Un Paese e una politica dai piedi d’argilla
di Paolo Berdini (il manifesto, 07.04.2009)
Sono crollati ospedali, edifici pubblici e scuole costruiti di recente. Dovevano rispettare rigorose norme antisismiche, ma il terremoto ha tragicamente svelato una realtà che viene sistematicamente occultata: siamo il paese delle regole scritte con solennità e violate con estrema facilità. Siamo il paese in cui le funzioni pubbliche di controllo sono state cancellate o messe nella condizione di non nuocere.
Di fronte a questa realtà, il “piano casa” della Presidenza del Consiglio liberalizzava ulteriormente ogni intervento edilizio che poteva iniziare attraverso una semplice denuncia di inizio attività, e cioè in modo che la pubblica amministrazione perdesse per sempre ogni residua possibilità di controllo. Dappertutto, in zona sismica o in zona di rischio idrogeologico.
Sono poi crollate in ogni parte anche le case private. Antiche, della prima o della seconda metà del novecento. Segno evidente che anche esse sono state costruite senza gli accorgimenti che ogni paese civile richiede.
Invece di avviare questo processo, il piano casa del governo autorizzava aumenti automatici di cubatura (fino al 20%) senza contemporaneamente costringere i proprietari a rendere più efficienti le strutture. Chiunque chiude un balcone o una veranda, pur aumentando i pesi le case devono sopportare, non interviene sulle fondazioni o sulle strutture principali. E’ noto che questa anarchia e disorganicità è alla base di molti crolli e di molte vittime.
La tragedia dell’Abruzzo mostra dunque di quale cinismo e arretratezza culturale fosse stato costruito il provvedimento tento reclamizzato da Berlusconi. Cinismo perché faceva balenare in ciascuno la possibilità di incrementare la proprietà senza tener conto dell’esistenza di equilibri più complessivi, senza cioè dover rispettare i beni comuni per eccellenza: le città. Arretratezza culturale perché il terremoto ha dimostrato ancora una volta che il vero problema del nostro paese è quello di avere i piedi di argilla. In un paese ad alto e diffuso rischio sismico, infrastrutture, servizi e abitazioni non sono in grado di resistere ai terremoti.
Invece di agevolare la sistematica messa in sicurezza del territorio e del patrimonio edilizio, questo governo ha in mente una sola cultura: “aggiungere”. Nuove grandi opere, ad iniziare dal ponte sullo stretto e dalle centrali nucleari, nuove espansioni edilizie.
Invece di consolidare l’enorme patrimonio edilizio esistente e rendere sicura la vita degli italiani, si continua con lo scellerato meccanismo della rendita speculativa.
Stavolta la colpa non è di esclusiva responsabilità politica. E’ evidente in ogni settore un consenso esplicito ed entusiasta della Confindustria e della cosiddetta “classe dirigente”. Quella, per intenderci, di cui fa parte Claudio De Albertis, per molti anni presidente dei costruttori italiani e oggi presidente di quelli milanesi. In un recentissimo dibattito nella rete televisiva di La Repubblica ha avuto il coraggio di dire che in Italia mancano case popolari perché vengono costruite con troppa lungimiranza e durano troppo nel tempo. Ci dobbiamo abituare, ha aggiunto, a programmarne la vita in venti anni per poi rottamarle. Mentre tutti i paesi ad economia avanzata si interrogano su come ricostruire su basi solide un futuro possibile dopo la crisi, da noi governo e imprenditori del mattone pensano esclusivamente a nuovi affari senza farsi carico degli interessi generali. Sono così miopi da non vedere che c’è invece un altro modo per rilanciare la macchina dell’edilizia.
Basterebbero tre mosse. Prendere atto che il nostro patrimonio abitativo è fatiscente e lo Stato ha il dovere di favorirne la messa in sicurezza, attraverso norme e finanziamenti. E se ci fosse qualcuno che afferma che in questo modo si spendono soldi pubblici, si potrebbe rispondere che stiamo spendendoli per acquistare i fondi tossici delle banche. Perché non potrebbero essere utilizzati anche per non veder morire intere famiglie? Eppoi, gli interventi dentro una nuova concezione dell’edilizia favorirebbero la nascita di nuove industrie in grado di realizzare e gestire sistemi di risparmio energetico. In pochi anni i benefici complessivi supererebbero le spese di investimento iniziale: basta soltanto dare il colpo di grazia alla rendita immobiliare, come fanno in Europa.
Secondo. Prendere atto che nell’ultimo decennio si è costruito troppo e che è venuto il momento di dire basta ad ogni ulteriore consumo di suolo agricolo. Da qualche mese è nata su iniziativa del sindaco di Cassinetta di Lugagnano la rete “stop al consumo di territorio” e sono molti i primi cittadini che vogliono voltare pagina. La popolazione italiana non cresce più ed è economicamente molto più conveniente riqualificare l’esistente.
Terzo. La definizione di un grande (stavolta sì) programma di messa in sicurezza degli edifici pubblici. Il volto dello stato si vede da come si presentano le scuole dell’obbligo. L’ottanta per cento di esse è fatiscente o non rispetta le norme di sicurezza. Stesso discorso vale per gli ospedali e per gli altri servizi.
Una grande opera di ricostruzione del volto dei luoghi pubblici e delle città, che sono gli elementi portanti della convivenza civile di ogni paese civile. E se qualcuno obiettasse spudoratamente che in questo modo si spendono soldi pubblici, basterebbe mostrargli i volti dei giovani che in Abruzzo hanno perso la vita soltanto perché l’ideologia liberista ha imposto in questi anni la distruzione di ogni funzione pubblica.
La vera calamità sono le istituzioni dello Stato
di Giovanni Sarubbi *
I terremoti in Italia non sono una novità. Il nostro territorio è noto per la sua sismicità e per i ripetuti disastri che periodicamente lo colpiscono.
Ciò che colpisce, anche nel terremoto di questa mattina a L’Aquila, non è tanto il fenomeno naturale in se stesso ma il comportamento delle istituzioni preposte a quella che viene chiamata “protezione civile” e delle autorità a tutti i livelli, che sono sicuramente responsabili delle situazioni di degrado in cui vivono la generalità dei paesi soprattutto al sud. Crollano i vecchi palazzi degradati, le vecchie case di pietra ma anche le nuove costruzioni di cemento armato.
Anche in questo terremoto, infatti, registriamo il caso di decine di palazzi di cemento armato crollati come può crollare un castello di carte a fronte di un terremoto che i geologi definiscono di entità moderata. Quando ciò succede, come sanno bene i tecnici delle costruzioni, significa che quelle case sono state costruite male. Chi doveva controllare non lo ha fatto, chi doveva impedire che quelle case potessero essere abitate ha chiuso gli occhi la bocca e gli orecchi. Chi ha costruito quelle case si è sicuramente arricchito sulla pelle di chi è rimasto sotto le macerie.
E’ già successo. Anche in Irpinia nel terremoto dell’80 un ospedale, quello di Sant’Angelo dei Lombardi, pur essendo stato da poco costruito, crollò, come crollarono tantissime altre abitazioni di cemento armato costruite con poco cemento e poco ferro.
Anche in questo terremoto i danni e i morti li fa l’uomo con le sue speculazioni edilizie, con il mancato recupero delle vecchie abitazioni, con l’abusivismo edilizio e la devastazione del territorio da parte di chi non si fa tanti scrupoli a costruire dove non si dovrebbe e rubando anche sulle cose essenziali. Anche in questo caso registriamo l’assoluta impreparazione dei cittadini ad affrontare eventi sismici: ognuno viene lasciato solo con se stesso senza alcuna informazione su cosa fare.
Il vero terremoto, la vera calamità del nostro paese sono le istituzioni dello Stato a tutti i livelli, da quello comunale a quello nazionale, che tutto fanno meno che interessarsi del buon vivere dei cittadini. Istituzioni che sono tutte protese a soddisfare gli interessi delle classi più forti e ingorde della società, interessate solo al loro profitto e non certo al bene comune.
Ora assisteremo al copione di sempre in questi casi. La solidarietà della gente semplice da una parte e dall’altro lo scatenarsi degli appetiti dei soliti pescecani che tenteranno, sapendo bene di riuscirci, di mettere le mani sui fondi per la ricostruzione o sugli stessi aiuti delle prime ore. Storie già viste e vissute da tante popolazioni del nostro territorio, soprattutto al sud, come in Belice, in Irpinia, in Calabria, in Umbria e Abruzzo, dove ci sono ancora persone terremotate da 50 e più anni.
Giovanni Sarubbi
* Il Dialogo, Lunedì 06 Aprile,2009 Ore: 10:56
SCHEDA *
Un secolo di terremoti in Italia
Dal sisma che devastò Messina e Reggio nel 1908 alla tragedia in Irpinia *
MILANO - Il terribile terremoto che ha colpito l’Abruzzo si aggiunge a una lunga scia di disastri sismici che, nell’ultimo secolo, hanno colpito l’Italia. Dalla terribile scossa che in 37 ’interminabili’ secondi squassò Messina e Reggio nel 1908 fino al drammatico evento sismico che ha colpito l’Aquila e le zone limitrofe..
1908 (28 dicembre) Messina e Reggio (magnitudo 7,2): rase al suolo le città di Reggio Calabria e Messina e tutti i villaggi nell’area, causando quasi 100.000 morti. Si tratta della più grave sciagura naturale in Italia per numero di vittime.
1915 (13 gennaio) Avezzano, in Abruzzo (magnitudo 6,8): furono distrutte dal sisma Avezzano e tutto il territorio della Marsica. I morti ammontarono a circa 30.000.
1917 (26 aprile) Umbria e Toscana: furono distrutte dal sisma Monterchi, Citerna e Sansepolcro, e furono provocati danni a tutti i centri urbani dell’alta valle del Tevere.
