10:55 L’Avvenire contro Veronesi *
’Avvenire’, quotidiano di proprietà dei vescovi italiani, attacca oggi la candidatura dell’oncologo Umberto Veronesi nelle liste del Pd, come pure la presenza di radicali. "E’ impossibile ignorare quale sia l’antropologia di Umberto Veronesi", si legge in un editoriale firmato da Francesco D’Agostino. "E’ impossibile - aggiunge - ignorare la visione libertaria (e non liberale, come viene spesso arbitrariamente presentata) di chi ha sempre militato nel Partito Radicale".
* la Repubblica, 24.02.2008.
“La famiglia, un dono aggredito” *
“La nostra arroganza, la nostra violenza, le nostre ingiustizie pesano sul corpo di Cristo. Pesano, e Cristo cade ancora per svelarci il peso insopportabile del nostro peccato. Ma cos’è che oggi, in modo particolare, colpisce il corpo santo di Cristo? Certamente è dolorosa passione di Dio l’aggressione nei confronti della famiglia. Sembra che oggi sia in atto una specie di anti-Genesi, un anti-disegno, un orgoglio diabolico che pensa di spazzar via la famiglia. L’uomo vorrebbe reinventare l’umanità modificando la grammatica stessa della vita così come Dio l’ha pensata e voluta. Però, sostituirsi a Dio senza essere Dio è la più folle dell’arroganza, è la più pericolosa avventura. La caduta di Cristo ci apra gli occhi e ci faccia vedere il volto bello, vero, santo della famiglia. Il volto della famiglia di cui tutti abbiamo bisogno. Signore Gesù, la famiglia è un sogno di Dio consegnato all’umanità; la famiglia è una scintilla di Cielo condivisa con l’umanità; la famiglia è la culla dove siamo nati e dove continuamente rinasciamo nell’amore. (...) Signore Gesù, salva la famiglia, affinché sia salva la vita!”.
Questa la nota della VII Stazione della “Via Crucis”: Gesù cade per la seconda volta. *(Avvenire, 14.04.2006, p. 7).
Come si vede e si legge, si parla, si scrive ... come se Gesù non fosse mai nato e non fosse mai risorto!!! La famiglia, un dono aggredito?! Ma quale famiglia?! E da chi?! Proprio da loro stessi... la sacra famiglia è tradita e negata!!! Per questo, le crocifissioni continuano, e la crocifissione di Gesù anche, e tutti ripetono sempre le stesse azioni!
Con Erode, e come Erode, tutta la Gerarchia (dal Primo all’ultimo sacerdote) continua ad avere paura di perdere il potere e la proprietà ... e ‘uccide’, ‘uccide’, e ‘uccide’, in verità - non Gesù che è risorto e che ha vinto la morte (Ct. 8.6: “Amore è più forte di Morte”, trad. G. Garbini)! - il loro stesso padre, Giuseppe - dentro di sé e fuori di sé (‘dichiarando’ così di essere abissalmente distanti proprio da Gesù e dal messaggio eu-angelico!), e l’Amore, lo Spirito Santo, il Padre di tutti gli esseri umani; e continua imperterrita a pro-porre un modello di famiglia (con una madre, che con ‘Maria’ non ha nulla da spartire - per libertà e accoglienza della volontà dello Spirito Santo) e un’alleanza falsa con un falso ‘Dio’ - quella di un figlio che uccide il padre e sposa la madre, quella di Edipo e di Giocasta: una specie di anti-Genesi, un anti-disegno, un orgoglio diabolico che pensa di spacciare la famiglia della ‘natura’ come quella dell’Amore, dello Spirito Santo, del Padre Nostro!!!
Che confusione: e quanta cecità psichica e quale delirio preistorico!!! Nemmeno dopo la lezione di Freud , e dopo la lezione di Wojtyla - entrambi legati alla religione ebraica ed entrambi memori della Alleanza con il ‘Dio’ del proprio padre e della propria madre, vogliono capire! Il loro cuore è duro ma, alla fine, ... non prevarranno - e anche i ciechi vedranno e gli zoppi (come aveva già pre-detto Elia) cammineranno dritti! (Sabato di Pasqua, 15.04.2006 d. C.!!!).
Federico La Sala
* FONTE: www.ildialogo.org/editoriali, Sabato, 15 aprile 2006
Sul tema, in rete e nel sito, cfr.:
PER UN RI-ORIENTAMENTO ANTROPOLOGICO, TEOLOGICO E POLITICO...
’NDRANGHETA. SIGNIFICATO DELLA PAROLA
"Questa è la nostra fede" (CEI).
FARE COME GIOVANNI XXIII E GIOVANNI PAOLO II: RESTITUIRE L’ANELLO A GIUSEPPE!!!
Ansa» 2008-02-24 12:23
ABORTO: AVVENIRE CONTRO NOTA MEDICI, DOCUMENTO ’CHOC’ E FALSO
CITTA’ DEL VATICANO - Un documento "choc" che però non è quello votato dal consiglio dei 103 presidenti degli Ordini provinciali dei medici: è l’accusa lanciata dal quotidiano dei vescovi ’Avvenire’’ contro la nota diffusa ieri - in nome dell’associazione dei camici bianchi - su aborto, pillola del giorno dopo, diagnosi pre-impianto nella fecondazione assistita e assistenza ai neonati estremamente prematuri. Si tratta "di un fantomatico documento", afferma il giornale cattolico: il consiglio nazionale della Fnomceo - spiega ’Avvenire - aveva in realta’ approvato una riflessione in nove cartelle sul ruolo dei medici nella società. "Strane manovre - si legge nell’occhiello dell’articolo -: l’assemblea approva una relazione sulle politiche sanitarie in vista delle prossime elezioni. Invece alle agenzie di stampa ne viene inviata una su pillola abortiva e assistenza neo-natale".
’AVVENIRE’ ATTACCA CANDIDATURA VERONESI
’Avvenire’, quotidiano di proprietà dei vescovi italiani, attacca oggi la candidatura dell’oncologo Umberto Veronesi nelle liste del Pd, come pure la presenza di radicali. "E’ impossibile ignorare quale sia l’antropologia di Umberto Veronesi", si legge in un editoriale firmato da Francesco D’Agostino. "E’ impossibile - aggiunge - ignorare la visione libertaria (e non liberale, come viene spesso arbitrariamente presentata) di chi ha sempre militato nel Partito Radicale". "Gli esempi - si legge - potrebbero moltiplicarsi. Da visioni antropologiche ’riduzionistiche’ (come quella radicale o quella di Veronesi), derivano inevitabilmente - ammonisce D’Agostino - ampie conseguenze sul piano delle scelte politiche, non solo per quel che concerne i temi che oggi vengono definiti ’eticamente sensibili’ (dalla procreazione assistita all’eutanasia), ma anche per temi di ancor più ampio rilievo sociale, primi fra tutti quelli del matrimonio, della famiglia e delle adozioni".
BIANCO (ORDINI MEDICI): NO A COLPI DI MANO SU QUESTI TEMI
"Il nostro è un documento di civiltà, convivenza, di rispetto per tutti. E’ una puntualizzazione delle nostre norme codicistiche su temi oggi oggetto di dibattito molto acceso e il nostro codice non è falso. Colpi di mano su questi temi non se ne fanno". Lo ha detto il presidente della Federazione degli Ordini dei Medici (Fnmoceo) Amedeo Bianco interpellato in merito alle accuse comparse oggi sul quotidiano Avvenire che attribuivano l’aggettivo fantomatico al documento approvato ieri dagli Ordini dei Medici. Bianco si è detto "amareggiato" per questo tipo di impostazione. Secondo Bianco era opportuno in questo momento "dare un contributo". Esclude la concomitanza con la campagna elettorale: "questi temi sono all’ordine del giorno indipendentemente dagli usi politici. Proprio perché ci sono troppe speculazioni politiche siamo intervenuti".
DIFESA 194 NON E’ "VIVA ABORTO’
"Dire viva alla 194 non è dire viva all’aborto perché lo spirito non è inneggiarlo, ma prevenirlo". Lo ha detto il presidente della Federazione degli Ordini dei Medici, Amedeo Bianco, interpellato il giorno dopo l’approvazione del documento in cui i medici difendono la legge 194. "Non c’é nessuna speculazione. Il documento - ha precisato Bianco - è per difendere questi valori da speculazioni". Rispondendo al movimento Scienza&Vita, Bianco ha detto: "capisco l’ostilità della mia amica Di Pietro. La rispetto, ma partiamo dal fatto che la legge c’é. Certo è che chi non è favorevole all’aborto non potrà mai ritrovarsi a favore".
PROPORRO’ INCONTRO CON CATTOLICI
Due giorni di confronto su Scienza e coscienza insieme ai medici cattolici. La proposta è del presidente della Federazione degli Ordini dei Medici (Fnomceo), Amedeo Bianco. "Proporrò ai medici cattolici due giorni di lavoro insieme, il primo giorno - ha riferito Bianco - per affrontare la scienza, il secondo giorno la coscienza". Bianco ha parlato di "offerta di dialogo". Il presidente degli Ordini dei Medici ha annunciato inoltre che scriverà al movimento Scienza&Vita e ai medici cattolici "per trovare le ragioni per dialogare insieme".
LA COMPETENZA ANTROPOLOGICA E TEOLOGICA DEL VATICANO E’ "PREISTORICA" E "MAMMONICA". Il "romanzo familiare" edipico della chiesa e della cultura cattolico-romana è finito
FLS
Mostra Venezia, Bonino e il film vincitore: “Basta donne umiliate: difendiamo la 194”
La leader radicale ha visto “L’événement” e rivive il suo viaggio alla conquista del diritto di scegliere se avere un figlio oppure no
di Giovanna Casadio (la Repubblica, 12 Settembre 2021)
È quando Anne chiede all’amica "fa male?" e quella risponde "sì, è una lotteria, devi sperare che all’ospedale dicano poi che è stato aborto spontaneo", è proprio a quel punto che Emma Bonino mette il film L’événement, la cui anteprima le è stata inviata , in pausa. Esce sulla terrazza della sua casa sui tetti di Roma e va a prendere una boccata d’aria.
Dice: "Sono colpita da questo bellissimo film, soprattutto dalla solitudine di Anne, di questa giovane studentessa che non vuole rinunciare ai suoi progetti nella Francia antiabortista degli Anni Sessanta. Ma non meravigliata, perché ho un ricordo nitido del periodo in cui accompagnavo le donne che volevano abortire in treno a Firenze dal dottor Giorgio Conciani.
C’erano le ragazze di buona famiglia terrorizzate, c’era la popolana romana che non era alla prima esperienza e c’era la studentessa che non l’aveva detto a nessuno e doveva tornare a casa in serata. Nessuna conosceva le altre, ma dopo poco era un profluvio di confidenze. La legge "194", che ha messo fine all’umiliazione, alla vergogna e alla paura dell’aborto clandestino, ha carenze, ma non svuotiamola e possibilmente miglioriamola". Raccomanda la storica leader radicale.
Svuotare la "194" significa consentire che 7 ginecologi su dieci in media in Italia siano obiettori di coscienza, che i consultori continuino ad essere sottodimensionati e che ora alcuni occhieggino al Texas e alla sua legge in cui si impedisce l’aborto dopo la sesta settimana ascoltando il battito del cuore del feto.
Il film che la regista Audrey Diwan ha tratto, con Marcia Romano, dal libro autobiografico di Annie Ernaux ha appena vinto il Leone d’oro alla 78esima Mostra del cinema di Venezia. Scorre sul computer di Bonino fino al momento in cui Anne si reca per abortire da una "mammana", che la rassicura: "Sentirai la bacchetta, ti ci abituerai". Altro stop alle immagini.
Racconta Bonino: "La mia militanza politica è cominciata così, con Adele Faccio nella battaglia contro l’aborto clandestino, le mammane, i cucchiai d’oro. Nel 1974 fu il mio aborto clandestino l’episodio scatenante. Rammento la sofferenza e l’umiliazione soprattutto, l’umiliazione è stata indelebile. Promisi: mai nessuna più, mai nessuna. Nel 1975 venni arrestata all’uscita del seggio per le amministrative a Brà, il mio paese. Era giugno, l’aria era profumata. Io uscii facendo il segno della vagina. Mi portarono nel carcere di Firenze".
C’erano i medici su cui i radicali sapevano di poter contare e il metodo dell’aspirazione. Anne del film va da un medico a cui chiede aiuto, che le risponde : "La legge è inflessibile". È aprile, terza settimana. Cerca un altro medico: "Mi aiuti". Riceve una prescrizione di estradiolo, estrogeno che rafforza il feto. È la quarta settimana. In un crescendo di tensione, ecco il tentativo di abortire da sola con un ferro da calza. Poi la mammana. "È costosa?", chiede Anne. "400 franchi": è la risposta.
Emma Bonino commenta: "Così era. E ripeto sempre che i diritti civili sono diritti sociali: chi ha soldi può permettersi tutto. Nel nostro Paese non è mai il momento per i diritti, non solo la destra, ma anche la sinistra ritiene che ci sia sempre qualcosa di più importante, che non sia mai il tempo giusto. Invece lo è: adesso. Dal Texas all’Ungheria la sfida è mondiale. I movimenti "pro life" esistono anche qui, ma li abbiamo battuti. Non sono io che ho inventato l’aborto, l’aborto era lì, clandestino, pericoloso, semmai noi abbiamo lottato perché questa vergogna di umiliazione non toccasse più le donne italiane. Bisogna stare all’erta, però. Per difendere quanto abbiamo ottenuto e per ottenere quello che non abbiamo, l’aborto farmacologico ad esempio".
