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Mafia in San Giovanni in Fiore: sul dibattito aperto da Emiliano Morrone e "puntualizzato" da Domenico Barberio il punto di vista di Vincenzo Tiano

lunedì 23 ottobre 2006.
 

Sull’analisi fatta da Emiliano Morrone e “puntualizzata” da Domenico Barberio vorrei considerare quanto segue. Il primo dei due riconduce il degrado politico, sociale, economico a un sistema mafioso ben definito, il secondo in opposizione alla responsabilità (meglio irresponsabilità) individuale e politica dei sangiovannesi. Premettendo che le due visioni non sono affatto disgiunte - il sodalizio mafioso suppone l’irresponsabilità di cui parla Barberio - ritengo che occorra precisare il significato da dare al fenomeno mafioso. Se si assume il punto di vista strettamente giuridico-penale, per poter affermare l’esistenza della “mafia”, occorre dimostrare la presenza di associazioni di tipo mafioso e finora, se non erro, nessuno a San Giovanni è stato mai condannato per tale delitto. Prescindendo da tale aspetto, si può tentare di definire la mafia in termini sociologici. Morrone in questa accezione credo abbia parlato di mafia, quale “aggregato di persone avente scopo illecito o immorale”: prendo a prestito parole dell’Antolisei (Manuale di diritto penale. Parte speciale, II vol, Milano, 1966, 599); o in senso antropologico “un modo di sentire atavico” (Ingroia, L’associazione di tipo mafioso, Milano, 1993, 45). Così ragionando credo che nessuno abbia il coraggio di negare che a San Giovanni in Fiore la politica è quanto mai avulsa dalla moralità (evito di portare esempi perché fin troppo noti) e che la legalità istituzionale è sovente ignorata. Dal punto di vista delle espressioni (ma la sostanza forse non cambia), mi trovo più vicino alla posizione di Barberio: il degrado a San Giovanni in Fiore ha raggiunto livelli estremi e di certo non serve, come ha sapientemente rilevato Pierluigi Talarico, il tentativo di taluni di far passare la nostra città come un posto idilliaco dove le notti sono innevate anche d’estate, a meno che con la parola neve non si intenda la cosiddetta sostanza stupefacente. L’attività produttiva è quasi nulla se togliamo la produzione di bare e qualche prodotto tipico. I giovani non si occupano di politica e in genere la partecipazione è assente. Sarebbe interessante vedere quanti ragazzi militano in partiti. Eccetto quelli di “Azione giovani”, l’impressione che si ha è che i partiti siano frequentati da persone di mezza età e anziani. Il partito dei Ds quanti tesserati tra i 18 e i 30 anni registra? E gli altri partiti? Non sarà che i partiti sono troppo chiusi, reazionari, oltremodo devoti ai capi e impossibilitati di favorire opposizione e alternativa? I giovani, la maggior parte, studiano fuori e non condividono l’operato dei politici locali. Non manca chi vissuto sempre in loco ci si è abituato o chi figlio di Tizio non può parlare male di Caio o chi aspetta un tornaconto personale. A San Giovanni si è utilizzata e si utilizza l’emigrazione come esilio politico, talché chi intendeva e intende rimanere al potere non incontra alcun ostacolo. Personalmente, più che di mafia preferisco parlare di “dittatura”, sempre nel linguaggio figurato - il medesimo che forse utilizza Morrone parlando di mafia. Bologna, Roma, Milano, città universitarie, sono le isole del confino, le "feste della pacchiana" e "le miss estate florense" le adunanze della propaganda e del controllo sociale, le "notti bianche" le ostentazioni di grandezza per nascondere la miseria, i sorrisi e le strette di mano del sindaco la rassicurazione del capo carismatico, la cerchia dei professionisti la burocrazia accondiscendente, qualche giornalista il cronista di guerra. Ciò che manca è il terrore: certo non ci sono le squadre dei picchiatori, ma c’è un mezzo subdolo, il ricatto psicologico di non ricevere favori. Sulla mancanza di responsabilità sono d’accordo con Barberio. Datemi il nome di un politico-amministratore che ha mai pagato dal punto di vista politico per cattive scelte o dal punto di vista giuridico per lo sperpero di danaro pubblico. Nessuno: come in dittatura il potere non è assoggettato al controllo sociale e al diritto, è absolutus cioè sciolto. Alle prossime elezioni riscendiamo in piazza: la rivoluzione è necessitata e noi la conduciamo con le regole della democrazia. Vediamo chi ci appoggerà, prescindendo dagli aspetti personali e ideologici, e chi di nuovo salirà sul carro dei conservatori con rinnovata ipocrisia.

Vincenzo Tiano


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