Davanti all’Assemblea generale dell’Onu, il Papa ha ricordato i rischi di una «concezione relativistica» dei diritti umani. «Non solo i diritti sono universali - ha scandito - ma lo è anche la persona umana, soggetto di questi diritti»
«Legge naturale fonte dei diritti umani
Scritta in ogni cuore e nelle civiltà»
«Se gli Stati non sono in grado di garantire la protezione dei diritti, la comunità internazionale deve intervenire con i mezzi previsti dalla Carta dell’Onu. Il principio della “responsabilità di proteggere” nasce dal riconoscimento della unità della famiglia umana e dall’attenzione per l’innata dignità di ogni uomo e donna La promozione dei diritti è la strategia più efficace per eliminare le disuguaglianze fra Paesi e per aumentare la sicurezza» *
Signor Presidente, signore e signori, nel dare inizio al mio discorso a questa Assemblea, desidero anzitutto esprimere a lei, signor Presidente, la mia sincera gratitudine per le gentili parole a me dirette. Uguale sentimento va anche al Segretario generale, il signor Ban Ki-moon, per avermi invitato a visitare gli uffici centrali dell’Organizzazione e per il benvenuto che mi ha rivolto. Saluto gli ambasciatori e i diplomatici degli Stati membri e quanti sono presenti: attraverso di voi, saluto i popoli che qui rappresentate. Essi attendono da questa Istituzione che porti avanti l’ispirazione che ne ha guidato la fondazione, quella di un «centro per l’armonizzazione degli atti delle Nazioni nel perseguimento dei fini comuni», la pace e lo sviluppo (cfr Carta delle Nazioni Unite, art. 1.2-1.4).
Come il Papa Giovanni Paolo II disse nel 1995, l’Organizzazione dovrebbe essere «centro morale, in cui tutte le nazioni del mondo si sentano a casa loro, sviluppando la comune coscienza di essere, per così dire, una ’famiglia di nazioni’» (Messaggio all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nel 50° anniversario della fondazione, New York, 5 ottobre 1995, 14). M ediante le Nazioni Unite, gli Stati hanno dato vita a obiettivi universali che, pur non coincidendo con il bene comune totale dell’umana famiglia, senza dubbio rappresentano una parte fondamentale di quel bene stesso. I principi fondativi dell’Organizzazione - il desiderio della pace, la ricerca della giustizia, il rispetto della dignità della persona, la cooperazione umanitaria e l’assistenza - esprimono le giuste aspirazioni dello spirito umano e costituiscono gli ideali che dovrebbero sottostare alle relazioni internazionali.
Come i miei predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno osservato da questo medesimo podio, si tratta di argomenti che la Chiesa cattolica e la Santa Sede seguono con attenzione e con interesse, poiché vedono nella vostra attività come problemi e conflitti riguardanti la comunità mondiale possano essere soggetti ad una comune regolamentazione. Le Nazioni Unite incarnano l’aspirazione ad «un grado superiore di orientamento internazionale» (Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, 43), ispirato e governato dal principio di sussidiarietà, e pertanto capace di rispondere alle domande dell’umana famiglia mediante regole internazionali vincolanti ed attraverso strutture in grado di armonizzare il quotidiano svolgersi della vita dei popoli.
Ciò è ancor più necessario in un tempo in cui sperimentiamo l’ovvio paradosso di un consenso multilaterale che continua ad essere in crisi a causa della sua subordinazione alle decisioni di pochi, mentre i problemi del mondo esigono interventi nella forma di azione collettiva da parte della comunità internazionale. Certo, questioni di sicurezza, obiettivi di sviluppo, riduzione delle ineguaglianze locali e globali, protezione dell’ambiente, delle risorse e del clima, richiedono che tutti i responsabili internazionali agiscano congiuntamente e dimostrino una prontezza ad operare in buona fede, nel rispetto della legge e nella promozione della solidarietà nei confronti delle regioni più deboli del pianeta. Penso in particolar modo a quei Paesi dell’Africa e di altre parti del mondo che riman¬gono ai margini di un autentico sviluppo integrale, e sono perciò a rischio di sperimentare solo gli effetti negativi della globalizzazione.
Nel contesto delle relazioni internazionali, è necessario riconoscere il superiore ruolo che giocano le regole e le strutture intrinsecamente ordinate a promuovere il bene comune, e pertanto a difendere la libertà umana. Tali regole non limitano la libertà; al contrario, la promuovono, quando proibiscono comportamenti e atti che operano contro il bene comune, ne ostacolano l’effettivo esercizio e perciò compromettono la dignità di ogni persona umana. Nel nome della libertà deve esserci una correlazione fra diritti e doveri, con cui ogni persona è chiamata ad assumersi la responsabilità delle proprie scelte, fatte in conseguenza dell’entrata in rapporto con gli altri.
Qui il nostro pensiero si rivolge al modo in cui i risultati delle scoperte della ricerca scientifica e tecnologica sono stati talvolta applicati. Nonostante gli enormi benefici che l’umanità può trarne, alcuni aspetti di tale applicazione rappresentano una chiara violazione dell’ordine della creazione, sino al punto in cui non soltanto viene contraddetto il carattere sacro della vita, ma la stessa persona umana e la famiglia vengono derubate della loro identità naturale. Allo stesso modo, l’azione internazionale volta a preservare l’ambiente e a proteggere le varie forme di vita sulla terra non deve garantire soltanto un uso razionale della tecnologia e della scienza, ma deve anche riscoprire l’autentica immagine della creazione. Questo non richiede mai una scelta da farsi tra scienza ed etica: piuttosto si tratta di adottare un metodo scientifico che sia veramente rispettoso degli imperativi etici.
