Per solidarietà a Gianni Vattimo* ... una lettera a Prodi!!!
PACS... PACE, E RISPETTO DELLA DIGNITA’ E DEI DIRITTI DI TUTTI E DI TUTTE!!!
Lettera aperta a ROMANO PRODI
di Federico La Sala
ITALIA: PRESEPE 2006 d. C. !!! |
Manifestazione per i Pacs ANSA |
Caro Prodi
A proposito della proposta relativa alle coppie di fatto, ai patti di solidarietà ("Pacs" = Pax, Pace!!!), tutta la mia personale solidarietà contro l’attacco sferrato dall’Osservatore Romano, con l’accusa di essere strumentale (per raccogliere "tutti i voti rastrellabili sul territorio") e di portare lacerazioni nella famiglia ("La lettera di Prodi - scrive il quotidiano del Vaticano - chiama direttamente in causa nella competizione politica la famiglia, la realtà naturale alla quale sono naturalmente inclini l’uomo e la donna. Una realtà fondata, come la stessa Costituzione italiana ammonisce, sul matrimonio. Un tentativo, dunque, di relativizzare e ideologizzare la realtà della famiglia. Una lacerazione inaccettabile")!!!
In verità non c’è di che stupirsi, vista la ‘crociata’ di tutta la gerarchia scatenata - sposando punti di vista e posizioni biologistiche e (quelle sì) strumentali, in occasione del referendum sui quesiti della Legge 40/2004, che non hanno niente a che fare con la nostra Costituzione!!!
Anzi, proprio accogliendo e portando avanti la ’sacro-santa’ proposta dei "Pacs", credo sia ora di fare chiarezza con queste posizioni della gerarchia della Chiesa Cattolica, che di eu-angelico e di costituzionale non hanno nemmeno l’odore! La buona novella - se non sbaglio - sta proprio nel fatto che Gesù è il figlio dell’Uomo (del Genere umano, di Maria e di Giuseppe !!!) e di Dio (= Amore, come rivelato dallo stesso Gesù!!!) e che tutti gli esseri umani sono fratelli e sorelle di Gesù, figli e figlie dello stesso Spirito Santo, Padre di ’Maria’ e ’Giuseppe’ e ... Nostro, così come - per altre vie e non diversamente - è anche è detto nella nostra Costituzione (art. 3), tutti e tutte hanno "pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali".
Che la gerarchia della Chiesa Cattolica e l’Osservatore Romano la smettano di offendere uomini e donne di tutta l’Italia e di tutta la Terra e facciano finalmente pulizia in casa propria e camminino davvero sulla strada della verità e della riconciliazione!!! Che la smettano di proporre se stessi, e la stessa figura di Gesù, come figli della Madonna ("mammasantissima") e di Dio!!! Oggi in Italia e nel mondo tutti i cittadini e le cittadine e tutti gli esseri umani sono ben consapevoli di essere figli della relazione e dell’amore di due persone, dell’ Amore di ’Maria’ e ’Giuseppe’....e se non lo sanno ancora è proprio perché proprio la Chiesa cattolico-romana propone un modello di famiglia dove la figura di Giuseppe è negata, contro ogni evidenza sia del messaggio evangelico stesso sia della stessa conoscenza e saggezza dell’intera umanità. Sostenere che Gesù, ai suoi tempi, a chi gli chiedeva di chi sei figlio, rispondesse di essere figlio della Madonna e di Dio e non figlio dell’Amore ( = Dio) di Maria e Giuseppe, è come credere e sostenere che il nuovo patto di solidarietà proposto da Gesù a tutti gli esseri umani sia (come ha ben detto e chiarito Freud) uguale e riducibile a quello di Giocasta e di Edipo, della ’famiglia’ della madre-regina e del figlio che diventa suo sposo e re... E’ solo volontà di produrre una immane tragedia, personale e politica - ancora più grande di quella di..... prima di Cristo!!!
Caro Prodi
Proceda!!! Tutto il mio sostegno e il mio invito a continuare sulla strada di essere umani adulti, sia della ragione sia della fede! Buon lavoro e VIVA L’ITALIA !!!
Federico La Sala
(www.ildialogo.org/filosofia, 13.09.2005)
*
Il Sir: Vattimo fa apologia del peccato (Avvenire, 09.06.2006)
«Vattimo svolge una forte apologia di un preciso modo di vivere, dove il relativismo porterebbe, finalmente, alla conquista che qualunque cosa affermata avrebbe l’alto valore di verità; dove la relazione sessuale si libererebbe dall’essere luogo di trasmissione della vita, retaggio del passato; dove la terra, che sarebbe ormai sovrappopolata ed esaurita, riceverebbe un beneficio dal basso tasso di natalità; dove, questo è il punto finale, potrebbe affermarsi pienamente la cultura omosessuale». È la dura risposta del Sir al filosofo Gianni Vattimo che, in un’intervista apparsa su un settimanale on line, sosteneva che «se c’è un segno di decadenza nella Chiesa cattolica è questa ripetitiva predicazione del valore della vita, qualunque essa sia, purchè in grado di vegetare e di dar luogo a riproduzione».
Sull’argomento, nel sito, cfr.:
La Costituzione e la Repubblica che è in noi
La Sacra Unione di fatto
di Enzo Mazzi *
«Sacra Unione di Fatto», questa è la giusta definizione del modello cristianamente perfetto di ogni famiglia, incarnato da quella che tradizionalmente viene chiamata "Sacra Famiglia". Potrebbe sembrare una battuta spiritosa e dissacrante. È invece una reale contraddizione teologica irrisolta che il cristianesimo si porta dietro da quando è divenuto religione dell’Impero. Costantino si convertì al cristianesimo ma al tempo stesso il cristianesimo si convertì a Costantino. La nuova religione dovette cioè farsi carico della stabilità dell’Impero accettando di sacralizzarne alcuni capisaldi e fra questi proprio la famiglia. Fu un compromesso fatale.
Il cristianesimo non era nato per difendere la famiglia. Anzi all’inizio fu un movimento di superamento del concetto patriarcale di famiglia. La cultura e la teologia predominanti nella esperienza da cui sono nati i Vangeli è di un "radicalismo etico", quasi una rivoluzione, che si propone di oltrepassare la cultura e la teologia tradizionali: «Vi è stato detto..., io invece vi dico... » afferma Gesù in contraddittorio con sacerdoti, scribi, farisei. «Si trattò all’inizio di un movimento di contestazione culturale e di abbandono delle strutture della società» (G. Theissen, La religione dei primi cristiani, Claudiana, 2004). Basta pensare alla reazione di Gesù, in un episodio del Vangelo di Matteo: «Ecco là fuori tua madre e i tuoi fratelli che vogliono parlarti. Ed egli, rispondendo a chi lo informava, disse: "E chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?". Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: "Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre"».
Un orizzonte nuovo di valori universali si apre in realtà nel Vangelo col superamento del concetto patriarcale di famiglia: da tale oltrepassamento nasce la comunità cristiana, la nuova famiglia, "senza padre" o meglio con un solo padre «quello che è nei cieli». «Nessuno sia tra voi né padre né maestro... » dice infatti Gesù. Se è vero che «la realizzazione pratica dell’etos del diritto naturale non è possibile senza la vita della grazia», come ha sostenuto di recente il teologo della Casa pontificia, Wojciech Giertych al Congresso internazionale sul diritto naturale promosso dall’Università del papa, la Lateranense, se cioè bisogna rivolgersi alle scelte della grazia di Dio per sapere che cos’è la natura, allora bisogna concludere che Dio privilegia "l’unione di fatto" e non la famiglia. Insomma per dirla con parole semplici prima viene l’amore, l’unione, la solidarietà e poi viene il patto, la legge, il codice. Questa sembra l’essenza più profonda della natura umana. Lo dice plasticamente il Vangelo: «Il sabato (cioè la norma) è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato». Il compromesso con l’Impero portò alla attenuazione se non al fatale capovolgimento di un tale etos evangelico.
È questa una intrigante contraddizione per le gerarchie ecclesiastiche del "Non possumus" e della rigida Nota anti-Dico, per i preti, i cattolici e i laici del Family-day.
Una traccia vistosa e significativa di tale contraddizione si trova ancora oggi nel celibato dei preti, religiosi e religiose. Il dogma cattolico mentre considera biblicamente il matrimonio come «segno sacro dell’Alleanza nuova compiuta dal Figlio di Dio, Gesù Cristo, con la sua sposa, la Chiesa», d’altro lato ha bisogno di un segno opposto e cioè la verginità e il celibato per significare «l’assoluto primato dell’amore di Cristo» (cf. Compendio del Catechismo 340-342). Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 338 pone la domanda: «Per quali fini Dio ha istituito il Matrimonio?». La risposta è questa: «L’unione matrimoniale dell’uomo e della donna, fondata e strutturata con leggi proprie dal Creatore, per sua natura è ordinata alla comunione e al bene dei coniugi e alla generazione ed educazione dei figli». Il fine della "generazione/procreazione" fa parte strutturale della natura del matrimonio. Se esclude il fine della procreazione il patto matrimoniale è nullo. Al n. 344 e 345 lo stesso Catechismo dice: «Che cosa è il consenso matrimoniale? Il consenso matrimoniale è la volontà, espressa da un uomo e da una donna, di donarsi mutuamente e definitivamente, allo scopo di vivere un’alleanza di amore fedele e fecondo... In ogni caso, è essenziale che i coniugi non escludano l’accettazione dei fini e delle proprietà essenziali del Matrimonio». Addirittura al n. 347, il rifiuto della fecondità viene additato come peccato gravemente contrario al Sacramento del matrimonio: «Quali sono i peccati gravemente contrari al Sacramento del Matrimonio? Essi sono: l’adulterio; la poligamia, in quanto contraddice la pari dignità tra l’uomo e la donna, l’unicità e l’esclusività dell’amore coniugale; il rifiuto della fecondità, che priva la vita coniugale del dono dei figli; e il divorzio, che contravviene all’indissolubilità».
La contraddizione si avviluppa su se stessa e si incattivisce: Maria e Giuseppe escludendo dal loro matrimonio la fecondità naturale, per amore della verginità di Maria, secondo il Catechismo cattolico compiono un grave peccato.
Il Diritto Canonico conferma il dogma in modo apodottico in vari canoni. Specialmente il canone 1101 sancisce che è nullo il matrimonio di chi nel contrarlo «esclude con un positivo atto di volontà» la procreazione. È in base a queste enunciazioni dogmatiche e normative che il Tribunale della Sacra Rota emette quasi ogni giorno dichiarazioni di nullità del matrimonio, perché anche uno solo degli sposi può provare di aver escluso per sempre la procreazione al momento del consenso matrimoniale. I cattolici che si battono per la difesa e la valorizzazione della "famiglia naturale" e si preparano addirittura a scendere in piazza per scongiurare il riconoscimento delle unioni di fatto e l’approvazione dei Dico molto probabilmente non hanno mai riflettuto su queste contraddizioni, non le conoscono o le allontanano dalla loro coscienza e dall’orizzonte della loro fede. Esse invece sono invece parte integrante della stessa fede. Vediamo meglio perché. Il Vangelo di Matteo racconta che «Giuseppe, come gli aveva ordinato l’angelo del Signore, prese in sposa Maria che era incinta ed ella, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù». Il dogma cattolico aggiunge che Maria aveva consacrato in perpetuo la sua verginità al Signore e quindi nello sposare Giuseppe aveva escluso in maniera assoluta la procreazione, essendo Giuseppe pienamente consenziente con tale esclusione. "Maria sempre vergine", nell’intenzione e nei fatti. Così dice il dogma. Chi lo nega è eretico. Ma con questa esclusione positiva ed assoluta della prole, per lo stesso dogma cattolico e per il Diritto Canonico il matrimonio di Maria con Giuseppe è invalido. Maria e Giuseppe erano una coppia di fatto che oggi il Diritto Canonico non può riconoscere come vero matrimonio. Dio nel momento in cui decide di farsi uomo sceglie di crescere e di essere educato da una coppia, Maria e Giuseppe, che per il dogma e per il Diritto cattolico era unita di fatto in un matrimonio non valido e quindi non era vera famiglia: era appunto una Sacra Unione di fatto.
Dietro una spinta così forte proveniente del Vangelo, da anni ci siamo impegnati, come tanti altri, e con forti conflitti, a immedesimarsi nelle discariche umane prodotte nella "città delle famiglie normali". E lì abbiamo trovato bambini abbandonati per l’onore del sangue, ragazze madri demonizzate e lasciate nella solitudine più nera, handicappati rifiutati, carcerati privati della parentela, gay senza speranza, coppie prive di dignità perché fuori della norma, minori violentati dai genitori, mogli stuprate dietro il paravento del "debito coniugale". La "misericordia" del Vangelo ci ha imposto di non demonizzare anzi di accogliere la ricerca di forme di convivenza meno distruttive. Per purificare lo stesso matrimonio, non certo per distruggerlo. Quei bambini abbandonati, quelle ragazze madri, quegli handicappati, quei carcerati, quei gay, quelle vittime di violenze intrafamiliari, hanno avuto bisogno di "unioni di fatto", magari cosiddette "case famiglia", che se ne facessero carico. Poi anche le famiglie si sono aperte alle adozioni e agli affidamenti. Ma la breccia è stata aperta da "unioni di fatto".
Fine della famiglia tribale e delle sue discariche? Macché. Nuove emergenze incombono. La competizione globale, questa guerra di tutti contro tutti, riporta a galla il bisogno di mura. Il mondo del privilegio non accetta la condivisione e non ne conosce le strade se non nella forma antica della elemosina che oggi è confusa impropriamente con la solidarietà; conosce molto bene però l’arte dell’arroccamento. E di questo bisogno di blindatura approfittano i crociati della famiglia. Guardando bene al fondo, in nome di che si ricacciano in mare gli extra-comunitari? Sono estranei alla nostra famiglia e alla nostra famiglia di famiglie. La difesa a oltranza della famiglia canonica oggi è fonte di esclusione verso i dannati della terra. L’opposizione al riconoscimento delle nuove forme di solidarietà è nel profondo radice di violenza verso gli esclusi. La crociata contro le famiglie di fatto oggettivamente è egoista, oltre i bei gesti e le belle parole e oltre le stesse intenzioni, al di là delle apparenze. Non basta difendere la famiglia naturale. Bisogna ancora una volta guarirla.
È necessario riscoprire il primato dell’amore e della solidarietà oltre i confini di razza, etnia, famiglia, quell’amore responsabile e quella solidarietà piena che sono sacre in radice e rendono sacro ogni rapporto in cui si incarnano. Bisogna ritrovare le strade dell’apertura planetaria della famiglia, di una famiglia purificata e guarita, già annunciate dal Vangelo, nelle attuali esperienze delle giovani generazione e dei nuovi soggetti, con prudenza creativa, senza nascondersi limiti e pericoli, ma anche senza distruttive demonizzazioni.
* l’Unità, Pubblicato il: 12.04.07, Modificato il: 12.04.07 alle ore 14.21
Bagnasco: "Il no ai Dico?
Come a pedofilia e incesto"
Poi la Cei: "Male interpretato"
Il capo dei vescovi: "Domani si potrebbero legalizzare altre aberrazioni". Poi una nota : "E’ stato forzato il suo pensiero". Duri Pecoraro Scanio e Pollastrini. Mastella: "Atteggiamenti isterici". Berlusconi: "Vescovi liberi di esprimersi, ma i laici sono liberi di pensare il contrario
Intervista a: ROSA RUSSO IERVOLINO
Per il sindaco di Napoli «le famiglie si difendono costruendo asili, non intervenendo nelle decisioni del Parlamento»
«Certi vescovi io li manderei a fare i missionari»
di Marco Bucciantini (l’Unità, 01.03.2007)
«Ringrazio il Padreterno, in cui credo, perché sono “costretta” ad occuparmi dei problemi concreti delle famiglie, e non ho tempo da perdere in discussioni su quale sia la vera famiglia...»
Sindaco Iervolino, anche i vescovi credono in Dio. E non hanno dubbi: di famiglia ce n’è una sola. Inquadrare per legge altri tipi di convivenza significa iniziare scivolare su un crinale pericoloso, fino a sprofondare nella pedofilia o nell’incesto, già permessi in Olanda e Germania.
«Come si fa ad ascoltare queste cose? Non meritano commento. Non vi do modo di titolare: la vecchia cattolica contro i vescovi. Non facciamo il fronte anti-chiesa. È un consiglio strategico: i toni accesi non chiamano toni altrettanto accesi. Sono profondamente convinta della laicità dello Stato, non la considero minacciata dalle parole dei vescovi. L’altro giorno, intervenendo ad un convegno, De Mita ha detto: la Chiesa ha il dovere di testimoniare ciò in cui crede. Noi abbiamo il dovere di scegliere quello che è il bene massimo per la comunità concretamente possibile da raggiungere. E agire di conseguenza».
Qual è il bene massimo raggiungibile?
«Trovare una casa alle famiglie, alle coppie. Tutte le coppie. Questo significa difendere le famiglie. A Napoli abbiamo problemi di edilizia popolare, che va rilanciata. E siamo senza territorio per costruire, è tutto sfruttato, la densità abitativa è già massima». Trovata una casa, c’è da mandare i figli all’asilo. «Prima che diventasse sindaco Bassolino qui nemmeno esistevano. Ne ho trovati 17, adesso sono 25 e alla fine del mio mandato ne vorrei lasciare 50. Per un milione di abitanti sono pochi».
E quando i bambini crescono?
«Vanno per la strada, si perdono, sono inghiottiti dal traffico di droga, diventano corrieri. E noi sindaci siamo senza soldi per rafforzare l’assistenza sociale. Mi piacerebbe che qualcuno battagliasse con noi su questo fronte...».
Invece per i vescovi la minaccia per le famiglie sono i Dico...
«Questi vescovi che parlano così li manderei tutti in missione, a rendersi conto dei guai che tormentano la gente».
Come si argina l’attacco della Cei?
«Sostenendo il ruolo delle Istituzioni, lo Stato dove un Parlamento può e deve lavorare per trovare le soluzioni. L’ho detto alla Moratti, scesa in piazza a Milano per chiedere sicurezza. Le leggi non si fanno con i cortei. Con i Dico-day, con i family-day si combina poco».
Perché la Chiesa ha inasprito i toni, in un crescendo che nemmeno il cambio di guardia alla Cei ha rallentato?
«E che ne so? Chiedete a loro. Ognuno adotta il proprio stile. Io vado avanti, credo nello Stato laico, nella libertà di coscienza dei cattolici».
Da “vecchia cattolica” non prova imbarazzo?
«È un secolo che ci sentiamo in difficoltà. La mia generazione è quella del Concilio. Con Tina Anselmi, Maria Eletta Martini, Sergio Mattarella siamo finiti sotto accusa per aver fatto una scelta di sinistra, per noi l’unica coerente con i i principi di giustizia che un cristiano deve perseguire».
E adesso cosa insegue un sindaco cattolico?
«Sono qui, di sabato sera, a studiare il bilancio. È un’impresa. Ne dico una: il tribunale dei minori affida ai sindaci i bambini allontanati dai genitori che non possono crescerli, o perché in carcere, o coinvolti in problemi di droga o persi in altri guai. Le case-famiglia che si occupano di questi figli per conto dell’amministrazione le ho potute pagare fino al 2005. Sono 15 mesi che non abbiamo una lira da dare loro, ma i bambini che hanno in affidamento devono mangiare tutti i giorni...».
L’inganno dei valori
di BARBARA SPINELLI (La Stampa, 1/4/2007)
La nota pastorale dei vescovi sulla famiglia e sul pericolo rappresentato da leggi che regolino diritti e doveri di altre forme di convivenza ha fatto molta impressione, fuori Italia, ma per motivi diversi da quelli che immaginiamo. Non hanno colpito i toni della Chiesa, meno duri a ben vedere di quelli usati dall’ex presidente della Conferenza episcopale Ruini. Hanno colpito il timore che questi toni hanno suscitato in Italia, lo smarrimento diffusosi nella classe politica, il successo ottenuto in fin dei conti dall’intimidazione. Nel testo di Bagnasco non ci sono né anatemi, né la denuncia di comportamenti sessuali che la Chiesa continua a considerare anomali, devianti. In realtà quest’ultima non ha più bisogno della durezza per imporsi: i politici e la laicità si lasciano intimidire anche con poco, per poi farsi magari sorprendere quando lo stesso Bagnasco dice che da cosa nasce cosa, paragonando l’omosessualità a incesto e pedofilia (salvo in un secondo momento precisare di essere stato male interpretato). A tal punto sono oggi deboli politica e Stato laico, incapaci di difendersi, prede d’ogni sorta di gruppo di pressione. Affermatasi lungo i secoli, l’autonomia della politica da cultura e religione vacilla.
Quest’infermità della politica e delle leggi non è un fenomeno solo italiano. Valori e religione, cultura e morale privata occupano in gran parte dell’Occidente uno spazio centrale, privatizzando e abbassando la politica. Si vincono le elezioni su questi temi, si misura la popolarità dei politici su passioni sino a ieri intime come la paura, l’amore. Assistiamo alla restaurazione di grandi colpe, grandi peccati, e alla sete di punizione che la restaurazione promette.
Colpe sessuali soprattutto, visto che politici stampa e la stessa gerarchia ecclesiastica son divenuti indifferenti a mali ben più cruciali come l’illegalità, la mafia, il rubare, il guerreggiare senza casus belli. Vengono fabbricati anche capri espiatori per questa politica intimista: lo straniero, l’omosessuale, perfino il malato. Il benefico tabù che dai tempi di Auschwitz protegge l’ebreo non vale, singolarmente, per le altre vittime dei Lager: omosessuali, zingari, malati psichici. Per quanto concerne l’Italia non è nuovo. Negli anni 60-70 fu Pasolini, il diverso da abbattere mettendo la giustizia a servizio di quello che venne definito, da un pubblico ministero nel ’63, il comune sentire della «stragrande maggioranza degli italiani che non trova voce per esprimere le proprie idee». In uno splendido saggio su quei processi, Stefano Rodotà scrive nel ’77 che Pasolini è «la somma di tutti i vizi, e incarna il sogno di chi vorrebbe il Male con una sola testa per decapitarlo con un colpo solo».
Evocare oggi quei processi aiuta a ricordare due cose. Primo, l’aureola di normalità che non da oggi circonda la famiglia. Secondo: le forze che l’hanno aureolata, complici fascisti, democristiani e comunisti. È una verità che la sinistra dimentica, quando oggi ripesca nelle proprie tradizioni la famiglia col tempo abbandonata. La cultura familistica e puritana era potentissima, in Urss come in Europa, e in Italia sfociò nell’esecrazione di Pasolini come di Aldo Braibanti, il filosofo omosessuale condannato per plagio nel ’69. Quando Pasolini fu espulso dal Pci per «indegnità morale», nel ’49, sull’Unità apparve un commento di Ferdinando Mautino, della Federazione di Udine, in cui si denunciavano «le deleterie influenze di certe correnti ideologiche e filosofiche dei vari Gide, Sartre, di altrettanti decadenti poeti e letterati, che si vogliono atteggiare a progressisti, ma che in realtà raccolgono i più deleteri aspetti della degenerazione borghese». Se in Italia si infranse il mito del collettivo puro e incontaminato - collettivo della famiglia o del partito, le due purezze erano congiunte - lo si deve ai radicali, non alla sinistra classica. La sinistra che oggi disseppellisce famiglia e comunitarismo non disseppellisce il meglio di sé ma il più asfissiante. Riscopre il Noi che sostituisce l’Io, il collettivo contro l’individualismo borghese. Non siamo i soli in Europa, abbiamo visto. Un analogo frantumarsi della politica avviene nella sinistra francese, oggi impersonata da quella donna fervente e ammaliata da Giovanna d’Arco che è Ségolène Royal. Anch’essa riscopre i valori della famiglia, convinta com’è che la politica sia impopolare non perché impotente, ma perché neutrale su questioni di morale privata. Nelle scorse settimane ha ascoltato Sarkozy appassionarsi per l’identità nazionale e s’è messa a rincorrerlo. Ogni famiglia, ha annunciato, dovrebbe avere in casa il tricolore, e come ai vecchi tempi appenderlo alle finestre alle feste nazionali.
La politica dei valori è un termine che rispetta poco il principio di non contraddizione - per definizione la politica governa valori discordanti - e s’è insediata in Occidente dopo l’esperienza Thatcher. Cominciò a propagandarla John Major, per fronteggiare il declino dei conservatori, quando parlò di «basic values»: una bandiera ripresa dal nuovo laburismo. L’ammirazione per Blair, a sinistra come a destra, non è casuale in Europa. Senza temere di contraddirsi, le sinistre stanno appropriandosi di slogan che in Francia appartennero alle destre di Pétain: travail-famille-patrie (lavoro-famiglia-patria) sembra quasi soppiantare fraternità libertà e uguaglianza. Il politico che propone questi valori può vincere un’elezione, ma alla lunga può perdere. Così come è perdente l’opposizione che ogni sera invita il governo a dimettersi. Quel che si ottiene è una politica che fa harakiri, incapace di legiferare con spirito laico. Di laicità si discute molto, e spesso a sproposito: viene descritta come un’ideologia dello scetticismo, del relativismo. Il cardinale Scola, a Rai 1, l’ha definita così: «Somiglia a una notte in cui le vacche son tutte nere». Questa tendenza a identificare lo Stato laico con una filosofia serve lobby e disegni di potere coltivati in nome di culture religiose. Se la laicità è una filosofia come le altre, allora tutte le filosofie, religiose o no, possono governare la città, imponendo o impedendo leggi. In Germania, nei giorni scorsi, si è giunti a una vera perversione. Un giudice ha negato il divorzio rapido a una giovane marocchina picchiata dal marito musulmano, perché sposandolo doveva sapere che il Corano concede il «diritto alla punizione corporale». Le gerarchie cattoliche rischiano derive non diverse, quando chiedono che una legge sia fatta o non fatta su indicazione della Cei.
La laicità non è un’ideologia. È un metodo che consente a individui di diversa cultura, a credenti e non credenti, di convivere senza distruggersi. È lo strumento che permette di separare la politica da fede e cultura, e di evitare che la sovranità sia spartita tra i due poteri, temporale e spirituale. La diatriba è antica. Nei primi del ’600, frate Paolo Sarpi considerava tale spartizione fonte di temibili turbolenze. Difendendo la Repubblica veneziana dalle pressioni del Vaticano scriveva che non era possibile l’esistenza di due poteri eguali e indipendenti, e che per la conservazione della «quiete» - oltre che per rispettare la parola di Cristo: «Il mio regno non è di questo mondo» - occorreva che leggi e politica spettassero solo al Principe. Era colpa della politica, aver delegato alla Chiesa sovranità che non le spettavano. Era una forma di superstizione, e la Chiesa che ne profittava era accusata di petulanza.
Questa tradizione non è mai venuta meno nel cristianesimo. Jacques Maritain parlava di «principi immutabili» e della superiorità spirituale della Chiesa sul Principe, ma sosteneva che la realizzazione dei valori doveva tener conto delle circostanze e dell’autonomia acquistata dalla società politica, attenendosi al principio pluralistico e a quello del minor male. Antonio Rosmini affermava che i privilegi erano una piaga cristiana, e che una Chiesa con meno privilegi era una Chiesa più libera dallo Stato. La sinistra riscopre la famiglia, Ségolène e Sarkozy rispolverano l’identità nazionale. In realtà non s’appropriano di valori trascurati o rubati. Si adeguano a quel che immaginano essere una volontà generale, presupponendo che essa sia bene interpretata da Le Pen, di cui tutti i candidati sono mimetici figli: Ségolène quando esalta il tricolore; Sarkozy quando elogia l’identità nazionale, il centrista Bayrou quando fa sapere che la virilità è quel che sua moglie ammira in lui.
I valori diventano così qualcosa di astratto: si fanno perfino guerre, in nome di nobili invenzioni. Maritain, ancora, diceva che soggetti di diritto dovrebbero essere non entità astratte come «verità» o «errore» ma le persone umane, prese individualmente e collettivamente. Altrimenti la realtà evapora, la persona concreta si fa invisibile. Sono invisibili le unioni alternative, in aumento ovunque perché la famiglia è in frantumi. È invisibile l’Europa, quest’insieme di persone che cercano di recuperare la sovranità perduta dalle patrie. Da queste cecità scaturisce la strategia dei Valori. L’astratto furore si presenta come nobile, ma abbassando il Principe corrompe sia la politica sia i valori.
Nuovo attacco sulle coppie di fatto del presidente Cei e arcivescovo di Genova. "Maggioranze vestite di democrazia possono diventare antidemocratiche"
Bagnasco: "Diciamo no ai Dico
come a incesto e pedofilia"
Secondo il numero uno dei vescovi difficile dire ’no’, "se cade il criterio antropologico dell’etica che è anzitutto un dato di natura e non di cultura" *
GENOVA - Perché dire no, oggi a forme di convivenza stabile alternative alla famiglia, ma domani alla legalizzazione dell’incesto o della pedofilia tra persone consenzienti? L’interrogativo, destinato a rinvigorire ulteriormente la polemica sui Dico, è stato posto dall’ arcivescovo di Genova e presidente della Cei, monsignor Bagnasco, durante un incontro nella serata di ieri con gli animatori della comunicazione della diocesi.
"Nel momento in cui si perde la concezione corretta autotrascendente della persona umana - ha affermato Bagnasco -, non vi è più un criterio di giudizio per valutare il bene e il male e quando viene a cadere un criterio oggettivo per giudicare il bene e il male, il vero e il falso, ma l’unico criterio o il criterio dominante è il criterio dell’opinione generale, o dell’opinione pubblica, o delle maggioranze vestite di democrazia - ma che possono diventare ampiamente e gravemente antidemocratiche, o meglio violente - allora è difficile dire dei no, è difficile porre dei paletti in ordine al bene".
"Perché - ha proseguito l’arcivescovo di Genova - dire di no a varie forme di convivenza stabile giuridicamente, di diritto pubblico, riconosciute e quindi creare figure alternative alla famiglia? Perché dire di no? Perché dire di no all’incesto come in Inghilterra dove un fratello e sorella hanno figli, vivono insieme e si vogliono bene? Perché dire di no al partito dei pedofili in Olanda se ci sono due libertà che si incontrano? E via discorrendo, perchè poi bisogna avere in mente queste aberrazioni secondo il senso comune e che sono già presenti almeno come germogli iniziali".
"Oggi ci scandalizziamo - ha concluso il presidente della Cei - ma, a pensarci bene, se viene a cadere il criterio antropologico dell’etica che riguarda la natura umana, che è anzitutto un dato di natura e non di cultura, è difficile dire ’no’. Perché dire no a questo a quello o a quell’altro. Se il criterio sommo del bene e del male è la libertà di ciascuno, come autodeterminazione, come scelta, allora se uno, due o più sono consenzienti, fanno quello che vogliono perché non esiste più un criterio oggettivo sul piano morale e questo criterio riguarda non più l’uomo nella sua libertà di scelta ma nel suo dato di natura".
