ABATE (Abbé)
di VOLTAIRE *
«Dove andate, Signor abate?» ecc. (1). Vi rendete conto che abate significa padre? Se voi lo diverrete, renderete un servizio allo Stato; e senza dubbio compirete l’opera più alta che possa compiere un uomo: nascerà da voi un essere che pensa. C’è qualcosa di divino in quest’azione.
Ma se siete il signor abate solo per il fatto che avete la chierica e portate un collarino e una mantellina, e ve ne state lì alla posta di qualche beneficio, il nome d’abate non lo meritate.
Gli antichi monaci chiamarono così il superiore che essi eleggevano. L’abate era il loro padre spirituale. Quanti significati diversi assumono, col passare del tempo, gli stessi nomi! L’abate spirituale era un povero a capo di tanti altri poveri; ma i poveri padri spirituali giunsero poi ad avere duecento, quattrocentomila franchi di rendita; e ci sono, oggi, in Germania, dei poveri padri spirituali che posseggono un reggimento di guardie.
Un povero che ha fatto giuramento d’essere povero e che, di conseguenza, diventa sovrano! Già lo si è detto; e va ridetto mille volte: questo è intollerabile. Le leggi protestano contro questo abuso, la religione se ne indigna, e i veri poveri, nudi e affamati, assordano il cielo di lamenti davanti alla porta del signor abate.
Li sento rispondere, i signori abati d’Italia, di Germania, delle Fiandre, della Borgogna: «E perché non dovremmo accumulare anche noi ricchezze ed onori? Perché non dovremmo essere principi? I vescovi lo sono. Una volta erano poveri come noi, e poi si sono arricchiti, si sono innalzati; uno di loro è ora più in alto dei re; lasciate che li imitiamo per quel che ci è possibile.»
Avete ragione, signori; invadete la terra; essa appartiene ai forti e ai furbi che se ne impossessano. Avete approfittato dei tempi dell’ignoranza, della superstizione, della demenza per spogliarci delle nostre eredità e calpestarci; per ingrassarvi con le sostanze degli sventurati: tremate, chissà che non arrivi il giorno della ragione.
* VOLTAIRE, Dizionario filosofico
(1) Accenno a una canzoncina dell’epoca in cui un abate cammina furtivamente al buio, correndo il rischio di rompersi il collo, "pou voir les demoiselles" (Voltaire, Dizionario filosofico, Bur, Milano 1979, p. 47).
Sul tema, nel sito, si cfr.:
SUL TEMA, NEL SITO E IN RETE, SI CFR.:
MUSSOLINI, IDA DALSER, E BENITO ALBINO MUSSOLINI: UNA TRAGEDIA ITALIANA.
MESSAGGIO EV-ANGELICO E SANTO PADRE?! ABUSO DEL TITOLO E MENZOGNA. L’ERRORE DI RATZINGER.
Via le religioni (e la cucina) da ogni governo
Fernando Savater rilegge la lezione di Voltaire sull’intolleranza
di Giulio Giorello (Corriere della Sera, La Lettura, 23.10.2016)
«Ci sono voluti sessant’anni per farci accettare quello che Newton aveva dimostrato; incominciamo appena adesso a salvare la vita dei nostri bambini col vaccino; non applichiamo che da poco tempo i giusti principi dell’agricoltura: quando cominceremo ad applicare i giusti principi dell’umanità?». Così Voltaire scriveva in una pagina del suo Trattato sulla tolleranza, pubblicato nel dicembre del 1763. Il 9 marzo dell’anno precedente a Tolosa era stato messo a morte il protestante Jean Calas, che una giuria aveva ritenuto colpevole della morte di un figlio «impiccato dal padre stesso» perché aveva espresso l’intenzione di tornare alla fede cattolica.
Voltaire si era convinto presto che quella condanna era l’ennesimo mostruoso errore giudiziario ispirato dal fanatismo manifestato dalla maggioranza cattolica della città. Nello stesso tempo aveva compreso il peso di quella che oggi chiamiamo opinione pubblica sulla vita dei singoli cittadini. Doveva scrivere nell’opera di teatro Olimpia il verso: «L’opinione fa tutto; è lei che ti ha condannato».
Poteva sembrare una resa, era invece l’inizio di una nuova battaglia. Nel giugno del 1764 aveva visto la luce il Dizionario filosofico portatile, che tutto era tranne che un dizionario nel senso usuale del termine; piuttosto un’arma filosofica contro i disastri prodotti da pregiudizi e superstizioni, disponibile per qualsiasi tipo di lettori, per il fatto che era trasportabile e facilmente consultabile, al contrario dei grandi volumi di «metafisica» destinati a una ristretta cerchia di eruditi.
