[...] Il cattolico quotidiano del Duemila vive tranquillamente accanto ai diversamente credenti, senza complessi da stato d’assedio, senza l’ossessione di imporre la propria visione. E tutta la questione delle convivenze di fatto e delle stesse coppie gay è vissuta da anni molto serenamente, pragmaticamente, con umana sensibilità dalla maggioranza degli italiani a qualunque credenza si richiamino. Perché una cosa è chiarissima: la vicenda delle unioni civili non è uno scontro tra cattolici e laici. Non è oggetto di una guerra tra fedi. Ciò che emerge è il gap tra la gerarchia ecclesiastica e la società italiana come è nella realtà.
Per i cattolici quotidiani, e gli altri, le coppie di fatto non sono un astratta drago rovina-famiglie. Sono i nostri figli, i nostri amici, spesso noi stessi. Uomini e donne in carne e ossa, senza ideologie, con la fatica dell’esistenza e il desiderio di essere un po’ felici. E le aborrite unioni gay le incontriamo a cena, sui posti di lavoro, nei luoghi dove passiamo le nostre vacanze. E sono normali cittadini e normali conviventi [..]
LA GERARCHIA ECCLESIASTICA E I CAMBIAMENTI DELLA SOCIETA’
di Marco POLITI *
LA SFIDA CULTURALE È QUESTA: EVITARE DI RIPIOMBARE NEL XXI SECOLO IN GUERRE DI PARTITI RELIGIOSI OGNUNO DEI QUALI BRANDISCE IL NOME DI DIO PER RICHIESTE "NON NEGOZIABILI" LADDOVE LA POLITICA È NEGOZIATO, ANCHE COMPROMESSO TRA DIVERSE VISIONI DEL MONDO
DICE RATZINGER CHE LA "FEDE IN ITALIA È MINACCIATA". PAROLE PESANTI. CHIUNQUE VIAGGI PER L’ITALIA, ASSISTENDO AD UNA VITALITÀ RELIGIOSA - GIOIOSA, CHE SI ESPRIME IN MILLE RIVOLI NELLE PIEGHE DELLA SOCIETÀ - FATICA A RICONOSCERSI IN QUESTA PROFEZIA.
Se l’Italia è la trincea di Dio, allora ogni pressione, invadenza e ricatto della gerarchia ecclesiastica su Parlamento e governo diventano leciti. Se la famiglia rischia la rovina, allora è urgente negare il riconoscimento alle coppie di fatto. Se il rapporto naturale tra uomo e donna sta franando, allora è missione divina cancellare la pubblica accettazione del patto d’amore tra due partner gay.
Bisogna andare alle radici culturali dell’atteggiamento di Benedetto XVI per capire la durezza dello scontro in atto, che ha per posta la laicità dello Stato. O, per essere più semplici, il diritto dei cittadini tutti di farsi democraticamente le leggi senza attendere il timbro di un’autorità confessionale. Perché la sfida culturale è questa: evitare di ripiombare nel XXI secolo in guerre di partiti religiosi, ognuno dei quali brandisce il nome di Dio per richieste «non negoziabili». Laddove la politica è negoziato, confronto, anche compromesso tra diverse visioni del mondo.
Dice Ratzinger al clero romano che la «fede in Italia è minacciata». Parole pesanti. Chiunque viaggi per l’Italia, assistendo ad una vitalità religiosa - gioiosa, attivissima, che si esprime in mille rivoli nelle pieghe della società - fatica a riconoscersi in questa profezia. E qualsiasi osservatore straniero, che guardi al cattolicesimo italiano florido di associazioni, movimenti, gruppi, giornali, televisioni, scuole, università, ospedali, centri caritativi, e con un’istituzione ecclesiastica ben sostenuta dal bilancio statale, sbarrerebbe gli occhi dinanzi all’irreale allarme per una Chiesa minacciata.
Ma papa Ratzinger è ancora più pessimista. «Siamo di fronte ad una multiforme azione, tesa a scardinare le radici cristiane della civiltà occidentale», ha proclamato nel novembre scorso al congresso dei settimanali cattolici italiani. Sembra di risentire i «profeti di sventura» che Giovanni XXIII, aprendo il concilio Vaticano II, invitava sorridendo a lasciare da parte.
Corrisponde questo atteggiamento allo stato d’animo dei milioni di «cattolici quotidiani», che vanno a messa, si impegnano in parrocchia, pregano, riflettono su Dio e la propria esistenza e comunque, con minore o maggiore pratica, si sentono parte della comunità dei cristiani? No. Va detto con assoluta franchezza. Quando da alti pulpiti si sente risuonare minacciosamente «Non possumus», andrebbe subito domandato: non possumus chi?
Il cattolico quotidiano del Duemila vive tranquillamente accanto ai diversamente credenti, senza complessi da stato d’assedio, senza l’ossessione di imporre la propria visione. E tutta la questione delle convivenze di fatto e delle stesse coppie gay è vissuta da anni molto serenamente, pragmaticamente, con umana sensibilità dalla maggioranza degli italiani a qualunque credenza si richiamino. Perché una cosa è chiarissima: la vicenda delle unioni civili non è uno scontro tra cattolici e laici. Non è oggetto di una guerra tra fedi. Ciò che emerge è il gap tra la gerarchia ecclesiastica e la società italiana come è nella realtà.
Per i cattolici quotidiani, e gli altri, le coppie di fatto non sono un astratta drago rovina-famiglie. Sono i nostri figli, i nostri amici, spesso noi stessi. Uomini e donne in carne e ossa, senza ideologie, con la fatica dell’esistenza e il desiderio di essere un po’ felici. E le aborrite unioni gay le incontriamo a cena, sui posti di lavoro, nei luoghi dove passiamo le nostre vacanze. E sono normali cittadini e normali conviventi.
C’è un passo straordinario nella relazione che il presidente della Cei, cardinale Ruini, ha letto al consiglio permanente dei vescovi nel gennaio scorso: «Esaminando in concreto la realtà delle unioni di fatto, quelle tra persone di sesso diverso sono certamente in aumento». Si tratta di un milione di uomini e donne, giovani e adulti, di cui i cattolici sono la grande maggioranza. Stupefacente è il tono en passant con cui il porporato dà per scontata una rivoluzione profonda avvenuta negli ultimi trent’anni. Arrivare a questa cifra significa che centinaia di migliaia di figli della Chiesa non considerano una puttana la ragazza che ha rapporti prematrimoniali, non considerano vergognosi concubini due partner che vivono assieme, non considerano peccato gli anticoncezionali, il divorzio, le interruzioni di gravidanza (esattamente come milioni di altri credenti sposati in chiesa o in municipio). In altre parole hanno impostato la propria vita secondo regole diametralmente opposte a quelle ossessivamente indicate per decenni dalla gerarchia ecclesiastica. E ciò nondimeno continuano il loro dialogo con Dio, vanno a messa, e spesso si impegnano in iniziative ecclesiali.
Il problema, allora, non è la Chiesa, la comunità dei fedeli. Il problema è di una gerarchia ecclesiastica incapace di guardare con umanità ai problemi di una società in trasformazione, in cui la «famiglia» è radicalmente diversa da quella di cinquant’anni fa. Una gerarchia che pretende di rappresentare in politica i cittadini cattolici, che né esistenzialmente né politicamente hanno dato all’istituzione ecclesiastica un mandato del genere. Il paradosso, semmai, è che non tutti i vescovi condividono l’immagine di una società contemporanea «nemica» della Chiesa, mentre una serie di politici - per pura convenienza - scelgono la Cei invece dei cittadini.
Forse è l’ora di rivalutare la libertà delle coscienze, nel Parlamento e fuori. In Europa democristiani e socialisti, liberali e conservatori hanno da tempo risolto civilmente questi problemi.
* la Repubblica, 27.02.2007, p. 21
SUL TEMA - IN PARTICOLARE SULLA LIBERTA’ DELLE COSCIENZE, NEL SITO, SI CFR.:
Il Papa il potere e il veleno dei cardinali
di Vito Mancuso (la Repubblica, 4 febbraio 2010)
Sarà vero che il documento calunnioso sul direttore di Avvenire è stato consegnato al direttore del Giornale niente di meno che da Giovanni Maria Vian, direttore dell’Osservatore Romano, dietro esplicito mandato del Segretario di Stato vaticano cardinale Bertone, numero due della gerarchia cattolica a livello mondiale? E che l’insigne porporato si è servito di Vian e di Feltri per colpire il direttore di Avvenire in quanto espressione di una Conferenza Episcopale Italiana a suo avviso troppo indipendente e troppo politicamente equidistante? E che quindi il vero bersaglio del cardinal Bertone era il collega e confratello cardinal Bagnasco? Sarà vera la notizia di questo complotto intraecclesiale degno di papa Borgia e di sua figlia Lucrezia?
Come cattolico spero di no, ma come conoscitore di un po’ di storia e di cronaca della Chiesa temo di sì. Del resto fu l’allora cardinal Ratzinger, poco prima di essere eletto papa, a parlare di "sporcizia" all’interno della Chiesa (25 marzo 2005). Qualcuno in questi cinque anni l’ha visto fare pulizia? Direi di no, e forse non a caso proprio ieri egli ha parlato di «tentazione della carriera, del potere, da cui non sono immuni neppure coloro che hanno un ruolo di governo nella Chiesa». Quindi è lecito pensare che la sporcizia denunciata dal Papa abbia potuto produrre l’abbondante dose di spazzatura morale di cui ora forse veniamo a conoscenza.
Naturalmente come siano andate davvero le cose è dovere morale dei diretti interessati chiarirlo. Con una precisa consapevolezza: che gli storici un giorno indagheranno e ricostruiranno la verità, la quale alla fine emerge sempre, chiara e splendente, perché non c’è nulla di più forte della verità. Le bugie hanno le gambe corte, dice il proverbio, e questo per fortuna vale anche per il foro ecclesiastico. Siamo in un mondo che è preda di una devastante crisi morale. Le anime dei giovani sono aggredite dalla nebbia del nichilismo. Parole come bene, verità, giustizia, amore, fedeltà, appaiono a un numero crescente di persone solo ingenue illusioni.
La missione morale e spirituale della Chiesa è più urgente che mai. E invece che cosa succede? Succede che la gerarchia della Chiesa pensa solo a se stessa come una qualunque altra lobby di potere, e come una qualunque altra lobby è dilaniata da lotte fratricide all’interno. Certo, nulla di nuovo alla luce dei duemila anni di storia e di certo nessun cattolico sta svenendo disilluso. Rimane però il problema principale, e cioè che oggi, molto più di ieri, il criterio decisivo per fare carriera all’interno della Chiesa non è la spiritualità e la nobiltà d’animo ma il servilismo, e che la dote principale richiesta al futuro dirigente ecclesiastico non è lo spirito di profezia e l’ardore della carità, ma l’obbedienza all’autorità sempre e comunque.
Eccoci dunque al tipo umano che emerge dalle cronache di questi giorni: il cosiddetto "uomo di Chiesa". È la presenza sempre più massiccia di persone così ai vertici della Chiesa che mi rende propenso a credere che le accuse alla coppia Bertone-Vian siano fondate. Impossibile però non vedere che nella storia ecclesiastica misfatti di questo genere contro gli elementari principi della morale ne sono avvenuti in quantità. Anzi, che cosa sarà mai un foglietto calunnioso passato al direttore di un giornale laico per far fuori il direttore del giornale cattolico, rispetto alle torture e ai morti dell’Inquisizione? È noto che il potere temporale dei papi si è basato per secoli su un documento falso quale la Donazione di Costantino, attribuito all’imperatore romano e invece redatto qualche secolo dopo dalla cancelleria papale.
Che cosa concludere allora? Che è tutto un imbroglio? No, il messaggio dell’amore universale per il quale Gesù ha dato la vita non è un imbroglio. L’imbroglio e gli imbroglioni sono coloro che lo sfruttano per la loro sete di potere, per la quale hanno costruito una teologia secondo cui credere in Gesù significa obbedire sempre e comunque alla Chiesa. Secondo l’impostazione cattolico-romana venutasi a creare soprattutto a partire dal concilio di Trento la mediazione della struttura ecclesiastica è il criterio decisivo del credere. Lo esemplificano al meglio queste parole di Ignazio di Loyola rivolte a chi «vuole essere un buon figlio della Chiesa»: «Per essere certi in tutto, dobbiamo sempre tenere questo criterio: quello che io vedo bianco lo credo nero, se lo stabilisce la Chiesa gerarchica». Ne viene che il baricentro spirituale dell’uomo di Chiesa non è nella propria coscienza, ma fuori di sé, nella gerarchia. I "principi non negoziabili" non sono dentro di lui ma nel volere dei superiori, e se gli si ordina di scrivere la falsa donazione di Costantino egli lo fa, e se gli si ordina di torturare gli eretici egli lo fa, e se gli si ordina di appiccare il fuoco alle fascine per il rogo egli lo fa, e se gli si ordina di passare un documento falso egli lo fa. Ecco l’uomo di Chiesa voluto e utilizzato da una certa gerarchia.
