di EUGENIO SCALFARI *
IL FAMILISMO è la base della società italiana, così ha scritto ieri su questo giornale Francesco Merlo e tutti concordiamo con lui. Lo è nel bene e nel male. Tutti siamo figli di mamma - si dice e si sa - e di mamma ce n’è una sola; a lei si ricorre anche nell’età adulta per ritrovare serenità, conforto, ristoro ed anche, con l’avanzare degli anni, per proteggerla e accompagnarla affinché non si senta sola in vista dell’ultimo appuntamento.
Familismo non è necessariamente sinonimo di famiglia. Il primo è un modo d’essere e di sentire, la seconda è un’istituzione convalidata da un contratto che per i cattolici realizza anche un sacramento. Spesso però quei due termini coincidono ibridandosi reciprocamente. Quando questa compenetrazione avviene la micro-istituzione familiare si chiude a riccio, esclude e non include, rischiando di diventare omertosa e di far prevalere la difesa dei propri confini sulla solidarietà civica e perfino sull’amore del prossimo.
Le società profondamente cristiane - se ancora ce ne sono - conoscono questo contrasto che ha le sue radici addirittura nella predicazione di Gesù di Nazareth. Dopo aver incitato i discepoli e il popolo che lo seguiva all’amore e alla carità, egli aggiunse: "Voi credete che io sia venuto a portare la pace ma io ho portato la spada. Io metterò il padre contro il figlio, la figlia contro la madre, il fratello contro il fratello. Chi verrà con me abbandonerà la famiglia. La mia famiglia non sono mio padre e mia madre ma siete voi che credete in me".
È un passo dei Vangeli molto controverso che ha una sola interpretazione possibile: Gesù pone se stesso come simbolo di carità e amor del prossimo e vede i legami familiari e l’egoismo di gruppo che li può intridere come una barriera da abbattere se il cristiano vuole aprirsi al comandamento dell’amore del prossimo. In questa visione la famiglia, luogo di amore, non può che essere aperta e inclusiva. Se non lo è il Maestro esorta i suoi seguaci ad abbattere il muro che la protegge e ad aprire le braccia e il cuore al Dio della misericordia, della tenerezza, del bene.
Noi laici, ma non ghibellini, vorremmo che questa fosse la visione della famiglia che ha radunato ieri, in piazza San Giovanni, una gran folla di persone per iniziativa di molte associazioni cattoliche, dei preti e dei Vescovi italiani. I promotori di quel raduno hanno sostenuto che proprio questa è stata la sua motivazione. E poiché l’istituzione familiare vive nel nostro tempo e deve sopperire ai bisogni e alle sfide quotidiane, gli obiettivi concreti della manifestazione sono stati anche quelli di premere sul governo affinché delinei una politica di sostegno economico alle famiglie per renderle più sicure del loro futuro e indurle anche per questa via a crescere e a moltiplicarsi.
Ebbene, spiace dirlo ma le cose ieri pomeriggio non sono andate così. Né era possibile - ammettetelo - che quella moltitudine non fosse strumentalizzata. Basta aver visto con quale entusiasmo sono stati accolti prima Fini e poi Berlusconi. Basta aver ascoltato le parole pronunciate da quest’ultimo un minuto prima di fare la sua comparsa e incassare l’ovazione che gli è stata tributata dalla piazza di San Giovanni.
"Io sono qui" ha detto "per testimoniare che i veri cattolici non possono stare a sinistra; non possono stare con i comunisti che hanno ridotto la Chiesa al silenzio e ancora vorrebbero ridurre la religione a un fatto privato. Io sono qui per far sì che la Chiesa possa liberamente parlare e affermare la propria verità e i propri valori che sono anche i nostri".
E così è stato servito il buon Pezzotta, organizzatore ufficiale del raduno, affannatosi per settimane a rassicurare che nessun colore politico avrebbe prevalso in quella piazza e in quella moltitudine, che cattolici e non cattolici avrebbero potuto e dovuto affratellarsi in nome della famiglia, dei suoi diritti e dei suoi doveri. Se Pezzotta - come ci ostiniamo a sperare per lui - è un uomo di buona fede, dovrebbe aver passato una pessima nottata nel constatare che i suoi sforzi sono stati ridicolizzati dalla realtà. Oppure - se si rallegrerà per quanto è accaduto - dovremo concludere che ha tentato di prendere in giro gli italiani che la pensano diversamente dalle piazzate berlusconiane.
Che Pezzotta sia un ingenuo si può anche concedere, ma sono altrettanto ingenui i vescovi della Conferenza episcopale? E il papa che anche dal Brasile ha seguito con attenta intenzione la manifestazione romana? (Apprendo ora dal telegiornale che Pezzotta con aria felice ha detto: "Il papa sarà contento di questa giornata". Tanto ingenuo dunque non è).
In realtà il Vaticano e le diocesi italiane stanno assordando da anni gli italiani con lo sventolio dei loro interessi e dei valori usati per ricoprirli. Hanno trasformato la Chiesa italiana nella più potente delle "lobby". Hanno voluto il raduno di Roma per mettere in scena una prova di forza politica e muscolare. Hanno attinto a piene mani ai fondi provenienti dall’8 per mille versato nelle loro casse dallo Stato italiano. Stanno risuscitando il clericalismo e l’anticlericalismo. Sono entrati a gamba tesa nell’agone politico a dispetto della lettera e dello spirito del Concordato.
Questo è accaduto ieri. Non vorremmo usare parole gravi ma la giornata di ieri ha indebolito la democrazia italiana. Non perché tanta gente si sia riunita per far sentire la sua adesione ai valori e agli interessi delle famiglie; ma perché quella stessa gente è stata manipolata dalle destre e dalla Chiesa in perfetta sintonia tra loro. Trono e altare, come ai vecchi tempi. Vengono in mente i farisei denunciati da Gesù come sepolcri imbiancati e viene in mente anche la biografia privata di molti capi della destra a cominciare dal suo leader massimo.
Ho già detto: non siamo ghibellini. Ma sentiamo che forze potenti ci spingono a diventarlo. Siamo contro chi volesse ridurre la Chiesa al silenzio, anche se non c’è nessuno che lo voglia. Ma siamo soprattutto contro chi sta riducendo al silenzio i laici e facendo a pezzi la laicità.
* * *
Da questo punto di vista bene hanno fatto i radicali e quanti ne hanno condiviso l’iniziativa a promuovere il raduno del "coraggio laico" a piazza Navona. La sproporzione delle forze in campo era evidente e proprio per questo è stata usata la parola coraggio. Il grosso del centrosinistra era assente. In ascolto, hanno detto i suoi leader. Ebbene, ora hanno ascoltato. Di incoraggiamenti per una politica di sostegno finanziario alle famiglie non c’era bisogno: una parte delle scarse risorse disponibili è già stata impegnata dal governo in quella direzione; altre provvidenze saranno decise nel convegno di Firenze promosso dal governo e Rosy Bindi.
Resta l’accoppiata tra la Chiesa italiana e la destra, fragorosamente espressa da mesi e culminata nella giornata di ieri. Si spera che i leader del Partito democratico abbiano ascoltato con profitto e che almeno un briciolo di coraggio laico sia penetrato nelle loro menti.
Gesù di Nazareth rovesciò i tavoli dei mercanti e li scacciò a frustate dal Tempio. Gesù di Nazareth predicava la pace ma sapeva usare la spada quando fosse necessario.
Ha detto tante cose Gesù di Nazareth. Forse i laici dovrebbero promuovere un raduno di massa intitolato al suo nome per vedere fino a che punto la Chiesa di oggi abbia ancora il diritto di usarlo e non parli invece sempre di più con lingua biforcuta. Per vedere se il ritorno al nuovo temporalismo sia un fatto positivo o negativo per il sentimento religioso. Per vedere se i papisti di oggi lottino ancora affinché gli ultimi siano i primi. Infine per capire se i cammelli riescano a passare nella cruna dell’ago o se quella cruna non sia diventata una ampia autostrada dove i cammelli transitano al galoppo con tutto il carico delle loro ricche mercanzie.
Sì, bisognerebbe proprio farlo un raduno di massa su Gesù di Nazareth. Non credo che il trono e l’altare uniti insieme siano di suo gusto, figlio dell’Uomo o figlio di Dio che lo si voglia considerare.
* la Repubblica, 13 maggio 2007
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
Regolare le unioni civili come avviene in Europa
Uguaglianza La Chiesa deve difendere il matrimonio tra un uomo e una donna. Lo Stato deve approvare norme che diano gli stessi diritti a tutti. La rissa intorno alla stepchild adoption pare un pretesto per opporsi a una inevitabile svolta legislativa
di Beppe Severgnini (Corriere della Sera, 30.01.2016)
L a Chiesa deve difendere il matrimonio tra un uomo e una donna. Lo Stato deve regolare le unioni civili, anche tra persone dello stesso sesso. I cittadini, di qualunque religione, devono rispettare la legge. I cattolici, di qualunque opinione, devono comprendere, amare e aiutare il prossimo.
Troppo semplice? O invece è inutilmente complicata la discussione cui assistiamo? Complicata e cattiva. In una questione dove l’amore è - dovrebbe essere - centrale, sembra un’assurdità. Un buon modo di procedere? Rispettare le ragioni degli altri; e provare a mettersi nei loro panni.
E’ così difficile, ad esempio, capire il punto di vista di chi ritiene il matrimonio, per definizione, l’unione di un uomo e di una donna? Negli Usa, come sappiamo, la questione è stata trasportata sul terreno dei diritti civili: negare a due uomini o a due donne la possibilità di sposarsi tra loro è come rifiutare ai neri di salire sull’autobus frequentato dai bianchi. La logica, pericolosa conseguenza: considerare alla stregua d’un razzista chi ritene il matrimonio soltanto un’unione tra uomo e donna.
E’ tanto complicato, d’altro canto, ammettere che le unioni civili vanno regolamentate? E’ avvenuto in tutta Europa, con l’eccezione di alcuni Paesi dell’Est. Perché noi no? I vescovi italiani hanno spiegato, ieri: «L’equiparazione in corso tra matrimonio e unioni civili - con l’introduzione di un’alternativa alla famiglia - è stata affrontata all’interno della più ampia preoccupazione per la mutazione culturale che attraversa l’Occidente». Un punto di vista rispettabile. Ma la conclusione non può essere «Lasciamo nel limbo ogni altra forma di unione». Sarebbe poco caritatevole. E poco rispettoso: le leggi dello Stato le fa lo Stato, non la Chiesa.
L’umore nel movimento dell’imminente Family day non pare conciliante. Nelle intenzioni, una dimostrazione d’amore per la famiglia; nei fatti, una manifestazione di ostilità verso tutte le nuove coppie. Coppie che tutti conosciamo e che oggi non godono delle garanzie minime: diritti di visita, permessi di lavoro per motivi di famiglia, diritti di successione. Le nuove unioni civili - gridano gli avversari del ddl Cirinnà - s’ispirano all’istituto del matrimonio! E a cosa dovrebbero ispirarsi, di grazia? Alle comunità hippy, alle società in accomandita semplice, alle associazioni di pesca sportiva?
Al di là dei variopinti trascorsi coniugali dei paladini politici del Family day - «Amano così tanto la famiglia che ne vogliono più d’una», è stato scritto - non si capisce di dove venga l’asprezza che condisce i loro discorsi. Le apparizioni televisive diventano crociate, le opinioni diverse sono trattate come provocazioni. Il saggista Mauro della Porta Raffo, non richiesto, ha distribuito ai contatti della rubrica telefonica questo messaggio: «Giorno verrà, e presto, in cui verrà legiferato in merito alle unione civili tra uomini e animali!». Non un modo di rasserenare gli animi, diciamolo.
Il dibattito in Senato s’annuncia tempestoso. Ieri, durante una prima discussione sulle pregiudiziali, si sono ascoltate opinioni strabilianti (riportate da Andrea Fabozzi su il Manifesto ). Sen. Giovanardi. «Mentre il matrimonio è nullo se non è consumato, non si riesce a capire bene chi vada a stabilire che tipo di rapporto c’è tra coloro che stipulano le unioni civili». Senatore Malan: «La presenza non solo della madre ma anche del padre permette che la nostra specie abbia una possibilità di sviluppo maggiore, con un cervello più grande degli altri animali rispetto alla nostra statura». Questo per impedire a due persone che si vogliono bene d’ottenere un riconoscimento giuridico? Suvvia.
La rissa intorno alla stepchild adoption - il solito nome inglese per rendere incomprensibile ai più un concetto difficile per molti - pare un pretesto per opporsi a un inevitabile aggiornamento legislativo. L’Italia - lo sappiamo tutti - ha già deciso. Alcuni degli argomenti che sentiremo nelle piazze del Family day ricordano quelli che circolavano quarantadue anni fa, alla vigilia del referendum sul divorzio: «Se si apre uno spiraglio, poi passerà di tutto!». La risposta dovrebbe essere la stessa: nessuno è obbligato a divorziare, nessuno è costretto a convivere. Ma se qualcuno vuole farlo, perché dovremmo impedirglielo?
L’otto per mille, le scuole, gli ospedali, gli insegnanti di religione e i grandi eventi
Ogni anno, dallo Stato, arrivano alle strutture ecclesiastiche circa 4 miliardi di euro
I conti della Chiesa ecco quanto ci costa
di CURZIO MALTESE *
"Quando sono arrivato alla Cei, nel 1986, si trovavano a malapena i soldi per pagare gli stipendi di quattro impiegati". Camillo Ruini non esagera. A metà anni Ottanta le finanze vaticane sono una scatola vuota e nera. Un anno dopo l’arrivo di Ruini alla Cei, soltanto il passaporto vaticano salva il presidente dello Ior, monsignor Paul Marcinkus, dall’arresto per il crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. La crisi economica è la ragione per cui Giovanni Paolo II chiama a Roma il giovane vescovo di Reggio Emilia, allora noto alle cronache solo per aver celebrato il matrimonio di Flavia Franzoni e Romano Prodi, ma dotato di talento manageriale. Poche scelte si riveleranno più azzeccate. Nel "ventennio Ruini", segretario dall’86 e presidente dal ’91, la Cei si è trasformata in una potenza economica, quindi mediatica e politica. In parallelo, il presidente dei vescovi ha assunto un ruolo centrale nel dibattito pubblico italiano e all’interno del Vaticano, come mai era avvenuto con i predecessori, fino a diventare il grande elettore di Benedetto XVI. Le ragioni dell’ascesa di Ruini sono legate all’intelligenza, alla ferrea volontà e alle straordinarie qualità di organizzatore del personaggio. Ma un’altra chiave per leggerne la parabola si chiama "otto per mille". Un fiume di soldi che comincia a fluire nelle casse della Cei dalla primavera del 1990, quando entra a regime il prelievo diretto sull’Irpef, e sfocia ormai nel mare di un miliardo di euro all’anno. Ruini ne è il dominus incontrastato. Tolte le spese automatiche come gli stipendi dei preti, è il presidente della conferenza episcopale, attraverso pochi fidati collaboratori, ad avere l’ultima parola su ogni singola spesa, dalla riparazione di una canonica alla costruzione di una missione in Africa agli investimenti immobiliari e finanziari.
Dall’otto per mille, la voce più nota, parte l’inchiesta di Repubblica sul costo della chiesa cattolica per gli italiani. Il calcolo non è semplice, oltre che poco di moda. Assai meno di moda delle furenti diatribe sul costo della politica. Il "prezzo della casta" è ormai calcolato in quattro miliardi di euro all’anno. "Una mezza finanziaria" per "far mangiare il ceto politico". "L’equivalente di un Ponte sullo Stretto o di un Mose all’anno".
Alla cifra dello scandalo, sbattuta in copertina da Il Mondo e altri giornali, sulla scia di La Casta di Rizzo e Stella e Il costo della democrazia di Salvi e Villone, si arriva sommando gli stipendi di 150 mila eletti dal popolo, dai parlamentari europei all’ultimo consigliere di comunità montane, più i compensi dei quasi trecentomila consulenti, le spese per il funzionamento dei ministeri, le pensioni dei politici, i rimborsi elettorali, i finanziamenti ai giornali di partito, le auto blu e altri privilegi, compresi buvette e barbiere di Montecitorio.