Altro stop al film, Bonino si accende una sigaretta. Riferisce del gruppo di odiatori seriali che la attacca in rete da tempo e che la accusa degli aborti che avvengono. "Non capiscono che noi abbiamo cercato di porre un argine al rischio, al pericolo per le donne con l’interruzione di gravidanza legale, con la "194". Io non ho mai pensato che l’aborto in sé fosse un diritto civile, ma scegliere se, quando e come diventare madri, lo è. È chiaro che la contraccezione è ciò su cui puntare".
Anne del film, tornando sui banchi di scuola si giustifica col professore: "Ho avuto la malattia che prende solo le donne, trasformandole in casalinghe". In Italia non permettere agguati alla "194" - che, dopo 43 anni, ha consentito una costante decrescita del numero degli aborti - è importante. L’ultimo dato della relazione del ministero della Salute risale al 2018 e stima in 76.328 le interruzioni di gravidanza. Per dare un ordine di grandezza, nel 1983 erano 234.801. Tuttavia mettere fuori gioco la legge è facile: basta renderla inapplicata.
È partita una campagna - Liberadiabortire - coordinata dai Radicali italiani e da Giulia Crivellini con una petizione per la vera applicazione della legge, per evitare che ci siano Regioni in cui le strutture pubbliche non possono funzionare per l’alta percentuale di medici obiettori. Ha già raccolto 27 mila firme.
L’ORDINE SIMBOLICO DI MAMMASANTISSIMA: LA LUNGA MARCIA DI UNA CATASTROFE ANTROPOLOGICA IN CORSO.
Senza riandare indietro nel tempo, cosa che ha già fatto una grande tradizione critica (e da cui poco è stato appreso), ipnotizzati da concetti-specchio come patriarcato e matriarcato, ancora non è stato capito che cosa significa Edipo (Freud), tragedia (Dante, Nietzsche), e rapporto sociale di produzione (Marx). C’è solo da accogliere il film “L’événement” (Audrey Diwan, Leone d’oro, Venezia 2021) come una buona sollecitazione a ripensare questi problemi legati a mammane, mammona, cucchiai d’oro e moloch vari e riprendere il filo da quanto successo (in Europa) almeno (non solo a Granada nel 1492, ma anche) su "quel ramo del lago di Como" nel 1628 in un altro modo e in un’altra direzione. E così, possibilmente, buttare via l’acqua sporca e salvare la memoria di chi ha lottato da sempre per non restare all’inferno e vuole ri-nascere. O no?
DANTE 2021: LA DOMANDA ANTROPOLOGICA DI #KANT (""Che cos’è l’uomo?": "Logica", 1800), IL "FIGLIO DELL’#UOMO": UNA QUESTIONE DI PAROLA (LOGOS, NON LOGO!).
"Ecce #Homo" (gr. «idou ho #anthropos»): "Allora la folla gli rispose: «Noi abbiamo appreso dalla Legge che il Cristo rimane in eterno; come dunque tu dici che il Figlio dell’uomo deve essere elevato? Chi è questo Figlio dell’uomo ["Filius hominis", "ὁ υἱὸς τοῦ ἀνθρώπου]?»"(Gv. 12,34).
MESSAGGIO EVANGELICO E "DUE CRISTIANESIMI": "SEGUITEMI, VI FARO’ #PESCATORI DI UOMINI [piscatores hominun, ἁλιεῖς ἀνθρώπων] come da parola di Gesù (Mt. 4,19) o come da sollecitazione di Paolo di Tarso:"Diventate miei imitatori come io lo sono di Cristo... sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo [lat. vir, gr. ἀνήρ]"(1 Cor. 11, 1-3)?!
11 SETTEMBRE 2011/2021, STORIA, E FILOLOGIA: "ECCE HOMO". Sempre a ripetere le famose parole dell’Ulisse di Dante (Inf. XXVI, 118-120: "Considerate la vostra semenza: /fatti non foste a viver come bruti,/ ma per seguir virtute e canoscenza"), ma ancora oggi (2021), dopo Dante e dopo Kant, tutta l’Europa e l’intero Pianeta è immerso in un letargo profondissimo! Alla questione antropologica ("Che cos’è l’uomo?": Kant,1800), si continua a rispondere truccando la Parola (il Logos) e a scambiarla (e a esportarla) come un Logo di un’azienda, proprietà di quegli uomini "più uguali degli altri" della orwelliana "Fattoria degli Animali"!
PREISTORIA (DI "VIRTUS" E "VIRUS"). La parola uomo (gr. anthropos, homo) vale solo come uomo-maschio (gr. anér/andròs, lat. vir/viri) e l’antropologia si coniuga solo al maschile, come andrologia: a tutti i livelli, immersi nel regno dell’Homo cosmo-te-andricus - nella "realtà" di una teologia ("Dio"), di una cosmologia ("Mondo") e di una antropologia "andrologica" ("Uomo"), la cosmoteandria del Pianeta Terra...
METANOIA: CAMBIARE MENTE! A che gioco giochiamo? Non è meglio uscire dall’orizzonte della cosmoteandria e dall’inferno (Inf. XXXIV, 90) e riprendere la navigazione nell’oceano celeste (Keplero a Galilei, 1611)?! O che?!
Federico La Sala
#EDUCAZIONE CIVICA
#EDUCAZIONE SESSUALE.
#Memoria della
#Legge di #Apollo
(#Eschilo):
«non è la madre la #generatrice di quello che è chiamato suo figlio;
ella è la nutrice del germe in lei inseminato.
Il #generatore è colui che la feconda».
Assedio alla 194: dal Papa al boom dei medici obiettori
La situazione in Italia - 8 su 10 ginecologi si rifiutano di interrompere le gravidanze, gli aborti clandestini spopolano. La legge, dopo 40 anni, è sempre più ko
di Maddalena Oliva (Il Fatto, 11.10.2018)
Per il Papa sarà pure un atto non civile, pari all’ affittare “un sicario per risolvere un problema”. Che Bergoglio tuoni contro l’aborto non è una notizia, e nemmeno che lo faccia con un’espressione così forte. Lo sarebbe semmai il contrario (ma Papa Francesco, di questo periodo, ha ben altri pensieri).
Abortire, però, resta un diritto. E c’è una legge, tanto celebrata quest’anno per l’anniversario dei suoi 40 anni, che lo dovrebbe anche garantire.
Ma così succede nella realtà?
Ci sono donne costrette a “emigrare” perché nelle regioni di residenza le attese sono di settimane, per i tanti ginecologi obiettori. Altre che vengono invitate a rivolgersi ai centri privati. Altre ancora che si ritrovano in coda all’alba, in scantinati squallidi e freddi con la volontaria dell’associazione “pro vita” che ti parla di “omicidio”. Era il22 maggio 1978 quando in Italia fu promulgata lalegge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, dopo un’aspra battaglia che spaccò in due il Paese. Quarant’anni dopo, nei giorni in cui infiamma la polemica sulla “mozione per la vita” approvata dal consiglio comunale di Verona, le difficoltà segnalate da operatori, associazioni e pazienti diventano motivo di nuova mobilitazione: a partire da sabato prossimo, proprio a Verona.
Guardando i numeri, e scorrendo l’Italia regione per regione, i medici che non garantiscono di effettuare l’intervento di interruzione di gravidanza, per motivi di coscienza, sono il 70,5%, secondo l’ultimo monitoraggio nazionale presentato in Parlamento. Il record di obiettori (oltre l’80%) si registra al Sud.
In Molise, per esempio, è rimasto solo il dottor Michele Mariano - intervistato qualche giorno fa dal Mattino - a praticare gli aborti. Un ginecologo solo, per un’intera regione. “Nessuna donna chiede aiuto con piacere. Io ne seguo in media 400 all’anno che arrivano da regioni vicine”, sottolinea il dottor Mariano. “Vorrà dire che andrò all’inferno, e i miei colleghi, obiettori di coscienza, in paradiso. Ma tutti siamo a favore della vita. Qui si tratta solo di applicare una legge e fare in modo che una cosa dolorosissima sia possibile come libera scelta, mettendo da parte le ideologie. Ma vedo un rigurgito anti-abortista della politica, anche a sinistra”.
Nel Lazio, l’aborto dopo il terzo mese viene effettuato solo nella Capitale, proprio perché sono rimasti in pochissimi i medici a effettuare questo intervento. Ci sono poi strutture che accettano solo un numero limitato di richieste al giorno, quindi chi vuole abortire deve raggiungere all’alba lo sportello.
Ancora: l’aborto farmacologico, attraverso la somministrazione della pillola Ru486, è possibile di fatto solo a macchia di leopardo. In Finlandia avviene nel 98% dei casi, proprio per promuovere un intervento meno invasivo: in Italia, nel 15%. Perché spesso il farmaco non è nemmeno disponibile, nei parti degli ospedali come nelle farmacie (dove la pillola abortiva è uscita dalla lista di emergenza dei prodotti obbligatori da banco).
Silvio Viale, ginecologo pioniere della somministrazione ordinaria della Ru-486 a Torino, ha replicato su Facebook a Francesco: “Sono un medico, non un sicario. Tutti coloro, comprese le ministre, che fanno diagnosi pre-natale, lo fanno per sapere se dovranno abortire. Il 99,9% di chi ha una diagnosi prenatale infausta decide di abortire. Io rispetto questa volontà e garantisco questo diritto”.
E poi c’è l’aborto clandestino che è ancora oggi, nel 2018, una realtà. Specie per le immigrate, che acquistano nella maggior parte dei casi medicinali su internet.
A Castel Volturno, denuncia Emergency, alcuni volontari hanno accompagnato al pronto soccorso ragazze straniere al 7° mese di gravidanza con nello stomaco 50 compresse di gastroprotettore usato per abortire.
Onu e Consiglio d’Europa hanno più volte richiamato l’Italia sia per le difficoltà di applicazione della legge sia per la “discriminazione” nei confronti del personale sanitario non obiettore. È la stessa legge 194 a imporre che “l’espletamento delle procedure” e “l’effettuazione degli interventi richiesti” debbano essere garantiti, ma nella realtà le cose vanno molto diversamente.
E in futuro? “I non obiettori hanno in media 50-60 anni”, raccontava un medico a Palermo al nostro mensile MillenniuM, mentre gli specializzandi di ginecologia hanno pochissime occasioni di fare pratica. Così “nel giro di dieci anni, la 194 potrebbe diventare inapplicabile”.
Legge 194
Quarant’anni fa veniva legalizzato l’aborto in Italia
di Flavia Amabile (La Stampa, 06.10.2018)
Era il 22 maggio 1978 quando , dopo anni di aspre battaglie fu approvata la legge 194 che riconosce alle donne il diritto di interrompere volontariamente la gravidanza. Prima l’aborto era considerato un reato, le donne che avevano necessità di non portare avanti una gravidanza dovevano rivolgersi a strutture clandestine, con seri rischi per la propria vita.
Quarant’anni dopo la legge ha raggiunto alcuni dei suoi obiettivi. Le interruzioni volontarie di gravidanza, sono più che dimezzate. Ma è aumentata la pressione dei movimenti antiabortisti, il numero di medici obiettori che ha raggiunto la cifra record del 70% rendendo del tutto impossibile in alcune regioni esercitare il diritto di effettuare un aborto. La legge 194 si presenta quindi sempre meno applicata e sta di nuovo aumentando la richiesta di aborti clandestini.
L’ORDINE SIMBOLICO DELLA MADRE, L’ALLEANZA DELLA MADRE CON IL FIGLIO, REGNA ANCORA COME IN TERRA COSI’ IN CIELO: IL MAGGIORASCATO. UNA CATTOLICA, UNIVERSALE, ALLEANZA "EDIPICA"...
La relazione
Quarant’anni di un diritto
Così la legge 194 ha fatto crollare gli aborti in Italia
di Maria Novella De Luca (la Repubblica, 16.01.2018)
ROMA «Le donne hanno smesso di morire d’aborto, basterebbe questo per dire che la legge 194 ha funzionato e funziona. E io me le ricordo, quarant’anni fa, quelle donne e ragazze che arrivavano di notte in ospedale, devastate dalle emorragie dopo le famose interruzioni con il ferro da calza. Molte restavano mutilate per sempre. Con la legge 194 l’aborto ha smesso di essere una questione privata per diventare una questione sociale di cui lo Stato si è fatto carico. È stata una rivoluzione. Imperfetta, ma una rivoluzione». Carlo Flamigni ha 85 anni, è uno dei ginecologi più famosi d’Italia, pioniere della fecondazione assistita, ma anche protagonista di quella battaglia che negli anni Settanta ha cambiato nel profondo la nostra società, la famiglia, la maternità.