È questa la sporcizia a cui si riferiva il cardinal Ratzinger nel venerdì santo del 2005? È questo il carrierismo denunciato ieri da Benedetto XVI? Il messaggio di Gesù però è troppo importante per farselo rovinare da qualche personaggio assetato di potere della nomenklatura vaticana. Una fede matura sa distaccarsi dall’obbedienza incondizionata alla gerarchia e se vede bianco dirà sempre che è bianco, anche se è stato stabilito che è nero. Né si presterà mai a intrighi di sorta "per il bene della Chiesa". La vera Chiesa infatti è molto più grande del Vaticano e dei suoi dirigenti, è l’Ecclesia ab Abel, cioè esistente a partire da Abele in quanto comunità dei giusti. In questa Chiesa quello che conta è la purezza del cuore, mentre non serve a nulla portare sulla testa curiosi copricapo tondeggianti, viola, rossi o bianchi che siano.
La scomunicata
di Marco Politi(il Fatto quotidiano, 22 gennaio 2010)
L’intesa Ruini-Berlusconi per sbarrare il passo alla Bonino cade nel giorno in cui la maggioranza approva la legge salva-delinquenti, con un codicillo che imbavaglia la Corte dei conti, favorendo le malversazioni negli enti locali.
E’ l’immagine plastica della spregiudicatezza del cardinale, per il quale la battaglia ideologica contro la Bonino conta maggiormente dello scempio inflitto al sistema giudiziario italiano: caso unico nelle democrazie occidentali. Lo stesso Avvenire, in una rubrichina intitolata “Da sapere”, informa i lettori che la norma transitoria approvata mercoledì “mette al riparo Silvio Berlusconi dai processi Mills e Mediaset, ma sarebbero a rischio anche i giudizi sul crac di Parmalat e su Antonveneta”.
Ce n’è abbastanza perché il lettore cattolico avvertito capisca che sotto attacco è la legalità, ma soprattutto la categoria di “bene comune” fondamentale nella dottrina sociale della Chiesa. Poiché già soltanto nel caso Parmalat rimarranno senza giustizia migliaia e migliaia di poveri cristi. La stessa Udc, per bocca del capogruppo al Senato D’Alia, ha bollato il testo della maggioranza di centrodestra come “tentativo malriuscito di norme ad personam”. Denunciando che vi sarà prescrizione anche nei “processi per mafia, terrorismo, riduzione in schiavitù”.
Sono questioni che non sembrano turbare l’ex presidente della Cei. In lui, da vero “animale politico” (così si definì egli stesso tempo addietro in un convegno), prevale la logica di schieramento. E per la gerarchia ecclesiastica lo schieramento da difendere è il centrodestra, mentre la prospettiva di Emma Bonino governatore del Lazio è da scongiurare a tutti i costi. Non sono unicamente le battaglie in difesa di aborto, divorzio, coppie di fatto, testamento biologico, che vengono addebitate alla leader radicale. In gioco sono interessi materiali corposi: le regioni gestiscono le spese di sanità (vedi ospedali cattolici), le spese scolastiche (vedi scuole cattoliche) e i bonus da concedere ai genitori. Esemplare la distorsione a favore dell’istruzione privata e a scapito degli istituti pubblici, realizzata in Lombardia dal governatore ciellino Formigoni.
In questa fase preelettorale Ruini si muove da battitore libero, ma certo di avere le spalle coperte dal cardinale segretario di Stato Bertone (vero timoniere della “politica italiana” del Vaticano), che Benedetto XVI ha appena riconfermato in carica. Il cardinale Bagnasco, presidente dell’episcopato, si è tenuto sinora defilato. Ieri è stato ricevuto in udienza dal Papa in vista del prossimo Consiglio permanente della Cei, quando darà le sue indicazioni. L’episcopato italiano è diviso fra chi vorrebbe non impegnarsi direttamente nello scontro elettorale imminente e chi come il vescovo ciellino di San Marino mons. Negri già affila le armi e ricorda pubblicamente che quando gli elettori andranno alle urne “non sarà facile coniugare il valore del rispetto assoluto della vita con posizioni politiche di persone che sono evidentemente in contrasto”.
A Torino il cardinale Poletto ha invece sottolineato recentemente che la Chiesa è super partes dato che “il buono e il cattivo stanno dall’una e dall’altra parte”. Poletto, tuttavia, ha indicato alcuni punti chiave su cui i candidati dovranno misurarsi: la “difesa della vita” dal concepimento alla sua fine naturale, il matrimonio tra uomo e donna, il diritto alla scelta dell’educazione scolastica, la libertà religiosa, la difesa della dignità umana indipendentemente dall’etnia. Punti discriminanti che la gerarchia ecclesiastica ricorderà a livello nazionale.
Per Ruini, che in questa vicenda ha voluto tornare sulla scena politico-ecclesiastica dopo la fine della sua presidenza Cei nel 2007, è assolutamente prioritario impedire la vittoria della “laicista” Bonino. Nel 2000, per punire l’ulivista Badaloni governatore del Lazio che voleva varare alcune norme di assistenza anche a favore delle coppie di conviventi, il cardinale spostò voti sulla candidatura di Storace. E il centrodestra vinse. Non è molta la capacità di influenzare voti dell’istituzione ecclesiastica: a spanna, dicono gli esperti, qualcosa tra il 3 e il 5 per cento degli elettori. Ma è una forza decisiva nel caso di duelli testa a testa come si sta configurando quello tra la Polverini e la Bonino.
In questo schema l’alleanza tra Berlusconi e Casini, di cui Ruini era patrono già alle elezioni politiche del 2008 (e che il Cavaliere allora respinse), risponde - perlomeno nel Lazio - ad un esplicito desiderio del Vaticano. L’Avvenire, giornale dei vescovi, sta già cominciando a muoversi in questa direzione. In un editoriale ha attaccato Marini nel Pd per il suo appoggio alla Bonino e da qualche giorno (un modo classico per segnalare il trend) pubblica lettere di lettori con dubbi e delusione “di cattolici” per la candidatura radicale.
Ieri però è apparsa in pagina anche una lettera, in cui si afferma che “il cattolico può militare in qualunque partito” a patto che esprima il lievito della fede. Segno che la situazione generale è ancora fluida e la Chiesa non vuole legarsi totalmente mani e piedi all’avventurismo del Cavaliere. Anche perché i sondaggi delle passate elezioni hanno rivelato che agitare i “temi etici” influisce pochissimo sul voto.
Ahi Costantin di quanto mal fu madre
di EUGENIO SCALFARI *
Tra le tante questioni che affliggono il nostro paese, insolute da molti anni e alcune risalenti addirittura alla fondazione dello Stato unitario, c’è anche quella cattolica. Probabilmente la più difficile da risolvere. Personalmente penso anzi che resterà per lungo tempo aperta, almeno per l’arco di anni che riguardano le tre o quattro generazioni a venire. Roma e l’Italia sono luoghi di residenza millenaria della Sede apostolica e perciò si trovano in una situazione anomala rispetto a tutte le altre democrazie occidentali. Se guardiamo agli spazi mediatici che la Santa Sede, il Papa, la Conferenza episcopale hanno nelle televisioni e nei giornali ci rendiamo conto a prima vista che niente di simile accade in Francia, in Germania, in Gran Bretagna, in Olanda, in Scandinavia e neppure nelle cattolicissime Spagna e Portogallo per non parlare degli Usa, del Canada e dell’America Latina dove pure la popolazione cattolica ha raggiunto il livello di maggiore densità.
Da noi le reti ammiraglie di Rai e di Mediaset trasmettono sistematicamente ogni intervento del Papa e dei Vescovi. L’"Angelus" è un appuntamento fisso. Le iniziative e le dichiarazioni dei cattolici politicamente impegnati ingombrano i giornali, il presidente della Repubblica, appena nominato, sente il bisogno di inviare un messaggio di "presentazione" al Pontefice, cui segue a breve distanza la visita ufficiale. Tutto ciò va evidentemente al di là d’una normale regola di rispetto e dipende dal fatto che in Italia il Vaticano è una potenza politica oltre che religiosa. Ciò spiega anche la dimensione dei finanziamenti e dei privilegi fiscali dei quali gode il Vaticano, la Santa Sede e gli enti ecclesiastici; anche questi senza riscontro alcuno negli altri paesi.
Infine il rapporto di magistero che la gerarchia ecclesiastica esercita sulle istituzioni ovunque vi sia una rappresentanza di cattolici militanti e la funzione di guida politica che di fatto orienta i partiti di ispirazione cattolica e quindi cospicui settori del Parlamento.
La questione cattolica è dunque quella che spiega più d’ogni altra la diversità italiana. Spiega perché noi non saremo mai un "paese normale". Perché una parte rilevante dell’opinione pubblica, della classe politica, dei mezzi di comunicazione, delle stesse istituzioni rappresentative, sono etero-diretti, fanno capo cioè e sono profondamente influenzati da un potere "altro". Quello è il vero potere forte che perdura anche in tempi in cui la secolarizzazione dei costumi ha ridotto i cattolici praticanti ad una minoranza. "Ahi Costantin, di quanto mal fu madre...".
La questione cattolica ha attraversato varie fasi che non è questa la sede per ripercorrere. Basti dire che si sono alternate fasi di latenza durante le quali sembrava sopita, e di vivace ed aspra riacutizzazione.
Il mezzo secolo della Prima Repubblica, politicamente dominato dalla Democrazia cristiana, fu paradossalmente una fase di latenza. La maggioranza era etero-diretta dal Vaticano e dagli Stati Uniti, il Pci era etero-diretto dall’Unione Sovietica. Entrambi i protagonisti accettavano questo stato di cose, insultandosi sulle piazze e dai pulpiti, ma assicurando, ciascuno per la sua parte, un sostanziale equilibrio. Quando qualcuno sgarrava, veniva prontamente corretto.
Ma la fase attuale non è affatto tranquilla, la questione cattolica si è riacutizzata per varie ragioni, la prima delle quali è l’emergere sulla scena politica dei temi bioetici con tutto ciò che comportano.
La seconda ragione deriva dalla linea assunta da Benedetto XVI che ritiene di spingere il più avanti possibile le forme di protettorato politico-religioso che il Vaticano esercita in Italia, per farne la base di una "reconquista" in altri paesi a cominciare dalla Spagna, dal Portogallo, dalla Baviera, dall’Austria e da alcuni paesi cattolici dell’America meridionale. Le capacità finanziarie dell’episcopato italiano forniscono munizioni non trascurabili per sostenere questo disegno che ha come obiettivo l’esportazione del modello italiano laddove ne esistano le condizioni di partenza.
A fronte di quest’offensiva le "difese laiche" appaiono deboli e soprattutto scoordinate. Si va da forme d’intransigenza che sfiorano l’anticlericalismo ad aperture dialoganti ma a volte eccessivamente permissive verso i diritti accampati dalla "gerarchia". Infine permane il sostanziale disinteresse della sinistra radicale, che conserva verso il laicismo l’antica diffidenza di togliattiana memoria.
Si direbbe che il solo dato positivo, dal punto di vista laico, sia una più acuta sensibilità autonomistica che ha conquistato una parte dei cattolici impegnati nel centrosinistra. Ma si tratta di autonomia a corrente variabile, oggi rimesso in discussione dalla nascita del Partito democratico e dai vari posizionamenti che essa comporta per i cattolici che ne fanno parte. Con un’avvertenza di non trascurabile peso: secondo recenti sondaggi nell’ultimo decennio i cattolici schierati nel centrosinistra sarebbero discesi dal 42 al 26 per cento. Fenomeno spiegabile poiché gran parte dell’elettorato ex Dc si trasferì fin dal 1994 su Forza Italia; ma che certamente negli ultimi tempi ha accelerato la sua tendenza.
* * *
Un fenomeno degno di interesse è quello del recente associazionismo delle famiglie. Non nuovo, ma fortemente rilanciato e unificato dal "forum" che scelse come organizzatore politico e portavoce Savino Pezzotta, da poco reduce dalla lunga leadership della Cisl e riportato alla ribalta nazionale dal "Family Day" che promosse qualche mese fa in piazza San Giovanni il raduno delle famiglie cattoliche.
Da allora Pezzotta sta lavorando per trasformare il "forum" in un movimento politico. "Non un partito" ha precisato in una recente intervista "ma un quasi-partito; insomma un movimento autonomo che potrà eventualmente appoggiare qualche partito di ispirazione cristiana che si batta per realizzare gli obiettivi delle famiglie. Sia nei valori che sono ad esse intrinseci sia per i concreti sostegni necessari a realizzare quei valori".
L’obiettivo è ambizioso e fa gola ai partiti di impronta cattolica, ma Pezzotta amministra con molta prudenza la sigla di cui è diventato titolare. Dico sigla perché al momento non sappiamo quale sia la sua realtà organizzativa e la sua effettiva spendibilità politica.
Sembra difficile che il nascituro movimento delle famiglie possa praticare una sorta di collateralismo rispetto ai settori cattolici militanti nel Partito democratico: la piazza di San Giovanni non sembrava molto riformista, le voci che l’hanno interpretata battevano soprattutto su rivendicazioni economiche ma non basterà riconoscergliele per acquistarne il consenso e il voto. A torto o a ragione le famiglie e le sigle che le rappresentano ritengono che quanto chiedono sia loro dovuto. Il voto elettorale è un’altra cosa e non sarà Pezzotta a guidarlo. Ancor meno i vari Bindi, Binetti, Bobba nelle loro differenze. Voteranno come a loro piacerà, seguendo altre motivazioni e inclinazioni, influenzate soprattutto dai luoghi in cui vivono e dai ceti sociali e professionali ai quali appartengono.