Per la par condicio bisognerebbe adottare al "costo della Chiesa" la stessa larghezza di vedute. Ma si arriverebbe a cifre faraoniche quanto approssimative, del genere strombazzato nei libelli e in certi siti anticlericali.
Con più prudenza e realismo si può stabilire che la Chiesa cattolica costa in ogni caso ai contribuenti italiani almeno quanto il ceto politico. Oltre quattro miliardi di euro all’anno, tra finanziamenti diretti dello Stato e degli enti locali e mancato gettito fiscale. La prima voce comprende il miliardo di euro dell’otto per mille, i 650 milioni per gli stipendi dei 22 mila insegnanti dell’ora di religione ("Un vecchio relitto concordatario che sarebbe da abolire", nell’opinione dello scrittore cattolico Vittorio Messori), altri 700 milioni versati da Stato ed enti locali per le convenzioni su scuola e sanità. Poi c’è la voce variabile dei finanziamenti ai Grandi Eventi, dal Giubileo (3500 miliardi di lire) all’ultimo raduno di Loreto (2,5 milioni di euro), per una media annua, nell’ultimo decennio, di 250 milioni. A questi due miliardi 600 milioni di contributi diretti alla Chiesa occorre aggiungere il cumulo di vantaggi fiscali concessi al Vaticano, oggi al centro di un’inchiesta dell’Unione Europea per "aiuti di Stato". L’elenco è immenso, nazionale e locale. Sempre con prudenza si può valutare in una forbice fra 400 ai 700 milioni il mancato incasso per l’Ici (stime "non di mercato" dell’associazione dei Comuni), in 500 milioni le esenzioni da Irap, Ires e altre imposte, in altri 600 milioni l’elusione fiscale legalizzata del mondo del turismo cattolico, che gestisce ogni anno da e per l’Italia un flusso di quaranta milioni di visitatori e pellegrini. Il totale supera i quattro miliardi all’anno, dunque una mezza finanziaria, un Ponte sullo Stretto o un Mose all’anno, più qualche decina di milioni.
La Chiesa cattolica, non eletta dal popolo e non sottoposta a vincoli democratici, costa agli italiani come il sistema politico. Soltanto agli italiani, almeno in queste dimensioni. Non ai francesi, agli spagnoli, ai tedeschi, agli americani, che pure pagano come noi il "costo della democrazia", magari con migliori risultati.
Si può obiettare che gli italiani sono più contenti di dare i soldi ai preti che non ai politici, infatti se ne lamentano assai meno. In parte perché forse non lo sanno. Il meccanismo dell’otto per mille sull’Irpef, studiato a metà anni Ottanta da un fiscalista all’epoca "di sinistra" come Giulio Tremonti, consulente del governo Craxi, assegna alla Chiesa cattolica anche le donazioni non espresse, su base percentuale. Il 60 per cento dei contribuenti lascia in bianco la voce "otto per mille" ma grazie al 35 per cento che indica "Chiesa cattolica" fra le scelte ammesse (le altre sono Stato, Valdesi, Avventisti, Assemblee di Dio, Ebrei e Luterani), la Cei si accaparra quasi il 90 per cento del totale. Una mostruosità giuridica la definì già nell’84 sul Sole 24 Ore lo storico Piero Bellini.
Ma pur considerando il meccanismo "facilitante" dell’otto per mille, rimane diffusa la convinzione che i soldi alla Chiesa siano ben destinati, con un ampio "ritorno sociale". Una mezza finanziaria, d’accordo, ma utile a ripagare il prezioso lavoro svolto dai sacerdoti sul territorio, la fatica quotidiana delle parrocchie nel tappare le falle sempre più evidenti del welfare, senza contare l’impegno nel Terzo Mondo. Tutti argomenti veri. Ma "quanto" veri?
Fare i conti in tasca al Vaticano è impresa disperata. Ma per capire dove finiscono i soldi degli italiani sarà pur lecito citare come fonte insospettabile la stessa Cei e il suo bilancio annuo sull’otto per mille. Su cinque euro versati dai contribuenti, la conferenza dei vescovi dichiara di spenderne uno per interventi di carità in Italia e all’estero (rispettivamente 12 e 8 per cento del totale). Gli altri quattro euro servono all’autofinanziamento. Prelevato il 35 per cento del totale per pagare gli stipendi ai circa 39 mila sacerdoti italiani, rimane ogni anno mezzo miliardo di euro che il vertice Cei distribuisce all’interno della Chiesa a suo insindacabile parere e senza alcun serio controllo, sotto voci generiche come "esigenze di culto", "spese di catechesi", attività finanziarie e immobiliari. Senza contare l’altro paradosso: se al "voto" dell’otto per mille fosse applicato il quorum della metà, la Chiesa non vedrebbe mai un euro.
Nella cultura cattolica, in misura ben maggiore che nelle timidissime culture liberali e di sinistra, è in corso da anni un coraggioso, doloroso e censuratissimo dibattito sul "come" le gerarchie vaticane usano il danaro dell’otto per mille "per troncare e sopire il dissenso nella Chiesa". Una delle testimonianze migliori è il pamphlet "Chiesa padrona" di Roberto Beretta, scrittore e giornalista dell’Avvenire, il quotidiano dei vescovi. Al capitolo "L’altra faccia dell’otto per mille", Beretta osserva: "Chi gestisce i danari dell’otto per mille ha conquistato un enorme potere, che pure ha importantissimi risvolti ecclesiali e teologici". Continua: "Quale vescovo per esempio - sapendo che poi dovrà ricorrere alla Cei per i soldi necessari a sistemare un seminario o a riparare la cattedrale - alzerà mai la mano in assemblea generale per contestare le posizioni della presidenza?". "E infatti - conclude l’autore - i soli che in Italia si permettono di parlare schiettamente sono alcuni dei vescovi emeriti, ovvero quelli ormai in pensione, che non hanno più niente da perdere...".
A scorrere i resoconti dei convegni culturali e le pagine di "Chiesa padrona", rifiutato in blocco dall’editoria cattolica e non pervenuto nelle librerie religiose, si capisce che la critica al "dirigismo" e all’uso "ideologico" dell’otto per mille non è affatto nell’universo dei credenti. Non mancano naturalmente i "vescovi in pensione", da Carlo Maria Martini, ormai esiliato volontario a Gerusalemme, a Giuseppe Casale, ex arcivescovo di Foggia, che descrive così il nuovo corso: "I vescovi non parlano più, aspettano l’input dai vertici... Quando fanno le nomine vescovili consultano tutti, laici, preti, monsignori, e poi fanno quello che vogliono loro, cioè chiunque salvo il nome che è stato indicato". Il già citato Vittorio Messori ha lamentato più volte "il dirigismo", "il centralismo" e "lo strapotere raggiunto dalla burocrazia nella Chiesa". Alfredo Carlo Moro, giurista e fratello di Aldo, in uno degli ultimi interventi pubblici ha lanciato una sofferta accusa: "Assistiamo ormai a una carenza gravissima di discussione nella Chiesa, a un impressionante e clamoroso silenzio; delle riunioni della Cei si sa solo ciò che dichiara in principio il presidente; i teologi parlano solo quando sono perfettamente in linea, altrimenti tacciono".
La Chiesa di vent’anni fa, quella in cui Camillo Ruini comincia la sua scalata, non ha i soldi per pagare gli impiegati della Cei, con le finanze scosse dagli scandali e svuotate dal sostegno a Solidarnosc. La cultura cattolica si sente derisa dall’egemonia di sinistra, ignorata dai giornali laici, espulsa dall’universo edonista delle tv commerciali, perfino ridotta in minoranza nella Rai riformata. Eppure è una Chiesa ancora viva, anzi vitalissima. Tanto pluralista da ospitare nel suo seno mille voci, dai teologi della liberazione agli ultra tradizionalisti seguaci di monsignor Lefebrve. Capace di riconoscere movimenti di massa, come Comunione e Liberazione, e di "scoprire" l’antimafia, con le omelie del cardinale Pappalardo, il lavoro di don Puglisi a Brancaccio, l’impegno di don Italo Calabrò contro la ’ndrangheta. Dopo vent’anni di "cura Ruini" la Chiesa all’apparenza scoppia di salute. È assai più ricca e potente e ascoltata a Palazzo, governa l’agenda dei media e influisce sull’intero quadro politico, da An a Rifondazione, non più soltanto su uno. Nelle apparizioni televisive il clero è secondo soltanto al ceto politico. Si vantano folle oceaniche ai raduni cattolici, la moltiplicazione dei santi e dei santuari, i record di audience delle fiction di tema religioso. Le voci di dissenso sono sparite. Eppure le chiese e le sagrestie si svuotano, la crisi di vocazioni ha ridotto in vent’anni i preti da 60 a 39 mila, i sacramenti religiosi come il matrimonio e il battesimo sono in diminuzione.
Il clero è vittima dell’illusoria equazione mediatica "visibilità uguale consenso", come il suo gemello separato, il ceto politico. Nella vita reale rischia d’inverarsi la terribile profezia lanciata trent’anni fa da un teologo progressista: "La Chiesa sta divenendo per molti l’ostacolo principale alla fede. Non riescono più a vedere in essa altro che l’ambizione umana del potere, il piccolo teatro di uomini che, con la loro pretesa di amministrare il cristianesimo ufficiale, sembrano per lo più ostacolare il vero spirito del cristianesimo". Quel teologo si chiamava Joseph Ratzinger.
(Hanno collaborato Carlo Pontesilli e Maurizio Turco)
* la Repubblica, 28 settembre 2007
Con loro anche Alberto Monticone (ex di Azione Cattolica) e Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant’Egidio
Pezzotta e Capaldo per un Nuovo umanesimo
L’ex sindacalista e il docente di Economia fondano un movimento per attirare quei cattolici che vogliono essere politicamente impegnati senza però aderire a un partito in particolare
Roma, 29 set. (Ign) - Savino Pezzotta e Pellegrino Capaldo insieme per attirare quei cattolici che vogliono essere politicamente impegnati senza però aderire a un partito in particolare. Una ’strana coppia’ - il primo ex sindacalista e operaio tessile; il secondo docente di Economia ed ex presidente della Banca di Roma - che ha fondato un ’movimento di iniziativa politica per un nuovo umanesimo’. A riportare la notizia è oggi ’Il Sole-24 Ore’.
’’A legarli è un passato democristiano e un presente da attivista cattolico’’ scrive il quotidiano economico. Con loro ci saranno anche Alberto Monticone (ex di Azione Cattolica) e Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant’Egidio.
’’Vogliamo semplicemente essere nel campo della politica cone le nostre idee - spiega Pezzotta al ’Sole-24 Ore’ - Muoverci sui temi, non su una rotta predefinita. E far tornare nella gente la voglia di partecipare alla politica senza bisogno di schierarsi’’.
LE TASSE E I MONSIGNORI
di Raffaele Garofalo e Aldo Antonelli, preti
A seguito della polemica sul problema tasse-chiesa sulla quale è intervenuto anche il vescovo-teologo di Chieti Bruno Forte, polemica poi allargatasi a livello nazionale (Cfr. anche Famiglia Cristiana...) ho ritenuto doveroso, assieme all’amico Raffaele Garofalo, puntualizzare alcune "cosette" che, non chiarite, rendono equivoco tutto il dibattito. Il nostro intervento è stato pubblicato sul Centro di ieri ma con un titolo fazioso e fuorviante. Come di prassi, certi giornalisti anche se scrivono su giornali "laici" (Il Centro fa parte della catena del giornale La Repubblica!) a volte e di fronte alle eccellenze sono più clericali dei chierici!
Questo il nostro intervento.
Un abbraccio a tutti.
Aldo
Ha ragione Mons. Forte, arcivescovo di Chieti, quando, in risposta a Prodi, (Il Centro 02/08/07) chiede che, prima di pensare a far pagare le tasse, chi governa dia esempio di “equità e giustizia”. Va precisato che la denuncia del premier è rivolta contro gli evasori storici i quali, notoriamente, non appartengono a coloro che “non arrivano alla fine del mese”. Dalle parole di mons. Forte invece sembra che Prodi le tasse le voglia far pagare alle famiglie povere e alle giovani coppie.
L’arcivescovo richiama i politici ad una maggiore austerità e senso della giustizia, ciò che sostiene anche la sinistra cosiddetta radicale, ed è gratificante il fatto che i vescovi, ora, stiano ponendo la loro attenzione alla grama economia delle famiglie mentre erano piuttosto distratti quando Berlusconi, come rimedio, suggeriva alle massaie italiane di recarsi al mercato a prendere nota dei prezzi convenienti per poter risparmiare. Come farebbe la sua mamma.
Se è vero che i politici sono dei privilegiati, e il libro di Stella ce ne dà ampia documentazione, è altrettanto vero che, tra i grandi evasori “privilegiati” nel nostro Paese campeggia la Chiesa cattolica la quale, a dire dell’arcivescovo, è più vicina alla gente di quanto lo siano i politici.
Uno Stato responsabile non fa delega ad altri di ciò che appartiene alla sfera dei suoi compiti e l’azione della Chiesa non può basarsi su una assistenza che non è né “giustizia”, né autentica carità quando non vengono riconosciuti i diritti e le persone sono costrette ad umiliarsi. Forse per questo il cattolico Prodi chiede “collaborazione” e auspica che nelle chiese si parli anche di un “tema di forte carica etica” quale quello di “sovvenire alle necessità” dello Stato.
Il premier avrà voluto dire ciò che l’arcivescovo ha ben espresso: “pagare le tasse è un dovere morale che nasce dal senso della solidarietà, per il bene comune”. Niente fu detto contro la propaganda populista di Berlusconi che invitava a non pagare le tasse: la Chiesa tacque su gente miliardaria che evadeva per usufruire poi di sostanziosi condoni. Con doverosa autocritica mons. Forte dovrebbe ammettere che, a dispetto della Costituzione e delle normative europee, l’evasione “legalizzata” e documentata della Chiesa cattolica è imponente
La Commissione Europea ha avviato un processo contro il governo italiano per l’esenzione dall’Iva concessa alla Chiesa cattolica. Come si sa in Italia la sentenza della Corte di Cassazione al riguardo è stata elusa con la formula escamotage dell’esenzione agli “esercizi non esclusivamente commerciali”. Come riporta Curzio Maltese, sono migliaia le strutture gestite da enti ecclesiastici: scuole private, cliniche, alberghi che figurano come ostelli per la gioventù, cinema e teatri. A Roma le proprietà esentasse raggiungerebbero il 22 per cento dell’intero patrimonio e lo Stato inoltre versa alla Chiesa 991 milioni di euro per l’8 per mille.
Se nella cattolica Spagna il governo Zapatero collabora con Bruxelles per le indagini sui patrimoni ecclesiastici (per questa ragione i vescovi spagnoli pensano che il loro premier non sia un buon cristiano), in Italia il governo ha avviato una... Commissione di studio che, ovviamente, finora non è giunta ad alcuna conclusione. Su questo andrebbe incalzato Prodi, europeista convinto, ma potranno i prelati tuonare contro l’evasione e i privilegi dei politici e dei ricchi, se prima non rimuovono la trave dal loro occhio? Se doveroso è condannare gli uomini che abusano della politica, va evitato, da tutti, il rischio di diffondere il disamore per la cosa pubblica. L’impegno contro gli sprechi, le ingiustizie e le disfunzioni è dovere di tutti. Se, seguendo lo spirito (di Zaccheo e) di quel Cristo che non aveva “nemmeno una pietra su cui poggiare il capo”, la Chiesa rinunciasse ai suoi privilegi, anche i non credenti come Odifreddi potrebbero forse tornare a credere ai miracoli.
Raffaele Garofalo, Aldo Antonelli, preti
Ahi Costantin di quanto mal fu madre
di EUGENIO SCALFARI *
Tra le tante questioni che affliggono il nostro paese, insolute da molti anni e alcune risalenti addirittura alla fondazione dello Stato unitario, c’è anche quella cattolica. Probabilmente la più difficile da risolvere. Personalmente penso anzi che resterà per lungo tempo aperta, almeno per l’arco di anni che riguardano le tre o quattro generazioni a venire. Roma e l’Italia sono luoghi di residenza millenaria della Sede apostolica e perciò si trovano in una situazione anomala rispetto a tutte le altre democrazie occidentali. Se guardiamo agli spazi mediatici che la Santa Sede, il Papa, la Conferenza episcopale hanno nelle televisioni e nei giornali ci rendiamo conto a prima vista che niente di simile accade in Francia, in Germania, in Gran Bretagna, in Olanda, in Scandinavia e neppure nelle cattolicissime Spagna e Portogallo per non parlare degli Usa, del Canada e dell’America Latina dove pure la popolazione cattolica ha raggiunto il livello di maggiore densità.
