sedere al timone. A partire dalla separazione degli uomini dagli dèi prende origine la storia propriamente umana, in cui l’uomo deve provvedere a se stesso. Ma non può governare se stesso se non con la politica che è «tecnica régia»: il politico porta a salvezza quelli che sono imbarcati con lui.
La tecnica politica si chiama «régia» non solo perché appartiene a chi comanda (al re), ma in quanto presiede ad ogni altra tecnica. Secondo Platone alla scienza politica sono affini la giurisprudenza, la retorica e la strategia, che coadiuvano la politica nel governare le attività degli Stati. Se attualizziamo la riflessione di Platone, le odierne tecnologie si possono aggiungere come nuovo aiuto che si inserisce tra i magistrati saggi e prudenti e i comportamenti dei valorosi che, pur mancando di prudenza, hanno invece audacia e prontezza di iniziativa spiccatissime. Forse tra loro si possono collocare i tecnologi di oggi.
Il dialogo platonico significa che la politica e la tecnica devono ispirarsi al Bene e non presumere di procedere da sole: ogni tecnica, compresa la politica, può essere usata di traverso se non si dispone della conoscenza del Bene. Quest’ultima indirizza la tecnologia, che altrimenti è una potenza senza etica che ci conduce dove vuole lei.
Ma è ancor oggi così? Non vi è in Platone troppo ottimismo? Da tempo la conoscenza del bene non è più sufficiente; le si deve aggiungere la conoscenza dell’uomo, anch’essa divenuta controversa come quella del bene: quella conoscenza che la Bibbia trasmette e che viene elaborata dal personalismo, vero antidoto contro le smanie della tecnica.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
PIANETA TERRA: L’ILLUMINISMO, OGGI. UNA COSTITUZIONE PER IL MONDO... *
Dibattito.
Una costituzione mondiale: da utopia a realtà?
Ritorna di attualità il tema di un governo mondiale, sorto subito dopo la guerra: il bene comune universale non può essere assicurato da una responsabilità politica frammentata. Un cammino però arduo
di Vittorio Possenti (Avvenire, mercoledì 22 aprile 2020)
Le gravi difficoltà planetarie, che non si riducono a quelle attuali della pandemia, e che sono messe impietosamente allo scoperto dal processo di globalizzazione dominato da tecnica e finanza, fanno affiorare il tema assolutamente primario di un governo politico della famiglia umana, in nome della comune umanità che non tollera discriminazioni, rifiuto della solidarietà e della fratellanza. Riemergono le questioni dell’unità politica mondiale, della pace perpetua, di istituzioni comuni aventi responsabilità a raggio mondiale. Tra innumerevoli ostacoli avanza la consapevolezza di un bene comune planetario dell’umanità e di beni comuni, che devono esseri assicurati allo stesso livello: è l’immensa questione di un’autorità politica mondiale o, come anche si dice, di una costituzione mondiale.
Pochi mesi fa si è formata in Italia l’associazione “Costituente terra” che persegue tale obiettivo. Domenica 5 aprile l’inserto “La lettura” del “Corriere” ha ospitato un articolo di Sabino Cassese dal titolo “Il sogno di una costituzione mondiale”, in cui l’attenzione si rivolge in specie al tragitto politico e intellettuale di Giuseppe Antonio Borgese, che dall’Italia si trasferì in Usa negli anni ’30.
Borgese fece parte sin dall’inizio del comitato per la redazione di una costituzione mondiale, presieduto dal presidente dell’università di Chicago, Robert Maynard Hutchins, e composto da poco più di dieci membri che lavorò dal novembre 1945 al luglio 1947, preparando il progetto di una costituzione mondiale. Il gruppo tenne rapporti con persone esterne tra cui Jacques Maritain e Luigi Sturzo. Il testo fu pubblicato in varie lingue, e in italiano dalla Mondadori nel 1949, ma non ebbe grande accoglienza: era già cominciata l’epoca della guerra fredda.
Il lavoro non fu però inutile. Nel 1949 Maritain tenne alcune lezioni presso l’università di Chicago che formarono poi L’uomo e lo Stato, uno dei classici del pensiero politico novecentesco. In quest’opera l’autore dedica un capitolo a “Il problema dell’unificazione politica del mondo” che si riassume negli obiettivi di una pace permanente, nel superamento della sovranità degli Stati (severamente criticata) e nella formazione di un’autorità politica mondiale, garante della pace e della giustizia tra i popoli.
Non presento qui l’elaborazione maritainiana, che si differenzia alquanto da quella kantiana sulla pace perpetua. Mi interessa un altro elemento d’immenso rilievo: nel promulgare nell’aprile 1963 l’enciclica Pacem in Terris, Giovanni XXIII dedica profonda attenzione alla messa in opera di Poteri pubblici e Istituzioni a raggio planetario. Nella parte IV del testo il papa scrive: «Il bene comune universale pone ora problemi che non possono essere adeguatamente affrontati e risolti che ad opera di Poteri pubblici aventi ampiezza, strutture e mezzi delle stesse proporzioni; di Poteri pubblici cioè che siano in grado di operare in modo efficiente su piano mondiale. Lo stesso ordine morale quindi domanda che tali Poteri vengano istituiti».
La prospettiva è stata rilanciata da Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate (2009). È impensabile che la soluzione ai problemi globali che sono ulteriormente cresciuti possa essere trovata senza un grande progetto che conduca ad un’autorità politica globale: «Urge la presenza di una vera Autorità politica mondiale, quale è stata già tratteggiata dal mio Predecessore, il Beato Giovanni XXIII. Una simile Autorità dovrà essere regolata dal diritto, attenersi in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà, essere ordinata alla realizzazione del bene comune, impegnarsi nella realizzazione di un autentico sviluppo umano integrale ispirato ai valori della carità nella verità. Tale Autorità inoltre dovrà essere da tutti riconosciuta, godere di potere effettivo per garantire a ciascuno la sicurezza, l’osservanza della giustizia, il rispetto dei diritti». Essa, che oltrepassa ma non cancella il livello dello Stato e/o quello di unioni politiche regionali, è necessaria in quanto esiste un bene comune universale che non può essere assicurato da una responsabilità politica frammentata.