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Un elemento decisivo della questione cattolica e dell’anomalia che essa rappresenta è costituito dalla dimensione degli interessi economici della Santa Sede e degli enti ecclesiastici, del loro "status" giuridico e addirittura costituzionale (il Trattato del Laterano è stato recepito in blocco con l’articolo 7 della nostra Costituzione) e dei privilegi fiscali, sovvenzioni, immunità che fanno nel loro insieme un sistema di fatto inattaccabile. Basti pensare che la Santa Sede rappresenta il vertice di un’organizzazione religiosa mondiale e fruisce ovviamente d’un insediamento altrettanto mondiale attraverso la presenza dei Vescovi, delle parrocchie, degli Ordini religiosi, delle Missioni. Ma, intrecciata ad essa c’è uno Stato - sia pure in miniatura - che gode d’un tipo di immunità e di poteri propri di uno Stato e quindi di una soggettività diplomatica gestita attraverso i "nunzi" regolarmente accreditati presso tutti gli altri Stati e presso le organizzazioni internazionali.
Questa doppia elica non esiste in nessun’altra delle Chiese cristiane ed è la conseguenza della struttura piramidale di quella cattolica e della base territoriale da cui trasse origine lo Stato vaticano e il potere temporale dei Papi. Non scomoderemo Machiavelli e Guicciardini, Paolo Sarpi e Pietro Giannone per ricordare quali problemi ha sempre creato il potere temporale nella storia della nazione italiana, nell’impossibilità di realizzare l’unità nazionale quando gli altri paesi europei avevano già da secoli raggiunto la loro ed infine lo scarso senso dello Stato che gli italiani hanno avuto da sempre e continuano abbondantemente a dimostrare. Sarebbe storicamente scorretto attribuire unicamente al potere temporale dei Papi questo deficit di maturità civile degli italiani, ma certo esso ne costituisce uno dei principali elementi.
Purtroppo il temporalismo è una tentazione sempre risorgente all’interno della Chiesa; sotto forme diverse assistiamo oggi ad un tentativo di resuscitarlo che si esprime attraverso la presenza politica diretta dell’episcopato nelle materie "sensibili" il cui ventaglio si sta progressivamente ampliando.
Negli scorsi giorni l’atmosfera si è ulteriormente riscaldata a causa di una frase di Prodi che esortava i sacerdoti a sostenere la campagna del governo contro le evasioni fiscali e lamentava lo scarso contributo della Chiesa ad un tema così rilevante.
Credo che Prodi, da buon cattolico, abbia pronunciato quella frase in perfetta buonafede ma, mi permetto di dire, con una dose di sprovveduta ingenuità. Lo Stato non rappresenta un tema importante per i sacerdoti e per la Chiesa. Ancorché i preti e i Vescovi siano cittadini italiani a tutti gli effetti e con tutti i diritti e i doveri dei cittadini italiani, essi sentono di far parte di quel sistema politico-religioso che a causa della sua struttura è totalizzante. La cittadinanza diventa così un fatto marginale e puramente anagrafico; salvo eccezioni individuali, il clero si sente e di fatto risulta una comunità extraterritoriale. Pensare che una delle preoccupazioni di una siffatta comunità sia quella di esortare gli italiani a pagare le tasse è un pensiero peregrino. Li esorta - questo sì - a mettere la barra nella casella che destina l’otto per mille del reddito alla Chiesa. Un miliardo di euro ha fruttato all’episcopato italiano quell’otto per mille nel 2006. Ma esso, come sappiamo, è solo una parte del sostegno dello Stato alla gerarchia, alle diocesi, alle scuole, alle opere di assistenza.
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Come si vede la pressione cattolica sullo Stato "laico" italiano è crescente, si vale di molti mezzi, si manifesta in una pluralità di modi assai difficili da controllare e da arginare.
Le difese laiche - si è già detto - sono deboli e poco efficaci: affidate a posizioni individuali o di gruppi minoritari ed elitari contro i quali si ergono "lobbies" agguerrite e perfettamente coordinate da una strategia pensata altrove e capillarmente ramificata. Quanto al grosso dell’opinione pubblica, essa è sostanzialmente indifferente. La questione cattolica non fa parte delle sue priorità. La gente ne ha altre, di priorità. È genericamente religiosa per tradizione battesimale; la grande maggioranza non pratica o pratica distrattamente; i precetti morali della predicazione vengono seguiti se non entrano in conflitto con i propri interessi e con la propria "felicità". In quel caso vengono deposti senza traumi particolari.
Perciò sperare che la democrazia possa diventare l’"habitus" degli italiani è arduo. Gli italiani non sono cristiani, sono cattolici anche se irreligiosi. Questo fa la differenza.
* la Repubblica, 5 agosto 2007
Editoriale *
Ci stanno rubando ogni ben di Dio
di Sebastiano B. Caix
L’aria a Milano, le spiagge sulle coste, la terra e l’acqua nel Sud. Tutto per una parola: liberalizzazione. Non sembra vero: ora la usano anche gli ex comunisti
I problemi gravi e vistosi di guerre e di politica sono tanti e tutti ne discutono, parlerò di alcuni piccoli ma che, messi insieme, hanno un loro senso. La terra, l’acqua, l’aria, la vita sono di tutti: tutti abbiamo diritto di lavorare la terra, di bere l’acqua, di respirare l’aria. Tutto quello che era prima dell’uomo appartiene a Dio, che l’ha donato a tutti gli uomini ovvero a tutta l’umanità. Nessuno - ricorda don Primo Mazzolari in un suo scritto - può dire questo è mio e non di altri. Se Mazzolari era un cristiano, questa è un’affermazione cristiana. Le leggi regolano questi diritti.
Le cose però non stanno così. La voce della saggezza e del diritto è stata nei secoli schiacciata dalla forza che, ai vincoli della ragione, ha sostituito quelli della violenza e della prevaricazione. Il più forte dice: «Questo è mio» e toglie ai deboli un loro diritto. Così oggi ci troviamo di fronte a un intrico di leggi sempre più fitto e confuso che, alla fine, difende sempre più la forza dei forti che i diritti dei deboli. Respiriamo aria inquinata, beviamo acqua inquinata, mangiamo cibi inquinati. Perché? Non sembra vero: per dare più armi di violenza a quelli che ci tolgono i nostri diritti con la violenza.
L’Italia è l’esempio che abbiamo sotto gli occhi: ma come avere il coraggio di ripetere ciò che viene detto, e inascoltato, ogni giorno? Milano è inquinata dalle autovetture? Basta pagare un biglietto «antinquinamento» ed ecco che i cittadini elettori, invece di cambiare regime, si tranquillizzano. Si autoinquinano pagando una tassa di più. Vivaci proteste popolari? No, qualche borbottio, poi su tutto (e sugli immani guadagni dei politici e dei loro accoliti) cala il silenzio perfino dei partiti all’opposizione. Sulle spiagge non si può prendere liberamente il sole o fare il bagno, perché i litorali sono stati venduti ai privati? Qualche polemica sui mass media, poi tutto si soffoca, si attutisce: i fiumi di denaro e le connivenze mettono a tacere gli amministratori e le opposizioni.
Montagne di rifiuti fumanti in numerose città del sud? I turisti stranieri invitati ad andarsene dalle loro stesse rappresentanze diplomatiche? Grida mediatiche, scambi di responsabilità (responsabilità!), montagne di denaro alle varie mafie e camorre, a esponenti di amministrazioni pubbliche e private, a personaggi d’ogni risma e partito che allignano perfino nelle istituzioni incaricate di proteggere i diritti contro i soprusi, ed ecco che tutto si sopisce, si ferma, l’ingiustizia scompare. Non che tornino ordine, pulizia, onestà: no, le bocche sono cucite dai soldi e dalla paura, il silenzio è d’oro.
La stampa dà notizia di una pericolosa discarica abusiva su un’area di 12 chilometri sulla tangenziale di Bari, e dice «scoperta» dall’autorità tutoria. Quest’area è da mesi scavata, preparata e tenuta in attività con camion e ruspe alle porte di un capoluogo di regione. Cosa vuol dire: scoperta? Scoprire una discarica illegale di 12 chilometri quadrati è come a Pisa «scoprire» la torre di Pisa. In alcuni capoluoghi di provincia, come a Taranto, manca l’acqua: è stata liberalizzata. Questa la grande trovata truffaldina: la «liberalizzazione» di elementi vitali che appartengono a tutti. Qui dovrebbe esserci un sommovimento mondiale, invece no. Perfino gli ex comunisti parlano di liberalizzazione, liberalizzano. Ma che cosa si liberalizza, quello che «deve» essere libero? Quello che è già per natura un dono di Dio a tutti?
La forza del denaro rende ciechi e muti coloro che dovrebbero parlare in difesa di chi denaro non ne ha. Con la liberalizzazione dell’acqua (la cui distribuzione dovrebbe essere organizzata e difesa dalla comunità) i cittadini hanno perduto il diritto di bere, di lavarsi, di tenere puliti se stessi e le loro città: pagano di più e sono peggio organizzati. Aprono i rubinetti ed esce la corruzione. Dal Nord al Sud, il ladrocinio non cambia. Perfino i preti più coraggiosi se ne devono andare e i cattolici più fedeli si sentono abbandonati in questo deserto.
Sebastiano B. Caix
* Il Dialogo, Giovedì, 12 luglio 2007
LA CHIESA, L’OCCIDENTE E I TEOCON.
“Come mai in questo Occidente idolatrico e strutturalmente ateo, in cui ogni atto sembra viziato da una colpa irredimibile, i cristiani non sono perseguitati?”
Questa la domanda che anni fa un certo Marco Guzzi rivolse ad Enzo Bianchi.
Questa la risposta di Enzo Bianchi contenuta in un suo libretto: Ricominciare - Nell’anima, nella chiesa, nel mondo.
«L’urto tra lo Spirito di Cristo e mondanità è ineluttabile, e già si vede che l’ubriacatura consumistica e eroticizzata dell’Occidente provoca una senescenza precoce dei sensi, un abitare nelle terre del nonsenso, una bulimia del “tutto e subito” che soffoca. In tale contesto oggi i cristiani non solo non sono perseguitati, ma neppure osteggiati, anzi sono invocati. Noi oggi assistiamo addirittura a un diffuso atteggiamento di benevolenza nei confronti della chiesa, da parte dei Cesari di oggi soprattutto. Il titolo di un articolo di un periodico cattolico qualche mese fa diceva quasi orgogliosamente, con stupore ingenuo: “Questa chiesa serve!”. Ma serve a chi? A chi è utile? Questo significa che noi siamo omologati all’interno del grande orizzonte occidentale capitalista e che magari siamo invocati per fornire un fondamento etico alla società, per dare un’anima alla società.
Avvenuta ormai la crisi dell’ideologia, noi cristiani siamo invocati per cantare in coro, magari con più convinzione e più forte, “la cantata dei valori comuni”, quei valori formali che piacciono a tutti. [...] Sì, questa chiesa serve al mondo se e finché resta impegnata solo filantropicamente, ma guai se la chiesa si fa profetica, se annuncia l’Evangelo con il Sì! Sì! No! No!, guai se contraddice la morale laica, perché allora si scatena la saggezza dei dominatori di questo mondo, quelli che hanno crocifisso il Signore della gloria (cf 1Cor 2,8). [...] Io sono convinto che sul tema della pace, soprattutto oggi, la chiesa gioca la sua fedeltá al Signore; su questo tema la sua scelta: o essere l’Evangelo che grida nella debolezza e nella sapienza della croce o sedere tra i dominatori di questo mondo, ma non essere più la chiesa del Signore Gesù Cristo»....
E io aggiungerei "Guai se la Chiesa si permettesse di dire solo qualche parolina su questa economia assassina che è la causa prima della Guerra e di tutti i mali del mondo, il Peccato Originale di tutto, e si permattesse di mettere sotto inchiesta il pilastro reggente di questa economia che è l’antievangelico "Diritto di Proprietà"!
Che ne direbbero i vari Bush/Berluschini/Casini/Fini e i loro chierichetti Teocon?
Noi cristiani saremmo tutti decapitati, come San Giovanni che domani festeggeremo.
Buona Domenica.
Aldo [don Antonelli]
Lettera al presidente della Cei, Mons. Angelo Bagnasco arcivescovo di Genova
di Paolo Farinella, prete
Riceviamo da don Paolo Farinella, prete genovese, questa lettera a mons. Bagnasco che molto volentieri pubblichiamo. Chi volesse esprimere il proprio parere può farlo usando gli appositi link in fondo a questa pagina.
Nell’inviare questa lettera don Paolo ha premesso la seguente spiegazione del perchè essa è stata resa pubblica che anche rendiamo noto ai nostri lettori. *
«Care Amiche e amici,
invio questa lettera spedita al mio vescovo, nonché Presidente della Cei prima privatamente e dando una settimana di tempo per un eventuale incontro di approfondimento. Non ho avuto alcun riscontro per cui mi sento libero di renderla pubblica. Molte altre cose avrei voluto dire, ma dovevo restare entro una pagina. Sarà per la prossima lettera d’amore.
Il giornale L’Unità mi aveva contattato per pubblicarla, ho aspettato due giorni, ma visto che non anche lì non ne fanno nulla (visti i tempi e le fascine di legna accatastate alla bisogna!!!!), la metto in rete. Lo scopo non è di discutere, ma solo di offrire una opinione personale. Può essere condivisa o no. Non attendo risposte, ma solo il rispetto che si deve alla buona fede.
Se volete divulgarla attraverso i vostri mezzi, fate pure. Io sono tranquillo con la mia coscienza e davanti a Dio, come si conviene ad un credente che non può tacere di fronte all’immondo mercimonio a cui è sottoposta la religione ai nostri giorni. Forse ad alcuni arriverà in doppio, forse ad altri non arriverà punto, forse qualcuno è finito nella mia rubrica per opera divina, insomma... chi vuole essere cancellato me lo dica.