Da noi le reti ammiraglie di Rai e di Mediaset trasmettono sistematicamente ogni intervento del Papa e dei Vescovi. L’"Angelus" è un appuntamento fisso. Le iniziative e le dichiarazioni dei cattolici politicamente impegnati ingombrano i giornali, il presidente della Repubblica, appena nominato, sente il bisogno di inviare un messaggio di "presentazione" al Pontefice, cui segue a breve distanza la visita ufficiale. Tutto ciò va evidentemente al di là d’una normale regola di rispetto e dipende dal fatto che in Italia il Vaticano è una potenza politica oltre che religiosa. Ciò spiega anche la dimensione dei finanziamenti e dei privilegi fiscali dei quali gode il Vaticano, la Santa Sede e gli enti ecclesiastici; anche questi senza riscontro alcuno negli altri paesi.
Infine il rapporto di magistero che la gerarchia ecclesiastica esercita sulle istituzioni ovunque vi sia una rappresentanza di cattolici militanti e la funzione di guida politica che di fatto orienta i partiti di ispirazione cattolica e quindi cospicui settori del Parlamento.
La questione cattolica è dunque quella che spiega più d’ogni altra la diversità italiana. Spiega perché noi non saremo mai un "paese normale". Perché una parte rilevante dell’opinione pubblica, della classe politica, dei mezzi di comunicazione, delle stesse istituzioni rappresentative, sono etero-diretti, fanno capo cioè e sono profondamente influenzati da un potere "altro". Quello è il vero potere forte che perdura anche in tempi in cui la secolarizzazione dei costumi ha ridotto i cattolici praticanti ad una minoranza. "Ahi Costantin, di quanto mal fu madre...".
La questione cattolica ha attraversato varie fasi che non è questa la sede per ripercorrere. Basti dire che si sono alternate fasi di latenza durante le quali sembrava sopita, e di vivace ed aspra riacutizzazione.
Il mezzo secolo della Prima Repubblica, politicamente dominato dalla Democrazia cristiana, fu paradossalmente una fase di latenza. La maggioranza era etero-diretta dal Vaticano e dagli Stati Uniti, il Pci era etero-diretto dall’Unione Sovietica. Entrambi i protagonisti accettavano questo stato di cose, insultandosi sulle piazze e dai pulpiti, ma assicurando, ciascuno per la sua parte, un sostanziale equilibrio. Quando qualcuno sgarrava, veniva prontamente corretto.
Ma la fase attuale non è affatto tranquilla, la questione cattolica si è riacutizzata per varie ragioni, la prima delle quali è l’emergere sulla scena politica dei temi bioetici con tutto ciò che comportano.
La seconda ragione deriva dalla linea assunta da Benedetto XVI che ritiene di spingere il più avanti possibile le forme di protettorato politico-religioso che il Vaticano esercita in Italia, per farne la base di una "reconquista" in altri paesi a cominciare dalla Spagna, dal Portogallo, dalla Baviera, dall’Austria e da alcuni paesi cattolici dell’America meridionale. Le capacità finanziarie dell’episcopato italiano forniscono munizioni non trascurabili per sostenere questo disegno che ha come obiettivo l’esportazione del modello italiano laddove ne esistano le condizioni di partenza.
A fronte di quest’offensiva le "difese laiche" appaiono deboli e soprattutto scoordinate. Si va da forme d’intransigenza che sfiorano l’anticlericalismo ad aperture dialoganti ma a volte eccessivamente permissive verso i diritti accampati dalla "gerarchia". Infine permane il sostanziale disinteresse della sinistra radicale, che conserva verso il laicismo l’antica diffidenza di togliattiana memoria.
Si direbbe che il solo dato positivo, dal punto di vista laico, sia una più acuta sensibilità autonomistica che ha conquistato una parte dei cattolici impegnati nel centrosinistra. Ma si tratta di autonomia a corrente variabile, oggi rimesso in discussione dalla nascita del Partito democratico e dai vari posizionamenti che essa comporta per i cattolici che ne fanno parte. Con un’avvertenza di non trascurabile peso: secondo recenti sondaggi nell’ultimo decennio i cattolici schierati nel centrosinistra sarebbero discesi dal 42 al 26 per cento. Fenomeno spiegabile poiché gran parte dell’elettorato ex Dc si trasferì fin dal 1994 su Forza Italia; ma che certamente negli ultimi tempi ha accelerato la sua tendenza.
* * *
Un fenomeno degno di interesse è quello del recente associazionismo delle famiglie. Non nuovo, ma fortemente rilanciato e unificato dal "forum" che scelse come organizzatore politico e portavoce Savino Pezzotta, da poco reduce dalla lunga leadership della Cisl e riportato alla ribalta nazionale dal "Family Day" che promosse qualche mese fa in piazza San Giovanni il raduno delle famiglie cattoliche.
Da allora Pezzotta sta lavorando per trasformare il "forum" in un movimento politico. "Non un partito" ha precisato in una recente intervista "ma un quasi-partito; insomma un movimento autonomo che potrà eventualmente appoggiare qualche partito di ispirazione cristiana che si batta per realizzare gli obiettivi delle famiglie. Sia nei valori che sono ad esse intrinseci sia per i concreti sostegni necessari a realizzare quei valori".
L’obiettivo è ambizioso e fa gola ai partiti di impronta cattolica, ma Pezzotta amministra con molta prudenza la sigla di cui è diventato titolare. Dico sigla perché al momento non sappiamo quale sia la sua realtà organizzativa e la sua effettiva spendibilità politica.
Sembra difficile che il nascituro movimento delle famiglie possa praticare una sorta di collateralismo rispetto ai settori cattolici militanti nel Partito democratico: la piazza di San Giovanni non sembrava molto riformista, le voci che l’hanno interpretata battevano soprattutto su rivendicazioni economiche ma non basterà riconoscergliele per acquistarne il consenso e il voto. A torto o a ragione le famiglie e le sigle che le rappresentano ritengono che quanto chiedono sia loro dovuto. Il voto elettorale è un’altra cosa e non sarà Pezzotta a guidarlo. Ancor meno i vari Bindi, Binetti, Bobba nelle loro differenze. Voteranno come a loro piacerà, seguendo altre motivazioni e inclinazioni, influenzate soprattutto dai luoghi in cui vivono e dai ceti sociali e professionali ai quali appartengono.
* * *
Un elemento decisivo della questione cattolica e dell’anomalia che essa rappresenta è costituito dalla dimensione degli interessi economici della Santa Sede e degli enti ecclesiastici, del loro "status" giuridico e addirittura costituzionale (il Trattato del Laterano è stato recepito in blocco con l’articolo 7 della nostra Costituzione) e dei privilegi fiscali, sovvenzioni, immunità che fanno nel loro insieme un sistema di fatto inattaccabile. Basti pensare che la Santa Sede rappresenta il vertice di un’organizzazione religiosa mondiale e fruisce ovviamente d’un insediamento altrettanto mondiale attraverso la presenza dei Vescovi, delle parrocchie, degli Ordini religiosi, delle Missioni. Ma, intrecciata ad essa c’è uno Stato - sia pure in miniatura - che gode d’un tipo di immunità e di poteri propri di uno Stato e quindi di una soggettività diplomatica gestita attraverso i "nunzi" regolarmente accreditati presso tutti gli altri Stati e presso le organizzazioni internazionali.
Questa doppia elica non esiste in nessun’altra delle Chiese cristiane ed è la conseguenza della struttura piramidale di quella cattolica e della base territoriale da cui trasse origine lo Stato vaticano e il potere temporale dei Papi. Non scomoderemo Machiavelli e Guicciardini, Paolo Sarpi e Pietro Giannone per ricordare quali problemi ha sempre creato il potere temporale nella storia della nazione italiana, nell’impossibilità di realizzare l’unità nazionale quando gli altri paesi europei avevano già da secoli raggiunto la loro ed infine lo scarso senso dello Stato che gli italiani hanno avuto da sempre e continuano abbondantemente a dimostrare. Sarebbe storicamente scorretto attribuire unicamente al potere temporale dei Papi questo deficit di maturità civile degli italiani, ma certo esso ne costituisce uno dei principali elementi.
Purtroppo il temporalismo è una tentazione sempre risorgente all’interno della Chiesa; sotto forme diverse assistiamo oggi ad un tentativo di resuscitarlo che si esprime attraverso la presenza politica diretta dell’episcopato nelle materie "sensibili" il cui ventaglio si sta progressivamente ampliando.
Negli scorsi giorni l’atmosfera si è ulteriormente riscaldata a causa di una frase di Prodi che esortava i sacerdoti a sostenere la campagna del governo contro le evasioni fiscali e lamentava lo scarso contributo della Chiesa ad un tema così rilevante.
Credo che Prodi, da buon cattolico, abbia pronunciato quella frase in perfetta buonafede ma, mi permetto di dire, con una dose di sprovveduta ingenuità. Lo Stato non rappresenta un tema importante per i sacerdoti e per la Chiesa. Ancorché i preti e i Vescovi siano cittadini italiani a tutti gli effetti e con tutti i diritti e i doveri dei cittadini italiani, essi sentono di far parte di quel sistema politico-religioso che a causa della sua struttura è totalizzante. La cittadinanza diventa così un fatto marginale e puramente anagrafico; salvo eccezioni individuali, il clero si sente e di fatto risulta una comunità extraterritoriale. Pensare che una delle preoccupazioni di una siffatta comunità sia quella di esortare gli italiani a pagare le tasse è un pensiero peregrino. Li esorta - questo sì - a mettere la barra nella casella che destina l’otto per mille del reddito alla Chiesa. Un miliardo di euro ha fruttato all’episcopato italiano quell’otto per mille nel 2006. Ma esso, come sappiamo, è solo una parte del sostegno dello Stato alla gerarchia, alle diocesi, alle scuole, alle opere di assistenza.
* * *
Come si vede la pressione cattolica sullo Stato "laico" italiano è crescente, si vale di molti mezzi, si manifesta in una pluralità di modi assai difficili da controllare e da arginare.
Le difese laiche - si è già detto - sono deboli e poco efficaci: affidate a posizioni individuali o di gruppi minoritari ed elitari contro i quali si ergono "lobbies" agguerrite e perfettamente coordinate da una strategia pensata altrove e capillarmente ramificata. Quanto al grosso dell’opinione pubblica, essa è sostanzialmente indifferente. La questione cattolica non fa parte delle sue priorità. La gente ne ha altre, di priorità. È genericamente religiosa per tradizione battesimale; la grande maggioranza non pratica o pratica distrattamente; i precetti morali della predicazione vengono seguiti se non entrano in conflitto con i propri interessi e con la propria "felicità". In quel caso vengono deposti senza traumi particolari.
Perciò sperare che la democrazia possa diventare l’"habitus" degli italiani è arduo. Gli italiani non sono cristiani, sono cattolici anche se irreligiosi. Questo fa la differenza.
* la Repubblica, 5 agosto 2007
Editoriale *
Ci stanno rubando ogni ben di Dio
di Sebastiano B. Caix
L’aria a Milano, le spiagge sulle coste, la terra e l’acqua nel Sud. Tutto per una parola: liberalizzazione. Non sembra vero: ora la usano anche gli ex comunisti
I problemi gravi e vistosi di guerre e di politica sono tanti e tutti ne discutono, parlerò di alcuni piccoli ma che, messi insieme, hanno un loro senso. La terra, l’acqua, l’aria, la vita sono di tutti: tutti abbiamo diritto di lavorare la terra, di bere l’acqua, di respirare l’aria. Tutto quello che era prima dell’uomo appartiene a Dio, che l’ha donato a tutti gli uomini ovvero a tutta l’umanità. Nessuno - ricorda don Primo Mazzolari in un suo scritto - può dire questo è mio e non di altri. Se Mazzolari era un cristiano, questa è un’affermazione cristiana. Le leggi regolano questi diritti.
Le cose però non stanno così. La voce della saggezza e del diritto è stata nei secoli schiacciata dalla forza che, ai vincoli della ragione, ha sostituito quelli della violenza e della prevaricazione. Il più forte dice: «Questo è mio» e toglie ai deboli un loro diritto. Così oggi ci troviamo di fronte a un intrico di leggi sempre più fitto e confuso che, alla fine, difende sempre più la forza dei forti che i diritti dei deboli. Respiriamo aria inquinata, beviamo acqua inquinata, mangiamo cibi inquinati. Perché? Non sembra vero: per dare più armi di violenza a quelli che ci tolgono i nostri diritti con la violenza.
L’Italia è l’esempio che abbiamo sotto gli occhi: ma come avere il coraggio di ripetere ciò che viene detto, e inascoltato, ogni giorno? Milano è inquinata dalle autovetture? Basta pagare un biglietto «antinquinamento» ed ecco che i cittadini elettori, invece di cambiare regime, si tranquillizzano. Si autoinquinano pagando una tassa di più. Vivaci proteste popolari? No, qualche borbottio, poi su tutto (e sugli immani guadagni dei politici e dei loro accoliti) cala il silenzio perfino dei partiti all’opposizione. Sulle spiagge non si può prendere liberamente il sole o fare il bagno, perché i litorali sono stati venduti ai privati? Qualche polemica sui mass media, poi tutto si soffoca, si attutisce: i fiumi di denaro e le connivenze mettono a tacere gli amministratori e le opposizioni.
Montagne di rifiuti fumanti in numerose città del sud? I turisti stranieri invitati ad andarsene dalle loro stesse rappresentanze diplomatiche? Grida mediatiche, scambi di responsabilità (responsabilità!), montagne di denaro alle varie mafie e camorre, a esponenti di amministrazioni pubbliche e private, a personaggi d’ogni risma e partito che allignano perfino nelle istituzioni incaricate di proteggere i diritti contro i soprusi, ed ecco che tutto si sopisce, si ferma, l’ingiustizia scompare. Non che tornino ordine, pulizia, onestà: no, le bocche sono cucite dai soldi e dalla paura, il silenzio è d’oro.
La stampa dà notizia di una pericolosa discarica abusiva su un’area di 12 chilometri sulla tangenziale di Bari, e dice «scoperta» dall’autorità tutoria. Quest’area è da mesi scavata, preparata e tenuta in attività con camion e ruspe alle porte di un capoluogo di regione. Cosa vuol dire: scoperta? Scoprire una discarica illegale di 12 chilometri quadrati è come a Pisa «scoprire» la torre di Pisa. In alcuni capoluoghi di provincia, come a Taranto, manca l’acqua: è stata liberalizzata. Questa la grande trovata truffaldina: la «liberalizzazione» di elementi vitali che appartengono a tutti. Qui dovrebbe esserci un sommovimento mondiale, invece no. Perfino gli ex comunisti parlano di liberalizzazione, liberalizzano. Ma che cosa si liberalizza, quello che «deve» essere libero? Quello che è già per natura un dono di Dio a tutti?
La forza del denaro rende ciechi e muti coloro che dovrebbero parlare in difesa di chi denaro non ne ha. Con la liberalizzazione dell’acqua (la cui distribuzione dovrebbe essere organizzata e difesa dalla comunità) i cittadini hanno perduto il diritto di bere, di lavarsi, di tenere puliti se stessi e le loro città: pagano di più e sono peggio organizzati. Aprono i rubinetti ed esce la corruzione. Dal Nord al Sud, il ladrocinio non cambia. Perfino i preti più coraggiosi se ne devono andare e i cattolici più fedeli si sentono abbandonati in questo deserto.