Il riconoscimento dell’unità della famiglia umana e l’attenzione per l’innata dignità di ogni uomo e donna trovano oggi una rinnovata accentuazione nel principio della responsabilità di proteggere. Solo di recente questo principio è stato definito, ma era già implicitamente presente alle origini delle Nazioni Unite ed è ora divenuto sempre più caratteristica dell’attività dell’Organizzazione.
Ogni Stato ha il dovere primario di proteggere la propria popolazione da violazioni gravi e continue dei diritti umani, come pure dalle conseguenze delle crisi umanitarie, provocate sia dalla natura che dall’uomo. Se gli Stati non sono in grado di garantire simile protezione, la comunità in¬ternazionale deve intervenire con i mezzi giuridici previsti dalla Carta delle Nazioni Unite e da altri strumenti internazionali.
L’azione della comunità internazionale e delle sue istituzioni, supposto il rispetto dei principi che sono alla base dell’ordine internazionale, non deve mai essere interpretata come un’imposizione indesiderata e una limitazione di sovranità. Al contrario, è l’indifferenza o la mancanza di intervento che recano danno reale. Ciò di cui vi è bisogno e una ricerca più profonda di modi di prevenire e controllare i conflitti, esplorando ogni possibile via diplomatica e prestando attenzione ed incoraggiamento anche ai più flebili segni di dialogo o di desiderio di riconciliazione.
I l principio della «responsabilità di proteggere» era considerato dall’antico ius gentium quale fondamento di ogni azione intrapresa dai governanti nei confronti dei governati: nel tempo in cui il concetto di Stati nazionali sovrani si stava sviluppando, il frate domenicano Francisco de Vitoria, a ragione considerato precursore dell’idea delle Nazioni Unite, aveva descritto tale responsabilità come un aspetto della ragione naturale condivisa da tutte le Nazioni, e come il risultato di un ordine internazionale il cui compito era di regolare i rapporti fra i popoli. Ora, come allora, tale principio deve invocare l’idea della persona quale immagine del Creatore, il desiderio di una assoluta ed essenziale libertà. La fondazione delle Nazioni Unite, come sappiamo, coincise con il profondo sdegno sperimentato dall’umanità quando fu abbandonato il riferimento al significato della trascendenza e della ragione naturale, e conseguentemente furono gravemente violate la libertà e la dignità dell’uomo. Quando ciò accade, sono minacciati i fondamenti oggettivi dei valori che ispirano e governano l’ordine internazionale e sono minati alla base quei principi cogenti ed inviolabili formulati e consolidati dalle Nazioni Unite. Quando si è di fronte a nuove ed insistenti sfide, è un errore ritornare indietro ad un approccio pragmatico, limitato a determinare «un terreno comune », minimale nei contenuti e debole nei suoi effetti.
Il riferimento all’umana dignità, che è il fondamento e l’obiettivo della responsabilità di proteggere, ci porta al tema sul quale siamo invitati a concentrarci quest’anno, che segna il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Il documento fu il risultato di una convergenza di tradizioni religiose e culturali, tutte motivate dal comune desiderio di porre la persona umana al cuore delle istituzioni, leggi e interventi della società, e di considerare la persona umana essenziale per il mondo della cultura, della religione e della scienza.
I diritti umani sono sempre più presentati come linguaggio comune e sostrato etico delle relazioni internazionali. Allo stesso tempo, l’universalità, l’indivisibilità e l’interdipendenza dei diritti umani servono tutte quali garanzie per la salvaguardia della dignità umana. È evidente, tuttavia, che i diritti riconosciuti e delineati nella Dichiarazione si applicano ad ognuno in virtù della comune origine della persona, la quale rimane il punto più alto del disegno creatore di Dio per il mondo e per la storia. Tali diritti sono basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo e presente nelle diverse culture e civiltà. Rimuovere i diritti umani da questo contesto significherebbe restringere il loro ambito e cedere ad una concezione relativistica, secondo la quale il significato e l’interpretazione dei diritti potrebbero variare e la loro universalità verrebbe negata in nome di contesti culturali, politici, sociali e persino religiosi differenti. Non si deve tuttavia permettere che tale ampia varietà di punti di vista oscuri il fatto che non solo i diritti sono universali, ma lo è anche la persona umana, soggetto di questi diritti.
La vita della comunità, a livello sia interno che internazionale, mostra chiaramente come il rispetto dei diritti e le garanzie che ne conseguono siano misure del bene comune che servono a valutare il rapporto fra giustizia ed ingiustizia, sviluppo e povertà, sicurezza e conflitto. La promozione dei diritti umani rimane la strategia più efficace per eliminare le disuguaglianze fra Paesi e gruppi sociali, come pure per un aumento della sicurezza. Certo, le vittime degli stenti e della disperazione, la cui dignità umana viene violata impunemente, divengono facile preda del richiamo alla violenza e possono diventare in prima persona violatrici della pace. Tuttavia il bene comune che i diritti umani aiutano a raggiungere non si può realizzare semplicemente con l’applicazione di procedure corrette e neppure mediante un semplice equilibrio fra diritti contrastanti.