* la Repubblica, 31 marzo 2007
La Cei attacca i Dico: «Sono pericolosi e inaccettabili» *
Ci mancava l’attacco ai Dico di giornata. La Chiesa se ne era dimenticata e recupera subito. Ci pensa il nuovo presidente della Cei, Angelo Bagnasco. L’arcivescovo di Genova ha tenuto la sua prima prolusione al consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana, una sorta di parlamentino dei vescovi italiani a cui prendono parte 31 presuli su un totale di circa 250. C’era grande attesa per quanto avrebbe detto: le sue prime parole sono state una riaffermazione della fedeltà dei vescovi italiani al Papa e della continuità con la linea del suo predecessore, il cardinal Camillo Ruini.
Proprio in esplicita continuità con «l’amato Ruini», Bagnasco ha ricordato la battaglia a favore del matrimonio e delle famiglie, che in soldoni vuol dire contro i Dico. Il neo presidente dei vescovi italiani ha ribadito infatti che l’episcopato italiano giudica il ddl sui diritti dei conviventi (i "Dico", appunto), l
Bagnasco ha messo poi le mani avanti cercando di difendersi dalle critiche: «Il dovere di parlare del matrimonio come invalicabile bene dato agli uomini per la loro felicità e per il loro futuro» e il suo Magistero al riguardo «non può essere interpretato come un sopruso, o come un’invadenza di campo, o come un gesto indelicato se non spropositato, o addirittura come una ricerca di potere temporale». «Se la Chiesa cercasse il potere, basterebbe imboccare la via facile dell’accondiscendenza», ha osservato Bagnasco sostenendo con le parole del Papa che invece «merita essere solleciti affinché le famiglie più esposte non cedano sotto le pressioni di lobbies capaci di incidere negativamente sui processi legislativi». «Proprio l’intenzione spirituale e pastorale - ha sottolineato - ci porta ad evidenziare il tema della famiglia. E a farlo con la serenità e la chiarezza che sono indispensabili». Grazie a questa serenità e chiarezza, i vescovi italiani metteranno a punto una nota contro il ddl sui "Dico", che sarà diffusa giovedì prossimo.
* l’Unità, Pubblicato il: 26.03.07, Modificato il: 26.03.07 alle ore 17.57
COMUNICATO STAMPA *
Bologna, 19 marzo 2007
FAMILY DAY: ASSOCIAZIONI OMOSEX ANNUNCIANO PARTECIPAZIONE
"ANCHE NOI IN PIAZZA SAN GIOVANNI CON LE NOSTRE FAMIGLIE"
"Anche noi parteciperemo alla manifestazione del 12 maggio per le famiglie, perché anche le nostre sono famiglie italiane". Lo annunciano in una nota congiunta le associazioni nazionali Agedo (ass. genitori di omosessuali), Arcigay, Arcilesbica, Famiglie arcobaleno (ass. papà e mamme omosessuali), e Liff (Lega italiana famiglie di fatto).
"Siamo famiglie italiane - si legge nella nota -. Siamo genitori di figli gay, che amiamo vedere felici con i propri compagni. Siamo coppie conviventi da vent’anni, senza diritti ma con un forte consapevolezza dei nostri doveri reciproci. Siamo mamme lesbiche che amano i propri figli, anche se per lo Stato una di noi due è un’estranea.
"Crediamo che le politiche per le famiglie vadano consolidate. Chiediamo più assistenza per gli anziani, più asili nido, più agevolazioni per le famiglie numerose, più case popolari. Chiediamo anche che questi interventi siano rivolti a tutta la popolazione, senza discriminare in base all’etnia, alla lingua, alla religione, all’identità di genere o all’orientamento sessuale.
"Rispettiamo la Costituzione della Repubblica italiana, che nel riconoscere all’art. 29 i diritti delle famiglie sposate, non vieta in alcun modo il riconoscimento di altre unioni e nulla toglie alle altre famiglie, e che agli articoli 2 e 3 rispettivamente ’riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità’, e sancisce che ’tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali’.
"Chiediamo il rispetto della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che all’art. 9 stabilisce in modo distinto il diritto a sposarsi e il diritto a costituire una famiglia, anche fuori del matrimonio".
"Per questi motivi e su questi presupposti parteciperemo alla manifestazione del 12 maggio per le famiglie italiane in piazza San Giovanni a Roma. Perché noi siamo famiglie".
* Ufficio stampa Arcigay
Monsignor Negri: «No alla comunione ai politici pro Dico»*
«Chi celebra l’Eucaristia non può poi tollerare e consentire leggi che sono evidentemente eversive dell’antropologia personale e familiare che dall’Eucaristia scaturisce». Dai microfoni di Radio Vaticana, il vescovo di San Marino-Montefeltro, Luigi Negri, spiega e chiarisce il richiamo del Papa alla «coerenza eucaristica» contenuto nella «Sacramentum caritatis» in cui Ratzinger ha invitato i politici cattolici a non votare le leggi «contro natura» come i Dico. «il culto gradito a Dio non è mai atto meramente privato, esso richiede la pubblica testimonianza della propria fede» intima Benedetto XVI ai politici italiani.
Ma cosa significa in termini concreti? Niente comunione per i politici cattolici che sostengono i Dico. «Non c’è da gridare allo scandalo se da questa centralità dell’Eucaristia vengono tirate conseguenze di carattere sociale sulla vita della famiglia, sulla sua responsabilità, sui suoi diritti educativi - spiega infatti monsignor Negri - l’Eucaristia è il fondamento dell’ecclesiologia, ma è anche il fondamento di un’antropologia, di un’esperienza umana che non è vissuta fuori dal tempo ma nella storia, nelle circostanze economiche, politiche, sociali, ambientali». «Ecco allora - spiega Negri - c’è un legame fra l’Eucaristia e la società, c’è un legame fra l’Eucaristia e coloro che nella società si assumono la responsabilità molto impegnativa di portare questa antropologia adeguata, come avrebbe detto Giovanni Paolo II, dentro la vita sociale».
Intanto la discussione sui Dico continua. Sul versante parlamentare il senatore dei Ds Cesare Salvi, presidente della Commissione giustizia di Palazzo Madama, ha ribadito che « i Dico non sono su un binario morto»: «Stiamo lavorando in Commissione giustizia - ha spiegato Salvi -, faremo una seduta a settimana, appena la discussione generale sarà conclusa avremo un comitato ristretto dal quale cercare di trovare un testo unificato che possa avere una condivisione larga in Parlamento».
Però i "teodem" affilano le armi. Sempre più certo che il 12 maggio gli "anti-dico" scenderanno in piazza per celebrare il "family day"(giovedì sera a Crotone la "prova generale" con 3mila persone in piazza) con la benedizione delle gerarchie ecclesiastiche . Famiglia Cristiana che «manifestazioni pacifiche e rispettose, per affermare pubblicamente le proprie convinzioni,qualunque esse siano, costituiscono il sale della democrazia».
Non tutti i cattolici però sembrano aderire in toto a questa visione.
Inoltre organizzazioni come le Acli hanno tenuto a ribadire l’autonomia dell’associazionismo proprio sul "famiily Day". «La nostra adesione dipende dal documento finale» ha detto il presidente delle Associazioni cristiane lavoratori ialiani, Andrea Olivero, riferendosi al fatto che .un "comitato di saggi" del mondo cattolico è stato incaricato di stendere un "manifesto" a sostegno della famiglia che costituirà la piattaforma della manifestazione.
Intanto cento esponenti cattolici torinesi hanno scritto una lettera aperta al cardinale Poletto in cui c’è una aperta critica al comportamento della Cei che - a giudizio dei firmatari - sta assumendo un ruolo improprio: «L’intervento nel dettaglio sulle decisioni politiche, col dare ai laici prescrizioni che non attengono alla missione episcopale» finisce per «ostacolare il necessario pluralismo». Così facendo l’episcopato assume «posizioni opinabili di una parte dei credenti contro gli altri, dividendo la chiesa e pretendendo di imporre uniformi scelte politiche». Una presa di posizione forte che arriva in una realtà come quella di Torino dove i rapporti tra il vescovo e i cattolici laici non sono facili. Due giorni fa infatti Poletto ha cancellato un incontro in programma con esponenti della Margherita e il giornale della Curia ha attaccato la proposta della giunta Bresso sulle unioni di fatto.
Polemiche e distinguo però anche nei Ds e in Rifondazione. Un gruppo di 19 militanti omosessuali della Quercia (in primis il deputato Franco Grillini) ha scritto una lettera aperta a Piero Fassino, Francesco Rutelli e Romano Prodi nella quale lamentano «continui attacchi alla dignità degli omosessuali italiani», lanciano «un accorato appello per il rispetto degli omosessuali» e chiedono «garanzie al costituendo Partito democratico, a partire dallo statuto». Ricordando le ultime dichiarazioni di Paola Binetti e Rosy Bindi sugli omosessuali, i firmatari spiegano: «Un partito non può che essere una comunità di donne e uomini liberi che si rispettano e che scelgono di costruire percorsi condivisi e battaglie comuni. In questo momento noi purtroppo non ci sentiamo affatto rispettati, tutelati da queste aggressioni continue che ci arrivano dall’interno, ora persino dal nostro governo. In un partito con chi ci discrimina e ci nega anche solo il rispetto e la dignità non potremmo mai entrare». ».
Caso anomalo invece quello di Massimo Colombo, dirigente di Rifondazione che si è dimesso dal partito in Liguria perché (dice il Giornale) sui Dico «il Papa ha dato una linea chiara, che intendo seguire. Purtroppo contrasta con le scelte del partito. Ma io credo nei valori della famiglia, ciò che dicono Chiesa e Vangeli per me deve essere uno stile di vita».
* l’Unità, Pubblicato il: 16.03.07, Modificato il: 16.03.07 alle ore 18.01
Le paure del Vaticano
di Enzo Mazzi (il manifesto, 13.03.2007)
Paura chiama paura e insieme, tenendosi per mano nell’intento di sostenersi reciprocamente, precipitano nel baratro. Non trovo altra spiegazione a questa politica fondamentalista e aggressiva praticata dai vertici della Chiesa cattolica. Perfino la tradizionale austera nobiltà dell’Osservatore Romano, il giornale istituzionale per eccellenza, si sta piegando alle esigenze dell’esorcismo della paura. Ne è un esempio l’attacco smodato con cui il quotidiano della Santa Sede si è scagliato ieri contro la manifestazione di sabato scorso in favore dei Dico, parlando di «manifestazione carnevalesca e irrispettosa».
Ma che sta succedendo nei sacri palazzi si domandano increduli in tanti, non solo cristiani critici ma cattolici devoti, teologi, preti, religiosi, suore e anche vescovi delle periferie. Un immenso assordante silenzio nasconde lo sconcerto del mondo cattolico. Una gerarchia resa insicura dal procedere inarrestabile della secolarizzazione e della libertà di coscienza nell’insieme della società e all’interno della Chiesa stessa, aggredita dalla paura che si sgretoli dalle fondamenta, come le mura di Gerico, l’imponente potere accumulato nei secoli, tenta disperatamente di salvarsi aggrappandosi alle angosce esistenziali, etiche, materiali, di una società altrettanto insicura.
Il cristianesimo è nato da un grande movimento popolare di liberazione dalla paura e ora il dominio della paura rischia di portarlo alla rovina. «Non abbiate paura, il crocifisso è risorto», dice l’apparizione di un messaggero celeste alle donne davanti al sepolcro vuoto.
Il crocifisso è, nel Vangelo, il simbolo di una società nuova che risorge dalla paura ed è destinata a soppiantare il vecchio mondo il quale per esorcizzare la paura della fine si allea ma inutilmente con la morte. Così nacque il cristianesimo. Così si sviluppò nei primi secoli quando i cristiani affrontarono impavidi le persecuzioni. Finché la croce divenne esibizione della sofferenza del Dio fatto uomo e fu usata quale chiave strategica con cui il cristianesimo si è imposto come religione universale vincente, offrendosi al tempo stesso all’Impero come strumento di stabilità e unità. E arrivò Costantino che s’impadronì di quella religione nata dalla liberazione della paura per rovesciarla in strumento essa stessa di paura: In hoc signo vinces, in questo segno vincerai, cioè nel segno della croce come sacrificio perenne.
Dopo due millenni è il cristianesimo che sta usando la crocifissione per salvarsi dalla paura: crocifigge le donne, i gay, i tanti Welby, le coppie di fatto, perfino preti e teologi che si appellano alla libertà di coscienza.
Ci vorrebbe anche oggi un «angelo» che di fronte ai sepolcri vuoti gridasse ai vertici ecclesiastici e in fondo a tutti noi: «Non abbiate paura, quelle e quelli che avete crocifisso sono risorti».
Una sveglia per i diritti di tutti. A Roma 50mila volte Dico
Prodi condanna i ministri in piazza*
Piazza Farnese a Roma è già piena una buona mezz’ora prima dell’inizio ufficiale, previsto per le 15,30. E la gente continua ad arrivare, ad accalcarsi in Campo dei Fiori, sotto quell’imperituro grido contro l’intolleranza che è il monumento a Giordano Bruno.
La giornata dei Dico nasce per iniziativa soprattutto dei movimenti omosessuali, ma qui sembrano esserci tutti, etero e omo, giovani e vecchi, famiglie e gruppi in festa. Arriveranno anche tre ministri - nonostante gli anatema di Clemente Mastella - e un centinaio di deputati. Tra loro, e tra i primi, Vladimir Luxuria, la deputata trans di Rifondazione comunista. Ha una grande sveglia rosa al collo, il simbolo di questa giornata che vuole suonare la sveglia ai legislatori.
Non è la manifestazione a favore dei Dico a essere contro il Governo, «ma il Family Day» dice Vladimir Luxuria. «I Dico fanno parte del programma dell’Unione», dice. Invece «il Family Day vuole strumentalmente farci pensare che è una manifestazione a sostegno della famiglia e se fosse così sarei io la prima a parteciparvi. Diversamente è soltanto una manifestazione antigovernativa, perché va contro un provvedimento come il Ddl sui Dico varato dal Governo».
È un popolo coloratissimo quello di piazza Farnese. Decine di bandiere arcobaleno con il simbolo dell’Arcigay sventolano nella piazza. Ci sono anche le bandiere dei Radicali, dei Ds, dei Giovani Socialisti, dell’unione degli atei e degli agnostici razionalisti oltre a quelle della Sinistra giovanile. Tanti anche gli striscioni tra cui quello che si riferisce proprio all’esecutivo e al destino dei Dico: «Il Governo lancia il sasso e poi nasconde la mano» e, ancora, alcuni ragazzi indossano, per parodia, gli abiti talari ed il cappello vescovile con sopra scritto «Meglio gay che Opus Dei». Immancabile lo sguardo oltre confine con l’esaltazione della Spagna dei diritti: «Zapatero tanto subito» recita un cartello.
* l’Unità, Pubblicato il: 10.03.07, Modificato il: 10.03.07 alle ore 18.58
Prodi condanna i ministri in piazza
Il presidente del Consiglio, Romano Prodi interviene sulla manifestazione di piazza Farnese a metà pomeriggio. Il suo messaggio è di perplessità riguardo alla partecipazioni dei ministri del suo Governo alla manifestazione sui diritti civili. E le sue parole rimbalzano sulle agenzie proprio nel bel mezzo del "grande trillo", quando tutti i telefonini degli aderenti d’Italia squillano per «dare la sveglia alla classe politica», momento clou dell’iniziativa perchè unisce la piazza romana con tutti gli aderenti in tutto il resto del Paese che non hanno poturo raggiungere la capitale. «Non ho mai nascosto la mia perplessità riguardo alla partecipazione dei ministri a queste manifestazioni», dice il presidente del Consiglio rispondendo ai cronisti che lo interpellano a pochi isolati di distanza dal palco organizzato dall’Arcigay. Sono manifestazioni, secondo il premier, «che possono poi ricoprire significati diversi da quello cui partono».Prodi si dice comunque ottimista sullo svolgimento della manifestazione: «Però speriamo che tutto vada tranquillo». Passano pochi secondi e arriva le prime reazioni dlal’opposizione. «Piazza Farnese è stata trasformata nel ring dell’Unione», dice il portavoce di An Altiero Matteoli, con un gioco di parole sul termine inglese "ring" che non si sa se voluto o no. «La fotografia impietosa di un governo deflagrato», ribatte l’azzurro Renato Schifani. Per il presidente dei senatori azzurri: «È la saga delle contraddizioni che vede il presidente del Consiglio affannato a trovare sempre nuovi compromessi che lo indeboliscono ogni giorno di più e che costituiscono il segno irreversibile della sua inevitabile caduta». E Mastella che invece vuole andare al "family day" organizzato dall’opposizione?. Non viene ricordato, forse perché la data di questa contromanifestazine non è ancora fissata. Sta di fatto che mentre Pecoraro Scanio, Ferrero e la Pollastrini in piazza sono stati acclamati e il governo è stato difeso negli interventi dal palco, Mastella è stato fischiato. E lui, per tutta risposta, ha detto: «Mi hanno fischiato a Roma? Rispondo con il pernacchio dei sanniti».
* l’Unità, Pubblicato il: 10.03.07, Modificato il: 10.03.07 alle ore 18.25
Domani (ore 15.30) il sit-in in piazza Farnese organizzato da Arci gay e Cgil Attese tra le 20-30 mila persone. Presenti i ministri Pollastrini, Pecoraro Scanio e Ferrero
In piazza per i Dico e i diritti dei conviventi. Polemiche nell’Unione. Mastella minaccia
Sul palco sfilata di star: Dandini, Vergassola, il vincitore di Sanremo Cristicchi e il regista Ozpetek. La Cdl difende la famiglia: "Basta con i diktat della sinistra" *
ROMA - In piazza in nome di un diritto, quello delle coppie di fatto, riconosciuto in tutta Europa ma che in Italia ha già rischiato di far cadere il governo. L’appuntamento per il popolo dei Dico, che un tempo era quello dei Pacs, è domani pomeriggio in piazza Farnese. Sarà, dicono gli organizzatori (in prima fila Arcigay, Cgil e le sigle dei movimenti omosessuali), soprattutto una festa, colorata, allegra, con attori, artisti, i giornalisti con una faccia che conta come Serena Dandini e Alessandro Cecchi Paone, il regista Ferzan Ozpetek e il comico Dario Vergassola.
Ma non c’è dubbio che domani si consumerà un altro "strappetto" nella maggioranza. In piazza, infatti, andranno alcuni ministri come il verde Alfonso Pecoraro Scanio, Marco Ferrero (Rifondazione) e la diessina Barbara Pollastrini, co-firmataria con Rosy Bindi del disegno di legge del governo già azzerato alla prima seduta della Commissione giustizia del Senato dal diessino Cesare Salvi. A sentire l’onorevole Franco Grillini (ds) e presidente onorario dell’Arcigay, saranno presenti "almeno un centinaio di parlamentari dell’Unione". E anche i viceministri "verdi" Paolo Cento e Luigi Manconi. Il ministro della Giustizia Clemente Mastella, punta teodem nel governo, si è molto "arrabbiato" per queste adesioni è ha promesso che allora lui parteciperà al Family day, manifestazione indetta, ma non ancora convocata, dai cattolici del centro-destra in nome della tutela della famiglia. Contrari al sit-in anche Antonio Di Pietro (Idv) e la cattolica Rosy Bindi per cui per chi sta al governo quello di marciare "è un lusso che non si può permettere".
Le premesse ci sono tutte, quindi, per altre fibrillazioni all’interno dell’Unione, come se non bastessero quelle sulla politica estera. Da parte della maggioranza si cerca di buttare acqua sul fuoco. "Chi andrà in piazza non lo farà contro il governo" cerca di mediare palazzo Chigi. Il segretario diessino Piero Fassino - la segreteria del partito ha aderito alla manifestazione come quella della Rosa nel pugno - parla di manifestazione "giusta perché rivendica il riconoscimento dei diritti individuali delle persone e il pieno rispetto delle scelte di vita". Il presidente del Senato Franco Marini confida nelle "capacità del presidente della commissione Giustizia Cesare Salvi di trovare un ampio consenso tra tutti i disegni di legge, nove, depositati al Senato sui diritti per le coppie di fatto". Il presidente della Camera Fausto Bertinotti è impegnato a Berlino ma benedice il sit in "così come tutti i fenomeni di partecipazione". Anche il vicepremier Francesco Rutelli, da sempre contrario al provvedimento, non polemizza direttamente con l’iniziativa di piazza Farnese e si limita ad osservare che "il provvedimento è stato inserito nel programma di governo e riguarda centinaia di migliaia di coppie ma sarebbe una bugia dire che è una priorità".
Gongola la Cdl, assaporando già un nuovo scontro nella maggioranza. E attacca: "Questo è un attacco alla famiglia e alla chiesa, basta con i diktat della sinistra". E il nemico dichiarato dei Dico, invece, il senatore Giulio Andreotti, vive e lascia vivere: " Roma è tanto grande e può ospitare tutte le manifestazioni che vuole...". Quello che conta poi è il voto e lui sa che i Dico dovranno passare dal Senato. E dal suo pulsante elettronico.
In piazza sarà in prima fila l’onorevole Vladimir Luxuria, il transgender eletto indipendente con Rifondazione, che "avverte" la teodem Binetti: "Se voterà contro il ddl di questo governo io credo che il partito della Margherita dovrà espellerla così come Rifondazione ha fatto con il senatore Turigliatto quando ha votato contro la politica estera di Massimo D’Alema".
Gli organizzatori puntano a 20-30 mila persone, ma forse saranno anche di più - sono previsti decine di pullman - e la questura ha fatto pressioni sugli organizzatori per cambiare il luogo del sit-in: piazza Farnese può tenere fino a 15 mila persone. Alcune coppie di fatto si confronteranno sul palco con esponenti del governo e del Parlamento. Alle 18, poi, il "grande trillo": centinaia di sveglie suoneranno insieme per dare la sveglia alla politica italiana. In chiusura il saluto degli ospiti Dario Fo e Franca Rame e la comicità di Serena Dandini ("sarebbe importante, ad esempio, se i parlamentari contrari ai Dico rinunciasssero, per coerenza, alla reversibilità della pensione per il convivente che per loro è già prevista"), Dario Vergassola e Cinzia Leone. Conclusione con il concerto che vedrà protagonisti Eugenio Finardi e il vincitore di Sanremo Simone Cristicchi. Sul palco anche i parlamentari che hanno firmato e presentato i vari disegni di legge. "L’importante - dice Franco Grillini - è che alla manifestazione venga la società civile, le persone, giovani, anziani, tutti coloro che potrebbero beneficiare dal veder riconosciuto il diritto alla convivenza.
* la Repubblica, 9 marzo 2007
DICO: FASSINO, MANIFESTAZIONE GIUSTA
ROMA - Piero Fassino non andrà domani alla manifestazione sui Dico, perché da tempo impegnato in appuntamenti congressuali in Emilia Romagna. Ma "ci saranno esponenti e rappresentanti del nostro partito" visto che i Ds "hanno aderito alla manifestazione". "Credo che sia una manifestazione giusta - ha detto Fassino - perché rivendica il riconoscimento dei diritti individuali delle persone, il pieno rispetto delle scelte di vita e dell’ orientamento sessuale di ciascuno e rivendita soprattutto la capacità della politica e delle istituzioni di dare su questi temi leggi giuste, equilibrate e civili a tutela di ogni persona". "La legge sui Dico - ha concluso Fassino - risponde a questi criteri".
RUTELLI: NON E’ PRIORITA’, TOCCA AL PARLAMENTO
"E’ evidente che ci sono priorità sicuramente più forti, così come è evidente che il tema deve essere regolato. Il Parlamento affronterà la questione, mi auguro con equilibrio". Così il vicepremier Francesco Rutelli, ospite di Radio Anch’io, torna a parlare dei Dico. "La regolamentazione dei diritti delle coppie di fatto - dice il leader della Margherita - è un provvedimento che rientra nel programma di governo perché ci sono centinaia di migliaia di coppie di fatto che producono una serie di esigenze e di problemi che è giusto regolare. Certo, ci sono delle esigenze che vengono prima, e che considero priorità economiche e sociali, come le tematiche degli stipendi, del potere d’acquisto delle famiglie e del lavoro precario".
CAPEZZONE, GOVERNO SENZA LINEA ANCHE SU DIRITTI CIVILI
"Il governo non solo non ha una linea in politica economica ed in politica estera ma anche sui diritti civili". Lo sottolinea Daniele Capezzone, presidente della commissione Attività produttive della Camera ed esponente della Rosa nel pugno ai microfoni del Gr3. Quanto ai ministri che si divideranno tra la manifestazione di Piazza Farnese per i Dico e il "family day" per il quale si deve ancora stabilire una data, Capezzone afferma: "Mi pare che assomiglino di più al Nanni Moretti di mi si nota di più se vado non vado o se vado e sto in disparte, francamente viene da sorridere e purtroppo si resta amareggiati nel vedere che il governo non ha una linea neanche sui diritti civili". Quanto alla convivenza di laici e cattolici nel partito democratico, "il Pd in questa versione mi ricorda una splendida canzone di De André il Chimico, cioé è un’operazione fatta in laboratorio da due oligarchie quella della Margherita e quella dei Ds e purtroppo - osserva Capezzone - non si capisce quali siano le idee forza, alzi la mano chi sa citare tre battaglie tre del futuro Partito democratico". Alla domanda se condivida la cautela di Boselli e degli altri socialisti, l’esponente della Rosa nel pugno risponde: "Francamente non capisco, non so quale sia la linea di Boselli credo che un banco di prova per tutti, io infatti ho cercato di misurarmi su questo, sia quella di non essere subalterni e rinunciatari rispetto al governo Prodi, come invece mi pare che troppi altri lo siano".
COSSIGA, MIO VOTO SU DDL? NON M’IMPICCIO
Francesco Cossiga annuncia l’astensione o la non partecipazione al voto sul ddl sulle unioni civili che la commissione Giustizia del Senato trasmetterà alla aula di Palazzo Madama. L’ex capo dello Stato critica in una dichiarazione "i pasticci che stanno combinando il segretario di Stato vaticano e, appena nominato, il nuovo presidente della Cei, generale di corpo d’armata della riserva", affermando che "mi hanno confuso perfino le idee chiare che credevo di essermi formato in base alle dichiarazioni del Santo Padre". "Per cui - conclude - dirò, con il prudente card. Carlo Maria Martini: ’L’argomento è complesso, io non me ne impicciò. E cioé, quando si dovrà votare, o non sarò in aula o dichiarerò di astenermi dalla votazione".
BERTOLINI (FI), NO ALLA DITTATURA DELLE MINORANZE
"Domani scende in Piazza una minoranza, la comunità degli omosessuali, l’unica realmente interessata all’approvazione dei Dico. Le coppie di fatto eterosessuali non parteciperanno alla manifestazione di Roma perché non interessate ad una legge ridicola, bocciata al Senato persino dal relatore di maggioranza". Così Isabella Bertolini, vicepresidente dei deputati di Forza Italia sulla manifestazione promossa dall’ArciGay, domani a Roma. "Siamo ormai alla dittatura della minoranza - aggiunge - La sinistra radicale, assolutamente marginale nel Paese, tiene in ostaggio un esecutivo indeciso, debole, sgangherato, distante dalle reali esigenze degli italiani. Basta con lo scenario che qualcuno vorrebbe propinarci secondo il quale vi sarebbe in atto una contrapposizione tra illuminati progressisti e retrogradi medievali conservatori, tra laici modernizzatori e cattolici immobilisti". Secondo Bertolini, invece, "si sta scatenando una campagna di pericoloso odio contro chi, forte delle proprie convinzioni, difende la famiglia fondata sul matrimonio. Non dobbiamo stupirci poi se qualche testa calda pensa bene di lasciare scritte minatorie contro parlamentari moderati o se un ministro della Repubblica è costretto ad abbandonare trasmissioni televisive faziose nelle quali viene aggredito verbalmente".
LUXURIA, SE BINETTI VOTA NO, DL DOVREBBERO CACCIARLA
"Se la Binetti voterà contro il disegno di legge di questo governo io credo che il partito della Margherita dovrà espellerla così come Rifondazione ha fatto con il senatore Turigliatto quando ha votato contro la politica estera di Massimo D’Alema". E’ quanto afferma la deputata del Prc Vladimir Luxuria, nel corso di un’intervista a Repubblica Tv. Commentando poi le affermazioni della senatrice della Margherita, che ha definito l’omosessualità una devianza, Luxuria dice: "Purtroppo la Binetti è una psicoterapeuta, e purtroppo disobbedisce a una regola fondamentale di questa disciplina: non si impongono modelli comportamentali alle persone che vengono a chiederti aiuto", ha detto Luxuria. Luxuria ricorda come "l’Organizzazione Mondiale della Sanità già dal 1990 non considera l’omosessualità una malattia" e secondo l’esponente di Rifondazione "oggi i veri malati, i veri deviati, sono coloro che sono omofobi e che insultano gli omosessuali. E’ a loro che consiglierei di andare da uno psicologo perché se c’é una persona che ha una reazione allergica alla sola vicinanza con un gay o al pensiero che due gay possano stare insieme - conclude - questa persona dovrebbe andare da uno psicologo".
DONADI (IDV), NO A MINISTRI IN PIAZZA
"E’ il Parlamento il luogo per difendere la legge sui Dico, non la piazza. Riflettano i ministri Pecoraro, Ferrero e Pollastrini sulla loro partecipazione domani alla manifestazione. La loro presenza ad una manifestazione, ovviamente legittima in un Paese democratico, rischia di ideologizzare lo scontro sui Dico più di quanto non sia già avvenuto fino ad ora". Lo afferma Massimo Donadi, presidente dei deputati dell’Italia dei Valori. "Se davvero si ha a cuore l’approvazione di questa legge per il riconoscimento di giusti diritti per le persone - aggiunge - si dovrebbe evitare che ministri di questo governo, così come in passato, frequentino le piazze. Chi ha responsabilità di governo usi il proprio peso per favorire una soluzione politica in Parlamento".
* ANSA » 2007-03-09 13:40
Il forte richiamo di Benedetto XVI al diritto naturale, senza il quale la società muore, e alla sua previsione di un unico modello di matrimonio - eterosessuale, ma anche monogamico - nasce dalla sua preoccupazione per i Pacs e i Dico di Prodi, ma è stato probabilmente inasprito dalle preoccupazioni di molti vescovi italiani secondo cui la prossima fermata del trenino delle unioni civili potrebbe essere il riconoscimento della poligamia.
Non importa che al rilievo di Tremonti, secondo cui nella bozza iniziale del governo la poligamia c’era già, l’Unione abbia risposto facendo sparire dal sito Internet del governo il disegno di legge, e spiegando che ricomparirà con modifiche «tecniche», che dovrebbero prevenire anche la poligamia. Sono i principi che contano.