Sebastiano B. Caix
* Il Dialogo, Giovedì, 12 luglio 2007
AL SERVIZIO DEL MONDO
In attivo i conti del Vaticano
A finanziare le attività degli uffici della Curia, che non producono ricavi, provvedono Conferenze episcopali, diocesi e istituti religiosi: le loro offerte sono aumentate nel 2006 passando da 73,9 a 86 milioni di euro
Da Roma Salvatore Mazza (Avvenire, 07.07.2007)
Si è chiuso in attivo, per il terzo anno consecutivo, il bilancio consolidato della Santa Sede. Entrate per 227 milioni 815 mila euro, e uscite per 225 milioni e 409 mila euro, con un saldo positivo di poco oltre i 2,4 milioni di euro. Una «buona notizia», dunque, come ha sottolineato ieri mattina il cardinale Sergio Sebastiani, presidente della Prefettura degli Affari economici, nella conferenza stampa convocata per presentare e "spiegare" i numeri del bilancio consolidato 2006, anticipati qualche giorno fa.
Un «risultato positivo», l’attivo conseguito, pur se «rappresenta il valore meno elevato» dopo quelli registrati nel 2005 (+9,7 milioni) e nel 2004 (+3,1 milioni). Nel bilancio sono conteggiati i costi «di tutte le Amministrazioni pontificie, oltre alle 118 Sedi di rappresentanza pontificia sparse in tutto il mondo e le nove Sedi presso gli organismi internazionali». Nel corso dell’incontro, introdotto dal direttore della Sala Stampa padre Federico Lombardi, e presenti monsignor Franco Croci, segretario della Prefettura degli Affari economici, e il ragioniere generale Paolo Trombetta, sono state passate in esame le diverse voci iscritte a bilancio. A iniziare ovviamente dalle attività istituzionali, ossia quelle svolte dai Dicasteri e gli Uffici della Curia Romana, ovvero dagli «organismi che assistono da vicino il Santo Padre nella missione di pastore universale a servizio delle Chiese locali, come anche a beneficio dell’umanità, come operatori di pace», e che «non producono ricavi - ha sottolineato Sebastiani - e per questo sono soggetti alla prescrizione canonica 1271 che invita i vescovi a venire incontro liberamente alle attività della Santa Sede».
Il canone richiamato è quello che invita Conferenze episcopali, diocesi, istituti religiosi, fedeli ed Enti ecclesiastici vari a farsi carico, a seconda delle proprie possibilità, dell’esercizio apostolico della Santa Sede. Ebbene, nel 2006 le offerte raccolte attraverso questa disposizione sono aume ntate, rispetto all’anno precedente, da 73,9 milioni di euro a 86 milioni nel 2006.
Quanto ai costi, sempre per l’attività istituzionale, l’aumento è stato di quasi 5 milioni, da 121,3 a 126,2 milioni di euro, variazione dovuta sia ai costi aggiuntivi per il personale, sia all’aumento delle spese generali e amministrative (da 13,4 a 15,3 milioni), e di quelle per il mantenimento di rappresentanze e nunziature (da 19,6 a 20,6 milioni). Riguardo all’attività finanziaria, l’incremento dei contributi ha permesso di assorbire il calo molto pronunciato dell’avanzo netto che è stato nel 2006 di 13,7 milioni contro 43,3 milioni nel 2005. Ciò, ha spiegato Sebastiani, in base al «principio della prudenza» che guida questo settore, per cui gran parte degli investimenti sono obbligazioni statali anziché azioni, che sono a maggior rischio.
Sempre nel 2006, il settore immobiliare ha registrato un netto di 32,3 milioni (22,4 nel 2005). Negativo, al contrario, il saldo delle "istituzioni collegate" - Radio Vaticana, Tipografia vaticana, Osservatore Romano, Centro televisivo vaticano e Libreria Editrice vaticana: il disavanzo è di 12,8 milioni di euro, in massima parte dovuti alla Radio (che però non ha entrate) e all’Osservatore.
Obolo di San Pietro: anno record
Grazie a donazioni eccezionali superata quota 100 milioni di euro
Da Roma Salvatore Mazza (Avvenire, 07.07.2007)
Ha largamente superato i 100 milioni di euro, nel 2006, il gettito dell’Obolo di San Pietro. Un risultato dovute alle donazioni «eccezionali» che si sono registrate nel corso dell’anno passato. E che mentre va - ovviamente - visto nel suo valore, non deve far immagine che si tratti di un risultato facilmente ripetibile.
Non poteva passare sotto silenzio il dato anticipato qualche giorno fa da una nota della Segreteria di Stato, che informava che la raccolto dell’Obolo aveva raggiunto nel 2006 la cifra di ben 101 milioni e 900 mila dollari. E infatti ieri, nel corso della conferenza stampa per la presentazione del bilancio consolidato 2006 della Santa Sede, è stato chiesto dai giornalisti un commento su questa straordinaria performance.
«È un fatto - ha risposto il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi - che quest’anno ci sono state delle offerte eccezionali. Questo però è bene dirlo, perché non ci si aspetti che ogni anno ci siano. Puoi avere un anno in cui uno ti fa una grandissima offerta e questo fa salire molto l’entrata, ma se l’anno dopo quest’offerta eccezionale non c’è, tu non puoi contarci e non te ne puoi neanche stupire».
A comporre la somma che va sotto la voce dell’Obolo concorrono tutte le offerte liberali in arrivo dalle Chiese locali, dagli Istituti religiosi, dalle Fondazioni e dai singoli fedeli. La cifra non rientra dunque nel bilancio della Santa Sede, ma viene iscritta in quello del Governatorato del Città del Vaticano.
In cima alla lista dei Paesi donatori sono ancora gli Stati Uniti, e ciò «nonostante» il peso «degli scandali» che di recente hanno investito quella Chiesa locale con la vicenda dei preti pedofili, come ha rilevato il cardinale Sergio Sebastiani. Germania e Italia seguono al secondo e terzo posto.
LA CHIESA, L’OCCIDENTE E I TEOCON.
“Come mai in questo Occidente idolatrico e strutturalmente ateo, in cui ogni atto sembra viziato da una colpa irredimibile, i cristiani non sono perseguitati?”
Questa la domanda che anni fa un certo Marco Guzzi rivolse ad Enzo Bianchi.
Questa la risposta di Enzo Bianchi contenuta in un suo libretto: Ricominciare - Nell’anima, nella chiesa, nel mondo.
«L’urto tra lo Spirito di Cristo e mondanità è ineluttabile, e già si vede che l’ubriacatura consumistica e eroticizzata dell’Occidente provoca una senescenza precoce dei sensi, un abitare nelle terre del nonsenso, una bulimia del “tutto e subito” che soffoca. In tale contesto oggi i cristiani non solo non sono perseguitati, ma neppure osteggiati, anzi sono invocati. Noi oggi assistiamo addirittura a un diffuso atteggiamento di benevolenza nei confronti della chiesa, da parte dei Cesari di oggi soprattutto. Il titolo di un articolo di un periodico cattolico qualche mese fa diceva quasi orgogliosamente, con stupore ingenuo: “Questa chiesa serve!”. Ma serve a chi? A chi è utile? Questo significa che noi siamo omologati all’interno del grande orizzonte occidentale capitalista e che magari siamo invocati per fornire un fondamento etico alla società, per dare un’anima alla società.
Avvenuta ormai la crisi dell’ideologia, noi cristiani siamo invocati per cantare in coro, magari con più convinzione e più forte, “la cantata dei valori comuni”, quei valori formali che piacciono a tutti. [...] Sì, questa chiesa serve al mondo se e finché resta impegnata solo filantropicamente, ma guai se la chiesa si fa profetica, se annuncia l’Evangelo con il Sì! Sì! No! No!, guai se contraddice la morale laica, perché allora si scatena la saggezza dei dominatori di questo mondo, quelli che hanno crocifisso il Signore della gloria (cf 1Cor 2,8). [...] Io sono convinto che sul tema della pace, soprattutto oggi, la chiesa gioca la sua fedeltá al Signore; su questo tema la sua scelta: o essere l’Evangelo che grida nella debolezza e nella sapienza della croce o sedere tra i dominatori di questo mondo, ma non essere più la chiesa del Signore Gesù Cristo»....
E io aggiungerei "Guai se la Chiesa si permettesse di dire solo qualche parolina su questa economia assassina che è la causa prima della Guerra e di tutti i mali del mondo, il Peccato Originale di tutto, e si permattesse di mettere sotto inchiesta il pilastro reggente di questa economia che è l’antievangelico "Diritto di Proprietà"!
Che ne direbbero i vari Bush/Berluschini/Casini/Fini e i loro chierichetti Teocon?
Noi cristiani saremmo tutti decapitati, come San Giovanni che domani festeggeremo.
Buona Domenica.
Aldo [don Antonelli]
"BRUCEREM IL VATICAN...."
di Angela Azzarro *
COME FAR ARRIVARE LA VOCE DEL GAY PRIDE AI MEDIA? COSA PENSA IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI CIÒ CHE I SUOI ELETTORI, NON QUELLI DELLA DESTRA, GLI HANNO CHIESTO? FARÀ LA LEGGE SULLE UNIONI CIVILI E QUELLA CONTRO LE DISCRIMINAZIONI OMOFOBICHE? DIRÀ CHE LE OFFESE DA PARTE DEL VATICANO CONTRO GAY, LESBICHE, TRANS NON SONO PIÙ ACCETTABILI IN UNO STATO LAICO? *
Ventiquattro ore dopo il Family day i più grandi giornali e telegiornali italiani non avevano avuto dubbi: il titolo di apertura era stato dedicato - nella stampa scritta, a caratteri cubitali - al presunto milione che aveva occupato piazza San Giovanni in difesa dei valori tradizionali. I giorni successivi la litania non era cambiata: tutto un susseguirsi di dichiarazioni e servizi per dire che quella manifestazione chiedeva, pretendeva una risposta da parte della politica.
Il giorno dopo il Pride, con un milione di donne e uomini in piazza per chiedere l’estensione dei diritti a tutte e tutti, la stampa e i tg non hanno avuto lo stesso riguardo. Portare tante persone, gay, lesbiche, trans, non è bastato per conquistare i titoli di apertura, né per sperare che il lunedì fosse dedicato alle reazioni della politica. Che cosa farà da oggi il governo Prodi? Cosa pensa il presidente del Consiglio di ciò che i suoi elettori, non quelli della destra, gli hanno chiesto? Farà la legge sulle unioni civili e quella contro le discriminazioni omofobiche? Dirà che le offese da parte del Vaticano contro gay, lesbiche, trans non sono più accettabili in uno Stato laico?
Silenzio. Un assordante silenzio, con Prodi che preferisce denunciare «la brutta aria» che c’è nel Paese, riferendosi alla destra che blocca le decisioni. Insomma, per parafrasare la sua dichiarazione: aria fritta. La distanza tra i cittadini, le cittadine e la politica, anche e soprattutto quella fatta dai media, non era mai stata così ampia. Drammatica. La crisi della politica e della rappresentanza così pesante e disarmante. Se il Papa parla e offende gay, lesbiche o trans accusandoli di essere pedofili e perversi le prime pagine sono assicurate, blindate. Si riempiono subito di titoli cubitali. Poche le proteste. Poche le voci di editorialisti che si sollevano per dire che così cresce l’odio, la violenza contro gli omosessuali. Poche voci si sollevano dal pulpito dei grandi quotidiani per dire che non approvare una legge sulle unioni civili è un fatto grave, che lede l’uguaglianza sancita dalla Costituzione.
A questo punto resta la domanda: che cosa fare per conquistare spazio, visibilità alle ragioni della civiltà e della laicità? Non è bastato, nel silenzio degli organi di informazione, portare un milione di persone in piazza. Non è bastato riempire piazza San Giovanni con una manifestazione rabbiosa, ma pacifica, dura ma anche orgogliosa. No, non è bastato. Bisogna forse arrivare a gesti eclatanti davanti al Vaticano o al Parlamento, bruciarsi come gesto disperato, come un ultimo tentativo di vedersi riconosciuto un diritto? Certo è che così non si può andare avanti. La totale impermeabilità tra media e politica da una parte e società civile dall’altra è talmente alta che non si può stare più indifferenti.
Fa bene Aurelio Mancuso, presidente dell’Arcigay, a lanciare lo sciopero fiscale e a invitare lesbiche, gay, trans a restituire le tessere elettorali. In Italia le persone non eterosessuali sono considerate cittadine di serie B, non godono degli stessi diritti. Tanto vale allora non assumersi neanche i doveri oppure esasperare lo scollamento privandosi della possibilità di decidere chi votare e chi no. Forse così i politici capirebbero, forse così capirebbe anche la Chiesa che dei contributi Irpef vive. Lo capirebbero anche le cosiddette famiglie tradizionali al cui welfare contribuiscono quegli uomini e quelle donne che, oggi, non possono avere una relazione riconosciuta e tutelata, oppure come single non possono sperare in nessuna facilitazione.
Il Pride di sabato è riuscito perché ha parlato un linguaggio che coinvolge tutte e tutti. Non riguarda solo gay, lesbiche e trans. Lo ha dimostrato l’ampia partecipazione in maniera organizzata del movimento femminista e l’ampia presenza di eterosessuali. E’ importante che quel coinvolgimento continui e che le associazioni omosessuali non siamo lasciate sole in questo momento, forse il più delicato, quello più duro da digerire. Non si aspetti l’ennesima esternazione del Papa per risollevare la richiesta delle unioni civili. Deve essere un sentire comune, una richiesta continua, condivisa, in ogni sede, in ogni occasione. Ma prima di tutto bisogna affrontare il rapporto con l’informazione, metterlo al centro dell’azione politica. Oggi sicuramente i giornali daranno molto più spazio alle polemiche sullo spettacolo annullato a Bologna "La Madonna piange sperma", perché considerato blasfemo, che alle richieste di un milione di persone.
La parola ci interpella
Il Vangelo delle chiavi
di Mario Mariotti *
Il discorso delle chiavi del Regno è il fulcro del cristianesimo tradotto in religione, e di conseguenza in potere. Il Signore avrebbe delegato a Pietro il potere di legare o di slegare, di perdono o di non-perdono dei peccati e l’avrebbe costituito Suo vicario in terra, in questo mondo. Da qui anche il potere del Papa, che non può sbagliare perché vicario di Dio in terra. Siccome i cattolici hanno fatto proprie queste convinzioni, che la salvezza della propria anima e resurrezione del proprio corpo passino per la mediazione del Papa e della gerarchia, ecco il grande potere, la grande autorevolezza di S. R. Chiesa, che ha condizionato in senso negativo e condiziona tutt’ora in senso negativo enormi moltitudini di persone, che si autotranssustanziano in pecore credenti e fedeli. Queste, a loro volta, condizionano l’evoluzione della storia umana in senso evolutivo, regressivo, reazionario ed alienante. Non ho bisogno di ribadire il mio pensiero sulla Chiesa e sulla gerarchia che la guida (probabilmente tutte le religioni hanno questi difetti). Essa si è sempre appropriata del soggettivo positivo della base, e l’ha strumentalizzato a vantaggio dei ricchi, dei potenti e di se stessa, diventando ricca e potente.
La simbiosi Tempio-Impero iniziò con Costantino, e prospera tutt’ora. Se oggi non siamo ancora ai tempi di Innocenzo III, non è per merito della evoluzione democratica della gerarchia, ma perché pian piano lo Spirito è riuscito a liberarsi dalle sue ragnatele, si è fatto spazio con l’Illuminismo, la Rivoluzione francese, il marxismo, il socialismo, ed è riuscito ad esplicitare il valore evangelico della laicità, se connotata di solidarietà e condivisione. Questa rivoluzione però, è sempre a rischio: S. R. Chiesa, dopo aver contribuito a sfottere l’utopia della fratellanza, del socialismo, oggi cerca di approfittare della scarsa lucidità dei laici per rimettere in discussione lo stesso Illuminismo. Dato che essa vorrebbe imporsi, dopo la crisi delle ideologie, quale autorità, guida teologica e morale di tutto e di tutti, prima che arrivi anche a mangiarsi anche le scuse le scuse fatte a Galileo, e che torni a condannarlo sempre postumo, sarà opportuno, da parte di coloro che non sono ancora rincoglioniti del tutto, cercare di darsi una mossa.