Il merito della Dichiarazione Universale è di aver permesso a differenti culture, espressioni giuridiche e modelli istituzionali di convergere attorno ad un nucleo fondamentale di valori e, quindi, di diritti. Oggi però occorre raddoppiare gli sforzi di fronte alle pressioni per reinterpretare i fondamenti della Dichiarazione e di comprometterne l’intima unità, così da facilitare un allontanamento dalla protezione della dignità umana per soddisfare semplici interessi, spesso interessi particolari. La Dichiarazione fu adottata come «comune concezione da perseguire» ( preambolo) e non può essere applicata per parti staccate, secondo tendenze o scelte selettive che corrono semplicemente il rischio di contraddire l’unità della persona umana e perciò l’indivisibilità dei diritti umani.
L’ esperienza ci insegna che spesso la legalità prevale sulla giustizia quando l’insistenza sui diritti umani li fa apparire come l’esclusivo risultato di provvedimenti legislativi o di decisioni normative prese dalle varie agenzie di coloro che sono al potere. Quando vengono presentati semplicemente in termini di legalità, i diritti rischiano di diventare deboli proposizioni staccate dalla dimensione etica e razionale, che è il loro fondamento e scopo. Al contrario, la Dichiarazione Universale ha rafforzato la convinzione che il rispetto dei diritti umani è radicato principalmente nella giustizia che non cambia, sulla quale si basa anche la forza vincolante delle proclamazioni internazionali.
Tale aspetto viene spesso disatteso quando si tenta di privare i diritti della loro vera funzione in nome di u¬na gretta prospettiva utilitaristica. Dato che i diritti e i conseguenti doveri seguono naturalmente dall’interazione umana, è facile dimenticare che essi sono il frutto di un comune senso della giustizia, basato primariamente sulla solidarietà fra i membri della società e perciò validi per tutti i tempi e per tutti i popoli.
Questa intuizione fu espressa sin dal quinto secolo da Agostino di Ippona, uno dei maestri della nostra eredità intellettuale, il quale ebbe a dire riguardo al Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te che tale massima «non può in alcun modo variare a seconda delle diverse comprensioni presenti nel mondo» ( De doctrina christiana, III, 14). Perciò, i diritti umani debbono esser rispettati quali espressione di giustizia e non semplicemente perché possono essere fatti rispettare mediante la volontà dei legislatori.
Signore e signori, mentre la storia procede, sorgono nuove situazioni e si tenta di collegarle a nuovi diritti. Il discernimento, cioè la capacità di distinguere il bene dal male, diviene ancor più essenziale nel contesto di esigenze che riguardano le vite stesse e i comportamenti delle persone, delle comunità e dei popoli. Affrontando il tema dei diritti, dato che vi sono coinvolte situazioni importanti e realtà profonde, il discernimento è al tempo stesso una virtù indispensabile e fruttuosa.
Il discernimento, dunque, mostra come l’affidare in maniera esclusiva ai singoli Stati, con le loro leggi ed istituzioni, la responsabilità ultima di venire incontro alle aspirazioni di persone, comunità e popoli interi può talvolta avere delle conseguenze che escludono la possibilità di un ordine sociale rispettoso della dignità e dei diritti della persona. D’altra parte, una visione della vita saldamente ancorata alla dimensione religiosa può aiutare a conseguire tali fini, dato che il riconoscimento del valore trascendente di ogni uomo e ogni donna favorisce la conversione del cuore, che poi porta ad un impegno di resistere alla violenza, al terrorismo ed alla guerra e di promuovere la giustizia e la pace. Ciò fornisce inoltre il contesto proprio per quel dialogo interreligioso che le Nazioni Unite sono chiamate a sostenere, allo stesso modo in cui sostengono il dialogo in altri campi dell’attività umana. Il dialogo dovrebbe essere riconosciuto quale mezzo mediante il quale le varie componenti della società possono articolare il proprio punto di vista e costruire il consenso attorno alla verità riguardante valori od obiettivi particolari.
È proprio della natura delle religioni, liberamente praticate, il fatto che possano autonomamente condurre un dialogo di pensiero e di vita. Se anche a tale livello la sfera religiosa è tenuta separata dall’azione politica, grandi benefici ne provengono per gli individui e per le comunità. D’altro canto, le Nazioni Unite possono contare sui risultati del dialogo fra religioni e trarre frutto dalla disponibilità dei credenti a porre le proprie esperienze a servizio del bene comune. Loro compito è quello di proporre una visione della fede non in termini di intolleranza, di discriminazione e di conflitto, ma in termini di rispetto totale della verità, della coesistenza, dei diritti e della riconciliazione.
Ovviamente i diritti umani debbono includere il diritto di libertà religiosa, compreso come espressione di una dimensione che è al tempo stesso individuale e comunitaria, una visione che manifesta l’unità della persona, pur distinguendo chiaramente fra la dimensione di cittadino e quella di credente. L’attività delle Nazioni Unite negli anni recenti ha assicurato che il dibattito pubblico offra spazio a punti di vista ispirati ad una visione religiosa in tutte le sue dimensioni, inclusa quella rituale, di culto, di educazione, di diffusione di informazioni, come pure la libertà di professare o di scegliere una religione. È perciò inconcepibile che dei credenti debbano sopprimere una parte di se stessi - la loro fede - per essere cittadini attivi; non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti.
