MONSIGNORE SI DIA UNA CALMATA
di Chiara Saraceno *
La gerarchia cattolica, come ogni autorità religiosa, ha sicuramente il diritto e persino il dovere di esprimersi sui temi che toccano la morale e il senso della vita. Ciò che dice va ascoltato con rispetto e con attenzione, anche quando non lo si condivide. Ma ci sono occasioni in cui è davvero difficile mantenere un atteggiamento di rispetto e ascolto. Le dichiarazioni di ieri di monsignor Betori, segretario della Conferenza episcopale italiana, a Gubbio sono una di queste - ormai sempre più frequenti - occasioni.
Di fatto ha individuato come i peggiori nemici della umanità - «fomentatori di guerre e terrorismo», negatori «del riconoscimento dell’altro» a vantaggio del mantenimento di «situazioni e strutture di ingiustizia sociale» - le donne che abortiscono, le persone che riflettono sul testamento biologico e sul diritto a porre fine ad una vita che ha perso tutte le caratteristiche di vita umana, le coppie eterosessuali che convivono senza sposarsi e gli omosessuali in quanto attenterebbero alla dualità sessuale. Sono loro responsabili dei mali del mondo, non i dittatori politici ed economici, non coloro che fomentano guerre etniche e religiose, non gli sfruttatori di donne e bambini, non i mercanti di uomini e neppure coloro che in nome della morale sessuale si oppongono all’utilizzo di semplici precauzioni per evitare il diffondersi dell’Aids che da solo in alcune parti del mondo fa ancora più stragi delle guerre civili.
È difficile provare rispetto ed avere attenzione per chi confonde terroristi e violenti veri e persone che, assumendosene tutta la responsabilità e talvolta la sofferenza, compiono scelte eticamente motivate, ancorché in modo difforme dalla morale cattolica. Per chi, tra l’altro, non distingue neppure, dal punto di vista della gravità rispetto al suo stesso concetto di morale, tra aborto e convivenza senza matrimonio, tra eutanasia e approvazione dei Dico e ritiene (contro le stesse più recenti acquisizioni della Chiesa) che l’omosessualità sia uno stile di vita, e non una condizione umana in cui ci si trova a nascere e vivere. Perciò teme, un po’ grottescamente, che se si riconoscessero le coppie omosessuali nessuno più farebbe coppie (e matrimoni) eterosessuali. È una visione senza sfumature e senza distinzioni, oltre che senza rispetto. Per questo è intimamente violenta oltre che intellettualmente rozza.
Non credo che così si difenda veramente il cristianesimo. Certamente non è così che si può aspirare a ottenere rispetto e attenzione per le proprie posizioni. Si incoraggia soltanto l’escalation dell’insulto reciproco, dell’abuso del linguaggio, dell’incapacità a distinguere e ad ascoltare, della caccia al diverso. Non è né pedagogia civile né, tantomeno, pedagogia religiosa. È una chiamata alle armi. È questo che la gerarchia cattolica vuole per il suo popolo e per il nostro Paese? Chi sta davvero, per riprendere le parole di Betori, coltivando «sentimenti di arroganza e di violenza»? Un po’ di autocontrollo, per favore.
* La Stampa, 17.05.2007
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Il linguaggio della laicità
di Moni Ovadia *
Le iperboli del linguaggio sono una delle più antiche ed efficaci forme retoriche utilizzate per demonizzare l`avversario, l`altro o lo straniero e farlo diventare nemico tout court. I sistemi totalitari hanno conosciuto l`espressione più estrema di tale uso del linguaggio. Sulla stampa di regime del Nazionalsocialismo, per esempio, potevano comparire titoli di questo tenore: «Ebreo rabbioso azzanna indifeso pastore tedesco». Ho scelto appositamente questo «caso» grottesco, ai limiti del ridicolo, solo per amore del paradosso, ma esso richiama un certo uso del linguaggio iperbolico che sta caratterizzando lo scontro «politico» nel nostro paese. Non ci sarebbe da preoccuparsi se questo tipo linguaggio da qualche tempo non fosse stato assunto dalla Chiesa Cattolica, una grande istituzione solitamente prudente e avvezza ad un esprimersi cauto e ponderato.