Paradossalmente ai musulmani italiani che praticano la poligamia (ci sono, e non sono pochi) vanno meglio i Dico di Prodi che un’estensione della definizione di matrimonio. Questa richiederebbe in effetti una modifica della Costituzione. Mentre la poligamia potrebbe ottenere un qualche riconoscimento sotto forma di registro civile o di presa d’atto da parte dello Stato che la convivenza poligamica è già in essere.
Due sono infatti gli argomenti principali avanzati dai sostenitori dei Pacs o dei Dico, e contestati nel discorso di lunedì del Papa. Il primo è quello relativista, secondo cui non esistono né un diritto naturale né una forma «naturale» di matrimonio e lo Stato, buon notaio, deve prendere atto di quanto già esiste nel Paese. Alla sociologa Chiara Saraceno è sfuggita in un articolo su La Stampa contro le posizioni di Benedetto XVI la frase secondo cui «il matrimonio monogamico ed eterosessuale» non è più l’unico modello presente in Italia.
È del tutto pacifico che ci siano in Europa più matrimoni poligami clandestini di quanti siano i matrimoni omosessuali celebrati nei Paesi che li hanno legalizzati. Se dunque si trattasse solo di una presa d’atto di quanto nella società esiste già, la poligamia potrebbe avanzare pretese non meno forti di quelle delle unione omosessuali.
Il secondo argomento avanzato in favore dei Dico è che il riconoscimento civile protegge i soggetti più deboli nella convivenza. Dibattendo a un convegno alla London School of Economics con esponenti musulmani fondamentalisti ho usato l’obiezione secondo cui il riconoscimento della poligamia favorirebbe la prevaricazione dei mariti. Mi è stato risposto, esempi alla mano, che è tutto il contrario. In assenza di riconoscimento giuridico, la seconda moglie (e le altre) sono nelle mani del marito, che può ripudiarle senza dovere pagare loro un centesimo. Se il marito muore, non ereditano, perché lo Stato non le riconosce come mogli. In sintesi, secondo questi musulmani, il riconoscimento giuridico del matrimonio poligamico in realtà proteggerebbe proprio le donne.
Un’inchiesta di questo giornale nel Nord-Est dimostra che la poligamia clandestina c’è anche in Italia. Argomenti simili a quelli che l’Unione avanza a favore dei Dico potrebbero essere usati per chiedere un qualche riconoscimento anagrafico di convivenze poligamiche, che nelle stradine dei nostri centri storici già esistono.
Non c’è scampo: o ha ragione Benedetto XVI, e l’unica forma di unione che ha titolo a essere riconosciuta non solo dalla fede dei cattolici ma anche dalla retta ragione dei laici è quella monogamica ed eterosessuale, o la bomba a orologeria delle richieste di riconoscimento della poligamia comincia a ticchettare.
di Massimo Introvigne, il Giornale 17 febbraio 2007
Le sentinelle di Ratzinger
di Dario Fo (il manifesto, 03.03.2007)
Se penso a Giulio Andreotti e a Clemente Mastella nelle vesti esilaranti di sentinelle della moralità mi torna in mente la comicità americana di cinquant’anni fa, il curvo e il grasso. E cosa dovrebbero fare questi guardiani del presunto comune senso del pudore? Ma è ovvio, vigilare perché si eviti di concedere spazi e diritti agli omosessuali, o alle coppie di fatto. È un brutto segno questa irruzione oscurantista e clericale nella politica. Sul versante immediato si è avuta la conferma che i due senatori forse un po’ sciagurati che si sono rifiutati di votare senza valutare fino in fondo le conseguenze, sono stati poi usati come capro espiatorio della mini-crisi di governo. Invece, è evidente a tutti che il governo è stato fatto cadere per interessi ben diversi e per mano di alcuni senatori a vita. È da quando ho memoria che ho a che fare con gli oscurantismi di Andreotti, Franca Rame e io ce lo ricordiamo bene. Fosse per lui sono certo che sui gay chiederebbe ancora la censura, è colpa della scuola da cui proviene. Sono posizioni clericali, non cattoliche, quelle che esprime.
È in atto un arretramento, insieme ai diritti dei gay e delle coppie di fatto, del livello culturale del paese. È come se, impugnando i Dico, i nostri politici avessero aperto il congelatore per infilarci tutti i problemi importanti che questo governo avrebbe dovuto affrontare. Penso ai conflitti internazionali e al ruolo dell’Italia in essi, penso alle spese militari e ai 100 aerei F-35 Lighting (fulmine) che abbiamo acquistato dagli Stati uniti per un miliardo di dollari. A proposito, mi dicono che dietro quegli aerei da guerra c’è la Lockheed. Ve la ricordate la Lockheed e lo scandalo di qualche governo fa? Nel congelatore c’è posto anche per il conflitto d’interessi, e vorrei sapere che ne sarà degli altri temi sociali, la lotta alla precarietà, o un diverso atteggiamento rispetto all’emigrazione.
Dietro queste manovre e dietro questa deriva oscurantista vedo ancora la vecchia Dc (siamo sicuri che non moriremo democristiani?) e davanti a questa vecchia Dc vedo l’antico codazzo di vescovi e cardinali. Ho un po’ d’invidia per la Spagna, che in fatto di subalternità clericale aveva ben poco da invidiare a noi: la Spagna dimostra che a guidare i processi di rinnovamento è sempre la politica. Certo, paghiamo scelte antiche, come l’aver accettato di sovvenzionare scuole e università cattoliche. E’ in questi luoghi, pagati da noi contribuenti, che vengono forgiate le future classi dirigenti.
Come possiamo fermare l’aggressione oscurantista e le due sentinelle della buoncostume? Ogni volta che partecipo agli appuntamenti di chi non vuole gettare la spugna mi accorgo che c’è un paese reale, un popolo fatto di donne con i bambini in carrozzella come a Vicenza, su cui dobbiamo investire. A manifestare contro le basi ho visto tante persone non legate ai partiti, molte hanno votato a sinistra. I nostri politici prima hanno tentato di far fallire quell’appuntamento caricando il loro fucile con la polvere nera della paura, come ha fatto il ministro Parisi, con l’intenzione di tener fuori la gente semplice che magari era la prima volta che manifestava in piazza. Poi, quando hanno sfilato 200 mila persone pacifiche e convinte hanno fatto finta di non vederle, fino ribadire in modo assolutistico: non possumus, perché pacta servanda sunt. Che delusione, che impressione questa cecità.
Le due sentinelle ci sono perché sentono che uno spazio è stato liberato dallo smottamento politico e culturale del centrosinistra. Continuiamo a spingere, parlando, scrivendo e, con o senza la benedizione del presidente Napolitano, scendendo in piazza.
Unioni civili, avanti piano. Rutelli: «Non sono una priorità»
Il 10 marzo manifestazione nazionale*
«Come governo dobbiamo occuparci di tutto, ci occuperemo anche dei Dico, ma mettiamo tutto nella loro giusta priorità. Oggi la priorità è l’economia». Passata la crisi di governo, mentre si cerca di tirare le fila sul rifinanziamento della missione militare italiana in Afghanistan (il ddl inizia l’iter alla Camera martedì) e si cerca l’intesa per una nuova legge elettorale, si continua a discutere anche di un altro “nodo” politico che deve affrontare la maggioranza: i famigerati Dico. Tanto più che per il 10 marzo è prevista a Roma una manifestazione nazionale, lanciata da Arcigay e altre associazioni, proprio per chiedere il riconoscimento delle unioni civili.
Così sull’argomento torna anche il vicepremier Francesco Rutelli, intervistato da Lucia Annunziata alla trasmissione «In mezz’ora». Alla domanda sulla manifestazione di sabato prossimo per i Dico, Rutelli ha replicato: «Le priorità sono altre. Quanti italiani hanno uno stipendio di 900 euro, quanti hanno una pensione di 600 euro, quanti ragazzi hanno un prospettiva di lavoro...».
Insomma: sui Dico avanti, ma piano. Anche se Piero Fassino, segretario dei Ds, proprio sabato era tornato a ribadire la necessità di non rallentare l’iter parlamentare avviato: «Questo comporta che si apra una discussione sull’iter che tenga presente l’apporto di tutti. Ma è un iter legislativo che è finalizzato ad arrivare ad una soluzione e non rinviare sine die la soluzione di questo problema». Mentre Clemente Mastella ribadisce: «In Senato non passeranno mai». Da sottolineare che durante le dichiarazioni di voto al senato, Giulio Andreotti, aveva sottolineato che non avrebbe votato la fiducia a Prodi proprio a causa dei Dico.
«Vuole sapere su cosa mi interpellano i miei concittadini? - sottolinea il leader della Margherita - Sul lavoro precario dei loro figli. Allora, è bene parlare di questi temi che piacciono tanto ai giornali, ma non c’è dubbio che se lei si trova davanti il vicepresidente del Consiglio pro tempore, io le debbo dire che si tratta di questioni importanti, ma che, vivaddio, dobbiamo parlare anche delle cose che interessano agli italiani...». a
Da sottolineare che nella Margerita prima della crisi di governo si era consumando una vera e propria spaccatura tra “teodem” più oltranzisti che non volevano i Dico e laici. Spaccatura che si aggrava dopo le dichiarazioni di Enzo Carra, leader dei teodem della Margherita insieme alla Binetti, intervistato da La Stampa: «A questo punto sui dico vogliamo vederci chiaro. Al Senato non ci sono i numeri e noi lavoreremo per affossarli una volta per tutte». «Noi non complottiamo né contro il governo né contro il Pd - aggiunge - Anzi, è merito nostro se Rosy Bindi è stata affiancata a Barbara Pollastrini nel gestire la questione delle coppie di fatto. E se Prodi non è andato in affanno». E ancora: «Noi nel ’family day’ del governo saremo in prima fila e i nostri parlamentari Bobba e Calgaro stanno fornendo un grande contributo all’organizzazione ».
«Finalmente i Teodem gettano la maschera - risponde afferma il deputato della Margherita Francesco Merlo - Che rappresentassero la corrente clericale della Margherita non avevamo alcun dubbio, sin dall’inizio della loro discesa in campo. Ma che, dopo le ripetute dichiarazioni dei loro principali leader, adesso rivendichino a proposito dei Dico anche la pressoché esclusiva rappresentanza dei cattolici in politica è più una considerazione grottesca, se non carnevalesca, che non una riflessione seria ed articolata». «Sarei curioso di conoscere - prosegue - come può decollare l’Ulivo, come può crescere il partito democratico, come può rafforzarsi una coalizione come il centro sinistra, come si può aiutare il governo Prodi oggi con atteggiamenti clericali, tendenzialmente intolleranti e adesso anche apertamente polemici contro la politica del ministro Bindi e, di conseguenza, contro la stragrande maggioranza del governo».
Il problema è spinoso anche in vista delle manifestazioni per i dico del 10 marzo e ’family day’ alla quale parteciperanno “pezzi” di governo. Non sarà come a Vicenza, dove i ministri non sono stati fatti scendere in piazza sulla base Usa? Chiede infatti Annunziata a Francesco Rutelli: «Che ci siano queste manifestazioni è la normalità - risponde il vicepremier - Ma con Vicenza c’è una radicale differenza, sulla politica estera può cadere il governo. Se c’è un voto in cui si va in minoranza su una materia economica o relativa ai diritti civili, si può recuperare».
Fatto sta che i malumori per la manifestazione di sabato non mancano. L’appuntamento è per le 15.30 del 10 marzo in piazza Farnese a Roma per rivendicare «Diritti ora». Numerossime le adesioni raccolte dal sito Internet (www.dirittiora.it). E soprattutto tanti i politici di sinistra in piazza. Sicuri il ministro Alfonso Pecoraro Scanio, i sottosegretari Acciarini e Manconi, in forse i ministri Pollastrini, Ferrero e Bonino, sicuramente no Rosy Bindi («per il ruolo istituzionale che rivesto». Numerosi anche attori, registi, scrittori e giornalisti. «I capigruppo di Camera e Senato che non saranno presenti alla manifestazione non saranno considerati “assenti giustificati”», dice Alessandro Zan, coordinatore nazionale della manifestazione.
* l’Unità, Pubblicato il: 04.03.07, Modificato il: 04.03.07 alle ore 18.55
I Dico dell’anno 400
di Gian Carlo Caselli *
Scherza coi fanti e lascia stare i santi. So bene che queste parole sono un condensato di prudenza e saggezza. So anche che in un clima di forte tensione su «Pacs», «Dico» e «unioni di fatto» (caratterizzato da ferme prese di posizione d’Oltretevere e preoccupate reazioni dei difensori della laicità dello Stato) affrontare temi così arroventati con propositi di leggerezza e distacco - senza indossare questa o quell’altra armatura - può essere rischioso per le tante suscettibilità in agguato. Tutto vero. Per cui fin da subito mi pento e mi dolgo se mi permetto di dire che non so se esista davvero una lobby contro la famiglia nel riconoscere le coppie di fatto.
Ma se mai esistesse, la si potrebbe ricollegare ad un autorevole precedente storico.
Un singolare precedente: quasi un cavallo di Troia in terra... fidelium. Perché si tratta del canone di un Concilio. Per la precisione il canone 17 del primo Concilio di Toledo (anno 400 d.C.) Dunque, un precedente da sgranare tanto d’occhi, da non crederci: perché sono stati addirittura dei Vescovi in Concilio a stabilirlo.
Nel canone 17 del primo Concilio di Toledo si legge: «Si quis habens uxorem fidelis concubinam habeat, non communicet: ceterum is qui non habet uxorem et pro uxore concubinam habeat, a communione non repellatur, tantum ut unius mulieris, aut uxoris aut concubinae, ut ei placuerit, sit conjunctione contentus; alias vero vivens abijciatur donec desinat et per poenitentiam revertatur». È un latino facile. In sostanza dice che la convivenza sessuale è lecita soltanto quando sia con una sola donna. Ma precisa che la convivenza sessuale con una sola donna è consentita (e perciò non comporta scomunica) non solo quando si tratta di «moglie», ma anche quando si tratta di «concubina tenuta come fosse moglie». In altre parole, per la Chiesa del 400 c’erano alcune unioni di fatto, non costituenti matrimonio, considerate legittime perché sostanzialmente assimilabili al matrimonio.
Impossibile, ovviamente, trarne insegnamenti vincolanti o anche solo utili per la stagione che stiamo oggi vivendo in Italia. Dopo milleseicento e passa anni tutto cambia. Uomini, leggi, canoni, principi, rapporti fra Stato e Chiesa, dottrine e prassi. La «flessibilità» di una quindicina di secoli fa potrebbe oggi apparire semplicemente anacronistica. Ma ricordarla si può. E chissà che non possa contribuire - anche solo per un attimo - a svelenire il dibattito, preferendo ai toni da guerra di religione quelli di un più pacato confronto. Magari ironizzando sul fatto che in Spagna un po’ di «zapaterismo» - si direbbe - sembra aleggiare già nell’anno 400. Addirittura in un Concilio.
* l’Unità, Pubblicato il: 24.02.07, Modificato il: 24.02.07 alle ore 10.09
Se la Chiesa sfida la Costituzione
di Stefano Rodotà (“la Repubblica”, 14 febbraio 2007)
È ormai evidente che le gerarchie ecclesiastiche hanno deciso di collocare i loro interventi e le loro iniziative in una dimensione che va ben al di là del legittimo esercizio della libertà d’espressione e dell’altrettanto legittimo esercizio del loro magistero. Giudicano i nostri tempi con una drammaticità che fa loro concludere che solo una presenza diretta, non tanto nella società, ma nella sfera propriamente politica, può rendere possibile il raggiungimento dei loro obiettivi. E cosi espongono anche i loro comportamenti ad un giudizio analogo a quello che dev’essere pronunciato sull’azione di qualsiasi soggetto politico.
Benedetto XVI ha affermato in modo perentorio che «nessuna legge può sovvertire la norma del Creatore senza rendere precario il futuro della società con leggi in netto contrasto con il diritto naturale». Ed ha aggiunto che non si possono ignorare «norme inderogabili e cogenti che non dipendono dalla volontà del legislatore o dal consenso degli Stati, ma precedono la legge umana e per questo non ammettono deroghe daparte di nessuno». Di rincalzo, il Presidente della Commissione Episcopale Italiana, il cardinale Camillo Ruini, da almeno dieci anni protagonista indiscusso del corso politico della Chiesa, ha annunciato una nota ufficiale con la quale verrà indicato il modo in cui i cattolici, e i parlamentari in primo luogo, dovranno comportarsi di fronte al disegno di legge sui "diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi", i cosiddetti "Dico". Così, in un colpo solo, viene aperto un conflitto con il Governo, affermata la sovranità limitata del Parlamento, azzerata la Costituzione.
Le parole sono chiare. Se nessuna legge può sovvertire la norma indicata dal Creatore per la famiglia, la legittima approvazione del disegno di legge sui Dico diviene un atto "sovversivo" del Governo. Se i parlamentari cattolici devono votare secondo le indicazioni della Chiesa, viene cancellata la norma costituzionale che prevede la loro libertà da ogni "vincolo di mandato" e l’autonomia e la sovranità del Parlamento devono cedere di fronte ad istruzioni provenienti da autorità esterne. Se non sono ammesse leggi che non corrispondono al diritto naturale, la tavola dei valori non è più quella che si ritrova nella Costituzione, ma quella indicata da una legge naturale i cui contenuti sono definiti esclusivamente dalla Chiesa.
Il crescendo dei toni e delle iniziative, nell’ultimo periodo soprattutto, rendevano prevedibile questa conclusione, peraltro annunciata dal "Non possumus" proclamato qualche giorno fa. Viene così clamorosamente confermata l’analisi che aveva colto nella linea della Chiesa l’intento di realizzare molto di più di un provvisorio allineamento della politica su una particolare posizione definita dalle gerarchie ecclesiastiche, di cui i parlamentari cattolici divenivano il braccio secolare. L’obiettivo era ed è assai più ambizioso: una vera "revisione costituzionale", volta a sostituire il patto tra i cittadini fondato sulla Costituzione repubblicana con unvincolo derivante dalla gerarchia di valori fissata una volta per tutte dalla Chiesa attraverso una sua versione autoritaria del diritto naturale (non dimentichiamo, infatti, che il diritto naturale conosce anche molte altre versioni, comprese quelle che non prevedono proprio la famiglia tra le istituzioni discendenti da tale diritto). Viene così travolto anche l’articolo 7 della Costituzione che, disciplinando i rapporti tra lo Stato e la Chiesa, stabilisce che questi due enti sono, "ciascuno nel proprio ordine", "indipendenti e sovrani". Nel momento in cui la Chiesa proclama chevisono "norme inderogabili e cogenti" che non possono essere affidate alla volontà del legislatore, nega in queste materie l’autonomia e l’indipendenza dello Stato e sostituisce la propria sovranità a quella delle istituzioni pubbliche. Il patto costituzionale tra Chiesa e Stato viene infranto, quasi denunciato unilateralmente.
Questo è il quadro istituzionale e politico disegnato con assoluta nettezza dai molti interventi vaticani. Un quadro di rotture e di conflitti, davvero sovversivo delle regole costituzionali, con una delegittimazione a tutto campo delle iniziative di Governo e Parlamento che trasgrediscano ciò che la Chiesa, unilateralmente, stabilisce come "inderogabile e cogente". Sapranno le istituzioni dello Stato rendersi conto di quel che sta accadendo? Non devono ritrovare solo l’orgoglio della propria funzione, ma il senso profondo della loro missione, la stessa loro ragion d’essere, che ne fa il luogo di tutti i cittadini, credenti e non credenti, comunque liberi e degni d’essere rispettati in ogni loro convinzione, e in ogni caso fedeli, come devono essere, alla Costituzione e ai suoi valori.
L’ex capo dello Stato: se la Chiesa proclamasse un obbligo di scelta distruggerebbe il cattolicesimo parlamentare
L’altolà di Scalfaro a Ruini "Sulla legge nessuna imposizione"
di VITTORIO RAGONE *
ROMA - Un altolà senza sfumature al cardinale Ruini, se davvero vuole imbrigliare nei precetti della Chiesa la libertà di decisione politica sui Dico, un tempo noti come Pacs. Oscar Luigi Scalfaro, presidente emerito della Repubblica e padre nobile del centrosinistra, non è contrario alla mediazione Bindi-Pollastrini, e teme la "distruzione" del cattolicesimo parlamentare se la Cei dovesse lanciare diktat a chi riconosce il suo magistero. In sessant’anni - dice - questo non è mai accaduto. Prima di correre certe avventure Ruini dovrebbe avviare "un ampio esame" dentro l’assemblea dei vescovi.
Presidente Scalfaro, il Parlamento aspetta di sapere quale forma assumerà il "non possumus" di Ruini sulle unioni di fatto. Che cosa succederebbe se la Cei o il Papa avanzassero richieste "vincolanti" per i politici cattolici?
"La Chiesa, pure nella fermezza dei suoi principi, non ha mai compiuto in sessant’anni interventi che ponessero a un bivio obbligato i parlamentari cattolici. Io confido che interventi del genere non ci saranno. Se dovessero invece avvenire, distruggerebbero la possibilità stessa di una presenza dei cattolici in Parlamento in condizioni di dignità e libertà, quella libertà che consente l’assunzione individuale delle responsabilità. Ma a chi serve, oggi e domani, un gruppo di parlamentari che si limitano a eseguire gli ordini? Certo non alla Chiesa. Sarebbero una inutile pattuglia, e l’effetto sarebbe una crescita di laicismo esasperato".
Il centrosinistra non drammatizza troppo l’iperattivismo vaticano? E’ vero che è stato l’Avvenire a citare Pio IX, ma dall’altra parte si invoca il Risorgimento, si tracciano scenari foschi, si ipotizza, come anche lei fa, il naufragio del cattolicesimo politico. Eppure gli scontri tra l’etica cattolica e quella laica, condivisi e alimentati dalla Chiesa, in Parlamento e fuori non sono mancati. Gli anni Settanta, il divorzio, l’aborto, i referendum. Grandi asprezze, ma alla fine siamo tutti qui, comprese le leggi soggette ad anatema.
"Vede, io sono nella vita politica da 61 anni, dalla Costituente. È vero, abbiamo attraversato come parlamentari cattolici momenti faticosi, difficili, prese di posizione delicate. Ma già dall’Assemblea costituente fu preminente in tutti la ricerca di un denominatore comune sui temi dei diritti e della dignità delle persone. Ne nacque un documento d’eccezione, la Carta, del quale dobbiamo ringraziare i grandi nomi che resero un tale servizio al popolo italiano: penso, nel mondo cattolico, a De Gasperi, a La Pira, a Dossetti, più tardi a Aldo Moro e a tantissimi altri rappresentanti del popolo. Il grande tema per noi cattolici era fare sintesi fra diritti e doveri del cittadino e diritti e doveri del cristiano, portare nella politica il pensiero filosofico che anima i principi cristiani sempre con grande rispetto per le impostazioni altrui. L’articolo 67 della Costituzione stabilisce che ogni membro del parlamento rappresenta la nazione e esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. Al tempo del divorzio e dell’aborto, che lei cita, in entrambi i casi il partito mi diede incarico di parlare ufficialmente a nome del gruppo democristiano. Non dimentico, e ne ringrazio la Provvidenza, che nell’uno e nell’altro caso ebbi ascolto ampio, proprio dagli avversari politici: non condivido le tue tesi - mi fu detto - ma apprezzo lo sforzo di dialogare. Dopo la sconfitta sul divorzio qualcuno in assoluta buona fede sostenne che non potevamo collaborare a formulare gli articoli della legge perché così facendo avremmo aiutato un istituto che contestavamo. Ma giustamente vinse la tesi che quando cade l’affermazione di un principio rimane sempre il dovere di lottare per il male minore".
Insomma, lei sostiene che la capacità di ascolto reciproca non è venuta mai meno, nemmeno quando lo scontro era al massimo della tensione.
"Non solo. C’è anche un altro insegnamento. La chiarezza delle posizioni della Chiesa, e il risultato del referendum che diede ragione alle tesi contrarie a quelle sostenute da noi cattolici, non impedirono che tanti cattolici si servissero poi dell’istituto del divorzio. Ne è prova che da anni all’interno della gerarchia ecclesiastica si discute sull’ammissibilità dei divorziati ai sacramenti".
L’invito al pragmatismo, per tornare a Ruini, onestamente oggi non sembra avere grandi chance. La grandinata vaticana - da Avvenire a Sir, dall’Osservatore allo stesso Ratzinger - non lascia grandi margini alla mediazione.
"La profonda devozione e ubbidienza alla chiesa madre e maestra - e mi piace ricordare che fu la saggezza di Giovanni XXIII, oggi beato, a dare nella sua enciclica questa preminenza alla maternità della Chiesa - mi fa confidare che il richiamo che è stato annunziato, e che manifesta un diritto e anche un dovere della Chiesa di dire il suo pensiero, non abbia la forma di una imposizione".
Il fronte dei sessanta parlamentari della Margherita che difendono i Dico non ha un gran futuro, se l’intervento di Ruini dovesse trasformarsi in un vero e proprio precetto. Non crede?
"Un atteggiamento rigido della Chiesa sfascerebbe tutto. Ne sono convinto".
Lei, pur da senatore a vita, è un uomo del centrosinistra: quale potrebbe essere una contromisura per far prevalere la moderazione?
"Posizioni da parte della Chiesa che portassero a conseguenze tanto pesanti, così come non si sono verificate neanche quando furono compromessi l’indissolubilità del matrimonio e il diritto alla vita, richiederebbero a mio avviso un ampio esame nell’Assemblea dei vescovi italiani, la Cei".
Nel merito della legge, come giudica la soluzione Dico "inventata" da Bindi e Pollastrini?
"Mi piace ricordare che quando il presidente del consiglio Romano Prodi annunziò nella formulazione del programma il desiderio di riconoscere dei diritti e dei doveri a ciascun cittadino, affermò espressamente che con quel programma prendeva l’impegno di non toccare o turbare l’istituto del matrimonio così come previsto dalla Costituzione. Mi pare giusto non fare processi alle intenzioni. Le proposte di legge che sono state presentate da posizioni a mio avviso non accettabili sono giunte con non poca fatica (quanto intensa quella del ministro Bindi!), in questo necessario dialogo tra impostazioni diverse, a un testo che come tutti i testi è indubbiamente migliorabile ma che certamente non prevede - per essere chiari - il matrimonio fra gli omosessuali o una formula mascherata ma simile. Si tratta di dare eventuali, maggiori garanzie? Se ne può discutere, rimanendo chiaro un punto: se al dunque si fosse richiesti di un voto esplicito che preveda di fatto il matrimonio per gli omosessuali, allora, senza bisogno di disturbare la dottrina della chiesa cattolica, è chiaro che un voto a favore non si può dare perché in contrasto con una realtà di storia dell’umanità, che prevede per il matrimonio un maschio e una femmina".
Il matrimonio gay, per la verità, sembra essere un simbolo e uno spauracchio, anche se di prima fila. Quel che la Chiesa sembra temere nella sostanza è che il riconoscimento delle unioni civili, innanzitutto eterosessuali, sgretoli la famiglia "naturale" su cui si fonda la sua dottrina.
"È vero, c’è chi obietta che aprendo una seconda strada si dà ai cittadini con troppa facilità la possibilità di un’altra scelta. La preoccupazione della Chiesa è più che condivisibile. Ma il problema vero è rafforzare nei cattolici la fede, in modo che sappiano scegliere secondo i principi nei quali credono. Più che allo Stato, al quale si chiede di impedire una duplice strada che consentirebbe gli abusi, il tema è affidato alla evangelizzazione e alla formazione dei fedeli. Lo Stato deve pensare a tutti e, pur non tramutando speranze, desideri e sogni in diritti deve, se esistano basi certe per individuare quei diritti, riconoscerli dove e quando ci sono".
* la Repubblica, 15 febbraio 2007
L’APPELLO
"Nessun limite costituzionale nelle nuove norme sulla famiglia" *
ROMA - Nessun limite costituzionale nelle nuove norme sulla famiglia: 23 costituzionalisti hanno firmato un appello in merito ad alcune interpretazioni sul ddl appena varato dal consiglio dei ministri. Ecco il testo integrale della dichiarazione, con i firmatari.
Dichiarazione-appello sull’interpretazione dell’art. 29 della Costituzione.
"Senza entrare nel merito della discussione delle attuali proposte di riforma, volte a riconoscere o tutelare in diversa forma e misura unioni familiari di tipo diverso da quello tradizionale, ci preme però chiarire che è infondata l’affermazione secondo cui l’articolo 29, primo comma, della vigente Costituzione porrebbe dei limiti costituzionali al riconoscimento giuridico delle famiglie non tradizionali o non fondate sul matrimonio, come è ormai avvenuto in quasi tutti gli altri paesi dell’Europa occidentale.
L’articolo 29, primo comma, non impone affatto alla Repubblica di riconoscere come famiglia solo quella definita quale "società naturale fondata sul matrimonio". Impone invece alla Repubblica di riconoscere i suoi diritti, in quanto espressione dell’autonomia sociale. Testualmente: "la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio". Ad essa viene quindi garantita una sfera di autonomia rispetto al potere dello Stato. Per tale motivo sarebbe contraria alla Costituzione una legge ordinaria che mirasse a disconoscere i diritti di tali famiglie.
"Circoscrivere i poteri del futuro legislatore in ordine alla sua [della famiglia] regolamentazione": questa la funzione della disposizione secondo quanto ebbe a dichiarare Costantino Mortati nell’Assemblea costituente. "Non è una definizione, è una determinazione di limiti", ribadì nella stessa sede Aldo Moro.
Il Costituente del 1946-47 non poteva immaginare che nei decenni successivi sarebbe stata avanzata in Italia o altrove la richiesta del riconoscimento di famiglie di tipo diverso dal modello tradizionale, mentre vivo era invece il ricordo del tentativo fascista di monopolizzare l’educazione dei giovani, tentativo analogo a quello in corso proprio in quei mesi con l’instaurazione di regimi stalinisti in molti paesi dell’Europa centrale: e tale era appunto il pericolo che con la formulazione dell’articolo 29 si intendeva scongiurare.
Inoltre, secondo l’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la disciplina nazionale può modulare variamente le modalità di esercizio dei distinti diritti di sposarsi e di costituire una famiglia, ma non in forme tali che possano portare alla vanificazione dell’uno o dell’altro.