Questo dislivello strutturale è forse la più grave causa del disordine mondiale. Il cammino verso un’autorità politica mondiale, da non intendersi come un Superstato e ancor meno come un impero mondiale, ma ricorrendo ai principi di sussidiarietà e solidarietà, è un itinerario lungo e arduo. Nonostante tutto dovrebbe imporsi se l’umanità globalizzata per il bene e il male, intenderà sopravvivere.
Intanto un certo cammino può essere compiuto, e già lo è stato, mediante la creazione di organismi mondiali in campi fondamentali quali l’economia, la salute, il commercio, il cibo: Fmi, Banca Mondiale, Wto, Oms, Fao ne sono esempi, mentre sull’ambiente bisognerebbe procedere a istituirlo. Non ci si inganni però, in quanto tali organismi spesso sono indirizzati dalle potenze dominanti. Il loro arrancante e precario funzionamento, in specie durante le crisi più gravi, è uno dei motivi della paura e della chiusura che colpiscono popoli e nazioni, conducendoli al nazionalismo e al sovranismo sotto la spinta di capi politici incapaci di guardare oltre.
Su questi nuclei il compito dell’Europa dovrebbe essere primario e l’appello di papa Francesco il giorno di Pasqua è chiaro. L’Europa è risorta dopo il 1945 grazie a un intento di unione per superare le rivalità passate: «È quanto mai urgente, soprattutto nelle circostanze odierne, che tali rivalità non riprendano vigore, ma che tutti si riconoscano parte di un’unica famiglia e si sostengano a vicenda. Oggi l’Unione Europea ha di fronte a sé una sfida epocale, dalla quale dipenderà non solo il suo futuro, ma quello del mondo intero».
Da anni le ragioni del multilateralismo e dell’universalismo si sono gravemente indebolite. Alcune frasi del discorso del presidente Trump all’assemblea generale dell’Onu (24 settembre 2019) rappresentano il clima che si diffonde: «Il futuro non appartiene ai globalisti. Il futuro appartiene ai patrioti. Il futuro appartiene alle nazioni sovrane e indipendenti», chiaro invito a far pesare la propria forza sulle ragioni dell’equilibrio, e rilancio del primato dello Stato nazionale. È dunque ancor più necessario riprendere il progetto di un “costituzionalismo globale”, capace di creare istituzioni sovranazionali, e infine mondiali, di garanzia. Esse avrebbero il compito di controllare l’implementazione dei patti internazionali e del relativo diritto in ambiti vitali come l’ambiente, la corsa agli armamenti, l’istruzione, i diritti sociali, la lotta alle diseguaglianze, il contrasto alla tratta di esseri umani e alla criminalità internazionale. Qualcosa di analogo ai compiti svolti dall’Oms e dalla Fao nei loro campi rispettivi.
Jürgen Habermas ha parlato di “politica interna del mondo” e in Italia Luigi Ferrajoli ha sostenuto che il costituzionalismo ha un futuro solo se allargato oltre lo Stato. Le istituzioni di garanzia perseguono infatti fini universali nei modi prestabiliti dalla legge e dal diritto internazionali, e contribuiscono a limitare i poteri assoluti. Ma è proprio in questo campo che il cammino è più arduo, poiché mancano quasi completamente leggi di attuazione e di controllo, e il vecchio dogma della sovranità è lungi dall’essere superato.
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Sul tema, in rete e nel sito, si cfr.:
LA "MONARCHIA" DI DANTE, IL GIUSTO AMORE, E IL VATICANO CON IL SUO TRADIZIONALE SOFISMA DELLA "FALLACIA ACCIDENTIS".
"ERODE" E LE GERARCHIE CATTOLICO-ROMANE CONTRO CRISTO E "CONTRO CESARE. Cristianesimo e totalitarismo nell’epoca dei fascismi".
DANTE, ERNST R. CURTIUS E LA CRISI DELL’EUROPA. Note per una riflessione storiografica
Una Costituzione per il mondo: l’utopia concreta di Borgese contro i sovranismi (di Valter Vecellio).
GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro Abramo"
Federico La Sala
USCIRE DAL SONNAMBULISMO E DALL’INFERNO EPISTEMOLOGICO.... *
Etica & Società. L’imago Dei non abita più in noi?
Che ne è della persona in questo scorcio del nuovo secolo? Possiamo ancora riferici a essa, al concetto variegato che la esprime, oppure è divenuta una parola senza senso?
di Vittorio Possenti (Avvenire, sabato 29 febbraio 2020)
Che ne è della persona in questo scorcio del nuovo secolo? Possiamo ancora fare ricorso a essa, e al concetto ricchissimo che la esprime, oppure è divenuta un richiamo usurato e da lasciare da parte, perché non possiede più un senso? È un evento su cui meditare che nel corso dell’ultimo secolo il riferimento alla persona sia diventato universale, “ecumenico”, nella cultura filosofica, teologica e nelle scienze umane e sociali in Occidente, e poi in contesti assai più ampi. -Sempre più si ricorre, spesso solo in modo retorico, all’idea di persona, ma con il risultato che i suoi contorni sono diventati plurimi, sfuggenti, irriconoscibili, e quella che non pochi hanno considerato un passepartout universale o una chiave d’oro che apre tutte le porte, solleva invece immensi problemi che toccano in profondità la condizione umana. -L’esser-persona concerne tutti indistintamente, e secondo l’idea che ne viene formata vita e civiltà prendono cammini molto diversi, e anche il nostro destino singolo ne è segnato.