1920 (7 settembre) Garfagnana e Lunigiana, in Toscana (magnitudo 6,5): con epicentro a Fivizzano; provocò 300 morti solo nel Comune che all’epoca contava 18.000 abitanti.
1930 (23 luglio) Irpinia, in Campania (magnitudo 6,7): 1.425 morti.
1968 (15 gennaio) Belice, nella Sicilia occidentale (magnitudo 6): rase al suolo diversi paesi del trapanese; le vittime furono almeno 300.
1971 (6 febbraio) Tuscania, nel Lazio (magnitudo 4,5): un terremoto semidistrusse la cittadina del viterbese, danneggiando gravemente i monumenti romanici e provocando 31 morti.
1976 (6 maggio) Friuli (magnitudo 6,1). Circa 1.000 le vittime.
1979 (19 settembre) Valnerina: il sisma provocò gravi danni a Norcia, Cascia e le aree limitrofe danneggiando i monumenti e provocando diversi morti.
1980 (23 novembre) Irpinia (magnitudo 6,9): devastate diverse zone tra la Campania e la Basilicata, con danni ingentissimi soprattutto nell’area del Vulture. Distrutti numerosi paesi, i morti saranno quasi 3.000.
1984 (7 e 11 maggio) Molise, Lazio e Campania con epicentro a San Donato Val di Comino (magnitudo 5,2), 7 morti.
1984 (19 ottobre): Catania con epicentro a Zafferana Etnea. Una vittima, centinaia di sfollati, danni ingenti al Palazzo Municipale e alla Chiesa Madre.
1990 (13 dicembre) Santa Lucia nella Sicilia sud-orientale (magnitudo 5,1): gravi danni ad Augusta e Carlentini con 16 vittime, molti danni nell’area del Val di Noto.
1997 (26 settembre e scosse meno forti nei giorni seguenti) Umbria e Marche (magnitudo 5,6): scosse disastrose ed edifici inagibili nelle zone di Assisi, Colfiorito, Verchiano, Foligno, Sellano, Nocera Umbra, Serravalle di Chienti, Camerino; 11 morti.
2002 (31 ottobre-2 novembre) Molise e Puglia (magnitudo 5,4): San Giuliano di Puglia. Crollata una scuola dove morirono 27 bambini; 30 morti in tutto.
2003 (11 aprile) Cassano Spinola, Alessandria (magnitudo 4,6): scossa avvertita in tutto il nord-ovest. Nei giorni successivi la provincia di Alessandria ha stimato danni tra 60 e 80 milioni di euro: 300 sfollati, 5mila case lesionate.
2009 (6 aprile) L’Aquila e zone limitrofe (magnitudo 5,8) tra le frazioni di Collimento e Villagrande, a 5 chilometri di profondità. Decine di vittime, molti edifici crollati, centinaia gravemente danneggiati; il sisma è stato nettamente avvertito in tutto il centro Italia fino a Napoli. La scossa principale è stata seguita da decine di scosse di assestamento. Dichiarato lo Stato d’emergenza nazionale.
* Corriere della sera, 06 aprile 2009
Sul tema, nel sito, una storia ’antica’:
L’Aquila, i perché della sentenza Grandi Rischi
di Giuseppe Caporale (la Repubblica, 18 gennaio 2013)
I sette scienziati della Commissione Grandi Rischi che si riunirono all’Aquila cinque giorni prima del sisma devastante, lasciarono il loro "sapere" chiuso in un cassetto, e si prestarono a una "operazione mediatica" - voluta dall’allora capo del dipartimento della Protezione Civile Guido Bertolaso - che "disinnescò" in una parte della popolazione "la paura del terremoto" e indusse 28 delle 309 vittime della tragedia del 6 aprile 2009 "ad abbandonare le misure di precauzione individuali seguite per tradizione familiare in occasione di significative scosse di terremoto, con tragiche conseguenze".
Questo scrive il giudice Marco Billi in una delle 946 pagine di motivazioni della sentenza che ha portato alla condanna a sei anni di reclusione per omicidio colposo plurimo e lesioni gravi dei componenti della Commissione che si riunì a L’Aquila il 31 marzo del 2009, su ordine del Governo Berlusconi.
“Operazione mediatica" fatale e tragica. Scrive il giudice: "Gravi profili di colpa si ravvisano nell’adesione, colpevole e acritica, alla volontà del capo del Dipartimento della Protezione Civile di fare una ’operazione mediatica’ che si è concretizzata nell’eliminazione dei filtri normativamente imposti tra la Commissione Grandi Rischi e la popolazione aquilana. Tale comunicazione diretta, favorita dall’autorevolezza della fonte, ha amplificato l’efficacia rassicurante del messaggio trasmesso, producendo effetti devastanti sulle abitudini cautelari tradizionalmente seguite dalle vittime e incidendo profondamente sui processi motivazionali delle stesse" si legge nel dispositivo. "Dalla condotta colposa degli imputati è derivato un inequivoco effetto rassicurante".
Chi sono gli imputati. Le motivazioni della sentenza nei confronti di Franco Barberi, (presidente vicario della Commissione Grandi Rischi dell’epoca) Bernardo De Bernardinis (già vice capo del settore tecnico del dipartimento di Protezione Civile) Enzo Boschi (all’epoca presidente dell’Ingv) Giulio Selvaggi (direttore del Centro nazionale terremoti), Gian Michele Calvi, (direttore di Eucentre e responsabile del progetto Case), Claudio Eva (ordinario di fisica all’Università di Genova e Mauro Dolce direttore dell’ufficio rischio sismico di Protezione civile) sono state depositate questa mattina alla cancelleria del tribunale dell’Aquila.
"Valutazioni approssimative e generiche". "Le migliori professionalità scientifiche a livello nazionale" che in base ai loro singoli studi (pubblicati in Italia e all’estero) erano pur ben consapevoli della storia sismica del territorio, del "grave rischio di una forte scossa entro il 2015", del valore dello sciame sismico in atto come "precursore di un forte evento", si limitarono in quella riunione a una valutazione "superficiale, approssimativa e generica" con "affermazioni apodittiche e autoreferenziali, del tutto inefficaci ai doveri normativi imposti".
La colpa grave: "La carente analisi del rischio". "La colpa degli imputati è certamente grave - scrive il giudice - ampia e netta, infatti, è risultata la divaricazione tra la condotta in concreto tenuta e la regola precauzionale applicabile". E ancora: "La carente analisi del rischio sismico non si è limitata alla omessa considerazione di un singolo fattore ma alla sottovalutazione di molteplici indicatori di rischio e delle correlazioni esistenti tra tali indicatori" è scritto in sentenza.
Il sapere nascosto. Spiega il magistrato: "Il carattere distintivo degli imputati non consiste semplicemente nella quantità e nella qualità del loro sapere, ma consiste nella capacità di usare tale ’sapere’ nel senso voluto dal legislatore, ossia in senso di valutazione prevenzione e previsione del rischio. Non sottoporre tale ’sapere’ alla valutazione dei componenti della Commissione nella sede deputata del 31 marzo 2009 equivale alla morte del sapere". E continua: "Il tema relativo alla condivisione delle conoscenze specialistiche personali tra i diversi imputati è particolarmente importante. La Commissione è un organo collegiale, composto dai migliori esperti in ambito nazionale. La natura composita ed eterogenea di tale organo è prevista per legge proprio al fine di consentire e di favorire la ’comunione dei saperi’ specifici, la sinergia tra le specifiche competenze".
"Non si contesta il mancato allarme". Nella sentenza anche una delle parti che più ha fatto discutere: quella sulla possibilità di prevedere i terremoti. E il giudice lo scrive chiaramente: "I terremoti non si possono prevedere - annota Billi - ma la valutazione del rischio è stabilita dalla legge per ’mitigare gli effetti tragici’, per ’ridurre il più possibile il numero delle vittime’".
"Non è compito del giudice verificare lo stato delle conoscenze scientifiche sulla previsione dei terremoti; il compito del giudice è invece quello di accertare se la condotta tenuta dagli imputati in occasione della riunione del 31 marzo sia stata o meno pertinente ed in linea con i doveri di previsione e prevenzione ed analisi del rischio imposto dalla normativa vigente. E se tale condotta sia stata adeguata e coerente con il patrimonio scientifico conoscitivo comune tra i vari componenti della commissione".
"Non dovevano dunque prevedere il sisma, ma valutare il rischio sulla base delle loro effettive conoscenze e calibrare una corretta informazione". Non si contesta quindi un "mancato allarme", ma una "inidonea valutazione del rischio" e una "inidonea informazione".
"Ovvio sostenere che solo costruendo bene si mitigano i danni". "La tesi difensiva secondo la quale l’attività del rischio sismico consiste solo nel miglioramento delle norme sismiche, negli interventi di consolidamento strutturale preventivo e nella riduzione della vulnerabilità delle strutture esistenti, secondo gli imputati rappresenta l’unico strumento di mitigazione del rischio. Ma tale tesi appare assolutamente infondata", "ovvia" e "inutile", in quanto il nostro Paese è "caratterizzato da centri storici particolarmente estesi" e i Comuni italiani non hanno "sufficienti risorse economiche".
Quindi "accanto al richiamo circa la necessità di rafforzare le costruzioni e migliorare le loro capacità di resistere al terremoto, che ricorda più una clausola di stile che un intento concretamente attuabile, pari dignità hanno i meccanismi di analisi del rischio e di informazione alla popolazione. Tali meccanismi consentono di ridurre il rischio sismico mitigando il fattore di vulnerabilità e della esposizione attraverso strumenti alternativi finanziariamente più sostenibili, rispetto al pur auspicabile rafforzamento dell’immenso patrimonio edilizio esistente".