Il riconoscimento giuridico di altre tipologie di famiglia non comporterebbe alcun disconoscimento dei diritti delle famiglie fondate sul matrimonio e non potrebbe quindi violare il disposto dell’articolo 29, primo comma, della Costituzione. Il fatto che la Costituzione garantisca in modo particolare i diritti della famiglia fondata sul matrimonio non può in alcun modo avere come effetto il mancato riconoscimento dei diritti delle altre formazioni famigliari. A proposito delle quali vanno invece tenuti ben presenti il fondamentale divieto di discriminare sulla base, anche, di "condizioni personali", di cui all’articolo 3, primo comma, della Costituzione, e il dovere della Repubblica di riconoscere e garantire "i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità", di cui all’articolo 2, già richiamato in questa materia dalla giurisprudenza costituzionale.
Questo Appello, promosso dalla "Fondazione Critica liberale", è stato sottoscritto da:
Piero Bellini (Prof. emerito Univ. Roma "La Sapienza" - Accademico dei Lincei); Roberto Bin (Prof. Diritto Costituzionale - Univ. Ferrara); Giuditta Brunelli, (Prof. Istituzioni di Diritto pubblico - Univ. Ferrara); Massimo Carli (Prof. Diritto pubblico - Univ. Firenze); Paolo Cendon (Prof. Istituzioni di Diritto Privato - Univ. Trieste); Enzo Cheli (Prof. Diritto costituzionale - Univ. Firenze - Accademico dei Lincei); Giovanni Di Cosimo (Prof. Diritto Costituzionale - Univ. Macerata); Alfonso Di Giovine (Prof. Diritto Costituzionale Comparato - Univ. Torino); Gilda Ferrando (Prof. Diritto Privato - Univ. Genova); Vincenzo Ferrari (Prof. Filosofia del Diritto - Univ. Milano ); Maurizio Fumo (Magistrato); Sergio Lariccia (Prof. Diritto Amministrativo - Univ. Roma "La Sapienza"); Alessandro Pizzorusso (Prof. Istituzioni di Diritto Pubblico - Univ. Pisa - Accademico dei Lincei); Fausto Pocar (Prof. Diritto internazionale - Univ. Milano - Pres. Tribunale penale dell’Aja); Valerio Pocar (Prof. Sociologia del Diritto - Univ. Milano "Bicocca"); Salvatore Prisco (Prof. Istituzioni di Diritto Pubblico - Univ. Napoli "Federico II"); Andrea Pugiotto (Prof. di Diritto costituzionale - Univ. Ferrara); Pietro Rescigno (Prof. emerito Univ. Roma "La Sapienza" - Accademico dei Lincei); Paolo Ridola (Prof. Diritto Costituzionale Comparato - Univ. Roma "La Sapienza"); Paola Ronfani (Prof. Sociologia del diritto - Univ. Milano); Francesco Rimoli (Prof. Istituzioni di Diritto Pubblico - Univ. Teramo); Stefano Rodotà (Prof. Diritto Civile - Univ. Roma "La Sapienza"); Gustavo Zagrebelski (Prof. Diritto costituzionale - Univ. Torino - Accademico dei Lincei); Paolo Zatti (Prof. Istituzioni di diritto privato - Univ. Padova).
Per eventuali altre adesioni:info@criticaliberale
* la Repubblica, 13 febbraio 2007
Politica - PACS...DICO e la CEI Un appello di Giuseppe Alberigo *
La chiesa italiana, malgrado sia ricca di tante energie e fermenti, sta subendo un’immeritata involuzione.
L’annunciato intervento della Presidenza della Conferenza Episcopale, che imporrebbe ai parlamentari cattolici di rifiutare il progetto di legge sui "diritti delle convivenze" é di inaudita gravità.
Con un atto di questa natura l’Italia ricadrebbe nella deprecata condizione di conflitto tra la condizione di credente e quella di cittadino. Condizione insorta dopo l’unificazione del Paese e il "non expedit" della S.Sede e superata definitivamente solo con gli accordi concordatari. Denunciamo con dolore, ma con fermezza, questo rischio e supplichiamo i Pastori di prenderne coscienza e di evitare tanta sciagura, che porterebbe la nostra Chiesa e il nostro Paese fuori dalla storia.
Si può pensare che il progetto di legge in discussione non sia ottimale, ma è anche indispensabile distinguere tra ciò che per i credenti é obbligo, non solo di coscienza ma anche canonico, e quanto deve essere regolato dallo stato laico per tutti i cittadini. Invitiamo la Conferenza Episcopale a equilibrare le sue prese di posizione e i parlamentari cattolici a restare fedeli al loro obbligo costituzionale di legislatori per tutti.
Giuseppe Alberigo, Bologna
Se sei d’accordo scrivi qui la tua adesione
* www.ildialogo.org, Mercoledì, 14 febbraio 2007
Diritti a rate
di Alessandro Robecchi (il manifesto, 09.02.2007)
Ed ecco un’altra questione urbanistica: il raddoppio della base vaticana all’interno della Margherita. La sinistra radicale tiene in ostaggio il governo e tutto il paese, ma non riesce a evitare né la base americana a Vicenza né la base vaticana nella Margherita, né (tra un po’) che se ne vada la base sua.
Il papa in persona ha chiesto se una domenica sì e una no potrà affacciarsi da una finestra del Quirinale, tanto per sottolineare l’apertura e il dialogo con lo Stato italiano. L’altra domenica riceverà in udienza privata i grandi sostenitori della famiglia tradizionale, primi tra tutti i leader del centro-destra che di famiglie ne hanno due.
In questo clima sereno e collaborativo, il consiglio dei ministri ha approvato la bozza sui Pacs, una nuova carta sulla distribuzione rateale dei diritti. Alcuni diritti che col matrimonio avreste subito, con i Pacs (pardon, Dico) vi verranno offerti tra tre anni, in pacco anonimo. Se fate i bravi, dopo nove anni vi recapitano altri diritti (tipo l’eredità). Se riuscite a resistere accanto alla vostra compagna o compagno fino a quando si sistemerà la complessa materia della pensione di reversibilità, forse tra qualche anno vi daranno anche quella. Per agevolarvi aumenteranno l’età pensionabile, così non aspetterete invano. Si discute ancora sull’articolo uno della legge, che regge tutto il resto.
Due che convivono (omo, etero, misti, pinguini, mutanti) dovranno dichiararsi all’anagrafe, come vuole Pollastrini, o soltanto sussurrarselo all’orecchio, come vuole Rutelli? E come chiamarli? Uno sposato si chiama coniugato, uno non sposato si chiama scapolo. E i conviventi? Un suggerimento viene dalla Santa Sede: si potrebbe chiamarli stronzi, una proposta che raccoglie consensi.
Naturalmente le coppie di fatto non potranno adottare bambini, ma nessuno impedirà agli omosessuali di prendere un cane o un criceto, il che dimostra che la Chiesa è disposta alla mediazione. In caso di malattia, il convivente potrà assistere il suo partner in ospedale, ma in caso di chirurgia verrà operato pure lui, anche se perfettamente sano (l’anestesia sarà riservata soltanto alle coppie regolarmente sposate).
Il Consiglio dei Ministri, ha approvato all’unanimità, nel corso di una toccante cerimonia in cui tutti indossavano vesti purpuree, anelli d’oro ed eleganti copricapi in tinta. Dico: amen
Il Papa: solo leggi conformi al diritto naturale *
Il Papa non nasconde la sua grande preoccupazione per l’avanzata di leggi che Sua Santità considera contro la famiglia. Ma non tutti all’interno del Vaticano sono sulla stessa linea. E riferendosi al disegno di legge sulle coppie di fatto Monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea dice: «Mi pare sia una cosa abbastanza ben fatta».
«Io credo - ha spiegato monsignor Bettazzi - che abbiano trovato una soluzione che forse scontenta tutti ma perchè cerca di accontentare tutti. C’è il riconoscimento dei diritti senza arrivare a paragonare ogni convivenza con un matrimonio. Credo che - ha detto ancora - se da una parte c’erano delle spinte ad un rigoroso riconoscimento assoluto, dall’altra c’erano però dei timori spinti all’eccesso. Io credo sia una soluzione che va incontro a delle esigenze senza creare i pericoli che si temevano per la famiglia naturale».
Nessuna perplessità, quindi, sul fatto che si parli anche di coppie formate da persone dello stesso sesso?
«Da quanto ho visto si tratta di riconoscimenti dei diritti individuali. Il fatto poi che stiano insieme...anche noi in fondo nei conventi siamo persone dello stesso sesso che vivono insieme». «Voglio puntualizzare che, - ha ribadito - come aveva detto il Presidente del Consiglio, che è un cattolico sincero, ama la famiglia e viaggia sempre con la moglie, e noi bolognesi lo conosciamo, si sono voluti difendere i diritti individuali senza creare dei grossi problemi di sconvolgimento di mentalità e di sensibilità».
* l’Unità, Pubblicato il: 09.02.07, Modificato il: 09.02.07 alle ore 16.38
La Santa Sede all’attacco del ddl sulle coppie di fatto. Benedetto XVI chiede ai politici di non andare contro il diritto naturale. I vescovi: "Minacciata la società"
Dico, l’offensiva della Chiesa. Il Papa: "Sono preoccupato"
Radio Vaticana: "Scalfiscono l’istituto del matrimonio" *
ROMA - Dopo le cautele l’affondo. La Chiesa reagisce in modo duro al disegno di legge sui diritti dei conviventi in un crescendo di allarmi e scatena una vera e propria offensiva mediatica. Il Papa si dice "preoccupato" e invita i politici "a tener conto del diritto naturale", Radiovaticana denuncia: "Scalfisce l’istituto del matrimonio" mentre i vescovi accusano: "Una minaccia per la società". E l’Osservatore Romano spara: "Ferita la famiglia".
Il primo a parlare, ricevendo l’ambasciatore della Colombia presso la Santa Sede Juan Gomez Martinez, è stato Benedetto XVI. "E’ necessario - ha detto il Papa - appellarsi alla responsabilità dei laici presenti negli organi legislativi, nel governo e nell’amministrazione della giustizia, affinchè le leggi esprimano sempre i principi e i valori che sono conformi al diritto naturale e che promuovano l’autentico bene comune".
Il Papa non menziona il Ddl approvato dal consiglio dei Ministri ma le sue parole risultano chiare. Dopo aver ricordato l’importanza del lavoro della chiesa cattolica per la riconciliazione nazionale, la pace e la giustizia, il Papa ha poi manifestato la sua preoccupazione "per le leggi riguardanti questioni molto delicate come la trasmissione e la difesa della vita, la malattia, l’identità della famiglia e il rispetto del matrimonio".
Secondo Benedetto XVI, persistono, inoltre, "altri problemi nella società che attentano contro la dignità delle persone, l’unità della famiglia, un giusto sviluppo economico e un’appropriata qualità della vita". Tenendo conto di queste difficoltà, il Papa ha invitato, pertanto, "a continuare nello sforzo per conseguire la concordia e la crescita armonica della nazione". Queste aspirazioni, infatti, ha proseguito il pontefice, "si realizzano pienamente solo quando Dio è considerato il centro della vita e della storia umana".
Più esplicita è l’agenzia di stampa dei Vescovi. "I cosiddetti ’Dico’ - scrive la Sir - appaiono destinati a produrre sul cruciale piano delle politiche sociali e di solidarietà problemi più gravi di quelli che si ci si ripromette di affrontare". "Il testo normativo a proposito dei "diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi" - prosegue il testo - definito e approvato dal consiglio dei Ministri di giovedì scorso e avviato, ora, verso l’iter parlamentare minaccia, infatti, di incidere pesantemente - per intenzioni palesi e per conseguenze prevedibili - sul futuro della nostra società nazionale sia dal punto di vista giuridico, sia a livello culturale e di costume sia, infine, nella concreta ricaduta sulla vita delle famiglie italiane".
Infine interviene anche Radio Vaticana. L’emittente della Santa Sede affida il commento a Francesco D’Agostino, presidente dei giuristi cattolici che dice: "Il Dico vuole istituzionalizzare le convivenze sessuate: per questo appare alternativo rispetto al matrimonio". "Si vuole - ha spiegato D’Agostino - regolare un particolare tipo di convivenze: questa è l’idea di fondo e la percepiamo nell’articolo uno perchè si parla di convivenze a base affettiva. E’ un’espressione ambigua. La normale affettività familiare, ad esempio tra genitori e figli, è una cosa diversa". Secondo D’Agostino, "porre accanto al matrimonio un altro istituto introduce fortissimi elementi di squilibrio perchè le future coppie si porranno l’alternativa tra ricorrere al Dico o al Matrimonio". E questo, ha scandito, "scalfirà soprattutto il matrimonio civile, istituzione sociale che merita rispetto e tutela".
* la Repubblica, 9 febbraio 2007
Unioni civili, ingerenza vaticana - il Papa si scaglia contro la legge. Non tutti i vescovi italiani d’accordo *
Il giorno dopo il varo dell’accordo sui diritti individuali dei conviventi a Palazzo Chigi, Papa Josef Ratzinger parla al nuovo ambasciatore colombiano e non nasconde la sua «grande preoccupazione» per l’avanzata di leggi contro la famiglia. Il riferimento è chiaro: a Palazzo Chigi e alla legge sui "Dico" in arrivo a fine mese in Italia. E il Pontefice non si limita a una valutazione ex post, ma aggiunge: «È necessario appellarsi alla responsabilità dei laici presenti negli organi legislativi, nel Governo e nell’amministrazione della giustizia, affinché le leggi esprimano sempre i principi e i valori che sono conformi al diritto naturale e che promuovano l’autentico bene comune». È una intromissione inusitata di Benedetto XVI negli affari di un altro Stato, un appello ai parlamentari cattolici perché boicottino la trasformazione il legge del decreto che regola le unioni civili, che non porta più il nome di Pacs, ma quello di "Dico".
Incontrando il nuovo ambasciatore della Colombia, Juan Gomez Martinez, il pontefice ha preso spunto per esprimere tutto il suo dissenso contro il nuovo ddl Bindi-Pollastrini. «Come Pastore della Chiesa universale - ha detto - non posso non esprimere a vostra eccellenza la mia preoccupazione per le leggi che riguardano questioni molto delicate come la trasmissione della vita, la malattia, l’identità della famiglia e il rispetto del matrimonio». Benedetto XVI ha sottolineato che «alla luce della ragione naturale e dei principi morali e spirituali che provengono dal Vangelo la Chiesa cattolica proseguirà a proclamare senza cessare la inalienabile grandezza della dignità umana».
La linea di ingerenza del Vaticano nella politica italiana è seguito anche da tutti gli organi cattolici. Il quotidiano dei vescovi "Avvenire" dopo il "non possumus" di qualche giorno fa non dedica alla questione nessun editoriale, ma solo un "taglio medio" in prima e articoli di cronaca nella pagine interne. Nel contempo però l’Osservatore romano - organo della Santa Sede - titola a tutta pagina: «La famiglia ferita: arrivano i "Dico"» e insinua che il governo non voglia porre la fiducia, nel prossimo dibattito parlamentare, per non legare «le proprie sorti ai "Dico"». Ma avverte come «per il momento non ci siano le condizioni per una intesa bipartisan» su questo tema.
L’attacco più duro arriva dai vescovi italiani tramite l’agenzia della Cei, il Servizio d’informazione religiosa, in sigla Sir. I «Dico» - sostiene la nota settimanale dell’agenzia - presentano «problemi più gravi di quelli che ci si ripromette di affrontare». «Si parla di "Dico" - continua - ma si pensa a "Pacs", e soprattutto si prefigura una escalation legislativa in senso in questo senso».
* l’Unità, Pubblicato il: 09.02.07, Modificato il: 09.02.07 alle ore 18.15
Il ddl sulle unioni di fatto: dati e novità.
Ecco i passaggi fondamentali della nuova legge.
Il governo ha varato un disegno di legge che regola le coppie di fatto. Ecco i passaggi fondamentali e i dati sul fenomeno *
I NUMERI - Le coppie di fatto in Italia sono 564 mila (rilevazione al 2003), il 3,9% del totale delle coppie. Questo è l’unico dato, certificato dall’Istituto di statistica (i sondaggi risalgono agli anni 2002-2003) sull’ampiezza del fenomeno nel nostro Paese. Un fenomeno in crescita (dieci anni primi, ’94-’95, erano l’1,8%, meno della metà). Di queste il 46,7% è costituito da coppie in cui almeno un componente ha già vissuto una esperienza matrimoniale conclusasi con una separazione o un divorzio. È formato da coppie di celibi e nubili il 47,2%. Le coppie di fatto sono soprattutto al Nord: rappresentano il 5,4% delle coppie nel Nord-Ovest e il 6,2% nel Nord-Est. Al Centro sono il 3,5% del totale. L’1,7% nel Sud e nelle Isole.
FIGLI: NON CAMBIA NULLA- Durante la conferenza stampa i ministri Bindi e Pollastrini hanno precisato che la legge non modifica in alcun modo la legislazione sui figli (riconoscimento, diritti legati alla maternità, adozioni eccetera).
LE NOVITA’ - «Due persone maggiorenni, anche dello stesso sesso, unite da reciproci vincoli affettivi, che convivono e si prestano assistenza e solidarietà materiale e morale, non legate da vincoli di matrimonio, parentela in linea retta, adozione, affiliazione, tutela, curate o amministrazione di sostegno, sono titolari dei diritti e delle facoltà stabiliti dalla presente legge». Ecco l’attacco della nuova legge, che decide di esplicitare come la coppia che va a formarsi può essere anche composta da persone dello stesso sesso.
Ecco alcune esclusioni: non possono unirsi le persone che hanno rapporti di lavoro (per esempio un/a badante con l’assistito/a). Circa le false dichiarazioni, la legge prevede alcune pene: per una falsa dichiarazione di convenienza si rischia da uno a tre anni di carcere e una multa da 3 mila a 10 mila euro. Naturalmente non è possibile dichiarare unilateralmente la cosa, poichè la convivenza deve essere certificata da entrambi. La legge prevede che possano essere riconosciute retroattivamente le coppie in essere. «Entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, può essere fornita la prova di una data di inizio della convivenza anteriore a quella delle certificazioni».
La dichiarazione che le coppie di fatto faranno davanti all’ufficiale dell’anagrafe sarà «contestuale» e non «congiunta» come recitava il primo testo messo a punto da Barbara Pollastrini, nè «disgiunta» come proponeva Rosi Bindi. In buona sostanza, non è prevista esplicitamente, ma nemmeno negata alla radice, la possibilità che i conviventi possano recarsi insieme a registrare la propria unione: potranno farlo oppure no.
I DIRITTI - Ecco alcuni passaggi pratici della legge:
Malattia: «Le strutture ospedaliere e di assistenza pubbliche e private regolano l’esercizio del diritto di accesso del convivente per fini di visita e di assistenza nel caso di malattia o ricovero dell’altro convivente».
Case popolari: le coopie potranno accedere alle liste regionali
Affitti: Sarà possibile subentrare nel contratto in caso di morte del partner.
Ricongiungimento: dopo tre anni di convivenza scatta il diritto ad avvicinarsi al partner in caso di trasferimeno in altra sede.
Eredità: Serviranno almeno 9 anni di convivenza (ma, come si è detto, è possibile anche una dichiarazione retroattiva) per far scattare il diritto alla successione. Dopo questo periodo «il convivente concorre alla successione legittima dell’altro convivente avendo diritto a un terzo dell’eredità se alla successione concorre un solo figlio e ad un quarto se due o più figli».
Gli alimenti: anche in questo caso il diritto scatta dopo un certo lasso di tempo, qui 3 anni. «Nell’ipotesi in cui uno dei due conviventi versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento, l’altro convivente è tenuto a prestare gli alimenti oltre la cessazione della convivenza, purchè perdurante da almeno tre anni, con precedenza sugli altri obbligati, per un periodo determinato in proporzione alla durata della convivenza». L’obbligo di versare gli alimenti, cessa qualora l’avente diritto contragga matrimonio o inizi una nuova convivenza registrata all’anagrafe.
* Corriere della Sera, 08 febbraio 2007
Un po’ colpa mia...un po’ colpa tua...sposiamoci
In una bugia c’è la verità...di vivere
Prima che io...prima che tu...si cambi idea
E le nostre pagine più belle
vengano distratte dagli amanti che...
Fanno di me...fanno di te...la fantasia
Che io come te.... ho ancora paura di perdere...
Le distratte corse libere nei cuori...
A volte fanno meglio delle grandi cose.....
Dicono che col tempo arriverò
A far convivere io e te l’amore
Dicono che per stare insieme a te
Bisognerebbe darti e mai privarti...
Io ci voglio credere ...e tu?
Io ci voglio credere...convivendo
Io ti voglio vivere...e tu?
Io ti voglio vivere....convivendo
Un po’ colpa mia...un po’ colpa tua...tocchiamoci
Nel nostro letto....Preso e montato di sabato
Passiamo ore a fare e disfare...e a miagolare
Giurami che...ti giuro che...non finirà
Perché quello che noi abbiamo dentro è grande...
O perlomeno pari all’impossibile...
Dicono che col tempo arriverò
A far convivere io e te l’amore
Dicono che per stare insieme a te
Bisognerebbe darti e mai privarti...
Io ci voglio credere...e tu?
Io ci voglio credere...convivendo
Io ti voglio vivere..e tu?
Io ti voglio vivere...convivendo
Convivendo...convivendo...convivendo
(Convivendo di Biagio Antonacci)
Raggiunto un difficile compromesso per definire diritti e doveri delle coppie di fatto. Amato: "Meglio di quelli francesi". Tiepida la sinistra radicale
Coppie di fatto, sì del Cdm al Ddl. Ora l’esame del Parlamento"Chiamateli Dico, e cioè diritti dei conviventi, e non Pacs" *
ROMA - Si è concluso con il via libera al disegno di legge sulle coppie di fatto il Consiglio dei ministri convocato oggi alle 17, preceduto da voci contrastanti e da un minivertice in mattinata, a Palazzo Chigi, al quale hanno preso parte il premier, Francesco Rutelli e Massimo D’Alema, Rosy Bindi, Barbara Pollastrini, e Clemente Mastella, durante il quale sono maturate l’intesa con la Margherita e la rottura definitiva con l’Udeur. Romano Prodi ha stretto i tempi per arrivare subito a un accordo, prima della partenza per la visita ufficiale in India. L’iter del disegno di legge partirà dal Senato, e non ci sarà la fiducia "perché noi vogliamo un confronto sereno in Parlamento, anche con la stessa opposizione", dice Vannino Chiti.
Netto il dissenso di Clemente Mastella, che non ha partecipato al Cdm ribadendo ha ribadito la sua posizione, "sempre la stessa", secondo la quale "la famiglia è solo quella fondata sul matrimonio". Il leader dell’Udeur fa sapere che voterà contro la legge ma assicura che non metterà in crisi il governo.
Al termine dell’incontro mattutino, Bindi e Pollastrini avevano continuato a lavorare sul testo per renderlo digeribile a quella parte di maggioranza che lo aveva contestato. La soluzione è lessicale: la dichiarazione, che le coppie di fatto faranno davanti all’ufficiale dell’anagrafe, sarà "contestuale", non "congiunta" - come recitava il primo testo messo a punto da Pollastrini - né "disgiunta" - come proponeva Bindi.
Non è prevista ma neanche negata la possibilità che i conviventi possano recarsi insieme a registrare la propria unione: potranno farlo, oppure no. Un compromesso che, dopo lunghe trattative, sembra accontentare tutti, e Prodi può convocare il Cdm. Un ddl che fissa "diritti originali", spiega Bindi, che respinge i "pesanti attacchi" subiti dal governo, secondo i quali "sarebbe stata indebolita la famiglia".
Francesco Rutelli parla di "equilibrio e saggezza", di scelta "alta di riconciliazione nel Paese e nella società italiana", una decisione "profondamente fedele al programma dell’Unione che chiude una lunga pagina di discussioni, anche troppo aspre".
I "Dico", cioè i "Diritti dei conviventi", osserva Giuliano Amato, sono meglio dei Pacs francesi", perché "tengono conto effettivamente dei diritti e delle situzioni di sofferenza delle persone, mentre i Pacs francesi sono soprattutto una disciplina dei diritti economici e non hanno a che fare con l’affettività". Poi, aggiunge il ministro dell’Interno, "se non ce l’avessimo fatta avrei avuto dubbi anche sulla nascita del Partito democratico, sarebbe stata ardua".
"L’Italia da oggi è un paese più giusto" commenta il leader Ds Piero Fassino secondo il quale il provvedimento "riconosce alle persone che vivono in regime di convivenza, sia omosessuali che eterosessuali, i diritti essenziali per rendere più solida e serena la loro vita". Al tempo stesso, "passa un provvedimento equilibrato e ragionevole che non intacca diritti e prerogative della famiglia fondata sul matrimonio" aggiunge Fassino, che ringrazia Bindi e Pollastrini per "pazienza, tenacia e sensibilità".
Perplessità da parte di Rifondazione comunista. Vladimir Luxuria dice che il disegno di legge, privo della dichiarazione congiunta, rappresenta "un compromesso al ribasso"; il ministro Paolo Ferrero chiede di diminuire gli anni di convivenza necessari per accedere ai diritti previsti dalla legge. Moderatamente soddisfatto Franco Grillini, deputato Ds e presidente onorario di Arcigay: "Si poteva fare meglio, ma è un primo passo rilevante". Una "soluzione pasticciata" per Angelo Bonelli (Verdi) che auspica "miglioramenti in Parlamento".
Il centrodestra non sembra intenzionato a spostarsi dalla linea del no. "Un attacco al valore fondante della famiglia e alle sensibilità di milioni di italiani - dice il forzista Renato Schifani - che apre la strada a pericolose forme di surrogati del vincolo matrimoniale, comprese le convivenze omosessuali". Il collega di partito Enrico La Loggia annuncia "battaglia in Parlamento".
Il presidente dei senatori di An, Altero Matteoli, sottolinea come l’assenza di Mastella al Cdm faccia supporre che "l’Unione al Senato non sarà autosufficiente per approvare la legge, elemento ritenuto finora indispensabile da Prodi e dai leader dell’Unione per l’esistenza del governo". E la Lega, con Carolina Lussana, intravede nell’accordo "l’ennesima farsa di questo governo".
La Chiesa non nasconde la sua contrarietà. Il responsabile della commissione Famiglia della Cei, monsignor Anfossi, dice che la posizione del Vaticano è "severa" e che la legge è "da non farsi". Ma Pollastrini commenta: "Questo ddl è la prova che il governo non accetta divieti né pressioni, quindi garantisce l’autonomia della politica". La Bindi fa eco: "Faccio esercizio di laicità, quello che avranno da dire lo leggerò, so solo che abbiamo fatto un buon lavoro". Concorda Massimo D’Alema: "Il governo di centrosinistra ha mantenuto l’impegno con coraggio ed equilibrio".
Roma, 20:54
PACS: BINDI, PUNTO DI RIFERIMENTO E’ COSTITUZIONE *
Come reagira’ la Chiesa sul disegno di legge per i conviventi? Il ministro per la Famiglia, Rosy Bindi, risponde: "Nel nostro Paese c’e’ un punto di riferimento, che nessuno puo’ ignorare: la Costituzione italiana. A noi dovete chiedere se e’ stata fatta una legge secondo Costituzione. Noi riteniamo di si’". Bindi aggiunge: "Poiche’ pensiamo che la Costituzione italiana sia un grande punto di riferimento per i cattolici, i credenti ed i laici, non abbiamo motivo di ritenere che con questo ddl siamo venuti meno a quei valori che stanno a cuore a quella parte del nostro paese (il mondo cattolico ndr.)". "Avere varato questo ddl dimostra che il Governo risponde alla Costituzione e non ha accettato ne’ divieti ne’ pressioni. Il Governo ha garantito l’autonomia della politica", ha aggiunto il ministro per le Pari Opportunita’, Barbara Pollastrini.
* la Repubblica, 08.02.2007
Contro le ingerenze Vaticane nella vita politica italiane
Pacs, il manifesto per la laicità di 60 parlamentari cattolici Dl
Ansa, 07-02-2007 *
Chiediamo, proprio nel rispetto della missione della Chiesa, che non si metta in dubbio la laicità delle istituzioni, e la nostra responsabilità di legislatori cui tocca il compito di legiferare per tutti". Sono le parole conclusive di un documento sottoscritto da circa 60 deputati e senatori "cattolico-democratici" della Margherita, che fanno riferimento a diverse aree dei Dl.
I firmatari appartengono a diverse aree dei Dl: ci sono i "mariniani" (Nicodemo Oliverio, Salvatore Ladu e Giorgio Merlo), gli ex popolari di Castagnetti (Sergio Mattarella, Lino Duilio e Giovanni Burtone), quelli più vicini a Dario Franceschini (Francesco Garofani, Gianclaudio Bressa), i parisiani (Franco Monaco), i demitiani (Rosa Suppa e Tino Iannuzzi) e i prodiani (Mario Barbi e Tiziano Treu).
"La scelta di sostenere in Parlamento una legge che preveda il riconoscimento giuridico di diritti, prerogative e facoltà delle persone che fanno parte delle unioni di fatto - si legge nel documento - risponde al necessario rispetto di un impegno assunto da ognuno di noi con gli elettori, e sancito nel programma dell’Unione in una equilibrata sintesi tra posizioni e sensibilità culturali diverse".
"Si tratta di un impegno che abbiamo sottoscritto con consapevolezza e responsabilità - proseguono i Sessanta - convinti che la tutela giuridica di diritti e doveri delle persone conviventi, anche fuori dal matrimonio, corrisponda al dovere della politica di non ignorare ciò che emerge dalla realtà sociale e che chiede di essere regolato proprio in funzione del bene comune che ci sta a cuore".
"Normare diritti e doveri delle persone conviventi - aggiunge il documento - non significa in nessun modo mettere in discussione o intaccare la preminente posizione e tutela che la Costituzione riconosce alla famiglia fondata sul matrimonio. Significa, al contrario, a nostro avviso, contribuire ad arginare l’instabilità e la precarietà sociale che sono connaturati alla provvisorietà di situazioni che oggi sfuggono ad ogni sorta di regolamentazione e che penalizzano le posizioni più deboli. E, in taluni i casi, sfuggono per una precisa scelta culturale, fatta di deresponsabilizzazione, di individualismo, di edonismo, di effimera ricerca di una egoistica affermazione di sé, senza vincoli di alcun genere verso l’altro. Questa cultura è diffusa. E con questa realtà bisogna fare i conti anche dal punto di vista del legisltore".
"Per questo - scrivono ancora i 60 parlamentari - da cattolici democratici, da cristiani laici impegnati in politica, assumiamo per intero la fatica di una mediazione che sappia produrre un punto di incontro tra sensibilità diverse, e che, raccogliendo il sentire diffuso, gli interrogativi e le domande che attraversano anche la comunità ecclesiale di cui ci sentiamo parte, eviti lacerazioni e contrapposizioni ideologiche".