Un abbraccio a tutte e a tutti
Paolo Farinella, prete Genova»
Lettera al presidente della Cei, Mons. Angelo Bagnasco arcivescovo di Genova
Sig. Presidente,
Il 12 maggio in piazza S. Giovanni a Roma al raduno organizzato dalla Presidenza della Cei attraverso le aggregazioni laicali cattoliche, è accaduto un fatto grave che come presidente dei Vescovi italiani non può lasciare senza risposta. Silvio Berlusconi, notoriamente divorziato e felicemente convivente, ha dichiarato che i cattolici coerenti non possono stare a sinistra, asserendo con questo che devono stare a destra, cioè con lui e con il suo liberismo che coincide sempre con i suoi interessi e mai col «bene comune».
Non è questa la sede per stabilire i confini di «destra» e «sinistra». Una sola annotazione: da tutta la letteratura documentale del magistero, da Leone XIII al «Compendio» pubblicato nel 2004 da Giovanni Paolo II, risalta che i programmi della «sinistra», presi nella loro globalità e alla luce della categoria dirimente del «bene comune o generale» sono molto più vicini alla «dottrina sociale della Chiesa» di quelli della «destra», che, al di là delle parole ossequiose e strumentali, sono la negazione di quella dottrina nei suoi principi essenziali (bene comune, democrazia, legalità, stato sociale, ecc.). Alcide De Gasperi, già negli anni ’50, definiva la DC «un partito di centro che guarda a sinistra».
Benedetto XVI ad Aparecida in Brasile ha detto che la scelta preferenziale dei poveri è costitutiva della Chiesa e ha dichiarato la fine del marxismo (forse intendeva dire del marxismo ideologico e storico come realizzato nel sovietismo) e il fallimento del capitalismo. Silvio Berlusconi è il rappresentante più retrivo del capitalismo speculativo e senza regole, appena condannato dal papa, perché egli adora un solo dio e ha una sola religione: il mercato. A condizione però che il mercato faccia gli interessi dei ricchi, i quali, si sa, sono capaci di sprazzi di «compassione» ed elargiscono elemosine ai poveri, magari davanti alla tv, conquistandosi anche il paradiso e risolvendo il rebus del cammello e della cruna dell’ago. Con le sue tv commerciali, egli guida e gestisce il degrado morale del nostro popolo, imponendo modelli e stili di vita che sono la negazione esplicita e totale di tutti i «valori» cristiani che il raduno del Family Day voleva affermare.
E’ notizia di oggi (14 maggio 2007) che Berlusconi ha comprato la società Endemol, la fabbrica del vacuo, dei grandi fratelli e del voyeurismo amorale e anti-famiglia che fornisce anche la tv di Stato che così viene ad essere, a livello di contenuti, totalmente nelle sue mani. Il conflitto di interessi ora è totale. La sua presenza ad un raduno di cattolici manifestanti a favore della famiglia è strutturalmente incompatibile. Egli non può stare nemmeno nei paraggi del cattolicesimo che di solito ossequia subdolamente e di cui si serve con qualsiasi strumento economico o di potere. Mi fa ottima compagnia P. Bartolomeo Sorge S.J. che ha dimostrato con ampia facoltà di prova sulla scorta del magistero ordinario nei memorabili editoriali di Aggiornamenti Sociali, l’incompatibilità del berlusconismo con la dottrina sociale della Chiesa e ancora di più con i principi esigenti del cristianesimo.
Un altro campione di famiglia cattolica, pontificante al raduno, fu il deputato Pierferdinando Casini. O tempora! O mores! Il 19 ottobre 2005, all’inaugurazione dell’anno accademico nella Università del Papa, la Lateranense, il Gran Cancelliere, Mons. Rino Fisichella, ebbe l’ardire di presentarlo come esempio di persona che «forte della sua esperienza trentennale di vita politica e sostenuto da una forte coscienza cristiana, può offrire a noi tutti un chiaro esempio di come la fede possa ispirare comportamenti politici liberi e coerenti nella ricerca del bene comune». Parole di un vescovo, Gran Cancelliere nell’Università del Papa, ad un cattolico praticante, divorziato e felicemente convivente con prole.
Tutto ciò crea disorientamento, scandalo e sconcerto nei cristiani che faticano ogni giorno a fare conciliare l’esigenza della fede con il peso delle situazioni della vita, a volte insopportabili. Ad un uomo divorziato che, di fronte a queste dichiarazioni, affermava il suo diritto di «fare la comunione», non ho potuto dare torto, perché non potevo contestare l’autorevolezza di un vescovo e Gran Cancelliere del Papa: ho dovuto dirgli che aveva ragione e che sulla coscienza e responsabilità di Mons. Fisichella, del deputato Pierferdinando Casini e di Silvio Berlusconi, divorziati e conviventi, paladini difensori della «famiglia tradizionale», dell’indissolubilità del matrimonio, poteva andare tranquillo. Rilevo di passaggio che sia Casini che Berlusconi, in quanto parlamentari, usufruiscono «già» per i loro conviventi di tutti i benefici che contestano al progetto di legge sui «DICO».
O la Chiesa è coerente fino allo spasimo, fino al martirio, sapendo distinguere i falsi profeti per difendere le pecorelle dal sopruso e dalla sudditanza di avventurieri senza scrupoli, o la Chiesa si riduce ad una lobby che intrallazza interessi materiali con chiunque può garantirglieli. E’ una questione «di verità» per usare un’espressione a lei cara. Sulla stampa (la Repubblica 14-05-2007, p. 9) all’interno di una intervista, mons. Giuseppe Anfossi, responsabile Cei per la famiglia, ha dichiarato che Berlusconi si assume la responsabilità di ciò che ha detto. Non parlava però a nome della Cei che, credo, abbia l’obbligo di fare chiarezza e prendere le distanze da simili individui che non fanno onore né alla chiesa, né alla politica (nella concezione espressa da Paolo VI), né al popolo italiano. Se non vi sarà una chiarificazione ufficiale da parte della presidenza della Cei resterà un «vulnus» che ne appannerà la credibilità.
Sulla stampa sono stati pubblicati i capitoli dell’8 per mille che hanno cofinanziato il raduno del Family Day, suscitando in larghi strati del popolo cattolico una reazione a devolvere altrove la quota della Chiesa, generando ancora una volta una scollatura più grande tra popolo di Dio e Gerarchia che ormai sembrano camminare su sentieri diversi. Mi auguro che lei abbia il coraggio necessario, adeguato alla situazione.
E’ mia intenzione nella giornata di lunedì 21 maggio 2007, rendere pubblica questa lettera di credente ferito che si dissocia dalle parole per nulla cristiane di Silvio Berlusconi e anche dal silenzio pesante della Presidenza della Cei. Nessuna pretesa, solo una testimonianza «nunc pro tunc».
Genova 14 maggio 2007
Paolo Farinella, prete
* IL DIALOGO, Venerdì, 25 maggio 2007
Benedetto XVI interviene all’assemblea generale della Cei
"La chiesa italiana grande fattore unificante della Nazione"
Il Papa: "Family Day una festa di popolo
Giusta la nota dei vescovi sui Dico" *
CITTÀ DEL VATICANO - La chiesa italiana come "chiesa di popolo" e "grande fattore unificante" del Paese; l’orgogliosa rivendicazione della nota dei vescovi italiani sui Dico e del Family Day come "straordinaria festa di popolo, che ha confermato come la famiglia stessa sia profondamente radicata nel cuore e nella vita degli italiani"; approvazione per ogni iniziativa dello Stato a favore della famiglia. Questi i cardini dell’intervento del Papa alla 57esima assemblea generale della Cei.
Sintonia con la nota sulle unioni di fatto. Il Papa ha ricordato che i vescovi hanno una "precisa responsabilità non solo verso le chiese, ma anche verso l’intera Nazione". "Nel pieno e cordiale rispetto della distinzione tra chiesa e politica - ha aggiunto - tra ciò che appartiene a Cesare e ciò che appartiene a Dio, non possiamo non preoccuparci infatti di ciò che è bene per l’uomo in concreto del bene comune d’Italia". E la nota della Cei sulla "famiglia fondata sul matrimonio e le iniziative in materia di unioni di fatto", ha detto, è stata "testimonianza" di questa "attenzione al bene comune". "In questo contesto - ha proseguito Benedetto XVI - la recentissima manifestazione a favore della famiglia, svoltasi per iniziativa del laicato cattolico ma condivisa anche da molti non cattolici, è stata una grande e straordinaria festa di popolo, che ha confermato come la famiglia stessa sia profondamente radicate nel cuore e nella vita degli italiani".
Incoraggiare ogni iniziativa dello Stato sulla famiglia. "Ogni iniziativa dello Stato a favore della famiglia come tale non può che essere apprezzata e incoraggiata" ha detto il Papa ai vescovi italiani riuniti in Vaticano. Quindi ha ribadito il suo apprezzamento per il Family Day che, ha detto, "ha certamente contribuito a rendere visibile a tutti quel significato e quel ruolo della famiglia nella società che ha particolarmente bisogno di essere compreso e riconosciuto oggi, di fronte a una cultura che si illude di favorire la felicità delle persone insistendo unilateralmente sulla libertà dei singoli individui".
La chiesa unifica, è serbatoio morale. La fede in Italia è "viva e profondamente radicata" e la chiesa è "chiesa di popolo". E in una realtà "differenziata", con diverse "condizioni di vita, di lavoro e di reddito" la chiesa rimane "il grande fattore unificante" della Nazione e "un prezioso serbatoio di energie morali per il suo futuro". "Avvertiamo quotidianamente - ha osservato - nelle immagini proposte dal dibattito pubblico e amplificate dal sistema delle comunicazioni il peso di una cultura improntata al relativismo morale, povera di certezze e ricca invece di rivendicazioni non di rado ingiustificate".
Vangelo agli immigrati. Benedetto XVI ha quindi chiesto ai vescovi italiani di annunciare il vangelo sia ai "figli di quei popoli che ora vengono a vivere e lavorare in Italia, sia anche alla nostra gente che a volte si è allontanata dalla fede ed è comunque sottoposta alla pressione di quelle tendenze secolarizzatrici che vorrebbero dominare la società e la cultura in questo Paese".
Stima per altre fedi ma salda identità cristiana. A proposito del rapporto con le altre religioni, papa Ratzinger ha affermato: "La stima e il rispetto verso le altre religioni e culture, con i semi di verità e bontà che rappresentano una preparazione al Vangelo, sono particolarmente necessari oggi in un mondo che cresce sempre più assieme". E subito dopo ha esortato i vescovi a non perdere la "consapevolezza dell’originalità, pienezza e unicità della rivelazione del vero Dio in Cristo". "Il clima relativistico e culturale che ci circonda - ha osservato il Pontefice - rende sempre più importante e urgente radicare e far maturare in tutto il corpo ecclesiale la certezza che Cristo è il nostro unico Salvatore". Anche per questo, ha ricordato, ha scritto il suo primo libro da Papa, "Gesù di Nazaret".
Formazione dei giovani compito importante. Il Papa ha poi ricordato l’incontro dei giovani a Loreto, del prossimo settembre, al quale parteciperà personalmente, e che si tiene in preparazione alla Giornata mondiale della gioventù di Sydney del 2008. "Sappiamo bene - ha commentato - che la formazione cristiana delle nuove generazioni è il compito forse più difficile, ma sommamente importante che sta davanti alla Chiesa". In particolare, ha concluso il Pontefice, "deve essere grande la cura per le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, come anche la sollecitudine per la formazione permanente e per le condizioni in cui vivono e operano i sacerdoti. Specialmente in alcune regioni, infatti, proprio il numero troppo esiguo di giovani sacerdoti rappresenta già adesso un serio problema per l’azione pastorale: insieme a tutta la comunità cristiana, chiediamo con fiducia e con umile insistenza al signore il dono di nuovi e santi operai per la sua messe".
* la Repubblica, 24 maggio 2007
CAMILLO RUINI, IL CARDINALE DEL VENTENNIO
Numero speciale di Adista sui vent’anni del cardinale Camillo Ruini alla guida della Chiesa Italiana Dal Convegno di Loreto del 1985 al passaggio di consegne avvenuto a marzo 2007, anno per anno, nome per nome, tutti gli episodi che hanno caratterizzato l’ascesa di Ruini ai vertici della Chiesa italiana, la gestione del potere, la repressione di ogni voce non allineata. Numero speciale Adista, euro 5
[....]
Verona 2006: missione compiuta
L’ultima frontiera dell’azione politica di Ruini è la costruzione di un "partito di Dio", trasversale agli schieramenti, in prima linea nel promuovere l’orizzonte etico cattolico e veicolare in Parlamento - ma anche all’interno della società civile - la volontà del papa e della gerarchia. È questo il senso di operazioni come Retinopera, Scienza e Vita, nonché della nascita dei Teodem. Se in politica interna Ruini riesce a costruire una forte lobby a difesa degli interessi "materiali" della Chiesa, anche in "politica estera" il cardinale dà una decisa sterzata "interventista" all’atteggiamento "pacifista" di Wojtyla dopo l’attentato terroristico alle Twin Towers. In particolare, dopo la morte dei 19 militari italiani a Nassiryia, nel novembre del 2003: "Non fuggiremo davanti a loro [i terroristi], anzi, li fronteggeremo con tutto il coraggio". "Affidiamo [a Dio] (...) tutti gli italiani, militari e civili, che sono in Iraq e in altri Paesi per compiere una grande e nobile missione, e, con loro, questa nostra amata Patria, la pace nel mondo e il rispetto per la vita umana", dice Ruini nell’omelia pronunciata al funerale dei carabinieri uccisi a Nassiriya, il 18 novembre di quell’anno.
