di Francesco Erbani *
ROMA - Ricostruire o costruire. Restaurare o cercare aree per nuovi insediamenti. Il dramma de L’Aquila e dei paesi abruzzesi interroga architetti e urbanisti. È come tornare alle radici del mestiere. Nella disgrazia, però, molti segnalano che l’Italia non parte da zero quanto a riflessioni e competenze, per esempio, sul risanamento di centri storici. Anzi, questo è uno dei settori in cui c’è sentore d’eccellenza, almeno dal punto di vista culturale.
Competenze alimentate dalle esperienze, intanto. Quelle generalmente considerate positive - Friuli (1976) e Marche e Umbria (1997). Ma anche quelle negative - Sicilia (1968) e Campania e Basilicata (1980) - quando terribili terremoti hanno prodotto soluzioni devastanti al punto da essere bollate come "un secondo terremoto". A Napoli, però (170 mila sfollati, 7 mila edifici inagibili, 170 strade chiuse), si tentò di combinare i due sistemi - risanamento e nuove edificazioni. Venne avviato il restauro del centro storico cittadino e il concetto di centro storico fu esteso ai quartieri popolari di San Giovanni a Teduccio, Barra e San Pietro a Patierno, dove vennero ristrutturati casali e altri edifici. Poi si costruirono tredicimila alloggi in aree che il Comune fece espropriare. Artefice dell’esperimento fu Vezio De Lucia: «Ereditavamo una riflessione culturale che risaliva agli anni Sessanta, alla cosiddetta Carta di Gubbio, che considerava i centri storici non solo un concentrato di monumenti, ma un tessuto urbano da tutelare nel suo complesso».
Il centro storico venne considerato il nucleo dal quale si era sviluppata in genere la città italiana. Furono messe a punto tecniche di recupero straordinariamente avanzate. La principale delle quali è l’analisi tipologica: Saverio Muratori e poi Gianfranco Caniggia e Paolo Maretto individuarono un numero limitato di tecniche costruttive standard che potevano essere riprodotte sistematicamente (larghezza delle travi, distanza fra i muri portanti, ecc.). Il primo esperimento di restauro di una parte di centro storico risale al 1972. Fu Pier Luigi Cervellati ad attuarlo a Bologna. «Quelle competenze sono il grande vanto che l’urbanistica italiana può esibire in Europa e nel mondo», insiste De Lucia, «e tornano utili in situazioni drammatiche come quella abruzzese». Tecniche analoghe vennero praticate a Gemona, in Friuli, e a Sant’Angelo de’ Lombardi, in Irpinia. E a Napoli. Laddove invece i centri storici sono stati o parzialmente o del tutto abbandonati per edificare nuovi insediamenti, i risultati sono sconvolgenti, come in quei paesi campani (Laviano, per esempio), che sfoggiano abitati informi, slabbrati, senza un centro.
Per Franco Purini, architetto e professore a Roma, «il recupero di un centro antico distrutto va attuato con metodo filologico, ma nuovi quartieri sono indispensabili». Nuovi quartieri, non nuove città. «È proprio l’antico che ce lo chiede», spiega, «perché il patrimonio edilizio del passato può non andare bene per le esigenze di sostenibilità e di sicurezza. Nuovi quartieri che però creino spazi pubblici e agevolino il formarsi di comunità». Lo spettro, invece, di insediamenti senza qualità è evocato da Guido Martinotti, sociologo urbano: «Riferirsi alle new towns è del tutto infelice. L’esperienza inglese è completamente diversa, ma ci sono voluti decenni prima che molte di esse diventassero vivibili. Centri storici come quelli abruzzesi hanno valore non solo per gli aspetti fisici, ma perché offrono un invidiabile senso comunitario».
«Una soluzione buona in assoluto non esiste», interviene Italo Insolera, fra i decani dell’urbanistica italiana. «Le esperienze migliori sono avvenute usando il lanternino». Tendenzialmente la strada maestra indicata da Insolera è quella di ricostruire un centro storico "com’era, dov’era". «Le città non si possono buttare via e rifare, sono il punto in cui convergono tante funzioni - la residenza, il lavoro, gli uffici - che non si inventano. Più che alle new towns inglesi io guarderei ai quartieri Ina-Casa, realizzati in Italia dal 1949 al 1963».
Recupero dell’antico o costruzione del nuovo? «È una falsa dialettica», sintetizza l’architetto Paolo Desideri. «Spero che nessuno immagini una costruzione ex novo come alternativa al recupero del centro storico. Il disastro di un terremoto è l’occasione inesorabile per sperimentare il moderno nel centro storico. Altro che new towns». A possibili trasformazioni pensa anche l’urbanista Paolo Berdini. Ma non d’architettura: «Le distruzioni di un terremoto possono consentire di eliminare dai centri storici le alterazioni compiute negli ultimi decenni, che comunque sono le prime ad essere crollate a L’Aquila. E anche di localizzare altrove alcune funzioni che lo soffocano, i tribunali, le prefetture, le università».
* Eddyburg: la Repubblica,09.04.2009
Sul tema, nel sito, si cfr.:
La manifestazione fuori da Montecitorio
I comitati chiedono più trasparenza nelle scelte del governo
Roma, la protesta dei terremotati
In 1000 alla Camera gridano: "Buffoni"
Tanti gli slogan dei Comitati: "Forti e gentili sì, fessi no!"
I sindaci: "Vogliamo fatti, non promesse"
E il Tg1 oscura la protesta *
ROMA - E’ arrivata a Montecitorio per il sit-in dimostrativo, la marcia degli sfollati delle tendopoli dell’Aquila, che protestano proprio nel giorno in cui la Camera deve approvare il decreto legge sull Abruzzo.