"Difendiamo la libertà della Chiesa e la sua missione che in questo campo consiste nell’educare le coscienze e illuminarle, presentando ai giovani le ragioni che rendono ineguagliabilmente bella la scelta di un sacramento che esalta il dono di sé nella fedeltà e nell’amore responsabile tra uomo e donna. Chiediamo, proprio nel rispetto di quella missine - conclude il documento - che non si metta in dubbio la laicità delle istituzioni e la nostra responsabilità di legislatori cui tocca il compito di legiferare per tutti".
Fonte:
http://www.libertaegiustizia.it/primopiano/pp_leggi_articolo.php?id=1074&id_titoli_primo_piano=1
* www.ildialogo.org, Giovedì, 08 febbraio 2007
Sugli interventi del Vaticano contro i PACS
Non ne "possumus" più
di Gherardo Pecchioni, catechista (FI) *
E’ giunto il momento per noi cattolici laici e democratici di far giungere la nostra voce sino alle alte sfere gerarchiche. Con umiltà desideriamo esprimere il nostro sconcerto di fronte ai recenti interventi della gerarchia ecclesiastica in materia di coppie di fatto. Crediamo nel valore dell famiglia, e siamo fermamente convinti che siano quanto mai opportune politiche sociali volte alla tutela di questo istituto; allo stesso tempo riteniamo che sia doveroso per uno stato laico riconscere giuridicamente la realtà delle convivenze di fatto, operazione questa che non può minimamente ledere l’istituto familiare ma che, anzi, nei confronti delle coppie omosessuali può favorire proprio la stabilità del rapporto.
Siamo addolorati nel vedere la nostra amata Chiesa sempre più ridotta ad agenzia di valori tradizionali, piegata a logiche mondane, costantemente presente nello scacchiere politico italiano e apertamente parteggiante per la coalizione di centrodestra. Vogliamo esprimere il nostro leale dissenso, nella fedeltà a Cristo, nei confronti di quella che ormai sembra essere una linea consolidata. Auspichiamo quanto prima l’abbandono dell’attuale deriva conservatrice ed il recupero di una dimensione più profetica e autenticamente evangelica, nello spirito del Concilio Vaticano II.
Gherardo Pecchioni, catechista (FI)
* www.ildialogo.org, 08.02.2007
Se il Dio di Ruini diventa di destra
di EZIO MAURO *
C’È UNA domanda cruciale per la politica italiana che nessuno fa a voce alta, assordati come siamo in questo inizio di secolo dal suono delle campane dei vescovi. Eppure è una domanda che, a seconda delle risposte, può cambiare il paesaggio politico del nostro Paese e può ridefinire alleanze e schieramenti. La questione è molto semplice e si può sintetizzare così: è ancora consentito, nell’Italia del 2007, credere in Dio e votare a sinistra?
Nel silenzio della coscienza individuale è senz’altro possibile e anzi è comune, risponderebbero molti dei nostri lettori, che hanno in mano un giornale laico, sono in parte cattolici e votano abitualmente per lo schieramento di sinistra, magari talvolta turandosi il naso. E infatti, non è la libera testimonianza individuale che è in discussione: e ci mancherebbe. Ciò che invece mi sembra sotto attacco è l’organizzazione politica del pensiero cattolico di sinistra, la sua "forma" culturale, l’esperienza storica che ha avuto in questo Paese e infine e soprattutto la traduzione concreta di tutto ciò nella nostra vita di tutti i giorni e nel possibile futuro. Cioè l’alleanza tra i cattolici progressisti e gli ex comunisti che è al centro della storia dell’Ulivo, che oggi forma il baricentro riformista del governo Prodi e che domani dovrebbe essere la ragione sociale del nuovo partito democratico, risolvendo l’identità incerta della sinistra italiana.
Se non fosse così, non si capirebbe tutto ciò che si muove in queste ore sotto il mantello dei vescovi. È come se per la gerarchia fosse iniziata la terza fase, nei rapporti con la politica italiana. Prima, nel Paese "naturalmente cristiano", la Chiesa poteva presumere di essere il tutto, affidando ad un unico soggetto politico - la Democrazia Cristiana - la traduzione nel codice statuale dei suoi precetti e la tutela dei suoi timori, sempre nell’ombra dei corridoi vaticani, perché l’impronta del Papato oscurava comunque in una surroga di potenza l’identità culturale dell’episcopato nazionale.
Poi, a cavallo del giubileo e all’apogeo di un papato universale come quello di Wojtyla, ecco la coscienza per la Chiesa di essere finita in minoranza in un Paese cattolico per battesimo ma scristianizzato nei fatti, improvvisamente "terra di missione" per una riconquista che per compiersi ha bisogno di un disegno forte e autonomo dei vescovi, perché dopo secoli anche in Italia da "tutto" la Chiesa deve diventare "parte".
L’uomo che gestisce il passaggio in minoranza della Chiesa - la seconda fase - e capisce le potenzialità politiche di questa nuova condizione, è il cardinal Ruini, presidente della Cei.
Diventando parte, la Chiesa diventa reattiva, combattiva, entra in concorrenza con le altre grandi agenzie valoriali e le centrali culturali, si "lobbizza" agendo da gruppo di pressione sui centri di decisione della politica e soprattutto della legislazione. Ruini intuisce che la sfida della modernità, in questa fase, è soprattutto culturale, e capisce di trovarsi di fronte - dopo Tangentopoli e la caduta del Muro - partiti senza tradizione, senza bandiere, senza identità storica. Il pensiero debole della politica italiana può dunque essere attraversato facilmente dal pensiero forte del Papa guerriero, e nella breccia possono utilmente infilarsi i vescovi per una politica di scambio che abbia al centro i cinque temi della vita, della solidarietà, della gioventù e soprattutto della famiglia e della scuola.
La terza fase comincia quando Ruini avverte che alla Chiesa è consentito, nei fatti, ciò che nella Repubblica non è permesso alle altre "parti". Ogni componente della società, ogni identità culturale, nella sua autonomia e nella sua libertà deve riconoscere un insieme in cui le parti si ricompongono: lo Stato. Ma è come se la Chiesa, mentre ammette di essere diventata minoranza, non accettasse di vedere in minoranza i suoi valori, faticasse a stare dentro la regola democratica della maggioranza, dubitasse del principio per cui in democrazia le verità sono tutte parziali, perché lo Stato non contempla l’assoluto. La Chiesa oggi in Italia è più debole di ieri nei numeri? Non importa, perché i numeri non contano visto che per Ruini il cristianesimo è avvertito nel nostro Paese come "senso comune", una sorta di substrato antropologico, una specie di natura italiana: alla quale si può trasgredire solo con leggi che diventano automaticamente contro natura, dunque sono contestabili alla radice.
È un discorso che ha in sé l’obiettivo grandioso della terza e ultima fase del lungo regno ruiniano sull’episcopato italiano: la riconquista dell’egemonia, non più attraverso il partito dei cristiani ma direttamente da parte della Chiesa, che con la spada di questa egemonia rifonderà la politica, separando infine il grano dal loglio e costituendo un nuovo protettorato dei valori nell’esercizio di un potere non più temporale, ma culturale. Un progetto che può compiersi solo davanti ad un sistema politico gregario, senza autonomia, incapace di testimoniare un sentimento civile della Repubblica, svuotato di identità al punto da vedere nella Chiesa l’ultima agenzia di valori perenni e universali dopo la morte delle ideologie. Fonte ancora di mobilitazione, forse di legittimazione, almeno di benedizione, in un Paese in cui tutti i leader politici - o quasi - si sono convertiti se non altro mediaticamente, o comunque hanno dichiarato di essere pronti a farlo, e altrimenti sono in lista di attesa: o, come si dice, in ricerca.
Siamo davanti ad una sorta di neo-gentilonismo, con la religione che diventa materia di scambio, nella presunzione che sia vera la leggenda del voto cattolico di massa orientato dalla stanza del vescovo. Con l’intercapedine culturale dei partiti debole e fragile, la Chiesa scopre la tentazione di raggiungere direttamente il legislatore, si accorge che la precettistica può influenzare molto da vicino la legge, dimentica la distinzione suprema tra la legge del creatore e la legge delle creature. Se il disegno è egemonico, tutto è potenza. E se un testo legislativo diventa simbolico, qui si deve dare battaglia fino in fondo perché la bandiera trascende la norma e il valore ideologico supera il valore d’uso. Ecco la prima risposta alla domanda intelligente di Giuliano Ferrara ai vescovi: dove volete andare con questa battaglia intransigente, non più negoziale, sui Pacs, visto che si prepara "un risultato che collocherebbe l’Italia in un ambito di cautelosità e di disciplina morbida delle pretese nuove forme di famiglia"? Semplicemente, vogliono andare fino in fondo: non della battaglia sui Pacs, ma della battaglia per l’egemonia culturale, che è appena incominciata.
Come accade in ogni battaglia, anche in questo caso il cardinal Ruini lascerà tra poco in eredità al suo successore non solo le truppe, le mappe e le strategie, ma anche le alleanze. Che sono tutte a destra, perché qui si compie, oggi, la lunga cavalcata di quello "strano cristiano" che avevamo visto muoversi sulla scena italiana per la prima volta sei anni fa. Incapace da più di un decennio di far nascere un nuovo sistema culturale che dia un codice moderno ed europeo a moderati e conservatori, la destra si accontenta della prassi di potere e di consenso berlusconiana e prende a prestito le idee forti, che non ha, nel deposito di tradizione della Chiesa italiana. La destra cerca un pensiero, la Chiesa cerca la forza e nell’incontro inedito il verbo si fa carne: e poco importa che sia carne pagana, con la mistica idolatra del berlusconismo che ha introdotto una nuova religione in politica, rendendo Dio strumento dell’unzione perenne al demiurgo, mentre nasce un nuovo "cristianismo", con la fede svalutata in ideologia.
Se questo disegno si compie, la Chiesa corre il rischio mondano di diventare parte, se non addirittura un soggetto politico diretto, e si amputa a sinistra la cultura politica cattolica, per la prima volta nella storia della Repubblica. Escludendo quei cattolici democratici che hanno preso parte attiva alla nascita della costituzione e delle istituzioni repubblicane, e che soprattutto hanno saputo per decenni coniugare la fede con la laicità dello Stato. Forse per il cardinal vicario vale ancora la condanna di Augusto Del Noce contro i "progressisti cattolici": "Trasformano talmente il cristianesimo per non ledere l’avversario, che bisogna dubitare se effettivamente credano". Certo, per Sua Eminenza vale la profezia di Rocco Buttiglione: "Il cattolicesimo che si era lasciato ridurre nell’inglobante progressista oggi non ha più nulla da dire, torna attuale il pensiero cattolico che aveva rifiutato il progressismo".
La partita ruiniana sembra puntare proprio qui, a far saltare l’alleanza tra i cattolici democratici e la sinistra ex comunista, in un disegno riformista che può diventare un partito. Ecco perché ieri sui Pacs - dove i vescovi intervengono ormai sugli articoli di un disegno di legge, non sui valori - è riecheggiato addirittura il solenne "non possumus" di Pio IX, con un monito preciso contro la sinistra e in particolare contro i cattolici democratici: quanto sta accadendo, ha scritto infatti con chiarezza il giornale dei vescovi con un linguaggio mai usato nei giorni più neri della Repubblica, è "uno spartiacque che inevitabilmente peserà sul futuro della politica italiana".
Il dado, a questo punto, sembra tratto. È vero che la presenza cristiana nel Paese, come dice Pietro Scoppola, non è riducibile a questo schema di comodo. Ma la Chiesa, con lo spartiacque benedetto di Ruini rischia di aprire per la prima volta un fronte religioso nella battaglia politica italiana, qualcosa che non abbiamo ancora conosciuto, una faglia inedita. In un terreno fragilissimo, dove troppi politici sono pronti a cambiare opinione a ogni rintocco di campana, sensibili nei confronti dei vescovi molto più al comando che ai comandamenti. Ecco perché bisogna chiedersi se è ancora consentito credere in Dio e votare a sinistra.
Anche se bisognerebbe aggiungere un’ultima domanda: in quale Dio? Nella prima fase dell’era Ruini, era un Dio post-democristiano, comodo perché relativo, appagato dalla sua onnipotenza e affaticato dal suo declino. Nella seconda fase, quella della minoranza, è diventato un Dio italiano, in una sorta di via nazionale al cattolicesimo. Oggi, rischiano di farci incontrare un Dio di destra, e già solo dirlo sembra una bestemmia.
* la Repubblica, 7 febbraio 2007
La maggioranza senza Mastella tiene. Il testo dell’Ulivo sottoscritto anche dalla sinistra radicale approvato con 301 voti, 266 i contrari
Unioni di fatto, bocciati Udeur e Cdl. Passa solo la mozione dell’Unione *
ROMA - Via libera della Camera alla mozione dell’Ulivo sulle copie di fatto. L’Aula di Montecitorio ha dapprima bocciato tutte le altre mozioni presentate (compresa quella dell’Udeur) e poi ha approvato quella avanzata dall’Ulivo, sottoscritta anche da Rifondazione, Verdi, Pdci e Italia dei valori, con 301 voti a favore, 266 contrari e 10 astenuti.
Si chiude così una giornata che era iniziata con la decione dei Verdi e di Rifondazione di rinunciare ai rispettivi documenti per annunciare il "sì" a quella dell’Ulivo. Ma il colpo di scena viene dall’Udeur di Clemente Mastella: Mauro Fabris, capogruppo a Montecitorio, annuncia il "sì" del suo gruppo ai testi di Udc e Forza Italia. ’’Il governo non può contare su di noi per una legge’’ sulle coppie di fatto. Abbiamo chiesto all’esecutivo - prosegue Fabris - proprio perché è anche il nostro governo, di non avanzare proposte su una materia che noi riteniamo non soggetta a vincoli di coalizione o di partito in quanto tocca valori e convinzioni personali, che devono essere lasciate alla personale responsabilità, alla coscienza’’.
E’ stata Rosy Bindi, ministro per la famiglia, a dare parere negativo a tutte le altre mozioni in nome del governo: "A nome del governo do il parere favorevole alla mozione Franceschini". La Bindi ha poi spiegato che il ddl governativo vuole essere una "sintesi etica e culturale del nostro paese" e che non prevede la possibilità di ricorso alla fecondazione assistita nè le adozioni nè gli affidi per le unioni civili. "Non procederemo a un riconoscimento delle convivenze in quanto tali - ha continuato il ministro - ma a quello dei diritti delle persone che fanno parte delle unioni di fatto, senza discriminazioni sessuali".
* la Repubblica, 31 gennaio 2007
Pacs, l’amore debole
di Paolo Hutter *
Sono passati più di 14 anni da quel speranzoso sabato di giugno 1992 in cui da consigliere comunale avevo simbolicamente celebrato a Milano le «unioni civili» di dieci coppie omosessuali. Avevamo escluso la richiesta di accedere al matrimonio e alle adozioni e ci sentivamo saggi e forti nel rivendicare, su tutto il resto, la parità di diritti. Caricandoci ovviamente del dovere alla mutua assistenza morale e spirituale. Piazza Scala applaudiva la rappresentazione autentica e sobria. Facevamo la parte di noi stessi.
La strada sembrava aperta. Avrei scommesso che nel giro di qualche anno sarei passato dal ruolo di celebrante simbolico a quello di partner registrato effettivo, se la relazione col mio compagno - che allora consideravo un po’ sperimentale - fosse durata. Sono passati quattordici anni, mamma mia, e siamo ancora allo stesso punto. Non della mia relazione, si intende: dopo 16 anni (fantastico, mammamia) direi che siamo andati oltre la fase sperimentale..
Ma dal punto di vista politico e legale il dibattito sembra addirittura aver fatto passi indietro. Non basta che rinunciamo a chiedere l’accesso al matrimonio e alle adozioni. Sembra che dobbiamo continuamente ripetere che, per carità, chiediamo solo una leggina piccina, una specie di assicurazione perché non si sa mai cosa può succedere nella vita. Tutti i giorni dobbiamo sentirci dire, anche da chi ci appoggia, che non siamo famiglie, che quello che si chiede è solo un riconoscimento di convivenze. Un passaggio anagrafico. Chi abita in questo appartamento? Ma anche questo è troppo. Siamo un amore debole e non dobbiamo comportare oneri per lo Stato.Ci sono uomini politici, gruppi politici che adesso fondano la loro ragion d’essere sull’essere baluardo anti-Pacs.
Mi preparo a scendere in piazza, a chiamare amici e conoscenti a partecipare per spingere alla approvazione di una legge talmente striminzita che molto probabilmente non potrò usufruirne né potranno farlo quelli tra i miei amici che ne avrebbero più bisogno. Comincio dal caso che riguarda la mia come - ne son certo - migliaia di altre coppie. Stiamo insieme da 16 anni ma tecnicamente non siamo conviventi. Abbiamo due appartamenti vicini, ma diversi. Solo da poco il mio compagno sta spostando le sue cose nella mia casa e medita di fissarvi anche la sua residenza. Leggo che dal momento della co-residenza e della successiva "dichiarazione di relazione" ( o come si chiamerà, visto che pare che non possiamo neanche chiamarci coppie) dovranno passare parecchi anni ( tra i 5 e i 15) per avere i diritti. Altri 15?
Faccio fatica a capire perché lo Stato abbia bisogno che conviviamo sotto lo stesso tetto. Ma che addirittura si debba aspettare anni dopo la convivenza, perché? Pazienza se almeno questa impostazione risolvesse i problemi di persone più deboli. Ma il mio giovane amico brasiliano XXX rischia di non poter entrare neanche lui in questa legge, anche se col suo compagno italiano convive da due anni nella stessa stanza. Gli avevo detto che avrebbe avuto il permesso di soggiorno che nessun datore di lavoro è riuscito a dargli. Che lo avrebbe avuto non per un matrimonio di comodo, ma per la relazione vera che ha . Ma come fa a essere dichiarato convivente, se per legge non può risiedere in Italia? Gli dobbiamo cercare una ragazza che lo sposi per finta? Non so a quali paradossi ci porterà questo continuo ribasso. Comunque ci dobbiamo mobilitare, almeno per difendere la nostra dignità.
* l’Unità, Pubblicato il: 02.02.07, Modificato il: 02.02.07 alle ore 9.34
Vertice tra il presidente del Consiglio e i ministri della Famiglia e delle Pari opportunità. D’Alema: "La legge non avrà nulla di eversivo" ma il Papa torna a ripetere il suo no
Prodi su Pacs e coppie di fatto "Fatto un altro passo avanti" *
BOLOGNA - Sui Pacs, Romano Prodi vuole cancellare voci di divisioni nel governo: "Il lavoro procede. Abbiamo fatto il punto con i ministri Pollastrini e Bindi andando sempre avanti verso l’accordo, verso l’elaborazione di un progetto che sono sicuro segue il programma e troverà l’approvazione di tutta la coalizione". Uscendo dalla sua casa a Bologna dopo l’incontro con i ministri delle Pari opportunità e della Famiglia, il presidente del Consiglio parla di coppie di fatto: "Si sta lavorando secondo le linee del programma per un accordo. Oggi abbiamo fatto un approfondimento: quindi, in quanto tale, è un altro passo in avanti".
Nel conclave di Caserta, i due ministri avevano portato due proposte sui Pacs. La Ds Pollastrini convinta che quanto prima serviva "una nuova stagione di riforme"; Bindi, cattolica di Dl, decisa ad allungare i tempi di attuazione della legge. Al termine dell’incontro sembrava che la linea Bindi fosse uscita vincente anche se il ministro alla Famiglia si affrettò a dire che "questa legge si deve fare presto". "Entro il 31 gennaio", precisò Anna Finocchiaro capogruppo dell’Ulivo al Senato.
Prodi oggi torna sui Pacs per dire che è "stato fatto un nuovo passo avanti" verso una legge che "non ha nulla di eversivo" come precisa il ministro degli Esteri Massimo D’Alema intervenuto alla Conferenza nazionale delle donne Ds riunite a Bologna. "Non si tratta di importare dall’Europa un diabolico scardinamento della famiglia", ha detto D’Alema. "Qui si tratta di adeguare tardivamente il nostro paese agli standard riconosciuti nei paesi civili d’Europa. Parliamo del riconoscimento di milioni di persone". Gli fa eco Piero Fassino, segretario nazionale dei Ds che, allo stesso convegno, che strappa un applauso quando sostiene che "unioni di fatto, sia omo che eterosessuali, testamento biologico, accanimento terapeutico... è tempo ci sia un quadro legislativo adeguato, moderno e civile. Essere di sinistra significa battersi per un mondo in cui nessuno sia lasciato solo".
"Sarà una legge di stampo europeo", annuncia il ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, una legge "inevitabile ed urgente", come la definisce Franco Grillini, deputato dell’Ulivo e presidente onorario di Arcigay proprio oggi però che il Papa ritorna a ripetere il no della chiesa cattolica alle unioni gay. Intervento alla Sacra Rota Romana in occasione della solenne inaugurazione dell’Anno Giudiziario, Benedetto XVI ha condannato chi vorrebbe ritenere la famiglia una "sovrastruttura legale che la volontà umana potrebbe manipolare a piacimento, privandola perfino della sua indole eterosessuale".
"Nel discorso di Ratzinger - ribatte Grillini - si dice che l’approvazione di una legge che riconosca i diritti delle famiglie non tradizionali ’relativizzerebbe’ l’istituto matrimoniale. In realtà si tratta di riconoscere i diritti a moltissimi nuclei familiari che esistono di fatto, ma per l’appunto, senza diritto e senza diritti".
* la Repubblica, 27 gennaio 2007
Luigi Nervi, mediatore familiare di 58 anni, ha deciso di difendere a tutti i costi l’istituzione della famiglia tradizionale, minata alle fondamenta da chi auspica l’avento di Pacs, nozze gay e poligamia.
Così il 26 Dicembre scorso è partito dalla sua casa di Aqui Terme, in provincia di Alessandria, e ha cominciato il suo viaggio a piedi verso la capitale: 20 chilometri al giorno con la speranza di raggiungere Roma il 31 gennaio, in tempo per la discussione parlamentare sui Pacs.
Con le sue scarpe da tennis, una tuta sportiva e un mantello giallo con la scritta "Giù le mani dalla famiglia", Nervi sta attraversando Liguria, Toscana e Lazio secondo un itinerario improvvisato di giorno in giorno.
Numerosi gli attestati di stima e di solidarietà che hanno raggiunto nella prima parte del viaggio questo coraggioso cattolico, già segretario regionale piemontese del Movimento Cristiano Lavoratori (Mcl).
Per saperne di più sulla protesta silenziosa di Luigi Nervi, basta collegarsi al suo sito (luiginervi.it), aggiornato ogni giorno con i suoi appunti di viaggio e le informazioni sulle tappe sucessive della lunga marcia in difesa della famiglia.
(Scritto da: Massimo Costa il 25-1-2007 su : iltimone.org)
Caro Biagio
Leggi bene e rifletti. Ma chi mette in discusssione la famiglia?!!! La natura è natura, ma è la cultura che libera la natura dalla sua cecità - e dal suo biologismo e razzismo!!! La nostra COSTITUZIONE è la LEGGE dei nostri PADRI e delle nostre MADRI. Ricordiamocelo e cerchiamo di non perdere di vista la nostra dignità di persone e di cittadini-sovrani e di cittadine-sovrane (don Lorenzo Milani - don Giuseppe Dossetti !!!) ... se non vogliamo tornare nei "recinti" dei "faraoni" e adorare il loro "vitello d’oro"!!! Cerchiamo di non cadere in una crisi di nervi catttolico-romani (non cristiani!!!) , e di crescere ed essere all’altezza deil’Amore dei nostri Padri e delle nostr Madri!!!
Sul tema, nel sito, cfr.
Federico La Sala
Caro Federico,
che termine abusato l’ "Amore" ! Ma quale Amore ? Se tutti i nostri desideri diventano bisogni, e i bisogni devono diventare dei diritti, allora dove andremo a finire ? Antropologicamente parlando siamo dei poligami (se no come giustificare la prostituzione e la pornografia dilagante ? E poi basta osservare il comportamento dei primati); essere oggi, come ieri, monogami, è contro la legge di natura e quindi, seguendo il tuo ragionamento, dovremmo abolire la monogamia e introdurre la poligamia, come nei paesi arabi (così chi è ricco potrà permettersi più mogli). Seguendo sempre la natura, il "Partito dell’Amore" (sempre lui, l’Amore!) olandese ci ricorda che anche i bambini e gli adolescenti hanno dei desideri, dei bisogni, e quindi dei diritti che la società deve salvaguardare. Quindi via con una legge che legalizzi la pedofilia ! Però se guardiamo ancora più avanti esistono altri desideri, come quello di accoppiarsi con gli animali, ai quali dopottutto assomigliamo grazie ai nostri istinti. Allora via con la legalizzazione della zoofilia. Ma se poi a uno piace cibarsi di carne umana, perchè non una legge che salvaguardi il cannibalismo ? Di seguito, poi, c’è pure chi ama i morti e quindi via a una legge che permetta (grazie al consenso del defunto quando era in vita) la necrofilia.
Ci dobbiamo preparare e rassegnarci a questa realtà ? Glielo chiedo sinceramente, senza polemiche.
Se guardiamo al passato, duecento anni fa nessuno poteva prevedere la legalizzazione del divorzio, dell’aborto, dell’eutanasia, per non parlare dei PACS ...
Mi dispiace, ma penso che l’umanità, e in particolare la nostra società italiana, non possa accettare e non meriti tale supplizio.
A cosa servirebbe quell’armonia, quella libertà che tu auspichi in un inferno del genere ?
Grazie della tua graditissima risposta .
Tanti saluti. Biagio
Caro Biagio
a quanto pare devi andare urgentemente dall’oculista - non leggi e parli a vanvera. Vedo che perdi subito la calma - il timone - e cadi in una crisi di nervi cattolico-romana ruinosa, totale!!!
Io sto parlando della Legge (Mosè) dei nostri Padri e delle nostre Madri, della Costituzione - la nostra "Bibbia civile" (Cristianesimo) - e non della Costituzione dogmatica della tua-vostra Chiesa cattolico-costantiniana!!! "MA MI FACCIA IL PIACERE": VATICANO, NERVI, E MAGISTERO DI AZZECCAGARBUGLI !!! Boh e bah?!!!
Sul tema, nel sito, cfr.:
Esci dalla "forresta" a "gumpe" elevate !!! Vai dall’oculista e ... torna, torna a te stesso - a San Giovanni in Fiore, e in Italia!!! Un giardino - che meraviglia!!!
VIVA GIOACCHINO, VIVA DANTE, VIVA L’ITALIA!!!
Molti, molti, cordiali saluti
Federico La Sala
Caro Federico, a me non servono gli occhiali, io posseggo il cannocchiale di Galileo da 30 ingrandimenti (quello citato all’inizio del “Sidereus Nuncius”) !
Non è poi così difficile immaginare la società che vuoi, a cui aspiri. La Carità e la Libertà, delle quali riempi queste pagine, sono diventate sinonimi di una licenziosità guidata, di una organizzazione, di una coreografia, di una spettacolarità che fanno parte dell’anima segreta di una dittatura, quella laicista, che tenta d’imbavagliare chi la pensa diversamente ! PANE, SESSO, CANZONI e GIOCO; "Noi con le canzoni li domineremo!" così diceva IL GRANDE INQUISITORE di Dostoevskij. È una profezia che ci tocca fisicamente tutti, perchè questa dittatura può perfino coesistere con la stessa Costituzione delle nostre Madri e dei nostri Padri, con la stessa democrazia !
Cosa sarebbe stato un Cristo schiavo (fra gli schiavi) delle passioni, del desiderio, del bisogno, come tentate di descriverlo ? Il vostro Cristo, il tuo Cristo, sarebbe stato al servizio della materia, non certo la materia al servizio dello spirito ! Non più Uomo libero e liberatore insieme !! Il tuo, caro prof. è un gioco psicologico e spirituale raffinatissimo, dove chiunque può soccombere. È un invito ad adagiarsi senza timore a queste realtà, a questi bisogni, a distendersi, a riposare, a non pensarci più.
"Fai sazio un uomo (soddisfa i suoi desideri!) ed egli sarà disteso (orizzontalmente) ai tuoi piedi". Ci stanchiamo a stare sempre in piedi (verticalmente). Che significa precisamente battersi sempre per la propria dignità e per la propria libertà.
Nell’opera citata di Dostoevskij si rimprovera il Cristo di non aver tenuto in debito conto quanto pesi essere liberi, e quanto difficile e pesante sia conservarsi liberi. Così quella macchina dell’asservimento, che con tanta passione e dedizione pubblicizzi e propagandi in questa testata, diverrà sempre più perfetta e totalizzante, finchè non ci sarà più via di scampo.
A questo punto le auguro anche io buon proseguimento di "lavoro" ! E che "lavoro" !!!
Cordialmente la saluto. Biagio
Caro Biagio
il tuo rispondere è semplicemente pieno di veleno, e solo contro te stesso - e con nessuna volontà di dialogare (come dimostrano non solo questi interventi, ma le tue infinite risposte ai vari articoli distribuiti nel sito - e non solo miei)!!!
Tu puoi possedere pure "il cannocchiale di Galileo", ma .... l’intervento dell’oculista è sempre necessario!!! Non vedi - e non leggi, e così rimani sempre al buio - nel "tuo mondo", senza porte e senza finestre.
Che dire!? L’ amore che muove il Sole e le altre stelle - ecco un verso di Dante che vede oltre il telescopio di Galileo!!! E questo amore non ha proprio niente a che fare con le tue fantasie e con la "caritas" (il "caro-prezzo") del tuo "pastore tedesco", ma molto con il "lupo di Gubbio" (Francesco) e il "lupo di San Giovanni in Fiore" (Gioacchino).
Se trovi un bravo oculista o se riesci ad aprire qualche spiraglio da qualche parte dalla tua "caverna"(Platone), sul tema, cfr.: PER L’ITALIA, "DUE SOLI". Galilei la pensava come Dante, e non come quelli che lo condannarono e cercarono di piegarlo al "loro" mondo di menzogne e di vergogne. Senza sensate esperienze e certe dimostrazioni, ma abusando (come al solito - da cattolico-romani) della loro autorità e della forza cieca della loro fede, lo ridussero alla loro ragione - quella di Costantino: In hoc signo vinces!!! Senza CHARITAS !!!
Molti, molti, cordiali saluti
Federico La Sala
Caro Federico, come si fa a dialogare con chi distorce la storia, la verità; che va appresso alle leggende nere della Chiesa(vedi per esempio le cavolate che spari su Galileo !!), alle leggende metropolitane ? Tu sei il nostro Giulietto Chiesa. Lavori di fantasia ! Introduci postulati senza fondamenti !
Per la quantità di veleno che mi attribuisci, non mi sembra poi che tu ne sia proprio sprovvisto. Basta leggere continuamente i tuoi articoli per rendersi conto dell’odio che nutri nei confronti di chi non la pensa come te, che ha altri valori.