I diritti collegati con la religione sono quanto mai bisognosi di essere protetti se vengono considerati in conflitto con l’ideologia secolare prevalente o con posizioni di una maggioranza religiosa di natura esclusiva. Non si può limitare la piena garanzia della libertà religiosa al libero esercizio del culto; al contrario, deve esser tenuta in giusta considerazione la dimensione pubblica della religione e quindi la possibilità dei credenti di fare la loro parte nella costruzione dell’ordine sociale. In verità, già lo stanno facendo, ad esempio, attraverso il loro coinvolgimento influente e generoso in una vasta rete di iniziative, che vanno dalle università, alle istituzioni scientifiche, alle scuole, alle agenzie di cure mediche e ad organizzazioni caritative al servizio dei più poveri e dei più marginalizzati.
Il rifiuto di riconoscere il contributo alla società che è radicato nella dimensione religiosa e nella ricerca dell’Assoluto - per sua stessa natura, espressione della comunione fra persone - privilegerebbe indubbiamente un approccio individualistico e frammenterebbe l’unità della persona.
La mia presenza in questa Assemblea è un segno di stima per le Nazioni Unite ed è intesa quale espressione della speranza che l’Organizzazione possa servire sempre più come segno di unità fra Stati e quale strumento di servizio per tutta l’umana famiglia. Essa mostra pure la volontà della Chiesa cattolica di offrire il contributo che le è proprio alla costruzione di relazioni internazionali in un modo che permetta ad ogni persona e ad ogni popolo di percepire di poter fare la differenza.
La Chiesa opera inoltre per la realizzazione di tali obiettivi attraverso l’attività internazionale della Santa Sede, in modo coerente con il proprio contributo nella sfera etica e morale e con la libera attività dei propri fedeli. Indubbiamente la Santa Sede ha sempre avuto un posto nelle assemblee delle Nazioni, manifestando così il proprio carattere specifico quale soggetto nell’ambito internazionale. Come hanno recentemente confermato le Nazioni Unite, la Santa Sede offre così il proprio contributo secondo le disposizioni della legge internazionale, aiuta a definirla e ad essa fa riferimento. Le Nazioni Unite rimangono un luogo privilegiato nel quale la Chiesa è impegnata a portare la propria esperienza «in umanità», sviluppata lungo i secoli fra popoli di ogni razza e cultura, e a metterla a disposizione di tutti i membri della comunità internazionale. Questa esperienza ed attività, dirette ad ottenere la libertà per ogni credente, cercano inoltre di aumentare la protezione offerta ai diritti della persona.
Tali diritti sono basati e modellati sulla natura trascendente della persona, che permette a uomini e donne di percorrere il loro cammino di fede e la loro ricerca di Dio in questo mondo. Il riconoscimento di questa dimensione va rafforzato se vogliamo sostenere la speranza dell’umanità in un mondo migliore, e se vogliamo creare le condizioni per la pace, lo sviluppo, la cooperazione e la garanzia dei diritti delle generazioni future.
Nella mia recente enciclica Spe salvi, ho sottolineato «che la sempre nuova faticosa ricerca di retti ordinamenti per le cose umane è compito di ogni generazione » (n. 25). Per i cristiani tale compito è motivato dalla speranza che scaturisce dall’opera salvifica di Gesù Cristo. Ecco perché la Chiesa è lieta di essere associata all’attività di questa illustre Organizzazione, alla quale è affidata la responsabilità di promuovere la pace e la buona volontà in tutto il mondo. Cari amici, vi ringrazio per l’odierna opportunità di rivolgermi a voi e prometto il sostegno delle mie preghiere per il proseguimento del vostro nobile compito.
Grazie molte!
Benedetto XVI
*
Pubblichiamo il testo integrale del discorso rivolto ieri da Benedetto XVI all’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, a New York.
I discorsi pronunciati dal Papa nel corso del viaggio apostolico negli Stati Uniti d’America possono essere letti nel sito internet www.avvenire.it. (Avvenire, 19.04.2008, pp. 6-7)
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Gay in piazza contro il Vaticano: appoggia le peggiori dittature *
Sono scesi in piazza per protestare contro le dichiarazioni del Vaticano che non ha firmato i documento dell’Onu in cui si chiedeva agli 80 paesi che ancora considerano l’omosessualità un reato, di depenalizzarlo. Sono i gay, trans, lesbiche e bisessuali italiani che non ci stanno ad essere considerati dei criminali. A capitanarli, c’è l’ex deputato di Rifondazione Comunista Vladimir Luxuria: porta il cappio al collo, per ricordare tutte quelle persone che, a causa del proprio orientamento sessuale, vengono uccise e torturate. «Il Vaticano - spiegano gli organizzatori del sit-in - non firmando il documento che la Francia ha proposto all’Onu per chiedere la depenalizzazione dell’omosessualità, di fatto sostiene gli oltre 80 paesi del mondo che perseguitano gli omosessuali, in 9 dei quali è prevista la pena di morte».
Alla manifestazione, promossa dalle associazioni Certi Diritti, Arcigay e Arcilesbica, hanno aderito Radicali Italiani e, tra le altre, le associazioni lgbt Mario Mieli, DjGayProject, GayLib, Libellula, Rosa Arcobaleno, oltre alle Associazioni Luca Coscioni e Nessuno Tocchi Caino. In piazza c’è anche l’ex deputato socialista Franco Grillino: «Con il rifiuto di sottoscrivere la mozione europea all’Onu - dice - il Vaticano getta la maschera del suo presunto buonismo schierandosi con le peggiori dittature islamiche comprese quelle dove governi islamo-fascisti comminano la pena di morte agli omosessuali: Iran, Mauritania, Sudan, Emirati arabi uniti, Yemen, Arabia Saudita, Nigeria».