Slogan e proteste. Senza bandiere di partito e scandendo vari slogan tra cui "forti e gentili sì, fessi no!", "100% ricostruzione, partecipazione e trasparenza" e "Buffoni, buffoni", 1000 aquiliani dei Comitati dei cittadini sono arrivati a Roma con 20 pullman partiti questa mattina alle 9 e 30 da Collemaggio. Presente anche un grande striscione con la scritta: "Case, scuole, Università. Subito. Contro la speculazione ricostruzione dal basso’’. Ad imitazione delle tendopoli, alcuni ragazzi montano tende da campeggio sotto l’obelisco che domina la piazza. Sono scesi in piazza anche gli studenti dell’Onda che chiedono che a occuparsi della ricostruzione non sia Impregilo poiché fu proprio "la stessa azienda a costruire l’ospedale che poi crollarono".
Le richieste. Gli organizzatori hanno chiesto garanzie sulla riparazione dei danni causati dal terremoto, la riapertura del centro storico, risorse adeguate per risarcire gli imprenditori che hanno avuto le imprese distrutte o danneggiate e un maggiore coinvolgimento della cittadinanza nelle scelte della ricostruzione.
Il Pd presente. Alla manifestazione erano presenti alcuni parlamentari del Pd e dei radicali, Legambiente,il sindaco di L’Aquila, Massimo Cialente, il presidente della Provincia Stefania Pezzopane e molti dei sindaci delle città colpite dal terremoto, che hanno chiesto che le promesse vengano messe "nero su bianco". Mentre invece il presidente della regione, Gianni Chiodi, ha invitato gli aquilani "ad avere piena fiducia nell’operato del governo, che sta cercando di venire incontro a tutte le esigenze e alle necessità legate alla fase della ricostruzione".
Blackout del Tg1. Ma evidentemente i motivi della protesta non erano abbastanza importanti per il Tg1 che ha mostrato un servizio sulla ricostruzione della casa dello studente per opera della regione Lombardia del governatore Roberto Formigoni. Per il Pd ha protestato Lanfranco Tenaglia che ha detto: "Nel giorno in cui si sta svolgendo la marcia degli sfollati delle tendopoli dell’Aquila, conclusa con un sit-in a Montecitorio, il Tg1 sceglie di parlare del terremoto in Abruzzo con un servizio sulla ricostruzione della Casa dello studente, certamente una buona notizia ma riferita con stile celebrativo, e con tanto di intervista, al presidente della regione Lombardia Formigoni. Gli avvenimenti in corso a Roma sono stati invece del tutto ignorati". Tenaglia ha poi aggiunto: ""Ci avevano raccontato che con un giornalista a tutto tondo come direttore il Tg1 aveva scelto la strada dell’informazione pura, scomoda e senza compromessi. Tutto ciò, invece, non sta avvenendo e avviene anzi il contrario".
* la Repubblica, 16 giugno 2009
New Roma: sette nani per sette colli
di Michele Serra *
Perché limitarsi a costruire una new town al posto de L’Aquila distrutta dal terremoto, quando si potrebbe ricostruire una intera New Italy al posto di quella vecchia nella quale viviamo? Il governo ci sta riflettendo. Il progetto più ambizioso prevede un nuovo Stivale di gomma gonfiabile da stendere accanto all’attuale Penisola, coprendo l’Adriatico e parte dei Balcani. La sagoma sarebbe uguale a quella dell’Italia attuale, ma ampliata del 20 per cento come prevede il piano casa. L’ampliamento sarebbe ottenuto grazie al prolungamento del Gargano fino a Belgrado. Nel caso di una insanabile opposizione da parte delle nazioni che verrebbero parzialmente ricoperte dalla New Italy, si potrebbe ripiegare sul piano B: progetti locali. Vediamo quali.
New Milano Dovrebbe sorgere nella immensa e desolata landa che separa l’attuale Milano da Malpensa, una zona nella quale gli unici segni di vita sono le urla dei viandanti che si chiedono l’un l’altro "ma dove cazzo è l’aeroporto?". Il progetto è stato affidato alle più grandi star dell’architettura mondiale: dal giapponese Uramaki, famoso per avvolgere i grattacieli con enormi rotoli di alghe, al texano John Grunt (inventore della tavola da pranzo col rinforzo di ghisa per evitare che gli speroni la rovinino), che ha dichiarato di amare molto Milano e di considerarla la più affascinante tra le città spagnole. Ma l’appalto è stato vinto dal geometra Perego, che ha in mente una megalopoli di grattacieli a schiera. La new Madunina, sulla guglia più alta del new Duomo, avrà le fattezze della cantante Magalì Brembasca, che nessuno ha mai sentito nominare, ma è stata imposta dalla Lega in cambio della rinuncia alla poltrona di direttore del ’Corriere’.
New Roma Sorgerà sull’attuale area urbana, interamente spianata con l’eccezione del Vaticano che rimarrà identico e con lo stesso papa sottoposto a lifting su consiglio di Berlusconi. Verranno costruiti i new sette colli, che grazie a una sponsorizzazione della Disney avranno il nome dei sette nani. Sul Gongolo sorgerà il nuovo Palazzo Chigi. Il Colosseo, ricostruito in polistirolo antisismico, verrà riportato alla sua forma originale, che secondo Berlusconi era identica alla Rinascente con la sola eccezione della scale mobili. La plebe potrà continuare a dedicarsi ai suoi pittoreschi atteggiamenti, ma su consiglio di Berlusconi non dovrà più accalcarsi nei vicoli gridando ’ah Nandooo!’, ma accalcarsi nei vicoli gridando ’ah Piernandooo!’
New Napoli Dovrebbe sorgere dove capita. I bassi dei Quartieri spagnoli saranno replicati fedelmente, ma su suggerimento dello stesso Berlusconi avranno la moquette. Il new Vesuvio sarà collegato a quello vecchio con un modernissimo sistema di sensori, dando luogo alla prima eruzione stereofonica della storia, che verrà ripresa in diretta e trasmessa in tutto il mondo in sensorround per registrare fedelmente le grida di terrore e i gemiti degli agonizzanti. Il governatore sarà Bassolino almeno fino al 2150, grazie a un accordo politico tra il Pd e un’azienda di formalina. Berlusconi ha suggerito di intitolare il nuovo teatro a Gaetano De Filippo, rimanendo molto contrariato alla notizia che si chiamava Eduardo. Per rimediare alla gaffe, ha chiesto che all’inaugurazione sia presente Pulcinella, purché non passi a Sky.
