Le tracce degli esami di maturità del 2008 riguardano:
1) la donna;
2) Eugenio Montale;
3) il lavoro;
4) la Costituzione.
Cinquecentomila studenti si cimenteranno con la prova di italiano dell’esame di maturità. Il tema di italiano sarà uguale per tutti gli indirizzi di studio.
Il ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini ha detto: "Non voglio fare retorica ma l’esame di maturità è una tappa fondamentale nella crescita educativa e umana dei ragazzi. In questo momento so bene che tra loro prevale l’agitazione e la preoccupazione. È normale, è stato così per tutti. Ci tengo comunque a dire che sono a loro vicina". Le parole del ministro all’Istruzione Maria Stella Gelmini arrivano la notte prima degli esami".
[...] Ecco tra cosa si può scegliere: *
analisi del testo: Versicoli quasi ecologici, tratta dalla raccolta Res Amissa, di Giorgio Caproni
saggio breve/articolo di giornale: La natura tra minaccia e idillio nell’arte e nella letteratura. Gli studenti hanno a disposizione alcuni materiali. Opere letterarie: Giacomo Leopardi con le sue Operette Morali, Tutte le poesie di Eugenio Montale, Poesie di Giovanni Pascoli e le Ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo. Quadri: Bufera di neve: Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi di William Turner e Idillio primaverile di Giuseppe Pellizza da Volpedo.
tema di attualità: Robotica e nuove tecnologie nel mondo del lavoro. I materiali di partenza: una citazione di Edoardo Boncinelli - "Per migliorarci serve una mutazione" - e un articolo di Enrico Marro, pubblicato su Il Sole 24 Ore "Allarme Onu: i robot sostituiranno il 66% del lavoro umano"
tema storico: "Il miracolo economico italiano" con citazioni da Piero Bevilacqua da "Lezioni sull’Italia repubblicana" e da Paul Ginsborg da "Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi - saggio storico-politico: Disastri e ricostruzione Per domani, invece, è in calendario la seconda prova scritta, con materie diverse a seconda dell’indirizzo di studio: latino per il liceo classico, matematica per lo scientifico, solo per citare le principali [...].
*
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VERITA, MENZOGNA, E DEMOCRAZIA. “Contro la menzogna bisogna lottare non solo per la sua intrinseca immoralità, ma per i suoi effetti distruttivi dello spazio della politica”.
Il governo censura la campagna pubblicitaria dell’Ue
FOTOGALLERY: LA "CENSURA PREVENTIVA"
di Simone Collini *
C’è una campagna pubblicitaria fatta dall’Unione europea per invitare i cittadini a votare che gli italiani non vedranno. Negli altri paesi sì, sui muri delle principali città d’Europa verranno affissi manifesti come quello raffigurante un massiccio castello da una parte e una verde siepe dall’altra, con la scritta: «Quanto devono essere aperte le nostre frontiere?».
Il Pd ha ora presentato un’interrogazione parlamentare al ministro delle Politiche comunitarie per chiedere al governo il perchè di questa censura. Il sospetto è infatti che alla base della decisione di non dare il via libera a questa campagna ci sia il fatto che non è in linea con i messaggi veicolati dal governo. «Gli italiani hanno il diritto di sapere per quale motivo il governo italiano ha rifiutato di diffondere nel nostro paese i manifesti della campagna», si legge nell’interrogazione presentata al ministro Andrea Ronchi dai deputati Pd Walter Verini, Alberto Losacco, Sandro Gozi e Jean Leonard Touad. E il dito viene puntato proprio sul manifesto dedicato al tema dell’immigrazione, così poco in sintonia con la linea dei respingimenti. Ma ce ne sono anche altri che veicolano messaggi decisamente distanti dalle politiche del governo Berlusconi.
Il Parlamento europeo ha approvato la campagna nelle scorse settimane, con il voto favorevole di tutti i gruppi, compreso il Ppe (quello di riferimento, a Strasburgo, del Popolo delle libertà). Poi i creativi si sono messi all’opera consegnando sei diversi manifesti, con messaggi tematici tradotti in 23 diverse lingue. Ma quelli con le scritte in italiano rimarranno negli armadi.