VIDEO - 16 Giugno 2010
Manifestazione - L’Aquila con blocco Autostrada
Centinaia di persone in piazza con cartelli con scritto
’Io non ridevo’ e ’Riprendiamoci la nostra città’
forzato un posto di blocco all’altezza dei Quattro cantoniper entrare a Piazza Palazzo
L’Aquila, i terremotati invadono la zona rossa
"Non possono portarci via 700 anni di storia"
Sono saliti sui cumuli di macerie del terremoto
di aprile urlando la propria rabbia.
Ognuno ha preso una pietra
L’AQUILA - Centinaia di aquilani si sono ritrovati stamani in piazza con cartelli con scritto ’Io non ridevo’ e ’Riprendiamoci la nostra città’, in segno di protesta alla luce delle intercettazioni divulgate negli ultimi giorni relative all’inchiesta fiorentina sugli appalti del G8. I manifestanti hanno forzato un posto di blocco all’altezza dei Quattro cantoni, nel cuore della zona rossa, per entrare a Piazza Palazzo, considerata inaccessibile.
Le forze dell’ordine, dalla polizia all’esercito, hanno provato a impedire ai manifestanti, circa 300, di varcare le transenne, ma è stato inutile: al primo tentativo di forzare i blocchi, le persone al posto di guardia hanno preferito lasciar passare la gente per evitare disordini. Così i manifestanti hanno raggiunto piazza Palazzo, la stessa in cui un mese fa era stato celebrato un Consiglio comunale tra cumuli di macerie. Gli stessi cumuli su cui una decina di aquilani sono saliti, urlando la propria rabbia per non avere più a disposizione la loro città. Simbolicamente ogni persona ha preso con sè una pietra dalle macerie residue dai crolli del terremoto di aprile.
"Non possono portarci via 700 anni di storia - ha commentato la docente universitaria Giusi Pitari, tra i manifestanti - è ora di riprenderci la nostra città, siamo indignati - ha proseguito - anche di fronte all’assenza dei nostri rappresentanti istituzionali".
"Non ridevamo, non ridevamo quella notte - ha urlato un altro dei manifestanti, Stefano Cencioni - perché tra questi vicoli sono morte delle persone, e queste macerie ne sono la testimonianza". Cencioni, un uomo sulla quarantina, ha voluto precisare che il suo "non è uno sfogo contro il sistema della Protezione Civile che tanto ha dato a questa città". "Ho conosciuto volontari - ha detto - che hanno lasciato le loro attività anche in Sicilia e in Valle d’Aosta per venire ad aiutarci e la persona a capo di questo sistema non può essere una persona da condannare", ha detto riferendosi a Guido Bertolaso. Molte sono state però le critiche rivolte al capo della Protezione Civile sollecitate da quei comitati cittadini vicini al Movimento ’3e32’ che fin da subito non hanno risparmiato critiche al sistema del Dipartimento.
* la Repubblica, 14 febbraio 2010
La manifestazione fuori da Montecitorio
I comitati chiedono più trasparenza nelle scelte del governo
Roma, la protesta dei terremotati
In 1000 alla Camera gridano: "Buffoni"
Tanti gli slogan dei Comitati: "Forti e gentili sì, fessi no!"
I sindaci: "Vogliamo fatti, non promesse" E il Tg1 oscura la protesta *
ROMA - E’ arrivata a Montecitorio per il sit-in dimostrativo, la marcia degli sfollati delle tendopoli dell’Aquila, che protestano proprio nel giorno in cui la Camera deve approvare il decreto legge sull Abruzzo.
Slogan e proteste. Senza bandiere di partito e scandendo vari slogan tra cui "forti e gentili sì, fessi no!", "100% ricostruzione, partecipazione e trasparenza" e "Buffoni, buffoni", 1000 aquiliani dei Comitati dei cittadini sono arrivati a Roma con 20 pullman partiti questa mattina alle 9 e 30 da Collemaggio. Presente anche un grande striscione con la scritta: "Case, scuole, Università. Subito. Contro la speculazione ricostruzione dal basso’’. Ad imitazione delle tendopoli, alcuni ragazzi montano tende da campeggio sotto l’obelisco che domina la piazza. Sono scesi in piazza anche gli studenti dell’Onda che chiedono che a occuparsi della ricostruzione non sia Impregilo poiché fu proprio "la stessa azienda a costruire l’ospedale che poi crollarono".
Le richieste. Gli organizzatori hanno chiesto garanzie sulla riparazione dei danni causati dal terremoto, la riapertura del centro storico, risorse adeguate per risarcire gli imprenditori che hanno avuto le imprese distrutte o danneggiate e un maggiore coinvolgimento della cittadinanza nelle scelte della ricostruzione.
Il Pd presente. Alla manifestazione erano presenti alcuni parlamentari del Pd e dei radicali, Legambiente,il sindaco di L’Aquila, Massimo Cialente, il presidente della Provincia Stefania Pezzopane e molti dei sindaci delle città colpite dal terremoto, che hanno chiesto che le promesse vengano messe "nero su bianco". Mentre invece il presidente della regione, Gianni Chiodi, ha invitato gli aquilani "ad avere piena fiducia nell’operato del governo, che sta cercando di venire incontro a tutte le esigenze e alle necessità legate alla fase della ricostruzione".
Blackout del Tg1. Ma evidentemente i motivi della protesta non erano abbastanza importanti per il Tg1 che ha mostrato un servizio sulla ricostruzione della casa dello studente per opera della regione Lombardia del governatore Roberto Formigoni. Per il Pd ha protestato Lanfranco Tenaglia che ha detto: "Nel giorno in cui si sta svolgendo la marcia degli sfollati delle tendopoli dell’Aquila, conclusa con un sit-in a Montecitorio, il Tg1 sceglie di parlare del terremoto in Abruzzo con un servizio sulla ricostruzione della Casa dello studente, certamente una buona notizia ma riferita con stile celebrativo, e con tanto di intervista, al presidente della regione Lombardia Formigoni. Gli avvenimenti in corso a Roma sono stati invece del tutto ignorati". Tenaglia ha poi aggiunto: ""Ci avevano raccontato che con un giornalista a tutto tondo come direttore il Tg1 aveva scelto la strada dell’informazione pura, scomoda e senza compromessi. Tutto ciò, invece, non sta avvenendo e avviene anzi il contrario".
* la Repubblica, 16 giugno 2009
L’Aquila, ecco la lista dei crolli annunciati Uno studio del 2006: 137 palazzi a rischio
«Il Centro» recupera l’elenco dei palazzi con «criticità strutturali», molti dei quali sono stati rasi al suolo dalla scossa del 6 aprile. E’ l’elenco del rischio previsto già da uno studio del 2006. La Casa dello studente ad esempio aveva criticità strutturali del cemento. La Regione lo ha oscurato sul proprio sito, il Centro lo ha recuperato, la procura lo acquisisce per l’inchiesta sull’allarme prima ignorato e poi insabbiato
di Lorenzo Colantonio *
L’AQUILA. Ecco la lista dei crolli annunciati, ecco l’elenco dei 137 palazzi pubblici dell’Aquila con «criticità strutturali», molti dei quali erano fragili come cartapesta e sono stati rasi al suolo dalla scossa del 6 aprile. E’ l’elenco del rischio previsto già dal 2006. La Regione lo ha oscurato sul proprio sito, il Centro lo ha recuperato, la procura lo acquisisce per l’inchiesta sull’allarme prima ignorato e poi insabbiato.
E’ all’ultimo posto della lista la Casa dello studente: 8 morti e cuore dell’inchiesta del procuratore Rossini e del sostituto Picuti.
LA MAPPA Gli edifici a rischio sisma e i danni subiti
ECCO LA PROVA. Nell’elenco «oscurato» si legge chiaramente che l’immobile di via XX Settembre presentava: «Criticità strutturali del cemento armato».
In un altro file, ripescato nel sito della Regione, compare anche una cifra: un milione e 470 mila euro. Era l’ingente somma consigliata per adeguare l’immobile: per farlo diventare a prova di sisma.
SI SAPEVA DA TRE ANNI. La fragilità del palazzo era nota già tre anni fa quando la società Abruzzo Engineering, ex Collabora Engineering, riconsegna alla Regione un vasto e costoso studio, richiesto dalla Protezione civile Abruzzo, sul «Sistema informatico per la gestione degli edifici e delle opere infrastrutturali strategiche», cioè su immobili pubblici frequentati da moltitudini di cittadini.
Erano palazzi da tenere sotto controllo, da tutelare, come la Casa dello studente che, nel sito, compare com’era prima del crollo, con i suoi 4 piani rasi al suolo dal terremoto delle 3.32.
ANCHE DUE FOTO. Era una bella giornata di sole quando il tecnico della società Abruzzo Engineering, all’epoca presieduta da Lamberto Quarta, ex segretario dell’ex presidente della Regione, Ottaviano Del Turco, scatta le due fotografie che pubblichiamo nella tabella di questa pagina e che la procura acquisirà insieme con le altre centinaia di informazioni contenute nel sito dei crolli annunciati, e tornate alla luce grazie all’indagine del Centro.
Informazioni come il file su palazzo Carli, di piazza Rivera, anch’esso ridotto a un cumulo di macerie. Anch’esso catalogato con gravi «criticità strutturali».
I LAVORI CONSIGLIATI. Abruzzo-Collabora Engineering suggerisce, nel caso di palazzo Carli, di eseguire interventi di consolidamento per 5 milioni e 280 mila euro. Oppure l’ospedale San Salvatore che, nella tabella, riassumiamo per motivi di spazio in una sola riga, ma che nel documento di oltre 400 pagine ripescato da un server, che fino a tre giorni fa era inaccessibile, viene passata ai raggi X. Reparto per reparto, ciascuno dei quali ha lo stesso verdetto: criticità strutturali del cemento armato.