Qualche giorno fa, Monsignor Betori è arrivato addirittura a paragonare coloro che esprimono opinioni diverse da quella della Chiesa su temi «eticamente» sensibili come Dico, aborto, eutanasia, utilizzo delle cellule staminali per la ricerca scientifica e procreazione eterologa, alle orde di Federico Barbarossa che assediano le città italiane e mettono in pericolo la nostra civiltà. Questi eccessi, sintomo di una chiusura al confronto, sono il punto d’arrivo di un uso sempre più acceso e manipolato del linguaggio da parte di alcuni autorevoli esponenti delle gerarchie ecclesiastiche: i laici sono diventati laicisti, di conseguenza la laicità è diventata laicismo, coloro che non accettano verità rivelate e nella fattispecie quella del verbo cattolico sono relativisti o peggio ancora nihilisti, e da ultimo, barbari miscredenti. Le minoranze che chiedono la tutela dei propri diritti sono sprezzantemente accusate di volere imporre una dittatura della minoranza.
Prima di capire se davvero l’Italia è aggredita dalle orde di violatori della civiltà, è bene cercare di capire il significato reale delle parole laicista e relativista. Si potrebbe definire laicismo l’imposizione forzata dei principi della laicità ai religiosi, o relativismo il costringere ogni cittadino di un paese a comportarsi secondo i dettami di una concezione relativista del mondo o della vita. Sia chiaro, nessuno di coloro che esprimono idee diverse da quelle sostenute dalla Chiesa Cattolica, vuole imporre nulla a chicchessia, nessuno si sogna neppure di negare ai cattolici il diritto a comportarsi pensare e vivere da tali. Ciò che avviene è esattamente il contrario.
Alcuni esponenti delle gerarchie vaticane, per mezzo di un uso improprio e disinvolto di un linguaggio inventato ad arte, criminalizzano laici, liberi pensatori, agnostici, cristiani e cattolici democratici, appartenenti ad altre fedi e omosessuali. La ragione di tale accanimento non può che essere quella di affermare un primato di verità non negoziabile di cui quelle gerarchie si sentono depositarie uniche.
Ora, per definizione, uno stato laico è aconfessionale e in virtù di tale prerogativa esso garantisce la libertà di fede a ciascun individuo o gruppo e tutela i diritti delle minoranze, di ogni minoranza. È soprattutto per questa ragione che era giusto e doveroso sostenere la manifestazione dell’orgoglio laico. E, a fortiori, bisognava esserci per sostenere la piena uguaglianza dei cittadini omosessuali. Non bastano le vessazioni, le violenze, le irrisioni e le brutalità, le discriminazioni, gli abusi di cui sono stati oggetto nel corso dei secoli? Per quanto ancora dovranno sopportare la pelosa tolleranza degli arroganti che pretendono di confinarli nelle nuove e ipocrite secche del conformismo?
Dove è finito lo spirito del Concilio Vaticano II e del pellegrinaggio compiuto dal sommo pontefice Giovanni Paolo II per chiedere scusa delle nefandezze commesse dagli uomini della Chiesa nel suo nome? Io sono ebreo so cosa significa appartenere ad una minoranza perseguitata e lo so anche a dispetto di qualche rabbino in preda a rigidità normative inopportune.
*l`Unità, 19/05/2007
Bagnasco: "I politici non trascurino il family day" *
ROMA - Il "Family Day", avvisano i vescovi italiani, non potrà essere trascurato dai politici. "E’ la società civile che si è espressa in maniera inequivocabile e che ora attende un’interlocuzione istituzionale commisurata alla gravità dei problemi segnalati", ha detto oggi il presidente della Cei, monsignor Angelo Bagnasco, aprendo nel pomeriggio i lavori dell’Assemblea generale della Cei in Vaticano. La manifestazione di San Giovanni, ha aggiunto il presule, è "stato un fatto molto importante" "consolante per noi vescovi", e con "un’ottima riuscita". I vescovi italiani, ha aggiunto Bagnasco, non vogliono fare "da padroni", "parlare dall’alto", nè attentare alla laicità della vita pubblica. Il capo dei vescovi ha ricordato le minacce contro di lui e la Chiesa, e si è detto molto preoccupato riguardo "il rischio di una contrapposizione strumentale tra laici e cattolici". "Questa contrapposizione - ha detto oggi - in realtà non trova riscontro nel sentire della stragrande maggioranza del nostro popolo".
Quanto alle questioni sociali il presidente della Cei è stato altrettanto netto. "La nostra esperienza diretta - ha detto - registra una progressiva crescita del disagio economico sia di una larga fascia di persone sole e pensionate, sia delle famiglie che fino a ieri si sarebbero catalogate nel ceto medio". "E proporzionalmente - ha aggiunto - c’è un ulteriore schiacciamento delle famiglie che avremmo definite povere". Dalle segnalazioni ricevute, ha spiegato il presidente della Cei, "la situazione attualmente più esposta sembra essere quella della famiglia monoreddito con più figli a carico". "Spesso con difficoltà si arriva alla fine del mese. E’ da questa tipologia di famiglie che viene oggi alle nostre strutture una richiesta larga e crescente di aiuto- anche con i ’pacchi viveri’ che parevano definitivamente superati per lo più mascherata e nascosta per dignità".