New Sardegna Sarà la prima isola antisismica del mondo. L’idea è di abolire la causa scatenante dei terremoti, e cioè il terreno, erigendo in mezzo al Mediterraneo la prima isola di sole barche. Migliaia di panfili legati l’uno all’altro con gomene e ponticelli sospesi, dando luogo alla più eccitante movida del pianeta, con veline e calciatori che si rincorrono cercando di evitare le fucilate di Vittorio Emanuele di Savoia. Tutte le barche saranno disegnate da Briatore e avranno due poppe.
* Fonte: L’Espresso online, 17 aprile 2009
Le crisi ed i terremoti, se da un lato, fanno male, dall’altro, aiutano le collettività a ripensare alle regole con le quali operano per vivere meglio e progredire.
Uno degli aspetti su cui ci si dovrebbe soffermare é il motivo per cui lesioni e crolli si sono verificati nelle stesse zone in cui altri edifici sono rimasti integri.
Le ricognizioni effettuate sui luoghi, dimostrano che molti edifici sono stati costruiti non soltanto senza rispettare le norme antisismiche, ma addirittura, senza rispettare le più elementari regole di costruzione, utilizzando materiali scadenti, edificando su terreni inadatti, risparmiando sull’ armatura, sul cemento, ecc, mettendo a repentaglio non solo la collaudabilità dell’opera, ma anche la vita di molte persone.
Ciò nonostante, talune opere sono state realizzate con la mancanza assoluta di controlli e successivamente collaudate, presumo, da tecnici compiacenti, i quali hanno falsamente dichiarato, che le opere sono state realizzate a perfetta regola d’arte, nel rispetto dei progetti approvati ed alle norme di legge (anche antisismiche).
Per quanto sopra, ci ritroviamo, edifici e manufatti costruiti da pochi anni, (che dovrebbero in teoria resistere a terremoti di forte intensità, proprio perché costruiti con tecniche antisismiche), che si afflosciano al suolo come se fossero di cartone, causando numerose vittime.
Illustri professori universitari, con cui concordo perfettamente, sostengono che è inutile emanare nuove norme antisismiche:
Ad ogni nuova scossa c’é chi chiede una nuova norma.
I livelli di conoscenza ingegneristica sul sisma sono molto elevati, di norme ce ne sono anche troppe, piuttosto occorre procedere sulla strada della verifica della qualità costruttiva.
E’ necessario procedere ad un sistema di controlli sulla qualità, sui conglomerati utilizzati, sulla messa in opera corretta, sulle armature e quindi sui collaudi: un insieme di controlli il cui fine sia appunto la garanzia delle prestazioni indicate nel progetto.
Nella maggior parte dei casi, a mio avviso, si sono evidenziate proprio queste carenze.
Dobbiamo chiederci, come mai nessuno dei soggetti coinvolti nella realizzazione delle opere crollate: Progettisti, Organismi preposti all’approvazione ed ai controlli, Imprese esecutrici, si è accorto dell’errore? Eppure tutti hanno competenze tecniche tali, da valutare se vi erano deficienze.
Sorge legittimo il sospetto dell’esistenza di CRITICITÀ ALL’INTERO SISTEMA ORGANIZZATIVO, e DEI CONTROLLI .
Il primo passo sarà dare una casa a chi l’ ha persa, in una parola, ricostruire. Ma come?
È a mio avviso, un grave errore ricostruire la città dell’ Aquila ed attuare il nuovo piano casa con le vigenti norme e regole in materia di costruzioni.
L’esperienza ci insegna che per tutte le opere realizzate con tali procedure, sono state necessarie in corso d’opera, numerose varianti e modifiche, che hanno fatto slittare notevolmente i tempi di realizzazione, determinando una perdita di controllo dei costi.
I progetti così concepiti e redatti, nella quasi totalità, non assicurano la certezza dei costi dell’opera e dei tempi di realizzazione.
Gli stessi pur essendo in teoria progetti esecutivi, in realtà non lo sono quasi mai, (e potremmo anche togliere il “quasi”) proprio perché il sistema dei controlli é frazionato in una miriade di autorizzazioni e competenze che finisce per deresponsabilizzare il sistema.
L’evoluzione tecnica e l’utilizzo nell’edilizia di materiali e componenti tecnicamente sempre più evoluti, orientati al contenimento energetico e all’utilizzo di energie alternative e bioarchitettura, comportano sempre più che i progetti debbano necessariamente essere redatti in maniera dettagliata, per ogni categoria di lavori e per ogni singolo elemento e/o componente costruttivo, anche a tutela della professionalità del progettista/i.
È necessario, pertanto, apportare modifiche alle norme, sistema di approvazione e sistema dei controlli dell’intero processo che regolamenta le costruzioni, non per complicarlo, ma per semplificarlo, in modo da eliminare nel contempo tutta una serie di incongruenze e complicazioni tipiche del settore e per annullare e/o ridurre il ricorso all’autorità giudiziaria per controversie che irrimediabilmente si determinano.
Oggi, il sistema dei controlli é frazionato e consiste in una miriade di autorizzazioni e competenze che finisce per deresponsabilizzare tutti i suoi attori.
Non esiste normativa che responsabilizzi gli (Organismi di Controllo) che rilasciano i pareri di conformità del progetto, i quali, eseguono un controllo (teorico) di conformità dello stesso alle norme di loro competenza e rilasciano o negano l’autorizzazione: Ufficio Tecnico Comunale, Genio Civile, Ente Parco, Sovrintendenza alle Belle Arti, Corpo Forestale, AUSL Ufficio Sanitario, Vigili del Fuoco - Prevenzione incendi , Valutazione Impatto Ambientale ai sensi della Direttiva 337/85/CEE (e successive modifiche e integrazioni), Commissione Edilizia Comunale e/o Conferenza di Servizi - Sportello Unico Ecc.
I suddetti Organismi una volta espresso il loro parere positivo, certificano la cantierabilità ed esecutività del progetto, che viene ritenuto “Definitivo, completo di tutte le autorizzazioni necessarie alla cantierabilità dello stesso”, e viene affidato all’impresa esecutrice.