LA CIFRA RECORD. Sommando, sempre reparto per reparto, i costi dei lavori consigliati per l’ospedale si arriva alla cifra record di 50 milioni di euro. Con accanto una postilla che non è di poco conto, perché lo studio quantifica anche l’importo finanziabile per l’adeguamento della struttura, un importo pari a oltre la metà della somma che si sarebbe dovuto spendere. Ma a vederlo ora l’ospedale, con l’insegna precipitata, le crepe a forma di croce di Sant’Andrea su tutte le facciate e quelle 13 colonne tirate su con cemento depotenziato, ci si chiede perché il costoso studio sia rimasto un file oscurato.
Lo stesso discorso vale per tutte le sedi di facoltà universitarie, come l’edificio di via Assergi raso al suolo; la facoltà di Economia, crollata per metà; Ingegneria e Scienze della Formazione oppure Lettere, che aveva sede nel palazzo Camponeschi, sparita tra le macerie. Anche se in questi ultimi tre casi si scopre che lo studio commissionato alla società mista, pubblico e privato, che in Abruzzo si occupa di ambiente e territorio, ha il volto di una Cassandra distratta perché accanto alla frase «criticità del cemento armato» non c’è scritto «sì», anche se poi vengono consigliati lavori per 15 milioni di euro.
LE ALTRE GAFFE. Identica è la contraddizione che riguarda altre due strutture pubbliche ferite, spazzate via dal sisma: il palazzo del Governo e la Provincia. Il terremoto non ha dato scampo a entrambi, la prefettura è diventata l’immagine simbolo della devastazione. Ma se vai a leggere tra le righe della lista dei crolli annuciati scopri che in nessuno dei due casi venivano evidenziate «criticità strutturali».
E’ una sorta di giallo nel giallo, anzi nella catastrofe. Così come viene totalmente ignorato dalla studio di Abruzzo Engineering il palazzo di giustizia, il primo a essere stato sequestrato dalla procura dell’Aquila.
IL CAPITOLO DE AMICIS. E’ la scuola della strage evitata, leggendo la relazione scritta nel 2006 che la riguarda diventa anche la scuola del miracolo, della tragedia scampata per chissà quanti anni.
Sotto il titolo «Edilizia scolastica e rischi territoriali» infatti si legge: «Al momento del sopralluogo sulla struttura portante si è rilevato una fessura estesa per il 30 per cento del complesso scolastico e un livello massimo del danno valutato di grave entità (...) Si consiglia pertanto di tenere la scuola De Amicis sotto attento e costante controllo per evidenziare le evoluzioni delle lesioni». Sì, è stato proprio un miracolo.
Napolitano: «Disprezzo delle regole e avidità dietro alla tragedia Abruzzo e alla crisi economica» *
«Quando oggi pensiamo e soffriamo per le vittime e per i danni provocati dal terremoto in Abruzzo non possiamo non ritenere che anche qui abbiano contato in modo pesante e abbiano contribuito alla gravità del danno umano e del dolore umano comportamenti di disprezzo delle regole, disprezzo dell’interesse generale e dell’interesse dei cittadini». Lo ha affermato il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ricevendo nella Tenuta di Castelporziano una delegazione delle famiglie francescane.
«Non sono stati forse questi fenomeni e questi comportamenti» legati «a un indubbio e allarmante decadimento di valori spirituali, umani e morali» a rappresentare «una delle cause della crisi che oggi affligge le nostre economie e le nostre società?». «Parlo di comportamenti dettati da avidità, dalla sete di ricchezza e di potere, dal disprezzo dell’interesse generale e dall’ignoranza di valori elementari di giustizia e di solidarietà».
«E perfino - ha sottolineato Napolitano - quando oggi pensiamo all’Abruzzo e soffriamo per le vittime e per i danni provocati dal terremoto, certamente un evento naturale e imprevedibile, non possiamo non ritenere che anche qui abbiano contato in modo pesante e abbiano contribuito alla gravità del danno umano e del dolore questi comportamenti di disprezzo delle regole, disprezzo dell’interesse generale e dell’interesse dei cittadini».
* l’Unità, 18 aprile 2009
IL DIARIO
Una settimana dopo, da un ospedale di Roma
una domanda: perché 200 scosse non hanno provocato reazioni?
"Io, medico ferito e sfollato dico:
l’allarme alla città andava dato"
di MASSIMO GALLUCCI *
"Da gennaio, quasi settimanalmente si faceva sentire. Ma, un po’ come nel film X-men 2, il verme divoratore era sotto controllo. Così ci era stato detto più e più volte dalla stampa e dalle televisioni locali. E così parcheggio, senza particolari precauzioni, nel piazzale alberato a 100 metri da casa.
Casa: una palazzina cielo-terra di 3 piani e piccolo attico, di stesura settecentesca, manipolata più volte in seguito, e da noi restaurata 12 anni fa. Per strada, davanti il mio ingresso, gli studenti che alloggiano in affitto negli appartamenti di fronte in cemento armato. Sono una decina, in strada. Una ragazza piange: "non ne posso più, ho paura voglio andare via". Un ragazzo l’abbraccia protettivo. Stai tranquilla. Sono scosse di assestamento. Ormai ci siamo abituati.
Così ci prepariamo, come ogni sera quasi tranquilli. A letto. Io, mia moglie e mia figlia. Un letto d’epoca, veneziano, con una spalliera piuttosto alta, che avrà un ruolo in questa storia. Stranamente essenziale e per questo bellissimo. Lascio la luce dell’abat-jour accesa.
All’una circa sono svegliato da un’altra scossa. O l’ho sognata? Resto sveglio. Dopo un po’ ne arriva un’altra.
Alle 3 e mezzo il letto salta, si muove. Non c’è più luce elettrica, polvere dovunque, si fa fatica a respirare tra la polvere e l’odore acre, inconfondibile del gas di città, e il ballo continua, accelera, è forsennato, sale il rumore, quel borborigmo che diventa un ululato rotto dagli allarmi delle auto e da grida, grida, grida attorno. Virginia chiama. Mi butto su di lei per ripararla dalla pioggia di calcinacci e urlo: "Non preoccuparti, è finito, è finito!"
Ripeto istericamente quella frase per 22 secondi.
E’ finito! Grido finalmente per l’ultima volta e "ordino" a mia moglie e mia figlia di seguirmi, di scappare via, subito. Scendo dal letto. Macerie sul pavimento. Polvere e odore di gas. Urla da fuori. Non si vede nulla. Cerco a tentoni la porta, ma non riconosco la camera da letto: la stanza è cambiata. O almeno il letto è in un’altra posizione. La trovo. Si apre. A tentoni raggiungo la rampa delle scale con la sensazione di non trovare le pareti al posto giusto. La rampa non c’è: è un cumulo di macerie.
A piedi nudi su quei sassi, poi sui vetri e i resti dei quadri dell’ingresso. Voglio vedere se si apre la porta. Sembra di no, poi qualche spallata e ci riesco e un po’ di luce delle stelle penetra la nebbia e lenisce l’angoscia. Grazie a Dio non siamo prigionieri. Corro di nuovo su. Prendo Virginia e chiamo Lucilla. E approccio di nuovo la discesa. Ma stavolta perdo l’equilibrio e cado di schiena, assieme a Virginia, violentemente sul pavimento dell’ingresso. Un bel volo, forse di un metro e mezzo - due? Per un paio di secondi ho fosfeni. "Virginia, Lucilla, uscite! Uscite, sto bene!"
Intanto verifico che muovo le gambe e le mani. Ho un dolore terribile nell’intero tratto lombare. Sicuramente mi sono fratturato. Mi faccio forza ed esco quasi carponi, poi mi metto in piedi e vedo l’orrore che mai avrei creduto o pensato. Il palazzo di fronte: 5 piani di cemento armato accartocciati, stratificati come carte da gioco. Non sarà più alto di 3-4 metri, ora. Non viene una voce da lì dentro. Un silenzio feroce. Mani nei capelli, piango, Daniela amica cara e i bimbi Davide e Matteo; Maria Pia e i figli e quell’anomalo pitbull buono, l’avvocato Fioravanti e la moglie, così dolci e pacati. Che gentiluomo, con la sua piccola collezione di auto d’epoca e il sorriso nonostante la leucemia, e gli altri e gli studenti, quelli che piangevano e si consolavano.Travi di cemento armato di vari metri schiacciano i resti di quella casa. Senza una gru è impossibile fare qualunque cosa. A piedi nudi, sui sassi della città atterrati per terra, come tre zombi facciamo i 50 metri che ci separano da via XX Settembre dove altri zombi seminudi si aggirano senza meta, con gli occhi sbarrati, senza saper dire una parola, guardandosi attorno e piangendo, alcuni.
Attraversiamo il parco alberato nel cui piazzale ho parcheggiato e raggiungiamo la macchina. E’ coperta di detriti e polvere, ma agibile. Con lucidità sia io che Lucilla avevamo preso le chiavi della macchina dal portaoggetti sul tavolo dell’ingresso fortunatamente in piedi. In auto passiamo qualche ora, mentre la folla aumenta nel piazzale, assieme al dolore lombare. Continuano le scosse.
Sento un ragazzo chiamare Maria, Mariaaaa da sopra le macerie: "c’è mia sorella lì sotto, Mariaaaa!" Alcuni hanno piccole torce elettriche e scavano con le mani. Il termometro della mia auto indica 3 gradi. Chiedo a mia figlia di avvolgermi una pezza da vetri attorno ai piedi congelati.
