MATTUTINO
GIOIA IN GOLA
di G. Ravasi *
La bambina che va sotto gli alberi / non ha che il peso della treccia / un fil di canto in gola. / Canta sola / e salta per la strada: ché non sa / che mai bene più grande non avrà / di quel po’ d’oro vivo per le spalle, / di quella gioia in gola.
Leggete con calma questi versi durante la quiete del sabato estivo. Provate a immaginare la scena: sotto l’ombra degli alberi una bambina canta e balla lievemente, mentre sulle sue spalle ondeggia la treccia d’oro dei suoi capelli biondi. È un’immagine di bellezza, di dolcezza, di innocenza, capace di purificare il nostro sguardo sporcato da tante figure truci, oscene, cupe che ci imbandisce costantemente il televisore. A "dipingere" poeticamente questa scena è un nostro finissimo poeta, il ligure Camillo Sbarbaro (1888-1967). È curioso ricordare che egli era un erborista di fama internazionale, grande esperto in licheni, e quindi proteso a esaltare il mistero e l’armonia della natura, anche nei suoi segni minimi.
Io, però, vorrei sottolineare di quei versi solo la finale: in essa si dichiara quale sia la vera felicità. Basta soltanto possedere e godere un po’ di bellezza semplice e naturale come lo è la capigliatura bionda di quella piccina e soprattutto avere «un fil di canto» e di «gioia in gola». Noi, invece, cerchiamo la felicità nell’eccesso, nella moltiplicazione del godimento e del possesso, mentre essa è celata come una perla in una modesta custodia, ossia nella semplicità e nella purezza di cuore. Aveva ragione un importante autore francese, François-René de Chateaubriand, quando affermava che «la vera felicità costa poco; se è cara, non è di buona qualità». Ritroviamo anche noi la limpidità, la lievità interiore, la luminosità serena e gusteremo la vera gioia.
Gianfranco Ravasi
Mattutino
a cura di G. Ravasi
Avvenire, 30 Giugno 2007
Sul tema, nel sito, si cfr.:
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LA LUSSURIA
di G. Ravasi *
La lussuria è come l’avarizia: aumenta la propria sete con l’acquisizione del tesoro agognato.
Ho ormai finito e consegnato all’editore il libro che ho voluto dedicare ai vizi, dopo essermi in passato consacrato a parlare delle virtù. Quasi inconsciamente ho compiuto anch’io un eccesso: il volume sui peccati sarà lungo il triplo di quello sulle virtù morali. Sì, il vizio ama e vive di eccesso e questa sfrenatezza paradossalmente non cancella ma stimola la fame. Basterebbe sfogliare anche solo un freddo manuale di psicopatia sessuale per rimanere sconcertati di fronte a uno spettro così inesauribile di perversioni. Ha, perciò, ragione il celebre barone di Montesquieu (1689-1755), sì, quello dello Spirito delle leggi, quando instaura questo parallelo tra impudicizia e avarizia. Il piacere non si sazia mai e continua a crescere quanto più lo soddisfi, in una sorta di famelicità animalesca.
Eppure non è del tutto vera questa pur indubitabile considerazione. La moltiplicazione degli atti sessuali, l’esasperazione del nudo in televisione, la volgarità galoppante nel linguaggio e nel comportamento non solo spesso creano noia ma fanno cadere il desiderio fino a quasi estinguerlo, creando fenomeni di saturazione o di impotenza. Alla fine, a furia di trasgredire, non rimane che il vuoto ed è per questo che torna di moda persino la castità (naturalmente non con tutti i valori simbolici e interiori che la tradizione autentica cristiana le assegna). Bisogna, allora, ritornare a insegnare, a comprendere e a vivere la genuina sessualità che, nella persona umana, non può essere sperimentata in pienezza se non s’intreccia con la tenerezza, il sentimento, la passione e soprattutto l’amore.
Gianfranco Ravasi
MATTUTINO
a cura di G. Ravasi
* Avvenire, 14 Luglio 2007
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Teologia.
La Chiesa superstite, profezia sul domani
Il biblista Walter Vogels indaga la questione del “resto” come unità residuale che sembra indicare il declino, ma in realtà può annunciare una rinascita
di Roberto Righetto (Avvenire, venerdì 19 febbraio 2021)
L’esilio babilonese: James Tissot, “ La deportazione dei prigionieri” - WikiCommons
Resto. Oggi viene da pensare al popolo dell’Artsakh, violentemente aggredito da turchi e azeri e costretto a rifugiarsi in Armenia, abbandonando case e campi, oltre che chiese e monasteri testimonianze di una civiltà millenaria.
Nelle culture precristiane, il concetto di ’resto’ fu applicato a quel che rimaneva di una popolazione dopo una guerra o un disastro naturale e, come noto, la Bibbia abbonda di citazioni relative al popolo di Israele. In particolare, dopo la serie di crudeli invasioni e deportazioni da parte di Assiri e Babilonesi. Nell’Antichità infatti, al termine di un conflitto, i vincitori si abbandonavano alla distruzione quasi totale degli avversari, a cominciare dai loro leader, ma anche delle fonti di vita, dei villaggi e delle vigne.