I tempi di rilascio delle suddette autorizzazioni da parte dei sopra indicati organismi, sono molto lunghi e rendono incerte le scelte progettuali e la stessa approvazione del progetto, in quanto, sono legate a volte alla discrezionalità del funzionario, più che a norme certe e di facile interpretazione, che stabiliscano con assoluta chiarezza, vincoli in conformità alle norme di salvaguardia e tutela del territorio, del patrimonio artistico e delle leggi dello Stato.
Nessuno dei superiori organi, che ha espresso il proprio parere (e che ha facoltà di imporre modifiche) al progettista, ha responsabilità durante la realizzazione dell’opera.
Inoltre, non esistono norme di riscontro delle ipotesi progettuali, considerato che, il progetto viene ritenuto esecutivo perché munito di tutti i pareri di conformità.
Se in corso d’opera viene riscontrata una difformità all’ipotesi progettuale, diventa difficile provare e/o dimostrare l’errore progettuale.
Lo stesso per il nostro ordinamento deve essere accertato dal Giudice nel corso di un giudizio, e la giustizia, non è in grado di dare risposte in tempi brevi per la lunghezza dei processi.
Le certificazioni alle imprese ed ai progettisti se pur validi per la fase di pre qualificazione non assicurano che l’opera venga realizzata a perfetta regola d’arte, anche per errori che possono verificarsi nel corso dei lavori o in fase di progettazione.
L’ attribuzione di tali errori (e della responsabilità) è oggi, con le attuali norme , difficilissima, anche per la lungaggine e l’intasamento della giustizia penale/ civile e la maggior parte rimangono impuniti, comportando lungaggini, disagi ed aggravio di costi, a discapito degli utenti finali, cioè dei cittadini.
Eppure i cittadini hanno il diritto di avere una casa (frutto a volte dei sacrifici di una vita) e/o una opera pubblica sicura, che non pregiudichi la qualità della vita, il patrimonio o l’incolumità.
Che fare allora?
Bisogna preliminarmente riaffermare il diritto, e la libertà del cittadino che effettua un investimento, di avere un progetto esecutivo nei minimi particolari, di conoscere con certezza, preventivamente, il costo dell’opera ed il tempo necessario per realizzarla, e che la stessa venga eseguita nel rispetto dell’incolumità del personale addetto alla costruzione e delle persone che ne fruiranno.
Per fare ciò, sono necessarie regole che concorrano a determinare, per ogni tipo di investimento privato o pubblico, certezza dei tempi e dei costi di realizzazione.
In sostanza chi investe il denaro pubblico o privato vuole e deve conoscere, il costo certo della opera e quando l’investimento effettuato produrrà utili e/o benefici.
Innanzitutto dobbiamo migliorare il processo di ideazione e progettazione : • corretta determinazione dei costi dell’opera con la redazione di un progetto accurato, redatto nei minimi particolari, che contenga tutti gli elementi necessari a determinarli con un elevato grado di affidabilità; • approfondite indagini sulla natura dei terreni in cui deve insistere l’opera e su tutti gli elementi che evitino, i cosiddetti “imprevisti” che comportano varianti in corso d’opera e fanno lievitare, a volte considerevolmente, il costo dell’opera ed i tempi di realizzazione; • conformità a tutte le norme di tutela e di salvaguardia del territorio, del patrimonio artistico e delle leggi dello Stato.
Inoltre, a mio avviso, dovrà essere modificata, la seguente dichiarazione in uso dagli attuali Organismi di Controllo (Collaudatori - Direttori dei lavori):
“ Per le parti non più ispezionabili, di difficile ispezione o non potute controllare, l’Impresa ha assicurato, a seguito di esplicita richiesta verbale del sottoscritto ( Organo di Controllo), la perfetta esecuzione secondo le prescrizioni contrattuali e la loro regolare contabilizzazione ed in particolare l’Impresa, per gli effetti dell’art. 1667 del codice civile, ha dichiarato non esservi difformità o vizi.”
È necessario, accentrare la responsabilità di approvazione e controllo durante le fase esecutiva ed istituire nuovi “Organismi di Controllo” ai quali devono essere devoluti i seguenti compiti:
1) l’ approvazione dei progetti ritenuti idonei, cioè esecutivi, perché redatti e dettagliati nei minimi particolari in conformità alle norme di tutela e di salvaguardia del territorio, del patrimonio artistico e delle leggi dello Stato;
2) la verifica che il progetto redatto contenga una dichiarazione del progettista, con assunzione di responsabilità, garantita da polizza fideiussoria che il costo del progetto esecutivo redatto nei minimi particolari, è la somma dei costi delle singole lavorazioni necessarie al completamento dell’opera, e la somma dei tempi per l’esecuzione delle singole categorie dei lavori, é il tempo previsto per il completamento;
3) l’obbligo e la responsabilità di seguire insieme al Progettista, all’Organo Tecnico dell’impresa esecutrice, tutto il ciclo di realizzazione dei lavori (con la presenza continua in cantiere);
4) il controllo durante la fase esecutiva, sulla qualità di tutti i materiali , sui conglomerati utilizzati, sulla messa in opera corretta, sulle armature e quindi sui collaudi. Un insieme di controlli, il cui fine sia appunto, la garanzia delle prestazioni indicate nel progetto, riscontrando i disegni e gli elaborati esecutivi redatti dal progettista, secondo la sequenza necessaria per l’esecuzione, redigendo appositi documenti di conformità. Tale documentazione, terminati i lavori, dovrà essere archiviata e custodita in moto sicuro, e solo dopo l’Ente che ha rilasciato la concessione potrà rilasciare l’idoneità all’uso dell’opera.
La responsabilità sulla regolare esecuzione, deve essere ripartita su tutti i soggetti che partecipano alla realizzazione dell’opera, secondo le specifiche competenze stabilite in modo chiaro e attribuite a ciascuno di essi, per l’individuazione certa e celere della responsabilità nel caso di non conformità o vizi dell’opera.