Arriviamo così ai giorni nostri. Nell’ottobre del 2006, a Verona, si svolge il IV Convegno della Chiesa italiana ("Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo"): liberatosi facilmente della timida opposizione che faceva capo al card. Dionigi Tettamanzi (strutturando i lavori in modo da concedere ai delegati pochissimo spazio per dibattere e impedendo loro di esprimersi attraverso il voto), Ruini lancia in quell’occasione una sfida che resta tuttora aperta: quella che il cardinale ha definito in più occasioni la "questione antropologica", ossia la battaglia per la presenza cristiana (con relativa menzione delle annesse "radici") nella cultura italiana ed europea, la lotta per i valori occidentali e per l’affermazione dell’identità cristiana, la contrapposizione all’Islam ed ai processi di integrazione religiosa, la crociata contro la deriva laicista del vecchio Continente e l’opposizione ad ogni provvedimento legislativo - ultimo esempio i Dico, che per la Chiesa incarnano il demonio della modernità e della secolarizzazione.
Il cardinale, che pure su questo fronte si è ultimamente speso moltissimo, ha dovuto arrendersi all’età. Bisognerà capire se, uscito di scena il generale, cambierà la strategia dei suoi colonnelli. I segnali, per ora, sembrerebbero smentire questa ipotesi. Ma la realtà di una gerarchia che fa sempre più fatica a nascondere le proprie lacerazioni interne e le proprie contraddizioni, che continua ad occupare le stanze del potere ma non riesce ad impedire che le sue chiese siano sempre più vuote, potrebbe sparigliare nuovamente le carte.
Il segretario della Cei parla al convegno sulle Prospettive dei cattolici.
E ai media dice: "La stampa sbaglia quando considera la Chiesa una parte politica"
Betori: "Famiglia e matrimonio
unica salvezza per il futuro dell’Italia" *
ROMA - La famiglia fondata sul matrimonio "unica garanzia per il futuro dell’Italia". La Cei torna all’attacco su famiglia, diritti e dintorni. Con una premessa: "I media sbagliano - sottolinea monsignor Giuseppe Betori segretario della Conferenza dei vescovi - quando considerano la Chiesa una parte politica collocandola in uno schieramento politico". Anche se è stata proprio la Cei a rivolgersi direttamente ai politici invitandoli a non votare i Dico.
Betori ha parlato concludendo il convegno sulle Prospettive dei cattolici iniziato il 26 aprile e a cui hanno partecipato trecento delegati da tutta Italia. "La famiglia fondata sul matrimonio - ha detto - non è semplicemente il frutto di un contratto, ma è simbolo del passaggio tra le generazioni. Una coppia di sposi riassume nella propria unione la storia di due famiglie da cui ha preso vita, in vista di una nuova generazione: solo in quest’ottica è possibile immaginare un futuro per un popolo".
Un intervento lungo, quello di Betori, in cui ha sottolineato la necessità che la Chiesa italiana sappia parlare in una società di "cambiamento", un cambiamento che "non è solo questione di moda, ma segna in modo profondo la nostra cultura e la fase attuale della nostra civiltà".
La gente, credenti e non, desidera essere messa a contatto "con un nutrimento solido, con una parola che sia proposta come sensata e degna di fiducia, che non rifiuta e non teme l’argomentazione, che lasci trasparire una verità che sempre la sovrasta e la trascende e che, tuttavia, si mostra e si dona per arricchire e orientare le nostre vite".
A proposito dei stampa e media, Betori ha insistito sul fatto che il circuito dell’informazione "e la secolarizzazione stravolgono il fatto religioso sia che si tratti di cristianesimo che di islam". Il segretario della Cei parla di "atteggiamento bifronte dei commentatori alle prese con la religione, a seconda se questa sia caratterizzata come cristiana o islamica: nel primo caso si pensa ad un’opinione che non ha o non deve avere conseguenze pubbliche; nel secondo si pensa a qualcosa che fanaticamente tiene insieme pubblico e privato, politica e religione".
"In entrambi i casi - ha aggiunto - è l’ideologia della secolarizzazione a stravolgere il fatto religioso, trasformato in religione secolarizzata (e quindi innocua) oppure in fanatismo (necessariamente sanguinario). Ma nè il cristianesimo nè l’islam - ha concluso - possono essere capiti a partire dalla secolarizzazione"
* la Repubblica, 28 aprile 2007
Il monito durante la cerimonia della lavanda dei piedi in San Giovanni che ricorda l’ultima cena di Gesù. Ratzinger lo aveva già detto nel 2005 negli ultimi giorni del pontificato di Wojtyla
-Il Papa: "Vincere la sporcizia della propria vita
è possibile solo amando e servendo" *
ROMA - La prima cosa da imparare è l’amore, per vincere la "sporcizia della propria vita" ed imitare veramente Gesù. E questo vale soprattutto per i sacerdoti. Per la vigilia del venerdì della passione di Cristo, Benedetto XVI concentra il proprio messaggio sulla "sporcizia" nella Chiesa che può essere superata solo amando e servendo. Ratzinger lo dice e lo ripete, ripetendo il gesto di Gesù nell’ultima cena, mentre lava i piedi a dieci uomini, in San Giovanni in Laterano per la messa in Coena Domini nella quale la Chiesa ricorda l’ultima cena di Gesù con i discepoli, a Gerusalemme.
La "sporcizia" era stata al centro anche della riflessione del mattino in San Pietro quando Ratzinger ha ammonito che senza amore non si entra nel regno dei cieli e la veste bianca richiesta da Dio è la veste dell’amore verso Dio stesso e verso i fratelli. Gli abiti del sacerdote, poi, "sono una profonda espressione simbolica di ciò che il sacerdozio significa", del dover "parlare e agire in persona Christi". Ma proprio celebrando, osserva il Papa, "ci accorgiamo tutti quanto siamo lontani da lui, quanta sporcizia esiste nella nostra vita".
Davanti al Papa, sia nella messa del mattino che in quella del pomeriggio, è sfilato quasi tutto il collegio cardinalizio e una miriade di vescovi e sacerdoti. E’ a loro, quindi, che ha voluto ricordare il comandamento dell’amore, i rischi della caduta, della sporcizia, appunto. Un concetto che, pur molto forte e scomodo, Ratzinger deve sentire molto. Già nel 2005, durante le meditazioni della via crucis alla fine del pontificato di Wojtyla, disse: "Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui. Quanta superbia, quanta autosufficienza".
Un’autocritica coraggiosa che in quelle settimane di due anni fa ha ripetuto anche quando condannò la "dittatura del relativismo" nella missa pro eligendo pontifice in apertura di conclave. Stigmatizzò le "correnti ideologiche" che hanno agitato "la piccola barca dei cristiani": "marxismo, liberalismo, libertinismo, collettivismo, individualismo radicale, vago misticismo religioso, agnosticismo, sincretismo...". Non faceva sconti il cardinale bavarese. E forse proprio questa franchezza spinse molti, il giorno successivo, ad eleggerlo Papa.
La condanna della sporcizia nella Chiesa è una lettura spirituale, le cui ricadute sul modo di governarla di papa Ratznger si potranno valutare in tempi più lunghi degli attuali due anni di regno. Comunque il tema è presente costantemente alla sua riflessione, come dimostra l’omelia di questa mattina.
Per far rivivere anche drammaticamente l’amore di Gesù per i discepoli e invitare allo spirito di servizio, Benedetto XVI, nella cattedrale di Roma gremita di fedeli, ecclesiastici, membri del corpo diplomatico stasera ha dunque ripetuto la lavanda dei piedi a 12 uomini in rappresentanza dei gruppi laici della diocesi di Roma.
* la Repubblica, 5 aprile 2007
Il rischio clericale
di MARCELLO PERA (La Stampa, 05/4/2007)
Un prelato entra nel merito del disegno di legge sui Dico e arriva quasi a proporre emendamenti. Un altro sponsorizza un partito e lo raccomanda agli elettori. Un altro ancora benedice un intero schieramento. E poi, sul lato opposto, c’è il politico che ha già parlato tre volte col Papa, quello che si accerta che le telecamere lo riprendano mentre, pio e compìto, assiste alla messa; quello che la gerarchia ecclesiastica; quello che la famiglia; quello che i diritti individuali; quello che siamo un partito cattolico, e così via. Anche le istituzioni seguono: c’è quella che sorride alla sorridente segreteria di Stato e quella che si fa severa davanti alla severa presidenza della Conferenza episcopale. Mentre i mezzi di comunicazione si adeguano: per un direttore che mette Padre Pio alle pareti ce n’è un altro che colloca San Gennaro sulla scrivania; chi sceglie un aspersorio, chi si fa benedire da un altro.
Che cosa sta accadendo? Per tentazione profana da parte ecclesiastica e per calcolo elettorale da parte politica, là perché le porte si spalancano qua perché i consensi si svuotano, sta accadendo che rischia di rinascere, se non un partito, un movimento neo-clericale italiano.
Quanto attuale sia questo rischio ce lo diranno gli eventi prossimi, a cominciare dal Family Day, che da alcuni è già vissuto come una processione politica al séguito della gerarchia ecclesiastica; quanto pericoloso possa essere ce lo ricorda la storia italiana. Ma ancor prima degli sviluppi, su un paio di punti già si può riflettere. Se il clericalismo rinascerà, allora i laicisti agnostici o atei avranno sperimentato la legge del contrappasso.
Quelli che non concedono neppure che l’Italia e l’Europa abbiano tradizione cristiana, che vogliono negare alla religione qualunque ruolo pubblico, che intendono relegare la fede nella sola sfera privata, rischiano oggi di sollevare proprio quel mostro che desiderano esorcizzare. Un movimento neo-clericale li condannerebbe alla sconfitta.
Ma anche i laici non laicisti, quelli credenti oppure aperti al credo, rischiano di perdere. Essi avevano e hanno un altro progetto. È quello del risveglio religioso delle coscienze, della ripresa del senso di appartenenza ad una cultura o civiltà, dell’impegno a difesa di una storia, del recupero di una tradizione, del cristianesimo come religione civile. Questi laici pensano che senza una religione, una fede, una credenza, neppure c’è un popolo e un’identità, e perciò né un’Italia né un’Europa né una qualunque società coesa da princìpi morali. Per questi laici, che vedono il relativismo e lo scientismo come minacce, esiste la verità, esiste la natura umana, esistono i valori non negoziabili, esiste la salvezza. Ma esistono nelle coscienze, nei costumi, negli abiti di vita, nei comportamenti individuali e sociali, non in un catechismo che diventasse prontuario o nei documenti del magistero che diventassero formule. Se un movimento neo-clericale rinascesse anche questi laici avrebbero perduto.
Oggi la politica ha davanti a sé una sfida storica: comprendere le ragioni profonde della rinascita del sentimento religioso, farsene interprete e affidarle un compito rigenerativo contro la crisi che in Occidente stiamo attraversando. Da parte sua, la Chiesa ha davanti a sé una sfida non meno epocale: capire che quella rinascita è occasione non di rivincita, ma di salvezza, non di conquista ma di servizio. «Velut si Christus daretur» è la formula con cui vogliamo vivere. Ma se qualche politico e qualche prelato la intendessero in senso profano, alla maniera, per capirsi, di «come se quel vescovo o quel cardinale fosse ministro o sottosegretario», allora un nuovo clericalismo ci farà perdere un’occasione che invece abbiamo drammatico bisogno di vincere.
Per l’Europa il vero nemico è la Chiesa
di MARCELLO PERA (La Stampa, 30/4/2007)
La questione dell’omofobia è come quella del riconoscimento giuridico delle coppie di fatto. Si mira da una parte per colpire dall’altra. Sulle coppie di fatto non esiste un vero problema. Non lo hanno le stesse coppie di fatto, le quali, avendo liberamente scelto di essere di fatto, non chiedono di diventare di diritto. Né lo ha la società, perché nessun movimento è mai nato per protestare contro presunte discriminazioni in materia di unioni. In realtà, con la scusa della protezione delle coppie uomo-donna, si vuole arrivare al matrimonio uomo-uomo e donna-donna.
Lo stesso vale per la condanna dell’omofobia. Non esiste un problema sociale degli omosessuali, salvo che nei Paesi islamici (che però, al momento, non fanno parte dell’Unione europea), perché né di fatto né di diritto essi sono discriminati in Europa e in Occidente. Vale addirittura il contrario: da quando si sono liberati dal condizionamento sociale e dalla propria autorepressione psicologica e hanno cominciato a fare outing, non solo gli omosessuali sono stati accettati come tali (salvo i normali pettegolezzi che si riservano a tutti), ma addirittura sono diventati i nuovi eroi portatori di nuovi diritti, nuova cultura e nuova civiltà. Al punto che, se c’è, la discriminazione è a loro favore: ad esempio, mentre è possibile oggi bloccare strade e città per una manifestazione di gay pride, non è più possibile intralciare il traffico per una processione del Corpus Domini.