Per un certo tempo la poderosa diffusione dell’idea di persona ha potuto costituire un elemento di cui rallegrarsi per coloro che l’avevano adottata e coltivata assiduamente, senza però perdere la capacità di un attento discernimento che diventa ogni giorno più necessario. In effetti il diffondersi del termine “persona” e del lessico personalistico è andato di pari passo con una preoccupante vaghezza del loro contenuto; discorso analogo vale per l’idea di “dignità della persona” cui si fa un richiamo tanto inflazionato quanto confuso.
Ma l’orecchio esperto riesce a udire nel frastuono sulla persona un’altra musica: l’intento di decostruirne la nozione, intendendola quasi solo come una finzione giuridica, oppure più radicalmente di dissolverne la sua stessa realtà, riportando la persona a una maschera dell’impersonale. Decostruzione che prende origine in Francia dove, secondo l’antiumanesimo di Michel Foucault, l’uomo è solo un’invenzione delle scienze umane, destinato a sparire molto presto. E da lì si è diffusa in vari contesti, Italia compresa: nell’assunto si annida quella che spesso ho chiamato “filosofia del Neutro”, una delle massime espressioni del nichilismo moderno-contemporaneo.
La dialettica in corso tra umanesimo e antiumanesimo comporta l’esplosione della “questione antropologica” che si è prepotentemente affiancata alle questioni pubbliche che prendono il nome di “questione istituzionale democratica” e “questione sociale”: esse hanno dato almeno in Occidente il tono a due secoli di storia. Rispetto a queste problematiche la questione antropologica presenta caratteri più radicali ed è destinata a diventare sempre più pervasiva.
L’uomo è messo in questione tanto nella sua base biologica e corporea quanto nella coscienza che forma di se stesso. E ciò non soltanto astrattamente, ma praticamente, perché le nuove tecnologie, e non solo quelle della vita, incidono sul soggetto, lo trasformano, tendono a operare un mutamento nel modo di intendere nozioni centrali dell’esperienza di ognuno: essere generato oppure prodotto, nascere, vivere, procreare, cercare la salute, invecchiare, morire ecc.
Si tratta di trasformazioni di nuclei sensibilissimi che hanno interessato migliaia di generazioni e che costituiscono il tessuto fondamentale dell’esperienza umana in tutti i luoghi e tempi. La generazione umana rischia di passare dal procreare al fare, andando verso un soggetto progettato in serie, fabbricato, col rischio di non avere volto proprio.
La controversia sull’humanum è incandescente e onnipresente. Oltre quarant’anni fa Giovanni Paolo II sosteneva qualcosa che vale tuttora: «La verità che dobbiamo all’uomo è innanzi tutto una verità sull’uomo stesso» (Puebla, 28 gennaio 1979). La verità sull’uomo non può essere soggetta a votazione ma pazientemente rimeditata e fatta circolare nella cultura.
Oggi gli orizzonti prevalenti nella cultura in ordine alla persona sono sopratutto il funzionalismo e il riduzionismo. Nel primo essa è vista e ricondotta a un insieme di funzioni e/o di capacità, di cui ci si contenta di stendere vari elenchi senza andare al nucleo intimo che fa la persona. Nel riduzionismo essa è intesa come una parte, sia pure rilevante ma sempre parte, della madre-natura, secondo una posizione di esplicito naturalismo in cui l’essere umano non sporge oltre il suo grembo. Bisogna certo fare pace con la natura, senza però pensarci solo come risolti nella madre-terra, ma come esseri che abitano il mondo simbolico: linguaggio, mito, religione, arte. Ma anche l’antropocentrismo moderno, che aveva alzato l’uomo al di sopra del cielo, conserva posizioni.
In questo incandescente crocevia storico-spirituale a condurre il gioco è la rivoluzione tecnologica che domina il mondo: robotica, mediatica, digitale e informatica, biopolitica, intelligenza artificiale, potenziamento umano. Essa impone i suoi ritmi forsennati che non consentono momenti meditativi. Siamo trascinati senza requie da un vento che spira da ogni luogo e trascina ogni contesto, senza pause e moratorie, e coinvolti in processi giganteschi, mentre diversi sostengono che occorre abbattere le barriere tra l’umano, l’animale, la macchina.
A mio avviso il settore in cui la situazione risulta maggiormente compromessa è quello bioetico-biopolitico dove il tecnicamente possibile tende a diventare moralmente lecito a priori: si può pensare alla nuova legge bioetica in discussione in Francia, di cui è appariscente il carattere fortemente libertario e centrato sulle pretese degli adulti. Tutto ciò accade proprio quando vi è più alto bisogno di una nozione non mistificata di persona, della verità sulla persona cui non si può rinunciare. Per non essere trascinati passivamente dalla tempesta del “progresso” e dalle insidie del nichilismo è necessario riprendere contatto con una visione integra dell’esser-persona, che può provenire dal pensiero ontologico e dalla religione. In merito si ergono come irti ostacoli la pregiudiziale postmetafisica e la progressiva cancellazione dell’imago Dei dal perimetro dell’umano: essa nega all’essere umano la sua costitutiva apertura verso l’alto. Si avverte dolorosamente la carenza di un atteggiamento contemplativo, particolarmente arduo in un’epoca dominata dalla fretta e da un’ansia (ansia di prestazione e ansia di consumo) che colpisce tutti, e che annienta lo spazio meditativo e contemplativo, da cui può sorgere un orientamento sapiente. Non rinunciamo alla persona, rimettiamola al centro secondo tutta la verità che essa include.