Ecco il mio piccolo contributo:
È vero che, nel Vangelo c’è il discorso del Signore a Pietro che gli riconosce di essere ispirato da Dio e quindi gli affida le chiavi del Regno dei cieli, ma questo significa che l’affidamento di questo potere dipende dal fatto e dalla condizione di essere ispirati dal Padre, e quindi nella logica dell’Amore, dal Servizio, dalla Condivisione, e non del potere. Se uno, infatti, si prende il disturbo di proseguire la lettura del Vangelo, scoprirà che appena Pietro non fa propria la logica di Dio e ragiona in quella sua propria, (rifiuta la sofferenza per la Verità), il Signore prende le distanze da lui e lo definisce Satana, cioè Divisore. Già questa parola sarebbe più che sufficiente per far capire che il potere delle chiavi è tale se e solo quando non è potere, ma incarnazione dello Spirito, incarnazione della volontà di Dio, che è progetto di amore, servizio, lavoro onesto e professionale per tutti gli altri e condivisione.
Inoltre appare fuori da ogni logica, sia umana che divina, questo messaggio che caratterizzerebbe un Dio che delega i propri poteri all’uomo, il quale si troverebbe nella condizione di essere Dio stesso, ma coi limiti dell’uomo; la qual cosa è semplicemente assurda, dato che l’uomo, pur non potendo conoscere completamente Dio, si troverebbe a gestire il potere, di un Dio che ci è stato rivelato con Amore, e non come potere. Ma quest’ultima considerazione potrebbe venir interpretata come una lettura dell’evento viziata di laicità, e allora a me sembra il caso che il chiarimento definitivo del problema, e quindi il depotenziamento sostanziale dell’enunciato dell’affidamento delle chiavi a Pietro, si possa trovare sempre nella Parola e precisamente in quella che definisce il giudizio finale al quale Dio sottoporrà gli uomini.
La discriminante, il criterio, il fondamentale è la qualità del nostro rapporto col prossimo, con gli altri viventi e con più precisione il nostro rapporto con l’affamato e l’assetato, cioè coi bisogni dei viventi. Dio non ci chiederà se credevamo in Lui, se credevamo nel Papa e nella sua infallibilità, se ubbidivamo ai comandamenti e ai precetti della Chiesa. Saremo giudicati sul tipo di risposta che abbiamo dato alle necessità dell’affamato e dell’assetato, e inoltre anche sulla qualità, sulla trasparenza e sulla gratuità del nostro rapporto positivo col nostro prossimo. Questa Lettura allude ad una gratuità che viene vissuta da soggetti che sono laici o anche atei, i quali esulano da un rapporto di dare-avere con Dio specifico della concezione religiosa di Dio stesso, e saziano e dissetano il loro prossimo semplicemente perchè fanno a lui ciò che vorrebbero ricevere da lui, se essi stessi avessero fame e sete.
Qui il potere delle chiavi va a farsi benedire, come l’assurdità dell’uomo vicario di Dio stesso, la sua infallibilità e tutto l’armamentario liturgico e orante col quale la Chiesa riesce ad alienare i fedeli-credenti, deviandoli dalle proprie responsabilità fondamentali di mani di Dio. Se ci pensiamo bene, anche la necessità della gratuità nel nostro rapporto positivo con gli altri viventi è fondamentale, é strutturale. Essendo noi il "corpus Domini", cioè i terminali di uno Spirito che ci è stato caratterizzato come Amore gratuito e incondizionato (quello del padre per il figliuol prodigo), nel momento che diciamo “si” e amiamo e condividiamo, stiamo materializzando quello Spirito che è Amore gratuito ed incondizionato. Queste qualità sono degli indicatori preziosi della nostra condizione di tralci: stimo agendo come se Dio non ci fosse, possiamo anche pensare di essere atei, ma in quel momento lo Spirito opera attraverso di noi e lavora a costruire il Regno servendosi delle nostre mani.
Voglio fermarmi qui, facendo rilevare come la caratterizzazione del giudizio finale secondo il Vangelo si colloca a distanza siderale da un discorso di potere. Storicamente, purtroppo, gli uomini, invece di fare di sé stessi strumenti di Verità e mani amorose che condividono, si sono determinati come iene della Verità e mani rapaci, per tradurla, la Verità, in potere, in ricchezza, in superbia, in zelante servizio al principe di questo mondo, a sua maestà Mammona.
Dentro a questo peccato S. R. Chiesa ha preso residenza stabile dal tempo di Costantino, prostituendo l’Amore in potere, persiste nella propria simbiosi con l’Impero, bruciando tesori di soggettivo positivo, espressi da tutti coloro che sono in buona fede, a favore dello strutturale maligno, il capitalismo privato, il mercato, la competizione, il beati gli indefinitamente ricchi della cultura occidentale USA-dipendente.
Considerando la cosa da questo punto di vista e guardando ai misfatti del “cristianesimo reale”, appare chiaro che le chiavi hanno sbagliato serratura. Noi le abbiamo adattate alle porte della Geenna, dove sarà pianto e stridore di denti, e dove pavimento e pareti saranno rivestite non dalle pelli delle pecore, ma da quelle dei pastori. Per le pecore però sarà una magrissima consolazione....
Mario Mariotti
* IL DIALOGO, Sabato, 02 giugno 2007
Lettera al presidente della Cei, Mons. Angelo Bagnasco arcivescovo di Genova
di Paolo Farinella, prete
Riceviamo da don Paolo Farinella, prete genovese, questa lettera a mons. Bagnasco che molto volentieri pubblichiamo. Chi volesse esprimere il proprio parere può farlo usando gli appositi link in fondo a questa pagina.
Nell’inviare questa lettera don Paolo ha premesso la seguente spiegazione del perchè essa è stata resa pubblica che anche rendiamo noto ai nostri lettori. *
«Care Amiche e amici,
invio questa lettera spedita al mio vescovo, nonché Presidente della Cei prima privatamente e dando una settimana di tempo per un eventuale incontro di approfondimento. Non ho avuto alcun riscontro per cui mi sento libero di renderla pubblica. Molte altre cose avrei voluto dire, ma dovevo restare entro una pagina. Sarà per la prossima lettera d’amore.
Il giornale L’Unità mi aveva contattato per pubblicarla, ho aspettato due giorni, ma visto che non anche lì non ne fanno nulla (visti i tempi e le fascine di legna accatastate alla bisogna!!!!), la metto in rete. Lo scopo non è di discutere, ma solo di offrire una opinione personale. Può essere condivisa o no. Non attendo risposte, ma solo il rispetto che si deve alla buona fede.
Se volete divulgarla attraverso i vostri mezzi, fate pure. Io sono tranquillo con la mia coscienza e davanti a Dio, come si conviene ad un credente che non può tacere di fronte all’immondo mercimonio a cui è sottoposta la religione ai nostri giorni. Forse ad alcuni arriverà in doppio, forse ad altri non arriverà punto, forse qualcuno è finito nella mia rubrica per opera divina, insomma... chi vuole essere cancellato me lo dica.
Un abbraccio a tutte e a tutti
Paolo Farinella, prete Genova»
Lettera al presidente della Cei, Mons. Angelo Bagnasco arcivescovo di Genova
Sig. Presidente,
Il 12 maggio in piazza S. Giovanni a Roma al raduno organizzato dalla Presidenza della Cei attraverso le aggregazioni laicali cattoliche, è accaduto un fatto grave che come presidente dei Vescovi italiani non può lasciare senza risposta. Silvio Berlusconi, notoriamente divorziato e felicemente convivente, ha dichiarato che i cattolici coerenti non possono stare a sinistra, asserendo con questo che devono stare a destra, cioè con lui e con il suo liberismo che coincide sempre con i suoi interessi e mai col «bene comune».
Non è questa la sede per stabilire i confini di «destra» e «sinistra». Una sola annotazione: da tutta la letteratura documentale del magistero, da Leone XIII al «Compendio» pubblicato nel 2004 da Giovanni Paolo II, risalta che i programmi della «sinistra», presi nella loro globalità e alla luce della categoria dirimente del «bene comune o generale» sono molto più vicini alla «dottrina sociale della Chiesa» di quelli della «destra», che, al di là delle parole ossequiose e strumentali, sono la negazione di quella dottrina nei suoi principi essenziali (bene comune, democrazia, legalità, stato sociale, ecc.). Alcide De Gasperi, già negli anni ’50, definiva la DC «un partito di centro che guarda a sinistra».
Benedetto XVI ad Aparecida in Brasile ha detto che la scelta preferenziale dei poveri è costitutiva della Chiesa e ha dichiarato la fine del marxismo (forse intendeva dire del marxismo ideologico e storico come realizzato nel sovietismo) e il fallimento del capitalismo. Silvio Berlusconi è il rappresentante più retrivo del capitalismo speculativo e senza regole, appena condannato dal papa, perché egli adora un solo dio e ha una sola religione: il mercato. A condizione però che il mercato faccia gli interessi dei ricchi, i quali, si sa, sono capaci di sprazzi di «compassione» ed elargiscono elemosine ai poveri, magari davanti alla tv, conquistandosi anche il paradiso e risolvendo il rebus del cammello e della cruna dell’ago. Con le sue tv commerciali, egli guida e gestisce il degrado morale del nostro popolo, imponendo modelli e stili di vita che sono la negazione esplicita e totale di tutti i «valori» cristiani che il raduno del Family Day voleva affermare.
E’ notizia di oggi (14 maggio 2007) che Berlusconi ha comprato la società Endemol, la fabbrica del vacuo, dei grandi fratelli e del voyeurismo amorale e anti-famiglia che fornisce anche la tv di Stato che così viene ad essere, a livello di contenuti, totalmente nelle sue mani. Il conflitto di interessi ora è totale. La sua presenza ad un raduno di cattolici manifestanti a favore della famiglia è strutturalmente incompatibile. Egli non può stare nemmeno nei paraggi del cattolicesimo che di solito ossequia subdolamente e di cui si serve con qualsiasi strumento economico o di potere. Mi fa ottima compagnia P. Bartolomeo Sorge S.J. che ha dimostrato con ampia facoltà di prova sulla scorta del magistero ordinario nei memorabili editoriali di Aggiornamenti Sociali, l’incompatibilità del berlusconismo con la dottrina sociale della Chiesa e ancora di più con i principi esigenti del cristianesimo.
Un altro campione di famiglia cattolica, pontificante al raduno, fu il deputato Pierferdinando Casini. O tempora! O mores! Il 19 ottobre 2005, all’inaugurazione dell’anno accademico nella Università del Papa, la Lateranense, il Gran Cancelliere, Mons. Rino Fisichella, ebbe l’ardire di presentarlo come esempio di persona che «forte della sua esperienza trentennale di vita politica e sostenuto da una forte coscienza cristiana, può offrire a noi tutti un chiaro esempio di come la fede possa ispirare comportamenti politici liberi e coerenti nella ricerca del bene comune». Parole di un vescovo, Gran Cancelliere nell’Università del Papa, ad un cattolico praticante, divorziato e felicemente convivente con prole.
Tutto ciò crea disorientamento, scandalo e sconcerto nei cristiani che faticano ogni giorno a fare conciliare l’esigenza della fede con il peso delle situazioni della vita, a volte insopportabili. Ad un uomo divorziato che, di fronte a queste dichiarazioni, affermava il suo diritto di «fare la comunione», non ho potuto dare torto, perché non potevo contestare l’autorevolezza di un vescovo e Gran Cancelliere del Papa: ho dovuto dirgli che aveva ragione e che sulla coscienza e responsabilità di Mons. Fisichella, del deputato Pierferdinando Casini e di Silvio Berlusconi, divorziati e conviventi, paladini difensori della «famiglia tradizionale», dell’indissolubilità del matrimonio, poteva andare tranquillo. Rilevo di passaggio che sia Casini che Berlusconi, in quanto parlamentari, usufruiscono «già» per i loro conviventi di tutti i benefici che contestano al progetto di legge sui «DICO».
O la Chiesa è coerente fino allo spasimo, fino al martirio, sapendo distinguere i falsi profeti per difendere le pecorelle dal sopruso e dalla sudditanza di avventurieri senza scrupoli, o la Chiesa si riduce ad una lobby che intrallazza interessi materiali con chiunque può garantirglieli. E’ una questione «di verità» per usare un’espressione a lei cara. Sulla stampa (la Repubblica 14-05-2007, p. 9) all’interno di una intervista, mons. Giuseppe Anfossi, responsabile Cei per la famiglia, ha dichiarato che Berlusconi si assume la responsabilità di ciò che ha detto. Non parlava però a nome della Cei che, credo, abbia l’obbligo di fare chiarezza e prendere le distanze da simili individui che non fanno onore né alla chiesa, né alla politica (nella concezione espressa da Paolo VI), né al popolo italiano. Se non vi sarà una chiarificazione ufficiale da parte della presidenza della Cei resterà un «vulnus» che ne appannerà la credibilità.
Sulla stampa sono stati pubblicati i capitoli dell’8 per mille che hanno cofinanziato il raduno del Family Day, suscitando in larghi strati del popolo cattolico una reazione a devolvere altrove la quota della Chiesa, generando ancora una volta una scollatura più grande tra popolo di Dio e Gerarchia che ormai sembrano camminare su sentieri diversi. Mi auguro che lei abbia il coraggio necessario, adeguato alla situazione.
E’ mia intenzione nella giornata di lunedì 21 maggio 2007, rendere pubblica questa lettera di credente ferito che si dissocia dalle parole per nulla cristiane di Silvio Berlusconi e anche dal silenzio pesante della Presidenza della Cei. Nessuna pretesa, solo una testimonianza «nunc pro tunc».
Genova 14 maggio 2007
Paolo Farinella, prete
* IL DIALOGO, Venerdì, 25 maggio 2007
Ma chi sono i veri terroristi?
di Gianni Rossi Barilli (il manifesto, 17.05.2007)
Stando alla propaganda del Vaticano, è un terrorista chi scrive sui muri «Bagnasco vergogna» con riferimento alle note posizioni del presidente della Cei su Dico e omosessualità. Bisognerebbe perciò chiedersi come definire chi mette all’indice le unioni gay e lesbiche in quanto «nemiche della cristianità», come ha fatto proprio ieri il segretario della Cei Betori. O chi, come don Bagnasco, accosta l’approvazione dei Dico all’accettazione dell’incesto o della pedofilia. O chi, come papa Ratzinger, scaglia con ossessiva frequenza anatemi contro l’omosessualità sostenendo che si tratta di una condizione disordinata, innaturale e pericolosa per la società. O chi, come Savino Pezzotta, promuove una manifestazione oceanica per chiedere «più famiglia e meno gay» partendo dall’erroneo presupposto che i privilegi dell’una siano in contrasto con i diritti degli altri.
L’elenco potrebbe continuare più a lungo di qualsiasi rosario, sgranando le prose calderoliane contro i «culattoni», i deliri omofobici teo-dem e neo-dem, le maledizioni di rabbini e imam e via discorrendo. Ma ci fermiamo qui perché tanto le urla di guerra del post-illuminismo italiano riempiono già a sufficienza le cronache di stampa e tivù. Ciò che più interessa, in occasione della giornata mondiale di lotta all’omofobia, è valutare qualche dato di realtà.
Per esempio che la chiesa e il suo codazzo di oscurantisti per fede o per convenienza stanno al centro dell’attenzione nazionale da mesi nella loro incendiaria campagna contro gli omosessuali. E con tutto questo si protestano oppressi e imbavagliati di fronte a qualunque civile espressione di dissenso. Oppure il fatto che l’accusa di terrorismo pronunciata contro chi se la prende con i preti (anche in modo per niente civile) non ha grazie al cielo prodotto finora nessun ferito né tantomeno nessun morto nelle già esigue file del clero secolare.
La situazione è invece diametralmente opposta per quanto riguarda non solo i diritti familiari ma anche più banalmente umani delle persone gay, lesbiche e transessuali. Già l’idea che si consideri come un’opzione di «sinistra radicale» la loro possibilità di vivere tranquillamente senza doversi nascondere o dover essere puniti per ciò che sono, la dice lunga su come sta messa l’Italia. Ma questo in fondo è il meno, di fronte ai problemi molto più seri che la recrudescenza omofobica provoca nel nostro paese. L’accresciuta visibilità degli omosessuali e delle loro richieste di integrazione civile sta producendo infatti reazioni che vanno ben oltre un dibattito politico sgangherato in cui tengono banco argomenti dialettici del tutto privi di fondamento razionale.