E allora contro chi ce l’ha il Parlamento europeo? Ce l’ha con la Chiesa cattolica, la quale, come tanti, i più, ritiene che l’omosessualità sia un disordine morale e una a-normalità, per ragioni culturali, genetiche, fisiologiche o che altro. Oltre a ciò, il Parlamento europeo ce l’ha con quei credenti e con quei non credenti (che solo in italiano e francese si chiamano «laici»), i quali, benché non abbiano problemi riguardo ai diritti degli omosessuali, ne hanno di irriducibili contro la loro richiesta di congiungersi in matrimonio, o comunque si chiami l’istituto giuridico a seconda delle fantasie dei vocabolari europei.
E perché il Parlamento europeo ce l’ha tanto con la Chiesa cattolica e coloro che, sul punto, ne condividono la posizione? Perché il Parlamento europeo è la punta avanzata del laicismo europeo, il quale è una delle due valvole mitraliche del cuore dell’ideologia europeista (l’altra, come è noto, è il pacifismo, ma solo se antiamericano e preferibilmente filoislamico).
Morti il fascismo, il nazismo e, alla fine e per grazia di Dio, anche il comunismo, l’europeismo è l’ultimo (nel senso di più recente) rifugio ideologico dell’Europa, soprattutto quella di sinistra e soprattutto quella che, da sinistra, l’aveva sempre osteggiata quando era atlantica e voleva essere cristiana.
A questa ideologia il laicismo fa così tanto da cemento che attorno a esso si edifica quel poco di identità europea che ancora è ammessa (l’Europa laica contro l’America bigotta) o su di esso si costruiscono partiti politici postcomunisti o postcattolici (in Europa, quella Margherita che si chiama partito liberale, in Italia il partito democratico, che non a caso si è definito «partito laico» e, al primo punto programmatico, ha posto il riconoscimento dei matrimoni omosessuali).
L’odio contro la Chiesa e le sue gerarchie (pericolosissimo perché finirà con l’armare ideologicamente la mano di qualche criminale) e l’apostasia del cristianesimo è ciò su cui oggi si basa l’Europa. Non sapendo più che cosa è, né avendo chiara idea di che cosa vuole essere (se non zona di pace e di ferie), l’Europa fugge da se stessa. Ma poiché senza un interlocutore o un avversario, anche immaginario, che consenta di distinguere «noi» da «loro» non si può esistere, l’Europa, per mostrare che invece esiste, ha fatto la sua scelta: ha puntato al fantasma degli omofobi per combattere il cristianesimo.
Trovato il nemico, fascismo, nazismo, comunismo si inventarono confini, campi e gulag per rinchiudercelo. Ma l’ideologia europeista, come ha scritto un Tale, è «una forza gentile»: al momento si limita alle minacce culturali e alle censure parlamentari.
È tornato il ’48?
di Bruno Gravagnuolo *
Il dado è tratto e indietro tutta. Rotti gli argini di una «sfida etica» in parte ancora contenuta nei termini degli «ammonimenti», i Vescovi si appellano alla società civile. E scendono in piazza per interposti parroci. Infatti con le parole di Mons. Betori, segretario generale della Cei, non solo plaudono alle associazioni laicali cattoliche che guideranno a Roma il family day contro i Dico. Ma incoraggiano le parrocchie e i parroci a essere presenti. Pur escludendo ogni adesione vescovile in prima persona.
È un salto di qualità politico, non c’è dubbio. E un chiaro ritorno al protagonismo capillare e di massa della Chiesa sulle questioni civili. Come nel 1948, al tempo dei comitati civici di Gedda, delle scomuniche di Pio XII e dei cortei col Biancofiore. Con partecipazione di ecclesiastici nonché di icone sacre e Madonne pellegrine. E come al tempo del divorzio, battaglia persa nonostante la mobilitazione dei pulpiti.
Ora però si ricomincia e con supporto di teorie devote sul «diritto naturale» in tempi di evangelizzazione contro il «relativismo». La Chiesa, ci dicono Mons. Cafarra e prima ancora il Pontefice, coi teocon nostrani, deve essere un baluardo etico e razionale contro la deriva dei valori. Il saldo sostegno della verità universalmente umana e non dubitabile, che sta a base a degli ordinamenti civili. I quali in sè - recita il Magistero ecclesiale - sono deficitari, non reggono alla globalizzazione culturale e all’emergere dei diritti individuali su scala planetaria, fomite di arbitrio e possibile anarchia. Sicchè travolti i collateralismi di partito, la Chiesa non può che farsi agenzia «metapolitica». Punto di riferimento trasversale delle coscienze e della legislazione che diviene per questa via affare precipuo dei credenti, in quanto orientati dalla Chiesa.
Di più. Proprio questo Papa, prima ancora di ascendere al soglio di Pietro teorizzò a chiare lettere che il pluralismo civile dei moderni era null’altro che un pluralismo tra Chiese, come avvenne negli Usa delle sette religiose. Dottrina confermata anche dal cardinal Scola, che ha ribadito in un suo saggio la sostanza fondativa della religione cristiana, in virtù della sua intima razionalità superiore e «cristiano-occidentale». Sempre del tutto in linea col Pontefice, che a Ratisbona celebrò la superiore razionalità «greco-cristiana», a petto della deficitaria ragione islamica così intrisa di violenza in Maometto. C’è dunque da meravigliarsi se a partire da queste «basi cognitive» e di milizia teologica la Chiesa scenda in piazza? E persino contro una realtà minimale e per nulla «epocale» come i Dico? Già, scende in piazza, anche se l’invito è rivolto solo in guisa di incoraggiamento ai parroci. Dopo le note ingerenze dirette sul referendum della fecondazione assistita. Dirette fin dentro la tecnica da adottare (l’astensione per far mancare il quorum). E dopo la nota promossa dalla Cei di Bagnasco sull’obbligo esplicito di votare in Parlamento contro i Dico, già essa ben altro che «richiamo pastorale», visto il pressing sulle coscienze dei parlamentari e il riferimento vincolante all’ultimo documento «ex cathedra» del Papa.
Di che si tratta stavolta con l’appello ai parroci di Betori? Di una ben precisa teoria dell’«egemonia», che usa un «concetto» conciliare per volgerlo nel suo esatto contrario. Questo: la Chiesa come articolazione orizzontale di comunità. E il punto vien fatto valere così. Le parrocchie per Betori «non sono proprietà del clero. E se i laici si appoggeranno alle parrocchie per organizzare la manifestazione, non si potrà impedire al parroco di partecipare con i fedeli»». Da un lato quindi si preserva la distinzione, dallo stato, dei rami alti: La Chiesa dei Vescovi. Dall’altro però la distinzione viene «agita» per dare impulso all’autonomia del clero e dei laici, dentro la società civile. È una mobilitazione dall’alto insomma. Che incalza da entrambi i lati la «res pubblica» e che recupera la «Chiesa di base», preventivamente pungolata all’obbedienza sui princìpi dottrinali. Lotta dal basso perciò, e pressione sulle Istituzioni laiche dall’alto. In uno con la pretesa che i contenuti della fede siano vincolanti per la legislazione civile, e per credenti e non. Perché proprio questa è la democrazia basata sul «consenso», come più volte ha teorizzato sempre il cardinal Scola. Attenzione però, solo formalmente la distinzione tra Stato e Chiesa è rispettata, in tale impostazione generale. Perché di fatto in questo caso la Chiesa di Roma si muove come una forza organizzata di massa, come un partito trans-politico che plasma dinamicamente la legislazione.
Organizzando per via diretta e indiretta la mobilitazione attiva, e non già fornendo appigli alla coscienza dei credenti, o tracciando orientamenti generali per essa. Ne vien fuori uno stato laico pressato e in libertà vigilata. Dove lo sconfinamento della sfera religiosa è insieme diritto e fonte del diritto. Né vale l’argomento pedestre di quei devoti alla Della Loggia, che obiettano: «vanno bene gli ecclesiastici sulla mafia e la pace e non sui Dico?». Non vanno bene affatto. Perché un conto è l’intervento episodico o spontaneo su mali e beni universalmente sentiti, come il crimine, la guerra, la fame e le ingiustizie. Altro l’intervento sistematico e capillare sui singoli temi di legislazione, pungolato e organizzato dalla gerarchia: dalla società civile al Parlamento. E tramite il privilegio di un insediamento territoriale e di una sovraesposione mediatica a vantaggio della Chiesa, senza confronti con altri paesi. Infine e in conclusione. A che pro la Chiesa vuole oggi spaccare le coscienze e la società civile con la sua nuova mobilitazione capillare? Per conquistarsi un primato civile sulle ceneri della pace religiosa, e contro ruvide ondate anticlericali e magari «neoscismatiche»? Ce lo chiediamo sinceramente preoccupati. Ci pensino i buoni Pastori prima di raccogliere inattese tempeste.
* l’Unità, Pubblicato il: 04.04.07, Modificato il: 04.04.07 alle ore 8.38
apertura
Contro il gregge ribelle il pugno di ferro del pastore
Sui temi della famiglia la chiesa sferra un attacco all’autonomia concordataria dello stato e ai suoi caratteri laici. Questa spinta si incontra con l’altra, proveniente dalla sfera politica, che mira alla iperregolamentazione della vita dei singoli individui Anticlericali al bando Indimostrato o smentito, impera tuttavia il dogma della religiosità popolare
di Marco Bascetta (il manifesto, 28.02.2007)
Vi sono parole, idee, tradizioni di pensiero che, in determinate stagioni, vengono universalmente bandite dalla politica, private di ogni legittimità e additate al pubblico disprezzo. Una di queste è oggi «anticlericalismo». Non vi è esponente politico, per quanto impegnato nel contrastare le crescenti ingerenze della chiesa nella vita politica e istituzionale del paese, che non si preoccupi, prima di tutto, di allontanare sdegnato da sé anche solo il più flebile sospetto di anticlericalismo. Di un atteggiamento, cioè, universalmente giudicato come ciarpame d’altri tempi, come ideologia rozza e ingenua, irrispettosa della sensibilità popolare, quando non compromessa con una certa corruzione morale borghese. Primi tra tutti, i partiti di massa della sinistra, che, sottolineando appunto questi ultimi due aspetti, hanno sempre tenuto a smentire la benché minima inclinazione anticlericale.
Una debole laicità
Il dogma della «religiosità popolare», del tutto indimostrato quando non smentito (per quel poco che valgono) dalle statistiche, torna a dominare - sospinto e ingigantito da una alluvione mediatica - la postmodernità. Più volte nel corso degli ultimi anni, politici e intellettuali della sinistra, nonché diverse organizzazioni ed esponenti del movimento altermondialista hanno accreditato esternazioni pontificie e prese di posizione ecclesiastiche come modello contemporaneo di buon anticapitalismo, non inquinato dalle pratiche brutali del secolo passato. Della laicità stessa si tende a parlare soprattutto come di una tutela della pluralità delle fedi. Come di un quadro formale destinato a svolgere una funzione di puro e semplice garantismo a favore della libertà di culto. Resta così sottointeso che il pensiero laico e le istituzioni che ne discendono non devono e non possono entrare in attrito con nessuna fede, né tenere al riparo alcuna sfera sostanziale dal tribunale dei valori religiosi, pena la caduta nel deprecato anticlericalismo.
Ma il rifiuto dell’anticlericalismo, così come la fascinazione per l’anticapitalismo curiale, occultano un elemento che, all’inizio del secolo passato e per tutto il diciannovesimo, era appartenuto al più diffuso senso comune. E cioè la banale constatazione che la democrazia e la chiesa non solo sono due cose diverse, ma sono sempre in contraddizione e sovente in conflitto. L’una essendo fondata sulla sovranità popolare, sulla volontà dei cittadini, l’altra su una organizzazione gerarchica, custode di una verità rivelata. L’una su un principio elettivo, l’altra su un principio pastorale. E mai si è visto un gregge chiamato a deliberare sulla propria condotta.
Contraddizioni occultate
Lo stesso principio di uguaglianza, che sembra accomunare cristianesimo e socialismo, è nell’un caso inscritto nel quadro patriarcale del potere pastorale, nel secondo, malauguratamente solo in teoria, in un progetto di autogoverno. Il che comporta, comunque sia, una certa differenza. Su questo conflitto tra chiesa e democrazia la letteratura filosofica e politica è talmente vasta da lasciare solo l’imbarazzo della scelta. Ciò che invece sorprende è la totale sparizione del tema dal dibattito attuale.Tuttavia, questa contraddizione è apertamente dichiarata da parte della chiesa, mentre viene ripetutamente occultata dal ceto politico italiano, che ossessivamente si trincera dietro la libertà di espressione dei vertici ecclesiastici, mai messa del resto in discussione da nessuno. Il problema non è infatti la libertà di espressione o la denuncia dell’«ingerenza» vaticana nella sfera politica, ma la necessità di riportare all’attenzione dell’opinione pubblica il discorso sui caratteri costitutivamente antidemocratici dell’ideologia e della pratica ecclesiastica. E questo è il punto dell’anticlericalismo, la sua ragione, la sua «attualità».
Ma vediamo più da vicino quale è la posizione della chiesa sulla democrazia. Quella più semplificata e netta, destinata al grande pubblico e alla propaganda. Alla voce «democrazia» il Dizionario di dottrina sociale della chiesa (2005) curato dal «pontificio consiglio della giustizia e della pace» propone la seguente suddivisione: «1) in senso generico significa la partecipazione dei cittadini nella gestione degli affari pubblici: la Chiesa ha sempre incoraggiato tale partecipazione. 2) Secondo un significato specifico, la democrazia è una delle tre forme di governo (monarchia, aristocrazia e democrazia) oggetto della filosofia politica classica: in questo ambito, la Chiesa rispetta la libertà di scelta dei cittadini, anche se attualmente considera la democrazia come il tipo di governo che più favorisce la partecipazione alla vita pubblica. 3) l’ideologia della sovranità popolare, che ripone nel popolo l’origine ultima dell’autorità: il Magistero ha fatto vedere l’errore di tale ideologia».