* la Repubblica, 21-05-2007.
Ma chi sono i veri terroristi?
di Gianni Rossi Barilli (il manifesto, 17.05.2007)
Stando alla propaganda del Vaticano, è un terrorista chi scrive sui muri «Bagnasco vergogna» con riferimento alle note posizioni del presidente della Cei su Dico e omosessualità. Bisognerebbe perciò chiedersi come definire chi mette all’indice le unioni gay e lesbiche in quanto «nemiche della cristianità», come ha fatto proprio ieri il segretario della Cei Betori. O chi, come don Bagnasco, accosta l’approvazione dei Dico all’accettazione dell’incesto o della pedofilia. O chi, come papa Ratzinger, scaglia con ossessiva frequenza anatemi contro l’omosessualità sostenendo che si tratta di una condizione disordinata, innaturale e pericolosa per la società. O chi, come Savino Pezzotta, promuove una manifestazione oceanica per chiedere «più famiglia e meno gay» partendo dall’erroneo presupposto che i privilegi dell’una siano in contrasto con i diritti degli altri.
L’elenco potrebbe continuare più a lungo di qualsiasi rosario, sgranando le prose calderoliane contro i «culattoni», i deliri omofobici teo-dem e neo-dem, le maledizioni di rabbini e imam e via discorrendo. Ma ci fermiamo qui perché tanto le urla di guerra del post-illuminismo italiano riempiono già a sufficienza le cronache di stampa e tivù. Ciò che più interessa, in occasione della giornata mondiale di lotta all’omofobia, è valutare qualche dato di realtà.
Per esempio che la chiesa e il suo codazzo di oscurantisti per fede o per convenienza stanno al centro dell’attenzione nazionale da mesi nella loro incendiaria campagna contro gli omosessuali. E con tutto questo si protestano oppressi e imbavagliati di fronte a qualunque civile espressione di dissenso. Oppure il fatto che l’accusa di terrorismo pronunciata contro chi se la prende con i preti (anche in modo per niente civile) non ha grazie al cielo prodotto finora nessun ferito né tantomeno nessun morto nelle già esigue file del clero secolare.
La situazione è invece diametralmente opposta per quanto riguarda non solo i diritti familiari ma anche più banalmente umani delle persone gay, lesbiche e transessuali. Già l’idea che si consideri come un’opzione di «sinistra radicale» la loro possibilità di vivere tranquillamente senza doversi nascondere o dover essere puniti per ciò che sono, la dice lunga su come sta messa l’Italia. Ma questo in fondo è il meno, di fronte ai problemi molto più seri che la recrudescenza omofobica provoca nel nostro paese. L’accresciuta visibilità degli omosessuali e delle loro richieste di integrazione civile sta producendo infatti reazioni che vanno ben oltre un dibattito politico sgangherato in cui tengono banco argomenti dialettici del tutto privi di fondamento razionale.
Le cronache degli ultimi tempi parlano a questo proposito molto chiaramente. E dicono di brutali aggressioni ai danni di rappresentanti di associazioni glbt, com’è accaduto a Udine, Viareggio e Milano, colpiti in quanto omosessuali visibili. E di atti vandalici e intimidatori a ripetizione contro sedi politiche glbt in diverse città. E di gesta di cruento bullismo nelle scuole contro ragazzi percepiti come gay e mandati per questo all’ospedale, quando non hanno deciso di togliersi di mezzo da soli suicidandosi come ha fatto Matteo, lo studente torinese sedicenne la cui morte ha per qualche giorno commosso l’Italia senza tuttavia produrre risultati che facciano sperare in futuro di poter prevenire episodi del genere. Senza contare poi l’ordinaria amministrazione, che in conto all’omofobia di marginali frange della popolazione mette alcune decine di omicidi all’anno, maturati come si diceva una volta (e in qualche caso ancora oggi) nello «squallido mondo degli omosessuali». Se non si trattasse «solo» di gay, lesbiche e trans un quadro simile avrebbe già fatto scattare l’emergenza nazionale. Ci si preoccupa invece ben di più di garantire il diritto degli omofobi a rimanere tali. Dove andremo a finire di questo passo?