Passano amici e volti noti. Non vedo traccia di isteria. Uno stupore silenzioso e controllato. Tutti si chiedono tra le lacrime: ha bisogno di qualcosa? Sapendo di aver poco o nulla da offrire. Aspettiamo, come bombardati, le luci dell’alba. Per capire. Ma da capire c’è poco.
Mia moglie torna a casa. Entra per qualche secondo.
"Casa non c’è più. Abbiamo perso tutto. Sai a chi dobbiamo la vita? Alla spalliera del letto che ci ha riparato dai massi della casa a fianco, accasciata come un vecchio sulla nostra. I massi hanno forzato, curvato su di noi la spalliera spingendo il letto contro l’altra parete. Senza di essa, ci sarebbero venuti addosso, sulle teste". Deo gratias. Una serie di coincidenze ci ha salvato la vita. Il resto non conta. Il resto si rifarà. Sono indeciso ora. Andiamo in ospedale a L’Aquila, dove troverò certamente il caos dei feriti ammassati, o direttamente fuori. Ma chissà cosa ha combinato il terremoto da quelle parti? Chissà le strade? Pensieri contorti che trovano soluzione presto: "Portami in ospedale a L’Aquila. Sto per svenire dal dolore".
Sono quasi le otto. Passiamo per una circonvallazione fuori città evitando scientemente il centro con l’auto, e ai nostri occhi si offre anche qui lo scenario di guerra che immaginavamo. Arriviamo e troviamo un’apocalisse ben oltre le previsioni: l’accesso al pronto soccorso bloccato da un crollo e il magnifico costosissimo-ma-solido ospedale è provato, inginocchiato, macilento. Dico a mia moglie di andare direttamente nel mio reparto. Inutile intasare il Pronto Soccorso. E qui trovo gente che dalle 4 del mattino lavora indefessa e già sconvolta dai primi orrori. Riesco a essere studiato. Sento l’affetto di chi mi sta intorno. Sono su una barella, finalmente, con un toradol in vena, e il dolore si lenisce. Ho eseguito RM e TC mentre le scosse continuavano impetuose ed impietose. Ho una diagnosi di frattura vertebrale somatica di L2 e varie contusioni.
Non ho notizie di mia madre, mio fratello, mia sorella, i nipoti: non ho potuto prendere il cellulare, sepolto dentro casa. Quanto siamo stati viziati dalla tecnologia! Col mio cellulare ho perso la rubrica telefonica e quindi tutti i contatti col mondo.
In tarda mattinata l’ospedale è dichiarato inagibile ed evacuato. Mi cerco un ricovero altrove con la difficoltà di non conoscere più i numeri di telefono di nessuno e approdo in qualche ora al Policlinico Umberto I a Roma.
E’ già tempo di leccarsi le ferite e proporre rapide soluzioni. E’ vero. E’ anche vero che se il dolore non deve alimentare né rendere faziosa la rabbia, non deve neanche occultare le legittime domande del caso. Non ho velleità polemiche, e la gratitudine a tutti coloro che si sono adoperati per la mia città è infinita. Non posso, nel nome di quei morti, tacere, però, in merito alla disorganizzazione preventiva e all’informazione fuorviante.
Da quasi 4 mesi erano state registrate quasi 200 scosse con epicentro a L’Aquila e dintorni. Non poteva essere un evento che rientra nei limiti del normale, come si è sentito dire. Nelle ultime settimane erano incrementate di numero ed intensità. Eppure le voci ufficiali erano rassicuranti. "Non creiamo allarmismi".
Ma perché essere preoccupati di dare un allarme consapevole? Noi medici siamo obbligati da anni al consenso informato. Quando io intervengo su un aneurisma cerebrale sono COSTRETTO giustamente a dire e quantificare il rischio percentuale di mortalità. E i Pazienti lo accettano. Non fanno gesti inconsulti.
Questo è il mio principale rammarico. Nessuno ha offerto istruzioni calme, rassicuranti, civili, informate. La mia piccola storia assieme alle centinaia di storie di amici, mi ha insegnato che se avessi avuto una torcia elettrica sul comodino non mi sarei fratturato la colonna vertebrale, se avessi avuto un cellulare a portata di mano avrei chiesto aiuto per me e per il palazzo accanto, se molti avessero parcheggiato almeno un’auto fuori dal garage ora l’avrebbero a disposizione, se in quell’auto avessero (e io avessi) messo una borsa con una tuta, uno spazzolino da denti e una bottiglia d’acqua, si sarebbero tollerati meglio i disagi. Se si fosse tenuta una bottiglia d’acqua sul comodino, se si fosse evitato di chiudere a chiave i portoni di casa, se si fosse detto di studiare una strategia di fuga.... Pensate a chi è rimasto incarcerato per ore senza poter comunicare con l’esterno perché aveva il cellulare in un’altra stanza, o perché non trovava al buio le chiavi di casa, come le ragazze di un palazzo a fianco a me già semi sventrato: 6 ore sotto un letto, con la terra che continuava a tremare, perché la porta era chiusa a chiave, senza una torcia elettrica e senza cellulare per chiedere aiuto!
E inoltre, se invece di una decina di vigili del fuoco in servizio ci fosse stata una maggiore disponibilità di forze con mezzi già sul posto, piuttosto che aspettarli da altrove, quegli eroi del quotidiano che sono i nostri vigili del fuoco e i volontari della Protezione Civile avrebbero potuto lavorare in condizioni migliori.
Piccole cose. A costo irrisorio.
Spero che i nostri figli possano fare affidamento su una società più civile".
* L’autore è professore e direttore Uoc di Neuroradiologia Università-Asl dell’Aquila
* la Repubblica, 13 aprile 2009
Il fragile cemento delle case d’Abruzzo
di Carlo Bonini (la Repubblica, 10 aprile 2009)
Ci hanno raccontato della furia del terremoto e non ci hanno spiegato che l’Abruzzo, come una parte consistente del Paese, soprattutto nel centro-sud, è seduto su un letto di cemento impastato con sabbia di mare. Imbracato da un’anima di ferro che il sale di quella sabbia si è mangiato con il tempo, rendendolo sottile e fragile come uno stuzzicadenti.
Un portavoce di "Impregilo" (già gruppo Fiat e oggi gruppo Benetton-Gavio-Ligresti) ha spiegato ieri che quella che è oggi tra le principali imprese di costruzione del Paese (è capofila per la costruzione per il ponte sullo stretto di Messina) si aggiudicò è vero nel 1991 la gara per la messa in funzione dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila, ma è "estranea alla realizzazione delle opere di cemento armato". Che non fu lei, ma "altri, nei primi anni ’80", ad impastare il calcestruzzo di quello che, dall’alba di lunedì, è il simbolo accartocciato della vergogna. Ma, evidentemente, c’è di più del San Salvatore nella catastrofe abruzzese.
Racconta oggi Paolo Clemente, ingegnere della task force Enea-Protezione civile al lavoro tra le macerie dell’Aquila, che gli edifici di nuova costruzione - e per "nuova" è da intendersi fino a trent’anni - sono implosi tutti allo stesso modo. Si sono prima "seduti" sulle proprie fondamenta per poi accartocciarsi al suolo sotto il proprio peso. Di più. "Per quello che è stato sin qui possibile vedere attraverso la ricognizione tra le macerie - spiega - il collasso dei piani bassi è stato prodotto dallo schianto dei pilastri in cemento".
Perché? Paolo Buzzetti, presidente dell’Associazione nazionale costruttori edili (Ance), è persona seria. E la mette così. "Se parliamo di sollecitazioni di grado e accelerazione pari a quelle registrate all’Aquila, il cemento armato, se fatto a regola d’arte, deve reggere. Non si discute". Dunque, non è neppure un problema di rispetto di norme antisismiche. È un problema di cemento.
Paolo Clemente è d’accordo. "Purtroppo è così - dice - Quel cemento non era di qualità". Incapace di assorbire e disperdere energia, si è sfarinato come pasta frolla non appena investito da una forza di accelerazione che - spiegano gli addetti - è stata, domenica notte, tutt’altro che irresistibile. "Un buon cemento - dice l’ingegnere Alessandro Martelli, responsabile della sezione Prevenzione Rischi Naturali dell’Enea, professore di Scienza delle costruzioni in zona sismica all’università di Ferrara - deve essere in grado di sostenere un carico che oscilli almeno tra i 250 e i 300 chilogrammi per centimetro quadrato. Questa è la regola che dovrebbe valere anche per edifici non proprio recenti. Diciamo dal ’70 in poi".
Non è sempre così. Anzi, molto spesso non è così. Qualche nome. Qualche luogo. Nel 2003, dopo il terremoto che nell’anno precedente ha devastato Molise, diverse regioni e comuni italiani sottopongono a verifiche statiche gli edifici scolastici. In Molise, il cemento del liceo "Romita" di Campobasso non regge più di 46 chilogrammi per centimetro quadrato (è sei volte sotto la norma).
In Sicilia, a Collesano, nell’entroterra di Cefalù, i pilastri della scuola superiore non vanno oltre i 68 chilogrammi per centimetro quadrato. L’asilo, i 12 chilogrammi per centimetro quadro. Il cemento - ricorda oggi chi condusse l’ispezione - si bucava con la semplice pressione dell’indice. Ciò che restava della sua anima di ferro era uno sfilaccio rugginoso e corroso.Cosa aveva messo in quel cemento chi aveva giocato con le impastatrici e le vite degli altri? E cosa hanno messo in questi anni nel cemento delle nostre case, delle nostre scuole, dei nostri uffici? E quanto ci hanno guadagnato?