Da questa premessa si ricavano: una definizione estremamente limitata di democrazia, in termini di «partecipazione» (concetto affatto diverso da quello di autogoverno e pratica che potrebbe darsi, per esempio, anche nell’ambito di una organizzazione corporativa dello stato); una semplice preferenza contingente per la democrazia, che non esclude la possibile benedizione delle forme di governo monarchica o aristocratica; il rifiuto netto della sovranità popolare, nonché dell’autogoverno dei cittadini. Quest’ultimo è ovviamente il punto decisivo. «Per evitare questo errore - prosegue il Dizionario - la dottrina cristiana ricorda che la libertà e la democrazia devono sorreggersi sulla verità e sui valori umani indisponibili». Per concludere che «l’obbedienza alla verità integrale dell’uomo diviene, pertanto, imperativo morale per la cultura democratica del nostro tempo». E questa verità integrale, di cui la cattedra di Pietro è depositaria, sarebbe incompatibile con ogni «relativismo». Ce n’è abbastanza per sostenere che la chiesa non accetta il principio dell’autogoverno democratico, o almeno ne circoscrive la sfera così da lederne irrimediabilmente la sostanza. Non saremo certo noi a fare della volontà della maggioranza nella democrazia rappresentativa un articolo di fede, né a occultare le innumerevoli nefandezze compiute sotto questa copertura (fino alle guerre incaricate di esportarla). Tuttavia non è affatto la stessa cosa se i «valori umani indisponibili» vengono fatti risalire a una verità rivelata, trasmessa o imposta da una gerarchia istituzionalizzata, o all’esperienza della relazione tra i singoli e alla crescita collettiva di una coscienza sociale. La quale, più dei regimi teocratici antichi e moderni si è dimostrata impegnata nell’arginare i dispositivi della sopraffazione (per esempio «relativizzando» lo stesso principio maggioritario con la tutela delle minoranze). La chiesa, nella sua pretesa di limitare la facoltà legislativa degli organismi democratici, si è esplicitamente richiamata al «diritto naturale».
Il monopolio sulla ragione
Quest’ultimo può certo essere invocato per legittimare una data gerarchia di potere e un dato assetto sociale, ma è stato, fin dai tempi più remoti, anche la bandiera di tutte le rivoluzioni. Ponendosi alle spalle più che al di sopra del diritto positivo e del potere costituito il diritto naturale rappresenta la possibilità stessa di rimetterne in questione le norme. È la regola che passa al vaglio le regole, la fonte del «diritto di resistenza», più un principio di disobbedienza che un principio di obbedienza. E dal suo stesso interno, così come dal campo secolare, l’istituzione ecclesiastica stessa è stata ripetutamente accusata di calpestare proprio il diritto naturale, sovrapponendovi una verità artificiosa. Ma oggi il Vaticano invoca, non senza un certo azzardo, il «diritto naturale» nella sua versione critico-rivoluzionaria, come fonte di uno ius resistentiae contro l’arbitrio della scienza o il pluralismo democratico sospettato di volgere in «relativismo culturale». Di qui l’intransigenza di chi intenda mettersi alla testa di una rivoluzione: una rivoluzione antidemocratica.
Ogni rivoluzione ha sviluppato la sua interpretazione del diritto naturale. La chiesa ha la sua, con l’esclusione di tutte le altre. Si tratta, paradossalmente, di un «diritto naturale» di origine sovrannaturale (sebbene, secondo la tradizione tomista, la ragione sia sufficiente ad accedervi). Perché avventurarsi allora su un terreno così scivoloso? Perché non accontentarsi della nozione, meno insidiata dal «materialismo», di «verità rivelata», perché privilegiare il monopolio dottrinario sulla ragione, come fa l’attuale pontefice, rispetto al mistero della fede?
Il problema è politico. La chiesa ha, per così dire, bisogno di scendere nel dettaglio. Il diritto naturale di cui parla non si limita a un ristretto numero di principi universali, ma entra nell’articolazione delle regole sociali, punta sul ripristino di una autorità con una forte presa, non solo simbolica, sull’organizzazione sociale, sui comportamenti e sulle scelte individuali. Una autorità, e questo è il punto decisivo, che pretende di esercitarsi anche sui non credenti.
Il passaggio al diritto naturale serve appunto a setacciare l’attività legislativa delle istituzioni democratiche in questa chiave. Così quando si parla del matrimonio, la chiesa sottolinea il suo carattere «naturale» e «razionale» prima ancora che sacramentale. Ma questa naturalità si presenta già corredata dei suoi caratteri ideologici e normativi (l’indissolubilità, la fedeltà, la finalità procreativa). Tutti elementi dichiarati «indisponibili», pur trattandosi con tutta evidenza di un’opzione culturale tra altre. Diverse interpretazioni del diritto naturale possono invece (e ripetutamente lo hanno fatto, probabilmente con maggior realismo storico) imputare al diritto naturale il «libero amore», la promiscuità o la poligamia e invece al sacramento del matrimonio una funzione artificiosamente sovrapposta. Interpretazioni, rispetto alle quali lo «stato laico» è tutt’altro che neutrale, impegnato come è, nel cercare di dimostrare la sua comunanza di valori con la dottrina ecclesiastica, in un contesto in cui la presenza crescente di culture e religioni diverse e soprattutto le concrete scelte di vita dei cittadini rendono sempre più difficile questa consonanza. Siamo così di fronte a una sorta di guerra unilaterale. Nella quale da parte della chiesa viene sferrato un attacco senza esclusione di colpi contro l’autonomia concordataria dello stato, minacciando conseguenze, come ha dettagliatamente segnalato Gustavo Zagrebelsky, all’interno delle sue stesse istituzioni. Mentre dall’altra parte si balbettano scuse, negando la possibilità stessa di un attrito con la dottrina sociale della chiesa.
Fra controllo e autogoverno
Ma l’argomentazione concordataria e il richiamo all’articolo 7 della Costituzione, nella loro ottica essenzialmente giuridica e centrata sul rapporto tra poteri costituiti, lasciano in ombra il fatto decisivo. E cioè che l’offensiva ecclesiastica non si rivolge affatto contro l’autonomia e la sovranità dello stato laico, bensì contro i suoi caratteri democratici e soprattutto contro quel tanto di autogoverno dei cittadini che in essi riesce a svilupparsi. Quel che è grave agli occhi del Vaticano non è tanto che lo stato legiferi sui cosiddetti «valori indisponibili», ma che recepisca, o meglio sia costretto a recepire, ciò che già si è affermato nella vita della società: comportamenti, abitudini, scelte imposte dal basso (declino dei matrimoni e delle nascite, separazioni, convivenze di fatto, interruzioni di gravidanza). In buona sostanza la chiesa pretende, e trova orecchie disposte ad ascoltare, che lo stato si faccia carico, pur nelle sue forme laiche e parlamentari, di quello stesso principio pastorale e intrinsecamente antidemocratico che presiede all’azione ecclesiastica.
Allo stato si rimprovera, insomma, non di essere laico, ma di essere «permissivo». Questa spinta si incontra con una spinta analoga, proveniente dal mondo della politica, che una volta consumata la separazione tra liberismo economico e libertà individuali, muove verso una iperregolamentazione della vita dei singoli, in base al principio, pastorale appunto, che debbano essere difesi da se stessi e dai propri irresponsabili desideri, forieri di immoralità e di crescita del debito pubblico. E anche coloro che desiderano la regolamentazione delle coppie di fatto non dovrebbero perdere di vista questa insidia.
La partita che si gioca non è tra stato e chiesa, ma tra il controllo sulla vita e il suo autogoverno, tra le pratiche sociali diffuse e l’autorità, tra la libertà dei singoli e la trascendenza del potere. Ragione per cui non possiamo non dirci, al tempo stesso, anticlericali e antistatalisti.
"ITALIA, PAESE PIU’ BIGOTTO AL MONDO", SONDAGGIO
ROMA - L’Italia è il paese più bigotto del mondo, davanti a Grecia e Irlanda del Nord. Lo rivela una ricerca internazionale, basata su dati raccolti da Human Believes and Value Survey. Il risultato è poi confermato anche dagli stessi italiani: in un sondaggio, pubblicato sul sito web di ’Donna moderna’, settimanale in edicola domani, e rivolto a lettori di età inferiore ai 25 anni, confermano (47,63% dei lettori) che gli italiani dipendono troppo dalla Chiesa e che quindi in tal senso sono bigotti. Il 12% degli intervistati pensa invece che gli italiani siano bigotti, ma che questo sia considerato un valore. Secondo il 37% le radici cattoliche, di importanza rilevante, non condizionano negativamente il comportamento e, infine, il 6% ritiene l’Italia un paese laico.
* ANSA » 2007-02-28 15:50
Visto dall’esterno, il mondo cattolico può anche dare l’impressione di un blocco monolitico di soldati saldi nella fede e stretti attorno al Papa. Visto dall’esterno, appunto. Perché questa idea è frutto di un’illusione ottica, e la bagarre sui Dico attualmente in corso ne è la conferma. In questi giorni è un turbinare di intellettuali e politici cattolici che si affannano per insegnare a Benedetto XVI come si fa il Papa, al cardinale Ruini come si fa il presidente della Cei, all’episcopato in generale come si fa il vescovo. Ci si sono messi in tanti, dalla scuola dossettiana di rito bolognese ai preti disobbedienti passando per tutte le sfumature del cattolicesimo cosiddetto adulto, di cui il presidente del Consiglio Romano Prodi è uno dei campioni. Quali le cause? L’esistenza di una radicale frattura di carattere dottrinale circa il senso della democrazia e il suo rapporto con la verità.
Ma per capire le ragioni di ciò che sta avvenendo conviene partire dagli argomenti di due politici, peraltro eminentissimi, quali Rosy Bindi e Oscar Luigi Scalfaro. «Io amo pensare alla Chiesa che si occupa delle cose di Dio», ha bacchettato la signora ministro per la Famiglia. Dal suo canto, il presidente emerito della Repubblica ha messo in guardia i vescovi da eventuali pronunciamenti che vincolino i politici cattolici su materie eticamente sensibili come quella toccata dai Dico. «Io confido che non ci saranno» ha detto Scalfaro. «Se dovessero invece avvenire, distruggerebbero la possibilità stessa di una presenza dei cattolici in Parlamento in condizioni di dignità e libertà, quella libertà che consente l’assunzione individuale della libertà». In soldoni: il prete dica quello che vuole in chiesa, il laico agisca come meglio crede nel mondo. Roba da «libera Chiesa in libero Stato» di memoria anticlericale che fiorisce sulle labbra di persone che, almeno in quanto politici, continuano ad accreditarsi presso l’opinione pubblica come pii figli della Chiesa.
Questi «cattolici del senso» hanno matrici fra loro diverse: studiosi come Alberigo e Melloni sono un «prodotto» del laboratorio di Giuseppe Dossetti, appartengono a quella covata di intellettuali che considerano il popolo con lo stesso criterio giacobino-leninista di ogni minoranza rivoluzionaria: materia inerte da plasmare per il suo stesso bene.
La Bindi e Scalfaro, invece, vengono da un’esperienza popolare e sono rappresentativi di una vasta fetta del mondo cattolico. Vengono dall’Azione Cattolica, di cui lei è stata vicepresidente nazionale dal 1984 al 1989, e di cui lui esibiva fieramente il distintivo all’occhiello anche quando alloggiava al Quirinale. Per chi non lo ricordasse, l’Azione Cattolica - della cui appartenenza tanti militanti storici vanno giustamente fieri - per molto tempo ha voluto dire Luigi Gedda, i Comitati Civici, l’impegno in politica seguendo gli insegnamenti della Chiesa e della sua dottrina sociale, il sostegno di Papi come Pio XI e Pio XII.
Ma l’Azione Cattolica di cui sono l’esempio la Bindi e Scalfaro, quella rimasta nelle parrocchie dopo la débâcle degli anni Settanta, è tutt’altro. È figlia di un concetto, di un’operazione intellettuale: e già solo questo fatto dovrebbe mettere in allarme perché riconduce al metodo rivoluzionario dossettiano. La svolta fu la cosiddetta «scelta religiosa», che è la negazione della natura e della storia di un’associazione che ha formato intere generazioni di cattolici.
La «scelta religiosa», vista da un laico, sembrerà magari la quintessenza dell’esperienza cattolica. In realtà, nei disegni di chi la concepì era la decisione di rinunciare al desiderio di costruire una società che fosse il più possibile conforme al diritto naturale e rivelato, una società permeata dagli insegnamenti di Cristo. In altre parole, si decise che altro era la fede da praticare in forma privata o anche in associazioni, comunque private; e altro era l’impegno nella vita pubblica, dove essere cattolici contava tanto quanto non esserlo. Qualche cosa che va in direzione opposta rispetto al «Padre nostro», che recita: «venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà così in Cielo come in terra».