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Sul tema, nel sito, si cfr.:
L’”ECCE HOMO” (E LA “CORONA DI SPINE”)! IN MEMORIA DI LEONZIO PILATO E DI PONZIO PILATO.
IL MESSAGGIO EVANGELICO, LA COSTITUZIONE, E IL PARADOSSO ISTITUZIONALE DEL MENTITORE, ATEO E DEVOTO. LA QUESTIONE MORALE, QUELLA VERA - EPOCALE.
DAL "CHE COSA" AL "CHI": NUOVA ERMENEUTICA E NUOVO PRINCIPIO DI "CARITÀ"! DELLA TERRA, IL BRILLANTE COLORE.
Federico La Sala
Vittorio Possenti
Il realismo e la fine della filosofia moderna
Armando Editore, pagg.288, € 24,00
IL LIBRO - Nel cammino della filosofia il realismo - conoscere le cose che sono e come sono - ha spesso costituito l’asse fondamentale della ricerca. Esso è in grado di rinnovare il pensiero, oggi, quando la filosofia moderna si è chiusa, sostituita dalla presente povertà postmetafisica e dal disfattismo della ragione. La filosofia dell’essere cerca un approccio ultramoderno al reale, liberato da una modernità ormai defunta, e volto verso un rinnovamento che conduca dal nichilismo alla metafisica. Questo è l’autentico destino del pensiero che indirizza dall’eterno ritorno al ritorno all’eterno.
Il volume mette alla prova la forza del realismo, intrecciando riflessione teoretica e riflessione storiografica, e dando voce ad autori come Tommaso d’Aquino, Hegel, Schelling, Gentile, Maritain, Bontadini, Severino, Putnam.
DAL TESTO - "Il realismo di cui parlo è a pieno arco, capace di interessare i più svariati domini del sapere, compresi quelli delle scienze che per loro natura sono intimamente realiste; ma tale realismo è in specie un ’realismo metafisico’ che non rigetta il rapporto con la metafisica, e che è proprio della filosofia dell’essere e di quell’ampia tradizione del pensiero cristiano che ha tenuto fermo il nesso con l’ontologia. Potremmo chiamarlo anche ’realismo classico’ non nel senso che voglia rinchiudersi nel passato, ma in quello che è capace di farsi intendere in tutte le epoche. Il tragitto proposto per il pensiero postmoderno potrebbe allora suonare: dal nichilismo teoretico alla metafisica dell’essere.
"In effetti la nostra è sia l’epoca della postmetafisica sostenuta da tanti, sia quella di una possibile rinascita della metafisica. Le fondamentali correnti antimetafisiche del ’900 (neopositivismo, fallibilismo, esistenzialismo ateo, ermeneutica radicale, neoidealismo) sono finite, non rappresentano più una possibilità reale, di modo che appare possibile riaprire il discorso metafisico. Pensiamo a un ritorno alla metafisica attraverso, ossia attraversando il pensiero moderno, non mediante un salto all’indietro di secoli: per tale motivo una quota significativa del libro è dedicata a temi e problemi della modernità e dell’epoca contemporanea."
L’AUTORE - Vittorio Possenti ha insegnato filosofia morale e politica presso l’Università di Venezia. È membro di alcune Accademie e per molti anni del Comitato Nazionale per la Bioetica. Tra le sue ultime pubblicazioni: "Nichilismo giuridico" (Soveria Mannelli, 2012), "La rivoluzione biopolitica. La fatale alleanza tra materialismo e tecnica" (Torino, 2013), "Pace e guerra tra le nazioni. Kant, Maritain, Pacem in terris" (Roma, 2014), "I volti dell’amore" (Milano, 2015). Per i tipi di Armando ha pubblicato tra l’altro: "Religione e vita civile" (2001); "Nichilismo e metafisica. Terza navigazione" (2004, Il ed.); "Il nuovo principio persona" (2013).
INDICE DELL’OPERA - Introduzione - Prima parte. La strada maestra del realismo - Capitolo I. Realismo diretto e verità - Capitolo II. Il realismo e il futuro della filosofia - Capitolo III. Perché la filosofia non può fare a meno della verità - Capitolo IV. Sulla concezione tomista dell’essere e la nozione di esse ipsum (per se subsistens) (Annesso - Sul metodo della metafisica) - Seconda parte. Filosofia dell’essere e chiusura della modernità filosofica - Capitolo V. Da dove occorre fare il cominciamento della Scienza? Sulle metafisiche libertiste (Schelling e Pareyson) e quelle logicistiche (Hegel, Gentile, Severino, Bontadini) - Capitolo VI. Dottrina della conoscenza, logica, metafisica. Gentile, Bontadini e noi - Capitolo VII. La chiusura del ciclo filosofico moderno: realismo e gradi del sapere in J. Maritain (Annesso - Sul realismo integrale e la mistica - Annesso - Intermezzo breve sulla filosofia italiana (contemporanea)) - Terza parte. Problemi del divenire e dell’eterno - Capitolo VIII. Caso, evoluzione, finalità - Capitolo IX. Il ritorno all’eterno quale compito essenziale del pensiero contemporaneo - Capitolo X. Rinnovare la filosofia: l’alleanza socratico-mosaica - Indice dei nomi
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro Abramo"
PER IL "RISCHIARAMENTO" ("AUFKLARUNG") NECESSARIO. ANCORA NON SAPPIAMO DISTINGUERE L’UNO DI PLATONE DALL’UNO DI KANT, E L’IMPERATIVO CATEGORICO DI KANT DALL’IMPERATIVO DI HEIDEGGER E DI EICHMANN !!!