Le cronache degli ultimi tempi parlano a questo proposito molto chiaramente. E dicono di brutali aggressioni ai danni di rappresentanti di associazioni glbt, com’è accaduto a Udine, Viareggio e Milano, colpiti in quanto omosessuali visibili. E di atti vandalici e intimidatori a ripetizione contro sedi politiche glbt in diverse città. E di gesta di cruento bullismo nelle scuole contro ragazzi percepiti come gay e mandati per questo all’ospedale, quando non hanno deciso di togliersi di mezzo da soli suicidandosi come ha fatto Matteo, lo studente torinese sedicenne la cui morte ha per qualche giorno commosso l’Italia senza tuttavia produrre risultati che facciano sperare in futuro di poter prevenire episodi del genere. Senza contare poi l’ordinaria amministrazione, che in conto all’omofobia di marginali frange della popolazione mette alcune decine di omicidi all’anno, maturati come si diceva una volta (e in qualche caso ancora oggi) nello «squallido mondo degli omosessuali». Se non si trattasse «solo» di gay, lesbiche e trans un quadro simile avrebbe già fatto scattare l’emergenza nazionale. Ci si preoccupa invece ben di più di garantire il diritto degli omofobi a rimanere tali. Dove andremo a finire di questo passo?
Se chiesa e destra vanno in piazza insieme
di EDMONDO BERSELLI *
MAI la Chiesa, negli ultimi vent’anni, era stata così vicina alla politica, così influente, così ingombrante. Affiancata dai partiti di destra, e con il centrosinistra scompaginato dal conflitto interno, non dichiarato e non elaborato, sulla laicità. Se le cose stanno così, se questa diagnosi è realistica, sabato scorso in Piazza San Giovanni è avvenuto un disastro politico e civile. E allora vale la pena di guardarlo in profondità, senza complessi. La prima e fondamentale conseguenza del Family Day è evidente: si è saldato un fronte tra ampi settori del mondo cattolico e la destra italiana.
E ciò è avvenuto in un modo e con un’intensità tali da sorprendere gli stessi vertici ecclesiastici, la segreteria di Stato vaticana, la Conferenza episcopale. Alla Chiesa post-wojtyliana era ovviamente utile una dimostrazione di forza, anche per esibire uno di quegli spettacoli di mobilitazione che senza il carisma di Giovanni Paolo II risultano difficili da riprodurre oggi sulla scena pubblica. Ma è tutto da provare che per la gerarchia cattolica fosse davvero conveniente quella spettacolare fusione di morale e politica, di alto magistero e di bassi interessi di bottega, che se da un lato ha esibito l’adesione popolare ai temi della famiglia, dall’altro ha permesso il sequestro politico di piazza San Giovanni da parte dei leader del centrodestra.
La presenza di Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini rappresentava con chiarezza qual era una finalità possibile del Family Day, almeno nelle intenzioni dei suoi sponsor politici più spregiudicati: e cioè mettere in rilievo che l’appello per una "politica per la famiglia" rappresentava invece l’opportunità per una polemica caldissima contro il riconoscimento legale delle unioni civili. Ossia per dividere in due, con volontà esplicita, l’opinione pubblica: in modo da poter attestare che da una parte, a destra, ci sono i buoni cattolici, e dall’altra, a sinistra, c’è una consorteria di avversari, di "laicisti", di personalità insensibili alle grandi verità religiose.
In quella compagine ostile alla Chiesa e ai suoi fondamenti, guidata dal Prodi "rovinafamiglie" immortalato sulle magliette, i cattolici del centrosinistra si trovano in difficoltà. Secondo l’intonazione psicologica della piazza anti-Dico, il mondo cattolico non è rappresentato da Clemente Mastella o da Francesco Rutelli, e meno che mai da Rosy Bindi; costoro non rappresentano nessuno e non sono neppure la foglia di fico sulle vergogne laiciste del centrosinistra: ne è una riprova a contrario l’accoglienza entusiastica riservata a Silvio Berlusconi, a testimonianza che c’è stata una fusione politica, di popolo, fra le posizioni cattoliche più intransigenti e la scelta per il centrodestra.
Matrimonio d’interesse e d’amore. Sicché è superfluo sottolineare che il raid di Silvio Berlusconi durante il Family day è stato un gesto politicamente impegnativo, anche a prescindere dalla violenza delle sue parole, quelle frasi provocatorie secondo cui non è possibile essere contemporaneamente fedeli cattolici e di sinistra. Berlusconi ha realizzato uno dei suoi blitzkrieg, e ha tentato di mettersi in tasca in un colpo solo l’ideologia della famiglia, il movimento ecclesiale, i sostenitori del matrimonio, gli oppositori del divorzio e dell’aborto, i contestatori della procreazione assistita, dei Dico e delle unioni omosessuali.
Ebbene, sarebbe il caso di capire come la pensa la Chiesa, al suo vertice, dell’appropriazione indebita delle istanze cattoliche e delle masse dei fedeli convenute a Roma per sostenerle. Riesce incongruo infatti credere che la gerarchia giudichi utile, cioè politicamente conveniente, e spiritualmente convincente, il cinismo opportunista con cui Berlusconi e i suoi alleati hanno confiscato la comunità ecclesiale (almeno quella parte che interpreta l’appartenenza al cattolicesimo con uno spirito di rivalsa, di rivincita, di spagnolesca "reconquista"). Vale a dire sulla base di un’idea di divisione, senza nascondere una chiara inimicizia contro quella parte di società, di politica e di cattolicesimo che la pensa diversamente.
Va da sé che la Chiesa non possa accettare di essere sequestrata in vista dell’utilità politica di una parte. E quindi non è del tutto irrealistico attendersi qualche presa di distanza, fosse anche soltanto una sottigliezza per smarcarsi. Questo perché monsignor Angelo Bagnasco deve ancora guadagnarsi la titolarità della sua azione come presidente della Cei, uscendo dalla definizione ristretta di successore di Ruini. E il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, deve curare anche le diplomazie con il governo attuale e con i ministri cattolici che ne fanno parte. E va rilevato nel frattempo che Bagnasco ha taciuto sostanzialmente sul Family Day: ciò è un sintomo di quanto sia arduo rinnovare in modo originale la linea dell’episcopato, ma anche un indizio della sua prudenza.
Tuttavia il punto cruciale è evidente di per sé: comunque si sia verificata, non si è mai vista, in tempi di bipolarismo, una collocazione così netta ed esclusiva della Chiesa a fianco di una parte politica. Al di là dei riverberi più evidentemente confessionali, si prospetterebbe una conseguenza politica di estremo rilievo, cioè un attrito vistoso con l’intera evoluzione del sistema politico: la formula bipolare infatti doveva consentire la libera collocazione politica dell’elettorato cattolico.
Viceversa, una variante estremistica come quella prospettata sabato da Berlusconi, i cattolici di qua e i miscredenti di là, assomiglia più a un’eresia manichea che a un criterio di ragionevolezza politica. Altro che suggestioni neoguelfe: qui è potenzialmente in gioco la "cattura" della Chiesa da parte di uno dei giocatori politici. E dunque, se il mercante sequestra il tempio, sarebbe interesse della comunità ecclesiastica che emergessero voci e figure indisponibili a schiacciarsi su una soluzione politica confessionale, con le ripercussioni politiche che si possono immaginare. Di tutto infatti avrà bisogno la Chiesa, ma non di una guerra di religione. E neppure di diffidenze e ostilità speculari sul piano del governo e delle istituzioni.
Tanto più che sullo sfondo del Family day (e delle contrapposizioni tra Vaticano e sinistra, dal referendum sulla fecondazione assistita ai Dico), sono entrati in gioco principi basilari in materia di laicità dello Stato, suscettibili di favorire contrasti pesanti dentro il centrosinistra. Per ora nell’Unione il conflitto non è esploso, ma non c’è dubbio che sulla piazza del Family Day si sono compiuti sacrifici politici pesanti: si è sacrificata in primo luogo una parte della presenza e credibilità pubblica dei Ds.
Il silenzio dei Ds è una scelta obbligata, dettata dall’impossibilità di parlare, perché parlare equivarrebbe a innescare la contrapposizione con il proprio alleato, la Margherita, proprio mentre si sta avviando il processo che conduce alla nascita del Partito democratico. Ma la rinuncia effettiva a qualificare la propria presenza nel Pd, da parte diessina, è già di per sé un’abdicazione; e anzi l’effetto della distorsione prodotta dalla politicizzazione della religione, dall’abbandono di un criterio comune di laicità.
Il Family Day, insomma, ha avuto conseguenze sui due lati della struttura politica italiano: ha reso asimmetrici gli schieramenti, ha squilibrato il bipolarismo, dà un’inflessione clericale al giudizio sull’azione di governo.
Sarà il caso che tutto il centrosinistra, da Romano Prodi in giù, valuti con attenzione queste ripercussioni e le risposte possibili. Ma anche da parte ecclesiastica dovrebbe esserci la percezione che il nuovo integralismo, la comunanza indistricabile e "simoniaca" fra destra e Chiesa, è una distorsione del meccanismo democratico, e potenzialmente una perdita grave in termini di ricchezza e libertà della convivenza civile.
* la Repubblica, 14 maggio 2007
Buongiorno Scalfari, ho come l’impressione che il mio commento non sarà approvato dall’amministratore del sito, chissà perchè, ma faccio lo stesso un tentativo.. Mi presento: sono una ragazza di 25 anni, sto per laurearmi in Economia e Commercio, sono cattolica convinta e praticante: per quest’ultimo motivo non posso e non voglio stare zitta dopo la lettura del suo articolo sul familismo e sul family day. E’ davvero triste che una giornata bellissima e positiva come quella del family day sia stata descritta da Lei come anti democratica e come una manifestazione che affossa la laicità dell’Italia. Voglio fare solo alcune precisazioni:
1. laicità dello stato significa necessità che i diritti civili, quali ad esempio il diritto di voto attivo e passivo, siano riconosciuti a tutti i cittadini indipendentemente dall’appartenenza ad una data confessione religiosa o meno. Per fortuna, tutti gli Stati industrializzati tra cui l’Italia garantiscono e difendono la laicità. Molti Paesi islamici, invece, non riconoscono diritti civili a coloro che non professano la religione islamica. Ciò è molto grave, ed è un rischio che per fortuna in Italia non si corre!!!
2. laicità dello stato non significa pretendere che la Chiesa tramite i suoi rappresentanti non possa esprimere opinioni ed indirizzare le coscienze dei credenti e dei non credenti, perchè è questa la sua missione! Sta poi ai singoli, credenti e non credenti, decidere LIBERAMENTE se attenersi ai dettami della morale della Chiesa o meno. Ad esempio: due anni fa, in occasione del referendum sulla procreazione assistita, io ho ascoltato quanto detto dalla Chiesa, ma nessun prete o vescovo è venuto a controllare se sono o no andata a votare, e per cosa ho votato. E’ stata una mia libera scelta adeguarmi ai dettami della Cei, e Le dirò di più: se la Chiesa non avesse detto niente in via ufficiale, sarei andata io stessa ad informarmi e a chiedere al mio parroco cosa secondo lui e secondo i principi cristiani sarebbe stato meglio votare. Poi nella libertà avrei deciso se seguire i consigli del mio parroco o meno!!!!
3. mi piacerebbe chiamare le cose con il loro nome: la manifestazione del family day è stata una manifestazione del popolo, di un popolo che non si sente rappresentato dalla tv e dai giornali, è stata una grande manifestazione DEMOCRATICA, perchè "democrazia" significa libertà di pensiero, di parola, di azione (ovviamente parole e azioni che non siano contrarie a normative di legge vincolanti) e libertà di espressione di tali pensieri parole ed azioni!! Noi, cattolici e laici, al family day abbiamo espresso il nostro pensiero, tra l’altro senza insultare quelli che la pensano diversamente: cosa c’è di non democratico????????? O forse non è democratico chi vorrebbe farci tacere??????????????
4. da ora in poi non associ noi cattolici alle destre, come ha scritto nel suo articolo.. sa, a furia di sentirselo dire e di sentirsi sempre sbeffeggiati, criticati e derisi dalle sinistre, si va per forza tutti a destra!!!!!! Per me è stato così.. (sono sempre più convinta che non pubblicherà il mio intervento, anche se spero di sbagliarmi!)
5. agganciandomi al punto precedente, è troppo chiedere rispetto per la propria appartenenza religiosa, proprio come chiedono rispetto altri credenti di altre religioni?? Gli islamici (non tutti, solo la frangia integralista) hanno ottenuto rispetto grazie ad attacchi terrorostici e morti.. solo così si può ottenere rispetto per il proprio credo???? La prego, mi risponda di no...
Elisa Barilati
Oggi è chic, di moda, sputare sul Papa e sulla Chiesa.
Questa testata, come avrai notato, grazie al nostro Prof., si è adeguata ai tempi.
Vorrebbero emarginarci, imbavagliarci, inneggiando alla laicità dello stato, facendo finta che la Costituzione (la loro "bibbia") esiste solamente quando fa loro comodo (dimenticando, così, d’improvviso, l’art. 21 della Costituzione Italiana o il Concordato !).
Quando, poi, inzittirci non riescono, allora passano alla minaccia, alla violenza verbale e psicologica (vedi caso Bagnasco).
Lo possono fare perchè Ratzinger e la Chiesa attuano il perdono, la misericordia e non, come hai fatto notare tu, la sharia !
Spero che abbiano capito, anche attraverso la manifestazione del Family Day di ieri, che questa loro campagna intimidatoria è destinata al fallimento. Testimonieremo e difenderemo la nostra fede nella società a qualunque costo. Nessuno riuscirà a distruggere la nostra identità, nessuno potrà mai impedirci di vivere la nostra fede con quella forza, determinazione, serenità, letizia e gioia che il Maestro ci ha insegnato e che il Santo Padre ci ricorda continuamente.
"Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me" (Gv 15, 18)
Cari Saluti
biagio allevato
I toni della Chiesa
di ELISA MERLO Il Sole 24 Ore, 11 maggio 2007
Gentile direttore,
Baget Bozzo su "La Stampa" del 7 maggio, tenta di giustificare l’Osservatore Romano che ha usato "un termine così inaudito come «terroristi»" (cito le sue parole), affermando che "la Chiesa avverte d’essere odiata dalla società in cui viviamo". Ora, a parte il fatto che forse si sentirà odiato qualche alto prelato, ma certamente non tanti sacerdoti che stanno vicino alla gente, la reazione dell’Osservatore Romano è sempre ingiustificata e sproporzionata. Troppe volte la gerarchia ecclesiastica si allontana dall’"uomo dei dolori" che stette «come un agnello condotto al macello, come pecora muta davanti ai suoi tosatori» (Isaia 53, 7). Anzi, alle volte si comporta esattamente il contrario. Sarà anche questo a renderla invisa a qualcuno? E’ vero che è difficile porgere l’altra guancia, ma toni più pacati, perlomeno, non guasterebbero.
Elisa Merlo
P.S. Il Sole 24 Ore ha tagliato esattamente la prima metà della lettera.
Famiglia e pretesti
di BARBARA SPINELLI (La Stampa, 13/5/2007)
Quel che toglie il respiro, nelle parole che Gesù pronuncia nei Vangeli, è il precipizio drammatico in cui getta la famiglia. È vero che l’uomo non può separare quel che Dio unisce, in Matteo la prescrizione è chiara, ma questo è l’unico punto fermo del suo messaggio. Intorno a questo punto ogni cosa trema a cominciare dalla famiglia, vista come tormento sempre imminente: al pari dell’appartenenza etnica, delle tradizioni, dei riti canonici, l’istituto familiare può trasformarsi in gabbia che incatena l’uomo alla natura, alla carne. Quando Nicodemo va a trovarlo, nel Vangelo di Giovanni, per sapere come sia possibile entrare una seconda volta nel grembo della madre e rinascere, Gesù gli dice che non è nel legame di sangue e nella natura che l’uomo rinasce cristiano ma in altro modo: dall’alto, dallo spirito.
Dalla famiglia naturale si deve uscire, per avvicinarsi a Dio. «Che ho da fare con te, o donna?», chiede alla madre. E fin da adolescente risponde ai genitori che lo cercano e s’angosciano: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». E il giorno che madre e fratelli lo visitano insorge: «Chi è mia madre e chi i miei fratelli?», per poi volgere lo sguardo a chi gli sta intorno e dire: «Ecco mia madre e i miei fratelli». E in Luca: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo». Gli è discepolo chi «ascolta la parola di Dio e la mette in azione». Chi «beve il calice». Chi «porta la croce». Gesù è erede di Giobbe. Nella tribolazione nessun parente ama Giobbe, e meno di tutti la sposa che urla: «Rimani ancor fermo nella tua integrità?