Un’esperienza verificatasi più volte, dai Sumeri agli Ittiti, dagli Assiri agli Egizi. Eppure, nonostante questa sistematica opera di annientamento dei vinti, qualche sopravvissuto rimaneva sempre. E in alcune circostanze, dopo anni o decenni la vita poteva riprendere. È il caso appunto di Israele, che riuscì a risorgere dopo periodi di cattività a Babilonia. «Racimolate, racimolate come una vigna il resto d’Israele», scrive Geremia dopo l’invasione babilonese che portò, nel 586 a.C., alla distruzione di Gerusalemme.
In realtà, il primo a parlare di ’resto’ era stato Amos, considerato anche il primo profeta-scrittore. Molto severo verso gli israeliti che avevano abbandonato il Signore, egli preannuncia la distruzione del regno del Nord da parte degli Assiri, che si verificherà nel 721 a.C., ma esprime pure la speranza che «forse il Signore, Dio degli eserciti, avrà pietà del resto di Giuseppe ».
La nozione di ’resto’ si affaccia la prima volta dunque, come accennato, in un contesto di guerra. È noto che gli Assiri erano particolarmente feroci, puntavano ad schiacciare completamente i popoli conquistati e, nei loro rapporti ufficiali, i re rimarcavano come ’il resto’ fosse stato catturato, ucciso o deportato, in modo che i vinti non potessero ribellarsi in futuro. Però, v’era sempre un ’resto’ che era riuscito a fuggire nel deserto.
Gli Assiri dovettero accontentarsi di prendere la Samaria ma non giunsero sino a Gerusalemme, cosa che si verificò invece anni dopo con Nabucodonor, prima nel 597 e poi nel 586, quando il tempio venne distrutto dalla foga dei Babilonesi, e infine in un’ultima deportazione voluta da Nabuzaradan, nel 582. In queste circostanze, vari profeti, da Isaia a Sofonia e Geremia, lamentarono la sorte del resto d’Israele. Dice Isaia: «Da Gerusalemme uscirà un resto, dal monte di Sion un residuo». E Geremia auspica che il suo popolo si lasci sottomettere dai Babilonesi per sopravvivere.
Così Ezechiele, che vede una speranza e un futuro possibile per il popolo di Dio anche nell’esilio. Sarà Ciro, re di Persia, nel 538 a.C., a ridare la possibilità al resto d’Israele di tornare nella sua patria. Così finì il periodo di castigo e purificazione. Nella Bibbia il riferimento al resto è legato anche a circostanze diverse, come il diluvio di Noè o l’incendio di Sodoma (probabilmente conseguenza di un terremoto), ma tutti questi disastri sono dovuti al peccato d’Israele, cui Dio dà però sempre la possibilità di risollevarsi.
È a partire dall’esame accurato di questo tema biblico che attraversa tutte le Scritture che il biblista e teologo Walter Vogels, docente emerito di Antico Testamento all’Università Saint-Paul di Ottawa, nel suo libro Il piccolo resto nella Bibbia (Queriniana, pagine 144, euro 16,00) finisce per applicarlo al declino attuale della Chiesa: «E se la manciata di fedeli pronti a mantenere viva la fede in Cristo svolgesse oggi la stessa missione dei superstiti dell’Antico Testamento».
È sotto gli occhi di tutti il calo enorme non solo nella frequenza alle cerimonie religiose, ancor più evidente in questo periodo di pandemia, tanto che risulta ben difficile parlare ancora di ’Europa cristiana’. Anche secondo le indagini recenti, meno della metà delle persone che vivono nel Vecchio Continente si dice credente o religiosa e i cristiani si collocano ormai fra il 20 e il 30 per cento.
Diversa la situazione nel resto del mondo, in particolare in America, Asia e Africa, dove semmai il cristianesimo è messo in pericolo non dall’abbandono dovuto dalla secolarizzazione ma dalla persecuzione. Vogels enumera il Medio Oriente, che ha visto i seguaci dell’Isis assassinare centinaia di cristiani, o la Nigeria, il Pakistan e l’India, ove molti subiscono angherie, se non conversioni forzate all’islam o uccisioni, solo perché cristiani.«Non è sorprendente - commenta l’autore - che papa Francesco parli della nostra epoca come quella dei martiri. In Occidente, una cultura umana e cristiana è del pari in via di estinzione, e chi si preoccupa?».
Le persone che si collocano dentro la Chiesa hanno tre diverse reazioni. Ci sono i profeti di sventura, che rimpiangono i bei tempi andati e mettono sotto accusa tutta la cultura moderna. Poi ci sono quelli che guardano alla differente e più positiva situazione della Chiesa nel resto del mondo e perciò non si preoccupano più di tanto.
Infine vi sono coloro che vedono in questa situazione di crisi un’opportunità, quella di tornare alle origini, «un’umile, piccola Chiesa, lievito nell’impasto, granello di senape, luce per il mondo». Si apre insomma la possibilità di ritrovare la natura vera ed essenziale della Chiesa, che si deve purificare abbandonando ogni compromissione col potere.