Consiglio Nazionale delle Ricerche
Dipartimento Scienze Umane e Sociali Patrimonio
in margine al volume di Vittorio Possenti, Il realismo e la fine della filosofia moderna, Armando, Roma, 2016
Mercoledì, 22 Febbraio 2017
Aula Biblioteca Guglielmo Marconi
Piazzale Aldo Moro 7, Roma
ore 9:30-10:00 - Introduzione
Massimo Inguscio, Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (invited)
Riccardo Pozzo, Dipartimento Scienze Umane e Sociali, Patrimonio Culturale-CNR
Antonio Lamarra, Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee-CNR
ore 10:00-11:15 - Realismo e Metafisica
(introduce) Marcelo Sánchez-Sorondo, Pontificia Accademia delle Scienze Sociali
Massimo Dell’Utri, Università di Sassari
Marco Ivaldo, Università di Napoli Federico II
Leonardo Messinese, Pontificia Università Lateranense
ore 11:30-12:45 - Realismo e Ontologia
(introduce) P. Jesús Villagrasa Lasaga, L.C., Pontificio Ateneo Regina Apostolorum
Giuseppe Cantarano, Università della Calabria
Gaspare Mura, Pontificia Università Urbaniana
Nicla Vassallo, Università di Genova
Dibattito
ore 12:45-13:45 - Filosofia Moderna e Realismo
(introduce) Mauro Visentin, Università di Sassari
Maurizio Ferraris, Università di Torino
Giacomo Marramao, Università di Roma Tre
Roberto Palaia, Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee-CNR
ore 13:45-14:00 - Conclusione
Riccardo Pozzo, Dipartimento Scienze Umane e Sociali, Patrimonio Culturale-CNR
Vittorio Possenti, Università di Venezia Ca’ Foscari
Aula Biblioteca Guglielmo Marconi
Piazzale Aldo Moro 7, 00185-Roma, segreteria.dsu@cnr.it - 0649933328
SUL TEMA, IN RETE E NEL SITO, CFR.:
ATENE/EUROPA. VOLARE SULL’ABISSO: THE DESTRUCTION OF EUROPE. La fine del mondo ...
SE PENSIAMO (anzi, Bifo SE PENSI!) CHE IL LAVORO di Ernesto de Martino,”La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali”, è stato pubblicato (a cura di Clara Gallini) dall’Einaudi nel 1977, e che nel 1979 uscì uno straordinario lavoro di Elvio Fachinelli, “La freccia ferma. Tre tentativi di annullare il tempo (cfr.: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=3263), ci rendiamo conto in quale “abisso di oscurità” siamo scivolati, e come e quanto - nonostante la diffusa ripresa dei lavori e i vari “cantieri” aperti (si cfr., ad es., la lodevolissima rivista dell’Associazione Internazionale “Ernesto De Martino”, “NOSTOS”: http://rivista.ernestodemartino.it/index.php/nostos) - SIA NECESSARIO ripartire dal nostro presente e camminare sulla strada dell’antropologia della storia (non dalla storia dell’antropologia!), da Kant (come ha indicato anche l’ultimo Foucault e, già anche Giambattista Vico! - come aveva cominciato a capire Enzo Paci, al di là di Benedetto Croce!) e, anche, dai contributi di Ernesto De Martino ed Elvio Fachinelli! O no?! (Federico La Sala).
FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. ALLA RADICE DEI SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA EUROPEA ATEA E DEVOTA: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=4829
Federico La Sala
FILOSOFIA, MATEMATICA E REALTA’: IMPARARE A CONTARE!!! Una nota in memoria di PRIMO MORONI ...
PLAUDENDO AL VOSTRO "SPECIALE MATEMATICA E REALTÀ", in ottima corrispondenza con l’incontro filosofico del 22 pv (“Realismo Metafisica Modernità”, Aula Biblioteca Guglielmo Marconi - Piazzale Aldo Moro 7, Roma),
PREMESSO CHE il “LOGOS” non è un “NUMERO” (cfr. CONTARE E PENSARE... http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=4963) e, convinto che occorra legare insieme FILOSOFIA E ANTROPOLOGIA (cfr. ATENE/EUROPA ... https://www.alfabeta2.it/2017/02/16/ateneeuropa-volare-sullabisso/#comment-625400),
COME CONTRIBUTO al lavoro della Redazione di ALFABETA2 e del SUO CANTIERE, ripropongo qui UNA DOMANDA AI MATEMATICI: COME MAI “UN UOMO PIU’ UNA DONNA HA PRODOTTO, PER SECOLI, UN UOMO”?! Non è il caso di ripensare i fondamenti?! (http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=3995)
e un mio breve lavoro
in memoria di PRIMO MORONI:
CHI SIAMO NOI, IN REALTÀ?! RELAZIONI CHIASMATICHE E CIVILTÀ: UN NUOVO PARADIGMA. CON MARX, OLTRE (http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=4198).
BUON-LAVORO!!!
Federico La Sala (18.02.2017)
2)
MATEMATICA, REALTÀ, E CREATIVITÀ. Un omaggio ad “Alfabeta - 1”, “Alfabeta - 2“, e un contributo ai lavori del Cantiere ...
Realismo e Metafisica. A voler rendere meno sintetico ed ellittico il discorso, e a raccordare l’ieri con l’oggi, “ALFABETA 1” con “ALFABETA 2” e il CANTIERE, mi sia consentito richiamare, due miei interventi: il primo sugli atti di un convegno eccezionale sugli “stati generali” del realismo scientifico e filosofico - LIVELLI DI REALTÀ (“Alfabeta”, 66, 1984) e, insieme, il secondo sul “grande scontro” tra razionalismo fondazionalistico e razionalità antifondazionalistica - FILOSOFI CATTOLICI IN POLEMICA (“Alfabeta”, 108, 1988), intorno al lavoro del filosofo cattolico Dario Antiseri, vicino al “pensiero debole” ieri e vicino a studiosi e ricercatori (cfr. il suo contributo “L’universo incerto della ragione umana”, nel volume collettaneo “I modi della razionalità”, Mimesis Edizioni, 2016, pp. 29-45) di questi anni recenti, sino ad oggi.