Approvata nel 1978, confermata dal referendum del 1981, la legge sull’aborto compie quarant’anni il 22 maggio prossimo. Un tempo abbastanza lungo per fare un bilancio, come infatti suggerisce la Relazione al Parlamento sull’attuazione della 194 presentata dalla ministra Lorenzin, dove per la prima volta si tenta una “analisi storica”. E se i numeri di quest’anno confermano la drastica riduzione degli aborti, passati dai 234.801 del 1982 (l’anno in cui le “Ivg”, interruzioni volontarie di gravidanza, raggiunsero il massimo storico) ai 84.926 del 2016, nello stesso tempo si assiste a un vero e proprio boom della contraccezione d’emergenza. In particolare dell’uso della “pillola dei cinque giorni dopo” (EllaOne) le cui vendite, dopo la caduta dell’obbligo di ricetta medica per le donne maggiorenni, è passata dalle 7mila confezioni del 2012 alle 189.589 del 2016. Se dunque abbiamo imparato a non abortire (pur potendo farlo), sul fronte dell’uso di pillola e condom siamo davvero indietro. Di fatto una contraddizione.
Ma al di là dei dati di oggi, nello sguardo sui 40 anni della legge, la Relazione afferma un principio fondamentale. «L’aborto volontario, dopo una prima fase iniziale, è costantemente diminuito e non è mai stato un mezzo di controllo delle nascite».
Se pensiamo che nel 1961, come denunciò una famosa inchiesta di “Noi donne”, gli aborti clandestini superavano il numero (spaventoso) di un milione l’anno, è evidente quanto la legge del 1978 abbia segnato il passaggio da un’Italia quasi post contadina a un’ Italia moderna. Livia Turco, a lungo parlamentare del Pd, ministra delle Pari Opportunità e poi della Salute, quella stagione da giovane militante comunista se la ricorda bene. E al tema della difesa della legge 194 ha dedicato un bel libro uscito di recente: “Per non tornare nel buio”. Perché in fondo nulla è garantito. E le proposte di revisione (restrittiva) della legge si susseguono ad ogni legislatura.
«Lo scontro fu feroce e lacerante. La Destra e una parte dei Cattolici dicevano che la legalizzazione avrebbe fatto aumentare a dismisura il numero degli aborti, banalizzandone la scelta. Invece oggi si dimostra che l’autodeterminazione delle donne ha prodotto una cultura della responsabilità e soprattutto si è arginata la piaga dell’aborto clandestino. Ma è della applicazione della 194 che bisogna tornare a parlare, uscire dal cono d’ombra». Perché l’obiezione di coscienza è ormai un dramma.
Spiega Livia Turco: «Ci sono interi ospedali dove le interruzioni non vengono praticate e le donne devono migrare di regione in regione, spesso con il rischio di superare i tempi legali. E poi i dati sul ricorso alla pillola del giorno dopo dimostrano che è sulla contraccezione che bisogna investire, pensando ai giovani, rendendola gratuita. Ma credo che una maggiore diffusione della Ru486, l’aborto farmacologico, potrebbe mitigare il ricorso all’obiezione di coscienza».
Immigrate, ragazze giovani. Sono loro le donne più a rischio. (Il 30% di tutte le interruzioni riguarda le straniere). Silenzio e solitudine i loro nemici.
Racconta Carlo Flamigni: «A 40 anni dalla sconfitta delle mammane e dei cucchiai d’oro, ci troviamo di fronte a un nuovo tipo di clandestinità che il ministero rifiuta di vedere. Avete presente quante pillole per abortire si possono comprare su Internet? O farmaci che comunque aumentano la contrazioni uterine? La legge 194 va protetta e pubblicizzata, la contraccezione favorita in ogni modo. Altrimenti si torna indietro».
Michele Mariano è l’unico ginecologo non obiettore del Molise. Dirige un piccolo reparto di eccellenza all’ospedale “Cardarelli” di Campobasso, dove applica la legge 194. «Ormai da me arrivano donne da tutto il centro Sud. È incredibile. Dal Lazio, dall’Abruzzo, dalla Campania, perché i centri chiudono. Fanno centinaia di chilometri ma sanno che qui saranno accolte. E poi le migranti, spesso sbarcano in Italia già incinte. Ho visto troppe donne rovinate dagli aborti clandestini prima che ci fosse la legge, per questo continuo a lavorare in trincea, praticando 400 aborti l’anno. Sono orgoglioso di quello che faccio, ma sa qual è l’amarezza? A 40 anni dalla nascita di questa legge, noi che l’abbiamo voluta, siamo anche tra gli ultimi ginecologi ad applicarla, perché ormai tutti obiettano. Cosa accadrà quando andremo in pensione?».
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
UOMINI E DONNE. LA NUOVA ALLEANZA di "Maria" e di "Giuseppe"!!! AL DI LA’ DELL’ "EDIPO", L’ "AMORE CONOSCITIVO". SULL’USCITA DALLO STATO DI MINORITA’, OGGI.
AL DI LA’ DELL’ORDINE SIMBOLICO DELLA MADRE (E DEL FIGLIO), DONNE E UOMINI, CITTADINE-SOVRANE E CITTADINI-SOVRANI. Il "romanzo familiare" edipico della chiesa e della cultura cattolico-romana è finito... *
Libere di scegliere sul nostro corpo: sit-in in varie città e corteo a Roma
Non Una di Meno. Giornata mondiale per l’aborto libero e sicuro, nella capitale manifestazione anche contro le ricette antistupro che colpevolizzano donne e migranti
di Rachele Gonnelli (il manifesto, 29.09.2017)
Molti presidi di donne davanti agli ospedali di varie città, da Firenze alla Sicilia, a Lecce, a Brindisi, ieri, per la Giornata per l’aborto libero e sicuro lanciata dal movimento femminista argentino Ni Una Menos a livello mondiale.
A Roma il comitato della rete Non Una di Meno ha organizzato, oltre a un presidio in mattinata davanti al Policlinico Umberto I - sempre contro i troppi ginecologi obiettori e per l’utilizzo della pillola abortiva Ru486 - anche un corteo. O meglio, un sit-in in piazza dell’Esquilino che in serata si è trasformato in un piccolo corteo - tollerato dalla polizia - fino a piazza Vittorio.
CARTELLI E TAMBURI hanno accompagnato la manifestazione romana che, oltre alla libertà di scelta per quanto riguarda l’interruzione volontaria di gravidanza, si è caratterizzata per una rivendicazione più a tutto tondo sul corpo delle donne. E quindi «contro tutte le risposte securitarie che a Roma ci vogliono propinare dalle varie autorità come soluzioni antistupro», spiega Sara, dai militari a cavallo nei parchi, al vademecum pubblicato dal quotidiano il Messaggero, contro il quale c’è già stato un sit-in di protesta specifico la scorsa settimana. «Vogliono colpevolizzare le donne per come si vestono e gli immigrati - spiega ancora Sara - nascondendo che l’80 per cento delle violenze sessuali accadono tra le mura domestiche».
LE FEMMINISTE ROMANE non ci stanno e insistono a dire, dal camion-palco della manifestazione, negli slogan gridati e sui cartelli che «le strade sicure le fanno le donne che le attraversano», contro tutti quelli che vorrebbero invece rinchiuderle in casa o messe sotto scorta e sotto tutela. E infatti scrivono anche «Le strade libere non le fanno i militari, i taxi o i lampioni», e anche, con evidente riferimento ai carabinieri di Firenze: «Dopo una sbronza mi aspetto un mal di testa non uno stupro».
SUI SAMPIETRINI dietro la Basilica di Santa Maria Maggiore le ragazze più giovani sono le più diffidenti con i giornalisti, temono di essere strumentalizzate. Ma un grappolo di studentesse del liceo Tasso accetta di parlare, collettivamente e senza nomi. Hanno 17 anni, al quarto anno, di varie sezioni, e non si sono riunite in collettivo o in assemblea «perché nel nostro liceo non è molto possibile», dicono. Hanno iniziato a parlare tra loro a partire dalle lezioni di un comune professore di filosofia. «Dice di essere dalla nostra parte - spiegano - ma in realtà molte sue lezioni sono solo propaganda di un maschilismo soft, ci dice di non girare di notte con le gambe nude, perché altrimenti “ve la siete cercata”, per lui niente cambierà mai, il femminismo è solo speculare al maschilismo, che invece è sbagliatissimo, e certi ruoli sono cementati dalla tradizione, per cui immutabili. Alla fine non fa che dare spazio a discorsi razzisti sugli immigrati e non dice i dati veri, siamo dovute andarli a cercare ma neanche i giornali li chiariscono».
È GIOIOSO il corteo romano e mescolati tra le tante donne ci sono anche uomini, di varia età. «Se ce ne sono di più è perché le nostre donne stanno facendo un percorso anche con loro, e questo è un successo», sostiene Simona di Non Una di Meno. Ma le ragazze del Tasso sostengono che «sono le donne che dovrebbero essere più partecipi su ciò che le riguarda direttamente».
NON SI VEDONO INVECE cartelli del tipo «la 194 non si tocca», che invece contrassegnavano i presidi davanti agli ospedali pugliesi, dove l’obiezione di coscienza nei reparti Ivg raggiunge punte dell’89 per cento. Non che nel Lazio la situazione sia tanto migliore: al Policlinico a fare gli aborti ci sono solo medici assunti a tempo determinato. E anche le sale parto sono insufficienti.
*
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
UNA CATTOLICA, UNIVERSALE, ALLEANZA "EDIPICA"!!! IL MAGGIORASCATO: L’ORDINE SIMBOLICO DELLA MADRE, L’ALLEANZA DELLA MADRE CON IL FIGLIO, REGNA ANCORA COME IN TERRA COSI’ IN CIELO DONNE, UOMINI E VIOLENZA: "Parliamo di FEMMINICIDIO".
LA COMPETENZA ANTROPOLOGICA E TEOLOGICA DEL VATICANO E’ "PREISTORICA" E "MAMMONICA". Il "romanzo familiare" edipico della chiesa e della cultura cattolico-romana è finito
DAL "CHE COSA" AL "CHI": NUOVA ERMENEUTICA E NUOVO PRINCIPIO DI "CARITÀ"! DELLA TERRA, IL BRILLANTE COLORE. Una nota di Eleonora Cirant (e altri materiali).
Federico la Sala
La Madonna della mafia
di don Aldo Antonelli (L’Huffinton Post, 11/07/2014)
Guardo la foto e leggo il contesto. Una madonna, intronizzata come regina, incorniciata in una raggiera dorata, portata a spalle da una masnada di giovanotti biancovestiti, nel caos festante di una folla accalcata che non si capisce bene se prega, canta o chicchiericcia. Osservo la foto e mi chiedo quale rapporto può esserci tra questa "Madonna Regnante" e la semplice, umile ragazza di Nazareth di cui narrano i Vangeli. Mi domando come possa essere accaduto che colei che nel Magnificat inneggia al Dio che "depone i potenti dai troni", possa a sua volta sedere su un trono ed essere chiamata "Regina"! Come possa essere beffardamente ricoperta di ori e di argento la Madre di Colui che comandò ai suoi discepoli di non portare con sé né oro, né argento.
Siamo di fronte ad una metamorfosi depravata e deformante, funzionale ad una società auto-referente e lontana anni luce da quell’espressione di fede, coscienza critica della società, che la teologia più attenta vorrebbe evidenziare.
Secondo l’analisi funzionalistica di Emile Durkheim, la religione non è altro che un riflesso della società che venera se stessa. Con questa espressione, dalle connotazioni decisamente provocatorie, il grande sociologo intendeva sottolineare il carattere sociale e civile della religione, intesa come un sistema di riti grazie al quale una società si rinforza e crea legami profondi fra gli individui che la compongono. Secondo il sociologo francese, la religione serve alla società per salvaguardarsi, ma, soprattutto consente all’individuo di sentirsi parte di un’entità collettiva, nella quale assumere un ruolo definito. I riti religiosi, quindi, accompagnano le trasformazioni personali e sociali, permettendo, attraverso la loro capacità di regolamentare il caos e, insieme, di esprimere una forte carica simbolica, di creare, problematizzare e rafforzare le realtà sociali stesse.
Naturalmente, in una società mafiosa la religione diventa la legittimazione morale del sistema-mafia! In una società capitalistica, la religione consacra, facendone degli assoluti, i principi di "proprietà" e di "libertà"! In ambito politico, la religione si fa veicolo di consenso verso pratiche che pur contraddicendo i valori ne sposano la difesa. L’espressione più evidente di questo diabolico potere è offerta dal fenomeno di quelle persone che si definiscono come «atei devoti».
In questa formula, vi è evidente una contraddizione che, però, finisce con lo spiegare meglio il senso e le forme della religione civile. Scrive Marco Gallizioli sul numero 8 dal 2011 della rivista cattolica "Rocca", della Cittadella di Assisi: «Alcuni individui, infatti, pur negando validità trascendente alle religioni, ne sposano le linee etiche e ne ri-conoscono il valore insostituibile nel tessere un abito identitario dai colori netti. In altri termini, le fedi vengono svuotate del loro proprium, e imbalsamate nella loro funzione sociale, perché fungano da moltiplicatori di identità e di etica... Così facendo, la religione rischia di trasformarsi in una lobby di potere, che, grazie alle sue funzioni sociali, può giocare un ruolo decisivo nella politica degli stati, rischiando di mercificare la sua proposta spirituale».