«Sembra che il ministro Ronchi, interrogato in merito, abbia definito tale campagna "inadeguata", dicendosi disposto a predisporne una propria», fa sapere Verini. «Corrisopndesse al vero», dice il deputato del Pd, «credo sia necessario ed urgente conoscere le reali motivazioni alla base di una decisione che sarebbe grave ed arbitraria. Una scelta che, alla luce anche delle posizioni di aperto contrasto assunte dal nostro esecutivo perfino con organismi sovranazionali, come avvenuto sul tema dell’immigrazione, rappresenterebbe una nuova conferma della scarsa sintonia del governo italiano con il comune sentire dell’Europa comunitaria».
* l’Unità, 22 maggio 2009
LA LAICITA’. Il pensiero libero dell’Italia moderna - una grande Italia, di cui spesso ci dimentichiamo.
Una recensione di Biagio De Giovanni del lavoro curato da M. Ciliberto, "Biblioteca laica" (edito da Laterza), con scheda - e altre recensioni.
Intervento
del Presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano
in occasione della celebrazione della
Giornata Internazionale della Donna
- Quirinale, 7 marzo 2009 -
Rivolgo innanzitutto il più cordiale saluto ed augurio alle donne italiane di ogni età e di ogni condizione sociale. Questa è la vostra Festa, questa è la vostra Giornata, ed è l’occasione per esprimervi la riconoscenza della Nazione, la riconoscenza delle istituzioni che molto debbono alla vostra presenza operosa, al vostro peculiare e insostituibile contributo in tutti i luoghi in cui si costruisce la convivenza civile e il benessere comune del paese.
E sono lieto che domani il ministro Carfagna possa portare anche il mio saluto alle donne che operano con le nostre Forze Armate nella missione in Kossovo.
In un giorno come questo è giusto richiamare l’attenzione in primo luogo sui passi avanti che anche nel corso dell’ultimo anno si sono fatti nel senso dell’affermazione del ruolo delle donne nella società italiana: che si sono fatti per loro merito, grazie al loro impegno. E’ qui il senso del titolo che abbiamo voluto dare a questa celebrazione dell’8 marzo: "Onore al Merito". E è molto significativa la partecipazione, stamattina, di donne brillantemente affermatesi in molteplici attività di studio, professionali, imprenditoriali, sociali, artistiche.
Non c’è dubbio, d’altronde, che la componente femminile si stia imponendo, per migliori risultati, a tutti i livelli, nel sistema di istruzione e formazione; essa, tra l’altro, si rafforza e addirittura prevale in facoltà universitarie considerate un tempo di pertinenza maschile. Abbiamo visto nell’ultimo anno come tenda a rafforzarsi, la componente femminile, nelle organizzazioni dei lavoratori e in quelle dei datori di lavoro; e tenda a rafforzarsi, sia pur lentamente, nei Consigli di Amministrazione delle aziende e nei ruoli dirigenziali. A proposito di questi ultimi, un attento sociologo ha nei giorni scorsi indicato i motivi per cui la promozione di donne a dirigenti "può essere un vero e proprio ’moltiplicatore’ dei risultati aziendali".
Non a caso, dunque, possiamo oggi consegnare onorificenze al merito della Repubblica a un’importante professionista nel campo dell’attività fotografica, alla promotrice di una coraggiosa iniziativa di sostegno dei disabili gravi e delle loro famiglie, a una ricercatrice scientifica di alto livello, ad una giovane stella della danza, a una delle non molte - purtroppo - direttrici d’orchestra, alla prima donna entrata a far parte del Direttorio della Banca d’Italia con il ruolo di Vice Direttore Generale, e ad una eminente veterana dell’insegnamento, un’insigne docente di matematica, Emma Castelnuovo, alla quale rendo speciale omaggio anche perché rappresenta, e ci ricorda, la resistenza al fascismo che oltre a privare le donne di fondamentali ed elementari diritti le costrinse, se ebree come lei, con le infami leggi razziali ad abbandonare con i loro colleghi e studenti le scuole pubbliche rifugiandosi con coraggio in un esperimento di scuola privata esclusivamente ebraica.