Secondo Luxuria, quella del Vaticano contro i gay è una vera e propria crociata: «Ormai hanno un’ossessione di odio nei nostri confronti da rimanerne accecati - dice - non c’è nulla di evangelico nè di cristiano contro la depenalizzazione gay e la difesa della vita - conclude - non può essere fatta solo per gli embrioni o per Eluana Englaro».
* l’Unità, 06 Dic 2008
La visita di Benedetto XVI negli USA
Papa Benedetto e il cattolicesimo Americano: sulla prua del Titanic
di Susan Jacoby *
Il fatto più significativo del cattolicesimo americano attuale viene spiegato in un recente rapporto sui cambiamenti del panorama religioso statunitense redatto dal "Pew Forum on Religion and Public Life". Sebbene il 31% degli americani sia cresciuto nel cattolicesimo, solo il 24% si considera cattolico, allo stato attuale. Un adulto americano su dieci - un dato sbalorditivo - ha lasciato la chiesa per altre denominazioni o ha abbandonato del tutto la religione. Il detto "se sei cattolico, resti cattolico", la massima preferita delle suore nelle scuole parrocchiali che frequento, non è più attuale.
Nel 1950 i bambini che frequentavano scuole cattoliche erano 5,4 milioni; oggi il numero si attesta sui 2,4 milioni, e in ulteriore decrescita. Sempre più scuole cattoliche chiudono i battenti. Dal 1965 due terzi dei seminari cattolici sono stati chiusi; nello stesso periodo, il numero di candidati al presbiterato è sceso da 49.000 unità a 4.700. C’erano circa 180.000 suore nel 1965, oggi meno di 67.000.
Senza la componente di immigrati ispanici, la situazione della chiesa cattolica americana sarebbe ancora peggiore. Ma la maggioranza di bambini ispanici non frequenta le scuole cattoliche, e, se la storia dell’immigrazione ci insegna qualcosa, l’attaccamento degli ispanici alla chiesa dei genitori e dei nonni - una percentuale notevole delle famiglie immigrate - esso diminuisce proporzionalmente alla loro assimilazione nella cultura americana.
Ci sono anche molti cattolici liberali - chiamati ironicamente "i cattolici da caffetteria" dai devoti - che vanno in chiesa ma ignorano le dottrine ecclesiastiche sulla contraccezione, sul divorzio o su tematiche sessuali in genere. Questi non somigliano neanche vagamente ai cattolici degli anni ’50 che accettavano gli insegnamenti dell’istituzione. Questi "cattolici da caffetteria", vogliono che la chiesa permetta ai preti di sposarsi e che le donne possano essere ordinate - cose che potrebbero migliorare la carenza dei preti. Ma gli anziani di Roma, che si sentono gli eredi dei dodici apostoli ignorano questa fascia di laicato.
Quindi esiste una minoranza conservatrice di cattolici americani che ancora crede nell’infallibilità papale. Questi sono i cattolici - tra loro anche i giudici della Suprema Corte John Roberts, Clarence Thomas e Samuel Alito - che hanno stretto alleanze politiche con i protestanti fondamentalisti. Sono una minoranza, ma hanno spesso rilevanza pubblica nella chiesa d’America - grazie anche all’ignoranza dei membri che parlano alla stampa in favore di un cattolicesimo monolitico.
Non c’e nulla che Papa Benedetto possa fare per fermare il declino dell’autorità della sua chiesa nei riguardi dei cattolici americani. Non lasciatevi ingannare dalle notizie delle televisioni sulla visita del papa, che sono sicuramente enfatiche e positive: le folle riempiranno lo Yankee Stadium nella messa pubblica, i luoghi comuni sul pluralismo religioso saranno sulla bocca di tutti quegli uomini che si credono infallibili in materia di fede e morale e vogliono sembrare aperti e tolleranti.
Le ragioni della degenerazione della chiesa cattolica Americana sono complesse, e chiunque fosse interessato a questa materia dovrebbe consultare il libro di Gary Wills (cattolico praticante).
Sono stato cresciuto nella fede cattolica negli anni ’50 e primi anni ’60, figlio di madre cattolica irlandese e padre convertito al cattolicesimo dal giudaismo. I miei genitori non erano particolarmente devoti o strettamente legati ai dogmi del cattolicesimo e, come molti altri americani, divennero sempre meno osservanti. Qualcuno può definirmi ateo rispetto alla chiesa in cui sono cresciuto, ma le affermazioni stravaganti del cattolicesimo, in particolare quelle sull’infallibilità papale, certamente hanno favorito il mio scetticismo.
Nei primi anni ’60, le riforme del Concilio Vaticano II, sotto Papa Giovanni XXIII, hanno acceso le speranze di molti cattolici che volevano che la chiesa abbandonasse le sue dottrine sulla contraccezione e sul divorzio; volevano che i preti potessero sposarsi e che le donne fossero ammesse al presbiterato. Quando Giovanni morì, e gli successero papi sempre più conservatori, fu chiaro che le speranze di riforma non sarebbero state realizzate. A questo punto, molti giovani, suore e preti, hanno abbandonato le loro vocazioni religiose (quando non la chiesa stessa). Se la chiesa avesse permesso ai preti di sposarsi, sono certo che molti sarebbero rimasti.