REALISMO E MODERNITÀ. RIPRENDENDO A “CONTARE”, e portando alla luce del sole (dalla caverna o, se si vuole, da “interi millenni” di labirinto) il legame profondo tra filosofia, matematica, e antropologia, si arriva a comprendere di nuovo e meglio che della razionalità, come dell’essere, si può parlare “in molti modi” - non in un solo modo (quello mono-logico ed ego-latrico, con le sue platonizzanti pretese: “Io, Platone, sono la Verità”). E, altrettanto, come sia possibile riportare - FILOSOFICAMENTE E ANTROPOLOGICAMENTE - la vita e la ricerca sulla strada aperta da ARISTOTELE (al di là di ogni tomistica e neotomistica illusione: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=3617#forum3121791) e illuminata da KANT (oltre ogni scetticismo e ogni idealismo-materialismo: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=4829), definitivamente, fuori dall’orizzonte della creatività “andropologica” dell’ “uomo supremo”, del “superuomo” e della sua società a “una” dimensione.
N.B. - L’uscita dallo “stato di minorità” è all’ordine del giorno già dal 1784...
BUON-LAVORO!!!
Federico La Sala (19.02.2017)
* DUE NOTE A MARGINE DELLO "SPECIALE MATEMATICA E REALTÀ" DI ALFABETA2.
IDEE.
Con l’enciclica «Caritas in veritate» sono ormai numerosi i documenti vaticani che insistono per un’Autorità politica mondiale
I Papi: l’Onu non basta più
DI VITTORIO POSSENTI (Avvenire, 20.08.2009)
La Caritas in veritate è un’enciclica ricca di speranza che potrà sorprendere chi si attendeva solo un elenco di critiche, mentre la speranza guarda lontano verso cose necessarie ma ardue. Un suo punto di vertice, finora poco avvertito, è quello in cui il Papa tocca uno dei massimi nodi della situazione mondiale ed un nucleo che presiede alla vita dei popoli: la chiave politica (n. 67).
La crisi attuale, da tanti sentita quasi solo come finanziaria, possiede profonde radici politiche: se le istituzioni economiche e finanziarie mondiali hanno funzionato male, almeno altrettanto è capitato per le istituzioni politiche nazionali e sovranazionali. Le grandi difficoltà planetarie hanno molti nomi: povertà (insieme alla fame, monta l’e¬norme problema della sete e dell’accesso all’acqua: un vero diritto, sinora non riconosciuto e invece elencato dall’enciclica), guerre, corsa agli armamenti, crisi energetica ed ecologica.
È impensabile che un tale fascio di problemi di dimensione mondiale possa essere avviato a soluzione senza un grande disegno che sbocchi in un’autorità politica mondiale: «Urge la presenza di una vera Autorità politica mondiale, quale è stata già tratteggiata dal mio predecessore, il beato Giovanni XXIII», ed organizzata secondo sussidiarietà (n. 67). Occorre un’organizzazione sovrastatale planetaria, resa necessaria dall’esistenza di un bene comune universale che non può essere assicurato da una responsabilità politica frammentata.
Anche in questo campo decisivo Caritas in veritate applica il criterio della tradizione che si evolve nei nuovi contesti, riprendendo e rilanciando le preziosissime acquisizioni di Pacem in terris. Secondo l’enciclica giovannea «i poteri pubblici delle singole Comunità politiche, posti come sono su un piede di uguaglianza giuridica fra essi, per quanto moltiplichino i loro incontri e acuiscano la loro ingegnosità nell’elaborare nuovi strumenti giuridici, non sono più in grado di affrontare e risolvere gli accennati problemi adeguatamente; e ciò non tanto per mancanza di buona volontà o di iniziativa, ma a motivo di una loro deficienza strutturale », per il dislivello incolmabile tra l’attuale organizzazione e le esigenze obiettive del bene comune universale.
I nuovi problemi a dimensioni mondiali non possono essere adeguatamente affrontati e risolti che ad opera di autorità politiche aventi ampiezza, strutture e mezzi delle stesse proporzioni e in grado di operare in modo efficiente su piano mondiale». Nell’arco di tre anni (1963-65) Giovanni XXIII con la Pacem in terris, Paolo VI col discorso del 1964 all’Onu e il Concilio con la Gaudium et spes, parlando all’unisono, hanno gettato le basi di una filosofia politica postmoderna, di cui il pensiero è per secoli rimasto privo anche nei suoi rappresentanti più illuminati come Kant, mentre la sua linea prevalente (Machiavelli, Hobbes, Rousseau, Hegel, eccetera) andava in direzione contraria. Adesso Benedetto XVI ripropone questo essenziale filo conduttore.
Circa 15 anni prima della Pacem in terris, Jacques Maritain con L’uomo e lo Stato aveva aperto il cammino, affermando la necessità di un’autorità politica mondiale che non si limitasse alla riforma dell’Onu, certo necessaria ma viziata dal fatto (semplice ma radicale) che l’Onu è un’associazione di Stati sovrani che sui punti più essenziali non rinuncia no alla loro sovranità, garantendosi ad esempio ad ogni costo il preteso diritto di dichiarare guerra.
Il lavoro, pur prezioso, dell’Onu non può arrivare alla radice del male e resta inevitabilmente precario, per il fatto che esso è un organismo creato e messo in moto dagli Stati, di cui non può che registrare le decisioni (in specie di quelli più potenti). L’ostacolo grande che impedisce l’avvio a soluzione dei grandi problemi della famiglia umana è la mancanza di organizzazione politica del mondo che, perpetuando l’anarchia e l’irresponsabilità internazionali, rende vani tanti progetti di miglioramento. In mancanza di ciò si deve certo ricorrere al multilateralismo, consapevoli però dei suoi limiti intrinseci.