Il testo di mons. Betori non c’entra con le critiche
Omelia imbarazzante? No, giornalismo devastante
di Umberto Folena (Avvenire, 18.05.2007)
Come creare il mostro e darlo allegramente in pasto all’opinione pubblica. Quanto è capitato ieri al segretario della Cei, monsignor Giuseppe Betori, è degno di una lezione di giornalismo su come non si fa giornalismo eppure si fa, tanto resterai impunito. Allora. Da una parte abbiamo l’omelia tenuta da Betori nella Cattedrale di Gubbio l’altro ieri, festa del patrono sant’Ubaldo. Dall’altra le cronache e i commenti di certi giornali, molti dei quali si sono evidentemente ispirati ai "lanci" di alcune agenzie di stampa. E la sensazione è di enorme imbarazzo. Non per Betori, ma per i giornali. Difficile imbattersi in un simile cumulo di invenzioni, travisamenti e sintesi truffaldine. Prendiamo il Corriere della Sera. Titolo a pagina 12: «Il relativismo etico è il nuovo Barbarossa». Occhiello: «Bisogna ispirarsi a sant’Ubaldo che difese Gubbio dall’esercito imperiale». La Repubblica a pagina 10 conferma: «Giuseppe Betori ha riattualizzato l’assedio del Barbarossa contro la città». La Chiesa che si difende dallo Stato aggressore... Giochino goloso, peccato che Betori non nomini mai il Barbarossa, di cui il Corriere, in un eccesso di zelo, pubblica perfino ritratto e scheda. «Sant’Ubaldo - sono le vere parole di Betori - pose fine all’assedio delle città nemiche». La guerra in questione era tra Gubbio e una decine di città umbre. Quella della Chiesa contro lo Stato, di una Chiesa minacciata e assediata, è una totale invenzione. Ubaldo, ricorda Betori, difende non la Chiesa ma la città e la sua gente. Ma c’è di peggio e più sottile. Quali sono, attribuite a Betori, le nuove minacce portate alla convivenza civile da «nichilismo e relativismo»? I giornali ne citano cinque: l’eutanasia, l’aborto, l’embrione ridotto a materiale per sperimentazioni, la negazione della dualità sessuale e lo scardinamento della famiglia. Un abile taglia e cuci. L’elenco di Betori era infatti ben più lungo. Ecco che cosa i giornali hanno censurato: nichilismo e relativismo provocano «l’emarginazi one e la condanna dei più deboli e svantaggiati; coltivano sentimenti di arroganza e di violenza che fomentano le guerre e il terrorismo; delimitano gli spazi del riconoscimento dell’altro chiudendo all’accoglienza di chi è diverso per etnia, cultura e religione; negano possibilità di crescita per tutti mantenendo situazioni e strutture di ingiustizia sociale». Sembrano i temi storicamente più cari alla sinistra. Un colpo di forbice e via.
Chiara Saraceno, sulla Stampa (pagina 41, titolo: «Monsignore, si dia una calmata»), è ancora più raffinata. Scambia le cause con gli effetti facendo fare a Betori la figura dell’ottuso fissato con il sesso, gli embrioni e l’eutanasia: «Sono loro - scrive la Saraceno - responsabili dei mali del mondo, non i dittatori politici ed economici (eccetera)». L’ultimo terzo dell’omelia è dedicato alle soluzioni: al «volto di Dio che è amore» (Deus caritas est, Benedetto XVI), alla «visione alta della carità», alla «meta della santità»: silenzio totale, è ovvio, altrimenti viene contraddetta la caricatura di un Betori tutto politico e ingerente. A quel punto si telefona ai politici notoriamente disponibili, gli si legge una riga di titolo d’agenzia e gli sciagurati commentano, a cominciare (e finire) dal verde Silvestri: Betori è come il mullah Omar. Sappiamo che ormai il danno è fatto. Che è vano pretendere dagli interessati di correggersi chiedendo scusa a Betori e ai lettori. Che l’Ordine dei giornalisti ha ben altro a cui pensare. Superfluo appellarsi alla deontologia professionale, al buon senso e alle buone maniere. La Saraceno parla di un’omelia «intimamente violenta oltre che intellettualmente rozza». Perché prima di massacrare così un vescovo, un prete, una persona, non ha avuto l’accortezza, la curiosità, la prudenza di informarsi e leggere per intero l’omelia? Chi è intellettualmente rozzo? Chi deve esercitare "autocontrollo"? Ecco perché siamo imbarazzati. Peggio: disgustati.