Buona serata e cari, carissimi saluti. Biagio
NON E’ SOLO IL MATRIMONIO A FARE UNA COPPIA
di Corrado Augias (la Repubblica/Lettere, 19.01.2007)
Gentile Augias, chi si oppone ai Pacs spesso pensa a coppie di omosessuali, a giovani che scelgono la convivenza per ribellione allo Stato e alla Chiesa. Ma tra chi rifiuta il matrimonio (civile o religioso) ci sono quelli che non vogliono più vivere un’esperienza matrimoniale per non ritrovare fantasmi del passato o turbare i propri figli o per evoluzione culturale e psicologica, insomma per motivi privati legittimi degni d’ogni rispetto. La mia storia personale la potrei chiudere in una battuta tra amici: il matrimonio non ha funzionato ma la separazione m’è venuta benissimo. Un equilibrio raggiunto dopo anni di sofferenze coniugali.
Eppure con il divorzio spesso (molto spesso) si perdono benefici e sicurezze, si mettono a dura prova equilibri e bilanci, insieme a quelli ben più fragili con i quali si fanno i conti ogni giorno, soprattutto se ci sono figli amatissimi e non ancora indipendenti.
Nonostante la fine di un matrimonio si riesce ancora a credere nella bontà di un legame amoroso, nella possibilità di creare una nuova unione, una famiglia, in cui spendere ancora qualche speranza di felicità, ma difficilmente si pensa di ripetere l’esperienza di un vincolo, civile e men che mai religioso.
La domanda è: chi sceglie di «non essere» marito e moglie ma solo compagna di una nuova vita dopo esperienze dolorose che avevano annullato ogni speranza, deve temere di non ricevere lo stesso rispetto di una ’moglie’?
Anna Maria Corposanto
Il mondo cambia, cambia la famiglia, pretendere di contrastare i cambiamenti dando per così dire l’esempio, da soli, rifiutando di prendere atto della realtà è inutile ma più ancora è patetico. Com’è successo con la legge sulla procreazione assistita che basta andare ad Ankara o a Barcellona o dovunque in Europa. Se uno ha i soldi per farlo.
Nel 1950, cioè l’altro ieri, solo il 5 per cento delle donne americane viveva senza un marito, oggi sono il 51 per cento perché ogni anno aumentano le nubili, le separate, le divorziate, le vedove, quelle che convivono con chi gli pare, per il tempo che gli pare. La direttrice del Consiglio per la famiglia negli Usa ha dichiarato: "Ormai è chiaro che la donna trascorre più della metà della sua vita da adulta fuori del matrimonio".
La Francia detiene in Europa il record della natalità, due figli per donna, più della Cina, più della cattolica Irlanda. I matrimoni però diminuiscono, infatti la metà di questi bambini sono nati fuori dal matrimonio. In compenso aumentano i Pacs, nel 2005 sono cresciuti del 50 per cento rispetto all’anno precedente.
Il matrimonio è un’istituzione umana con la quale si è soprattutto voluto rendere certa la discendenza di sangue per motivi ereditari e d’interesse. L’economia ha formato il matrimonio, l’economia lo sta modificando.
Secondo un demografo americano del Brookings Institute, dagli anni Sessanta in poi sempre più donne rifiutano di dipendere da un marito e preferiscono convivere senza sposarsi: questione di femminismo, di libertà, di carriera. Questi dati non devono suscitare né compiacimento né recriminazioni, è semplicemente ciò che accade e con la realtà non si polemizza, tanto meno a base di anatemi, minacciando l’inferno.
Il respiro d’oltre Tevere
di CHIARA SARACENO (La Stampa, 10.01.2007)
Nell’elenco delle minacce al benessere dell’umanità e alla giustizia che il Papa ha presentato alle rappresentanze diplomatiche c’è anche quello alla famiglia: indebolita e «relativizzata», a suo parere, da forme di riconoscimento di rapporti diversi da quelli fondati sul matrimonio eterosessuale. Ci si può chiedere se si tratti di una minaccia della stessa gravità di altre pure ricordate dal Pontefice: le guerre, la povertà estrema, la mancanza di cibo e di acqua potabile che condannano a morte (senza eutanasia) milioni di persone, inclusi i bambini. E se porre quella sullo stesso piano di queste non sia, essa sì, una forma di relativizzazione grave, che mette sullo stesso piano un pacs e una guerra civile, l’amore omosessuale e l’indifferenza colpevole per le condizioni di sopravvivenza di intere popolazioni, i Paesi e i governanti che riconoscono diritti alle coppie non coniugate, etero o omosessuali, e i Paesi e i governanti che fanno della violenza contro i propri e altrui sudditi sistema di governo.
Ma rimaniamo alla questione della relativizzazione della famiglia denunciata dal Papa e subito raccolta dal dibattito politico di casa nostra, sempre ossessivamente preoccupato di ogni respiro d’Oltretevere su questo argomento. Storici, antropologi, giuristi hanno documentato da tempo che la famiglia è una delle istituzioni sociali più mutevoli nello spazio e nel tempo, quindi costantemente «relativizzata». A parte la questione della poligamia, non è sempre stato vero, ad esempio, che un matrimonio è valido solo se c’è il consenso di chi si sposa. E la stessa Chiesa cattolica ha modificato l’età minima alle nozze solo dopo che questa era stata innalzata nella maggior parte dei Paesi occidentali negli Anni 70 del Novecento. Prima, veniva considerato accettabile che una bambina venisse fatta sposare a 14 anni, se i genitori davano il loro consenso e se il matrimonio riparava una attività sessuale precoce, una violenza, una gravidanza. Anche il fenomeno famigliare più apparentemente ovvio e «naturale» - la filiazione - non è affatto regolato nello stesso modo sempre e dovunque, ovvero non tutte le società definiscono nello stesso modo di chi sono i figli e quali tra i bambini che nascono hanno diritto al pieno statuto di figli. Senza andare troppo lontano, in Italia solo nel 1975 è sparita definitivamente la distinzione tra figli naturali e legittimi, e neppure del tutto.
La storia della famiglia è anche una storia - spesso tortuosa, conflittuale e certamente non compiuta - di civilizzazione dei rapporti tra i sessi e le generazioni. In Occidente, anche il cristianesimo e in particolare la Chiesa cattolica hanno avuto una parte importante, anche se non sempre lineare, in questa storia di continue ridefinizioni.
Nulla di meno naturale della famiglia, quindi, e per fortuna. Perché in nome delle «norme naturali» si sono avallate, e in molti Paesi tuttora si avallano, violenze e sopraffazioni: degli uomini sulle donne, dei genitori sui figli, dei più vecchi sui più giovani. Non a caso le trasformazioni più rilevanti, anche a livello normativo, della famiglia avvengono a seguito dell’ampliarsi dei diritti civili dei singoli e della consapevolezza della dignità e capacità delle persone.
Non è quindi in nome dell’immutabilità della famiglia che ci si può opporre a una forma di regolazione delle unioni civili, etero o omosessuali. I motivi hanno piuttosto a che fare con idee di normalità e sessualità più o meno condivise. Mentre il Papa, come chiunque di noi, può discettare su amori forti, deboli e deviati, compito della politica è verificare solo se vengono lesi i diritti di qualcuno o messe a repentaglio istituzioni fondamentali. Chi vorrà sposarsi continuerà a farlo. Nessuno diverrà omosessuale solo perché le coppie omosessuali otterranno qualche diritto. E non si capisce che danno sociale possa derivare dal consentire a relazioni di amore e solidarietà di dare luogo a diritti e responsabilità anche con rilevanza pubblica invece che rimanere nella clandestinità. Anzi, il riconoscerle offrirà protezione da rischi di irresponsabilità e sopraffazione. Altri Paesi, altri governi, hanno da tempo operato questo passo, offrendo soluzioni diverse senza provocare rotture sociali e fughe nella irresponsabilità.
Non sarebbe sorprendente se il governo entrasse in crisi su famiglia e diritti civili - da sempre terreno minato della politica italiana. Ma sarebbe anche il de profundis dell’intelligenza (oltre che dei diritti civili e della laicità dello Stato).
L’AMACA di
Michele Serra (la Repubblica, 10/12/2006, p.28)
Poveri cattolici conservatori, terrorizzati dall’idea che qualche timida concessione statale alle coppie irregolari e alle coppie gay (regolarissime, in genere) possa mettere a repentaglio la loro Sacra Famiglia Tradizionale. Devono avere ben poca fiducia nei loro sacramenti, nel loro dio, nel loro amore, nei loro mariti e nelle loro mogli, per reagire con tanta piccineria e iracondia al bisogno di legge e di rispetto di chi non è come loro, non vive come loro, non ama come loro. Il rispetto degli altri è sempre direttamente proporzionale alla fiducia in se stessi. Evidentemente non hanno molte certezze sulla propria morale, questi tremebondi tutori della tradizione. Se non odiano gli omosessuali come i giovinastri rapati che ululano contro i "culattoni" inalberando le loro croci celtiche, e al riparo delle piazze "liberali" che li ospitano, è solo perché trovano più socialmente conveniente provare pena, e oggettivo disprezzo. Ma è la loro, non quella dei fascisti, la discriminazione più pesante e più violenta. È quella dei conformisti spaventati, insicuri dei loro sentimenti, sgomenti di fronte all’eros che scompagina la vita, chiusi a riccio attorno a un disamore che nessun dio vorrebbe mai ospitare nella propria casa, che è senza porte e senza inferriate.
I mercanti del tempio
di Ida Dominijanni *
Con l’aiuto di Maria troveremo il coraggio di dire no agli inganni del potere, del denaro, del piacere, ai guadagni disonesti, alla corruzione e all’ipocrisia, all’egoismo e alla violenza. Di dire sì al messaggio della Croce e all’onnipotenza del bene; di estrarre dalle radici cristiane dell’Europa l’essenza per costruire la civiltà dell’amore e voltare le spalle a quella dello sfruttamento e della strumentalità. Sono parole di papa Benedetto XVI e a noi, laici e cattolici, non resta che unirci a lui in questa convinta invocazione. Se non da Maria, da chi chi dovrebbe venirci un sostegno?
Non dal vicario di Dio, che mentre con le parole pronuncia questi auspici li smentisce con la pratica. Da anni e anni e ogni anno peggio dell’anno precedente, nella capitale della chiesa cattolica e dello stato laico, la pratica del culto dell’Immacolata assume le sembianze di una sorta di girone dantesco: a imitazione dell’Inferno degli scialacquatori, dei golosi, dei simoniaci e degli adulatori più che del Paradiso che Ratzinger cita a esempio della devozione per la Vergine. Sacro e profano, la via del pontefice e la via dello shopping, il turismo vaticano e il turismo vacanziero si mescolano indistinti e indistinguibili fra un ingorgo e l’altro, un’attesa disperata per l’autobus e una sosta speranzosa al bar, una transenna rispettata e una violata, santificati dall’omaggio al pontefice dei commercianti di via Condotti e uniti dall’unico culto che conta davvero, quello della personalità. Il papa per l’occasione, e tanto meglio se si aggiungono il sindaco di Roma e quello di Parigi, e il presidente della provincia con la figlia benedetta di nome e di fatto, a incarnazione del patto di ferro che lega in Italia il governo dei cittadini e la pastorale delle anime.
Il solo patto stabile, come sappiamo dalle cronache del Palazzo, che stabilmente governi il paese, da centrodestra o da centrosinistra non importa, e che stabilmente viola tanto i principi dello stato laico quanto quelli dell’etica cristiana. Sullo sfondo del culto della Vergine Madre risuona come un’eco lontana l’impietoso articolato della legge 30 sul problema sociale dell’infecondità; stona con la celebrazione di qualsivoglia culto la sordità su cui rimbalzano in tv gli appelli di Piergiorgio Welby dalla sua agonia senza pietà; contraddice ogni inno alla civiltà dell’amore la ferma e inflessibile barriera vaticana alla regolarizzazione civile delle unioni sacralizzate da un sentimento ma non dal matrimonio. Per ognuno di questi e di altri campi, freddamente detti «eticamente sensibili» ma che caldamente toccano la condizione umana di tanti e tante, la sovrapposizione e la rincorsa fra il potere temporale del Vaticano e il potere politico dello Stato non fa che annodarsi in un ingorgo paralizzato e paralizzante, che erode tanto le basi della cittadinanza quanto quelle della fede. Né Paola Binetti né Anna Serafini avranno la grandezza d’animo di intenderlo, ma in tempi in cui sacro e profano si confondono nel mercato dello shopping natalizio, presidiare le ragioni della laicità sarebbe l’unica strategia lungimirante per presidiare, contemporaneamente e con la stessa forza, anche quelle della religiosità.
* il manifesto, 09.12.2006
I GENDARMI DEL PAPA
di Gianni Rossi Barilli (Il Manifesto, 08/12/2006)
I gendarmi parlamentari del papa non possono accettare neppure in caso di morte una qualsiasi forma di equiparazione tra le coppie di fatto e quelle unite in matrimonio.
Come mai quando i cattolici minacciano di spaccare la maggioranza «per ragioni di coscienza» li si accontenta sempre? E come mai invece nessuno gli dice mai che c’è un limite a tutto e che se intendono far cadere Prodi si devono assumere la responsabilità storica di riconsegnare l’Italia nelle mani di Berlusconi? È uno dei tanti misteri insoluti della politica italiana.
Un «fatterello» successo ieri in senato conferma in compenso la regola: quando i teodem (cioè gli esponenti della lobby vaticana eletti nel centrosinistra) fanno la voce grossa bisogna dargliela vinta sempre e comunque. L’oggetto del contendere, nel caso specifico, era un emendamento di maggioranza alla legge Finanziaria che avrebbe dato la possibilità ai conviventi che ereditano per testamento i beni del loro partner di pagare la tassa di successione alla stessa aliquota prevista per i coniugi e per i parenti più stretti. Si noti che la tassa di successione si paga sui patrimoni superiori al milione di euro e si immagini a quale percentuale della popolazione ammontino i conviventi che ogni anno ereditano tali fortune.
Il problema, come pare ovvio, era di principio: i gendarmi parlamentari del papa non possono accettare neppure in caso di morte una qualsiasi forma di equiparazione tra le coppie di fatto e quelle unite in matrimonio. Costi quel che costi. Sull’altare dei loro dogmi sono pronti, oltre che a lottare a mani nude con i leoni, perfino a far saltare la Finanziaria, ovvero la più sacra tra le leggi per un leader medio del centrosinistra.
Per scongiurare l’orrida eventualità, gli strateghi dell’Unione si sono messi al lavoro e hanno prodotto, per dirla con la capogruppo dell’Ulivo in senato Anna Finocchiaro, «un grande fatto politico». Mettendola così viene l’acquolina in bocca: ci si rimane quindi anche male scoprendo che la mirabolante trovata è solo l’ennesimo cedimento ai teodem. L’Unione si è infatti ricompattata intorno a santa Finanziaria grazie al ritiro dell’emendamento sulle successioni, in teoria compensato da un ordine del giorno che impegna il governo a preparare entro gennaio un disegno di legge sulle unioni di fatto come da programma.
Ora, che in una qualunque sede politica gli ordini del giorno siano pura fuffa non è un segreto per nessuno. Così come non lo è il fatto che la sola cosa di cui c’è abbondanza in materia di disciplina delle convivenze sono le proposte legislative. Il problema casomai è discuterle e approvarle, ma di questo il grande evento a cui si riferiva Anna Finocchiaro non parla.
Non ci vuole la sfera di cristallo neppure per prevedere che non appena si comincerà a discutere di diritti effettivi per le persone che convivono i teodem e i loro amici (vedi il ministro Mastella) alzeranno nuove barricate e rimetteranno a repentaglio il destino della coalizione. Sarebbe dunque bello sapere perché perfino il capogruppo del Prc al senato Giovanni Russo Spena parla dell’odg di ieri come di «un atto politico che non potrà essere aggirato in nessun modo».
Alla fine, forse, la domanda che ci ponevamo all’inizio ha una risposta. I cattolici ce l’hanno sempre vinta perché, giusta o sbagliata che sia, un’idea chiara in testa ce l’hanno. Che dire invece dei laici del centrosinistra? C’è un orizzonte oltre la Finanziaria di Padoa Schioppa?
Al passaggio di Benedetto XVI diretto a Piazza di Spagna per l’Immacolata Dalle finestre del quotidiano lanciati i fogli a favore delle coppie di fatto. La prima pagina del manifesto all’epoca dell’elezione del Papa
"Pastore tedesco lasciaci in pacs". Volantini dal Manifesto sul Papa
Il direttore Polo si è assunto ogni responsabilità: "Sono partiti dal quinto piano ma non so da chi, non lo voglio sapere e se lo sapessi non lo direi" *
ROMA - La foto del Papa con sotto la scritta "Lasciaci in pacs". Sono i volantini lanciati al passaggio di papa Benedetto XVI per via Tomacelli da una finestra della redazione de Il Manifesto. Il pontefice era diretto a piazza di Spagna per le celebrazioni dell’Immacolata, quando sul corteo sono piovuti i fogli con stampata la prima pagina pubblicata dal quotidiano all’epoca dell’elezione di Ratzinger.
Il lancio è stato subito notato dalle forze dell’ordine che hanno individuato il piano e la finestra da dove erano stati lanciati i volantini e sono entrati nella redazione. Non riuscendo a individuare chi materialmente fosse l’autore del gesto, hanno identificato il direttore, Gabriele Polo, che si è assunto ogni responsabilità. "Sono partiti dal quinto piano ma non so da chi, non lo voglio sapere e se lo sapessi non lo direi", ha commentato Polo.
Il gesto è stato stigmatizzato dal capogruppo alla Camera dell’Udc Luca Volontè che parla "di una vergognosa vicenda tutta della politica italiana". Secondo Volontè "questo gesto lo dimostra ancora una volta che nell’Unione sta prevalendo l’ideologia comunista", il parlamentare lancia poi un appello ai centristi della maggioranza: "Almeno la Margherita sussulti, se non vuol protestare".
*la Repubblica, 8 dicembre 2006
Prodi: «Su etica e pacs rispettare il programma»
di Andrea Carugati *
Mai più divisioni o fughe in avanti sulle questioni eticamente sensibili. Mai più situazioni in cui, su droga, Pacs, eutanasia, il premier si trovi «preso in contropiede». O venga a sapere delle questioni «dopo che il caso è esploso». L’auspicio Romano Prodi l’ha formulato ieri mattina, durante un incontro con i presidenti e i capigruppo di maggioranza delle Commissioni Affari Sociali e Sanità di Camera e Senato. Un appello urbi te orbi, dunque, che si rivolge innanzitutto ai parlamentari competenti, ma anche ai ministri che si occupano degli spinosi dossier.
Insomma, «basta sorprese», come quelle recenti sulla droga, con l’odg votato in Senato dall’Ulivo che prendeva le distanze dal provvedimento del ministro Livia Turco. Serve una «più diffusa discussione preventiva». Un pronunciamento, quello di Prodi, accolto con soddisfazione dai due presidenti Mimmo Lucà e Ignazio Marino, che da tempo pongono la questione di un maggiore coordinamento e che ieri hanno formulato l’ipotesi di un tavolo, o di un conclave, per mettere a punto dentro la maggioranza una strategia su questi dossier: «Ho chiesto al presidente del Consiglio - spiega Marino - di valutare la possibilità di organizzare un pomeriggio, un weekend, un tavolo, mettendo insieme i rappresentanti delle commissioni competenti sulle questioni eticamente sensibili e i ministri che si occupano di queste materie». E Lucà: «Non dev’essere un tavolo in cui si discute di principi astratti, ma in cui si lavora per garantire una corretta applicazione del programma». «Prodi ha garantito che lavorerà in questa direzione», assicura Lucà.
Alla fine, decisioni non ne sono state prese, fatta eccezione per la proposta Marino di una indagine conoscitiva di Camera e Senato sul fenomeno delle tossicodipendenze che sembra non incontrare resistenze all’interno della maggioranza. Quanto al «conclave» sui temi etici, per ora non c’è nulla di stabilito. E tuttavia il premier ieri ha avuto una dimostrazione plastica dello stato dell’arte su questi temi nel centrosinistra. Alla sua presenza infatti Rosa nel Pugno (Donatella Poretti) e Teodem (Emanuela Baio Dossi) se le sono suonate sull’«imboscata» al ministro Turco, con la prima che accusava e la seconda sulla difensiva. E con Dorina Bianchi, vicepresidente della Commissione a Montecitorio, e già relatrice della legge 40 sulla procreazione, che ha rivendicato la sua firma in calce alla lettera di 51 parlamentari critici verso il ministro della Salute sul tema della cannabis. Mentre la diessina Katia Zanotti ha detto: «Bisogna assicurare che non ci siano esponenti della maggioranza che evadono il programma dell’Unione».
Ministri o parlamentari? Da palazzo Chigi viene ribadito che non c’è un mittente specifico del messaggio: che va equamente diviso tra le due ali, sinistra e centrista, della coalizione. Lucà dà la sua interpretazione: «Sui temi eticamente sensibili è bene che nel governo venga assicurata la massima collegialità, per evitare che la carenza della discussione tra ministri si ripercuota sui lavori della maggioranza in Parlamento. Interpretazione che non trova grande accoglienza tra i ministeri coinvolti, che mettono in luce come la sede in cui Prodi ha parlato, un incontro con i vertici delle commissioni parlamentari, faccia pensare a un richiamo ad una maggiore compattezza a Montecitorio e palazzo Madama. «Maggiore collegialità? Lo diciamo da sempre», dicono al ministero della Salute. «C’è un programma che va realizzato, su questo proseguiremo con coerenza», ha concluso il presidente del Consiglio. Già. «Su molti temi - ragiona Lucà - è stata raggiunta un’intesa tra le componenti della coalizione prima delle elezioni e questa intesa deve essere rispettata e attuata, nei tempi che decideremo insieme».
* l’Unità, Pubblicato il: 07.12.06, Modificato il: 07.12.06 alle ore 16.16
L’impegno preso tra maggoranza ed esecutivo. Per ora i conviventi restano fuori dal regime successorio più favorevole previsto per i coniugi
Coppie di fatto, entro il 31 gennaio il governo dovrà fare un disegno di legge *
ROMA - Entro il 31 gennaio il governo dovrà predisporre un disegno di legge sulle coppie di fatto. Lo prevede un ordine del giorno sul quale è strato raggiunto oggi l’accordo tra esecutivo e capigruppo di maggioranza. La decisione è stata presa dopo aver escluso i conviventi dall’equiparazione ai coniugi per quanto riguarda le aliqote più favorewvoli iun materia di sucessione.
L’ordine del giorno impegna il governo "a presentare, entro il 31 gennaio 2007, un disegno di legge sulle unioni di fatto che risulti coerente con le numerose decisioni adottater dalla Corte Costituzionale in materia di non discriminazione di trattamento del convivente, nonchè con gli articoli 2 e 3 della Costituzione italiana, 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea, 1-2 del trattato che adotta una costituzione per l’Europa".
Ma il governo è impegnato, nel ddl che dovrà presentare, anche al riconoscimento di "diritti, anche in materia fiscale, prerogative e facoltà alle persone che fanno parte di unioni di fatto e non consideri, dirimente, al fine di definire natura e qualità dell’unione di fatto, nè il genere dei conviventi nè il loro orientamento sessuale".
la Repubblica, 7 dicembre 2006
Pacs, Melandri: «Così migliaia di coppie escono dal sottoscala dei diritti»
di Maria Zegarelli *
Vestito di seta sui toni del grigio, orecchini di perle montate su un sottile filo di oro. Sul grande tavolo rose rosse e bianche. Sulla scrivania la foto della figlia. Il sorriso come tratto distintivo. Che si trasforma in una smorfia quando arriva la domanda.
Ministro Giovanna Melandri, Paola Binetti dice che l’ordine del giorno sul decreto Turco in commissione Sanità è un buon punto di mediazione raggiunto insieme a Anna Serafini. Si tratterebbe di prove tecniche per il partito democratico. È dello stesso parere?
«Assolutamente no. Credo che andare verso il Pd voglia dire avere coraggio, buttare il cuore oltre l’ostacolo, arrivare in tempo all’appuntamento con la storia, togliendo il freno a mano che finora ha rallentato il percorso».
Sta dicendo che è meglio non considerarle prove tecniche?
«Sto dicendo che quello è un incidente di percorso e non capisco che tipo di contributo sia un ordine del giorno che contesta l’azione del governo fondata sull’impegno comune preso da tutti con il programma. Lo cito: educare, prevenire, curare, non incarcerare. E questo programma impegna tutti, dalla Binetti, alla Serafini alla Melandri. Il ministro Livia Turco non ha fatto altro che applicarlo alla lettera. Da lì si deve partire per valutare quanto è avvenuto in commissione Igiene e Sanità».
Ma se è tutto così chiaro, perché ci sono "incidenti" periodici?
«Perché qualcuno dimentica cosa c’è scritto nel nutrito programma. Non parlo dei temi etici, sui quali non si è affrontato tutto, ma della droga e le unioni di fatto, su cui non si dovrebbe discutere ulteriormente. Tuttavia non dovremmo considerare degli ostacoli impeditivi neanche i temi "sensibili", perché in tutto il mondo - dal partito democratico americano, al partito socialdemocratico tedesco, al new labour inglese, al partito socialista francese - in tutte le formazioni democratiche convivono legittimamente e serenamente opinioni e punti di vista diversi. La Binetti può ben dire quale è la sua posizione, altra cosa scrivere odg contro il governo. Massimo rispetto per tutti, ognuno ha pieno diritto di cittadinanza in questo grande progetto che è il Pd, ma non servono mediazioni contro il governo, per capirci».
Sulle questioni più delicate però bisognerà arrivare a un confronto, se non altro quando si tratta di fare le leggi, dai pacs in giù. Come si dovrebbe procedere?
«Sulla scrivania c’è il programma dell’Unione, il ministro lo prende e lo sventola. Dice: «A costo di sembrare ripetitiva: partiamo da qui, da quella immensa fatica pre-elettorale. Perché dobbiamo disperderla? Sulle unioni civili avrei preferito ascoltare proposte avanzate, proiettate in avanti, ma rispetto le posizioni altrui. In questo documento così criticato perché troppo corposo si affrontano molte questioni, si è arrivati a posizioni condivise: dalle coppie di fatto, alla droga, al testamento biologico e l’autodeterminazione del paziente, che non significa eutanasia. Il primo appello che bisogna rivolgere a tutte le forze di maggioranza e al mio partito anzitutto: per favore partiamo da ciò che abbiamo già condiviso».
A Padova ci sarà l’anagrafe delle coppie di fatto. L’unione ce la farà a licenziare una legge?
«Do per scontato che si realizzi il programma. Noi siamo stati eletti sulla base di quello che abbiamo promesso in campagna elettorale. Stiamo già aprendo tante finestre nuove sul paese, non si può fare tutto nei primi sei mesi di governo, ma ci stiamo muovendo. Le architravi del nostro governo sono: più mercato, più liberalizzazioni, più welfare e, non ultimi, interventi decisivi per garantire diritti e doveri civili alle persone. Per questo saluto con grande favore l’iniziativa di Padova, rappresenta un importante contributo di civiltà e non credo si possa rimandare ulteriormente un’azione del legislatore a livello nazionale che faccia uscire migliaia di coppie di fatto dal sottoscala buio del diritto nel quale sono relegate e tra cui ci sono moltissimi giovani».
Il suo collega di governo, il ministro Mastella, ha invitato Casini ad aprire un cantiere per un nuovo grande centro, mentre il pd punta a un rafforzamento del sistema bipolare. Secondo lei tornerà la Balena bianca?
«Per quanto imperfetto sia il sistema bipolare nel nostro Paese credo non si possa più tornare indietro. Il percorso del Pd, però, va accompagnato da un processo parallelo di innovazione istituzionale perché è evidente che l’attuale legge elettorale regressiva, sia sul piano di coesione delle coalizioni sia su quello dei governi, non aiuta a rafforzare il bipolarismo. Ho firmato per il referendum e sono convinta che la spinta referendaria sia utile al dibattito parlamentare. Ormai, non c’è spazio storicamente per un nuovo "rassemblement" centrista. Altra cosa è l’appello al rafforzamento di un’area che dovrà decidere dove collocarsi, di qua o di là. È chiaro che la rottura dell’unità interna all’opposizione di oggi è un fatto positivo che apre spazi dialettici tra i moderati. Ma bisogna tenere distinti i due fatti».
Fassino ha detto che al Pd si dovrà arrivare tutti insieme. Al congresso ci si arriva con tre mozioni. Secondo lei come andrà a finire con il Correntone?
«Ho condiviso con il Correntone un percorso importante, continuo a pensare che ci sia bisogno di una robusta identità della sinistra democratica nei Ds e nel Pd futuro. Per questo dico ai compagni come Mussi che c’è bisogno di loro nel nuovo partito. E sono sicura che molte delle obiezioni, legittime e ragionevoli che vengono a questo progetto, possono essere superate dalla qualità del processo che si apre. Il congresso dovrà concentrarsi sul "come" si arriva al Pd. E i gruppi dirigenti dovranno permettere il rinnovamento. Si dovrà dare uno statuto al partito che onsenta di dare spazio per un terzo alle donne, un terzo agli uomini e un terzo a chi ha meno di 40 anni».
* www.unita.it, Pubblicato il: 06.12.06, Modificato il: 06.12.06 alle ore 15.57
Padova dice sì alle coppie di fatto. Pollastrini: "Un atto di civiltà" *
PADOVA - Padova è la prima città italiana nella quale le coppie di fatto, sia etero che omosessuali, potranno ottenere il riconoscimento anagrafico, come famiglia fondata su vincoli affettivi. Lo prevede una mozione approvata in nottata dal consiglio comunale con 26 voti a favore (tutto il centrosinistra, esclusi i Verdi, non in giunta), 7 contrari e un astenuto. Si tratta di un provvedimento ben diverso dal registro delle coppie di fatto (da creare al di fuori della sfera anagrafica), e che sfrutta una possibilità offerta dal regolamento attuativo (1989) della legge sull’anagrafe datata 1954.
In sostanza, la mozione, proposta dal consigliere Ds Alessandro Zan, presidente dell’Arcigay veneto, impegna il sindaco e la giunta a istruire l’Ufficio comunale perchè rilasci, su richiesta degli interessati, l’attestazione di famiglia anagrafica basata su legami affettivi. Un atto simbolico, ma che secondo Zan dimostra che quello dei diritti civili e della tutela delle coppie omosessuali "è un tema che sta entrando pian piano nelle corde della politica italiana".
Sulla mozione divisioni nettissime in ambito politico: se per il ministro per le Pari opportunità, Barbara Pollastrini, si tratta di "un atto di civiltà", per Riccardo Pedrizzi, responsabile di An per le politiche della famiglia, si tratta di una decisione "incostituzionale, poichè equipara dal punto la famiglia fondata sul matrimonio ad una fantomatica famiglia basata su vincoli affettivi". "Propaganda pura" per Alessandra Mussolini, eurodeputata e leader di Alternativa sociale, di parere diametralmente opposto Franco Grillini, deputato dell’Ulivo e già presidente dell’Arcigay, che invece la definisce "una pagina importante per il riconoscimento dei gay".