In caso di non conformità, o impossibilità di esecuzione di una o più categorie di lavori, dovrà essere verbalizzato se è un problema di carenza degli elaborati progettuali o di difformità nell’ esecuzione, attribuendo la responsabilità a chi ha commesso l’errore, e proponendo le eventuali rettifiche che devono essere poste a carico del soggetto che lo ha commesso, tenendo conto anche nella quantizzazione del danno, dell’eventuale maggior tempo necessario per l’esecuzione dell’opera.
Pertanto, per qualsiasi opera pubblica o privata, la certezza dei tempi e quindi del costo, viene determinata dalla redazione di un progetto accurato, di cui il progettista ed un apposito “Organismo di Controllo” devono assumersene la responsabilità, ognuno per le proprie compentenze, durante tutto il ciclo dei lavori, prestando idonee polizze fidejussorie a garanzia.
Il cittadino deve essere tutelato anche dall’ eventuale fallimento del promotore finanziario.
Una volta determinato l’importo del progetto, l’Ente che rilascia la concessione edilizia (il Comune) dovrà accertare la disponibilità liquida da parte del promotore finanziario dell’opera, della somma necessaria al completamento (copertura finanziaria) delle stessa, somma che verrà vincolata e potrà essere utilizzata solo per la costruzione dell’opera per la quale viene rilasciata la concessione.
I maggiori costi o maggiori tempi, vengono posti a carico di chi li ha determinati (progettista per errori di progettazione, impresa per errori di esecuzione, l’Organismo di Controllo per approvazione in difformità alle norme o per errori derivanti dalla mancata vigilanza), e tutti tre i soggetti devono fornire le dovute garanzie a mezzo di polizze fidejussorie a prima richiesta.
In tale modo si ha la certezza di disporre dei tre elementi indispensabili per la realizzazione dell’opera: PROGETTO - CONTROLLO - COPERTURA FINANZIARIA.
Il sistema, pertanto , deve essere completamente rivisto, secondo le seguenti considerazioni logiche: 1) Il promotore finanziario (pubblico o privato) del progetto non deve necessariamente avere competenze tecniche, e non è giusto che sia gravato di costi suppletivi per imprevisti necessari alla realizzazione di un’opera a causa di un progetto carente; 2) lo stesso, d’altronde, si rivolge a un tecnico o un gruppo di tecnici (società di ingegneria) i quali hanno le competenze specifiche e vengono remunerati per redigere un progetto esecutivo accurato, preventivarne i tempi e i costi di realizzazione, assumendosene la responsabilità, durante tutto il ciclo dei lavori; 3) il promotore deve solo reperire le somme necessarie alla copertura finanziaria dei costi preventivati per la realizzazione dell’opera, in modo che la stessa possa essere completata, nei modi e nei tempi previsti. 4) Il progetto deve essere conforme a tutte le norme di tutela e di salvaguardia del territorio, del patrimonio artistico e delle leggi dello stato.
Solo cosi il cittadino inteso anche come fruitore di un opera pubblica o acquirente di una determinata opera in costruzione, sarà garantito:
a) dalla certezza del costo dell’ opera;
b) dal rispetto dei tempi di realizzazione, ad esempio se acquista dei locali avendo certezza sui tempi di consegna potrà programmarne l’utilizzo per uso personale (abitativo ad esempio matrimonio) apertura di attività imprenditoriale e/o affitto;
c) dal ritorno economico dell’investimento effettuato, che gli consenta un indebitamento/investimento programmato;
d) dall’ approvazione veloce dei progetti, in conformità alle norme di salvaguardia e tutela del territorio, rispetto delle leggi antisismiche ecc;
e) dal controllo incrociato tra il progetto approvato dall’ “Organismo di Controllo”, e la realizzazione dello stesso nelle sue varie fasi, fino al completamento;
f) dalla garanzia fidejussoria a prima richiesta, prestata dal Progettista, “Organismo di Controllo” e Impresa che copra i rischi degli errori in fase progettuale , esecutiva o di controllo;
g) dalla certezza che l’opera verrà ultimata con le somme allo scopo vincolate.
L’Italia per posizione geografica e per le risorse naturali uniche al mondo, può sfruttare al massimo la propria capacità economica ed attrarre masse enormi di investimenti, a condizione che si diano a chi investe il proprio denaro tali certezze.
La formulazione e l’applicazione di tali regole, non solo, è necessaria per il superamento della crisi e della recessione, ma è indispensabile in un sistema globalizzato, per non perdere il livello di tenore di vita, oggi minacciato da recessione e disoccupazione.
Solo le comunità che riescono a dotarsi di tali regole e principi coerenti, possono mantenere le proprie attività ed avere tassi di crescita.
E non è solo un problema di risorse finanziarie, basti pensare che molte regioni hanno restituito alla Comunità Europea, inutilizzati, una miriade di finanziamenti.
Solo in tale modo il "promotore dell’opera" pubblico o privato, (che non deve necessariamente, avere conoscenze tecniche), potrà valutare con certezza l’investimento da realizzare, i tempi di rientro e la remunerazione del capitale investito (utile e/o benefici per la collettività).
Chi dispone di capitali, anche di piccolo importo, a causa dell’ incertezza determinata dall’attuale sistema non investe e si accontenta della bassa remunerazione offerta dal sistema creditizio, annullando tale incertezza, i capitali confluirebbero nel sistema produttivo rilanciando l’economia.
La mancanza di tali regole, è aggravata dall’intasamento della giustizia, la quale non è in grado di dare risposte per la lunghezza dei processi.
Inoltre, la mancanza di regole certe ed efficaci espone il cittadino, imprenditore, promotore, investitore a rischi non preventivabili ed ipotizzabili, e la lunghezza dei tempi della giustizia vanifica il ricorso alla stessa.
Possiamo ancora tollerare che valide e utili “opere - attività produttive”, non vengano realizzate per la mancanza di regole efficaci?
Possiamo continuare a perdere posti di lavoro che altre nuove opere ed attività imprenditoriali potrebbero offrire?