Omofobia, spettro italiano
di Roberto Cotroneo *
Proviamo a elencare i fatti, in modo semplice. E mettiamoli uno in fila all’altro. Ieri era la giornata contro l’omofobia. La giornata contro l’omofobia, arriva dopo una manifestazione da un milione di persone denominata «Family Day», che ha fatto scendere nella piazza di San Giovanni a Roma un milione di persone a manifestare per la cosiddetta famiglia tradizionale: e contro l’idea che anche gli omosessuali possano avere gli stessi diritti che il codice civile attribuisce al matrimonio eterosessuale.
La stragrande maggioranza di queste persone ha manifestato perché credeva nella famiglia, e lo ha fatto senza polemiche e civilmente, come era nei suoi diritti. Ma c’era una parte della piazza che esibi-va striscioni, cartelli, magliette contro i Dico. E tutto questo si è trasformato in uno strumento di pressione, complici soprattutto i vescovi (non tutti, per fortuna), che ora genera un clima nel paese su cui sarebbe opportuno riflettere, perché è un clima ambiguo con qualche esito problematico. Proprio in questi giorni infatti la cronaca segnala ripetuti episodi di intolleranza nei confronti degli omosessuali.
Per citare episodi di diverso tipo e di diversa natura: il 14 maggio scorso sono stati trovati tre volantini intimidatori sulla porta dell’abitazione del dirigente dell’Arcigay di Pistoia Matteo Marliani, candidato al consiglio comunale per le prossime elezioni amministrative. Il giorno prima, un 21enne di Roma, Francesco P., uscito da un locale gay nella zona di Testaccio a Roma, è stato pestato al grido di «sporco frocio» da quattro giovani tra i 18 e i 22 anni perché aveva rivolto loro un apprezzamento («come siete carini»). L’11 maggio in una scuola media di Treviso, un dodicenne è finito all’ospedale con una contusione cerebrale e un trauma cranico a seguito di una colluttazione avuta con un compagno di scuola che da mesi lo sbeffeggiava dandogli del «gay».
Sono soltanto tre esempi, avvenuti a distanza di pochi giorni, tra i tanti che riempiono le piccole cronache dei giornali, anche locali. Ma, per quanto non si debba collegarli direttamente alle polemiche sui Dico, e alle grandi manifestazioni a favore della famiglia tradizionale, indicano certamente che nel paese si è creata una omofobia che va oltre quanto già si potesse immaginare. Ma continuiamo coi fatti.
Monsignor Angelo Amato, numero due della Congregazione per la dottrina della fede, non più di due settimane fa ha dichiarato: «Oltre all’abominevole terrorismo dei kamikaze che assomiglia a un perverso film sul male girato ogni giorno in qualche regione diversa del mondo con sceneggiature sempre nuove e crudeli, esiste anche un cosiddetto terrorismo dal volto umano che viene subdolamente propagandato dai mezzi di comunicazione sociale. In tale categoria rientrano l’aborto, l’eutanasia, ma anche quei Parlamenti che approvano leggi contrarie all’essere umano.
Tutto ciò può essere paragonato alle sette sataniche che praticano un vero e proprio culto sacrilego del male». Le leggi contrarie all’essere umano, in sostanza, sono i Dico, e il paragone con il terrorismo dei kamikaze ha qualcosa di paradossale.
Già lo scorso 26 aprile la Cei era andata all’attacco sul tema della famiglia. Monsignor Giuseppe Betori, segretario della Conferenza dei vescovi, al convegno sulle «Prospettive dei cattolici» ha detto che «la famiglia fondata sul matrimonio è l’unica garanzia per il futuro dell’Italia», e che «I media sbagliano quando considerano la Chiesa una parte politica collocandola in uno schieramento politico». Monsignor Betori, è tornato sull’argomento a Gubbio tre giorni fa. Il ddl sui Dico, le proposte per la legalizzazione dell’eutanasia e le aggressioni e minacce alla Chiesa sono i «nuovi nemici» che «tentano di espugnare le nostre città, di sovvertire il loro sereno ordinamento, di creare turbamento alla loro vita».
Proprio ieri però il quotidiano dei vescovi Avvenire, nella giornata contro l’omofobia, pubblicava un editoriale a firma di Umberto Folena, di tutt’altra natura: «Oggi sarebbe bello», scrive Folena: «poterci prendere degli impegni. La Chiesa a tenere le sue porte sempre spalancate perché tutti, etero o omo, siamo battezzati, allo stesso modo figli di Dio, e la famiglia è tale se a formarla sono un uomo e una donna; e i legami omo-affettivi sono non "più" o "meno", ma di altra natura: semplicemente diversi».
