La politica del coccodrillo e dello struzzo ...

EMERGENZA CULTURALE. Sugli abusi sessuali dei preti e sul silenzio assordante del Vaticano, dopo il caso dell’Istituto salesiano Valsalice, il pm Pietro Forno denuncia ancora una volta il ritardo culturale dell’Italia e ricorda il grido di quel grande papa che è stato Giovanni Paolo II: “Vergognatevi”.

domenica 12 agosto 2007.
 
[...] la nostra autorità ecclesiastica, a differenza di quanto accaduto all’estero (Francia, Usa, Canada), non ha ancora preso posizione di fronte ai mali sociali. Tanto meno rispetto all’emergente fenomeno della pedofilia nella Chiesa. Ne parlai a proposito di un documento dell’associazione delle comunità cattoliche (l’Uneba) sulle responsabilità degli operatori. Dopo le condanne di taluni, quali autori di violenze sui minori loro affidati, si è posta una maggior attenzione sull’obbligo della denuncia all’autorità giudiziaria. Resto dell’idea che in Italia vi sia tuttora ritardo culturale rispetto a Francia, Stati Uniti, Canada» [...]

INTERVISTA

"Dopo Wojtyla la Chiesa tace sugli scandali"

Il pm Pietro Forno

di ALBERTO GAINO *

TORINO. - Dottor Piero Forno, lei è il responsabile del pool «fasce deboli» che segue anche questo caso di violenza: il mix di ricatti e sesso con sacerdoti l’ha fatto schizzare in vetta alla cronaca.

«La stragrande maggioranza dei preti è gente per bene. Le dico di più: nell’antichità l’abuso dei minori non era considerato un abuso. Furono i cristiani a sollevare la questione morale: la Didaké, 80 anni dopo Cristo, ne è una testimonianza forte».

Il suo messaggio è chiaro: comportamenti di singoli. Lei si era già occupato di casi come questo?

«Ricordo quello di un parroco dell’hinterland milanese: denunciò come suoi estorsori alcuni ragazzi sbandati. I quali, per la parte in cui spiegarono i motivi del loro ricatto, ci fornirono la possibilità di un riscontro bancario: gli 80 milioni di lire che il sacerdote aveva versato loro. I ragazzi furono condannati, e pure il prete».

Negli Stati Uniti lo scandalo dei preti pedofili ha avuto echi e strascichi enormi. Le pare che in Italia le autorità religiose abbiano avuto reazioni adeguate?

«No. C’è stata la denuncia di quel grande papa che è stato Giovanni Paolo II: “Vergognatevi”. Altro? Credo, per quest’aspetto, di aver contribuito a rompere il ghiaccio. Dobbiamo risalire al 2001, a un mio intervento su “Minori e Giustizia”. Scrissi che la nostra autorità ecclesiastica, a differenza di quanto accaduto all’estero (Francia, Usa, Canada), non ha ancora preso posizione di fronte ai mali sociali. Tanto meno rispetto all’emergente fenomeno della pedofilia nella Chiesa. Ne parlai a proposito di un documento dell’associazione delle comunità cattoliche (l’Uneba) sulle responsabilità degli operatori. Dopo le condanne di taluni, quali autori di violenze sui minori loro affidati, si è posta una maggior attenzione sull’obbligo della denuncia all’autorità giudiziaria. Resto dell’idea che in Italia vi sia tuttora ritardo culturale rispetto a Francia, Stati Uniti, Canada».

Lei parla anche del Canada.

«Tenga presente che dalla Chiesa canadese è stata fatta un’indagine da cui è emerso che il 5 per cento dei suoi preti era un pedofilo. Io, certo non so. Si tratta di un numero spaventoso».

Parlando in generale, in Italia vi sono più denunce di violenze ai minori.

«C’è una maggior sensibilità. Ed è molto importante. Voglio citarle il “paradosso” di Tocqueville: quando un male diminuisce, ciò che resta appare insopportabile. Valeva per le guerre, può calzare anche per queste realtà».

Può parlarci dei ragazzi di vita?

«Il fenomeno è cambiato con l’arrivo dei giovani romeni. A Milano me ne sono occupato a lungo: ragazzini sotto i 14 anni mandati a prostituirsi di notte, e di giorno sfruttati da una rete inquietante di adulti anche come borseggiatori. Scoprimmo una scala gerarchica alla cui base c’era il nonnismo: ciascun piccolo aveva come referente un sedicenne o giù di lì. Il quale a sua volta rispondeva a un adulto. Siamo arrivati a processarne parecchi e a ottenerne la condanna, per riduzione in schiavitù di minori».

Era un fenomeno organizzato, e i capi?

«I capi giravano da un paese all’altro. Non furono presi. Stiamo parlando di un’organizzazione che spostava di continuo anche le proprie vittime. Associava la condizione di clandestinità dei minori sfruttati alla loro mobilità. I nostri investigatori, con l’aiuto di bravissimi operatori, ne agganciarono alcuni».

Come vi riuscirono?

«Il ragazzino fermato con un cliente veniva portato in comunità. Faceva la doccia, ringraziava e scappava. Con alcuni funzionò chieder loro: “Che ti serve scappare di continuo?”».

E adesso?

«Uno si domanda: che cosa sarà di queste creature? Rapinate dell’infanzia, dei giochi, della spensieratezza dell’età. Bambini, o poco più, che hanno conosciuto con tutti gli adulti, a cominciare dai clienti, solo un rapporto di sfruttamento dei loro corpi. E’ chiaro che poi uno è portato ad atteggiamenti di rivalsa, leciti e no. Il che non vuol dire giustificarli».

* La Stampa, 9/8/2007 (7:49)


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