Paolo Clemente risponde da ingegnere, con la rassegnazione di chi, purtroppo, sembra sveli un segreto di Pulcinella. "Normalmente, i cattivi costruttori utilizzano sabbia di mare. Costa niente, rispetto alla sabbia da cava. Il problema è che, oltre alle molte impurità, è piena di cloruro di sodio. E quei cloruri, con il tempo, si mangiano il ferro. I margini di guadagno sono alti. Diciamo che fatto 100 il costo della costruzione, chi gioca con la qualità del cemento arriva a guadagnare fino a 50, 60. Chi costruisce a regola d’arte è al 30".
Paolo Buzzetti, mercoledì sarà all’Aquila con una propria commissione tecnica dell’Ance. L’associazione, oltre ad essersi offerta per la ricostruzione della Casa dello Studente, promette un’accelerazione: "Io non amo i processi sommari. Ma deve essere chiaro che non vogliamo difendere tutti. Che chi ha sbagliato, pagherà. Perché per questi signori non c’è spazio nell’Associazione. Chiederemo che venga reintrodotta una figura di controllo che accompagni la costruzione di un edificio dall’inizio alla fine. Evitando che i subappalti, da strumento necessario di duttilità, diventino il ricettacolo di furbizie e illegalità. Ma ci batteremo anche perché il Paese esca dalla logica del ribasso. Quella che spinge molti, pur di stare nel mercato, a costruire a prezzi impossibili. Ad abdicare alla qualità e alla sicurezza".
Ansa» 2009-04-09 15:57
TERREMOTO, NAPOLITANO: OCCORRE ESAME DI COSCIENZA
L’AQUILA - Di fronte allo spettacolo di edifici di recente costruzione, distrutti dal terremoto e che hanno provocato tante vittime, Giorgio Napolitano dice: "Deve esserci un esame di coscienza senza discriminanti né coloriture politiche, riguardo a chi ha avuto responsabilità. Nessuno in questi casi dovrebbe chiudere gli occhi".
"Bisogna vedere - ha aggiunto Napolitano - come sia potuto accadere che non siano state attivate indispensabili norme, che erano state tradotte in legge e chiedersi anche come non siano scattati i necessari controlli. Nessuno in questi casi nessuno dovrebbe chiudere gli occhi. Né chi vende, né chi acquista un immobile. Ma al di là delle responsabilità, bisogna decidere - ha sottolineato il presidente della Repubblica - cosa è possibile fare, affinché tutto ciò non accada mai più. E questo si può fare non con profezie o impossibili previsioni dei terremoti, ma rendendo sicuri gli edifici, anche quelli più antichi".
Anche sul terremoto bisogna parlare il linguaggio della verità, dice Giorgio Napolitano, che vede "irresponsabilità diffuse" di fronte alla tragedia di edifici antisismici ugualmente crollati travolgendo vite umane. Il capo dello Stato cita la frase di "un’esponente dell’opposizione" che ha detto "nessuno è senza colpe". "Credo che abbia ragione", commenta.
Napolitano chiede "un esame di coscienza" che superi le preferenze politiche di ognuno "riguardo a chi ha avuto ragione e chi ha avuto torto o responsabilità in queste cose". L’esponente dell’opposizione che dice "nessuno è senza colpa", commenta Napolitano "é uno che di solito non è incline a fare affermazioni di questo genere". Lo dice come un’annotazione incoraggiante. "Qui non si tratta di liberarsi di ogni responsabilità ma - spiega il capo dello Stato - di capire veramente come sia potuto accadere che non ci sia stata l’attivazione indispensabile di norme di prevenzione che erano state tradotte in legge, o che ci sia stato un difetto nei controlli previsti. Sono irresponsabilità diffuse dei soggetti che in definitiva sono coinvolti nella costruzione di un palazzo o nell’acquisto di una casa. Nessuno in questi casi dovrebbe chiudere gli occhi. Né chi costruisce, né chi acquista, né chi è chiamato a fare i controlli". "E’ necessario un esame di coscienza - ribadisce Napolitano - per capire cosa è indispensabile e urgente fare perché mai più ciò accada non affidandosi a profezie o previsioni impossibili ma rendendo sicuri gli edifici di nuova costruzione e anche quelli più antichi".
"Quella che forse mi resterà più impressa dopo questa visita credo sia l’immagine di quella strada di Onna che il sisma ha praticamente disintegrato". Così si è espresso il presidente della Repubblica dopo la sua breve visita nelle zone più colpite dal sisma. "Lì - ha aggiunto Napolitano - non era questione di cemento o di solidità delle strutture: lì si era esposti alla forza brutale della natura". Il capo dello Stato ha concluso poi che porterà con sé anche l’immagine "di tutti quei volti di persone che hanno perso la casa, i familiari e soprattutto di quelli che hanno perso i loro bambini".
Napolitano esprime soddisfazione, "una soddisfazione che inorgoglisce il nostro Paese", rispetto ai soccorsi e agli interventi per assicurare una prima sistemazione agli sfollati del terremoto. "Si è fatto moltissimo, con questo "molto singolare e molto italiano sistema di Protezione civile, che somma soccorritori che appartengono ai corpi dello Stato e volontari". Ma bisogna anche pensare, aggiunge, al dopo, e anche a un dopo successivo. Il "dopo" riguarda la creazione, come si è fatto in occasione di altri terremoti, di alloggi provvisori ma più accoglienti delle tende, in attesa che si ricostruiscano le case che si potranno ricostruire. Perché, sottolinea il capo dello Stato, c’é anche da valutare la situazione di chi non potrà più tornare nella casa che abitava. Ma queste valutazioni, aggiunge, bisognerà farle ancora dopo. "Verrà il tempo per determinare, sulla base di valutazioni concrete e aggiornate, l’orientamento su cosa fare per questo, per maturare un orientamento che oggi sarebbe prematuro annunciare. Oggi dobbiamo solo dire che ci deve essere continuità di impegno da parte dello Stato. Molte delle persone che ho incontrato oggi mi hanno detto: ’Non dimenticateci’. Il mio impegno è questo. Bisogna continuare con lo stesso slancio di questi giorni e trovando le risorse finanziarie necessarie".
Al termine della visita nelle zone terremotate dell’Abruzzo Napolitano si dice "molto colpito" da tutto ciò che ha visto. "Ogni immagine resterà impressa nella mia mente". In particolare, il capo dello Stato parla con "ammirazione" dello sforzo sinergico per i soccorsi, che ha visto sommarsi l’intervento dello Stato centrale con quello delle Regioni e dei Comuni. E anche delle organizzazioni volontarie. La stessa ammirazione, Napolitano la esprime verso la popolazione ricoverata nelle tendopoli: "Ho visto una grande dignità, compostezza e spirito di adattamento. Molti si sono espressi dicendo ’Siamo vivi!’, un’espressione che dice l’apprezzamento per aver avuta salva la vita, una consapevolezza che fa accettare tutti i sacrifici necessari per tornare alla normalità". In particolare, Napolitano ha parlato del triste spettacolo della devastazione del borgo di Onna, dove le case si sono sbriciolate e ha trovato la morte il 20-30% degli abitanti. "Lì non c’entra nulla il cemento. Quelle erano povere case contadine, esposte alla furia della natura". "Tra le cose che ricorderò - conclude - c’é la voce di chi mi ha parlato dei suoi cari rimasti sotto le macerie".
Cronaca di una strage annunciata
Il ’bombardamento’ de L’Aquila
di M. Bucciantini e R. Rossi inviati a L’Aquila
Il bombardamento dell’Aquila è stato preparato con cura da Madre Natura. Con duecento colpi di cannone, da dicembre fino all’affondo mortale, domenica notte, alle 3 e 32 e per venticinque secondi: 6.3 gradi della scala Ricther (8/9 di quella Mercalli). Imprevedibile, si dice dei terremoti. Tragedie troppo enormi sulle nostre coscienze per lasciare anche colpevoli. Spesso le frasi fatte sono un rifugio, un alibi: qualcuno l’aveva detto, e non era solo il sismologo che girava con il suo megafono, inascoltato e deriso. Madre Natura aveva sussurrato piano e urlato forte: duecento scosse in tre mesi e mezzo, dunque. In questi paesi non si parlava d’altro. Le locandine sopravvissute - quelle dei giornali in edicola domenica - scrivono le preoccupazioni per il brontolare perpetuo della terra. Duecento scosse e nemmeno un breve servizio nei telegiornali nazionali. I grandi media hanno ignorato questo pezzo d’Italia silenzioso, questo popolo oscuro e colpevole di saper soffrire più di quanto merita.
Una settimana di allarmi
I ragazzi avevano telefonato otto giorni fa, spaventati dall’aria che tremava. Erano in 140 nella casa dello studente e dopo quell’avvertimento - «si sentivano scricchiolare i muri» - più della metà aveva deciso di rientrare dai genitori, anticipando le vacanze pasquali. Chi era rimasto, aveva preso un’agghiacciante abitudine: «Ci incontravamo in piazza del Duomo, senza darci appuntamento: ogni scossa, fuggivamo dalle stanze per trovarci là». Giulia Yakihchuk, «ucraina ormai abruzzese», racconta le sere in piazza a far passare la paura. Telefonando ai vigili del fuoco, cercando informazioni e qualcuno che spiegasse quest’inverno inquieto. «Non ci hanno mai risposto». Esperti, ragazzi, Madre Natura, giornali locali: ecco chi aveva avvisato. Poi la terra è diventata infame e feroce, 150 morti per adesso - chissà quanti altri - e i feriti dieci volte tanto, e 100 mila sfollati. «La più grande tragedia di questo millennio», fa Bertolaso, ancora una volta l’uomo dell’emergenza. In questo rimediare, si può essere fieri: lo spendersi di forze dell’ordine, volontari, gente comune è enorme e commovente. L’Italia che reagisce è sempre alta, nobile, «concorde» come la vuole oggi Berlusconi.