Sul semplice piano contabile, il risultato della «scelta» fu il crollo delle iscrizioni all’Azione Cattolica, che passarono da tre milioni a seicentomila. Ma, sul piano umano, data la rete capillare di cui l’associazione disponeva nelle parrocchie, il risultato fu una formazione sempre più intimistica e intellettuale che condusse i cattolici a pensare di poter fare ognuno per sé o per la propria parte politica: in sostanza, a non essere più Chiesa. All’inizio, solo sul piano dell’azione; poi anche su quello della teologia e della dottrina.
Così capita che la Chiesa si rivolga a un governo sordo ai suoi richiami, nonostante il presidente del Consiglio e molti ministri siano dei credenti «certificati», prodotti dal mondo cattolico ufficiale degli ultimi quarant’anni. Siamo di fronte a una vicenda completamente diversa dalle fratture degli anni Settanta, quando cristiani affascinati dal marxismo migravano nel Pci come indipendenti. Rosy Bindi e Romano Prodi sono punte di diamante di un progetto formativo e culturale che credeva di portare al timone della nazione uomini affidabili dal punto di vista della dottrina sociale della Chiesa, giovandosi del favore di una fetta non marginale dello stesso episcopato italiano. Oggi dobbiamo constatare il totale fallimento di quell’idea: giunti al nodo gordiano di un tema «non negoziabile», come direbbe Ratzinger, i cattolici democratici fanno la loro scelta: sacrificano la dottrina sull’altare del consenso e del potere. Il punto è che questo modo di agire non è il frutto di una debolezza umana, o di uno stato confusionale, ma di una tragica coerenza fra una cattiva formazione dottrinale e l’agire politico. Quando Rosy Bindi dice: «Ogni tanto perdo le staffe e reagisco male se ascolto sciocchezze, ma credo almeno di avere una virtù: la coerenza delle mie idee» a suo modo dice la verità. La signora Bindi ritiene - come ha spiegato Pietro Scoppola ospite l’altra sera a Otto e Mezzo - che il compito della politica non sia affermare una verità e un bene sull’uomo, ma raggiungere un punto di sintesi. Non si potrebbe immaginare nulla di più lontano dalla millenaria dottrina della Chiesa. Ma il tragico è che questa visione è perfino più debole e relativista della concezione di molti laici, i quali hanno ormai capito che ridurre la democrazia a pura gestione formale delle opinioni, senza ancoraggio ad alcuna verità, è un suicidio della civiltà occidentale. Il risultato paradossale è un nuovo asse della politica dei prossimi anni, che non vedrà più contrapporsi atei e credenti. D’ora in poi il fronte separerà da un lato relativisti e seguaci della «democrazia formale» di Hans Kelsen; dall’altro, tutti coloro che sono onesti cercatori della verità. Per questo motivo è del tutto normale oggi vedere Rosy Bindi e Oscar Luigi Scalfaro giocare con la stessa maglia dei post comunisti e dei radicali.
di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, Il Giornale, 20 febbraio 2007
PERCHé IL PAPA CE L’HA CON I GAY
Un libro scottante racconta gli amori nati in seminario
di DAVID FIESOLI (il Tirreno, mercoledì 28 febbraio 2007 - da: Gaynews)
Lo storico della Chiesa Michele Ranchetti ne è convinto: se la Chiesa non smette di considerare naturali solo le unioni eterosessuali, firma la sua condanna. E mentre il Papa tuona contro le unioni gay e le definisce dannose per la famiglia, due irriverenti giornalisti raccontano, in uno scottante libro, storie vere di amori segreti nati in seno a Madre Chiesa: anche la storia di padre Roberto, che in seminario si innamorò, corrisposto, di Davide.
Il libro, appena uscito, si intitola “L’ultimo tabù” (Cairo editore, pp.237, euro 14) e affronta lo spinoso tema del celibato. Maria Corbi e Giacomo Galeazzi hanno parlato con i protagonisti, e anche con padre Roberto hanno insistito sulla sessualità: emergeva negli incontri con Davide? “Il desiderio - risponde padre Roberto - respirava in noi in ogni momento che passavamo insieme”. La storia non finisce bene: Davide lascia il seminario. Padre Roberto invece sceglie di prendere i voti, ma la mancanza di Davide continuerà a trafiggerlo: “Cominciai a cercarlo dentro altri uomini, fuori della mia esistenza ecclesiale, nella solitudine della notte”.
Di fronte a un atteggiamento delle gerarchie ecclesiastiche tanto intransigente, quanti sono i gay che, come Davide, si allontanano dalla Chiesa? Emanuele Bresci è un insegnante elementare di Prato e ha una fede molto viva: nella città laniera ha fondato il Comitato gay e lesbiche locale. I vescovi toscani sanno chi è: Bresci ha spedito loro lettere e fax, ha voluto parlarci, o tentare, prima di prendere una dolorosa decisione. La storia dei Dico lo ha davvero deluso: “E’ inutile girarci intorno, l’ostacolo maggiore all’approvazione di una legge sulle coppie di fatto sta nella demonizzazione da parte del Vaticano delle coppie gay, e nella schiera trasversale di politici cattolici su cui il Vaticano detta legge”.
Pare che la questione dei Dico verrà discussa in Senato, secondo il ministro Barbara Pollastrini, entro quindici giorni. Ma mentre aspetta di vedere quel che succede, Emanuele Bresci si è fatto cancellare dall’elenco dei cattolici, ed è diventato apostata. Lui, di fede cattolica e fidanzato con Marco, non sopportava più di non essere approvato. Eppure ha tentato. Ha spedito ad ogni diocesi toscana articoli e prese di posizione in favore dei gay di altri vescovi come quello di Memphis, Terry Steib, che ha fondato un ministero con gay e lesbiche cattolici, dichiarando: “Sono diventato sempre più consapevole del numero di cattolici che non si sentono più bene nella loro casa. Sono cattolici meravigliosi e bravi, sono gay e lesbiche”.
A Memphis, tentano di non perderli. Perciò Emanuele Bresci ha cercato di parlarne con i vescovi toscani: gli hanno risposto solo quello di Prato e quello di Lucca, mentre il vescovo di Pistoia gli ha inviato un opuscolo delle Edizioni Paoline che spiega come dall’omosessualità si possa guarire. Le risposte ricevute non hanno convinto Emanuele: “Tra l’essere compreso e accettato ce ne passa - afferma - Io vorrei sentirmi accolto in quanto cattolico e gay, ma insieme al mio ragazzo, e non se mi astengo da qualsiasi unione d’amore. Spero che prima o poi qualcuno capisca che è paradossale che una Chiesa che si basa su regole d’amore abbia tanta ostilità nei confronti di alcune delle sue innumerevoli forme”. Anche se Bresci, deluso, ha deciso di “cancellarsi” dalle file dei cattolici, non ha smesso di credere, nè di lottare: “Da cristiano, cercherò di far conoscere la posizione della altre Chiese. Io volevo far parte di quella cattolica, volevo essere accolto, ma voglio anche essere riconosciuto, e questo per ora non è possibile. Se e quando lo sarà, tornerò ad essere cattolico”.
Forse Emanuele Bresci non lo sa, ma la sua posizione corrisponde all’allarme che lancia lo storico della chiesa Michele Ranchetti, che insegna all’Università di Firenze: “Non riconoscere le unioni di fatto, anche gay, è un errore enorme da parte della Chiesa - dice al nostro giornale - E’ il segno di una grave crisi del cattolicesimo non prendere atto delle varie forme del rapporto affettivo. E se la Chiesa non si libera di questo pregiudizio contro le unioni gay, contribuisce alla sua stessa fine. Sono persuaso che sia una questione della massima importanza, un nodo che se non si scioglie diventerà un cappio”.
E racconta di un suo carissimo amico che ha fatto un percorso contrario di quello di Emanuele Bresci: dall’ebraismo si è convertito al cattolicesimo ed è gay, alla luce del sole. “Anche lui è la testimonianza vivente - dice Ranchetti - che se la Chiesa vuole un futuro, con questa realtà dovrà fare i conti, e dovrà accettarla”.
Non capisco perchè si debba continuare a scrivere simili sciocchezze. Chi mai ha condannato l’amore tra due uomini o due donne ? La Chiesa condanna unicamente il RAPPORTO SESSUALE tra gay o lesbiche .
Si parla sempre e ossessionatamente di SESSO, senza ascoltare la parola della Chiesa che, così come molti sposi cristiani, vede nell’amore verginale, con cui si amarono Maria e Giuseppe fin dall’inizio del loro matrimonio, il modello e il richiamo alla castità (anche coniugale).
Capisco che sono cose difficili da esprimere, soprattutto ai giorni nostri. Tutti, sposati o celibatari, siamo chiamati a consacrare a Cristo il nostro essere.
Attraverso questa paura di considerarci come siamo, anche noi uomini, e cioè SPOSA prediletta del Salvatore, rifiutiamo l’invito a gustare fin da questa vita l’amore nuziale di Cristo.
Come canta Pierre Emmanuel:
Da quando l’uomo concepisce la tua immagine
Tu sei l’Amato di tutti i tuoi canti
Tu sei l’unico essere virile per essenza
Ogni uomo è donna sotto il tuo sguardo.
Caro Biasi
Leggi bene!!! Pierre Emmanuel dice altro e non ha paura del sesso come tutta la Gerarchia della Chiesa cattolico-romana - nemmeno di quello del Salvatore!!! Il guaio è che tutto l’ordine sacerdotale (uomini) si traveste da donna e "gioca" a fare la donna-sposa del salvatore e il salvatore della donna-sposa - un immane bordello!!! Altro che messaggio eu-angelico - buon-messaggio e buona notizia!!! Che i figli di "mammasantissima", restituiscano l’anello (del pescatore) a Giuseppe e riconsiderino di nuovo e meglio il rapporto uomini-donne e "dio" - "charitas"!!! La vergogna e la menzogna è ormai alla luce del sole!!! Non c’è altra via, se la Chiesa vuole un futuro!!! Basta con la cattedra di Pietro - e di Costantino!!!
Viva Gioacchino da Fiore !!! Viva San Giovanni in Fiore!!!
M. saluti,
Federico La Sala
Caro Federico,
mi dispiace molto che tu non capisca il messaggio della Chiesa. Chi crede nel Magistero della Chiesa sa che fin dall’inizio del vangelo Dio ci manifesta che viene a guarire gli uomini e le donne anche nel loro dinamismo sessuale, anche nei loro rapporti coniugali, spesso sconvolti dal peccato originale. Per dimostrarci chiaramente che non viene a gettare il sospetto nè a condannare il matrimonio, affida a una coppia il compito di realizzare il vertice più alto della verginità. Nella Santa Famiglia tutte le comunità cristiane trovano il modello perfetto di ciò che dovrebbero diventare. La Santa Famiglia non è quindi solamente esempio di amore per le coppie.
La Chiesa ha mantenuto e manterrà, costruendola al meglio, la sua unità, solamente se riuscirà ad accogliere, come sempre ha fatto, questo modello, difendedolo strenuamente.
Dovremmo invece finalmente rivalutare il concetto di verginità. Il celibato dei preti non è un segno di condanna, ma di proposta: quello del dono più grande di sè. Così come Maria, non essendo riservata per un solo uomo, potè appartenere a tutta l’umanità.
Fuori da questo modello la Chiesa sarebbe veramente perduta.
Cari saluti
B. Allevato
Conflitto d’interessi, il 14 maggio in aula la nuova legge
Da Bertinotti un calendario rigido e Forza Italia protesta: "Tempi ridicoli" *
ROMA - Il ministro Di Pietro fa una battuta ecclesiale: «Berlusconi», spiega, «deve decidere se essere prete oppure sacrestano, se fare il politico o l’imprenditore». Non sono parole causali. La questione del conflitto di interessi torna ai primi posti dell’agenda politica.
Dopo mesi di estenuante confronto nelle commissioni parlamentari, le nuove regole proposte dall’Unione arriveranno il 14 maggio all’esame dell’aula. Dario Franceschini, capogruppo dell’Ulivo, lascia capire che la vicenda Telecom, con il possibile ingresso di Fininvest in una cordata di compratori italiani, non permette altri rinvii. Franceschini vuole anche rassicurare forze minori dell’Unione come il Pdci preoccupate che Berlusconi accetti una riforma elettorale a patto di una ritirata del centrosinistra su conflitto d’interessi e legge tv. In questo scenario, Fausto Bertinotti, presidente della Camera, stringe i bulloni e fissa tempi certi per l’approvazione del testo sul conflitto: 10 ore potranno essere spese nella discussione generale ed altre 16 ore nell’esame dei singoli articoli. E’ un tempo abbastanza ampio, visto che le misure sulle intercettazioni hanno ricevuto solo 14 ore. Ma Elio Vito, capogruppo di Forza Italia a Montecitorio, lo considera davvero troppo breve, anzi: «Ridicolo».
Bertinotti non gradisce, chiede a Vito di ritirare l’aggettivo e osserva che i tempi «sono ormai maturi per l’approdo in aula». Ma Forza Italia non arretra e avverte che alzerà alte barricate prima alla Camera e poi al Senato. Dice l’ex ministro La Loggia che l’Unione ha costruito un «testo illiberale, inquisitorio, lesivo degli interessi dei singoli e dei loro familiari, soprattutto concepito per colpire un solo uomo, Silvio Berlusconi». Larga parte dell’Udc è con Forza Italia. Spiega Maurizio Ronconi: «Il provvedimento non lascia scampo al Cavaliere, che dovrebbe cedere le sue aziende nel giro di poche settimane oppure affidarle ad un soggetto indipendente, a un "blind trust" che avrebbe pieni poteri, compreso quello della vendita».
* la Repubblica, 25 APRILE 2007