Una posizione distante, quella di Avvenire rispetto alle parole di Monsignor Betori, e che indica certamente un disagio nei confronti di posizioni radicali e intolleranti. Un disagio che lascia intuire che dentro il mondo cattolico c’è probabilmente una spaccatura tra la chiesa reale, quella quotidiana dei parroci, delle parrocchie, del lavoro pastorale, che non può non tenere conto di una modernità, e una crociata politica dei vertici, con movimento di masse e dichiarazioni al limite dell’oscurantismo.
E la parola «oscurantismo» qui non è usata a caso. Monsignor Amato, su questo, è stato assai chiaro quando ha detto che «il male non è solo azione di singoli o di gruppi ben individuabili, ma proviene da centrali oscure, da laboratori di opinioni false, da potenze anonime che martellano le nostre menti con messaggi falsi, giudicando ridicolo e retrogrado un comportamento conforme al Vangelo. Non possiamo chiudere le biblioteche del male né distruggere le sue cineteche che si riproducono come virus letali».
Guerra alle centrali oscure, o chiesa che «deve tenere le porte spalancate» come dice Avvenire? Crociata politica, o capacità di leggere il mondo che cambia tenendo ben ferme le posizioni dottrinali? Qui sta il punto, e qui ci sono due aspetti da analizzare con attenzione.
Il primo riguarda proprio le «centrali occulte» e la «tentazione di chiudere le biblioteche del male». È una chiesa che fa un passo indietro quella che parla in questo modo. Ed è la chiesa che decide di non dialogare, che sposta in un ancestrale potere del male qualunque cosa le sia estranea. E francamente è una chiesa verso cui è diventato difficile accostarsi se non attraverso una vera e propria accettazione dottrinale. Una chiesa dove non esiste il «dubium».
Il secondo aspetto sta nel voler chiarire, da parte delle gerarchie cattoliche, che la chiesa «non è un partito politico». Si tratta di una sorta di excusatio non petita, una precisazione che in questo momento dice l’opposto: perché con le posizioni assunte negli ultimi tempi, il nuovo carattere politico della Chiesa cattolica è evidente. Ma questo neo-radicalismo mette a disagio gli strati più progressisti del mondo cattolico e alimenta anche senza volerlo, in nome di una «tradizione», e di «teorie complottiste», i fantasmi di un intolleranza di cui non si sentiva veramente alcun bisogno.
* l’Unità, Pubblicato il: 18.05.07, Modificato il: 18.05.07 alle ore 9.56
Se il prete è un Assassino
di Maurizio Chierici (l’Unità, 11/02/200) *
C’È un prete assassino condannato all’ergastolo che per la Chiesa è ancora prete. La gerarchia tace e aspetta, ma cosa? Quando un sacerdote tradisce le regole che guidano la missione, la Chiesa lo isola dai fedeli: sospeso a divinis. Ancora nessuna sospensione per il sacerdote Christian Von Wermich chiuso nel carcere penale di Buenos Aires: testimoni e documenti hanno provato la sua responsabilità in 7 omicidi, 42 arresti illegali, 31 casi di tortura. Anni della dittatura militare. «Non odiate chi vi sta torturando. Volontà di Dio» erano le sue parole di conforto distribuite dal padre consacrato nelle quattro prigioni segrete attorno a Buenos Aires.
I militari lo invitavano a spiare e Von Wernich usava la confessione per far parlare quei prigionieri che non si arrendevano alla tortura. Per dire cosa, poi? Nomi di compagni di scuola scandalizzati dalla violenza dei generali P2; chiacchiere tra studenti. Von Wermich confessava con la doppia morale di un malandrino. Li sollecitava ad abbandonarsi al perdono di Dio, e se l’abbandono interessava la polizia, riferiva, e altre persone sparivano. Quattro mesi fa guardavo Von Wernich nel maxischermo che ne allargava il volto davanti tribunale di La Plata. Indifferente mentre i giudici leggevano la condanna. Appena un sorriso di scherno, come per dire «in qualche modo ne uscirò». Negli appunti ritrovo pagine che il silenzio della Chiesa obbliga a ricordare per far capire cosa non sta succedendo.