Le affermazioni recenti, in vari ambiti, di personalità femminili, quali quelle che ho ricordato, care amiche partecipanti, sono le luci. Ma sappiamo che restano tante ombre: in particolare, quelle della sempre modesta, molto modesta presenza femminile nelle istituzioni rappresentative e in funzioni dirigenti nel mondo della politica. Restano molte ombre sulla strada della parità salariale e innanzitutto della partecipazione delle donne alle forze di lavoro e all’occupazione complessiva. E non possiamo non chiederci in questo momento - nel contesto di una crisi finanziaria ed economica che dà segni piuttosto di ulteriore aggravamento che non di allentamento - quanto rischi di essere particolarmente colpito il lavoro femminile : tema sul quale ancora non si vede concentrarsi abbastanza l’attenzione, la riflessione, l’impegno.
Questo è il panorama generale a cui ci richiama l’8 marzo: un panorama che non può peraltro ignorare l’ombra più pesante di tutte, la vergogna e l’infamia delle violenze contro le donne, degli stupri, e di tutte le forme di molestia, di vessazione, di persecuzione nei confronti delle donne. Nel mondo e in Italia: in una parte del mondo in modi orribili, barbarici; in Italia verso donne italiane o straniere non fa differenza, ad opera di stranieri o di italiani non fa differenza.
Ha scritto ieri il Segretario generale dell’ONU, Ban Ki Moon: "la violenza sessuale contro le donne è un crimine contro l’umanità. Viola tutto quello per cui si battono le Nazioni Unite. Provoca conseguenze che vanno ben al di là del visibile e dell’immediato. L’impatto sulle donne e sulle ragazze, sulle loro famiglie, sulle loro comunità e sulle loro società in termini di vite e di focolai spezzati, va oltre ogni possibile calcolo".
Nel nostro paese possiamo dire che si stanno facendo dei passi avanti anche nel reagire a ogni sorta di violenza contro le donne e ad ogni sorta di pratiche lesive della loro dignità. Passi avanti sul piano della presa di coscienza e della denuncia, con un crescente coinvolgimento delle scuole, come ci dice il successo del concorso i cui vincitori sono stati appena premiati. E passi avanti sul piano dell’intervento legislativo e dell’azione di governo, come ci dicono le iniziative poco fa richiamate dal ministro Carfagna, alcune delle quali già ampiamente condivise in Parlamento.
Il quadro di riferimento generale per portare avanti la causa delle donne in tutti i suoi aspetti resta, più che mai, la nostra Costituzione. I valori più preziosi per le donne - libertà, emancipazione, partecipazione attiva alla vita sociale e civile, uguaglianza di opportunità, pieno riconoscimento, a parità con gli uomini, dei talenti e dei meriti - sono, lo sappiamo, il prodotto di un lungo processo di trasformazione della società, della cultura e del costume, il prodotto di una graduale maturazione della coscienza collettiva. Ma è con la Costituzione che quei valori si sono fatti principi. E diritti.
Principi cui ispirare la legislazione, la giurisprudenza, i comportamenti effettivi di molteplici soggetti pubblici e privati. Diritti da garantire, anche attraverso il ricorso alla giustizia, da rispettare nel concreto dei rapporti sociali e civili. Diritti via via sanciti dalla Dichiarazione universale e dalle Carte europee, da ultimo quella del 2000, ora integrata a pieno titolo nel Trattato dell’Unione.
Così, agli articoli 3, 29, 37 della Costituzione repubblicana hanno corrisposto nel corso degli anni la riforma del diritto di famiglia, nel segno dell’"uguaglianza morale e giuridica dei coniugi", e un gran numero di leggi, nazionali e regionali, di sentenze, di accordi sindacali, che hanno concorso a un più alto riconoscimento della condizione della donna da parte della società e dello Stato.
La democrazia si consolida, si pone al riparo da ogni rischio, si sviluppa com’è necessario, se si rafforzano il ruolo e il contributo delle donne attraverso il più conseguente rispetto e svolgimento dei principi e dei diritti sanciti dalla Costituzione. Principi e diritti che fanno della nostra Carta una Costituzione vitale, di assoluta validità in tutta la sua prima parte, anche perché aperta al nuovo, proiettata verso il futuro. Una Costituzione da richiamare non per un qualche omaggio formale ma per un convinto ancoraggio al suo dettato e al suo spirito - insomma, una Costituzione da far vivere: anche con il decisivo impulso delle donne italiane.