Analisi precisa, puntuale e senza sconti di parte. A mio avviso, tanta strumentalità e, diciamolo pure, tanto abbrutimento è stato possibile anche grazie agli interessi di bottega e/o alle pigrizie di comodo di una chiesa e di un clero più inclini a tradurre la fede nella comoda e compensativa religiosità popolare che impegnati alla difficile e scomoda testimonianza. In questo, grande supporto è dato dalla teologia di palazzo, tutta ideologia e affatto evangelica. Ma qui si apre un altro discorso.
Per ora dobbiamo dire grazie al richiamo forte di papa Francesco e allo scandalo salutare di Oppido Mamertina.
SCIENZA E FEDE VATICANA: LA CATTEDRA DELL’EMBRIONE.
"Duemila anni fa, un ovulo fu miracolosamente fecondato dall’azione soprannaturale di Dio, da questa meravigliosa unione risultò uno zigote con un patrimonio cromosomico proprio. Però in quello zigote stava il Verbo di Dio"(dichiarazione del Cardinale Dario Castrillon Hoyos alla XV conferenza internazionale del Pontificio consiglio, La Repubblica del 17 novembre 2000, p. 35)
LA POLEMICA
Vaticano: "Nobel a Edwards inaccettabile
Ignorata ogni problematica di carattere etico"
Ai microfoni di Radio Vaticana parla il professor Lucio Romano, presidente di Scienza e Vita. "Edwards passa in ambito umano tecniche di fecondazione applicate agli animali". Monsignor Ignacio Carrasco de Paula, presidente della Pontificia Accademia per la Vita: "Scelta completamente fuori luogo". Il bioeticista Padre Gonzalo Miranda: "Strumentale chiedere di ridiscutere la legge 40: embrioni hanno diritto alla vita" *
CITTA’ DEL VATICANO - Dai microfoni di Radio Vaticana tuona Lucio Romano, presidente dell’Associazione Scienza e Vita. Per dire che il Nobel a Robert Edwards 1, il padre della fecondazione in vitro, "disattende tutte le problematiche di ordine etico e rimarca che l’uomo può essere ridotto da soggetto a oggetto". E, parlando all’Ansa, anche monsignor Ignacio Carrasco de Paula, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, giudica "completamente fuori luogo" la scelta del Nobel a Edwards, per la quale i "motivi di perplessità non sono pochi". Interviene nel dibattito anche il bioeticista padre Gonzalo Miranda: "Strumentale mettere in discussione la Legge 40: anche gli embrioni hanno diritto alla vita".
"Inaccettabile soppressione embrioni". A Radio Vaticana, Lucio Romano sottolinea "l’inaccettabilità delle tecniche di fecondazione in vitro, che comportano la selezione e soppressione di esseri umani allo stato biologico di embrioni". "Teniamo conto - spiega il professore ai microfoni dell’emittente del Papa - che Edwards segna la storia, perché pratica il passaggio delle tecniche dal mondo degli animali all’ambito umano. Vale a dire dove, nell’applicazione degli allevamenti, venivano già da tempo messe in essere tecniche di fecondazione artificiale. Ma questo non significa assolutamente che ciò, nel suo complesso, rappresenti un progresso dell’uomo nella sua visione globale". Secondo l’esperto interpellato da Radio Vaticana, il Nobel per la medicina "è un premio che deve essere assolutamente preso in considerazione in ragione di un’analisi anche di ordine etico", mentre quest’anno "attraverso un’assegnazione così decisa del premio stesso, viene a disattendere tutte le problematiche di ordine etico ad esso connesse".
"Strumentale ridiscutere Legge 40". Sul tasto dell’etica batte anche padre Gonzalo Miranda, docente di bioetica all’università Pontificia ’Regina Apostolorum’ a Roma. Per il quale, la fecondazione in vitro "lascia aperti molti dubbi, a partire dallo spreco di vite umane che si realizza con gli embrioni, spesso prodotti già in partenza con lo scopo di non far nascere" bebè. Ecco perché, "Edwards non meriterebbe certo il premio Nobel all’etica, semmai ce ne fosse uno". Ma ci sono altri punti controversi, secondo padre Miranda, che non devono essere "offuscati dall’assegnazione del Nobel. Ad esempio, i figli devono essere il risultato di un atto d’amore non di un atto medico". E ancora, perplessità "sulla diagnosi preimpianto nonché sul congelamento degli embrioni, vera e propria patata bollente che fa desistere dall’andare avanti molti professionisti del settore. Si tratta di milioni di embrioni crioconservati che non sappiamo che fine facciano". E su chi ha sollevato dubbi in queste ore sulla Legge 40, invitando governo e legislatore a riaprire il dibattito sul provvedimento, "si tratta - a detta del bioeticista - di una polemica strumentale. Una società moderna e sensibile come la nostra deve fissare dei paletti. L’embrione non è semplice materiale biologico e va garantito il suo diritto alla vita, esattamente come la Legge 40 tenta di fare".
"Irrisolto problema dell’infertilità". Monsignor Carrasco elenca le ragioni della sua opposizione al Nobel a Edwards. "Innanzitutto, senza di lui non ci sarebbe il mercato degli ovociti con il relativo commercio di milioni di ovociti. Secondo, senza Edwards non ci sarebbe in tutto il mondo un gran numero di congelatori pieni di embrioni che nel migliore dei casi sono in attesa di essere trasferiti negli uteri, ma che più probabilmente finiranno per essere abbandonati o per morire. E questo è un problema la cui responsabilità è del neo-premio Nobel". Infine, sottolinea il presidente dell’Accademia per la Vita, "senza Edwards non ci sarebbe l’attuale stato confusionale della procreazione assistita, con situazioni incomprensibili come figli nati da nonne o mamme in affitto". "In conclusione - afferma Carrasco - Edwards non ha in fondo risolto il problema dell’infertilità, che è un problema serio, né dal punto di vista patologico né epidemiologico. Insomma non è entrato nel problema, ha trovato una soluzione scavalcando il problema dell’infertilità. Bisogna aspettare che la ricerca dia un’altra soluzione, anche più economica e quindi più accessibile della fecondazione in vitro, che tra l’altro presenta costi ingenti".
* la Repubblica, 04 ottobre 2010
IMMAGINI INEDITE
Nel Santuario la ’ndrangheta
consacra il suo nuovo capo
Alcuni filmati registrati dai carabinieri nel corso delle indagini mostrano per la prima volta le immagini dei capi delle cosche che si riuniscono, in pubblico e in un luogo sacro calabrese, stretti attorno al nuovo capo. Che dà le sue regole e i suoi codici d’onore
di PIERO COLAPRICO *
La Madonna dei Polsi ha due devozioni: una popolare e cattolica, e un’altra elitaria e da setta, ed è quella della ’ndrangheta. Il filmato che è stato ripreso all’ombra del santuario mostra quel mix di simbologia sacra e di potere nero, occulto, invasivo, che ha reso i clan calabresi tra i più forti e temuti del mondo. Votare, dirsi chi è Il Crimine, e cioè il boss dei boss, mentre intorno si accendono candele sacre da parte dei fedeli serve a sgarristi e picciotti anche a sentirsi "parte di una comunità" più estesa, più vasta. Il rito pagano di mischia al rito religioso e c’è la sensazione, e la tentazione, di avvertire come "divino" un potere che ha a che fare con omicidi, con estorsioni, con sequestri di persona, con il traffico della droga, con l’ecomafia che avvelena la terra dove cammineranno anche i loro figli.
Nemmeno Francis Ford Coppola avrebbe potuto concepire per il suo "Padrino" la verità che emerge da queste riprese, fatte da un tecnico che ha lavorato insieme con i detective. Come ai "Polsi" si decidono i destini degli uomini, le carriere, chi è bravo e chi deve modificare il suo atteggiamento (la pena per chi esagera con l’indipendenza è la morte), così a Milano, nel circolo intitolato a Falcone e Borsellino, si sono visti i boss votare il loro Capo, quello che incarna per tutti al Nord il volere della ’ndrangheta. Quella che sembrava un gruppo di famiglie scollegate una dall’altra, dopo quest’inchiesta, è diventata qualcosa d’altro. I pm vogliono che la Cassazione riconosca che anche i clan calabresi hanno una cupola, che esiste un Totò Riina della ’ndrangheta, e che nessuno estraneo, prima della retata di lunedì notte, lo sapeva.
* la Repubblica, 14.07.2010
Maxi blitz contro la ’ndrangheta
trecento arresti in tutta Italia
L’operazione svela una struttura simile a Cosa Nostra: tre mandamenti calabresi, c’è un organo di vertice e "la Lombardia", la struttura nordica, con una "Camera di controllo deputata al raccordo tra le strutture lombarde e calabresi". In manette anche Domenico Oppedisano, 80 anni, numero uno delle cosche calabresi *
ROMA - Chi litiga è un uomo morto. È stato un omicidio di due anni più che a rivelare, a certificare la "mutazione genetica" della ’ndrangheta. Si chiamava Carmelo Novella, detto compare Nuzzo, aveva sessant’anni e il 14 luglio del 2008 viene ammazzato in un bar di San Vittore Olona. Sembrava il risultato di una faida legata agli appalti nell’edilizia, invece Novella aveva detto in giro che "la Lombardia", e cioè tutti i gruppi di ’ndrangheta trapiantati al Nord, avrebbero potuto "fare da soli", senza la casa madre calabrese. Il desiderio di autonomia è stato stoppato con le pallottole, Novella non sarà più un problema e viene nominato un altro calabrese, Giuseppe Neri, come uomo del raccordo tra il Nord danaroso e il Sud antico e sanguinario.
È questo sangue che scorre al Nord un importante episodio nell’inchiesta ribattezzata "Il Crimine", che è in corso mentre scriviamo, sono in programma tra i duecento e i trecento arresti, tra Calabria e Lombardia. Nei fascicoli dei procuratori Ilda Boccassini e Giuseppe Pignatone sono entrati anche due filmati senza precedenti. Il più clamoroso è stato registrato a Paderno Dugnano, in un centro intitolato - incredibilmente - ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Per alzata di mano, e all’unanimità, è stato scelto, dai vertici dei clan calabresi del Nord tutti riuniti, il "mastro generale", e cioè Pasquale Zappia. Una scena degna del film "Il Padrino", ma senza smoking, una versione con abiti casual in stile provincia milanese.
L’altro filmato è avvenuto in Aspromonte, alla Madonna dei Polsi, dove si sono riuniti i boss calabresi. Senza l’aiuto di pentiti, sono stati documentati circa quaranta incontri. E da quanto raccontano i documenti redatti dai carabinieri e dalla polizia, è stata fatta una fondamentale scoperta. La ’ndrangheta sinora non era mai stata considerata come una struttura unitaria, cioè non sembrava "come" Cosa Nostra. E se allora, per stabilire le regole in Sicilia, ci volle il pentito Tommaso Buscetta, qua, oggi, per comprendere le regole calabresi è stato necessario un lavoro certosino. Ma, piano piano, sono emersi i tre mandamenti della ’ndrangheta in Calabria, poi un organo di vertice, che "ne governa gli assetti, assumendo o ratificando le decisioni più importanti".
E poi esiste - ed è sorprendente - "La Lombardia", cioè la federazione dei gruppi trapiantati al Nord, con una "Camera di controllo deputata al raccordo tra le strutture lombarde e calabresi". Una "struttura unitaria", accusano i pm, e hanno scoperto che, ovviamente, i clan al Nord avevano in mente di prendersi qualche buon appalto per l’Expo. Non ci sono riusciti "per il fallimento" della Perego general contractor srl: una ditta di rilievo dove Salvatore Strangio, espressione della famiglia Pelle, soprannominata "Gambazza", faceva il bello e cattivo tempo, per favorire "numerose imprese controllate dagli affiliati lombardi". Ne sono stati individuati ben 160, ma i boss si dicono "che hanno circa 500 unità".
I procuratori Boccassini e Pignatone, che hanno organizzato questa retata senza precedenti, si sono convinti che sia stato il sequestro di Alessandra Sgarella, portata via dalla sua casa bella zona di San Siro nel dicembre del 1997, l’ultima "azione" dei clan tradizionali. Dal Duemila la ’ndrangheta si è trasformata in "mafia imprenditrice".
Ci sono i criminali, ma accanto a loro affiliati lombardi, spesso senza problemi con la giustizia, com’è il caso di un alto funzionario della sanità lombarda: "In virtù del proprio ruolo istituzionale - viene detto di lui - assicura l’assistenza sanitaria, ma anche l’interessamento per investimenti immobiliari e coltiva e sfrutta per i "fini comuni" i legami con gli esponenti politici locali". L’inchiesta sembra riguardare anche il recente voto in Lombardia. Inoltre, da una lavanderia nel centro commerciale di Siderno, gestita dal boss Giuseppe Commisso, si è arrivati a nove locali individuati a Toronto e uno a Thunder Bay, controllati dalla provincia di Reggio. Un’intera rete di relazioni, affari, sembra venire allo scoperto e sono stati sequestrati beni per 60 milioni di euro.
Tra le persone arrestate a Milano, Carlo Antonio Chiriaco, classe 1959, nato a Reggio Calabria, direttore sanitario dell’Asl di Pavia, Francesco Bertucca, imprenditore edile del pavese e Rocco Coluccio, biologo e imprenditore residente a Novara. I tre sono ritenuti responsabili di aver fatto parte della ’ndrangheta attiva da anni sul territorio di Milano e nelle province vicine. Nel corso dell’operazione sono state fatte 55 perquisizioni e sequestri di beni immobili, quote societarie e conto correnti il cui valore è ancora da quantificare.