Qui il tema del ’resto’ non appare affatto ingiustificato. Come ha detto Gesù: «il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?», una domanda che non ha una risposta scontata e che deve far riflettere, perché la perdita di fede in Europa potrebbe non aver raggiunto il culmine.
Anche il popolo d’Israele subì una terza deportazione e «rimase il resto di un resto di un resto»: accadrà così anche ai cristiani d’Occidente? Per Vogels non si tratta di consolarsi sostenendo che ora va a Messa solo chi ci crede davvero e che la Chiesa è più pura. Se in questo c’è del vero, non ci si può illudere che il futuro delle comunità cristiane sia costituito solo da pochi eletti, che magari si ritengono perfetti. Anche coloro che in passato frequentavano in massa la parrocchia e che magari non erano acculturati, vivevano però una fede sincera e profonda. E trasmettevano la fede ai loro figli.
Il volume esamina anche le possibili cause del declino, fra cui le stesse colpe della Chiesa dovute per esempio agli scandali e agli abusi, ma pone pure alcuni segni di speranza. «Quanto durerà questo esodo?», si chiede Vogels, e aggiunge: «Dopo tutte le apologie degli ultimi papi per le colpe della Chiesa, la chiamata costante e fervida di papa Francesco alla misericordia di Dio sarebbe una profezia che questo tempo della misericordia, che darà il cambio a quello dell’ira, è vicino?».
Si tratta di ripartire proprio dal ’resto’, da coloro che rimangono legati alla Chiesa e continuano ad impegnarsi e a trasmettere la fede alle nuove generazioni. Sarà capace questo ’resto’, grazie a un processo di riforma autentica e una nuova evangelizzazione, di recuperare almeno una parte di coloro che se ne sono andati? «La rimpatriata non sarà facile. Ma non abbiano il diritto di lasciare i feriti della vita da soli, in esilio, lontani o esclusi dalla comunità». E ancora: «Spalanchiamo le porte della misericordia, della comprensione e della tolleranza. Ci deve essere posto per molti nella casa del Padre, per coloro che sono chiamati liberali o conservatori, tradizionalisti o rivoluzionari, di sinistra o di destra. Ci sarà del vecchio e del nuovo. Nessuna comunità è perfetta ».
Ma si può ricostruire rispettando due condizioni: che sia salvaguardato il patto fra la Chiesa e i diritti dell’uomo, nel rifiuto di ogni violenza, e che si testimoni il primato dell’agape, segno vero della presenza dei cristiani nel mondo.
TEOLOGIA ED ESTETICA. I volti della Grazia... *
La preghiera.
Il nuovo «Padre Nostro» arriva in Avvento
La preghiera con la formula: "Non abbandonarci alla tentazione" anziché "Non indurci in tentazione" sarà recitata durante le Messe a partire dal 29 novembre
di Riccardo Maccioni (Avvenire, martedì 28 gennaio 2020)
Per il “nuovo” Padre Nostro ci vuole ancora un po’ di pazienza. La traduzione rinnovata della più popolare delle preghiere, insegnata direttamente da Gesù, sarà inserita nel Messale che verrà consegnato subito dopo Pasqua, quest’anno il 12 aprile.
Come noto il Padre Nostro nella nuova versione prevede che l’invocazione “Non indurci in tentazione” lasci al posto alla più corretta formulazione “Non abbandonarci alla tentazione”. Versione, ha aggiunto monsignor Forte, che verrà recitata durante le Messe nella chiese italiane a partire dal 29 novembre, prima Domenica d’Avvento.
Leggi anche
Intervista.Arriva il «nuovo» Padre Nostro, ma per la Messa ci vorrà un po’
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Sul tema, nel sito, si cfr.:
DIO: AMORE ("CHARITAS") O MAMMONA ("CARITAS")?!
LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM".
GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE.
Federico La Sala
Udienza.
Papa Francesco: non c’è evangelizzazione senza Spirito Santo, senza gioia
L’invito del Papa: l’evangelizzazione è lasciarti spingere dallo Spirito Santo, che sia lui a spingerti all’annuncio: con la testimonianza, anche con il martirio, e con la Parola *
"Lo Spirito Santo è il protagonista dell’evangelizzazione". Lo ha ribadito papa Francesco nell’udienza generale, dedicata anche oggi alla catechesi sul libro degli Atti degli Apostoli.
"’Padre, io vado a evangelizzare’ - ha esemplificato il Pontefice a braccio -. ’Sì, cosa fai?’, ’Ah, io annuncio il Vangelo e dico chi è Gesù, cerco di convincere la gente che Gesù è Dio’. ’Caro, questa non è evangelizzazione, se non c’è lo Spirito Santo non c’è evangelizzazione. Questo può essere proselitismo, può essere pubblicità, ma l’evangelizzazione è lasciarti spingere dallo Spirito Santo, che sia lui a spingerti all’annuncio: all’annuncio con la testimonianza, anche con il martirio, e con la Parola".