Hector Timerman, console generale dell’Argentina a New York, riferisce ciò che il padre - Jacobo Timerman, direttore di un giornale indipendente - ha raccontato e scritto a proposito del sacerdote. «Era presente ai miei interrogatori e quando la benda che fasciava gli occhi si abbassava per effetto delle scariche elettriche, vedevo Von Wermich seduto accanto al capo della polizia di Buenos Aires, Ramon Camps. Mi guardavano come si guarda un cane che sta morendo». Nei verbali del tribunale la commozione di Maria Mercedes Molina Galarza: è nata in una prigione segreta, Von Wermich l’ha battezzata promettendo a Maria Mercedes e ad altri sei ragazzi, tranquilli, vi accompagnerò al confine. La vostra pena sarà l’esilio. Von Wermich ha consegnato la bambina ai nonni: molto devoti, gli si erano rivolti per sapere qualcosa della figlia scomparsa. «Si farà viva lei, forse fra un anno, forse da un altro paese. Non posso dire di più». Con la piccola fra le braccia, il cuore dei nonni si è aperto. Hanno preparato una valigia, vestiti, qualche soldo. «Ne avrà bisogno. Gliela consegno personalmente. Mi raccomando, silenzio...». Ma il viaggio della ragazza madre (Liliana Galarza) e dei suoi compagni, è stato un viaggio breve. Julio Emilio Emmended, poliziotto condannato per sette delitti, racconta come è finito. «Padre Christian Von Wernich benedice i sovversivi ammanettati e mi raggiunge nell’automobile dove aspettavo assieme a Jorge Bergés, medico della polizia segreta. ’Adesso sono vostri’. Allora scendo con la pistola in mano e quando i sovversivi vedono la pistola cercano di disarmarmi ma hanno le mani legate. Colpisco col calcio dell’arma, li stordisco. Interviene il medico: due iniezioni per uno, sempre nel cuore. Il liquido è rosso, veleno. Sconvolto, li vedo morire ma padre Von Wermich mi rincuora. ’L’hai fatto perché la patria. Dio sa che hai agito per il bene del paese’. Avevo le mani sporche di sangue. E del sangue dei ragazzi era macchiato l’abito del padre ...».
Le voci sono tante, i documenti precisi. Crolla la dittatura e Von Wernich sparisce. Passa dal Brasile, lo ritrovano in Cile: un settimanale di Santiago lo fotografa mentre distribuisce la comunione non lontano dalla capitale. Il nome era falso, nessuno poteva sospettare. Possibile che la Chiesa cilena avesse affidato la cura di una parrocchia ad un sacerdote argentino senza voler sapere da Buenos Aires ’come mai è qui?’. Mistero che si perde nella rete dei cappellani militari.
Cinque minuti dopo la condanna, il comunicato della Commissione Episcopale argentina. Perché cinque minuti dopo e non quattro anni prima quando i delitti di Von Wermich erano da anni documentati? Martin de Elizaide, vescovo della diocesi della quale Von Wermich era sacerdote chiede che il religioso «venga assistito affinché riesca a comprendere e riparare il danno arrecato con scelte personali che non coinvolgono le istituzioni». Lascia capire che la procedura necessaria alla Chiesa per prendere una decisione sarà lunga: non ne fissa il tempo. In fondo, è solo uno dei tanti sacerdoti che hanno abbracciato gli ideali fascisti della dittatura. Le trame del piano Condor allargano le complicità ai cappellani militari delle squadre della morte: America Centrale, Brasile, Cile, Uruguay, Paraguay. Con quale abbandono si sono rivolti a Dio mentre davano una mano agli assassini?
Quattro mesi fa la sentenza e la Chiesa non ha più parlato. Bisogna dire che i rapporti diplomatici tra Vaticano e Argentina sono congelati dal braccio di ferro che divide l’ex presidente Kirchner e la nuova presidente- moglie, dalla burocrazia diplomatica di Roma. Tre anni fa Kirchner nomina ambasciatore in Vaticano un ex ministro: Alberto Juan Bautista Iridarne, signore squisito ma divorziato e risposato come quattro milioni e mezzo di argentini.
Come Berlusconi, Fini e Casini considerato dal monsignor Ruini «esempio di cattolico in politica». Il Vaticano non accetta chi ha infranto il sacramento del matrimonio e un paese borghese e devoto viene rappresentato nel grigiore della routine di un incaricato d’affari. Comunicazione non interrotta, ma evanescente proprio nel momento in cui il congresso di Buenos Aires decide la dissoluzione del vescovado castrense, pastore guida dei cappellani militari.
Il passato continua ad impaurire il presente. I cappellani in divisa hanno accompagnato il golpe obbedendo ai vescovi che appoggiavano la dittatura dei generali.Von Wernich è il primo caso risolto dal tribunale, ma i nomi sono tanti, si annunciano altri processi. L’essere divorziato e l’essersi risposato non viene messo sullo stesso piano delle colpa di chi si è servito della confessione per far sparire ragazzi senza colpa, ma la soluzione è fulminea: no e subito all’ambasciatore; vediamo cosa fare per il prete assassino. Il clero argentino è diviso. Vescovi rigidi contro il governo e vescovi alla ricerca della soluzione.