E in manette è finito anche Domenico Oppedisano, 80 anni, considerato dagli investigatori l’attuale numero uno delle cosche calabresi. La sua nomina a ’capocrimine’ - cioè colui che è al vertice dell’organismo che comanda su tutte le ’ndrine ed e’ denominato ’Provincia’ - sarebbe stata decisa il 19 agosto del 2009 nel corso del matrimonio tra Elisa Pelle e Giuseppe Barbaro, entrambi figli di boss. Un particolare significativo del personaggio: quando Oppedisano doveva parlare non usava il telefono. I suoi ordini arrivavano a Bollate attraverso Rocco Ascone, caposocietà e vicario della cosca locale comandata da Vincenzo Mandalari.
* la Repubblica, 13 luglio 2010
Mafia e preti, un libro di Isaia Sales racconta come siano «vicini»
di Massimiliano Amato (l’Unità, 4 marzo 2010)
«Non si smette mai di essere preti. Né mafiosi», ripeteva spesso Giovanni Falcone, sottolineando come lo specifico criminale che da un secolo e mezzo marchia a fuoco la vita, l’economia e la società di quattro regioni italiane sia in realtà una religione, che dal cattolicesimo prende in prestito i riti, il linguaggio, l’espressività liturgica. E tuttavia, il legame non è fatto solo di simboli: Cosa Nostra si richiama ai Beati Paoli, la camorra alla Guarduna, confraternita esistente a Toledo sin dal XV secolo, la ‘ndrangheta ai tre arcangeli della tradizione. No, c’è di più, qualcosa che va oltre la sintassi dell’esteriorità, nel rapporto, mai investigato a sufficienza, tra Chiesa e grandi organizzazioni criminali.
Nel suo documentatissimo «I preti e i mafiosi», Isaia Sales, tra i più lucidi studiosi dei fenomeni mafiosi, docente di Storia della criminalità organizzata nel Mezzogiorno d’Italia al Suor Orsola Benincasa di Napoli, mette subito le cose in chiaro. Innanzitutto, sostiene Sales, c’è una gravissima condotta omissiva, addebitabile ad un «giusnaturalismo di sangue», che la cultura cattolica mutua da quella mafiosa (e viceversa: l’esistenza di altre Giustizie oltre a quella dei Tribunali) in opposizione al positivismo del diritto statuale. La Chiesa, è la tesi di fondo del libro, non ha mai alzato un argine - né dottrinale, né teologico, né morale - contro il proliferare delle mafie. Ne ha anzi tollerato (quando non fiancheggiato) il radicamento, concimandolo talvolta con una sconcertante sintonia valoriale: le comuni posizioni in materia di morale sessuale, o in politica, dove l’anticomunismo è consustanziale.
La carica antistatuale della Chiesa e quella delle organizzazioni criminali hanno finito spesso col convergere. Al punto che dal martirologio cristiano sono espunti gli eroismi, in nome della fede e di un credo fondato sull’anti-violenza (l’esatto opposto, in teoria, dell’ethos mafioso), di decine di preti uccisi dalle mafie, di cui poco o punto si sa. Solo recentemente, con i sacrifici di don Pino Puglisi, fatto ammazzare come un cane a Brancaccio dai fratelli Graviano, e di don Peppe Diana, eliminato a Casal di Principe dai sicari di Sandokan, è emersa una coscienza nuova, tuttavia confinata a pochi casi isolati di preti - coraggio. Le eccezioni. E così, nel paese degli atei devoti, l’archetipo mafioso è quello del fervido credente criminale efferato, che si fa il segno della croce prima di ordinare un omicidio o di premere il grilletto: i covi dei superlatitanti sono sempre zeppi di immagini e testi sacri, dalla Bibbia al Vangelo, i boss vengono maritati in chiesa, confessati, comunicati e, se muoiono nel loro letto, ricevono l’estrema unzione.
La parte più suggestiva del saggio è quella in cui Sales ipotizza, non senza riferimenti «alti», una sorta di «complementarietà» tra il fenomeno mafioso e l’affermazione di alcuni precetti cristiani: dalla teoria della Confessione di Sant’Alfonso, a quella del criminale pecorella smarrita, un filo sottile tiene insieme il comportamento deviante e l’esigenza cattolica della «redenzione», in cui il valore della dissociazione prevale su quello del pentimento. Anche in questo caso, i due antiStato s’incontrano.
Sconfitto lo stato etico
Sono cadute alcune tra le norme più odiose e fortemente simboliche della legge 40
È stata imboccata una strada che ripristina il rispetto dei diritti della persona
Forse i disinvolti e ideologici legislatori, che ci affliggono da anni con la loro pretesa di
imporre un’etica di Stato, cominceranno a rendersi conto che dovrebbero finalmente andare a lezione di Costituzione.
di Stefano Rodotà (la Repubblica, 02.04.2009)
La sentenza di ieri, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato illegittime alcune delle norme più significative della legge sulla procreazione assistita, conferma un orientamento già ben visibile negli ultimi mesi, e che ha fatto nitidamente emergere un insieme di criteri che precludono ai legislatori di impadronirsi della vita delle persone. Quando, con mossa incauta, nel settembre scorso la maggioranza parlamentare aveva sollevato un conflitto di attribuzione nei confronti della magistratura, sostenendo che aveva invaso le competenze del legislatori con la sentenza sul caso di Eluana Englaro, i giudici costituzionali l’avevano rapidamente bacchettata, dichiarando inammissibile la loro iniziativa. E a fine dicembre, quando le polemiche su quel caso erano ancor più infuocate, hanno con forza affermato che l’autodeterminazione costituisce un diritto fondamentale della persona. Una linea chiarissima, che rendeva prevedibile la decisione di ieri.
Ora cadono alcune tra le norme più odiose e fortemente simboliche della legge 40. Quella che imponeva l’unico e contemporaneo impianto degli embrioni, comunque in numero non superiore a tre: viene così battuto un proibizionismo cieco e ingiustificato, che infatti aveva provocato le critiche dei medici che operano in questo settore E quella che, sempre in relazione all’impianto, non teneva conto della necessità di salvaguardare la salute della donna, violando così un fondamentale diritto della persona. E non è vero, come ha frettolosamente osservato qualche parlamentare del Popolo della libertà, che la Corte ha comunque salvato altri articoli della legge, che pure erano stati impugnati. Su questi articoli, infatti, i giudici non si sono pronunciati per una ragione procedurale, perché non riguardavano le questioni trattate nei giudizi in cui l’eccezione di costituzionalità era stata sollevata. Sarà, quindi, possibile riproporre quelle eccezioni nella occasione più opportuna.
È stata così imboccata una strada che ripristina la legalità costituzionale e il rispetto dei diritti della persona. E, come ha saggiamente osservato Carlo Flamigni, si creano anche le condizioni per arrivare ad un "provvedimento più saggio", ad una riforma della legge 40 che ci faccia tornare in sintonia con le legislazioni degli altri paesi e, soprattutto, che disciplini le tecniche di riproduzione assistita in modo da renderle il più possibile aderenti alle effettive esigenze delle donne. Ma, invece di cogliere l’occasione offerta dalla Corte per avviare una nuova riflessione comune in una materia così difficile, la cecità ideologica continua a tenere il campo. Dai lidi della maggioranza si grida alla deriva eugenetica, si torna a parlare di attentato alla sovranità del Parlamento, si riecheggiano i toni populisti di questi giorni intonando di nuovo la canzone dei giudici che si sostituiscono alla volontà del popolo.
Chi ragiona in questo modo (si fa per dire) mostra di ignorare la logica stessa del controllo di costituzionalità, finalizzato proprio a garantire che le leggi votate dai rappresentanti del popolo non violino i principi e le garanzie che, democraticamente, proprio il popolo si è dato attraverso l’Assemblea costituente, e la Costituzione frutto del suo lavoro. Il Parlamento, dunque, non è sciolto dal rispetto di questi principi, ma a questi deve sottostare. Nella Corte costituzionale i cittadini trovano così non il guardiano di una astratta legalità, ma il garante dei loro diritti e delle loro libertà. Garanzia tanto più importante quando si legifera sulla vita, perché il Parlamento non può espropriare le persone del potere di prendere in libertà le decisioni più intime. E non si può dire che siamo di fronte ad una inattesa prepotenza della Corte. Proprio durante la lunga discussione parlamentare sulla legge sulla procreazione assistita molti avevano messo in guardia contro il rischio di approvare norme incostituzionali, com’era evidentissimo considerando proprio il modo in cui la Corte aveva già affrontato in particolare il tema del diritto alla salute.
Se torneranno un minimo di ragione e di cultura della legalità, la sentenza di ieri potrà aiutare anche nel difficile esame del disegno di legge sul testamento biologico, di cui deve ora occuparsi la Camera. Quell’insieme di norme, infatti, è perfino più sgangherato, dal punto di vista della costituzionalità, della pur sgangheratissima legge sulla procreazione assistita. I legislatori, lo ripeto, apprendano le lezioni di costituzionalità che la Corte, legittimamente, impartisce.
Ansa» 2008-05-09 18:03
’NDRANGHETA: IL RUOLO DELLE DONNE
(di Ezio De Domenico)
REGGIO CALABRIA - Un ruolo fondamentale sotto l’aspetto logistico ed organizzativo: sono le donne le protagoniste delle vicende di ’ndrangheta. I loro consigli agli uomini delle cosche, mariti, fidanzati o fratelli, vengono sempre tenuti in grande considerazione. In piu’ garantiscono la copertura ai latitanti, assicurando loro assistenza.
La funzione delle donne nella moderna organizzazione di ’ndrangheta emerge anche dall’operazione ’Zaleuco’, condotta dai carabinieri del Gruppo di Locri, che ha portato all’arresto di nove affiliati alle cosche Pelle-Vottari e Nirta-Strangio contrapposte da anni nella faida di San Luca. Una lunga scia di sangue che ha avuto il suo culmine il giorno di Ferragosto dello scorso anno con la strage di Duisburg, in Germania, con l’uccisione di sei affiliati alla cosca Pelle-Vottari davanti al ristorante ’da Bruno’.
Le donne, dunque, sempre più protagoniste e sempre più importanti. Nell’operazione coordinata dalla Dda di Reggio Calabria ne sono state arrestate tre, Maria Pelle ed Antonella Vottari, rispettivamente moglie e sorella del boss Francesco Vottari, già arrestato nell’ottobre scorso. Sarebbe stato grazie a loro che Francesco Vottari è riuscito a sfuggire a lungo alla cattura. La terza donna arrestata è Giulia Liana Benas, bloccata dai carabinieri al casello autostradale di Udine Sud. A lei la Dda contestato il ruolo di favoreggiatrice.
Ma il ruolo delle donne è importante anche per consentire le comunicazioni con i latitanti. Sono loro, infatti, ad incontrarli per fornire loro ciò di cui hanno bisogno ed a fare recapitare i loro messaggi ai capi delle cosche. Delle donne i capi delle cosche possono fidarsi perché il loro senso dell’onore e dell’appartenenza al gruppo criminale è più forte di quello degli uomini.
Oltre alle tre donne, sono stati arrestati Francesco Barbaro, già detenuto e capo dell’omonima cosca; Gianfranco Cocilovo, imprenditore di Bologna; Giovanni Marrapodi, odontotecnico, di San Luca; Domenico Mammoliti, di Benestare; Giuseppe Pelle, di San Luca, sorvegliato speciale con obbligo di dimora, ed Antonio Romano, anch’egli di San Luca.
Con l’operazione Zaleuco la Dda di Reggio ritiene di avere messo un punto fermo nelle indagini sulla faida di San Luca, chiudendo il cerchio che si era aperto con il fermo, il 30 agosto dello scorso anno, di 29 persone. Significativo, ha rilevato il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone, è anche il fatto che è stata contestata agli arrestati l’aggravante dei reati di mafia commessi all’estero, a dimostrazione del carattere transnazionale dell’attività delle cosche di San Luca.
Il 60% delle donne che abortiscono sono cattoliche
Lo dice un sondaggio. Ruini, Ferrara e soci farebbero meglio a tacere
Ora non è più un dato opinabile. C’è una ricerca precisa, come documenta l’articolo de La Stampa che di seguito riportiamo. Oggi il 60% delle donne che abortiscono in Italia si dichiara cattolica. Trent’anni fa, ne siamo più che sicuri, le percentuali sarebbero state molto superiori, molto vicine al 90%. E questp è il segno della progressiva perdità di credibilità della Chiesa in questi anni. Se il card. Ruini, Ferrara e i Teodem-teocon vogliono darsi da fare per ridurre l’aborto nel nostro paese, invece di sbraitare e trasformare la questione in un affare "politico" o addirittura in una lista per occupare scranni parlamentari, non devono far altro che convincere il 60% delle donne che abortiscono, cattoliche, della loro religione, a non farlo. Invece di sbraitare contro lo Stato farebbero bene a prendersela con i loro parroci, con i loro catechisti incapaci di formare "cattolici doc" che invece non esitano a ricorrere all’aborto. Come abbiamo più volte sostenuto su queste colonne l’aborto è un fenomeno prevalentemente "cattolico": sono Ruini e soci i responsabili primi dei tanti aborti che da sempre si sono fatti nel nostro paese. Loro con l’attacco alla 194 e alla legalizzazione dell’aborto vogliono in realtà mettere a posto ipocritamente la loro coscienza e credere così che non risponderanno davanti al loro Dio della loro incapacità di pastori a formare donne "ligie" ai doveri che loro ritengono "dettati da Dio". Da oggi in poi farebbero bene a tacere e a fare cose serie invece che trasformare la questione dell’aborto in una questione "politica" per occupare lucrosi scranni parlamentari. Cosa di cui dovrebbero vergognarsi in eterno.