* la Repubblica, 5 dicembre 2006
Finocchiaro: «Unioni civili, successo di tutta l’Unione» *
I teodem cantano vittoria per lo stralcio dell’emendamento che disponeva uguali sgravi fiscali a eredi sposati ed "eredi di fatto". Boselli non capisce se è stato fatto un passo avanti o due indietro (dice: «forse uno indietro»). Per Prodi è invece un passo avanti fondamentale. La senatrice Anna Finocchiaro, capogruppo dell’Ulivo al Senato, è l’artefice dell’ordine del giorno che vincola l’esecutivo sulle coppie di fatto. Racconta come si è giunti a sbrogliare la matassa: «Eravamo in una situazione di stallo, anche rispetto ad una questione che - per quanto importante - riguardava un piccolo pezzo: una valutazione economicamente non discriminatoria verso i conviventi. Ho tentato una mediazione, ricamando sulle espressioni e i termini, ma i senatori della Margherita Baio Dossi, Binetti e Bobba erano insoddisfatti. Serviva uno scatto in avanti per uscire dallo stallo, si rischiava una riscrittura al ribasso, magari dettata dai suddetti senatori».
Cosa è successo?
«A questo punto ci siamo sentiti con Prodi. E abbiamo puntato più su, scegliendo un’operazione ambiziosa: via l’emendamento, ed ecco un ordine del giorno che pone un termine perentorio e vicino (il 31 gennaio). Quel giorno avremo un disegno di legge sulle coppie di fatto. Inquadrato dai principi dettati della Corte Costituzionale, dai criteri antidiscriminazione contenuti nel trattato dell’Unione Europea e dalle direttive del nostro programma: riconoscere diritti - leggo dal documento votato - alle persone che fanno parte di unioni di fatto e non consideri dirimente al fine di definire natura e qualità dell’unione di fatto, né il genere dei conviventi né il loro orientamento sessuale. A me sembra un grande successo».
Ma è così complicato (su certi temi) disporre un ordine del giorno che - infine, lo dice anche lei - non fa altro che attuare il programma?
«Stiamo dilatando l’area delle materie che vengono giudicate eticamente sensibili. Questa è la mia preoccupazione. Non è possibile che ogni problema di coscienza individuale diventa eticamente sensibile. Ci sia fra noi una discussione franca e seria sui confini di queste aree e queste materie».
L’impressione è di una partita giocata su più tavoli: la Binetti ha tirato in ballo il partito democratico, usando i temi etici come banco di prova...
«Per questo insisto e voglio essere chiara: se ci muoviamo sul terreno di lealtà reciproca possiamo evitare ciò che sta accadendo e che non voglio nascondere. Noi "Ulivo" - sottolineo: noi eletti dell’Ulivo - stiamo sottoponendo a stress continui tutta l’Unione. Oggi (ieri, ndr) abbiamo trovato questo ordine del giorno perché c’era una disponibilità politica e una solidarietà verso il governo molto forte delle altre forze dell’Unione. Ma credo che l’elasticità ha un punto di rottura, e la Binetti, Bobba...devono farsi carico di questo logorio, del continuo tirare l’elastico. Per questo voglio e devo ringraziare la sinistra dell’Unione. Faccio due nomi: Manuela Palermi e Giovanni Russo Spena. Si sono presi le loro responsabilità. Ma occorre ridurre al minimo questi stress».
La modernità, i mutamenti della società impongono questi stress. Da Welby che rivendica il suo diritto a non soffrire invano, al mezzo milione di unioni di fatto. Come si evitano queste tensioni?
«Facciamo le debite proporzioni e riportiamo tutto all’ambito proprio: una cosa è l’Eutanasia, un’altra lo sgravio fiscale all’erede testamentario in una coppia di fatto. E non appiattiamo su questo la portata della Finanziaria. Non è un appunto polemico, ma la necessità di ricollocare le questioni. Stiamo occupandoci e risolvendo la situazione dei precari della scuola, delle infrastrutture del Paese, dei costi della politica. Cose importanti. Certo, oggi abbiamo mantenuto una promessa elettorale, impegnando il governo su un disegno di legge organico sulle coppie di fatto, un punto dove si era trovato un equilibrio delicato. Realizzare il programma è un buon modo per far passare lo stress e per dimostrare, da parte della coalizione, una vera solidarietà interna».
Il riferimento alle unioni gay è frutto di un mercanteggiamento o è stato altrettanto solidale?
«Il rimando alle coppie gay era fuori da ogni possibile discussione. È nel programma dell’Unione, sulla base del quale ciascuno di noi è stato candidato ed eletto».
Eppure nell’Ulivo c’è chi vede più corto e dice: intanto incassiamo lo stralcio dell’emendamento alla Finanziaria, poi sul disegno di legge si discuterà...
«Nessuno si illuda che impegni presi così seriamente nei confronti della coalizione possano essere ridicolizzati. Me ne assumo la responsabilità come capogruppo dell’Ulivo e come esponente del più grande partito della maggioranza».
Con i suoi veti e rimandi davanti a queste sfide moderne e alle persone coinvolte (malati terminali o conviventi senza matrimonio) la politica non è "deludente"?
«È molto deludente, ma la politica tradizionale non ha tutte le parole per rispondere alle angosce che insieme, da laici e cattolici, ci prendono davanti anche alle straordinarie novità della scienza. Ma nel 2007 queste persone saranno tutelate dalla legge».
* www.unita.it, Pubblicato il: 08.12.06, Modificato il: 08.12.06 alle ore 13.01
Responsabili e prolifici
di CHIARA SARACENO (La Stampa, 09/12/2006)
Nei Paesi che da più tempo riconoscono i diritti e le obbligazioni reciproche delle coppie di fatto etero e omosessuali il tasso di fecondità è più alto e non c’è alcuna prova che la solidarietà tra le generazioni sia allentata. Al contrario, molte ricerche segnalano come la disponibilità all’aiuto reciproco tra le generazioni sia altrettanto, se non più diffusa tra i Paesi che non solo hanno politiche di welfare poco universalistiche, ma difendono il matrimonio come unica forma legittima e socialmente valida di coppia. Nella Francia dei Pacs la disponibilità a fare figli è maggiore che nell’Italia del matrimonio come istituto unico.
Svedesi e danesi hanno il primo e spesso anche il secondo figlio da conviventi, rimandano il matrimonio a quando i figli entrano nell’adolescenza. Ciò non significa che sono meno responsabili verso i figli degli italiani che escono di casa, tardissimo, per sposarsi e poi aspettano ancora a fare un solo figlio. La loro voglia di «fare famiglia» non è indebolita dal riconoscimento della legittimità di questo desiderio anche per gli omosessuali. Tanto meno sono Paesi in cui la coesione sociale sembra essere particolarmente in pericolo, al contrario. Forse la Finanziaria non era il luogo proprio in cui porre la questione del riconoscimento delle coppie di fatto. E tuttavia, parlarne in Finanziaria, in relazione a uno specifico tema - quello delle successioni - rispondeva all’invito di chi ostinatamente si rifiuta di parlare di riconoscimento delle coppie di fatto, ma dichiara di essere pronto a riconoscere diritti individuali.
Lo sbarramento opposto dai cattolici della Margherita mostra quanta malafede ci sia in questa posizione: ogni volta che si arriva al dunque, ogni riconoscimento di un diritto individuale che scaturisce da una relazione di coppia viene denunciato come tentativo surrettizio di riconoscere, appunto, la coppia. Nella peculiare visione del mondo dei teo-con, chi convive, soprattutto se omosessuale, vive in un mondo senza relazioni. O le sue relazioni sono socialmente irrilevanti. È condannato per sempre all’irresponsabilità e assenza di reciprocità.
Questa malafede, o ambiguità, è un problema dell’attuale maggioranza, che con la scelta dell’altro giorno ha solo rimandato il confronto al proprio interno. Ma è un problema che riguarda anche l’attuale opposizione e tutti noi cittadini. A prescindere dalle nostre opzioni di valore e orientamento sessuale, vorremmo essere considerati adulti capaci e responsabili: non così influenzabili da essere convinti a non sposarci se viene introdotta una qualche forma di riconoscimento delle coppie di fatto, o a cambiare orientamento sessuale se gli omosessuali verranno finalmente riconosciuti come cittadini completi, anche nelle loro relazioni. Anche se si può discutere, in base a criteri di opportunità, dove porre il confine tra matrimonio e altre forme di unione, ad esempio in merito alla possibilità di adozione.
La Spagna di Aznar ci era già arrivata ancor prima della scelta radicale di Zapatero. Evidentemente i suoi governanti hanno maggiore rispetto dei nostri per la capacità dei loro concittadini di sviluppare rapporti responsabili. Perciò sono anche più autonomi dalle, legittime, prese di posizione della Chiesa Cattolica.
Messaggio del Pontefice letto in Vaticano. "La corsa al nucleare getta ombre minacciose sull’umanità". Appello a tutti i cristiani: "Siate strenui difensori della dignità della persona e dei diritti umani"
Il Papa: "Eutanasia e aborto sono attentati alla pace"
CITTA’ DEL VATICANO - Benedetto XVI denuncia "lo scempio" che nella nostra società si fa del "diritto alla vita". Nel messaggio per la Giornata mondiale della Pace, che si celebra il primo gennaio 2007, Papa Ratzinger parla con dolore delle morti silenziose "provocate dalla fame, dall’aborto, dalla sperimentazione sugli embrioni e dall’eutanasia". E si chiede: "Come non vedere in tutto questo un attentato alla pace?"
Il testo, letto questa mattina in Vaticano dal cardinal Raffaele Martino e da monsignor Giampaolo Crepaldi, presidente e segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, affronta diversi temi. Pensando in modo speciale ai bambini vittime di soprusi e violenze da parte di adulti senza scrupoli, il messaggio è stato titolato ’’La persona umana, cuore della pace’’.
I pericoli per la pace, dalle diseguaglianze sociali al terrorismo. "Se si pone la persona umana al centro del sistema sociale e dei rapporti culturali e religiosi si riesce più facilmente a garantire la pace che ora nel mondo è sottoposta a numerosi pericoli e sfide costituite dalla violazione dei diritti umani, dalle disuguaglianze sociali e di genere, dal terrorismo, dal pericolo nucleare, dagli attentati alla vita con la fame, l’aborto, l’eutanasia, la sperimentazione sugli embrioni, il degrado ecologico", scrive Benedetto XVI.
Libano, violato il diritto internazionale. Durante il recente conflitto che ha scosso il Libano del sud non è stato osservato l’obbligo di proteggere la popolazione civile e dunque è stato violato il diritto internazionale umanitario, denuncia il Papa nel suo messaggio, ricordando la necessità per gli stati di rispettare anche in caso di guerra il diritto internazionale umanitario.
Corsa al nucleare, ombre minacciose sull’umanità. "Purtroppo ombre minacciose continuano ad addensarsi all’orizzonte dell’umanità", dice ancora Benedetto XVI. Non cita mai apertamente l’Iran o la Corea del Nord ma le sue parole non possono che essere lette in questo contesto quando parla della corsa al nucleare da parte di alcune nazioni: "Suscita grande inquietudine" la "volontà, manifestata di recente da alcuni Stati, di dotarsi di armi nucleari". "Ne è risultato ulteriormente accentuato - si legge nel messaggio - il diffuso clima di incertezza e di paura per una possibile catastrofe atomica. Ciò riporta gli animi indietro nel tempo, alle ansie logoranti del periodo della cosiddetta guerra fredda".
Rispetto e intesa fra religioni e culture. Benedetto XVI propone poi il rispetto ’’della grammatica scritta nel cuore dell’uomo dal divino suo Creatore’’ in base alla quale è possibile trovare una base comune di intesa tra religioni e culture. Infatti, sostiene il Papa, ’’il riconoscimento e il rispetto della legge naturale costituiscono anche oggi la grande base per il dialogo tra i credenti delle diverse religioni e tra i credenti e gli stessi non credenti. E’ questo un grande punto di incontro e, quindi, un fondamentale presupposto per un’autentica pace’’.
E’ importante - rileva inoltre papa Ratzinger - questo convenire di culture, religioni e non credenti sul riconoscimento della legge naturale anche nei riguardi della persona umana, dal momento che persistono nel mondo concezioni riduttive dell’uomo che mettono in serio pericolo i suoi diritti fondamentali, non negoziabili e, quindi, la pace stessa.
Appello ai cristiani: difendete i diritti umani. Ogni cristiano sia "un infaticabile operatore di pace" oltre che uno "strenuo difensore della dignità della persona umana e dei suoi inalienabili diritti". Papa Ratzinger conclude il messaggio con un "pressante appello" al popolo di Dio. "Non venga quindi mai meno il contributo di ogni credente - scrive - alla promozione di un vero umanesimo integrale, secondo gli insegnamenti delle Lettere encicliche ’Populorum progressio’ e ’Sollicitudo rei socialis’, delle quali ci apprestiamo a celebrare proprio quest’anno il 40esimo e il 20esimo anniversario".
Come ogni anno, il testo e’ stato inviato a tutti i vescovi del mondo e sara’ recapitato dai nunzi a tutti i capi di Stato e di governo, accreditati presso il Vaticano, ma attraverso opportuni canali sarà fatto pervenire pure a quei paesi che non hanno relazioni diplomatiche con la S.Sede.
Distribuito in italiano, inglese, francese, spagnolo, portoghese, tedesco, il messaggio sarà tradotto in altre lingue dalle rispettive conferenze episcopali, e anche in arabo.
(la Repubblica, 12 dicembre 2006)
E la «base» smentisce Ratzinger
«Libertà di scelta per Welby» I cattolici «dissidenti» non si schierano con il Vaticano e l’Osservatore romano su Pacs ed eutanasia. Don Fabio Corazzina (Pax Christi): «Toni violenti e sbagliati contro i laici. Sì alle coppie di fatto»
di Mimmo de Cillis*
Arriva dai cattolici di base il semaforo verde ai Pacs e alla libera scelta di Piergiorgio Welby di staccare la spina. Due prese di posizione coraggiose su temi scottanti e di stretta attualità che, come spiega Cristoforo Palomba, segretario nazionale delle Comunità cristiane di base, «intendono ribadire la necessità della laicità dello stato, l’urgenza di una fede vissuta laicamente, nella storia del presente, nella convivenza con altre culture e religioni. Scevra di dogmatismi e senza che le istituzioni civili mostrino servilismo nei confronti della chiesa». Mentre sul governo italiano (e sui volantini pro-Pacs del manifesto) si abbattono gli strali dell’Osservatore romano, che fa registrare uno degli attacchi più violenti degli ultimi anni (anche questo è un sintomo, a detta di molti), c’è insomma una parte di cristianesimo che va controcorrente, anche rispetto alle scelte imposte dalle più alte gerarchie. E se il papa parla di «sana laicità», le piccole comunità di base (una trentina in Italia), che nelle periferie delle città si sforzano di vivere il vangelo restando «dalla parte dei poveri», trovano che «c’è un forte ritorno di ingerenza della chiesa che ha tentato di riconquistare potere e di influenzare la vita civile», nota Palomba.
Si tratta di un passo indietro rispetto alla temperie culturale del dopo Concilio. Lo si è visto nella battaglia per la legge 40, «trasformata in una crociata religiosa». Lo si vede «nel voler trattare problemi delle relazione fra le persone, i problemi della gente comune, in una chiave puramente religiosa». Per questo le comunità, nel documento finale della loro trentesima convention nazionale, conclusasi domenica a Frascati (Roma), affermano che «la sacralità è insita nell’amore» e che «la chiesa ha il grande compito di riconoscere tale sacralità intima», non di ingabbiarla nel legalismo, trasformando il matrimonio in un «ricatto sacrale». Le comunità concordano sul fatto che lo stato riconosca e rispetti «tutti i rapporti fra persone», che siano uomini, donne, gay, lesbiche. Forti di una piena fiducia nell’amore umano e di un senso di autentica solidarietà con l’uomo, le sue esigenze, i suoi problemi.
Ma non solo le comunità di base hanno il coraggio di dissentire dalle odierne strategie dei vertici ecclesiastici. Don Fabio Corazzina, responsabile nazionale di Pax Christi, sottolinea: «E’ giusto che la chiesa difenda l’istituzione del matrimonio come sacramento, segno dell’amore di Dio nel mondo. Ma non condividiamo l’approccio scelto (ad esempio dal quotidiano della Santa Sede) in questo caso: lanciare accuse, scagliarsi contro qualcuno che fa un scelta diversa dalla nostra di cristiani, non è la nostra via, non è lo stile di testimonianza evangelica». E aggiunge: «In uno stato laico è opportuno che il legislatore tenga conto di tutti i cittadini, che tuteli la dignità di tutti gli esseri umani. Prendendo atto di alcuni situazioni di fatto, come quella delle coppie conviventi». La chiesa e lo stato, insomma «devono operare insieme per il ben comune», evitando «i giudizi sommari e violenti».
A tenere banco è anche il tema dell’eutanasia, legato al caso di Piergiorgio Welby, che sommuove nel profondo le coscienze dei fedeli cattolici. In una lettera aperta a Welby i cristiani di base affermano: «Riteniamo che sia giusto e umano che tu possa concludere in pace, con l’attenzione affettuosa della comunità civile, la tua esperienza di vita, senza che nei tuoi confronti si eserciti un accanimento non rispettoso della tua dignità». Dicendo a chiare lettere: «In nome di nessuna religione o ideologia si può costringere, in una condizione così drammatica, la tua libertà di scelta, che noi rispettiamo profondamente». Anche in questo caso, una presa di posizione netta e coraggiosa, totalmente controcorrente e che appare più laica di alcune correnti di pensiero non cattoliche del nostro paese.
*Lettera22
* il manifesto, 12.12.2006
«Eutanasia e aborto minano la pace»
Benedetto XVI a tutto campo sui temi della guerra e dei diritti. Legando a un unico filo della vita da difendere l’atomica e gli embrioni di Mimmo de Cillis*
Papa Ratzinger è un fiume in piena. Nel messaggio annuale per la Giornata mondiale della pace, che la chiesa celebra il primo gennaio, Benedetto XVI spazia a 360° fra argomenti come pace, guerra, terrorismo, uguaglianza, ecologia, diritti umani, e ancora persona, aborto, eutanasia, visione dell’uomo e concezione di Dio. Negli ultimi tempi il papa ha proposto discorsi densi, che toccano temi di attualità e finiscono per catalizzare l’attenzione dei mass media. Ratzinger non ha timore di intervenire su temi che stanno monopolizzando l’attenzione dei governi e dell’opinione pubblica. Il messaggio per la Giornata mondiale della pace rappresenta la magna charta per l’impegno della Santa sede, e della chiesa tutta, sulle questioni della pace e della giustizia.
E’ un documento che offre le linee direttrici per un anno intero. In quello per il 2007, presentato ieri, Ratzinger ribadisce che pace e giustizia hanno l’origine primaria in una sana visione della persona («un pensiero forte»); nel tenere ferma la sua centralità e il suo valore assoluto, fondato su una dignità di matrice trascendente, cioè sull’immagine del creatore. Per questo il messaggio titolato «Persona umana, cuore della pace» tocca temi come il diritto alla vita, l’aborto e l’eutanasia, questioni che, a prima vista, sembrerebbero avere poco a che vedere con la pace.
La pace, scandisce Ratzinger, è «dono e compito», cioè dipende un po’ da Dio e un po’ dall’uomo. Dio l’ha scritta nella natura attraverso una «grammatica trascendente», cioè un insieme di regole che, se rispettate, portano il genere umano all’armonia; oppure, se violate, al caos e alla prevaricazione. Questa grammatica è la «legge naturale», la teoria dei «diritti naturali», cavallo di battaglia su cui gioca l’intero impianto filosofico-antropologico cristiano, e in particolar modo quello proposto dal Ratzinger filosofo e teologo. Una legge, a detta del papa, «iscritta nelle coscienze» (dunque per riconoscerla non bisogna essere necessariamente credenti), che nel contempo «rispecchia il progetto sapiente di Dio». Questo insieme di norme, riconoscibili con la pura razionalità, non devono dunque apparire una coartazione, ammonisce il papa, rivolgendosi, in qualche modo, anche ai non cristiani: è questo infatti il «terreno fecondo» su cui impostare un dialogo fra cristiani, fedeli di altre religioni e non credenti.
Il primo diritto, argomenta Ratzinger, è quello alla vita, «un dono di cui il soggetto non ha la completa disponibilità». La pace presuppone, infatti, il riconoscimento di valori e realtà «non disponibili», cioè su cui l’uomo stesso non ha completo potere. Ecco l’aggancio con «lo scempio che si fa nella nostra società: accanto alle vittime dei conflitti armati, del terrorismo e di svariate forme di violenza, ci sono le morti silenziose provocate dalla fame, dall’aborto, dalla sperimentazione sugli embrioni e dall’eutanasia». Il pontefice sembra strabuzzare gli occhi quando si chiede: «Come non vedere in tutto questo un attentato alla pace? L’aborto e la sperimentazione sugli embrioni costituiscono la diretta negazione dell’atteggiamento di accoglienza verso l’altro, indispensabile per instaurare durevoli rapporti di pace».
Il discorso si sofferma poi sulla necessaria uguaglianza fra persone (e sulle disuguaglianze come sorgenti di conflitto), sull’ecologia, che non è solo «della natura», ma anche «umana» e «sociale», nel senso che se l’umanità violenta la creazione si autodistrugge. Anche questa violenza è frutto di una «idea disumana di sviluppo», e quindi il circolo si chiude: Ratzinger torna a indicare una corretta visione dell’uomo e anche una giusta concezione di Dio, che esclude ogni possibile ricorso alla violenza.
Ma la pace non «è messa in questione solo dal conflitto tra le ideologie», bensì anche «dall’indifferenza per ciò che costituisce la vera natura dell’uomo». Una concezione «debole» della persona, sottolinea il papa, indebolisce tutto l’impianto dei diritti umani, rende cioè più facile esporre l’uomo all’arbitrio della violenza e della sopraffazione. Anche i diritti umani, dunque - che pongono alcuni valori assoluti, come la dignità inalienabile dell’individuo - dovrebbero avere un fondamento assoluto («nella natura stessa dell’uomo») e non relativo (il pericolo del relativismo è sempre dietro l’angolo).
Dai diritti umani al «diritto umanitario internazionale» il passo è breve: qui Ratzinger indica l’urgenza di applicarlo sempre, in tutti i contesti belligeranti (ricordando il Libano), e cita il pericolo di una nuova corsa al nucleare, foriera di una catastrofe, parlando di «ombre minacciose che continuano ad addensarsi all’orizzonte dell’umanità», chiedendo l’immediato smantellamento degli ordigni. Un messaggio a tutto tondo, insomma, dall’embrione alla guerra nucleare. Papa Ratzinger non lascia passar nulla.
*Lettera22
* il manifesto, 13.12.2006
Arcigay, il segretario lascia i Ds «Offesi da Fassino sulle adozioni» *
«Caro Fassino, ti informo che non rinnoverò la tessera ai Democratici di Sinistra. Un partito che sembra aver smarrito il senso dell’umanità e del socialismo democratico». Inizia così la dura lettera inviata dal segretario nazionale dell’Arcigay Aurelio Mancuso al leader della Quercia. Un addio amaro, dopo «25 anni ininterrotti» di iscrizione al partito.
Mancuso, che dei Ds è stato anche dirigente (come portavoce del coordinamento omosessuali), risponde così alle dichiarazioni di Fassino contro le adozioni ai gay. Un’intervista, annota, rilasciata «proprio nel giorno in cui scopriamo che il relatore della Finanziaria in Senato - il senatore Morgando della Margherita, ndr. - è riuscito a cancellare dalla dicitura del nuovo Osservatorio contro le violenze, "l’orientamento sessuale"», sbianchettando i fondi assegnati al ministero delle Pari opportunità per combattere la violenza anti-gay e provocando la protesta del ministro Barbara Pollastrini con Romano Prodi.
Mancuso definsice le parole di Fassino sulle adozioni «l’ultima offesa di una lunga serie di atti formali che non mi permettono più di essere iscritto ad un partito che individua nel nostro vissuto un tema da cui rifuggire ». Quasi senza appello l’atto d’accusa verso la dirigenza della Quercia che, secondo Mancuso «non può comprendere cosa avviene concretamente nella società, perché‚ non conosce, non approfondisce i temi, tratta questioni delicate con superficialità. Infatti - aggiunge rivolgendosi direttamente a Fassino - se tu fossi stato più accorto ed informato, avresti saputo che esistono nel nostro paese diverse centinaia di migliaia di genitori omosessuali, e da tempo sono presenti anche famiglie omogenitoriali, soprattutto formate da due donne».
«Come iscritto ai Ds mi dispiace - commenta con l’Unità on line il senatore Franco Grillini - Fassino è stato il primo segretario che ha partecipato a due congressi dell’Arcigay, spendendosi sul piano personale. Certo, i toni di questa intervista sono sgradevoli: Sembra sempre che gli omosessuali sono da considerarsi cittadini ai quali bisogna garantire ai diritti civili, ma solo fino a un certo punto». Il problema delle adozioni ai gay? «È un argomento usato dalla destra. Noi non l’abbiamo neanche messo all’ordine del giorno, ma ora mi trovo costretto a dire che gli omosessuali sono i buoni genitori e che negarlo non è accettabile».
La crisi nei rapporti fra l’Arcigay e la Quercia non è cosa nuova. Prima delle elezioni erano stati fatti due sondaggi: il primo dava i Ds abbondantemente sopra il 30% dei consensi fra i 160mila iscritti all’associazione, il secondo molto al di sotto. In mezzo il compromesso sulle unioni civili nel programma dell’Unione. Un compromesso al ribasso per chi da anni si era battuto per conquistare i Pacs. C’è ancora spazio per una riconciliazione? «Mancuso, con la sua decisione, ha deciso di tutelare gli interessi dell’associazione più che del partito - osserva Grillini - Però mi auguro che i toni cambino e che sia possibile un chiarimento. Sarebbe bene che in tempi brevi ci sia un incontro tra gay e lesbiche iscritti al partito e il segretario. Perché il disagio cresce. Sembra sempre che i nostri dirigenti passino più il tempo a rassicurare il Vaticano che ad applicare il programma di governo». E il problema non riguarda solo l’oggi, ma anche il futuro, il partito democratico. «Di sicuro - mette in chiaro Grillini - c’è una cosa. Se anche un pezzo di programma così moderato come quello sulle unioni civili non viene applicato, per tutti noi sarà molto difficile aderire al partito democratico. Perché vorrebbe dire che hanno vinto i clericali, che è nata una nuova Dc».
Chiedono un cambio di rotta anche Anna Paola Concia e Andrea Benedino, portavoce di GayLeft, la consulta Glbt dei Ds: «Comprendiamo - dicono - le ragioni che hanno portato Mancuso a questo gesto forte, che si unisce alla rabbia di tanti nostri militanti in queste ore per il modo in cui il partito sta affrontando una battaglia vitale e storica per i nostri diritti. Rivolgiamo il nostro invito pressante a tutto il partito, a partire dal segretario, perchè si rifletta sulle ragioni di questo abbandono e si scelga finalmente di costruire una mobilitazione straordinaria in difesa dei diritti calpestati degli omosessuali italiani a partire già dalle prossime ore».
* www.unita.it. Pubblicato il: 15.12.06 Modificato il: 15.12.06 alle ore 18.12
VATTIMO. “ADOZIONI GAY, NON VOTO PIU’ Ds”
Il filosofo e la polemica sui Pacs: mi sembrano diventati neodemocristiani. *
Roma - Spaccatura nei ds sulle adozioni da parte delle coppie omosessuali. Il «no» detto da Piero Fassino, segretario del partito, l’altro ieri ha provocato la reazione risentita e «sofferta» del segretario nazionale di Arcigay, Aurelio Mancuso, che dopo 25 anni di iscrizione, ha stracciato la tessera. Per Mancuso si è trattato di una vera e propria «offesa», l’ultima «di una lunga serie di atti formali contro gli omosessuali». Ora Gianni Vattimo, filosofo, omosessuale dichiarato, prima radicale, quindi parlamentare europeo con i ds e poi candidato nel 2004 con il Pdci, anche lui deluso, dice al Corriere: «La prossima volta non vado a votare, non so cosa aspetta Grillini ad andare via anche lui».
Gianni Vattimo, che cosa pensa delle dichiarazioni di Fassino?
«Non mi sono piaciute, ma non mi stupiscono. Fanno parte di quella strategia di rassicurazione della Chiesa e dei moderati che è l’asse portante della politica attuale dei Ds. Quel dire: noi non siamo troppo radicali, troppo "cattivi", troppo "rivoluzionari". Questa, e non altra, è la cifra del partito di adesso».
Vuol dire che prima non era così?
«Purtroppo i ds non sarebbero di per sè così conservatori, ma la necessità di stare al governo con la Margherita porta a questo risultato. E’ il Pacs con la Margherita che non va bene, mi lasci usare l’ironia: è un’unione molto, anzi troppo, civile».
Allora Mancuso ha fatto bene ad andarsene?
«Certamente,lo conosco bene e anche politicamente non è un estremista. Ma c’è un limite a tutto. Non so cosa aspetta a uscire dal partito anche Grillini deputato ds e leader storico degli omosessuali italiani. Gli ho parlato a lungo un paio di giorni fa. Lui dice che è meglio per i gay stare con i ds che con la destra, è meglio Fassino che Berlusconi. Questo governo, invece, secondo me, ci darà forse un uovo ma la zampa sulla gallina non ce la farà mettere mai».
Si riferisce ai Pacs?
«Vedrà che i Pacs finiranno per non avere alcun contenuto pratico, alcun beneficio concreto in relazione ad eredità, pensioni, contratti. Tutto ciò necessariamente implica una certa ufficializzazione delle coppie di fatto. Ma senza questi benefici concreti i Pacs sono soltanto la libertà di andare a letto con chi si vuole. Questa libertà c’è già».
E lei che cosa farà?
«Io non vado più a votare. Altrimenti finisco per scrivere parolacce sulla scheda. I ds sono ormai un partito neodemocristiano. C’è un’ipocrisia generale. Parlo con tanta gente e c’è una forte disaffezione alla politica generata dall’atteggiamento del partito su questo e su altri terreni, quelli della politica estera e della politica economica. Insomma, non si può ignorare che se due donne convivono e una delle due muore, tutti i suoi beni potrebbero finire a un parente che magari lei non vedeva da trent’anni e alla compagna non rimarrebbe niente».
Ma la reazione di Mancuso è scattata dopo le perplessità di Fassino sulla possibilità che anche le coppie gay possano adottare dei minori...