* Fonte: Sito della Presidenza della Repubblica
Sul tema, nel sito, si cfr. anche l’art.:
Lo "sviluppo" spiegato com’è
Un breve filmato che spiega di che lagrime e di che sangue gronda quello che chiamano "sviluppo"
Vi raccomando la visione di un interessante documentario: The Story of Stuff, che si trova su youtube anche in versione italiana, doppiata o sottotitolata. Utile per spieare in termini molto semplici (un semplice cartone animato, con un testo parlato con chiarezza) le conseguenze del ciclo lineare estrazione > produzione > commercializzazione > consumo > smaltimento sulle nostre vite e sul pianeta. Qui sotto il link alle tre parti del documentario, nell’edizione doppiata in italiano.
Le ipocrisie sull’amore
di LUCE IRIGARAY (la Repubblica, 16 settembre 2008)
Cercando nel dizionario Robert l’etimologia della parola "prostituire" o "prostituirsi", ho scoperto che il suo primo senso e’: esporre in pubblico cose che richiedono un po’ di riservatezza, un po’ di discrezione. Il significato della parola anzitutto conosciuto da noi oggi e’, infatti, piu’ tardo, cioe’ il suo riferimento alla prostituzione del corpo per rapporti sessuali con una, o generalmente parecchie persone, in cambio di denaro.
Stranamente, il primo senso della parola dovrebbe svanire quando si tratta di sessualita’. Anche se e’ per natura pubblica, la prostituzione dovrebbe allora rimanere invisibile. Ma come una cosa pubblica puo’ esercitarsi in modo nascosto? Questo e’ il paradosso legato alla prostituzione: esiste a condizione che non si sappia e che non si veda che esiste. Di conseguenza, e’ cacciata da tutti i luoghi pubblici in cui si potrebbe sapere o vedere che si esercita: le case di tolleranza, le strade, eccetera. Non c’e’ nulla di strano in tale contraddizione.
La prostituzione partecipa della sorte riservata alla sessualita’ nella nostra cultura: esiste a patto che non si sappia, che non si manifesti in quanto tale. Nulla nei programmi scolastici tiene conto della necessaria educazione sessuale dei bambini, dei ragazzi e adolescenti. I programmi scolastici si fermano a insegnamenti relativi agli organi di riproduzione senza abbordare la questione dell’attrazione sessuale e delle vie per condividere il desiderio a un livello corporeo.
L’istruzione si limita a descrizioni naturaliste degli organi sessuali da una parte, e dall’altra all’esposizione delle sventure amorose vissute dai personaggi della nostra letteratura. Si puo’ capire che i ragazzi cerchino presso le prostitute un’educazione un po’ piu’ adeguata a cio’ che provano. Sfortunatamente, visto il disprezzo della sessualita’ nella nostra tradizione, e pure l’etica della stessa prostituzione, questi maschi in cerca di educazione sessuale ricadono in rapporti sessuali piuttosto naturalisti, senza desiderio ne’ amore, che si svolgono in luoghi spesso sordidi e in cambio di denaro.
Una simile iniziazione alla sessualita’ non favorisce gli abbracci amorosi futuri fra amanti; e’ piuttosto incitamento a mostrare le proprie capacita’ in un rapporto venale fondato su una certa schiavitu’. Questo non contribuisce allo sviluppo della personalita’ del ragazzo, in particolare nella sua dimensione affettiva e relazionale, per la quale ha tanto bisogno di un’istruzione appropriata.
La ragazza, da parte sua, non ha quasi mai l’opportunita’ di un’iniziazione sessuale scelta da lei. Diviene il piu’ delle volte una sorta di prostituta involontaria, anche nello stesso matrimonio, e l’attrazione sessuale che prova si fa sogno sentimentale in attesa di qualche principe o signore, forse estraneo alla nostra vita terrena. Si possono immaginare i problemi e le delusioni dei primi abbracci amorosi.
Ora l’attrazione sessuale e’ cio’ che ci puo’ facilitare il passaggio dai bisogni individuali legati alla sopravvivenza a una condivisione con l’altro. E’ cio’ che ci puo’ aiutare a trascendere il nostro corpo come materia attraverso il desiderio, un desiderio che fa da ponte e mediazione tra corpo e anima, e anche fra l’altro e noi stessi. Questa spiritualizzazione del corpo e dell’amore carnale e’ resa impossibile per mancanza di una cultura della sessualita’, per la sua repressione e riduzione a un bisogno, sessuale e perfino procreativo, che non ha piu’ nulla di propriamente umano.