Polemiche
Poi, quando le strade saranno lavate, si dovranno ascoltare i pompieri come Sante, in servizio da diciotto anni, venuto con la squadra di Roma: «Ma che cemento è? Che cemento di merda è?» e indica le crepe sulle fiancate della Casa dello studente. Il luogo simbolico della tragedia, del paese che divora i suoi figli. La provincia dell’Aquila è classificata al massimo grado di allerta per il pericolo sismico. E si raggiunge da poche e non semplici strade. Montagne e valli da presenziare costantemente. Invece tocca raccattare bare e tende e per metà giornata i morti restano stesi in fila nel campo della disgraziata Onna. Ma adesso tocca a loro, a Maurizio, un quarantenne veneto di Valdobbiadene. Lavora con gli elicotteri del 118. Un alpinista scavato in viso. Sta salendo verso piazza Duomo. Alle otto di mattina ha già tirato fuori cinque persone dalla macerie. Tutte vive tranne l’ultima: una bambina di 10 anni. «Per quattro ore ho scavato a mani nude - dice - tra le i detriti di un palazzo in via XX settembre». Ne sono crollati tre. «I vigili del fuoco sono arrivati dopo un ora e mezza. Erano in quattro, non avevano un piccone, una scala, luci di emergenza. Non erano preparati». Nonostante le continue denunce. Annarita Tartaglia, insegnante, aveva scritto pochi giorni fa: «Il Convitto nazionale di corso Principe Umberto non è sicuro. L’avevo fatto presente al comune». La struttura adesso è sventrata. Alcuni studenti sono riusciti a uscire in tempo. Altri sono rimasti feriti senza che nessuno li soccorresse. Sono arrivati prima alcuni genitori da Pescara che le ambulanze dall’ospedale. Forse perché anche quello non c’è più. Era stato costruito nel 2002. Con quanto e quale cemento lo stabilirà la magistratura: si è sgretolato come fosse sabbia. Come l’Hotel Duca d’Abruzzo, poco distante dal centro. Si è accartocciato su se stesso. Come i paesi intorno alla città. Da lontano l’Aquila sembra una città in guerra, fumante e colpita al cuore, vinta, i muri bacati, e poi sventrati su su fino alla cupola abbattuta della vecchia chiesa. Le strade segnate: I volti persi di chi lotta a mani nude contro le bombe: «Sto scavando, sotto c’è mia madre». E sopra di lei almeno dieci metri di detriti. Sulla casa dei ragazzi ci sono gli occhi fissi di Luigi Alfonsi, 23 anni, che guarda quel cemento “armato” , e lo guarda ancora, crepato, “disarmato”, e quei fili di ferro piegati come fossero giunchi, e promette, lui che studia Ingegneria civile, che è ancora vivo e ha gli occhi piccoli e verdi arrossiti dalla polvere e bruciati dal pianto: «Una casa così non la farò mai, credetemi». Dobbiamo crederci.
* l’Unità, 07 aprile 2009
Le colpe del malpaese
Dopo la solidarietà sarà necessario compilare l’inventario delle responsabilità
di Giovanni Valentini (la Repubblica, 07.04.2009)
Non è certamente colpa di nessuno, tantomeno del governo in carica, se scoppia un terremoto nel cuore della notte e devasta un’area sismica già censita nelle mappe della paura, provocando una dolorosa catena di rovine, morti e feriti. Quando l’instabilità del territorio si combina purtroppo con la violenza della natura, il cataclisma diviene inarrestabile e l’uomo non può che arrendersi alla fatalità.
È doveroso ora far fronte all’emergenza, soccorrere le vittime, assistere i sopravvissuti, ripristinare al più presto condizioni di vita normali e dignitose per tutti. Ed è senz’altro opportuno accantonare per il momento qualsiasi polemica contingente, per concentrare gli sforzi in un impegno comune di solidarietà. Ma subito dopo sarà necessario anche compilare l’inventario delle responsabilità, remote e recenti, non solo per accertare che sia stato fatto davvero tutto il possibile per prevenire un evento di tale portata, quanto per impedire che possa ripetersi in futuro o perlomeno per contenerne eventualmente l’impatto.
Non vogliamo riferirci qui tanto alla "querelle" fra il tecnico che nei giorni scorsi aveva lanciato l’allarme e l’apparato della Protezione civile, sostenuto dall’establishment del mondo scientifico, secondo cui un terremoto non si può mai prevedere. Sarà pur vero che i sintomi registrati dai sismografi o da altre apparecchiature non consentono di predisporre per tempo un intervento funzionale, cioè un’evacuazione di massa delle case, dei paesi e delle città. È altrettanto vero, però, che in questo caso i segnali sono stati evidentemente trascurati e sottovalutati, fino al punto di mettere sotto inchiesta l’incauto tecnico in virtù di un paradosso giuridico che prende il nome di "procurato allarme".
La questione fondamentale è un’altra e si chiama piuttosto "cultura del territorio". Vale a dire conoscenza e rispetto della natura; sensibilità e cura per l’ambiente; tutela del paesaggio e ancor più della salute, della vita umana, di tanti destini in carne e ossa che in quel territorio incrociano la propria esistenza. Non c’è pietà per le vittime e per i sopravvissuti di questo o di altri terremoti, come di ogni disastro naturale, senza una consapevolezza profonda di un tale contesto e senza una conseguente, concreta, quotidiana assunzione di responsabilità.
Fuori oggi da una sterile polemica politica, non si può fare a meno tuttavia di registrare l’enorme distanza - propriamente culturale - fra un approccio di questo genere e il cosiddetto "piano-casa" recentemente varato dal governo di centrodestra, nel disperato tentativo di rilanciare l’attività edilizia. In un Malpaese che trema distruggendo - insieme a tante speranze e a tante vite - abitazioni, palazzi, ospedali, scuole e chiese, e dove ancora aspettano di essere ricostruiti gli edifici crollati nei precedenti terremoti come quello del Belice di quarant’anni fa, la priorità diventa invece la stanza in più, la mansarda o la veranda da aggiungere alla villa o alla villetta, in funzione di quel consumo del territorio che si configura come un saccheggio privato a danno del bene comune.
Non saranno magari le fughe di gas radon emesse dalla terra in ebollizione - come predica l’inascoltato ricercatore abruzzese - a permetterci di prevedere i terremoti, ma verosimilmente una rigorosa prevenzione anti-sismica può aiutarci a ridurre al minimo i danni e soprattutto le vittime. Tanto più nelle regioni e nelle zone dove il rischio è notoriamente più alto. Ecco una grande occasione per rilanciare l’attività edilizia nell’interesse generale, non già al servizio della speculazione immobiliare ma semmai in funzione di un investimento umano e sociale sul territorio.
Con i 150 morti finora accertati, i mille e cinquecento feriti, i settantamila sfollati, i diecimila edifici crollati o danneggiati, il triste bollettino di guerra che arriva dall’Abruzzo interpella una volta di più le ragioni di un "ambientalismo sostenibile": cioè, pragmatico, costruttivo, effettivamente praticabile. Di fronte al primo cataclisma del nuovo millennio, quello schieramento composito e trasversale che vuole difendere l’immenso patrimonio naturale, storico e artistico dell’Italia dagli egoismi individuali, è chiamato a misurarsi più che mai con la sfida della concretezza. Superata l’era delle vecchie ideologie, rosse o verdi che fossero, ora c’è da impugnare la bandiera del realismo civile.
La prevenzione che non c’è
Data di pubblicazione: 07.04.2009
Autore: De Marco, Roberto
Le macerie dell’ultimo terremoto costituiscono uno scenario immutabile nel tempo, lo sfondo sul quale più o meno si rappresenta lo stesso copione, almeno sul piano della espressione di intenzioni. Si promette il rapido superamento dell’emergenza fino al raggiungimento di normali condizioni di vita; in tempi contenutissimi si garantisce il passaggio dalle tende alle case; infinela ricostituzione del tessuto produttivo ed infrastrutturale come occasione di sviluppo dell’area. Tutte cose mai avvenute: il ritorno ad una vita normale è lungo e doloroso; il passaggio dalle tende alle case comporta una lunga permanenza in alloggi provvisori per una costosissima ricostruzione quantomeno decennale; per l’Irpinia del terremoto dell’80 si progettò quel tipo di sviluppo che fu poi costellato di illegalità e cattedrali nel deserto. Come ultima cosa si dice che quanto accaduto non dovrà mai più capitare; e si promette un impegno inderogabile sul terreno della prevenzione sismica.
Il 28 dicembre del 2008 si è celebrato l’anniversario del terremoto di Reggio Calabria e Messina. Tante paginate di giornale sulla tragicità di quell’evento, tante commemorazioni, ma la questione su cui concentrare l’attenzione doveva essere soprattutto un’altra. Il Governo Giolitti, terrorizzato dall’immane sciagura, pochi mesi dopo inaugurò infatti la prevenzione sismica in Italia. Da quel tragico evento in poi, chiunque avesse voluto costruire un edificio in un comune iscritto nella lista di quelli sismici, lo avrebbe dovuto fare rispettando una specifica normativa in grado di conferire una più elevata resistenza agli edifici. Da allora, dopo ogni terremoto più o meno distruttivo, nuove porzioni di territorio nazionale sono state classificate: nel 2001 il territorio nazionale appariva classificato come sismico per oltre il 70%. Ma, ad una così ampia delimitazione delle zone dove le esperienze vissute dimostravano la ricorrenza del fenomeno, non ha corrisposto un analogo riscontro in termini di azione di mitigazione del rischio: dopo un secolo di attivazione dell’unico strumento organico di prevenzione, oggi, solo il 18% degli edifici, rispetto all’intero stock di edificato, risulta sismicamente protetto.