Collocandosi ad un livello di penetrazione particolarmente felice che non è dato riscontrare in importanti pensatori del ’900, la dottrina sociale della Chiesa rappresenta il futuro più autentico della politica. Hans Kelsen avvertì il rischio mortale rappresentato dalla sovranità, ma non andò oltre un progetto di organizzazione solo giuridica della società mondiale, oltretutto minato dal suo drastico positivismo giuridico che esclude ogni diritto naturale.
Nelle sue ricerche sulla guerra e sulla pace Norberto Bobbio sviluppò il rilievo delle istituzioni politiche, senza però giungere all’idea di un’autorità politica mondiale, di cui diffidava poiché la pensava del tutto hobbesianamente come un superstato monocratico senza alcuna sussidiarietà.
Recentemente Jurgen Habermas ha ripreso il progetto kantiano per la pace perpetua, senza a mio avviso andar oltre la sfera pur essenziale del diritto per entrare in quella della politica. Sono le categorie stesse della politica moderna (sovranità indivisibile, potere, conflitto) e il suo paradigma, spesso centrato solo sulla forza, ad essere inadeguati, mentre la dottrina sociale della Chiesa riposa sui cardini di bene comune, autorità, giustizia, sussidiarietà, solidarietà. Anche da questo lato essa mostra la necessità di uscire dallo schema hobbesiano ed hegeliano, retaggio infelice della modernità, per un nuovo inizio.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
DIALOGHI.
Quale ruolo pubblico per le fedi nelle moderne democrazie? Un faccia a faccia a Venezia fra Marcel Gauchet e Vittorio Possenti
La religione indispensabile
Possenti: «Oltre l’etica pubblica alla democrazia serve una idea adeguata della persona: più antropologia»
Gauchet: «Le scienze oggi vogliono avere l’ultima parola, ma non possono dare risposta a tutto»
DA VENEZIA FRANCESCO DAL MAS (Avvenire, 14.10.2009)
La democrazia dubita di se stessa. Siamo di fronte ad una sua crisi involutiva o la democrazia ha un futuro di fronte ai problemi che l’angustiano e che ne rendono insufficiente una determinazione solo procedurale? L’interrogativo è stato al centro del convegno, ieri all’Università Ca’ Foscari di Venezia, su «Il futuro della democrazia », organizzato dal Dipartimento di filosofia e teoria delle scienze. Due i problemi posti a tema: la nuova presenza delle religiosi nella sfera pubblica e il pluralismo antropologico ed etico. Ne hanno parlato Vittorio Possenti, docente alla Ca’ Foscari, Marcel Gauchet, dell’Ecole des hautes études en science sociales di Parigi, e fresco autore de La religione nella democrazia (Dedalo), Mario Nicoletti dell’università di Trento, Giuseppe Goisis di Venezia, Roberto Gatti dell’ateneo di Perugia. Per l’occasione abbiamo messo a confronto Gauchet e Possenti.
«L’avvenire delle nostre società uscite dalla religione è nel dialogo con le religioni». Ne è così convinto lo storico Marcel Gauchet che aggiunge: «Più ce ne allontaneremo, meno ci potremo permettere di dimenticarle e più saremo costretti ad integrarle, nella giusta misura, nella nostra idea di umanità».
Il filosofo Vittorio Possenti raccoglie e rilancia: «Nonostante le difficoltà sollevate dalle forme più severe di secolarismo, forse siamo in una situazione prerivoluzionaria in rapporto ad un nuovo investimento di significato. Punto essenziale è comprendere la congiuntura storico- spirituale, cogliendo non solo il pur importante ritorno della religione nella sfera pubblica dopo l’epoca del suo sconfinamento privato, ma pure la speranza di incrementi di senso e di esistenza che possono derivarne nel moto verso una prospettiva personalistica».
Ma che cosa sta al cuore di quella che Possenti definisce una rivoluzione postsecolare e postantropocentrica rivolta alla democrazia ultramoderna?
«La passione per la persona e la cura per la vita comune degli uomini».
Si parla sempre più spesso di un ritorno delle religioni o di una qualche forma di desecolarizzazione? Qual è la verità?
Gauchet : »La verità è che è proprio l’approfondirsi del processo di uscita dalla religione che ricolloca le religioni in primo piano. Neutralizzando definitivamente la loro presa sull’organizzazione collettiva e rendendo manifesta l’impossibilità nella quale si trovano di dirigere l’insieme, questo processo restituisce al loro magistero spirituale un ruolo di potenziale eminenza in seno alla polis, con la differenza, fondamentale, che questa nuova funzione non ha nulla a che fare con il posto che occupavano in precedenza».
Usciti dall’epoca delle rivoluzioni totalitarie e antipersonalistiche, è in stasi o forse in crisi anche l’irre- ligione occidentale.
Possenti: «Proprio così. E nonostante recenti fiammate di ateismo scientistico. Secondo questa ’irreligione’, non solo Dio non esiste e se mai è stato non ha lasciato alcuna traccia di sé, ma, se anche vi fosse, non ci servirebbe in nulla nel cammino con cui procediamo a edificare le nostre vite individuali e sociali; sarebbe anzi inutile e superfluo, un ingombrante residuo di eteronomia. Il marxismo era un antiteismo che lottava contro Dio, mentre l’irreligione occidentale è un freddo ateismo dell’indifferenza».
Nel riflusso della lotta contro l’influenza dell’eteronomia, si ha modo dunque di scoprire che le religioni sono in un certo senso insostituibili. Perché?