L’applicazione delle regole sopra indicate contribuirà ad eliminare la recessione e a fungere da volano per lo sviluppo e ammodernamento del PAESE, ridurrà e ottimizzerà i costi di costruzione, migliorerà la qualità e durabilità delle opere, faciliterà la realizzazione delle opere di messa in sicurezza degli edifici esistenti, migliorerà le tecniche di costruzione, e rilancerà l’edilizia di qualità .
Domenico Stramera domenico@greenphilosophy.eu mobile 388 187 52 44
Un futuro da costruire
di Vezio De Lucia *
La gravità della situazione italiana dal punto di vista della sicurezza sismica sta nei due dati fondamentali: il 75 per cento del territorio è classificato sismico; meno del 20 per cento del patrimonio edilizio si può considerare protetto. È enorme quindi la dimensione della tragedia potenziale e delle inadempienze istituzionali. Dopo ogni evento si sono sprecati gli impegni solenni che mai più sarebbe successo, che la messa in sicurezza del territorio e la sua manutenzione sarebbero diventate la più importante opera pubblica del paese. E invece, ogni volta, passata l’emergenza più acuta, il terremoto e la prevenzione sono stati accantonati.
Non solo, il quadro che emerge dalla tragedia abruzzese fa vedere che è venuta meno la stessa ordinaria gestione della vigente normativa tecnica. Gli edifici in cemento armato, sottoposti a scosse non eccezionali come quelle di questi giorni, non dovrebbero collassare, e gli edifici cosiddetti strategici - ospedali, prefetture, caserme, opere pubbliche di particolare importanza - dovrebbero mantenere la propria funzionalità anche dove la terra trema. E invece all’Aquila sono crollati o sono stati fortemente danneggiati la casa dello studente, l’ospedale, la prefettura, il municipio, molta edilizia costruita negli ultimi anni. È stato detto che questi sono fatti della magistratura, e non c’è dubbio che così debba essere, ma mi pare che quando i comportamenti delittuosi sono così diffusi non si possa non cogliere la natura politica del problema. L’irresponsabile sottovalutazione della sicurezza pubblica dal terremoto e dalle catastrofi è uno dei temi di cui prioritariamente dovrebbero farsi carico il governo e le forze politiche. Altro che rumeni, ronde e sciacalli.
A conferma dell’insensibilità per la sicurezza sta l’indulgenza, o addirittura il favoreggiamento, nei confronti dell’abusivismo, diffuso soprattutto nel Mezzogiorno dove più elevata è la pericolosità sismica. L’edilizia abusiva è a rischio per definizione, perché è evidente che chi costruisce illegalmente non si preoccupa né delle qualità del sedime né delle caratteristiche strutturali del manufatto.
Il condono rappresenta una sorta di «cupo presagio», ha scritto Roberto De Marco, già direttore di quel servizio sismico che si occupava di prevenzione e che poi si è pensato bene di sopprimere. In Italia, in diciotto anni, sono stati approvati ben tre provvedimenti di condono. Ricordiamo chi li ha voluti: 1985, governo Craxi; 1994, governo Berlusconi; 2003, governo Berlusconi.
Né possiamo dimenticare il piano casa e dintorni, che era una specie di condono preventivo e gratuito, e prevedeva addirittura procedure semplificate per le zone sismiche. Secondo Salvatore Settis, il piano casa è stato consegnato «a una sorta di percorso carsico», da cui riemerge ogni giorno in veste diversa. Costante sembra l’intento, sostenuto anche dalle regioni, di annacquare le norme di tutela previste dal codice del paesaggio.
In vista dei problemi della ricostruzione è bene fare tesoro dalle più recenti esperienze: nel bene e nel male. A partire dal rischio delle infiltrazioni malavitose che nel cemento e nelle condizioni di emergenza trovano il migliore campo di coltura, e in Abruzzo la presenza di clan camorristici è già accertata.
Intanto, per fortuna, l’ipotesi delle new town esce a pezzi. Gli esempi di Gibellina e degli altri comuni del Belice (e anche dell’Irpinia) che imboccarono la strada del trasferimento mi sembra che nessuno li condivida, mentre i casi di Venzone e di Gemona in Friuli restano esempi mirabili di ricostruzione com’era e dov’era, accompagnata da grande attenzione al ripristino del tessuto sociale e comunitario. Mi pare molto importante il fatto che la maggioranza dei cittadini e degli amministratori intervistati si siano pronunciati per restare dove stavano. Per «tenere memoria», come ha scritto Roberto Saviano.
* Fonte: il manifesto, 15 aprile 2009
L’architetto Renzo Piano sulla ricostruzione dopo il terremoto: per evitare errori è
necessario prendere tempo, elaborare il lutto
«Cemento armato? All’Aquila meglio il legno»
intervista a Renzo Piano
di Stefano Bucci (Corriere della Sera, 11.04.2009)
Renzo Piano parla del terremoto che ha sconvolto l’Abruzzo «in diretta» da San Francisco, la città del Big One (ma anche la città che, devastata nel 1906 da un sisma violentissimo, venne ricostruita ex novo in soli nove anni). Quello dell’architetto del Beaubourg e della futura London Bridge Tower (in viaggio da Frisco verso Los Angeles, altra città sismica, dove sta completando il Los Angeles Country Museum) sembra, d’altra parte, il destino di un progettista che ha dovuto fare spesso i conti con i terremoti: «Durante i lavori per la costruzione dell’aeroporto di Osaka, durati 38 mesi, - dice - ci furono almeno 30 terremoti, alcuni dei quali superiori al quinto grado Richter». Ma chiarisce: «Nessun intoppo. Nemmeno per il terremoto che nel 1995 distrusse Kobe: ha ’solo’ fatto oscillare il mio aeroporto (costruito sull’acqua ndr) di 50 centimetri e non si è praticamente rotto un vetro. Perché la flessibilità nelle strutture sismiche è essenziale al pari della leggerezza».
Architetto che fare adesso con le città distrutte?
«Vanno ricostruite o restaurate dove sono: non ha alcun senso fare altrimenti. Anche se ci vorrà tempo. Anzi, oserei dire che per evitare errori è assolutamente necessario prendere tempo, lasciar cadere la polvere, elaborare il lutto ».