Bene, dalle immagini di L’Aquila e dintorni emerge un’enorme assenza di sicurezza e, in queste primissime ore di post-terremoto, nel rispetto delle vittime e delle strutture di soccorso che stanno cercando di fare il loro meglio per risolvere l’emergenza, emerge una macroscopica mancanza di prevenzione, il che induce ad alcune considerazioni a caldo, salvo poi ritornare, con maggior cognizione di causa, su taluni aspetti.
Il terremoto ha colpito L’Aquila e alcuni piccoli paesi abbarbicati sui versanti della Conca dell’Aterno che danno l’impronta al paesaggio dell’Appennino centro meridionale. L’edilizia prevalente nel centro storico del capoluogo così come in quelli di Paganica, Fossa, Onna, Barisciano è intrinsecamente fragile, vulnerabile per caratteristiche tipologiche e costruttive. Insomma, rappresenta in modo emblematico l’elevato rischio sismico di cui è affetto il Paese, dovuto al patrimonio edilizio preesistente rispetto all’introduzione della classificazione sismica del territorio che ha iscritto i comuni dell’Aquila e di tutta la sua provincia dal 1915, quando il terremoto di Avezzano causò 30 mila vittime.
E’ necessaria, dopo quest’ultimo disastro, una riflessione sulla politica di prevenzione anche per queste tipologie edilizie, per i centri storici nel loro complesso, rispetto ai quali con tutta evidenza le iniziative intraprese attraverso strumenti di defiscalizzazione a favore degli interventi di manutenzione straordinaria, che hanno riguardato anche aspetti strutturali, non hanno risolto significativamente il problema. Insomma, i centri storici, ormai in modo diffuso, sono realtà che hanno riacquistato in questi ultimi anni una forte capacità attrattiva, sia sul piano residenziale che turistico. Si riqualificano sul piano estetico, si ristrutturano nel senso della vivibilità, recuperando almeno in parte la loro indispensabilità sul piano socio-culturale, mentre purtroppo, sul piano della sicurezza, sembrano mantenere intatta la loro vulnerabilità.
E’ un problema di risorse? Certamente sì. Lo Stato avrebbe dovuto far di più onorando l’impegno, più volte assunto dopo ogni catastrofe, che la messa in sicurezza del territorio sarebbe diventata la più importante opera pubblica di questo Paese. Ma di soldi, per esempio, ai Beni culturali ne sono stati dati, di interventi ne sono stati fatti, anche qui con esiti a dir poco incerti. Allora, di fronte ai disastri delle chiese e dei monumenti del capoluogo abruzzese emerge un problema di progettazione, di capacità tecniche, di giusta sintesi tra l’esigenza di proteggere dalla distruzione ed i vincoli della conservazione.
Ed infine c’è il cemento armato. Perché gli edifici in cemento "moderni" collassano, si impilano su stessi non lasciando nessuno scampo a chi li abita? Come sostiene qualcuno è un problema più da Procura della Repubblica che tecnico. D’altronde, la normativa sismica pretende che la nuova edilizia nei comuni classificati, e quindi soprattutto gli edifici in cemento armato, consenta di salvare la vita degli occupanti, pur subendo danni, e quindi non ammette giustificazioni spendibili in linea generale. Soprattutto di fronte a ciò che è avvenuto a L’Aquila oggi, alla scuola di San Giuliano di Puglia ieri e all’Ospedale di Sant’Angelo dei Lombardi l’altro ieri.
In senso generale, si può affrontare un ultimo tema legato direttamente al concetto di sicurezza oltre che, evidentemente, alla tutela del territorio. Per chi si occupa di riduzione del rischio sismico, ma in realtà anche di tutte le altre tipologie di rischio naturale, il termine "condono" rappresenta una sorta di anatema, di cupo presagio. L’abusivismo, che i condoni incrementano, soprattutto diffuso nelle aree meridionali del Paese dove più elevata è la pericolosità sismica, ha assunto dimensioni devastanti, e chi costruisce illegalmente non si preoccupa né delle qualità dell’area di sedime né delle caratteristiche strutturali. La speculazione costruisce e basta; realizza qualcosa che poi, una volta condonato, qualcuno abiterà non sapendo che un terremoto abbastanza forte lo potrà tirar giù come fosse di cartapesta. Certo, oggi un nuovo condono in Italia è improponibile, ma si affaccia la minaccia di appendici e superfetazioni di ogni tipo. Basta che non superino il 20% di quanto già costruito abusivamente e poi, magari, condonato.
La morale del cemento
di Francesco Merlo (la Repubblica, 08.04.2009)
Chi ha letto il racconto di Gateano Salvemini, che si salvò dal terremoto di Messina appeso a un davanzale, sa che dai sismi e dalle loro tragedie si possono trarre motivi per potenziare la ricerca, l’attività e la strategia anche intellettuale di un popolo. Pure Benedetto Croce perse i genitori in un terremoto e ne trasse un carattere italiano di grande equilibrio, di prudenza e di stabilità.
Insomma i terremoti fanno purtroppo parte della storia del nostro paese e del paesaggio delle nostre anime, magari nascosti negli anfratti del carattere nazionale. Non sono emergenze, sono violenze naturali antiche che si affiancano alle violenze sociali, alle mafie, al brigantaggio, alla corruzione.
E però in Italia la magistratura ha giustamente avuto una grande attenzione vero il fenomeni della mafia e della corruzione: abbiamo dedicato seminari, libri, studi, campagne politiche e morali e sono nati persino dei partiti antimafia e anticorruzione. Ebbene, sarebbe ora che l’Italia si dotasse di una squadra di moralisti antisismici, di legislatori antisismici, di un pool di pubblici ministeri che mettano a soqquadro i catasti, gli assessorati all’urbanistica, le sovrintendenze, gli uffici tecnici, i cantieri. Non è possibile che ad ogni terremoto il mondo scopra stupefatto che l’Italia, l’amatissima Italia, è un Paese senza manutenzione.
A leggere i giornali internazionali di questi giorni si capisce subito che un terremoto in Italia non ha lo stesso effetto di un terremoto in Giappone. Anche quando non vengono colpite le città d’arte, come Firenze o Perugia, l’Italia in pericolo coinvolge di più di qualsiasi altro luogo. In gioco - ogni volta ce ne stupiamo - ci sono infatti la nostra bellezza e la dolcezza del vivere italiano, e poi i musei, il paesaggio� È solo in questi casi che ci accorgiamo come gli altri davvero ci guardano: non più sorrisi e ammiccamenti, ma dolore e solidarietà per un paese che è patrimonio dell’umanità.
Ebbene è la stampa straniera a ricordarci che ci sono città italiane incise dalle faglie, e dove le bare per i morti e l’inutile mappa dei luoghi d’incontro dei sopravvissuti sono i soli accorgimenti antisismici previsti. Ci sono città dove la questura, la prefettura, gli ospedali sono ospitati in edifici antichi che sarebbero i primi a cadere. Dal punto di vista sismico, della vulnerabilità sismica, non esiste un sud e un nord d’Italia, non esiste un paese fuori norma contrapposto a un paese nella norma. L’Italia, come sta scoprendo il mondo, è tutta fuori norma. Nessuno costruisce nel rispetto degli obblighi di legge che - attenzione! - non eviterebbero certo i terremoti che uccidono anche in Giappone e in California, anche dove la legge è legge. Neppure lì i terremoti sono prevedibili. Non ci sono paesi del mondo dove le catastrofi naturali non procurano danni agli uomini e alle cose.
Ma le norme antisismiche sono al tempo stesso prudenza e coraggio di vivere, sono la stabilità di un paese instabile, la fermezza di una penisola ballerina, sono come le strisce pedonali e la segnaletica stradale che non evitano gli incidenti ma qualche volta ne contengono i danni, ne limitano le conseguenze, ti mettono comunque a posto con te stesso e con il tuo destino. Colpisce invece che la sfida alla natura in Italia sia solo e sempre verbale: "immota manet" è il motto della città dell’Aquila ed è un paradosso, un fumo negli occhi, un procedere per contrari, una resistenza al destino che ne rivela la completa, rassegnata accettazione: la sola immobilità dei terremotati è la paura, è la paralisi.
Da sempre i terremoti intrigano i filosofi e gli scienziati. Si sa che dopo un terremoto aumentano i matrimoni e le nascite che sono beni rifugio, e si formano nuove classi sociali, si riprogetta la vita come insegna appunto Salvemini. Ma le catastrofi attirano gli sciacalli, economici certo ma soprattutto politici e morali. Ricordo che, giovanissimo, nel Belice vidi arrivare i missionari delle più strane religioni, i rivoluzionari seguaci di ogni utopia e i ladri d’anima� I soli che in Italia non arrivano mai sono gli antisismici d’assalto; le sole competenze che ai costruttori non interessano sono quelle antisismiche; e a nessun italiano viene in mente, invece di ingrandire la terrazza, di rafforzare le fondamenta della casa.
Siamo i più bravi a rimuovere, a dimenticare i lutti, a non tenere conto che la distruzione come la costruzione crea spazi e solidarietà. L’Italia sembra unirsi nelle disgrazie. Nelle peggiori tragedie ci capita di dare il meglio di noi: sottoscrizioni, copiosissime donazioni di sangue, offerte di ospitalità� Davvero ci sentiamo e siamo tutti abruzzesi. Ci sono familiari volti e lacrime che sono volti e lacrime di fratelli. Sta tremando tutta l’Italia. E anche se non riusciremo a dominare la forza devastatrice della natura, mai più dovranno dirci che questo è un paese fuori dalla legge. Fosse pure un’illusione piccolo borghese, da impiegati del politicamente corretto, abbiamo bisogno di applicare tutti insieme la tecnica antisismica e di misurare il ferro che arma il cemento: abbiamo bisogno di costruttori, di sovrintendenti, di legislatori e di giudici di ferro.