26/2/2008
Se l’aborto è Nimby. Il 60% delle donne che ricorrono alla 194 sono cattoliche in un sondaggio realizzato ad Ascoli Piceno
FLAVIA AMABILE
Sembra facile a dirsi ora, ma nessuno ci aveva pensato a chiedere la religione alle donne che andavano nei consultori a chiedere un’interruzione di gravidanza. Lo ha fatto Tiziana Antonucci, ginecologa di Ascoli Piceno, ottenendo un risultato non poco imbarazzante: sono cattoliche il 60% del totale, sei donne su dieci che abortiscono. Tiziana Antonucci da anni è una delle poche ginecologhe delle Marche a garantire l’applicazione della 194. Nel consultorio dell’Aied dove lavora arrivano da tutta la regione dopo aver girovagato fra obiettori di coscienza di diversi paesi.
Tiziana le fa innanzitutto parlare e dopo averne ascoltate a centinaia per anni le è sorto un dubbio. «In alcune si percepiva un forte senso di colpa», spiega. E allora decise di fare una ricerca. E’ andata a finire che nel 2007 su 513 richieste di interruzione giunte in consultorio, 200 arrivavano da cattoliche praticanti e 108 da cattoliche non praticanti: il 60% del totale. Le sole cattoliche praticanti rappresentano quasi il 39% degli aborti richiesti, molto di più dei 146, il 28,4%, che vengono da donne di altre religioni: soprattutto musulmane, ortodosse, alcune buddiste, sikh e anche qualche atea. Le restanti 59 donne hanno preferito non rispondere.
Risultati poco in linea con la dottrina della Chiesa, ma che hanno una spiegazione precisa secondo Tiziana Antonucci. ’Le non cattoliche arrivano più preparate, hanno maggiore dimestichezza con i contraccettivi’. Risultati però che confermano in pieno qualcosa che si percepisce anche da altri sondaggi. Nell’aprile del 2006 l’Ordine provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Torino intervistò degli infermieri (in maggioranza tra i 30 e i 40 anni, impiegati in reparti di terapia intensiva, lungo-degenza e chirurgia). Fra i vari risultati emerse che il 76% degli infermieri credenti era favorevole all’eutanasia volontaria, e più o meno lo stesso era emerso a Milano. E’ il Nimby in versione etica. Aborto? No, grazie, dicono i cattolici. No, grazie, dicono le cattoliche. But not in my uterus.
* il dialogo, Martedì, 26 febbraio 2008
Ansa» 2008-04-23 03:38
ABORTI IN CALO DEL 45,9% DALL’82, BOOM DI OBIETTORI
ROMA - Continua a calare il numero degli aborti in Italia (-3% nel 2007 rispetto al 2006), e in particolare tra le donne italiane. Tuttavia il fronte del no all’aborto tra i medici ha segnato un vero e proprio ’boom di presenze’, visto che i ginecologi obiettori in Italia nel 2007 hanno raggiunto quasi il 70% (69,2%), contro il 58,7% del 2003. A delineare il quadro sull’applicazione della legge 194 è la relazione annuale 2006-2007, inviata oggi dal ministro della Salute, Livia Turco, al Parlamento. In particolare, la crescita delle obiezioni è stata molto marcata nel Sud, con punte elevate in alcune regioni dove i dati sono raddoppiati, come la Campania, dove i ginecologi obiettori sono saliti dal 44,1% all’ 83%, e la Sicilia (dal 44,1% al 84,2%). A porre ostacoli alle donne, sono però anche gli anestesisti, in cui la percentuale degli obiettori è passata dal 45,7% al 50,4%, e il personale non medico (dal 38,6% al 42,6%). "Un valore da rispettare e di cui prendere atto", quello dell’obiezione di coscienza, garantendo al contempo "i servizi e la piena attuazione della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza".
Così commenta il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo), Amedeo Bianco. Più critico Silvio Viale, ginecologo ed esponente radicale, secondo cui ormai la legge 194 è "a rischio" e si configura "sempre di più come un vero e proprio percorso ad ostacoli. Sarà sempre più difficile per le donne vedere soddisfatta la propria domanda, e aumenteranno gli ostacoli". Il dato senz’altro positivo è che nel nostro Paese il numero degli aborti continua a scendere. In totale nel 2007 le ivg sono state 127.038 contro i 131.018 casi del 2006 (-3%), e un decremento del 45,9% rispetto al 1982, anno in cui si è registrato il più alto ricorso (234.801 casi). Tuttavia il calo é da imputare soprattutto alle donne italiane (- 3,7% rispetto al 2005), soprattutto se istruite, occupate o coniugate, mentre tra le straniere il ricorso all’aborto continua a salire (+ 4,5% rispetto al 2005). Nel 2006 sono state il 31,6% delle ivg totali, contro il 10,1% del 1998. In calo anche il numero degli aborti clandestini, che si stima siano stati nel 2005 circa 15mila (mentre nella relazione dell’anno passato si pensava fossero 20mila). Stabile il numero degli aborti terapeutici effettuati dopo il 90/mo giorno di gravidanza, nel 2006 pari al 2,9% del totale. Rimane invece sul terreno della sperimentazione l’aborto farmacologico con la pillola RU486. Dal 2005 al 2007 sono state 2353 in totale le donne che vi hanno fatto ricorso, e sei complessivamente le regioni che l’hanno adoperata (Piemonte, Trento, Toscana, Emilia Romagna, Marche, Puglia). Positivo il commento del ministro Turco, che ha sottolineato "il cambiamento sostanziale del fenomeno abortivo nel nostro paese", e raccomandato alle Regioni "interventi di prevenzione per le donne straniere, il potenziamento dei consultori, e di controllare e garantire l’attuazione della legge, anche attraverso la mobilità del personale, visto l’aumento dell’obiezione di coscienza".
Consiglio d’Europa: garantire «aborto legale» *
Garantire alle donne il «diritto all’aborto legale e senza rischi per la salute». Lo chiede espressamente il Consiglio d’Europa con una risoluzione che raccomanda anche la depenalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza. Il testo, presentato da una deputata socialista, è il primo in cui si parla esplicitamente di “diritto delle donne ad abortire”. Alle donne che scelgono l’interruzione di gravidanza devono essere infatti offerti sostegno e cure medico-psicologiche e soprattutto supporto finanziario. Bisogna operare per la rimozione di tutti gli ostacoli e le condizioni che restringono la possibilità di abortire senza rischi per la salute. Quanti tra gli Stati aderenti non abbiano già provveduto dovranno «rispettare la libera scelta delle donne» e «superare le restrizioni, di fatto o di diritto, all’accesso a un aborto senza rischi».
L’aborto deve essere considerato l’extrema ratio, la soluzione a cui ricorrere in ultima istanza, e non deve mai essere adottato come «un metodo di pianificazione familiare». Il divieto dell’aborto non è conduce affatto alla sua diminuzione bensì all’aumento delle pratiche clandestine e traumatiche e alla diffusione di quello che viene chiamato il “turismo abortivo”. La legge lo consente per salvare e tutelare la vita della madre in quasi tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa; nella maggioranza è anche permesso per altre ragioni o entro un determinato lasso di tempo. Il rapporto, redatto dalla Commissione sulle Pari Opportunità per le donne e gli uomini del Consiglio d’Europa e presentato dalla parlamentare socialista Gisela Wurm, ha evidenziato che sebbene la maggior parte dei paesi europei consenta l’aborto in caso di pericolo di vita della madre, in diversi paesi, quali Andorra, l’Irlanda, Malta, Monaco e la Polonia l’aborto è illegale o severamente limitato.
Secondo il Consiglio d’Europa, nelle scuole dovrebbe essere prevista, obbligatoriamente, l’educazione sessuale e sentimentale, adeguata naturalmente all’età e al sesso, per evitare gravidanze indesiderate e di conseguenza il ricorso all’aborto. La costruzione di una cultura di rispetto della donna passa soltanto attraverso campagne di sensibilizzazione sociale, che contrastano anche ogni tentativo di strumentalizzazione e di cattiva informazione di una materia così delicata, che investe la vita di migliaia di persone.
Si tratta, però, di una risoluzione, la “1607”, che non ha valore «vincolante» per gli Stati membri. L’assemblea, che raccoglie i parlamentari di 47 Paesi europei in rappresentanza di 800 milioni di europei, l’ha approvata con 102 voti a 69 dopo un dibattito di 4 ore e l’esame di 72 emendamenti.
Secondo il Vaticano, però, la donna non dovrebbe abortire. Il «diritto all’aborto è un falso diritto», attacca l’Osservatore romano, in un articolo di prima pagina firmato da mons. Elio Sgreccia, presidente della Pontificia accademia per la vita. Per Sgreccia non si deve garantire alle donne «il diritto effettivamente d’accesso all’aborto sicuro e legale». La risoluzione sull’aborto del Consiglio d’Europa contiene «un’affermazione contraria ai diritti umani». Quell’atto è, a suo parere, un «pericoloso precedente in quanto introduce per la prima volta in un documento internazionale un nuovo diritto, quello di aborto legale e senza rischi per la salute».
* l’Unità, Pubblicato il: 26.04.08, Modificato il: 27.04.08 alle ore 14.42
Il riduzionismo dell’Avvenire
di Luigi Manconi *
Come sempre, il diavolo si cela nel dettaglio. Per evidenziare la deriva laicista che starebbe per travolgere il Partito democratico, Francesco D’Agostino, già presidente del Comitato nazionale di bioetica, nell’editoriale di ieri di Avvenire, invita a considerare «quale sia l’antropologia di Umberto Veronesi» (capolista per il Senato in Lombardia).
Da un po’ di tempo, l’antropologia viene strapazzata e richiamata a sproposito, ma qui colpisce l’uso «riduzionistico» che ne fa D’Agostino, che pure del riduzionismo si dichiara fiero avversario. Dunque, l’antropologia di Umberto Veronesi viene ridotta da Avvenire ad alcune posizioni e dichiarazioni pubbliche in contrasto con il magistero della Chiesa; dell’antropologia di Veronesi, invece, non farebbe parte ciò che è fondativo della sua identità, del suo ruolo professionale, del suo statuto di ricercatore e, infine, della sua qualità morale: ovvero il fatto che, da oncologo, ha dedicato mezzo secolo di vita e di scienza, di terapia e di sperimentazione alla cura delle patologie tumorali; e che in questo campo ha ottenuto straordinari successi, restituendo salute e - alla lettera - vita a migliaia di donne e di uomini.
Quale vertigine politicante e faziosa può avere indotto l’editorialista del quotidiano dei vescovi a ignorare tutto ciò per screditare quello che assume come un avversario politico? E ancora l’antropologia: essa viene nuovamente evocata a proposito dei radicali, ma è possibile che - dopo cinquanta anni di loro presenza nello scenario nazionale e sovranazionale - si vogliano tuttora ignorare le tracce «cristiane» (magari eretiche, ma non per questo meno cristiane sotto il profilo culturale) nell’azione di quel partito? A ben vedere, è forse possibile ipotizzare che l’impegno contro la pena di morte sia risultato, negli ultimi decenni, più tematica radicale che cristiana per il fatto che il Catechismo della Chiesa cattolica conservasse, in materia, esitazioni e reticenze sino ad appena qualche tempo fa. E non solo: quel «riduzionismo» sembra condizionare in profondità la lettura complessiva delle scelte politiche e della politica stessa come funzione pubblica da parte di settori delle gerarchie ecclesiastiche: l’intera politica viene ridotta alle scelte sulle questioni definite sciaguratamente «eticamente sensibili» (che corrispondono, in realtà, alla corposa concretezza di diritti civili e garanzie sociali): e queste ultime, a loro volta, vengono tradotte in precettistica morale, in manualistica sessuale, in prontuario di stili di vita e di relazione. Ciò ottiene l’effetto - invero disastroso - di banalizzare quelle che sono, sì, grandi questioni etiche in un causidico codice di comportamento: e di disciplinarle in un sistema di veti e divieti.