Questo vale per le case. E per i monumenti?
«Vanno restaurati e consolidati. Oltretutto in Italia le soprintendenze possono contare su tecnici preparatissimi. Ma ripeto, tutto quello che è stato distrutto, va ricostruito proprio dov’era».
Allora niente new town?
«Le new town sono sempre deserti affettivi: si immagini dopo un terremoto. Una volta esaurite le urgenze, e approfittando della buona stagione, penso che bisognerebbe invece costruire, in un luogo molto prossimo alle città distrutte, un quartiere o più quartieri di transizione. Ecco queste possono essere, per me, le uniche new town possibili: quelle che dovrebbero sostituire i campi degli sfollati prima della ricostruzione vera e propria».
Mattoni o cemento armato?
«Meglio il legno. Che è un materiale leggero, flessibile, riciclabile, rinnovabile, sicuro. Si tagliano gli alberi per costruire quelle case temporanee e se ne piantano tre volte tanti. E quando, dopo quattro o cinque anni, si buttano giù le case, al loro posto si fa nascere un bosco e si ricicla il legno usato. Si lavora, insomma, sulla natura. Meglio dimenticarsi quel cemento armato che rende tutto meno elastico e più vulnerabile»
Che consiglio darebbe al premier Berlusconi sulla ricostruzione?
«Lasci perdere gli aumenti di cubatura. Non faccia aggiungere protesi, sopralzi appiccicati qua e là, che non faranno altro che peggiorare condizioni di stabilità già precarie».
E poi?
«Promuova un progetto di messa in sicurezza degli edifici già esistenti. Rilanci l’edilizia per ’fare meglio’ e non per ’fare di più’. Faccia applicare le regole. Faccia eseguire più controlli perché, in Italia, la gente deve smettere di rubare sulle tecniche di costruzione, aggirando i controlli, tirando su palazzi brutti e ’a rischio’. Oltretutto le regole ci sono, le leggi anche: devono essere solo applicate».
Se le regole ci sono perché, allora, questi danni così gravi?
«Perché l’Italia si è assuefatta al pressappochismo e alla fatalità che del pressappochismo è la giustificazione: le tracce lasciate dal terremoto in Abruzzo ne sono la dimostrazione evidente».
Che impressione le fa vedere questo terremoto da San Francisco?
«Penso che qui ci sono circa mille allarmi all’anno sul Big One. Nella maggior parte dei casi sono allarmi ingiustificati, ma nessuno si permette di catalogarli come ’inutili’. Perché la sismologia è una scienza esatta fatta di tanti elementi, allarmismi compresi: quello che è importante è capire la differenza tra vera scienza e semplice paura. Qui, come in Giappone, sembrano averlo capito. Forse dovremmo farlo anche noi».
Come ricostruire: non siamo all’anno zero
di Vittorio Emiliani (Il Tirreno, 10 aprile 2009)
Una regola s’impone nella tragedia del terremoto aquilano: essere rapidi ed efficienti nel migliorare l’assistenza ai terremotati e avviare la ricostruzione quando si hanno le idee ben chiare. Senza promesse infondate.
In Umbria, nel ’97, Prodi parlò di tre anni. Berlusconi, nei giorni scorsi, di due anni. Ora accenna a tempi più lunghi. Gli uomini di governo dicano la verità vera: i tempi di una ricostruzione fatta bene si misurano in non pochi anni, da cinque in su, a seconda delle situazioni. E allora agli attendamenti bisognerà far seguire, prima dell’autunno, non i famigerati container bensì veri villaggi o acquartieramenti di case prefabbricate in legno, le «instant houses», quelle usate con successo fra Umbria e Marche. Con scuole e servizi. In tal modo nessuna identità comunitaria, neppure la più piccola, verrà dispersa.
Non siamo all’anno zero. Per L’Aquila e dintorni si può prendere il meglio dalle esperienze dei molti (purtroppo) terremoti dell’ultimo quarantennio. Da Tuscania (Viterbo), terremoto dimenticato che registrò nel ’71 oltre trenta morti e forti distruzioni nella città dalle belle mura e da Venzone (Udine), medioevale anch’essa, quasi sbriciolata nel ’76, si prenda l’incoraggiamento a ricostruire, ovunque sia possibile, «com’era e dov’era» il tessuto storico, l’intero contesto e non i soli monumenti. Con la partecipazione attiva delle popolazioni al processo di decisione e di ricostruzione.
Da Assisi si prenda l’idea-forza di concentrare una massa formidabile di competenze tecnico-scientifiche (restauratori, strutturisti, ecc.) nella chiesa-simbolo tanto minacciata, la Basilica superiore di San Francesco, per restaurarla al meglio in tempi ragionevolmente rapidi. Per L’Aquila i simboli sono due: Santa Maria di Collemaggio, senza dimenticare le altre chiese della città, e il poderoso Castello. Ma tutto il centro storico, tanto massacrato e tanto stratificato, esige di venire analizzato, inventariato, studiato, progettato al dettaglio nel restauro e nella ricostruzione. Investendo anche in esso con una massa di competenze ben orientata e diretta dagli organismi dei Beni Culturali e da nessun altro. Qui come nei borghi minimi.
In Friuli si scelse di ricostruire prima le fabbriche e poi le case. In Umbria di ricostruire anzitutto le chiese («le nostre fabbriche», commentò un vescovo alludendo al turismo religioso). All’Aquila la scelta è più complessa: riattivare l’Università, soccorrere le piccole e medie imprese, ridare un tetto alla gente, restaurare i monumenti-simbolo. Fondamentale è non calare dall’alto le strategie, interrogare le comunità locali. In Umbria vennero creati consorzi fra proprietari privati i quali hanno poi gestito bene i finanziamenti.