"Ho detto che protagonista dell’evangelizzazione è lo Spirito Santo - ha quindi ribadito, sempre a braccio -. E qual è il segno che tu, cristiano o cristiana, sei un evangelizzatore? La gioia, anche nel martirio". "Che lo Spirito - ha concluso Francesco - faccia di tutti noi battezzati uomini e donne che annunciano il Vangelo per attirare gli altri non a sé ma a Cristo, che sanno fare spazio all’azione di Dio, che sanno rendere gli altri liberi e responsabili dinanzi al Signore".
"Non basta leggere la Scrittura, occorre comprenderne il senso, trovare il ’succo’ andando oltre la ’scorza’, attingere lo Spirito che anima la lettera".
In uno dei passaggi della catechesi odierna "Come disse Papa Benedetto all’inizio del Sinodo sulla Parola di Dio - ha continuato -, ’l’esegesi, la vera lettura della Sacra Scrittura, non è solamente un fenomeno letterario... È il movimento della mia esistenza’. Entrare nella Parola di Dio è essere disposti a uscire dai propri limiti per incontrare Dio e conformarsi a Cristo che è la Parola vivente del Padre", ha aggiunto Francesco.
* Avvenire, mercoledì 2 ottobre 2019
Sul tema, nel sito, si cfr.:
SINODO DEI VESCOVI 2008. L’ANNO DELLA PAROLA DI DIO: AMORE ("CHARITAS") O MAMMONA ("CARITAS")?! Fatto sta che la prima enciclica di Papa Benedetto XVI (Deus caritas est, 2006) è per Mammona.
LA GRAZIA DEL DIO DI GESU’ E’ "BENE COMUNE" DELL’INTERA UMANITA’, MA IL VATICANO LA GESTISCE COME SE FOSSE UNA SUA PROPRIETA’.
GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro Abramo"
Federico La Sala
05 Agosto 2007 *
MATTUTINO
L’ESILIO
Una tradizione ebraica racconta di alcuni giovani che chiedono a un anziano rabbino quando sia cominciato l’esilio di Israele. «L’esilio di Israele - risponde il rabbino - cominciò il giorno in cui Israele non ha più sofferto del fatto di essere in esilio». Il vero esilio non comincia quando si lascia la patria, ma quando non c’è più nel cuore la struggente nostalgia della patria. Quest’oggi ho lasciato voce a un mio amico, caro e stimato da molti, il vescovo e teologo Bruno Forte. Queste sue parole colgono una profonda verità, la cui semplicità la rende spesso disattesa e ignorata. L’uomo di oggi, soprattutto, ha perso il gusto delle grandi attese, degli interrogativi radicali, degli ampi orizzonti. La perdita di questa nostalgia dell’infinito da cui proviene e a cui è destinato lo rende meschino, curvo sulle piccole cose, sulle modeste mete, sulle recriminazioni davanti a ogni minimo ostacolo, pronto a dare le dimissioni di fronte a una vita che può essere una scalata.
Aveva ragione lo scrittore moralista francese secentesco La Rochefoucauld quando dichiarava: «Chi si dedica troppo alle piccole cose diventa incapace delle grandi». In molti c’è ormai l’abitudine all’esilio, stanno bene nella banalità di un’esistenza priva di fremiti e di tensione, non attendono più un "oltre", cioè una meta più alta, una destinazione che non sia solo una qualsiasi stazione di passaggio. In loro non crea più emozione la ricerca interiore e umana, il loro sguardo non si leva più - come aggiunge mons. Forte - verso «il cielo del desiderio e della speranza». Ritroviamo, allora, in noi il lievito evangelico della fiducia, la nostalgia per un orizzonte più vasto e più luminoso.
Gianfranco Ravasi
«Preferisco essere superato che seguito». Purtroppo sono rari i maestri che accettano di essere superati. Ancor più rari quelli che ti sollecitano al sorpasso e ne sono lieti. La maggior parte di essi, quando hanno il fiato grosso, pretenderebbero che tutti si accampassero stabilmente nelle posizioni acquisite e agitassero i ventagli delle ripetizioni. Cita in apertura un noto autore spirituale, Gustave Thibon, e poi vi intesse una vivace riflessione - com’è nel suo stile - don Alessandro Pronzato a cui oggi mi sono affidato attraverso il suo libro Vogliamo vedere Gesù... (ed. Gribaudi). Le sue sono parole che colpiscono nel segno. L’educatore, come dice la stessa etimologia latina del termine, dovrebbe essere colui che «conduce fuori» dall’altro tutta la sua ricchezza, facendola sbocciare e fruttificare in pienezza. Esemplare è la dichiarazione del Battista nei confronti di Gesù: «Bisogna che lui cresca e che io diminuisca» (Giovanni 3, 30).