Circa trenta anni dopo, lo scandalo dei preti pedofili completò l’opera di delusione iniziata negli anni ’60. La chiesa inizialmente ha fatto muro. Quando è crollato e i laici arrabbiati hanno tirato in ballo la stampa (sia cattolica che secolare), la chiesa ha tentato di convincere le vittime ad accettare dei risarcimenti. Ciò che la chiesa invece non ha fatto è assumersi la propria responsabilità morale e cercare di sanare le ferite che i suoi preti, a volte con la piena compiacenza dei superiori, avevano causato. Credo che nulla di quello che Benedetto dica, oggi, possa riguadagnare la fiducia degli ex-cattolici che, con nostalgia, affermano "era L’UNICA chiesa".
Come ateo, ovviamente, non condivido questa nostalgia. Pretendere di possedere la verità assoluta è pericoloso - sia per gli individui che per la società, che per il mondo intero. Il papa non è né più né meno che un uomo fallibile "eletto" per il suo ufficio da un gruppo relativamente ristretto di uomini altrettanto fallibili. Egli possiede alcune idee ragionevoli (sulla pace e sulla povertà) e altre irrazionali sul soprannaturale. La mia speranza più grande - che di certo non troverà riscontro - è che nessun politico americano si rivolga al pontefice con l’appellativo di "Sua Santità".
(E non ho gradito neanche quando si è attribuito lo stesso appellativo al Dalai Lama). Papa Giovanni XXIII odiava questo appellativo, e questo forse è il motivo per cui non è stato ancora canonizzato dalle "Sue Santità", suoi successori.
Dovrei dire, comunque, che non conservo più malanimo verso la chiesa cattolica di quanto non faccia con ogni altra religione che pretenda di possedere la verità assoluta. Ci sono dubbi riguardo al papa, quindi le mie risposte verteranno sul cattolicesimo. I fondamentalisti islamici, o gli ebrei ortodossi conservatori che pensano come nel XVII secolo, i protestanti evangelici fondamentalisti, i nazionalisti indù - basta scegliere - sono tutti una minaccia al libero pensiero.
Come direbbe tutta la gente di fede e di mentalità aperta - coloro il cui credo non colpisce la vita e il pensiero degli altri - ragioniamo insieme.
http://newsweek.washingtonpost.com/onfaith/susan_jacoby/2008/04/pope_benedict_and_amercan_cath.html
Ansa» 2008-04-19 17:20
PAPA: CHIESA USA PROMUOVA E PROTEGGA VITA
NEW YORK - La Chiesa statunitense è chiamata "a proclamare il dono della vita, a proteggere la vita e a promuovere una cultura della vita": è quanto ha esortato Papa Ratzinger, durante la messa nella cattedrale di St. Patrick a New York.
PEDOFILIA, E’ TEMPO DI PURIFICAZIONE
Papa Ratzinger è tornato anche oggi a parlare della "tanta sofferenza" causata dallo scandalo della pedofilia, che ha travolto, a partire dal 2001, il cattolicesimo nord-americano, ed ha esortato ad una "purificazione collettiva".
"Qui - ha detto - nel contesto del nostro bisogno di una prospettiva fondata sulla fede, vorrei dire una parola circa gli abusi sessuali che hanno causato tanta sofferenza". "Ho già avuto modo - ha osservato - di parlare di questo e del conseguente danno per la comunità dei fedeli". "Qui - ha proseguito - desidero semplicemente assicurare a voi, cari sacerdoti e religiosi, la mia vicinanza spirituale, mentre cercate di rispondere con speranza cristiana alle continue sfide presentate da questa situazione". "Mi unisco a voi - ha concluso nel passaggio più significativo - affinché questo sia un tempo di purificazione per ciascuno e per ogni singola Chiesa e comunità religiosa, sia un tempo di guarigione".
Lettera
Giustizia sia! Ma chiarezza...
di don Mauro Picchiàmi
La questione del "clero pedofilo" *
Gent.mo Direttore,
sono un sacerdote di 43 anni e martedì prossimo 18 anni di sacerdozio. in questi giorni la visita del Papa negli Usa, sta portando di nuovo in primo piano la Pedofilia del Clero, in questi giorni mi sto indignando per il fatto che si continua a fare di tutta l’erba un fascio.
Credo che sia necessario fare dei distinguo precisi:
non è giusto parlare di pedofilia dei preti, o "questione dei preti pedofili" (come riporta il titolo del sito da lei diretto), visto che ci sono anche casi di vescovi pedofili, per cui credo che sia il caso di iniziare a parlare di "casi di clero pedofilo".
è importante fare sempre la distinzione tra omosessualità e pedofilia, le quali possono in alcuni casi presenti nella vita della persona, ma non strettamente legati, o meglio la pedofilia conseguenza dell’omosessualità.
nella pagina web "Chi siamo" ho letto che il sito rivendica l’ispirazione cristiana, e per questo credo sia importante proporre il dolore di chi come me, non tollera affatto la pedofilia, ma lo sente come una ferita, uno squarcio nel suo ministero, visto che un membro malato, da curare, spesso fa diventare tutto il corpo (la chiesa) malata, ecco perchè le chiedo: vorrei presentare la mia testimoniaza di prete non pedofilo, che si sente ferito, nel sentirsi accusato di pedofilia solo perchè è prete. Non sarebbe il caso di ricordare quanti santi preti si sono presi cura delle giovani generazioni, con amore paterno, con rispetto dell’immagine di Dio nei piccoli!