I grandi temi della contemporaneità, e quello terribile dello sviluppo scientifico e delle sue potenzialità e dei suoi limiti, e le «questioni di vita e di morte» - nascere, crescere, ammalarsi, curarsi, procreare, soffrire, decadere, invecchiare, deperire, morire... - esigono libertà di mente e passione per la verità; e incontro e scambio tra antropologie diverse (e qui il termine va inteso nel suo proprio significato). Come possono i cristiani non comprendere che l’amore per la vita e la cura per la sofferenza dell’oncologo Veronesi e di molti come lui è parte di una cultura condivisa? E che, su un altro piano, la testimonianza di vita e di morte di Piergiorgio Welby appartiene loro ed è, per loro, «segno di contraddizione», nonostante tutti i tentativi fatti per sottrarvisi? Analogamente, per me e per tanti come me, la folla dolente e colma di speranza che si ritrova a Lourdes o i familiari che assistono da venti anni la donna in stato vegetativo permanente e non vogliono saperne in alcun modo di interrompere le cure, non esprimono affatto una «antropologia diversa» e tanto meno disprezzabile. Appartengono alla mia stessa condizione umana (e, se volete, antropologica): e al «dolore del mondo». Se si volesse assumere un tale punto di vista, anche la questione dell’aborto - sul quale sempre Avvenire inventa un falso che non c’è a proposito di un documento firmato dagli ordini dei medici - potrebbe essere affrontata con intelligenza.
Nessuno, proprio nessuno, nega che l’interruzione volontaria della gravidanza sia un disvalore: e la sua regolamentazione per legge non traduce un disvalore in valore. La normativa intende ridurre le conseguenze individuali e sociali di una pratica clandestina, attraverso politiche pubbliche ispirate a quella concezione giuridica, sanitaria e culturale, ma che ha un suo fondamento anche teologico, che è la riduzione del danno. Ovvero secondo la dottrina cattolica, il perseguimento del «male minore»: è ciò che indusse, all’epoca, la Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede a prendere in considerazione la liceità morale di una legislazione per la depenalizzazione dell’aborto: ipotesi infine respinta, ma seriamente analizzata. Ecco, forse è quel documento di oltre trenta anni fa che sarebbe utile rileggere oggi: c’era più sapienza antropologica in quelle righe che in tanti articoli di queste ore.
* l’Unità, Pubblicato il: 25.02.08, Modificato il: 25.02.08 alle ore 8.33
Ansa» 2008-02-24 14:36
PAPA: SIATE BUONI CRISTIANI E PREGATE PER FAMIGLIA
CITTA’ DEL VATICANO - "Siate buoni cristiani ed onesti cittadini" e pregate la Madonna "perché protegga le famiglie": è il messaggio consegnato stamane da Papa Benedetto XVI ai parrocchiani di Santa Maria Liberatrice. Le sue parole, pronunciate al termine dell’omelia della messa domenicale, sono state accolte da un lungo applauso dei presenti, tra cui il candidato anti-abortista Giuliano Ferrara, seduto sulla panca di prima fila, proprio di fronte al pulpito del Pontefice. La parrocchia del popolare quartiere romano di Testaccio, fondata da un salesiano discepolo di San Giovanni Bosco, celebra quest’anno il proprio centenario ed anche per questa ragione, il Papa ha deciso oggi di celebrare messa qui. Accolto da una piccola folla di alcune decine di fedeli fuori dell’edificio sacro, Benedetto XVI ha stretto qualche mano ed è subito entrato in sagrestia per cambiarsi d’abito a dare inizio alla liturgia. Nell’omelia ha reso omaggio al lavoro missionario, religioso e educativo della comunità parrocchiale, ed ha ammonito a non lasciare che la propria spiritualità non sia contaminata "da elementi magici o meramente terreni".
SI PREGA PERCHE’ FAMIGLIE SIANO SANTUARI VITA
Nell’invocazione collettiva dei fedeli, durante la messa celebrata stamane da Papa Benedetto XVI nella parrocchia romana di Testaccio, si è pregato anche perché le famiglie "siano santuario della vita e dell’amore". Al rito, ha assistito in prima fila il candidato premier anti-abortista Giuliano Ferrara. Poche panche più in là anche il direttore dell’Osservatore Romano, Gian Maria Vian. (ANSA).
LA CAMPAGNA ELETTORALE COMINCIATA TRA EQUIVOCI E RETICENZE
Signori candidati, diteci l’antropologia di riferimento
La chiarezza fa perdere voti?
L’intenzionale rinuncia alla chiarezza fa perdere dignità
di FRANCESCO D’AGOSTINO (Avvenire, 24.02.2008)
Come elettore, mi interessa ben poco quale sia la percentuale dei ’cattolici’ che entreranno nelle liste elettorali per la competizione dell’ormai prossimo aprile: ben più mi interessa sapere quali siano i programmi e i progetti politici dei loro partiti di riferimento. Come convinto fautore di una laicità cristiana (che cioè dia a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio) e mi aspetto da ciascun partito un programma serenamente ’laico’ (non alterato né da pretese ideologiche, né da pulsioni confessionali), che individui con intelligenza quelle dimensioni del bene comune umano che appaiono oggi particolarmente bisognose di tutela e di promozione pubblica. Come cittadino, voglio onestamente collaborare con tutti gli altri cittadini, in un contesto che garantisca la libertà di tutti: su quei punti sui quali la collaborazione politica possa apparire non possibile, per insanabili divergenze in merito o all’individuazione dei beni da tutelare o alle migliori modalità per tutelarli, penso che sia doveroso rimettersi ai risultati della dialettica maggioranza/minoranza, che è in sé e per sé molto povera, ma è politicamente risolutiva. Se la mia parte resterà in minoranza, mi batterò perché in futuro possa essere più convincente presso gli elettori e possa conquistare la maggioranza dei suffragi; se si troverà in maggioranza, essa dovrà gestire il consenso ottenuto con equilibrio e equanimità. Tutto qui? Certo: la democrazia è semplice e ragionevole. Ad una condizione però: che gli elettori siano messi in condizione di conoscere senza reticenze e senza ambiguità i programmi dei partiti che chiedono il loro voto. Mai come in una campagna elettorale l’onestà intellettuale appare come un valore primario.
Eppure mai come in questa campagna, almeno fino ad ora, ombre, reticenze, ambiguità sembrano occupare il palcoscenico. Di programmi si sta parlando ben poco. Ma di candidature si è già parlato abbastanza e le candidature possono fornire indirettamente indicazioni programmatiche molto precise. Esistono candidati ’senza storia’: sono quelli che non hanno ancora un volto pubblico.
Ma esistono anche candidati che hanno un volto, che hanno una densa storia, anche parlamentare, alle loro spalle; candidati la cui visione del mondo è stata esplicitata innumerevoli volte, attraverso dichiarazioni, pratiche politiche, libri, conferenze. È impossibile ignorare ad esempio la visione libertaria (e non liberale, come viene spesso arbitrariamente presentata) di chi ha sempre militato nel Partito radicale.
È impossibile ignorare quale sia l’antropologia di Umberto Veronesi. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi. Da visioni antropologiche ’riduzionistiche’ (come quella radicale o come quella di Veronesi), derivano inevitabilmente ampie conseguenze sul piano delle scelte politiche, non solo per quel che concerne i temi che oggi vengono definiti ’eticamente sensibili’ (dalla procreazione assistita all’eutanasia), ma anche per temi di ancor più ampio rilievo sociale, primi tra tutti quelli del matrimonio, della famiglia e delle adozioni.
Non è l’identità confessionale che deve rilevare politicamente per l’elettore, ma l’antropologia di riferimento dei candidati e dei partiti. Non ci servono indicazioni tecniche o minuziose: ma l’esplicitazione di pochi e non equivoci principi di fondo. L’elettorato merita rispetto: perciò prima del voto dovrà essergli spiegata con la massima onestà che posizione assumerà ogni partito, quando verranno in discussione temi antropologicamente rilevanti. Anche i singoli candidati ovviamente meritano rispetto, purché però sappiano conquistarselo. Hanno un unico modo per farlo: dichiarare in modo limpido e chiaro i loro progetti politici e soprattutto come essi pensano di poterli promuovere nel contesto ’reale’ del partito in cui militano.
Alcuni dicono che la chiarezza fa perdere voti. Non so se sia vero; ma so che l’intenzionale rinuncia alla chiarezza fa perdere, e a volte definitivamente, la dignità.
Medici, documento choc «Ma non è quello votato»
Nel testo diffuso apertura totale a «194» e Ru486
Ma ci sono dubbi
DA MILANO ENRICO NEGROTTI (Avvenire, 24.02.2008)
Un fantomatico documento bioetico è stato annunciato ieri dall’ufficio stampa della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo), come se fosse la posizione ufficiale approvata dai 103 presidenti degli Ordini provinciali. In questo documento si parla di pillola del giorno dopo, aborto (e introduzione della RU486), diagnosi preimpianto nella fecondazione assistita e assistenza ai neonati estremamente prematuri. Peccato che il suddetto documento non sia quello approvato dal Consiglio nazionale della Fnomceo, che invece - in nove cartelle - svolge una riflessione sul ruolo dei medici nella società, evidenzia i problemi quotidiani che sono di ostacolo a una adeguata assistenza sanitaria ai cittadini e si rivolge ai politici (e segnatamente ai candidati premier) perché tengano in considerazione le valutazioni dei medici nei loro programmi dedicati alla sanità.
Dalla Fnomceo è stato diffuso un comunicato che segnala il favore dei medici verso «l’impianto tecnicoscientifico, giuridico e morale» della legge 194, affermando la «necessità» di introdurre anche la pillola Ru486. Per quanto riguarda la pillola del giorno dopo, si lamentano «surrettizie limitazioni che ostacolino la fruizione del diritto della donna», riconoscendo la clausola di coscienza dei medici (prevista dall’articolo 22 del Codice deontologico), ma ricordando l’obbligo del medico di «fornire al cittadino ogni utile informazione e chiarimento». Sulla procreazione medicalmente assistita, il comunicato della Fnomceo insiste su recenti sentenze della magistratura e ricorda di essersi già espressa negativamente sulla limitazione della diagnosi genetica preimpianto e sull’obbligo di impianto di tutti gli embrioni prodotti. Infine sull’assistenza ai neonati prematuri si riconosce il dovere del medico «quando sussistano possibilità di vita autonoma del feto» di adottare «tutte le misure idonee a salvaguardarne la vita, ispirando il proprio comportamento caso per caso, evitando ogni forma di acca- nimento terapeutico» e informando e coinvolgendo nelle scelte i genitori.
Peccato che tale «documento», se presentato come posizione ufficiale della Fnomceo, sia «sostanzialmente un falso». Così lo definisce Valerio Brucoli, componente del comitato sulla deontologia della Fnomceo: «Nel Consiglio nazionale sono state lette 14 relazioni dei gruppi di lavoro, ma non sono state né votate né approvate. In particolare quella relativa ai temi etici (e che ora viene presentata come la posizione della Fnomceo) è solo una delle posizioni espresse al comitato etico, quindi un’opinione personale. Il documento approvato dal Consiglio nazionale della Fnomceo, invece, parla d’altro».
Infatti riguarda le sfide tecnico-professionali, etiche e civili sempre più complesse che vengono proposte alla società e ai medici dai processi di innovazione scientifica e tecnologica della medicina. Pertanto il Consiglio nazionale della Fnomceo propone alcuni consigli per una «buona politica in sanità». Si sottolinea la necessità di «ridefinire i rapporti tra le prerogative della politica e quelle della gestione», irrobustendo il ruolo nello Stato in una sanità federale e rivedendo ruolo e attribuzioni del direttore generale. Si richiede un intervento legislativo sulla prevenzione e gestione del rischio professionale, per ridurre il ricorso alla medicina difensiva, e altri temi professionali. Il Consiglio nazionale della Fnomceo promette l’organizzazione a Roma, in primavera, dell’organizzazione di una conferenza nazionale sulla professione medica aperta a tutti gli interlocutori istituzionali e sociali.
SILVIA BALLESTRA
Da oggi è in libreria Piove sul nostro amore (Feltrinelli), un viaggio nel mondo inospitale dell’aborto, in un paese, l’Italia, dove sta accadendo qualcosa di inquietante...
Quell’Italia che rifiuta la libertà delle donne
di Chiara Valentini (l’Unità, 18.09.2008)
Un paese che ha una passione neanche tanto segreta per tormentare le donne. È questa alla fine dei conti l’immagine che vien fuori dal viaggio che la scrittrice Silvia Ballestra ha voluto compiere su un terreno dove ben poche della generazione under 40 si era finora avventurata, il terreno malfido e pieno di contraddizioni dell’aborto. Capisco bene che non deve essere semplice, per chi come Ballestra aveva nove anni quando la legge 194 era stata votata e 11 quando un referendum che voleva cancellarla veniva respinto massicciamente dal 68 per cento degli italiani, riprendere in mano una vecchia storia derubricata a lungo dal senso comune come fatto privato. Ma chi era cresciuta in quel «dopo» anche troppo rassicurante (quante volte, ancora fino all’altro ieri, abbiamo sentito ripetere come un mantra «l’aborto non si tocca...») ha anche un vantaggio, la capacità di indignarsi che nasce dalla scoperta di qualcosa che non si credeva possibile. E infatti è dall’inimmaginabile 8 marzo 2008 di Giuliano Ferrara, e dalla sua scelta di lanciare proprio quel giorno la sua creatura elettorale a sostegno di una moratoria dell’aborto che parte il libro di Silvia Ballestra (Piove sul nostro amore - Una storia di donne, medici, aborti, predicatori e apprendisti stregoni, Feltrinelli, Serie Bianca, pp. 176, 14 euro).