E invece spesso il maestro non intuisce la grandezza del discepolo perché egli è pieno di sé e vuole essere sempre e solo magister, vocabolo che deriva dall’avverbio latino magis, che significa «più». Vuole, allora, prevalere, avere sempre il primato; pretende che l’alunno lo segua o al massimo stia al suo livello «agitando il ventaglio» dell’adulazione o della ripetizione. E invece dovrebbe avere il coraggio - maestro, educatore, sacerdote, genitore, guida sociale - di spingere il giovane ad andare oltre nel cammino della conoscenza e della vita per sviluppare quei doni che ognuno ha a suo modo e in misura diversa. È vero che Gesù ha detto che «il discepolo non è da più del maestro» (Matteo 10, 24) ma lo ha affermato di sé a proposito delle persecuzioni!
Gianfranco Ravasi
Sono lontani dalla testa, conoscono il suolo, le spine, i serpenti, l’aspro e lo sdrucciolo, sono tutto l’equilibrio... Reggono l’intero peso, sanno correre sugli scogli..., sanno saltare e non è colpa loro se più in alto dello scheletro non ci sono ali... Gli antichi li amavano e per prima cura di ospitalità li lavavano al viandante. Sanno pregare dondolandosi davanti a un muro o ripiegati dietro un inginocchiatoio... Non sanno accusare e non impugnano armi e sono stati crocifissi.
Sono solo alcune battute di un suggestivo «elogio dei piedi» che lo scrittore Erri De Luca ha lasciato in un testo minore che raccoglie un suo intervento. C’era già Isaia che cantava: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi» (52, 7). Gesù nell’ultima cena aveva lavato i piedi ai suoi amici e san Paolo ricordava che la testa non può dire ai piedi: «Non ho bisogno di voi!» (1 Corinzi 12, 21). Sono, dunque, necessarie queste estremità spesso bistrattate ("ragionare coi piedi", si ironizza) e che invece sono un capolavoro di "tecnica", dato che riescono a sostenere un peso così notevole com’è quello del nostro corpo su una superficie così ridotta, per di più spesso in una situazione di movimento.
Con l’homo erectus l’umanità ha cominciato a dominare l’orizzonte, a perlustrarlo, a comprenderlo e ha iniziato a levare il capo verso il cielo, cioè l’infinito. E questo è stato reso possibile dai piedi, realtà modesta che rivela la sua preziosità proprio quando si paralizza e ci blocca nella fissità. La lezione da trarre è facile. Noi non badiamo alle mille persone o cose quotidiane che ci permettono di vivere, pur rimanendo nascoste e quasi inavvertite. Un proverbio arabo, ad esempio, dice: «Che cosa c’è di più ovvio dell’aria? Eppure guai a non respirarla!».
Gianfranco Ravasi
AL SERVIZIO DEL MONDO
In attivo i conti del Vaticano
A finanziare le attività degli uffici della Curia, che non producono ricavi, provvedono Conferenze episcopali, diocesi e istituti religiosi: le loro offerte sono aumentate nel 2006 passando da 73,9 a 86 milioni di euro
Da Roma Salvatore Mazza (Avvenire, 07.07.2007)
Si è chiuso in attivo, per il terzo anno consecutivo, il bilancio consolidato della Santa Sede. Entrate per 227 milioni 815 mila euro, e uscite per 225 milioni e 409 mila euro, con un saldo positivo di poco oltre i 2,4 milioni di euro. Una «buona notizia», dunque, come ha sottolineato ieri mattina il cardinale Sergio Sebastiani, presidente della Prefettura degli Affari economici, nella conferenza stampa convocata per presentare e "spiegare" i numeri del bilancio consolidato 2006, anticipati qualche giorno fa.
Un «risultato positivo», l’attivo conseguito, pur se «rappresenta il valore meno elevato» dopo quelli registrati nel 2005 (+9,7 milioni) e nel 2004 (+3,1 milioni). Nel bilancio sono conteggiati i costi «di tutte le Amministrazioni pontificie, oltre alle 118 Sedi di rappresentanza pontificia sparse in tutto il mondo e le nove Sedi presso gli organismi internazionali». Nel corso dell’incontro, introdotto dal direttore della Sala Stampa padre Federico Lombardi, e presenti monsignor Franco Croci, segretario della Prefettura degli Affari economici, e il ragioniere generale Paolo Trombetta, sono state passate in esame le diverse voci iscritte a bilancio. A iniziare ovviamente dalle attività istituzionali, ossia quelle svolte dai Dicasteri e gli Uffici della Curia Romana, ovvero dagli «organismi che assistono da vicino il Santo Padre nella missione di pastore universale a servizio delle Chiese locali, come anche a beneficio dell’umanità, come operatori di pace», e che «non producono ricavi - ha sottolineato Sebastiani - e per questo sono soggetti alla prescrizione canonica 1271 che invita i vescovi a venire incontro liberamente alle attività della Santa Sede».
Il canone richiamato è quello che invita Conferenze episcopali, diocesi, istituti religiosi, fedeli ed Enti ecclesiastici vari a farsi carico, a seconda delle proprie possibilità, dell’esercizio apostolico della Santa Sede. Ebbene, nel 2006 le offerte raccolte attraverso questa disposizione sono aume ntate, rispetto all’anno precedente, da 73,9 milioni di euro a 86 milioni nel 2006.