Monsignor Casaretto, segretario della commissione episcopale, genovese di nonni e presidente della Caritas che ha sfamato milioni di affamati nei mesi bui della crisi economica non smette di dialogare. Intanto, nell’istituto penale dove è rinchiuso Von Wernich sono stati trasferiti militari e poliziotti arrestati dopo che il presidente Krichner ha annullato le due leggi (Punto Final e Obbedienza Dovuta) imposte dalle forze armate per consentire «la pacificazione nazionale». Molti di loro avevano atteso il processo in prigioni soffici come grandi alberghi. Camere con Tv, aria condizionata, palestre per tenersi in forma. Una certa libertà. Adesso si sono ritrovati dove dovevano essere dal primo giorno. Von Wernich li raccoglie in angoli non frequentati con l’aria di un confessore. Celebra la messa della sera e riceve la considerazione che è abitudine verso i religiosi nelle carceri argentine. Il silenzio della Chiesa continua. Forse i vescovi credono all’intrigo al quale Von Wernich si aggrappa dichiarandosi vittima di complotti senza prove mentre le prove e i racconti dei sopravissuti gli passavano sotto gli occhi in tribunale.
A Buenos Aires e in Vaticano la gerarchia cattolica è impegnata a difendere il diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale. Questo diritto alla vita prevede la condanna di chi brucia la vita con torture e delitti? Passa il tempo e si aggrava il profilo morale di un assassino che ostenta dignità di sacerdote mentre la gerarchia medita dubbiosa sull’orrore delle colpe certificate dalla giustizia civile. La sopravvivenza sacerdotale di Von Wernich è lo sbalordimento che avvilisce non solo i credenti. E il mistero dei vescovi senza parole insinua nella fede dei cattolici il sospetto di uno scandalo istituzionale.
Solo qualche vescovo ha chiesto perdono alle vittime. Ma non basta mentre la memoria di un passato doloroso scuote ogni comunità: dal ricordo dell’Olocausto, alla Spagna impegnata a rileggere i crimini della guerra civile. Impossibile immaginare per Von Wermich la dolcezza di una esclusione senza sospensione a divinis che ha accompagnato la fine di Marcial Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo. «Ussari di una Chiesa combattente alla conquista mondo». È morto negli Stati Uniti quattro giorni fa, l’Osservatore Romano ne ha rimpicciolito la memoria. Sarà sepolto nel suo Messico dove i Legionari si mescolano alla politica del governo conservatore. Nel 1968 è stato accusato da 30 seminaristi; li aveva insidiati facendo pesare l’autorità di un generale intoccabile.
Il quotidiano messicano La Jornada ne ha ricostruito i peccati con una precisione che è valsa il premio nazionale di giornalismo. Ma Roma non se ne è accorta e il Vaticano non gli è mancato di rispetto accogliendo le raccomandazioni del nunzio apostolico in Messico, monsignor Girolamo Prigione, dell’arcivescovo Norberto Rivera e dei vescovi Onesimo Cepeda ed Emilio Berlié, estremisti della destra religiosa in America Latina.
Nel dogma di un integralismo esasperato, Marcial Maciel ha aperto a Roma l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. I Legionari controllano 150 collegi, dispongono di una serie di piccoli seminari, da Monterrey a San Paolo Brasile, attorno ai campus degli Stati Uniti, si aprono scuole nell’ex impero sovietico: 550 sacerdoti, 2500 novizi, 60 mila laici raccolti in una specie di terz’ordine, il Regno di Cristo.
Dopo aver ignorato per dieci anni le accuse largamente provate, nel 2004, il cardinale Ratzinger finalmente prende in esame il caso, e nel 2006 Marcial Marcel viene comandato a lasciare la guida dell’ordine per dedicarsi ad una vita di preghiera e penitenza. Nessun processo canonico per «l’età avanzata», solo la proibizione di dire messa e parlare in pubblico. Punizione veniale per i semplici credenti, ma terribile per il padre dei Legionari: sperava d’essere beatificato con la velocità del Balaguer fondatore Opus Dei. Vanità rinviata all’eternità e senza un santo protettore nel suo ordine si allungano le ombre. Marcial Marcel aveva 87 anni, Von Wermich 69. I fedeli argentini non hanno voglia aspettare diciotto anni per sapere se la Chiesa ha deciso di allontanarsi da un prete così.
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