Nella voce «Miracoli» del Dizionario si legge: «Un miracolo è la violazione delle leggi matematiche, divine, immutabili, eterne. Solo per questa definizione, un miracolo è una contraddizione in termini: una legge non può essere immutabile e violata»; e perché mai «per favorire gli uomini Dio dovrebbe alterare ciò che ha stabilito per tutti i tempi e per tutti i luoghi? I suoi favori sono già nelle sue stesse leggi». E nella voce «Abramo» (che apre la prima edizione) Voltaire diceva che era uno di quei personaggi «come Thot tra gli Egizi, l’antico Zoroastro in Persia, Ercole in Grecia, Orfeo in Tracia, Odino presso i popoli del Settentrione, che sono più noti per la loro fama che non per una storia ben accertata».
Bastava questo perché all’epoca l’opera di Voltaire fosse considerata un libro uscito «dal torchio di stampa di Belzebù!». E oggi? «È mercé dunque alla filosofia/ che in Europa vi son più lumi che pria,/ i mortali sono meno inumani,/ l’acciaio è spuntato, i fuochi lontani», verseggiava lo stesso Voltaire. Anche per merito suo il fanatismo sarebbe stato costretto a cessare guerre e roghi; però c’è da dubitare che sia davvero così.
Fernando Savater, uno dei maggiori intellettuali spagnoli contemporanei, nel suo Voltaire contro i fanatici (Laterza) si chiede «che cosa ci resta veramente di Voltaire? Ci resta l’esempio della sua militanza, (...) che non mirava semplicemente a modificare la nostra comprensione del mondo o la condotta individuale del saggio nel mondo, ma a modificare il mondo stesso (...); nessuno prima di lui si era accorto con tanta chiarezza della forza rigeneratrice che le idee possono esercitare sull’opaca e logora struttura della società».
Savater sottopone al lettore agili estratti dalle opere di Voltaire che illustrano la necessità di «separare ogni tipo di religione da qualunque genere di governo», in modo che «la religione non debba essere questione di stato in misura maggiore che la cucina». E i filosofi debbono «lavorare alla vigna e schiacciare l’infame». Gli infami sono i tanti «scellerati devoti» che impongono la condanna di opinioni e forme di vita diverse dalle loro. Soprattutto in questioni «spirituali». «Quanto più divina è la religione cristiana, tanto meno spetta all’uomo imporla; se Dio l’ha fatta, Dio la sosterrà senza di voi».
Per Savater sono ancora troppi i fanatici che hanno «l’hobby di uccidere». Resistere a costoro che ancora si sentono «crudeli come dèi», è importante oggi come all’epoca di Calas. E smettiamola di credere che l’immenso universo sia stato fatto da un nostro Dio solo per noi . Noi siamo piccolissimi atomi, «i cui occhi guidati dal pensiero hanno però osservato la Luna».
Il premier: "Lo giuro sui miei figli. E se lo avessi fatto mi sarei dimesso" Poi torna ad attaccare la stampa straniera: "Sottotappeto della sinistra"
Berlusconi torna sul caso Noemi
"Mai avuto rapporti piccanti"
E Franceschini insiste: "Giusta la battaglia sui valori, continueremo a farla" *
ROMA - "Io non ho mai più detto niente di niente. Ho risposto da subito alla sola domanda se avessi mai avuto rapporti ’piccanti’. E ho risposto: ’Assolutamente no’. Ci ho messo anche il carico del giuramento sui miei figli. Non ho mai più detto assolutamente niente. E invece guardate che cosa tocca leggere su certi giornali...".
Così Silvio Berlusconi, davanti alle telecamere ammesse a Palazzo Chigi alla firma di un protocollo per l’Abruzzo, commenta l’incalzare della stampa sulla vicenda Noemi. "C’è qualcuno che ha domande da farmi?" è la domanda retorica usata dal premier per introdurre la sua dichiarazione. In riferimento alle "dieci domande" a cui da giorni Repubblica gli chiede di rispondere. Poi aggiunge che se fosse accaduta una cosa del genere - rapporto intimi con una minorenne - si sarebbe dimesso "immediatamente".
Più tardi, dal palco dell’assemblea di Confesercenti, Berlusconi torna sui temi legati in qualche modo al divorzio con la moglie. Continuando ad attaccare la stampa. "Mussolini aveva il nucleo delle camice nere - dice, riferendosi a quanto scritto ieri dal Financial Times - io, secondo i giornali sottotappeto della nostra sinistra all’estero, avrei il nucleo delle veline. Grazie a dio è meglio".
Ma sulla vicenda oggi torna anche Dario Franceschini, che ieri aveva duramente attaccato il premier dicendo "Fareste educare i vostri figli da quest’uomo?". E che questa mattina dice: "La battaglia sui valori è giusta e continueremo a farla, nonostante tutti i polveroni che solleveranno per fermarci". E ancora, tornando alle sue parole di 24 ore fa: "Mi dispiace davvero se i figli del premier si sono sentiti offesi, loro non c’entrano, non ho mai parlato di loro, nè lo farei".
Poco più tardi arriva il commento di Antonio Di Pietro: "Sul giuramento del presidente del Consiglio ogni italiano può fare la sua valutazione, noi vogliamo inchiodarlo alle sue responsabilità, all’assenza di una politica economica. Mentre il gossip impazza, i poliziotti scioperano perchè non hanno mezzi e non gli pagano gli straordinari".