Quanto ai costi, sempre per l’attività istituzionale, l’aumento è stato di quasi 5 milioni, da 121,3 a 126,2 milioni di euro, variazione dovuta sia ai costi aggiuntivi per il personale, sia all’aumento delle spese generali e amministrative (da 13,4 a 15,3 milioni), e di quelle per il mantenimento di rappresentanze e nunziature (da 19,6 a 20,6 milioni). Riguardo all’attività finanziaria, l’incremento dei contributi ha permesso di assorbire il calo molto pronunciato dell’avanzo netto che è stato nel 2006 di 13,7 milioni contro 43,3 milioni nel 2005. Ciò, ha spiegato Sebastiani, in base al «principio della prudenza» che guida questo settore, per cui gran parte degli investimenti sono obbligazioni statali anziché azioni, che sono a maggior rischio.
Sempre nel 2006, il settore immobiliare ha registrato un netto di 32,3 milioni (22,4 nel 2005). Negativo, al contrario, il saldo delle "istituzioni collegate" - Radio Vaticana, Tipografia vaticana, Osservatore Romano, Centro televisivo vaticano e Libreria Editrice vaticana: il disavanzo è di 12,8 milioni di euro, in massima parte dovuti alla Radio (che però non ha entrate) e all’Osservatore.
Obolo di San Pietro: anno record
Grazie a donazioni eccezionali superata quota 100 milioni di euro
Da Roma Salvatore Mazza (Avvenire, 07.07.2007)
Ha largamente superato i 100 milioni di euro, nel 2006, il gettito dell’Obolo di San Pietro. Un risultato dovute alle donazioni «eccezionali» che si sono registrate nel corso dell’anno passato. E che mentre va - ovviamente - visto nel suo valore, non deve far immagine che si tratti di un risultato facilmente ripetibile.
Non poteva passare sotto silenzio il dato anticipato qualche giorno fa da una nota della Segreteria di Stato, che informava che la raccolto dell’Obolo aveva raggiunto nel 2006 la cifra di ben 101 milioni e 900 mila dollari. E infatti ieri, nel corso della conferenza stampa per la presentazione del bilancio consolidato 2006 della Santa Sede, è stato chiesto dai giornalisti un commento su questa straordinaria performance.
«È un fatto - ha risposto il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi - che quest’anno ci sono state delle offerte eccezionali. Questo però è bene dirlo, perché non ci si aspetti che ogni anno ci siano. Puoi avere un anno in cui uno ti fa una grandissima offerta e questo fa salire molto l’entrata, ma se l’anno dopo quest’offerta eccezionale non c’è, tu non puoi contarci e non te ne puoi neanche stupire».
A comporre la somma che va sotto la voce dell’Obolo concorrono tutte le offerte liberali in arrivo dalle Chiese locali, dagli Istituti religiosi, dalle Fondazioni e dai singoli fedeli. La cifra non rientra dunque nel bilancio della Santa Sede, ma viene iscritta in quello del Governatorato del Città del Vaticano.
In cima alla lista dei Paesi donatori sono ancora gli Stati Uniti, e ciò «nonostante» il peso «degli scandali» che di recente hanno investito quella Chiesa locale con la vicenda dei preti pedofili, come ha rilevato il cardinale Sergio Sebastiani. Germania e Italia seguono al secondo e terzo posto.
TRE ANNI DI PROVA PER LA MESSA IN LATINO
CITTA’ DEL VATICANO - Vinte le perplessità di molti episcopati nazionali e singoli vescovi, dato ascolto ai molti dubbi e obiezioni del suo gregge, dopo mille indiscrezioni e annunci smentiti, il Papa pubblicherà il motu proprio che liberalizza la messa in latino secondo il rito tridentino. Dal Concilio per celebrarla era necessario uno speciale "indulto" del vescovo, che Benedetto XVI abolisce, venendo incontro in questo modo alle aspirazioni dei cattolici più tradizionalisti. L’abbandono della messa in latino è stato, infatti, uno dei motivi di allontanamento dalla Chiesa cattolica di mons. Marcel Lefebvre e dei suoi seguaci, dichiarati scismatici da Roma. Il motu proprio "Summorum Pontificum cura", secondo indiscrezioni, dovrebbe entrare in vigore il 14 settembre per dare ai vescovi il tempo di organizzarsi per rispondere alle eventuali richieste dei fedeli di celebrazioni in latino, e sembra che, dopo tre anni, sarà chiesto ai vescovi di far giungere a Roma un resoconto sull’esperienza, indicando eventuali difficoltà. La pubblicazione dell’atteso documento è stata annunciata per domani da una nota della sala stampa vaticana.