Benedici Dio e muori!». Chi evoca le radici cristiane d’Europa non può non ricordare questa rottura profetica con ogni genealogia, che caratterizza il cristianesimo e che non promette a nessuno stabilità, durata naturale. Chi cerca stabilità ha bisogno della politica e di uno Stato autonomi da fedi, privati interessi e insurrezioni del cuore. Non è inutile ricordare le parole bibliche, all’indomani dell’immensa manifestazione cui è stato dato il nome, chissà perché inglese, di Family Day. Una manifestazione aperta ai laici ma che dalla Chiesa è stata suscitata, favorita, in opposizione alla legge che vuol tutelare i conviventi. Una manifestazione che ha difeso nei fatti un interesse privato, mettendo in concorrenza famiglie dette normali e unioni dette anormali, famiglie che s’avvalgono d’un supposto diritto naturale e unioni senza tutele. A Piazza Navona c’erano i laici e i cattolici che chiedevano diritti per tutti, matrimoni e Dico: non potevano vantare il successo numerico d’un Family Day che ha alle spalle la capacità organizzativa dell’associazionismo cattolico. Ma anche i dimostranti del Coraggio Laico erano lì a testimoniare una tradizione antica e forte.
Le parole dei Vangeli aiutano a separare il profondo dalla superficie, il profetico dai calcoli di potere. La famiglia come dramma costante, la predilezione di Gesù per il vincolo che non è quello del sangue e per l’amore del prossimo «messo in azione»: questo linguaggio profetico era assente nel Giorno della Famiglia. C’erano le masse oceaniche che hanno magnificato la famiglia come unica cellula naturale della società, e le masse oceaniche - la storia l’attesta - non sono profetiche. I propugnatori dicono d’aver voluto difendere una famiglia italiana poco protetta, e hanno ragione di dirlo. Ma la polemica contro i Dico era evidente. Come lo era la polemica contro una legge che, secondo gran parte del clero, infrange il sacramento coniugale. Altrimenti non sarebbe stato scelto il 12 maggio, anniversario del referendum sul divorzio.
La maggioranza che governa è divisa su questo punto. Un partito sta nascendo - il partito democratico - che vorrebbe essere egemonico a sinistra ma che non ha trovato un accordo sull’autonomia della politica, cioè sull’essenziale. È stato detto che la sinistra è prigioniera di tradizioni troppo libertarie, allo stesso modo in cui è insensibile ai temi della sicurezza. Cosa solo in parte vera: la famiglia esaltata dai comunisti era un collettivo castigatore di costumi, la sicurezza repressiva fu un fondamento nel comunismo. Non è con la sinistra storica che oggi si regolano i conti ma con le metamorfosi sociali e dei diritti individuali inaugurate dal Sessantotto. È quel che oggi accomuna le destre in Italia e Francia. Queste destre usano la religione e il clero, quando invocano il ritorno a autorità forti e a un ordine naturale. Quando proclamano, come ieri Berlusconi, che «un cattolico non può esser di sinistra». Il dibattito su natura contro cultura, su diritto naturale contro diritto positivo è una trappola per il legislatore. La famiglia non è diritto naturale: è figlia di una tradizione, non della natura. E il matrimonio è un sacramento a partire dal XIII secolo, non è iscritto nella Bibbia e non è condiviso da tutti i cristiani. Dice giustamente Gustavo Zagrebelsky che ci si aggrappa al diritto naturale come a un’assicurazione, che «non c’è nulla di meno produttivo e di più pericoloso che collocare i drammatici problemi dell’esistenza nel nostro tempo sul terreno della natura. A partire dal momento in cui in nome di questa natura e del sacramento si incita a disobbedire alle leggi non solo i cittadini, non solo categorie di esercenti funzioni pubbliche (medici, paramedici, farmacisti) ma addirittura i giudici, cioè proprio i garanti della convivenza civile, la Chiesa diventa elemento di confusione e nei fatti sovversiva, ponendosi unilateralmente al di sopra delle leggi e della Costituzione» (la Repubblica, 4 aprile 2007).
Le divisioni nel governo e la maniera in cui i vertici ecclesiastici ne profittano hanno oscurato quel che sta accadendo nelle nostre società, e che ha portato anche l’Italia - dopo più di dieci Paesi europei - a legiferare sulle unioni di fatto. Non è un estendersi dei mali moderni paventati in Vaticano: del relativismo, dell’edonismo. Quel che vivono i cittadini è una trasformazione e una crisi profonda della famiglia, ed è l’aumento di unioni che si formano fuori dal matrimonio anche perché la famiglia è tanto degradata. Le unioni di fatto oggi non reclamano solo diritti, né sono corrotte da edonismo: nel duro mondo del lavoro precario, delle abitazioni introvabili, dei figli squattrinati costretti a restare in famiglia, c’è una sete immensa di legge, di norme, che rendano salde e durevoli unioni timidamente sperimentate. C’è domanda di diritti, sì, ma anche di doveri: ad esempio il dovere di non lasciare soli in ospedale l’amico o l’amica, o di donar loro un’eredità. Quel diritto-dovere di stare accanto al convivente senza esser cacciati dall’ospedale non distrugge la famiglia classica, e dirlo è molto crudele. I matrimoni si degradano da soli, non per colpa di chi pensa, vive, ama, muore in modo diverso.
L’opposizione ai Dico, compresa l’opposizione alla convivenza fra persone dello stesso sesso, non può pretendere a incarnare una civiltà. Viene presentata come tale, ma quel che esprime è piuttosto spirito del tempo, parere categorico d’una maggioranza, difesa d’un interesse privato fatta propria da una parte della popolazione che si sente minacciata dalla concorrenza di altri interessi. Così come sono ingredienti dello spirito del tempo alcuni valori etici chiamati non negoziabili perché qualcuno, fuori dalla politica, pretende imporli d’autorità. Il mainstream o spirito del tempo è descritto come legge di natura: in realtà è una corrente di pensiero che senza più complessi ignora i patimenti di minoranze. Non ci sono più doveri di solidarietà verso queste ultime, non ci sono errori o offese da riparare. È parte dello spirito del tempo anche l’offensiva, generalizzata, contro la «cultura del pentimento». Nicolas Sarkozy l’ha addirittura messa al centro del proprio programma presidenziale. Un’epoca è finita: quella degli Stati europei che riesaminavano con una certa vergogna la propria storia; quella di Giovanni Paolo II fondata sul mea culpa. Oggi si passa alla controffensiva, il ministro Mastella si proclama fieramente guelfo, e la Chiesa partecipa non senza slancio a questo pentirsi della penitenza, a questo diffuso fascino del risentimento: anche il risentimento verso quel che in passato si è pensato, detto. La Chiesa spagnola che insorge contro i matrimoni omosessuali non ha nulla da rimproverarsi, ma è tanto più cieca: gli anni di connivenza con il familismo oppressivo di Franco non le spiegano nulla. La battaglia sui valori è assertiva e rancorosa, non aspira a spiegare né a capire. In un’intervista a Michel Onfray, Sarkozy dice: «Non ho mai udito una frase assurda come il Conosci te stesso di Socrate». Il Family Day gli fa eco: il suo punto di forza non è la profezia, ma la privatizzazione-confessionalizzazione della politica.
Una piazza, tanti pretendenti Nei Ds si apre la questione laica Lite Berlusconi-Casini: i cattolici a me *
A chi la piazza? Non mancano i pretendenti, il giorno dopo Family Day e Coraggio Laico. Molti facendosi paladini di quella più affollata, San Giovanni. Una manifestazione nata ufficialmente non "contro" qualcosa o qualcuno ma poi conclusasi con una richiesta perentoria al Governo di cancellare i Dico. Richiesta venuta da Gavino Pezzotta, l’ex leader della Cisl divenuto portavoce della giornata. Subito apostrofato dalla ministra della Famiglia, Rosy Bindi, alla quale non sono piaciute le richieste dell’ex sindacalista. Il vice-premier Francesco Rutelli, che il giorno prima aveva detto che sarebbe andato a piazza San Giovanni se fosse stato un semplice deputato, non ha atteso che il mezzo milione di famiglie e parroci defluisse per annunciare solennemente che le richieste della piazza sarebbero state accolte.
Ma quali richieste? La cancellazione dei Dico o una politica per la famiglia più attenta? Certo, la prima provocherebbe facilmente una rottura drammatica dentro la maggioranza. Lo ha già fatto capire Barbara Pollastrini, ministra per le Pari opportunità. «Rimango convinta che la maggioranza della società italiana condivida valori di laicità, responsabilità e dignità della persona. Non mi faccio abbagliare da una pur grande manifestazione in un Paese che ha visto eventi altrettanto e più partecipati» dice la Pollastrini in un’intervista al nostro giornale. «Ritengo un errore, uno sciupio che qualcuno degli organizzatori voglia usare la piazza in modo strumentale e un po’ cinico contro un nemico, i Dico, che non c’è. Perchè, lo ribadisco, i Dico nulla levano alla famiglia né equiparano i diritti delle coppie di fatto al matrimonio».
In realtà la polemica dentro l’Unione è già abbastanza forte. Gli organizzatori del Coraggio Laico polemizzano con i Ds che non sono andati a piazza Navona. Duro il capogruppo de Verdi, Angelo Bonelli, che teme una marcia indietro rispetto al programma dell’Unione. «Preoccupa fortemente che il conservatore e neo presidente francese Nicolas Sarkozy abbia in tema di diritti civili posizioni molto più avanzate non solo della destra italiana - dice Bonelli - ma anche di una parte del nascente Partito Democratico. L’Italia rischia di esser portata fuori dall’Europa da una campagna politico-religiosa integralista. Se il riconoscimento delle coppie di fatto non dovesse essere realizzato verrebbe meno un impegno culturale prima ancora che politico della coalizione dell’Unione».
L’imbarazzo dei Ds rispetto alla giornata di sabato è ben rappresentato da Mercedes Presso, presidente del Piemonte, che non ha mandato giù un atteggiamento troppo tiepido della dirigenza del partito rispetto al tema della laicità. «Dopo una manifestazione come il Family Day, credo sia indispensabile che qualcuno nel partito Democratico si faccia carico di difendere i valori della cultura laica. Per questo lancerò l’idea di una componente che lavori con questo obiettivo». «Nei Ds sento molta delusione e non solo tra coloro che avevano aderito alle mozioni Angius e Musssi - ha detto la Bresso in un’intervista a Repubblica - almeno per ora, restano nel partito, ma anche tra tanti compagni della mozione Fassino. Se l’assemblea costituente del Pd sarà eletta sulla base di liste che devono presentare un programma, mi pare sensato far nascere un polo che si proponga di difendere alcuni principi fondamentali» di laicità.
Tutti, invece, se la prendono con Berlusconi, da destra e da sinistra. Il tycoon della tv era arrivato in piazza San Giovanni lanciando i suoi soliti anatemi, in particolare contro i cattolici «che non possono essere di sinistra». Facendo arrabbiare i due ministri filo-Family Day, Fioroni e Mastella, che erano passati a San Giovanni a raccogliere qualche manciata di consensi. Ma facendo usceri dai gangheri anche l’Udc Pierferdinando Casini. «Berlusconi si è messo a fare il paladino dei preti? Ognuno fa il paladino di chi vuole. Io non voglio dare giudizi, non voglio confondere il sacro con il profano e per me piazza S.Giovanni è sacra per i valori che rappresenta. Amarla significa non strumentalizzarla, però...» ha commentato l’ex presidente della Camera.
* l’Unità, Pubblicato il: 13.05.07, Modificato il: 13.05.07 alle ore 14.57
Roberto Calderoli: "Adamo e Eva battono Adamo e Giuseppe 6-0"
L’arcigay: "il Senato metta subito in discussione le necessarie dimissioni del leghista"
La Cdl in pressione sui Dico
"Gli italiani hanno detto di no"
Emma Bonino: "Per la manifestazione di San Giovanni si sono mosse 26mila parrocchie"*
ROMA - Family Day il giorno dopo. L’opposizione, dopo la grande partecipazione alla manifestazione di piazza San Giovanni organizzata dal Forum delle associazioni con il supporto della Chiesa, va in pressione sul disegno di legge sui diritti e i doveri delle persone conviventi. "I Dico non passeranno, la maggioranza li ha già affossati". Così il coordinatore di Forza Italia Sandro Bondi, ospite della trasmissione ’In mezz’ora" su Rai Tre. Bondi ha spiegato che Forza Italia ha presentato una proposta di legge che "riconosce i diritti personali e individuali delle persone omosessuali, ma senza equiparare le relazioni omosessuali alla famiglia." Il senatore dell’Udc Francesco Pionati ha detto che "la strada dei Dico è sbarrata", mentre per Isabella Bertorlini di Forza Italia "ieri gli italiani hanno detto di no a Prodi e ai suoi Dico".
Commentando il Family Day, Emma Bonino, anche lei ospite del programma Rai "In mezz’ora", ha detto che per la manifestazione di San Giovanni "si sono mosse 26 mila parrocchie". Il ministro per le Politiche europee ha poi sottolineato come "Italia ci sia un ruolo spropositato e invadente delle gerarchie ecclesiastiche, un’ingerenza così spietata non si vede in nessun altro paese europeo". Un’invadenza che arriva anche ad occupare uno spazio eccessivo nei media pubblici. "Il Santo Padre è il leader che ha più spazio in assoluto nei telegiornali". La Bonino ha espresso anche le sue perpellità sulle reali intenzioni dell’Unione sui Dico: "parti della maggioranza consistenti, quelli che ’se non fossi ministro, andrei al Family day’ per intenderci, li ha affossati".
Il leghista Roberto Calderoli ha utilizzato una metafora di cattivo gusto per paragonare le due piazze di ieri. Il vicepresidente del Senato e coordinatore delle segreterie leghiste ha detto che "ieri Adamo ed Eva hanno battuto Adamo e Giuseppe con un netto e indiscutibile 6-0. Fassino e il Palazzo non hanno capito che di piazza ieri pomeriggio ce ne è stata una sola, perché per fortuna i normali sono la stragrande maggioranza nel Paese mentre i diversi un’esigua minoranza."
Immediata la risposta dell’Arcigay alle parole di Calderoli. L’associazione chiede che il Senato "metta in discussione le necessarie dimissioni di Roberto Calderoli". Il nuovo presidente Aurelio Mancuso ha detto che è "vergognoso che una persona che ricopre un incarico istituzionale di così alto livello insulti una parte importante del Paese."
* la Repubblica, 13 maggio 2007
Il Papa parla Conferenza degli alti prelati del continente, denunciando i rischi della globalizzazione e rilegittimando "l’opzione preferenziale per i poveri"
Benedetto XVI ai vescovi latinoamericani
"Falliti Marx e capitalismo, serve Gesù" *
APARECIDA - Da più di cinque secoli il cristianesimo, integrandosi con le etnie indigene, ha creato in America latina "una grande sintonia pur nella diversità di culture e lingue". E oggi, anche se "l’identità cattolica" del continente è minacciata, il cristianesimo resta decisivo per la dignità e lo sviluppo integrale di uomini e donne. E questo tanto più davanti al fallimento di marxismo e capitalismo, con la loro promessa di creare strutture sociali "giuste" che avrebbero automaticamente "promosso la moralità comune".
E’ il messaggio di Benedetto XVI ai vescovi latinoamericani, riuniti nel santuario di Aparecida per la loro quinta Conferenza generale. Il Papa dichiara la "continuità" tra questa e le precedenti riunioni, parla di situazione cambiata in questi anni, a causa dei risvolti negativi della globalizzazione, e denuncia il "rischio" che i grandi monopoli trasformino "il lucro in valore supremo". Rilegittima inoltre la "opzione preferenziale per i poveri", cara alla Teologia della liberazione, dichiarandola "implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi".