«Guardi, sulle adozioni anch’io finora sono stato dubbioso. Anche se sento in giro discorsi di freudiani da strapazzo che parlano della necessità per i minori di avere due genitori di sesso diverso. Mia madre era vedova ed io sono gay, ma conosco molti altri figli di madri vedove che nonostante la mancanza del padre non lo sono diventati. Del resto, io sono convinto che per un bambino quasi tutto è meglio di un orfanotrofio. Nè si può inseguire l’equilibrio familiare perfetto. E’ sufficiente che gli adottanti siano normalmente civili, non siano dei sadici che fanno a fette le creature, che abbiano un reddito per mantenerle, senza necessariamente dover essere un Agnelli. Ad ogni modo, se la nuova legge sui Pacs fosse una buona legge, io sarei pronto ad accettare certe limitazioni, come quella che a noi gay non ci facciano adottare».
* Corriere della Sera - redazione 17.12.2006
09/01/2007 - Comunicato Stampa - Sergio Lo Giudice - Presidente Arcigay Nazionale
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I RICATTI TEODEM NON INQUININO IL VERTICE DI CASERTA
Le richieste di Arcigay prima del conclave dell’Unione. "Pronti a scendere in piazza se la proposta sulle unioni civili non soddisferà il requisito minimo di un riconoscimento giuridico delle coppie"
"I ricatti confessionali dei teodem rischiano di inquinare non solo il vertice di Caserta, ma anche i pozzi della democrazia. Siamo pronti a una stagione di mobilitazione di piazza se la proposta sulle unioni civili non soddisferà il requisito minimo di un riconoscimento giuridico delle coppie. Non accetteremo che si i mantengano nella clandestinità le famiglie gay e lesbiche”.
Questo il monito del presidente nazionale di Arcigay, Sergio Lo Giudice, alla vigilia dell’incontro sulla fase delle riforme del governo Prodi.
“Il vertice dell’Unione - continua Lo Giudice - rappresenterà un banco di prova della maggioranza sulla laicità della Repubblica. L’Unione non si faccia intimidire dall’accanimento martellante del papa e dei vertici della chiesa cattolica contro i diritti delle coppie non sposate. Noi non accetteremo soluzioni papocchio di compromesso”.
“L’Italia deve seguire la strada maestra già percorsa da tutte le maggiori democrazie europee. Ovunque siano state approvate, le leggi sul matrimonio gay, sui Pacs o sulle unioni civili hanno procurato maggiore felicità e benessere, senza danno alcuno alle famiglie eterosessuali sposate. I Pacs non tolgono niente a nessuno ma offrono un’opportunità in più a tutti. Le conseguenti catastrofi sociali fantasiosamente profetizzate dalle gerarchie cattoliche non hanno alcun riscontro nella realtà dei fatti."
"La Costituzione della Repubblica italiana poi, nel riconoscere all’articolo 29 i diritti della famiglia fondata sul matrimonio, non proibisce il riconoscimento di altre forme di unione."
"L’unica parificazione di cui parla è quella della dignità sociale che, accanto all’eguaglianza dei diritti, deve essere riconosciuta a tutti i cittadini, senza alcuna distinzione. A questi principi e non agli astratti dogmi religiosi del Vaticano si ispirino governo e parlamento”.
Dal punto di vista evangelico bisogna accettare i PACS.
di “Noi Siamo Chiesa”
Riflessioni di “Noi Siamo Chiesa” supportate da voci autorevoli interne alla Chiesa, dopo l’intervento di Benedetto XVI del 9 gennaio *
“Noi Siamo Chiesa”
Via N.Benino 3 00122 Roma
Via Bagutta 12 20121 Milano
www.we-are-church.org/it
Comunicato stampa
Perché riconoscere giuridicamente una relazione affettiva stabile tra persone dello stesso sesso, implicante assistenza e solidarietà reciproca, e attribuire a questa convivenza benefici assistenziali, fiscali e previdenziali (pensioni di reversibilità, facilitazioni nell’assegnazione degli alloggi, diritti di successione, ecc.) - questo sono i Patti civili di solidarietà (Pacs) - danneggerebbe la famiglia?
Mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea: “Non è certo introducendo i Pacs che si lacera inaccettabilmente la famiglia”, la quale è molto più colpita “se stronco le possibilità di spesa dei Comuni, tartassandoli economicamente”, e “metto in crisi servizi fondamentali come gli asili nido”. E con mons. Giuseppe Casale, arcivescovo emerito di Foggia: “È fuori luogo parlare di attacco alla famiglia, come se lo scardinamento della famiglia oggi dipendesse dalla sua situazione giuridica e non fosse invece un problema educativo, etico, di coscienza”.
La questione è ben impostata dal card. Francesco Pompedda, già prefetto della Signatura apostolica: “Le unioni di fatto sono un fatto e dai fatti nascono diritti e doveri reciproci. Perciò è giusto e doveroso che lo Stato li regoli: ignorarli non mi sembra opportuno né concepibile secondo diritto. Ma la regolamentazione non deve creare equivoci, fare assomigliare le unioni di fatto ai matrimoni o essere un primo passo per un’equiparazione”. Chiarisce mons. Bettazzi: “I Pacs riconoscono una situazione di fatto che per molti - la maggior parte di queste coppie sono giovani in attesa di sposarsi - è una sorta di preparazione al matrimonio che oggi non ha più senso condannare. E consentono alcuni strumenti di tutela a persone che soffrono per non potere vivere appieno la propria vita. Non si tratta di legalizzare i matrimoni gay, anzi, è un modo per disciplinare altrimenti una materia così vasta d’implicazioni”.
Sulla stessa linea si pone, in una lettera apparsa sul Nuovo Torrazzo del 15/7/2000, don Vito Barbaglio, là dove, riferendosi alle coppie omosessuali, diceva: "Si trovino pure formule (convivenze legittimate?) per garantire alle loro unioni alcuni diritti e doveri, ma non facciamo confusioni con la famiglia".
Ora, in uno Stato laico, come sottolinea il teologo moralista Giannino Piana, “alla legge va assegnato il compito di evitare azioni che provocano danni consistenti (e palesemente riconosciuti) agli individui e alla società; mentre non spetta a essa determinare i precetti che devono guidare la condotta umana dal punto di vista morale. Negare alla legge una funzione strettamente etica, cioè di formazione della coscienza o di sostegno a una morale particolare, non significa misconoscere il ruolo dell’etica nella definizione dei dispositivi legislativi di una società. La negatività di alcuni comportamenti (che vengono per questo giuridicamente perseguiti) implica il ricorso a un quadro di valori in base al quale fare la valutazione. Ma l’etica alla quale ci si deve riferire nel giudizio non può che essere espressione di un minimo comune denominatore valoriale raggiunto attraverso il confronto tra le diverse visioni di ordine morale presenti nella società”.
Questa concezione, che soggiace alla Costituzione “Gaudium et Spes” sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, è oggi messa in discussione da tentazione neotemporaliste, tanto da far dire a mons. Casale: “Dobbiamo superare l’idea che la legge garantisca la morale. Ecco la mia paura è che la Chiesa affidi alla legge la difesa della morale: sarebbe un tornare indietro e rinnegare il Concilio”. Ma forse questa intuizione conciliare non è stata approfondita a sufficienza, se il card. Martini, nel famoso discorso al Sinodo per l’Europa del 1999, aveva posto nell’agenda di un futuro Concilio “il rapporto tra democrazia e valori e tra leggi civili e legge morale”.
Non convince, poi, il continuo e “fondativo” richiamo alla “natura”, a ciò che è (o sarebbe) “naturale”, alla “legge naturale”. Si tratta, infatti, di concetti problematici, che spesso sono serviti solo a legittimare un ordine sociale costituito (per esempio, attribuendo al maschio il ruolo di “capo della famiglia”). Senza contare che si tratterebbe di capire qual è la “natura” e che significherebbe comportarsi “secondo natura” per “persone omosessuali”, cioè, per tendenza “innata” (come riconosce il Catechismo della Chiesa cattolica del 1992 - n. 2358) o “profondamente radicata” (come corregge la versione del 1997), esclusivamente o prevalentemente attratte da individui dello stesso sesso (la scoperta che ne esistano risale al XIX secolo ed entra nei documenti ufficiali della Chiesa dal 1975, mentre prima era ignota e la riflessione etica si riferiva sempre ad atti omosessuali compiuti da soggetti ritenuti eterosessuali). Marco Ivaldo, ex presidente della Federazioni universitaria cattolica italiana (Fuci), “non penso sia sostenibile l’idea che processi naturali rilevabili fattualmente rappresentino ipso facto posizioni di valore o comunichino imperativi morali. Essi possono offrire al più indicazioni pragmatiche, che tuttavia assumono rilievo morale soltanto se sono abbracciati da una prospettiva di valore, e quest’ultima non nasce affatto dalla natura in noi e fuori di noi (che è solo un livello della creazione), ma dalla ragione illuminata dalla fede. Il cristianesimo non è religione della natura, ma religione del logos, che nel Dio crocifisso si è manifestato come amore”.
In ultima analisi, è decisiva la risposta alla domanda: “Il fatto che due persone dello stesso sesso si amino è positivo, è un valore?”. Nel 1995 il card. Basil Hume, arcivescovo di Westminster, scriveva: “L’amore tra due persone, siano dello stesso sesso o di sesso diverso, va apprezzato e rispettato. Quando due persone amano, sperimentano in modo limitato in questo mondo ciò che sarà la loro gioia infinita quando saranno uno con Dio nel mondo futuro. Amare un altro significa in realtà raggiungere Dio che è presente con la sua amabilità in colui che amiamo. Essere amato significa ricevere un segno, o una parte, dell’amore incondizionato di Dio. Amare un altro, sia dello stesso sesso sia di sesso diverso, significa entrare nell’area della più ricca esperienza umana”.
Ma se la comunità cristiana può “dire che è bene quando due persone, anche dello stesso sesso, si amano”, allora mi chiedo se non sia tempo, anche per la Chiesa cattolica, di pensare, come già hanno fatto altre Chiese cristiane, a un qualche segno di fraternità nei confronti delle coppie omosessuali che vogliono dichiarare il loro amore davanti a Dio e assumere pubblicamente un impegno a consolidare la loro unione. Si benedicono gli armenti, le automobili e, da parte di qualche cardinale, perfino le portaerei. Possibile che non possa essere benedetto l’amore tra due persone, solo perché dello stesso sesso?
Roma, 10 gennaio 2006
“Noi Siamo Chiesa”
“Noi Siamo Chiesa” fa parte del movimento internazionale We Are Church-IMWAC, fondato a Roma nel 1996. Esso è impegnato nel rinnovamento della Chiesa Cattolica sulla base e nello spirito del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965). IMWAC è presente in venti nazioni ed opera in collegamento con i movimenti per la riforma della Chiesa cattolica di orientamento simile.
* www.ildialogo.org, Martedì, 09 gennaio 2007
Il Capo dello Stato interviene mentre è ancora animato il dibattito nell’Unione. Mantovano (An): "Sarebbe meglio se il Quirinale si astenesse dagli auspici"
Pacs, Napolitano: "Troveremo una sintesi anche con le preoccupazioni del Papa"
Mastella ribadisce: "Il mio no contro tutto ciò che può scardinare la famiglia". Verdi e Prc: "Quel che è nel programma va rispettato dal governo"
MADRID - Giorgio Napolitano è certo che sul tema delle unioni di fatto si troverà "una sintesi". Il Presidente della Repubblica interviene da Madrid dopo un colloquio con il premier spagnolo Jose Luis Zapatero. E si dice certo che sulle unioni civili si arriverà al dialogo, "tenendo conto delle preoccupazioni espresse dal Pontefice e dalle alte gerarchie della Chiesa". Riconosce l’esistenza, in Italia, di "sensibilità diverse", anche di "una componente di storica ispirazione cattolica all’interno della maggioranza di centrosinistra". Tuttavia, insiste Napolitano, è sul dialogo che si basa da sempre "la buona politica nel nostro Paese", a cominciare dal caso dell’articolo 7 della Costituzione, "esempio di come si è storicamente riusciti a trovare il modo di conciliare diverse sensibilità". Quanto alla missione in Afghanistan, altro tema affrontato dal Presidente, l’impegno dell’Italia proseguirà anche sul piano militare, ma di fronte a "una situazione preoccupante" non possiamo "ridurci a una presenza militare, dobbiamo accentuare la presenza civile".
Mentre l’opposizione, con il senatore di An Alfredo Mantovano, critica le parole del capo dello Stato ("Sarebbe il caso che il Quirinale si astenesse dall’auspicare quel che non è voluto da una parte del Parlamento e della nazione") e Silvio Berlusconi interviene nel dibattito ("Un attacco all’istituzione della famiglia"), sul provvedimento Bindi-Pollastrini si divide l’Unione e in Parlamento si delineano alleanze trasversali.
Dopo la polemica fra Piero Fassino e Clemente Mastella, il Guardasigilli torna sulla questione: "Non abbiamo firmato la parte del programma dell’Unione che riguarda i Pacs - rilancia - e mi risulta non l’abbia fatto nemmeno la Rosa nel Pugno. Non possiamo essere ostaggio della sinistra antagonista". Il ministro della Giustizia ribadisce le sue posizioni anche nel pomeriggio, davanti all’arcivescovo di Agrigento Carmelo Ferraro: "Il mio no è verso tutto ciò che può scardinare la famiglia".
In mattinata il capogruppo dell’Udeur alla Camera, Mauro Fabris, apre alla possibilità di una convergenza con Pier Ferdinando Casini, che in un’intervista ha annunciato che i centristi sono "pronti a sostenere alla Camera la mozione dell’Udeur sulla famiglia, e poi cercare di trovare convergenze anche con Rutelli". La mozione dell’Udc "è uguale alla nostra - dice Fabris - si tratta di verificare la possibilità di una convergenza in Parlamento su valori comuni. In questo caso non valgono i vincoli di maggioranza".
Ma la sinistra dell’Unione inoltra una richiesta precisa ai vertici dell’Udeur: ritirare la mozione, che si presta anche a un dialogo con l’opposizione, "e ciò non mi pare giusto" sostiene il capogruppo del Prc alla Camera, Gennaro Migliore. Anche secondo il ministro di Rifondazione, Paolo Ferrero, "una legge sulle unioni di fatto è nel programma del centrosinistra". E i Verdi, con Pecoraro Scanio, insistono: "Quando una cosa è nel programma, il governo deve mantenere l’impegno".
"Lavoreremo giorno e notte perché l’accordo sia coerente con quanto deciso a suo tempo dalla coalizione" annuncia il leader dello Sdi, Enrico Boselli. Secondo il quale la decisione di Mastella di non votare i Pacs è "un grande errore, e se mettesse in atto questo proposito finirebbe per segare il ramo su cui siede" e il governo "sarebbe esposto a un rischio di crisi".
La vicecapogruppo dell’Ulivo a Montecitorio, Marina Sereni, invita al dialogo, "non servono né crociate né fughe in avanti", e chiede alla maggioranza "di votare la mozione che l’Ulivo, insieme a Idv e Pdci ha presentato alla Camera che impegna il governo a attuare il programma dell’Unione su famiglia e coppie di fatto".
* la Repubblica, 29 gennaio 2007.
COMUNICATO STAMPA *
Benvenuti "Dico"
Il disegno di legge che istituisce i cosiddetti "Dico" offre importanti elementi di riconoscimento e dignità istituzionali verso tutte le forme di convivenza al di là di ogni discriminazione anche di carattere sessuale. Estendere tutele e diritti sociali, non paternalisticamente dall’alto ma attraverso l’assunzione di responsabilità solidale, l’animazione comunitaria oltre i confini e la partecipazione dal basso, è la grande scommessa dell’oggi. Su di essa si è impegnato il movimento pluralista, si potrebbe dire il crogiolo, di trasformazione profonda che partito dal dopoguerra è approdato al ’68 ha attraversato la crisi degli anni della restaurazione ed è sfociato nel movimento mondiale per "un nuovo mondo possibile" che ultimamente a Nairobi ha dato prova di maturità e continuità. I "Dico" sono almeno in parte frutto di tale movimento il cui spirito e le cui istanze hanno trovato politici attenti, sensibili e capaci di una mediazione aperta e intelligente.
Le comunità cristiane di base sono parte della innervatura di quello stesso movimento. Esse vivono tutta la sofferenza e anche l’indignazione di tanta parte del mondo cattolico di fronte all’inumana intransigenza di gran parte delle gerarchie ecclesiastiche e alle loro strategie politiche lontane da ogni coerenza evangelica. Al tempo stesso le comunità di base esprimono apprezzamento per il risultato degli sforzi di mediazione politica compiuti e continueranno a impegnarsi per l’affermazione sempre più compiuta della laicità dello Stato, della politica e della vita quotidiana.
Le Comunità Cristiane di base, 10 febbraio 2007
LA CRISI DEL GOVERNO E IL DIKTAT DEL VATICANO
di Filippo Gentiloni (il manifesto, 24.02.2007
Come tutti sanno, l’attuale crisi del governo Prodi era stata preceduta da una grave crisi fra stato e chiesa: da tempo le due sponde del Tevere non erano apparse tanto lontane l’una dall’altra. Non a caso, perciò, ci chiediamo se è esistito un rapporto fra le due crisi. Se, in altri termini, la vicenda dei Pacs e la soluzione dei Dico non abbiano influito sulla crisi di governo. Se, ancora una volta, non si sia confermato il rapporto fra i palazzi Vaticani e palazzo Chigi. Un rapporto che da tempo sembra far parte integrante della politica italiana. Nel bene e nel male.
È difficile rispondere. Le carte sono coperte. Quanto e a chi rispondono i votanti di palazzo Madama? Comunque fa una certa impressione osservare che fra i dodici punti che Prodi durante le consultazioni ha dichiarato irrinunciabili i famosi Dico sono scomparsi. Li ha sostituiti una generica raccomandazione sulla famiglia e le sue necessità. Eppure i Dico avevano dominato la discussione politica delle ultime settimane, facendo allargare notevolmente il Tevere e le sue sponde. Sopravvalutati fino a ieri o non piuttosto sottovalutati oggi, all’improvviso?
Si ha l’impressione che ancora una volta alla voce dei palazzi vaticani sia stata attribuito un valore eccessivo, seguendo, d’altronde, una tradizione che ha radici antiche, ma che oggi appare sovrastimata.
Come al solito nel nostro paese le voci laiche o dissenzienti passano facilmente in secondo piano. Eppure questa volta non erano mancate. Sia quelle esplicite, come il testo firmato da Alberigo e da moltissimi altri cattolici e comunità. Sia quelle implicite, ma molto autorevoli, anche di qualche vescovo.
Si è chiesto al governo di decidere sui matrimoni di fatto tenendo presente più il desiderio dei tanti cittadini interessati che le norme del diritto canonico. Voci autorevoli di un cattolicesimo che vuole accettare e difendere i valori della laicità, prendendo le distanze da posizioni di tipo ambiguo e spesso anche interessate al mantenimento di fette di potere più che alla sincera laicità.
Eppure sembra che i palazzi del potere siano stati sordi a queste voci e le abbiano preferite a quelle degli italiani - si parla di due milioni - che speravano in una sistemazione giuridica regolare.
Vedremo quale posizione prenderà il nuovo governo. Comunque speriamo che non si dimentichi il valore del dibattito sui Pacs e sui Dico: la dimostrazione che il cattolicesimo italiano è più ricco e articolato di quanto non si pensi al di là del Tevere e anche al di qua, nelle case dei neocons.
IL SACRIFICIO DEI DICO
di Gianni Rossi Barilli (il manifesto, 24.02.2007)
Qui lo Dico o qui lo nego? Il dubbio attanaglia il risveglio dal coma del Prodi 1/bis e suscita baruffe interpretative che nulla di buono lasciano presagire, in caso di fiducia parlamentare, sul cemento programmatico della (forse) rediviva maggioranza.
La sola certezza è che tra i 12 punti blindati che il professor Romano ha posto come condizione per prolungare ancora un po’ la sua permanenza a palazzo Chigi non compare l’impegno di governo sui diritti delle coppie di fatto. Neppure in quel tono minore che la logica della mediazione politica aveva imposto al disegno di legge sui Dico partorito appena due settimane fa. Il valoroso Mastella, con gli amici teodem, brinda all’ultima vittoria del cardinale Ruini. Mentre la testarda Rosi Bindi, con l’appoggio esterno della Rosa nel pugno, obietta che le coppie di fatto non fanno parte degli impegni futuri perché sono uno scoglio già superato dal Prodi 1 e stanno ora nella capaci mani del parlamento. Chi avrà ragione? Entrambe le interpretazioni sembrano formalmente legittime, così come il proverbiale bicchiere d’acqua può essere definito mezzo pieno o mezzo vuoto secondo il tono dell’umore di chi lo osserva.
Analizzando però la questione in termini di prospettiva, bisogna essere ciechi per non vedere che l’omissione programmatica dà più ragione a Ruini. Basta pensare che il cammino parlamentare della tormentosa riforma parte dal senato, dove i pronostici sul tema delle coppie di fatto sono ancora più sfavorevoli che sulla politica estera. Constatando poi anche che la ricerca di allargamenti della pericolante maggioranza cade su estremisti di centro ansiosi di ottenere la testa dei Dico.
Altra spia del disagio che attraversa l’Unione sull’argomento è l’assordante silenzio della gran parte della sinistra, riformista e non, ipnotizzata dallo spettro del ritorno del cavalier Silvio e disposta proprio a tutto pur di evitarlo. Così va il mondo e tanto di cappello al cardinale Ruini, che si prepara alla pensione carico di allori. Non si disperino le coppie more uxorio etero e omo, perché la storia non finisce domani e un civile conflitto sui loro diritti farà certo maturare il paese più della brutta legge che rischia di morire sul nascere.
Il dramma vero riguarda tutti gli elettori laici, che a questo punto non sanno più a che santo votarsi. E si chiedono se Romano val bene una messa.
Dura critica dell’Osservatore romano alla manifestazione di sabato nella capitale. "Una proposta ideata soprattutto per legalizzare le coppie omosessuali"
Il Vaticano sui Dico: una carnevalata bambini sfruttati per la causa gay *
ROMA - Una carnevalata, per di più isterica, i cui autori sono persone irrispettose. Questa l’opinione dell’Osservatore romano sulla manifestazione romana di sabato sui Dico. Una "esibizione carnascialesca della vera natura dei Dico", questo "il corteo di Roma a favore del riconoscimento legale delle coppie omosessuali. Una manifestazione nella quale - commenta il giornale vaticano - al di là dell’immagine borghese e rassicurante che si voleva dare, hanno trovato posto discutibili mascherate e carnascialate varie. Ironie e isteriche esibizioni da parte di chi invoca riconoscimenti e non esprime rispetto".
Nell’articolo, l’Osservatore rileva che "erano in molti, fra l’altro, i manifestanti omosessuali che recavano sulle spalle o per mano, dei bambini, frutto di precedenti relazioni o anche di fecondazioni praticate all’estero. Bambini - scrive il quotidiano del Papa - la cui presenza è stata sfruttata proprio allo scopo di accreditare l’immagine, che vorrebbe essere rassicurante, di una famiglia da tutelare. Almeno quando è nato, ogni bambino - ricorda la nota - gode, anche nell’ordinamento italiano, di diritti che gli vengono riconosciuti comunque, in ogni condizione si trovino i loro genitori. Anche per questo, sfruttare la loro ingenuità appare un’operazione particolarmente criticabile".
Secondo l’Osservatore, quanto è accaduto sabato a Roma è allora "ancora una volta, la prova evidente di quale sia la finalità di chi si batte per il riconoscimento legale delle coppie omosessuali, essendo la presenza di minori determinante per garantire ad un nucleo famigliare particolari diritti. Non è un caso - conclude la nota vaticana - che nelle immagini trasmesse sul corteo di sabato a parlare siano state quasi esclusivamente le coppie omosessuali, la categoria per la quale, al di là di ogni tattica politica, i recenti tentativi di regolamentazione sono concepiti".
* la Repubblica, 12 marzo 2007
Distribuita da stasera a Roma e Firenze, ha una presentazione del cardinal Ruini. Nel testo: non confondere "le altre forme di convivenza" con il matrimonio
Nelle parrocchie una lettera contro i Dico. "Famiglia privatizzata, senza rilevanza sociale"
CITTA’ DEL VATICANO - Il Vaticano continua la sua offensiva contro il ddl sui Dico. Da stasera infatti, in tutte le parrocchie di Roma e Firenze verranno distribuiti ai fedeli volantini che riproducono una letteradel cardinale di Firenze, Ennio Antonelli, a difesa dell’istituto familiare. La lettera è accompagnata da una breve presentazione del cardinale vicario Camillo Ruini.
"La famiglia - si legge nel testo Ruini - è da tempo al centro dell’attenzione pastorale della diocesi di Roma oltre che di un ampio confronto sociale e culturale. Ho ritenuto perciò di fare cosa utile offrendo alle famiglie romane, tramite i sacerdoti impegnati nelle benedizioni pasquali, un testo scritto dal cardinale Ennio Antonelli per la diocesi di Firenze".
Nella lettera, scritta da Antonelli per i suoi parrocchiani, si legge che "la famiglia sta venendo privatizzata, ridotta a un semplice rapporto affettivo, senza rilevanza sociale, come se si trattasse soltanto di una forma di amicizia".
E ancora: "La famiglia fondata sul matrimonio è non solo una comunità di affetti, ma anche un’istituzione di interesse pubblico; e come tale va riconosciuta, tutelata, sostenuta e valorizzata dalle pubbliche autorità che hanno la responsabilità specifica di promuovere il bene comune. Non vanno confuse con la famiglia altre forme di convivenza, che non comportano l’assunzione degli stessi impegni e doveri nei confronti della società e si configurano piuttosto come un rapporto privato tra individui, analogo al rapporto di amicizia, per il quale nessuno si sogna di chiedere un riconoscimento giuridico. Le esigenze private possono trovare risposta nei diritti riconosciuti alle singole persone".
Il prossimo Consiglio permanente della Cei programmato per il 26 marzo discuterà la Nota "impegnativa" per i cattolici italiani sull’atteggiamento da tenere nei confronti del ddl sui Dico.
* la Repubblica, 17 marzo 2007
Don Gino Gallo: «La Chiesa non sia arrogante. Ma ho fiducia in Bagnasco» Roberto Monteforte *
«È l’ora della speranza. Il tempo del partito di Dio, dell’era ruiniana è finito. Ci vorrà del tempo, ma la linea di monsignor Bagnasco è quella di una Chiesa più pastorale e collegiale». Parla don Gino Gallo, prete da 48 anni. L’uomo di Chiesa che non ha timore di dire la sua. Di esprimere il suo dissenso. Lo ha fatto nei tempi del divorzio. Ora vive il disagio della Nota Cei sui Dico. Ma è fiducioso.
Perché la preoccupa quel pronunciamento?
«Parlo come uno che ama la sua Chiesa. Negare la pluralità dei valori presenti anche in una società secolarizzata o non cristiana, significa contraddire l’insegnamento evangelico. Già il Concilio Vaticano II aveva sottolineato la distinzione tra le competenze della religione e della società politica, ribadita da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI. Papa Ratzinger lo dice chiaramente: la Chiesa non deve imporre ai non credenti una prospettiva di fede o modi di comportamento che appartengono ad essa. La Chiesa non si può porre come gruppo di pressione, che si presenta con intransigenza arrogante, in contrapposizione a una società giudicata malsana e priva di valori. Non è con questo giudizio di disprezzo dell’altro, ritenuto incapace di etica, o misconoscendo la pluralità dei valori presenti anche nella società non cristiana, che si può stare nella storia. La Chiesa ha assolutamente il diritto di intervenire e ribadire i suoi principi. Il problema è quello del modo, dello stile che sembrano alimentare lo scontro tra clericali e anticlericali. Deve difendere la famiglia, ma non fomentare inimicizie, né tanto meno farsi percepire lontana nella misericordia a quanti percorrono sentieri difficili nella ricerca dell’amore. E mostrare attenzione alla sofferenza degli uomini e far risultare l’amore e il bene presenti anche in situazioni giudicate moralmente non conformi all’etica cattolica e dare testimonianza a tutti della “Buona notizia”».
Come giudica il richiamo della Cei ai politici cattolici?
«I vescovi devono mostrare fiducia nei deputati cattolici. Non umiliarli o tenerli sotto tutela. Si parla di libertà di coscienza e si dice che in nome di questa libertà non bisogna votare questo o quello. Ma questa è dittatura di coscienza. È la dittatura del principio di soggettività. Così il deputato non si fa carico di alcuna responsabilità collettiva. La politica è mediazione. Una coscienza che non assuma nessuna responsabilità sociale è un po’ troppo ristretta per essere retta a principio della decisione. Se poi alle sue spalle vi è l’obbedienza a principi posti come vincolanti dalle autorità religiose, allora si giunge a quella autolimitazione della responsabilità conosciuta da quelli della mia età in epoca dittatoriale».
Quei vincoli vengono posti...
«Ma è Benedetto XVI a dirlo: la Chiesa si deve fermare al pre-politico e al pre-economico. Solo così la profezia si fa ispiratrice di soluzioni tecniche che spettano ai cittadini, cristiani e non cristiani, tutti chiamati a pari titolo con gli stessi diritti e doveri a concorrere alla costruzione della Polis. Il 12 maggio si celebra la festa della famiglia che è il culmine dell’amore, negando i diritti di tanti altri, di un pluralismo etico. È possibile?».
Lo chiedono i vescovi...
«La Nota sui Dico annunciata da Ruini era cosa già fatta. La si è potuta solo moderare nei toni. Ma per la Chiesa sono felice. Con monsignor Bagnasco vi sono segnali nuovi. Nella lettera che gli ha inviato il segretario di Stato cardinale Bertone, vi era la richiesta di maggiore collegialità,pastoralità e meno politica. Sono punti chiave che esplicitano tutto il mal contento che si respirava sotto la cappa di quel riuniano “partito di Dio”, del cattolico intransigente e arrogante, crociato di valori”. Alla Cei si chiede di essere un organismo vivo, meno burocratico, collegiale. Sono sollecitazioni che Bagnasco è pronto a recepire. È una svolta attesa da tanti cattolici costretti al silenzio, all’anonimato. Sono teologi, preti, religiosi. Siamo davanti ad un impoverimento del cattolicesimo italiano che non può non preoccupare i vescovi. Bagnasco lo ho conosciuto da giovane prete. Ha preparazione, profondità e spiritualità che mi ricordano quella di Papa Luciani. Mi dà fiducia. Non è certo per una Chiesa lobby, potente nelle finanze, schierata con il centrodestra, sempre pronta agli irriducibili scontri frontali. È la fine dell’era Ruini».
* l’Unità, Pubblicato il: 30.03.07, Modificato il: 30.03.07 alle ore 8.23