Gauchet : «Perché soddisfano un bisogno specifico dello spirito umano che nessun altro tipo di discorso è in grado di rimpiazzare. Lo si evidenzia in modo particolare nell’esaurirsi delle speranze una volta investite nella scienza. Le scienze sono sovrane nel loro ambito e annullano senza colpo ferire tutte le spiegazioni precedenti. Tuttavia, ecco il punto, non riescono a fornire una risposta a tutto e a occupare integralmente la scena».
Rimane dunque obbligatoria l’adesione alle religioni?
Gauchet : «No. Ma l’adesione dispone di un ancoraggio antropologico irriducibile, tale da rendere assai improbabile, al di là della possibile riduzione della loro sfera di applicazione, una loro emarginazione. Voglio dire che se anche non si aderisce al loro credo, si è comunque obbligati a fare i conti con esse. Siamo dunque chiamati alla sfida di elaborare degli equivalenti laici per ciò che offrivano le religioni, e questo non con l’obiettivo di sostituirle, ma per fornire delle alternative destinate a convivere con esse. Stiamo parlando di una delle principali fonti di rinnovamento della nostra cultura. Nella sua dimensione tanto pratica quanto teorica, concerne i diversi ambiti della vita umana. Non chiama in causa solo la filosofia, riguarda l’insieme dei settori nei quali, dall’etica alla politica passando per la psicologia o l’estetica, si manifesta quel potere di dare forma a ciò che siamo e a ciò che ci lega ai nostri simili, cui le religioni hanno fornito la primordiale espressione storica».
La religione, dunque, non è una sovrastruttura della società.
Possenti: «No, come non lo sono l’antropologia e la morale. La società, piuttosto, va reincantata tramite il loro congiunto sforzo: d’altronde religione, antropologia ed etica mostrano profondissimi nessi e sono sorgenti fondamentali della politica ».
E della democrazia?
Possenti: «Sì, ma attenzione. Dobbiamo reincantare la democrazia con un’adeguata idea di persona forse più che con una nuova idea di etica pubblica. I temi antropologici sono oggi altrettanto decisivi di quelli etici, su cui si è puntato con enorme frequenza. L’antropologia è anima essenziale della politica, quell’anima che può rendere possibile la ricostruzione della scienza politica dopo le crisi provocate dal positivismo, comportamentismo, scientismo».
’’La scienza da sola non può elaborare principi etici’’
Benedetto XVI: ’’Scienziati spesso guidati da arroganza e facili guadagni’’
Papa Ratzinger: ’’La fede non teme le conquiste scientifiche quando sono finalizzate all’uomo. Ma c’è il rischio che la ricerca voglia riprodurre la natura’’
Città del Vaticano, 16 ott. (Adnkronos/Ign) - Troppo spesso gli scienziati non agiscono in favore del progresso dell’umanità ma sono guidati dall’arroganza di sostituirsi al Creatore e dalla voglia di accumulare facili guadagni. E’ quanto ha detto questa mattina Benedetto XVI (nella foto) nel discorso rivolto ai partecipanti al Congresso internazionale sull’Enciclica Fides et Ratio di Giovanni Paolo II - a dieci anni dalla sua promulgazione - promosso dalla Pontificia Università lateranense.
La fede, ha detto Papa Ratzinger, ’’non teme il progresso della scienza e gli sviluppi a cui conducono le sue conquiste quando queste sono finalizzate all’uomo, al suo benessere e al progresso di tutta l’umanità’’.
’’Avviene, tuttavia - ha aggiunto il Pontefice - che non sempre gli scienziati indirizzino le loro ricerche verso questi scopi. Il facile guadagno o, peggio ancora, l’arroganza di sostituirsi al Creatore svolgono, a volte, un ruolo determinante’’. ’’E’ questa - ha rimarcato il Papa - una forma di hybris della ragione, che può assumere caratteristiche pericolose per la stessa umanità’’.
Per Benedetto XVI; ’’la scienza non è in grado di elaborare principi etici; essa può solo accoglierli in sé e riconoscerli come necessari per debellare le sue eventuali patologie’’.
’’La filosofia e la teologia diventano, in questo contesto - ha aggiunto il Pontefice - degli aiuti indispensabili con cui occorre confrontarsi per evitare che la scienza proceda da sola in un sentiero tortuoso, colmo di imprevisti e non privo di rischi’’.
’’Ciò non significa affatto - ha detto ancora Ratzinger - limitare la ricerca scientifica o impedire alla tecnica di produrre strumenti di sviluppo; consiste, piuttosto, nel mantenere vigile il senso di responsabilità che la ragione e la fede possiedono nei confronti della scienza, perché permanga nel solco del suo servizio all’uomo’’.
Il Papa ha quindi rilevato il rischio che l’attuale deriva della ricerca scientifica abbia come obiettivo quello di voler riprodurre la natura. ’’Non possiamo nasconderci - ha detto Benedetto XVI in riferimento agli sviluppi della ricerca scientifica contemporanea - che si è verificato uno slittamento da un pensiero prevalentemente speculativo a uno maggiormente sperimentale’’.
’’La ricerca si è volta soprattutto all’osservazione della natura nel tentativo di scoprirne i segreti. Il desiderio di conoscere la natura si è poi trasformato nella volonta’ di riprodurla’’, ha notato il Pontefice con riferimento a tematiche relative alla clonazione.
’’Questo cambiamento - ha aggiunto ancora Ratzinger - non è stato indolore: l’evolversi dei concetti ha intaccato il rapporto tra la fides e la ratio con la conseguenza di portare l’una e l’altra a seguire strade diverse’’.
Dunque la conquista scientifica e tecnologica ’’in qualche modo ha emarginato la ragione che ricercava la verità ultima delle cose per fare spazio a una ragione paga di scoprire la verità contingente delle leggi della natura’’.