La messa in latino secondo il rito tridentino, disposto dal papa san Pio V a seguito del Concilio di Trento (1542-1563), è rimasta in uso - con i successivi aggiornamenti - sino al 1970, anno in cui Paolo VI, dopo alcuni anni di sperimentazione, codificò nel nuovo messale la messa (in latino e nelle lingue moderne) secondo le indicazioni scaturite dalla costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium. L’ultimo messale romano aggiornato del rito tridentino fu pubblicato per disposizione di Giovanni XXIII nel 1962, lo stesso anno che si aprì il Concilio Vaticano II. Con il motu proprio - che in questi mesi è stato ampiamente modificato e rimaneggiato, per la reazione fortemente negativa di alcuni episcopati, in particolare quello francese -, papa Ratzinger pubblicherà anche una lettera esplicativa in cui presumibilmente cercherà di chiarire le perplessità di quanti temono che queste disposizioni significhino un ritorno al passato e una negazione del Concilio. E per favorire la ricezione positiva di questo testo la scorsa settimana ha convocato una riunione di cardinali e vescovi di tutto il mondo per illustrarne contenuti e obiettivi. Alcuni episcopati temono infatti di essere scavalcati, non essendo più necessario l’"indulto" del vescovo per celebrare secondo il rito tridentino. Intanto la agenzia vaticana Fides ha ammonito che il motu proprio "andrebbe accolto in maniera molto favorevole da tutti poiché si tratta non di un provvedimento restrittivo, ma di un vero "allargamento delle possibilità, secondo l’ormai nota linea ratzingeriana dell"allargamento della ragioné".
"A nessuno - rimarca Fides - sarà impedito alcunché, al limite verrà impedito di impedire la celebrazione secondo il rito antico". "Non si comprende - aggiunge l’agenzia - perché molti, talora forieri delle più libertarie teorie in molti campi, oggi temano una maggiore libertà nella scelta del rito in cui celebrare la divina Eucaristia. Impressione, fondata, è che siano essi i medesimi forieri di quella perniciosa creatività liturgica che troppo spesso stravolge i riti impedendo ad essi di parlare realmente al Popolo di Dio. Chi ha paura della libertà? Speriamo nessuno". "Il Motu proprio - è la conclusione - è un atto della responsabilità personale del Papa che allarga la libertà nella Chiesa".
* Ansa» 2007-07-06 20:10
IL VATICANO STA “SEMPLICEMENTE” ABUSANDO DELLA "PAROLA"!!! UE!!! Basta!!!
Una nota
di Federico La Sala *
UE!!! Papa Ratzinger parla ai vescovi europei, in occasione dei cinquanta anni del Trattato di Roma, e dice parole durissime: "Ue rischia congedo dalla Storia. Il rifiuto dei valori cristiani è apostasia".
La mia opinione - da cittadino italiano ed eu-ropeo - è semplicemente questa: IL VATICANO STA ABUSANDO DELLA "PAROLA" E NON SA PIU’ PARLAR CHIARO - SOPRATTUTTO CON SE STESSO!!! "CATTOLICESIMO ROMANO" NON VUOL DIRE "CRISTIANESIMO" e il dio della "Deus caritas" non è il "Deus CHARITAS" dei nostri Padri e delle nostre Madri!!! Come tutti abbiamo letto il discorso di Ratisbona, che tutti (cattolici e non) leggano il discorso di Tubinga del Presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano: “Una voce sola per l’Europa o siamo condannati al declino”(“la Repubblica” del 23.03.2007), riflettiamo di più, e dialoghiamo davvero!!!
Le radici dell’Eu-ropa (come della nostra Costituzione) sono radici eu-angeliche e cristiane, non sono né “cattoliche”, né romane-costantiniane, né “ratziste”!!! Cerchiamo di riprender - finalmente e insieme il cammino (come voleva Dante) da buoni-cristiani, da eu-ropei, e ... da “terroni” qual siamo - abitanti di “questo Granel di sabbia, il qual Terra ha nome” (Leopardi, “La Ginestra”, 1836). Uè!!! Basta!!!
Federico La Sala
* Il Dialogo, Sabato, 24 marzo 2007
RILETTURE
Canto del peccato e del pentimento, ma pure del perdono. Così la preghiera più nota del Salterio ha lasciato le sue tracce nell’arte
La gran gioia del Miserere
Da Agostino a Dante, dal Savonarola a Giovanna d’Arco e Dostoevskij, il salmo 51 ha plasmato la cultura occidentale
di Gianfranco Ravasi (Avvenire, 08.08.2007)
«Grazie, mio Dio, per averci dato questa divina preghiera del Miserere... Diciamo spesso questo Salmo, facciamone spesso la nostra preghiera! Esso racchiude il compendio di ogni nostra preghiera: adorazione, amore, offerta, ringraziamento, pentimento, domanda. Esso parte dalla considerazione di noi stessi e della vista dei nostri peccati e sale sino alla contemplazione di Dio passando attraverso il prossimo e pregando per la conversione di tutti gli uomini». Queste parole del mistico francese Charles de Foucauld esprimono l’adesione appassionata che la comunità cristiana ha riservato a questa supplica, certamente una delle più celebri di tutto il Salterio.