I segni che in Italia sta succedendo qualcosa di inquietante la Ballestra se li ritrova dove meno se l’aspetta. È in un ambulatorio dell’Aied che scopre l’esistenza di un turismo di specie nuova, tante italiane che se ne vanno in Francia, in Olanda o in Svizzera non per tentare in ambienti migliori quella pratica a rischio che è da noi la fecondazione assistita, ma per interrompere una gravidanza. In Canton Ticino ci sarebbe un calo notevole degli aborti se non ci fossimo noi, le straniere in arrivo da un paese cosiddetto evoluto, a far alzare la percentuale del 25 per cento. Perché? Le ragioni sono molte, e attengono a quella guerra neanche tanto sotterranea alla libertà riproduttiva delle donne di cui la moratoria peraltro fallita di Ferrara è stata solo un sintomo. Una trovata così apparentemente paradossale d’altra parte non sarebbe stata pensabile senza quel retroterra di movimenti per la vita e di centri di aiuto a non interrompere la gravidanza o senza le schiere di militanti pro life appostati all’ingresso degli ospedali che gridano «stai per uccidere un bambino» e sventolano cartelli del genere «Mamma rivoglio bene, non farmi del male».
Ma nel mondo pro life non tutto è così scontato. Meno prevedibile per esempio è il ricorso alla psicoanalisi usata come barriera contro il relativismo culturale che viene fatto nelle scuole di formazione per gli attivisti della vita. In parte inatteso anche lo stile di comunicazione più amichevole di una parte dei centri di aiuto, dove cartelli e volantini rinunciano al terrorismo iconografico per mostrare pance rotonde e mazzi di margherite. Più che donne assassine, sembrano suggerire queste immagini, donne da aiutare e sostenere. Ma poi, approfondendo meglio, Ballestra scopre una specie di doppia morale. «Non sei assassina, ma commetti un omicidio» è il messaggio sotterraneo. Assistendo ad una lezione del professor Mario Palmaro, docente alla Pontificia università Regina Apostolorum, l’astro nascente della bioetica più integrista, comincia a capire la ratio di questa offensiva che specie dopo il fallito referendum sulla fecondazione assistita sta avvolgendo la 194. L’obiettivo, almeno per il momento, non è tanto di mettere mano alla legge, ma di trasformare in senso sempre più negativo la percezione che la società ha dell’aborto. «Far vedere che esiste una 194 percepita e una 194 reale, che ha trasformato un delitto in un diritto», predica il professor Palmaro. Ed ecco la sua ricetta, obiezione di coscienza ad oltranza, «da parte di ciascuno di noi». Non solo insomma della moltitudine crescente dei ginecologi, che in varie regioni ha quasi paralizzato il servizio. No, qualunque strumento che in qualche modo si opponga al dispiegarsi della vita va mandato in tilt. E così i medici del pronto soccorso rifiutino di prescrivere la pillola del giorno dopo e i farmacisti di venderla, per non parlare di quella bestia nera che è la Ru486, la killer pill nel linguaggio antiaborista. Questo farmaco che consente di evitare i ferri e l’anestesia, in uso da tempo in tutto l’Occidente, ha infatti la grave colpa di «banalizzare l’aborto» cancellandone l’aspetto cruento, di renderlo più leggero e accettabile. E quindi in Italia, nonostante la sperimentazione di Silvio Viale a Torino e qualche tentativo in Emilia e Toscana, le donne devono continuare ad «abortire con dolore».
In questo territorio sempre più inospitale che è oggi l’interruzione di gravidanza si aggiranno perplesse ragazze e giovani donne. Sono in numero molto ridotto rispetto al passato, visto che la 194 ha dimezzato le cifre. E sono più isolate. Scrive Ballestra che oggi la grande maggioranza delle giovani si considera immune da qualcosa di cui si parla così poco, non crede che toccherà proprio a lei. Quando succede il problema è grande, come la vergogna che le accompagna in un percorso accidentato di visite e certificati spesso difficili da ottenere, mentre le settimane passano e la paura di non fare in tempo cresce. È forse la parte più bella del libro il racconto di questi aborti legali a cui si arriva avendo sentito parlare in modo piuttosto vago di libera scelta e di autodeterminazione femminile. Come la ragazzina appena diciottenne che piomba in ospedale senza neanche una camicia da notte visto che nessuno le ha detto di portarla, e si ritrova annichilita davanti ai medici «con certi sandaletti azzurri ai piedi e la gonna tirata su, lo slip appallottolato in una mano e gli occhi fissi al soffitto» e poi si trascina per anni un lutto difficilmente gestibile. O quell’altra che seduta in attesa su una panchetta davanti alla «stanza 194» dell’ospedale milanese di Niguarda «sente uno strano rumore, come di aspirapolvere... un rumore assordante, lancinante, che ferisce dentro e fuori».
C’è da dire che in trent’anni è cambiata la percezione stessa della gravidanza, anche per quelle ecografie che ti fanno vedere il feto, quegli esami che ti fanno sapere molto presto se sarà maschio o femmina. La rinuncia può essere più dura, più lacerante. Ma di questi mutamenti e sentimenti c’è poco spazio per parlare. In un paese come l’Italia è pericoloso farlo, puoi sempre trovare un ateo devoto o un militante per la vita che sta lì pronto a ritorcerti contro il tuo dolore, a trasformarlo in un’arma contundente. E così quel poco di riflessione che si è sviluppata negli ultimi anni è stata più uno scontro all’arma bianca che un’analisi meditata. Con qualche femminista come Eugenia Roccella che è passata dall’altra parte e poche altre che invece hanno cercato di aprire nuove porte. Con una di loro, la storica Anna Bravo, Ballestra si sente in sintonia, per quel suo coraggio a sostenere che nell’aborto ci sono due vittime, la donna e anche il feto. È una riflessione che scotta, in presenza di quei «diritti del concepito», perno della legge sulla fecondazione assistita, che ha contrapposto il nascituro alla madre, con quel che ne è conseguito. Allo stesso tempo sono evidenti i prezzi che stiamo pagando proprio per aver lasciato alla Chiesa il monopolio della riflessione etica sui temi della vita. Anche questo viaggio su territori poco frequentati ha il merito di ricordarcelo.
Un libro inchiesta sul mondo dei consultori, dei reparti maternità, dei medici. E il lacerante dibattito sulla vita
Il mio viaggio nell’Italia della 194
Silvia Ballestra: «È in corso una campagna che trascura la realtà»
di Ranieri Polese (Corriere della Sera, 18.09.2008)
Il titolo, Piove sul nostro amore (Feltrinelli, pp. 174, e 14), ripreso com’è da Modugno - Piove: ma piove piove sul nostro amor - farebbe pensare a un romanzo sentimentale riveduto in chiave post-avanguardia, visto che l’autrice è Silvia Ballestra ( Il compleanno dell’Iguana, La guerra degli Anto’). Invece non è un romanzo. E se di un sentimento si deve parlare, è l’indignazione con cui la scrittrice compie un viaggio nell’Italia del 2008 per vedere se c’è davvero, come dicono i cattolici e i pro life, «un’emergenza legata ai temi della vita, se davvero italiane e italiani si sentono minacciati dal dilagare dell’aborto, dall’abuso della pillola del giorno dopo, dal rischio dell’eugenetica». A 30 anni dalla 194 (promulgata il 22 maggio 1978, confermata tre anni dopo dalla sconfitta del referendum abrogativo proposto dal Movimento per la vita: il 67,9% di no), l’interruzione volontaria di gravidanza funziona: il numero di aborti è dimezzato.
Perché dunque l’indignazione? «Perché - dice Ballestra - è in atto una campagna feroce contro l’aborto, che si prende grandissimi spazi su giornali e tv, e che vede un fronte d’attacco composito che va dal Papa - dai Papi, direi, anche Giovanni Paolo II non ci andava leggero - ai medici obiettori sempre più numerosi, dai movimenti pro life diffusi ovunque fino a Giuliano Ferrara, che ha partecipato alle ultime elezioni politiche con una lista a sostegno della sua proposta di moratoria sull’aborto».
Sì, ma la lista Ferrara ha preso solo lo 0,3 per cento dei voti. «È vero. Però, intanto, si è creato un clima di demonizzazione dell’aborto. Si sono usati termini come "assassinio" o "eugenetica", equiparando l’aborto terapeutico previsto dalla legge alle pratiche naziste. Quando, in febbraio, a Napoli la polizia entrò nel reparto di Ostetricia e ginecologia dove una donna aveva fatto un aborto terapeutico perché il figlio concepito era affetto da gravi malformazioni... ».
La polizia era stata chiamata da un portantino che denunciava un infanticidio: falso, ma il giudice autorizzò l’invio di una donna poliziotto. Il giornale di Ferrara denunciò quel caso come l’omicidio di un bambino malato, un caso di eugenetica nazista. «È stato uno dei picchi raggiunti da questa ondata anti-abortista. Tutto era cominciato qualche anno prima, con la brutta legge 40 (19 febbraio 2004) sulla procreazione assistita: il riconoscimento dei diritti per l’embrione è un primo passo per togliere diritti alle donne. È chiaro che se quello è un essere vivente con i suoi diritti, chi abortisce è un’assassina. È assurdo, perché la donna e l’embrione non sono esseri indipendenti».
Da allora, ricorda Ballestra nel libro, le donne sono tornate in piazza: nel 2006 con la manifestazione Usciamo dal silenzio, quest’anno per protestare contro i fatti di Napoli. «Le donne a quel diritto conquistato non vogliono più rinunciare. Ma non si può non vedere - dice Ballestra - come gli antiabortisti ormai, giorno dopo giorno, si fanno più insistenti».
Proliferano siti pro life che mostrano feti maciullati; nelle strutture pubbliche ci sono sempre più medici obiettori; farsi prescrivere la pillola del giorno dopo («un anticoncezionale, si badi bene - ribadisce l’autrice - che in altri Paesi è in vendita tra i prodotti da banco») è un’impresa; e per la Ru486 («un farmaco abortivo») è cominciato il turismo sanitario. Indignata contro questo clima («sembra che tutti abbiano dimenticato la differenza sostanziale: i laici non vogliono imporre niente a nessuno, aborti o eutanasia; sono i cattolici che vogliono impedire agli altri di esercitare la propria libertà di scelta»), Ballestra va in giro nell’Italia 2008 raccogliendo storie di donne, di medici, di ospedali, di consultori, di antiabortisti. L’inizio è a Roma, l’8 marzo, con il ricevimento delle donne in Quirinale e il comizio della lista Ferrara a piazza Farnese; prosegue con la descrizione di due riunioni di Cav (Centri d’aiuto alla vita, ormai fortemente presenti anche negli ospedali), una a Magenta e una a Corbetta. A Corbetta parla il professor Mario Palmaro (docente di bioetica della Pontificia Università Regina Apostolorum) che dice che la legge 194 «trasforma un delitto in un diritto» e che contando 4 milioni e 800 mila aborti compiuti dall’entrata in vigore della legge, afferma che i 4 milioni e 800 mila donne che li hanno fatti «sono una bomba atomica antropologica spolverata sulla nostra società».
Ci sono, poi, tre lunghe interviste. Una al professor Francesco Dambrosio, il medico-simbolo della Mangiagalli di Milano oggi in pensione, denunciato nell’88 per gli aborti terapeutici con la sua équipe, assolto nel 2000. Un’altra è con il dottor Silvio Viale di Torino, che usa la Ru486 ed è indagato per «violazione della legge 194». C’è infine un lungo colloquio con la storica Anna Bravo, che in un’intervista alla Repubblica disse: «Tendevamo a sorvolare sul fatto che le vittime erano due, la donna e anche il feto». Scatenando le reazioni di tante che, preoccupate dalla crescente ondata cattolica, le rimproveravano di fare il gioco del nemico. Invece, sostiene la storica, proprio l’aver lasciato in ombra la questione etica ha concesso tanto terreno agli antiabortisti, che oggi si ergono come depositari della morale. Certo, di aborto le donne non parlano molto. Pochi film e libri ne trattano, anche se recentemente due pellicole - l’americano Juno, il rumeno Quattro mesi, tre settimane, un giorno - hanno fatto discutere. Rimane, l’aborto, l’oggetto di confidenze tra amiche, un pegno di complicità. «Nessuna donna - scrive Ballestra - ha mai abortito con leggerezza».
Pesa, comunque, il silenzio. Ora soprattutto che i pro life alzano la voce. E magari, dice Ballestra, andrebbe ricordato che i pro choice sostengono la libertà per la donna di scegliere, e la donna può pure scegliere di avere il figlio. Senza forzature altrui, però. Del resto - ed è il tema del bellissimo ultimo capitolo - quelli che gridano tanto di essere «per la vita», che ne sanno davvero della vita? È il messaggio con cui Betty, infermiera in pediatria all’Ospedale di Padova, invita a visitare quelle corsie «dove si trovano bimbi costretti a una vita di sofferenze ». In molti casi, dice, non c’è stata una diagnosi prenatale, o è stata fatta male. Ci sono i prematuri che vengono rianimati una, due, dieci volte: «A un certo punto, quando i genitori non ce la fanno più, quando il bambino non ce la fa più, lo lasci andare». A Padova, nella Basilica del Santo, dietro la tomba di Sant’Antonio ci sono le foto dei bambini che ce l’hanno fatta; ma anche i biglietti delle mamme che i bambini li hanno persi, ma ringraziano Dio che ha posto fine alle sofferenze di quei poverini.