La ringrazio per l’attenzione.
don Mauro
Siamo ovviamente del tutto disponibili a riportare sul nostro sito le testimonianze come quelle di don Mauro. Noi, come abbiamo più volte sottolineato, ma ripeterlo aiuta sempre, non intendiamo criminalizzare nessuno. Chi vuole ci scriva e racconti la sua esperienza. -Siamo convinti che il male si combatte con il bene e combattendo innanzitutto le ipocrisie, seguendo l’insegnamento del Vangelo di Gesù.
Stamattina il Pontefice andrà nel punto più profondo
della voragine e incontrerà un gruppo di sopravvissuti
Papa, il giorno di Ground Zero
dopo i ricordi amari del nazismo
Nel pomeriggio l’attesa messa allo Yankee Stadium
per il saluto finale agli Stati Uniti. Poi il ritorno in Italia *
NEW YORK - L’ultimo giorno della visita di Benedetto XVI negli Stati Uniti comincerà con uno degli eventi più attesi e di più alto valore simbolico: la preghiera per la pace a Ground Zero, a New York, nel cratere dove sorgevano le Twin Towers abbattute dai terroristi l’11 settembre 2001. Qui il Papa si recherà alle 9:30 del mattino (ora locale) e scenderà fino al punto più profondo della voragine, il cosidetto bed-rock, dove incontrerà un gruppo di sopravvissuti e di parenti delle vittime. Nel primo pomeriggio, dopo un pranzo nella residenza del nunzio presso l’Onu, monsignor Celestino Migliore, si trasferirà allo Yankee Stadium per una grande messa finale di saluto all’America. Da lì raggiungerà l’Andrews Air Force Base, dove prenderà commiato dal vice-presidente statunitense Dick Cheney, prima di imbarcarsi sull’aereo dell’Alitalia che lo riporterà a Roma. L’arrivo a Ciampino è previsto per le 10:45 di domani.
"Dio della pace, porta la tua pace nel nostro mondo di violenza: pace nei cuori di tutti gli uomini e le donne e pace tra le nazioni della terra. Volgi verso la tua via dell’amore coloro i cui cuori e le cui menti sono consumati dall’odio". Sono queste alcune delle parole della preghiera che Benedetto XVI pronuncerà questa mattina a Ground Zero, "scena - dirà il Papa - di incredibile violenza e dolore".
La preghiera è contenuta nel messale della visita pontificia negli Stati Uniti, reso pubblico dalla sala stampa vaticana. "Dacci conforto e consolazione - è l’invocazione del Santo Padre dopo le menzioni riservate alle vittime, ai familiari, ai superstiti e a tutti i soccorritori -, rafforzaci nella speranza, e dacci la saggezza e il coraggio di lavorare instancabilmente per un mondo dove la vera pace e l’amore regnino tra le nazioni e nei cuori di tutti".
Questo sarà poi il testo della sua preghiera dinanzi alla folla: "O Dio di amore, compassione e cura, guarda su di noi, persone di molte fedi e tradizioni differenti, che ci riuniamo oggi in questo luogo, scena di incredibile violenza e dolore. Ti chiediamo nella tua bontà di dare luce e pace eterne a tutti coloro che qui sono morti. Gli eroici primi soccorritori: i nostri combattenti contro il fuoco, i poliziotti, i lavoratori dei servizi di emergenza, e il personale dell’autorità portuale, insieme a tutti gli uomini e donne innocenti che furono vittime di questa tragedia semplicemente perché il loro lavoro o servizio li portò qui l’11 settembre del 2001".
"Ti chiediamo, nella tua compassione - prosegue il testo -, di portare guarigione a quelli che, a causa della loro presenza qui in quel giorno, soffrono per le ferite e le infermità. Guarisci anche il dolore delle famiglie ancora sofferenti e di tutti quelli che hanno perso loro cari nella tragedia. Da’ loro la forza di continuare le loro vite con coraggio e speranza. Siamo memori anche di quelli che hanno trovato la morte o hanno subito ferite e perdite nello stesso giorno al Pentagono e a Shanksville, in Pennsylvania. I nostri cuori sono tutt’uno con i loro, mentre la nostra preghiera abbraccia il loro dolore e la loro pena". "Dio della pace - proseguirà Benedetto XVI -, porta la tua pace nel nostro mondo di violenza: pace nei cuori di tutti gli uomini e le donne e pace tra le nazioni della terra. Volgi verso la tua via dell’amore coloro i cui cuori e le cui menti sono consumati dall’odio". "Dio della comprensione, oppressi dall’enormità di questa tragedia, noi cerchiamo la tua luce e la tua guida mentre ci confrontiamo con questi terribili eventi - è la conclusione del testo -. Assicura a coloro le cui vite furono risparmiate di poter vivere in modo che le vite perse in questo luogo non siano perse invano. Dacci conforto e consolazione, rafforzaci nella speranza, e dacci la saggezza e il coraggio di lavorare instancabilmente per un mondo dove la vera pace e l’amore regnino tra le nazioni e nei cuori di tutti".