Evitiamo anzitutto l’ingrandimento dell’area del sisma oltre i suoi confini reali: in Irpinia si inclusero ben 213 comuni nei quali «nessuna abitazione risultava seriamente lesionata» (Rapporto della commissione di inchiesta Scalfaro, 1991). Da San Giuliano di Puglia ci si è allargati all’intero Molise... Sono indecenti pratiche politico-clientelari che portano a sprechi enormi e aprono una autostrada alle imprese della criminalità.
Non siamo all’anno zero. I terremoti e le ricostruzioni dell’ultimo quarantennio (come minimo) ci dicono cosa fare e cosa non fare. Seriamente.
L’urbanista: la città va restaurata fedelmente e con criteri antisismici. Il terremoto non può essere occasione per distruggere il territorio
Per carità, non facciamo una New L’Aquila
Bisogna utilizzare l’artigianato e non i prefabbricati. Le scosse hanno buttato giù il moderno ospedale
di Pier Luigi Cervellati (la Repubblica, 09.04.2009)
Tremendo sarebbe costruire una New L’Aquila. Si distruggerebbe per sempre la sua memoria e l’eventuale ripristino dei suoi monumenti sarebbe del tutto inutile. Privati del loro ambiente diventerebbero vuoti simulacri in mezzo alle rovine. L’Aquila, al pari degli altri centri terremotati, deve essere ricostruita fedelmente, con criteri giusti, antisismici. Cercando di mantenere il più possibile le murature esistenti, rafforzandole con trefoli in ferro o altri sistemi tecnici non invasivi. Si utilizzi l’artigianato e non le imprese di prefabbricati cementizi. Non si dimentichi che è inagibile il nuovo ospedale inaugurato pochi anni fa e sono crollati lo studentato e altri edifici moderni, con struttura in cemento armato.
Le new towns non sono un modello di ricostruzione. Si faccia il confronto fra "nuova" Coventry e la piazza di Varsavia ricostruita con l’orgoglio di riconquistare la memoria del passato. La prima è diventata omologa ad altri moderni aggregati urbani, mentre la seconda è ritornata ad esser una piazza di città. In Italia c’è la nuova e, si fa per dire, modernissima Gibellina in Sicilia e Gemona e Venzone in Friuli, tutte distrutte dai terremoti. In Friuli la ricostruzione fedele è un modello. Ha gratificato gli abitanti e ha mitigato il dolore delle perdite perché ha ristabilito l’identità dei luoghi e ha rilanciato le attività economiche. L’artigiano ha dimostrato di rappresentare una risorsa troppo presto abbandonata in nome di un’industria che non ha saputo reggere l’urto della globalizzazione.
A Gibellina il concorso di grandi artisti, di insigni maestri dell’architettura moderna ha provocato lacerazioni, violente polemiche e un risultato tutt’altro che condiviso. La vecchia città, lontana 20 chilometri dalla nuova - pur abbandonata a se stessa - per quanto insieme di ruderi fra sterpaglie, è meno desolante della nuova. Forse per il Friuli l’esempio di Longarone ha insegnato che il nuovo non restituisce l’identità perduta.
Il terremoto non deve esser l’occasione per distruggere altro territorio non urbanizzato. Aggiungendo danno alla catastrofe. Al contrario, può offrire la possibilità di ripensare l’assetto urbano e territoriale che a L’Aquila, come altrove, è caratterizzato dal consumo progressivo dell’ambiente circostante. Non c’è bisogno di una nuova città. La documentazione esistente, la sapienza del lavoro artigianale, le stesse tecniche tradizionali adeguate per impedire il rischio sismico, offrono tutte le garanzie per ripristinare, pietra su pietra, strada per strada, luogo pubblico per luogo pubblico, il fascino di una città storica che nello scenario del Gran Sasso è - e potrà tornare a essere - una fra le più suggestive del nostro straordinario Paese.
Non è il tempo per realizzare new towns. Dopo il fascismo, ahimè, non siamo più riusciti a farle. Abbiamo abbandonato o stravolto quelle vecchie nei centri storici e abbiamo consumato territorio costruendo solo periferie. Migliaia e migliaia di ettari di periferia. Il furore costruttivo può essere più dannoso di quello distruttivo del terremoto. Dal primo Paese che eravamo per presenza turistica siamo oggi al quinto. Cerchiamo di non scendere ancora. E si ricordi: senza memoria non si costruisce il presente e tanto meno il futuro. Ripristiniamo i centri storici aquilani, magari con l’aiuto di tutti, per dimostrare a tutti che il nostro Paese ha ancora un avvenire, in quanto capace di mantenere il suo patrimonio storico e artistico, conservando o ripristinando i suoi insediamenti storici, senza alterare ulteriormente un territorio/paesaggio/ambiente, unico al mondo.
intervista a Marcello Vittorini
La new town? Non ci interessa
In due anni la città può rinascere
di Toni Jop (l’Unità, 09.04.2009)
Ricostruire, costruire ex novo, dove, come. Adesso è presto per decidere, ma fra poco sarà tardi. Chiediamo lumi a Marcello Vittorini, urbanista di fama, un pezzo di cuore all’Aquila.
Con che piede bisognerebbe partire?
Prego, non con l’idea della new town, proprio non mi interessa. Bisogna ricostruire dov’era e com’era...
Bene, con quale procedura?
Si fa un attento esame degli edifici riparabili e si interviene prioritariamente su questi. Conviene renderli abitabili prima possibile, gli abitanti vanno restituiti ai loro ambienti con tempestività, sono loro che riportano la vita...
E poi?
Non poi, ma durante. Si opera come un dentista alla ricostruzione di una dentatura devastata. Una volta fissati i punti certi, gli edifici riparabili, si passa a intervenire sui vuoti ridisegnando piazze - decisive all’Aquila - e strade...
Quanto tempo sarebbe necessario per «iniettare» i primi abitanti?
Io credo che in un paio d’anni il tessuto urbano potrebbe iniziare a riprende vita...
E i materiali?
Conviene usare i materiali originari, ma posti in sicurezza, questa volta..
Niente forati?
Per carità. Sarebbe il caso di dare corpo, in Italia, ad una nuova cultura, fondata sulla manutenzione, bisognerebbe trasformare l’Italia in un immenso cantiere di manutenzione costante.