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L’IMPORTANZA DEL DIRE E DEL FARE - di Domenico Barberio

A proposito di mafia a San Giovanni in Fiore, un contributo che respinge le teorie di Emiliano Morrone sulle logiche di subordinazione di tipo mafioso nella città e centra l’attenzione sulla responsabilità individuale e politica
lunedì 23 ottobre 2006.
 

Ho letto il lungo pezzo di Emiliano Morrone inserito sulla Voce di ieri l’altro. Provo brevemente a dire la mia e spero che le persone chiamate in causa dal buon Emiliano, e non solo quelle naturalmente, vogliano intervenire offrendo il loro punto di vista e magari potrebbe essere questa l’occasione per aprire un sereno e fruttuoso dibattito. Innanzitutto alcune doverose puntualizzazioni: Emiliano con troppa facilità tende a parlare di mafia, atteggiamento mafioso, logica mafiosa. Sarei molto più cauto ad offrire questa chiave di lettura in questi giorni di rinnovato protagonismo di ‘nrdangheta e camorra con le gravi intimidazioni al Presidente della Provincia di Crotone Iritale, al sindaco di Vibo Sammarco, allo scrittore Roberto Saviano, espressioni violente e becere di quell’insano vitalismo criminale che ritorna prepotente quando le cose “un vauri cu au de ire”. Se ragioniamo di “questione sangiovannese” cercando di capire cosa non va e cosa invece dovrebbe andare io accantonerei il discorso “mafia e derivati”. Quando penso alla nostra triste città più che a feroci affiliati sprezzanti della vita altrui mi viene in mente, nonostante la triste città, una sbandata banda bassotti allo sbaraglio, una non troppo allegra armata brancaleone. Non conosco poi le singole vicende di cui scrive Emiliano e che vedono coinvolti Annarita Pagliaro, Giovambattista Lopez, Barbara Marrella ed altri, per cui di questo non parlo. Emendato da quanto detto in precedenza, il discorso di Emiliano è condivisibile. Una frase credo condensi la sostanza del suo interessante articolo “Esprimersi direttamente su alcuni fatti e articolare precise opinioni vuol dire essere di parte, posizionarsi. Non esprimersi affatto su taluni episodi significa esattamente la stessa cosa”. San Giovanni, la Calabria, il Sud hanno assoluto bisogno di persone che prendano posizione, agiscano. Non serve quel certo non so che di democristiana memoria che parla di equidistanza da un parte e dall’altra, di esigenza superpartes. Non serve quel cercare di stare in bilico, non allargarsi, perché prima o poi spunta la buona occasione e quindi bisogna restare immacolati, quella forma mentis radicata anche nelle nostre convinzioni popolari ( a proposito basta con la patetica “ca l’antichi aviamu ragiune”) che dice “ca tutti ti le tenere bbuoni” “ca cu tutti ce vo’ vucca ruce e pupa tisa”( poco elegante ma certo esplicativo quest’ultimo detto popolare). Si potrebbe obbiettare che è difficile incontrare qualcuno che non prenda posizione, tutti, bene o male, quando c’è da scegliere scelgono. Quella di cui parlo è una scelta diametralmente opposta, è la scelta non dell’opportunità ma della responsabilità. La scelta implicante conseguenze anche svantaggiose. Non mi voglio addentrare troppo in argomentazioni che risulterebbero poco sofisticate e per nulla interessanti, credo che la Storia ci dia gli esempi di scelte coraggiose fatte non per il meschino tornaconto personale del singolo ma per l’inevitabile necessità di tutti. Sarebbe arduo sceglierne qualcuno, davvero difficile dire in questi casi questo fatto è più importante di quest’altro. Siccome il discorso riguarda la nostra San Giovanni in Fiore allora mi permetto, sapendo di commettere una grave ed imperdonabile leggerezza, di offrire uno solo di questi esempi di scelta responsabile, a noi molto vicino. Faccio riferimento alla grande stagione, nell’immediato dopoguerra, della lotta per la terra. A quel movimento contadino, bracciantile che rivendicava il diritto alla terra, al lavoro, alla democrazia, ad una vita dignitosa. Una lotta difficile, dura fatta anche di lutti e tragedia(su tutte, ma ce ne sono tante altre, Portella della Ginestra e Melissa).Per il giovane movimento democratico uscito dalla guerra si trattava di scegliere, operare fattivamente, agire, creare le condizioni per la propria emancipazione. La capacità, l’operosità il coraggio portano ad una e incredibile forma di lotta nonviolenta: gli “scioperi a rovescio”, scioperi implicanti il lavoro gratuito e non retribuito. Un lavoro fatto per migliorare, attraverso la costruzioni di grandi opere pubbliche, le condizioni del nostro disastrato territorio. In questo paradosso, in questa contraddizione il singolo era al servizio degli altri per riceverne nulla in cambio. Doveva essere una grande rinascita, un nuovo e diverso risorgimento, poi non lo è stato; qui non è importante capire il perché la Storia ha preso una strada sbagliata è importante, da parte di tutti, ritrovare e reinventare quel coraggio e quella determinazione.

Domenico Barberio


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