Un’adesione che è già implicita in alcune pagine del Vangelo di Luca sulla misericordia divina. Pensiamo solo alla confessione del figlio prodigo nel peccato davanti al padre prodigo d’amore nella parabola di Luca: «Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te, non sono più degno d’essere chiamato tuo figlio». Pensiamo alla supplica del pubblicano «giustificato»: «O Dio, abbi pietà di me peccatore!». Un salmo che è stato presente in filigrana nella grande riflessione di san Paolo sul peccato. Anzi, il versetto 6 viene esplicitamente citato dall’Apostolo nella Lettera ai Romani (3, 4). Il Miserere, divenuto sinonimo di peccato-pentimento-perdono, penetra nella tradizione dei Padri della Chiesa ove riceve un appassionato commento omiletico da parte di sant’Anselmo, diventa l’ossatura ideale delle Confessioni di sant’Agostino, viene amato e meditato da san Gregorio Magno. Il Miserere è il segnale di battaglia del Savonarola, critico severo del peccato e dell’ingiustizia, ma anche delicatissimo annunziatore del perdono divino. Il Miserere è stato anche una specie di motto per i soldati di Giovanna d’Arco: sulla scia della serenità dell’eroina, il soldato Dunois farà incidere nella cappella della santa di Beaugency le semplici parole Cor mundum crea in me, Deus, considerate le radici della forza e della fiducia di quella donna. Nella Divina Commedia è in assoluto il salmo più evocato, soprattutto nel suo avvio latino Miserere. Anzi, nel Purgatorio sono i negligenti nel pentirsi che cantano «Miserere a verso a verso».
Amato visceralmente da Lutero, che gli dedicherà pagine altissime indimenticabili, il salmo 51 (50 nella numerazione dell’antica versione greca e latina) è stato il silenzioso compagno di lacrime di tanti peccatori pentiti, è stata la segreta biografia di anime sensibili, è stato lo specchio della coscienza vivissima e lacerata di uomini come Dostoevskij, è stato l’atto d’accusa contro ogni forma di fariseismo ipocrita. Infatti, come scriveva il filosofo Max Scheler in Pentimento e rinascita, «più la colpa s’aggrava, più essa si cela agli occhi del peccatore; ma più cresce l’umiltà, più si diventa sensibili alla minima mancanza». Il salmo 51 è entrato anche nell’arte: emblematiche sono appunto le incisioni dedicate al Miserere da Georges Rouault.
Tra le innumerevoli letture musicali del salmo, divenuto d’altra parte un testo costante nelle liturgie penitenziali e funebri cristiane, citiamo solo il poco noto Miserere di Donizetti, composto dal musicista a 23 anni nel 1820. Rouault, introducendo la figura di Cristo in questo canto di pentimento e di perdono, evoca però soprattutto l’anima cristiana che ha pervaso il Miserere nell’uso tradizionale secolare di questa preghiera all’interno della liturgia ecclesiale e della pietà popolare. Nel salmo il protagonista ostile non è un nemico esterno ma il peccato personale, visto come un incubo e come la persecuzione più terribile per l’uomo. Il senso del peccato è vivissimo, come intensa è la coscienza che la riconciliazione è dono di Dio e non creazione delle mani dell’uomo. Tutti i moduli e gli schemi della supplica per la liberazione da un nemico sono allora trasformati e divengono quelli del «sacramento» della riconciliazione. Lo squallore della prova si muta in confessione del peccato, l’implorazione di aiuto diventa domanda di perdono, il desiderio di eliminazione dell’avversario si cambia in supplica di cancellazione del peccato e di ritorno alla grazia, la promessa di sacrificio al tempio si trasforma in impegno di testimonianza missionaria. Solo con questo forte senso del peccato si comprende la grande gioia che traspare dall’uomo perdonato. Ma anche è solo con un vivo senso della misericordia di Dio che si può comprendere il male del peccato.
Scriveva san Bonaventura nella Legenda Maior che «san Francesco in ognuna delle creature, come in altrettante derivazioni, intravedeva con straordinaria pietà il brillare unico della misericordia divina». La via perfetta e decisiva per conoscere il peccato è, allora, l’amore di Dio che - nella visione cristiana, esaltata appunto da Rouault - ci salva nel Figlio fatto nostro fratello in senso pieno, varcando anche le frontiere «invalicabili» da parte di un Dio, cioè quelle del male, del dolore e della morte: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore» (2 Corinzi 5, 21).
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la mostra
Ad Ancona le 58 tavole di Rouault *
Si inaugura questa sera alla Mole Vanvitelliana di Ancona «Georges Rouault. Miserere», mostra delle 58 tavole originali che il grande artista francese pubblicò 59 anni or sono, La rassegna, aperta fino al 18 novembre, è curata da Flavio Arensi e Giancarlo Galeazzi; quest’ultimo nel catalogo (da cui traiamo stralci dell’analisi teologica del salmo 51 firmata da Gianfranco Ravasi) racconta il rapporto tra Rouault - scomparso 50 anni fa - e l’amico filosofo Jacques Maritain. La mostra è inserita negli eventi previsti per l’«Agorà dei Giovani» in occasione della visita del Papa a Loreto; oggi alle 21 spettacolo di Giovanni Lindo Ferretti (parole e canto) con Ezio Bonicelli al violino.
* Avvenire, 08.08.2007