"Il nazismo ha rovinato la mia giovinezza". Così papa Ratzinger si è raccontato ieri davanti agli adolescenti e ai seminaristi di Yonkers, un sobborgo popolare a nord di Manhattan, visitato nel pomeriggio, al termine della sua seconda giornata a New York. "I miei anni da teenager sono stati rovinati da un regime infausto che pensava di possedere tutte le risposte; il suo influsso crebbe - penetrando nelle scuole e negli organismi civili come anche nella politica e addirittura nella religione - prima di essere pienamente riconosciuto per quel mostro che era. Esso mise Dio al bando, e così diventò inaccessibile per tutto ciò che era vero e buono. Molti dei vostri genitori e nonni vi avranno raccontato l’orrore della distruzione che seguì. Alcuni di loro,infatti, vennero in America proprio per sfuggire a tale terrore".
* la Repubblica, 20 aprile 2008.
La visita di Benedetto XVI in USA
Le scuse del papa sembrano «vuote»
di Thomas Caywood TELEGRAM & GAZETTE STAFF
WORCESTER- alcune vittime di abusi e attivisti cattolici ieri hanno bollato le scuse storiche di papa Benedetto XVI per gli abusi sessuali del clero e il suo incontro privato con un gruppo di vittime di Boston, come un gesto vuoto.
"Per quanto mi riguarda, è stata solo una fiera di paese", ha detto una vittima, David Lewcon di Uxbridge. "E’ ingannevole; troppo poco, troppo tardi. Un artificio".
Mr. Lewcon ha citato in giudizio, con successo, la Diocesi di Worcester, per gli abusi subiti da un molestatore di bambini recidivo, Thomas H. Teczar, dimesso dal ministero presbiterale e incarcerato in Texas.
"Questo ci ha unito ulteriormente. Sono riuscito ad entrare in contatto con molte vittime, molto più che negli anni passati. Ricevo email che dicono ’come sei riuscito a gestire la cosa?", ci racconta Lewcon. "Sarò felice se il papa se ne tornerà a casa e inizierà a fare pulizia tra le sue mura".
Un’altra vittima di Uxbridge, sempre per mano di Teczar, George Shea, ha detto di essere stato contento di ascoltare le scuse del papa, ma che alle parole devono seguire I fatti. "Accetteranno dei giusti processi? La finiranno di combattere contro l’eliminazione dello statuto delle limitazioni nei casi di abusi su bambini? Sosterranno i nostri sforzi? Queste sono le azioni che vogliamo vedere", ha detto Shea. "La mia speranza è che riuscirò a vedere queste azioni, ma la mia paura è che, non appena salirà sull’aereo, la gente dirà, OK, è tutto finito".
Il papa ha incontrato 5 vittime per circa 25 minuti giovedì pomeriggio a Washington DC. L’incontro è stato tenuto segreto fin dopo la sua conclusione.
Le vittime e gli avvocati che le sostengono affermano che i partecipanti a questo incontro sono stati selezionati dal Cardinale di Boston Sean P. O’Malley e che a nessuna delle vittime del Massachusetts è stato chiesto di partecipare.
"Viviamo nella speranza che ogni volta che accrescerà la consapevolezza del danno causato, essa possa portare al processo di guarigione delle vittime", ha detto Raymond L. Delisle, il portavoce della Diocesi di Worcester. I gruppi laici cattolici che sono critici sulla gestione della crisi dei preti pedofili, hanno detto di non condividere questo senso di speranza. "Il modello di reazione nei casi di pedofilia non cambierà sostanzialmente", ha affermato Daniel Dick, portavoce di Voice of the Faithful di Worcester. "I vescovi continueranno a fare come vogliono. I laici - le vittime, in particolare - non hanno motivo di sperare nel cambiamento del sistema e in un diverso trattamento delle vittime".
Anche la fondatrice di VOTF di Worcester è scettica sulle scuse del papa e ritiene che non possano essere un reale segnale di cambiamento o di riparazione dei danni delle vittime - in sostanza di tutti coloro che si sono allontanati dalla chiesa a causa degli scandali.
"Le sue parole continuano a sembrare vuote se guardate dalla prospettiva delle reali azioni intraprese dalla Diocesi di Worcester in rapporto alle vittime", afferma Jean, una residente della cittadina di Leominster.
Lewcon, che oggi lavora con le vittime dei preti pedofili, ha detto che mentre la gente esprime dispiacere per gli abusi e per come sono stati gestiti dal Vaticano, gli avvocati ecclesiastici si oppongono aggressivamente alle vittime in tribunale. "Quando una vittima degli abusi clericali viene allo scoperto, loro non comprendono esattamente il proprio ruolo. Assoldano quelli che io chiamo ’avvocati pit pull, armati di tutto punto’ che ti rendono ancora più vittima", ci ha raccontato.
Mr. Dick, della sede locale di Voice of the Faithful ha detto che alcune vittime con cui ha parlato sono state soddisfatte delle scuse del papa. "Questo è un grosso passo avanti, ma la gente pensa che niente cambierà sostanzialmente".
Mr. Delisle, il portavoce della diocesi, ha affermato che la diocesi comprende il dolore delle vittime e che semplicemente alcune non sono pronte per ritornare alla chiesa, e forse non lo saranno mai. "Non sono tutte allo stesso punto. Ce ne sono alcune che hanno avviato un processo di guarigione, altre no. Alcune vogliono collaborare con la chiesa, altre no. Alcune, che provano ancora un dolore troppo acuto, non possono lavorare con noi al momento. La cosa migliore che possiamo fare è collaborare con coloro che lo vogliono, e tenerci pronti a collaborare con le altre, quando saranno pronte".
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