Davanti a 266 vescovi - 162 membri effettivi, 81 invitati, 8 osservatori e 15 periti - che da domani e fino al 31 maggio si interrogheranno su come costruire il futuro della Chiesa, insidiata da secolarizzazione e sette, nel più grande continente cattolico del mondo - Benedetto XVI si pone in una prospettiva diversa rispetto a Giovanni Paolo II, che parlò di luci e ombre dell’introduzione del cristianesimo in America latina, riconoscendo che alcuni cristiani portarono la fede, ma anche forme di crudele colonizzazione. Il cristianesimo, sottolinea invece il papa-teologo, si è integrato nelle etnie, ha creato unità e non è estraneo a nessuna cultura e persona.
Non hanno dunque senso certe tendenze indigeniste: "L’utopia di tornare a dare vita alle religioni precolombiane, separandole da Cristo e dalla Chiesa universale, non sarebbe un progresso, bensì un regresso, una involuzione". Il cristianesimo sa invece affermare che "i popoli latinoamericani e dei Caraibi hanno diritto a una vita piena", "con alcune condizioni più umane", senza "fame e ogni forma di violenza".
Benedetto Xvi spiega inoltre che "la Chiesa non fa proselitismo. Si sviluppa per attrazione": probabilmente, un modo per sottolineare in maniera indiretta le differenze, rispetto alle sette pentecostali molto presenti in America Latina.
E con la presenza ad Aparecida, il viaggio in Brasile del Pontefice volge alla fine. Nella notte italiana, è previsto il volo di ritorno, verso il Vaticano.
* la Repubblica, 13 maggio 2007
LA FAMIGLIA, IL DIVORZIO, L’ABORTO E LA POLITICA CON LA P. MAIUSCOLA
Ida Dominijanni (il manifesto,15.05.2007)
«Non dimentichiamo che nel nostro paese due leggi come quelle sul divorzio e sull’aborto sono passate perché la Politica, quella con la P maiuscola, ha creato un ampio consenso in parlamento ma anche nel paese, al di là degli schieramenti ideologici. Ecco, mi pare che la lezione delle battaglie per il divorzio e l’aborto sia stata dimenticata». Così Nicola Latorre, vicecapogruppo (ds) dell’Ulivo a palazzo Madama, intervistato da Maria Teresa Meli sul Corsera di ieri. Com’è vero che la memoria divide: a me viene da replicare con le stesse parole, «mi pare che la lezione delle battaglie per il divorzio e l’aborto sia stata dimenticata», per ragioni esattamente opposte a quelle addotte da Latorre, il quale invoca «la politica con la P maiuscola» contro «il minoritarismo» che a suo giudizio marchiava sabato scorso la risposta dell’«orgoglio laico» di piazza Navona al Family Day di piazza San Giovanni.
Ora. Nel nostro paese né la legge sul divorzio né quella sull’aborto sarebbero mai state approvate (e confermate con i relativi referendum) senza l’apporto politico e culturale non laterale ma determinante di minoranze quali: un signore socialista che si chiamava Loris Fortuna e presentò con grande scandalo il primo progetto di legge sul divorzio nel ’65, i radicali che sia del divorzio sia dell’aborto fecero due bandiere irrinunciabili, i gruppi della nuova sinistra post-sessantottina che ne fecero due terreni di scontro con la cultura del Pci, e soprattutto il movimento delle donne che interpretò l’una e l’altra battaglia in modo inedito cioè rispondente all’esperienza (e all’elettorato) femminile.
Può darsi che tutti costoro abbiano - abbiamo - fatto una politica con la p minuscola, il che ci fa onore visto lo stato di salute non proprio eccellente di quella con la P maiuscola; di certo non era una politica minoritaria, essendosi rivelata anzi nell’uno e nell’altro caso nettamente maggioritaria, cioè in grado di interpretare un mutamento sociale e di mentalità che nell’uno e nell’altro caso i partiti maggiori, cioè la Dc e il Pci, temevano e negavano con tutte le loro forze, rivelandosi nettamente minoritari. Ai tempi del referendum sul divorzio, il Pci temette fino alla sera dei risultati un voto femminile conservatore, senza percepire neanche vagamente che le donne stavano diventando la punta più avanzata del mutamento sociale.
Ai tempi dell’aborto, non smise mai - mai, e i suoi epigoni non smettono tutt’ora -di rubricarlo come «piaga sociale» invece che come esperienza femminile, complessa e difficile e spesso drammatica, connessa alla sfera della sessualità. Nell’un caso e nell’altro, si trattava di due questioni di libertà, che la politica con la P maiuscola tentò in tutti i modi (e nel caso della legge sull’aborto purtroppo ci riuscì) di risolvere al livello più basso di mediazione fra laici e cattolici, i quali nell’un caso e nell’altro dialogavano molto più produttivamente fuori da Montecitorio che dentro.
La manifestazione di piazza Navona sarà stata inadeguata - grazie soprattutto alla brillante assenza dei Ds - a contrastare la geometrica potenza di piazza San Giovanni, ma sarebbe il caso di raccoglierne precisamente lo spunto per un onesto paragone fra il conflitto di oggi sulla famiglia e quelli del passato sul divorzio (cioè sempre sulla famiglia) e sull’aborto. Oggi come allora, infatti, è sempre della stessa sindrome che la sinistra con la S maiuscola soffre, cioè di un’allergia rispetto alle questioni di libertà. Sul divorzio come sull’aborto come sui conviventi e gli/le omosessuali, la sinistra con la S maiuscola che dal Pci discende per li rami al futuro Pd non è mai riuscita e non riesce ad andare oltre una timida strategia di riduzione del danno (il danno del tradimento coniugale, il danno della piaga sociale, il danno del convivente senza garanzie previdenziali) e a impostarne una sulla scommessa, e i rischi, della libertà. Me se si tratta solo di ridurre danni e sanare ferite, c’è da stupirsi se i più ricorrono alla medicina della tradizione?
Bagnasco: "I politici non trascurino il family day" *
ROMA - Il "Family Day", avvisano i vescovi italiani, non potrà essere trascurato dai politici. "E’ la società civile che si è espressa in maniera inequivocabile e che ora attende un’interlocuzione istituzionale commisurata alla gravità dei problemi segnalati", ha detto oggi il presidente della Cei, monsignor Angelo Bagnasco, aprendo nel pomeriggio i lavori dell’Assemblea generale della Cei in Vaticano. La manifestazione di San Giovanni, ha aggiunto il presule, è "stato un fatto molto importante" "consolante per noi vescovi", e con "un’ottima riuscita". I vescovi italiani, ha aggiunto Bagnasco, non vogliono fare "da padroni", "parlare dall’alto", nè attentare alla laicità della vita pubblica. Il capo dei vescovi ha ricordato le minacce contro di lui e la Chiesa, e si è detto molto preoccupato riguardo "il rischio di una contrapposizione strumentale tra laici e cattolici". "Questa contrapposizione - ha detto oggi - in realtà non trova riscontro nel sentire della stragrande maggioranza del nostro popolo".
Quanto alle questioni sociali il presidente della Cei è stato altrettanto netto. "La nostra esperienza diretta - ha detto - registra una progressiva crescita del disagio economico sia di una larga fascia di persone sole e pensionate, sia delle famiglie che fino a ieri si sarebbero catalogate nel ceto medio". "E proporzionalmente - ha aggiunto - c’è un ulteriore schiacciamento delle famiglie che avremmo definite povere". Dalle segnalazioni ricevute, ha spiegato il presidente della Cei, "la situazione attualmente più esposta sembra essere quella della famiglia monoreddito con più figli a carico". "Spesso con difficoltà si arriva alla fine del mese. E’ da questa tipologia di famiglie che viene oggi alle nostre strutture una richiesta larga e crescente di aiuto- anche con i ’pacchi viveri’ che parevano definitivamente superati per lo più mascherata e nascosta per dignità".
* la Repubblica, 21-05-2007.
Benedetto XVI interviene all’assemblea generale della Cei
"La chiesa italiana grande fattore unificante della Nazione"
Il Papa: "Family Day una festa di popolo
Giusta la nota dei vescovi sui Dico" *
CITTÀ DEL VATICANO - La chiesa italiana come "chiesa di popolo" e "grande fattore unificante" del Paese; l’orgogliosa rivendicazione della nota dei vescovi italiani sui Dico e del Family Day come "straordinaria festa di popolo, che ha confermato come la famiglia stessa sia profondamente radicata nel cuore e nella vita degli italiani"; approvazione per ogni iniziativa dello Stato a favore della famiglia. Questi i cardini dell’intervento del Papa alla 57esima assemblea generale della Cei.
Sintonia con la nota sulle unioni di fatto. Il Papa ha ricordato che i vescovi hanno una "precisa responsabilità non solo verso le chiese, ma anche verso l’intera Nazione". "Nel pieno e cordiale rispetto della distinzione tra chiesa e politica - ha aggiunto - tra ciò che appartiene a Cesare e ciò che appartiene a Dio, non possiamo non preoccuparci infatti di ciò che è bene per l’uomo in concreto del bene comune d’Italia". E la nota della Cei sulla "famiglia fondata sul matrimonio e le iniziative in materia di unioni di fatto", ha detto, è stata "testimonianza" di questa "attenzione al bene comune". "In questo contesto - ha proseguito Benedetto XVI - la recentissima manifestazione a favore della famiglia, svoltasi per iniziativa del laicato cattolico ma condivisa anche da molti non cattolici, è stata una grande e straordinaria festa di popolo, che ha confermato come la famiglia stessa sia profondamente radicate nel cuore e nella vita degli italiani".
Incoraggiare ogni iniziativa dello Stato sulla famiglia. "Ogni iniziativa dello Stato a favore della famiglia come tale non può che essere apprezzata e incoraggiata" ha detto il Papa ai vescovi italiani riuniti in Vaticano. Quindi ha ribadito il suo apprezzamento per il Family Day che, ha detto, "ha certamente contribuito a rendere visibile a tutti quel significato e quel ruolo della famiglia nella società che ha particolarmente bisogno di essere compreso e riconosciuto oggi, di fronte a una cultura che si illude di favorire la felicità delle persone insistendo unilateralmente sulla libertà dei singoli individui".
La chiesa unifica, è serbatoio morale. La fede in Italia è "viva e profondamente radicata" e la chiesa è "chiesa di popolo". E in una realtà "differenziata", con diverse "condizioni di vita, di lavoro e di reddito" la chiesa rimane "il grande fattore unificante" della Nazione e "un prezioso serbatoio di energie morali per il suo futuro". "Avvertiamo quotidianamente - ha osservato - nelle immagini proposte dal dibattito pubblico e amplificate dal sistema delle comunicazioni il peso di una cultura improntata al relativismo morale, povera di certezze e ricca invece di rivendicazioni non di rado ingiustificate".
Vangelo agli immigrati. Benedetto XVI ha quindi chiesto ai vescovi italiani di annunciare il vangelo sia ai "figli di quei popoli che ora vengono a vivere e lavorare in Italia, sia anche alla nostra gente che a volte si è allontanata dalla fede ed è comunque sottoposta alla pressione di quelle tendenze secolarizzatrici che vorrebbero dominare la società e la cultura in questo Paese".
Stima per altre fedi ma salda identità cristiana. A proposito del rapporto con le altre religioni, papa Ratzinger ha affermato: "La stima e il rispetto verso le altre religioni e culture, con i semi di verità e bontà che rappresentano una preparazione al Vangelo, sono particolarmente necessari oggi in un mondo che cresce sempre più assieme". E subito dopo ha esortato i vescovi a non perdere la "consapevolezza dell’originalità, pienezza e unicità della rivelazione del vero Dio in Cristo". "Il clima relativistico e culturale che ci circonda - ha osservato il Pontefice - rende sempre più importante e urgente radicare e far maturare in tutto il corpo ecclesiale la certezza che Cristo è il nostro unico Salvatore". Anche per questo, ha ricordato, ha scritto il suo primo libro da Papa, "Gesù di Nazaret".
Formazione dei giovani compito importante. Il Papa ha poi ricordato l’incontro dei giovani a Loreto, del prossimo settembre, al quale parteciperà personalmente, e che si tiene in preparazione alla Giornata mondiale della gioventù di Sydney del 2008. "Sappiamo bene - ha commentato - che la formazione cristiana delle nuove generazioni è il compito forse più difficile, ma sommamente importante che sta davanti alla Chiesa". In particolare, ha concluso il Pontefice, "deve essere grande la cura per le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, come anche la sollecitudine per la formazione permanente e per le condizioni in cui vivono e operano i sacerdoti. Specialmente in alcune regioni, infatti, proprio il numero troppo esiguo di giovani sacerdoti rappresenta già adesso un serio problema per l’azione pastorale: insieme a tutta la comunità cristiana, chiediamo con fiducia e con umile insistenza al signore il dono di nuovi e santi operai per la sua messe".
* la Repubblica, 24 maggio 2007
2 giugno Festa della Repubblica: mettere in sicurezza la Costituzione *
di COORDINAMENTO REGIONALE TOSCANO
DEI COMITATI PER LA DIFESA DELLA COSTITUZIONE
Comunicato stampa
Il 2 giugno 1946 gli Italiani e, per la prima volta, le italiane elessero il loro Parlamento, che, chiudendo definitivamente la drammatica parentesi fascista, assunse il compito di scrivere la Costituzione della nascente Repubblica. Il testo, approvato a larghissima maggioranza da una assemblea pur composta da rappresentanti di forze politiche ormai appartenenti a fronti opposti degli schieramenti internazionali, entrò in vigore il 1 gennaio 1948.
Il 25 e 26 giugno 2006, a 60 anni di distanza, una larga maggioranza popolare, che ha superato gli schieramenti politici ed è composta da uomini e donne di generazioni successive, respingendo con il referendum costituzionale il tentativo di stravolgerne i contenuti, ha riconfermato di ritenere quella Costituzione il contratto fondamentale della nostra convivenza civile.
In questi anni le nostre società sono cambiate anche in modo allora imprevedibile per i Costituenti, ed è lecito pensare ad adeguamenti del testo originario che, rispettando l’impianto complessivo di un sistema parlamentare rappresentativo e nell’intento di proseguire nella realizzazione degli obiettivi incompiuti, tengano conto delle nuove esigenze. Non è però accettabile ignorare l’inequivocabile espressione di volontà uscita dal verdetto referendario dello scorso anno proponendo, in nome di una presunta migliore governabilità, formule che contraddicono o si allontanano dalla natura parlamentare della nostra democrazia.
Appare inoltre inquietante la disinformazione che circonda la proposta di referendum Guzzetta-Segni sulla legge elettorale, che ci riporterebbe alla mussoliniana legge Acerbo del 1925. La scorciatoia referendaria in questo caso, mentre sembra voler dare risposta alla ’crisi della politica’, fonde in realtà l’antipolitica e la tentazione di mortificare il ruolo del Parlamento per arrivare a modifiche alla forma di governo dello stesso tenore di quelle scongiurate con il risultato referendario dello scorso anno
A fronte del riaffiorare di proposte di riforma in senso presidenzialistico ed accentratore, i Comitati toscani per la Difesa della Costituzione, componenti del Comitato Nazionale ’Salviamo la Costituzione’ presieduto del Presidente Emerito della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, ritengono assolutamente indispensabile che il Parlamento proceda senza ulteriori indugi all’aggiornamento dell’articolo 138 della Costituzione, innalzando la maggioranza necessaria alle modifiche costituzionali e garantendo sempre la possibilità del ricorso al referendum, come peraltro previsto al primo punto del programma elettorale dell’attuale maggioranza di governo.
Solo così otterremo per tutti la garanzia che le ’regole del gioco’ democratico non possano essere modificate in base ad interessi contingenti da parte di maggioranze che possono non essere rappresentative della reale volontà popolare.
I Comitati invitano tutti, e in particolare i rappresentanti eletti dai cittadini nelle sedi istituzionali, a festeggiare quest’anno, unitamente alla Repubblica, la sua Carta fondamentale, frutto del lavoro e dell’impegno morale di uomini e donne che seppero mettere l’interesse del Paese al di sopra di quello delle singole parti, trovando un mirabile equilibrio fra libertà e doveri, principi ideali e strumenti giuridici.
Firenze, 1 giugno2007
(per il Coordinamento: Francesco Baicchi 348 3828748, del Comitato di Pistoia)
Articolo tratto da:
FORUM (57) Koinonia
http://utenti.lycos.it/periodicokoinonia/
* IL DIALOGO, Sabato, 02 giugno 2007