*
Fonte: NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE.
Supplemento settimanale del giovedi’ de "La nonviolenza e’ in cammino"
Numero 218 del 6 novembre 2008
Sull’argomento, si cfr (cliccare sul rosso per leggere l’articolo ->):
Non c’è nulla di diverso nel paese di stamattina. Eppure tutto è diverso
una "primavera americana" che ancora non si vede, ma si sente
La lunga notte della rivoluzione
che ha cambiato il volto degli Usa
Gli ultimi lustrascarpe ricordano ancora la rivolta di Washington
ora che un "brother" dormirà nella casa che avrebbero voluto mettere a sacco
di VITTORIO ZUCCONI *
WASHINGTON - La notte che ha cambiato tutto si stempera in un giorno di esausta, civile normalità, che produce in noi ammirazione, stupore e qualche invidia.
È cambiato tutto. Si sono rovesciati 40 anni di storia, tra le rivolte dei ghetti del 1968 e l’annuncio della vittoria del figlio di un kenyano, nelle tre ore passate fra i primi risultati incerti dalla Florida, dalla Virginia, dall’Ohio, fino alla valanga di voti del West alle 23 e un minuto, ora della capitale.
Ma sulla nuova America che ha stravinto, come su quella vecchia che ha straperso, sulla insurrezione elettorale dei giovani che hanno respinto la tentazioni della protesta e hanno trovato lo strumento politico per manifestare la loro voglia di antipolitica, dei neri, dei bruni, delle donne, è già scesa la pace. Sotto la coperta rassicurante della Costituzione, delle regole da rispettare e rispettate, della civiltà politica, dell’accettazione di vittorie come di sconfitte, l’America oggi riposa esausta e si distende.
Gli americani hanno fatto una rivoluzione e tutto quello che posso raccontare di scomposto è la folla che spontaneamente si era raccolta attorno alla Casa Bianca a mezzanotte, per cantare "Bye Bye George" e fare la serenata a un presidente detestato da 3 americani su 4, senza che volasse un ciottolo.
Perché rivoluzione è stata e la nuova carta politica dell’America, che i pennelli elettronici delle network andavano disegnando, i messaggi frenetici dei blog e dei siti internet raccontavano e le ricerche sui voti confermavano, è un continente umano e politico che sembrava scomparso ed è invece riemerso. Non un’"altra America", come vogliono i luoghi comuni, ma un’America che non aveva trovato il messaggio e il messaggero per uscire dall’incantesimo dei falsi "valori", del moralismo, della xenofobia, dei miti fiscali spacciati da coloro che avevano tutto da guadagnare e nulla da restituire, e ora l’ha trovato. E’ sbalorditivo che tutti gli stracci agitati per un decennio dalla destra, nessuno, neppure la questione dell’aborto che ormai è vissuta come una storia conclusa e acquisita, abbiano fatto la loro comparsa in questa elezione. Forse questo, il mancato ricorso agli spettri delle paure, spiega la quiete dopo la notte.
Barack Obama ha vinto ovviamente perché i suoi fratelli di sangue hanno votato come mai avevano fatto prima, fino al 95% con lui, dopo che si era insinuato che lui "non fosse abbastanza nero", per non essere cresciuto nei casermoni dell’edilizia popolare, i projects, sforacchiati da sparatorie e da crimine. Ma ha vinto perché le donne lo hanno scelto, nella speranza che lui sia colui che finalmente darà sicurezza sanitaria a quelle madri single che allevano figli senza alcuna protezione assicurativa e hanno visto in lui, bambino allevato da donne, la madre sola e la nonna, la rivincita della loro fatica quotidiana. Ha vinto con i latinos, stanchi di essere trattati come usurpatori di terre nelle quali fanno i lavori che permettono ai bianchi di farne di migliori. Ha vinto fra quei "colletti blu" delle acciaierie in agonia, delle fabbriche d’auto che oggi vendono un terzo meno dell’anno scorso, quei "democratici di Reagan" che la strategia repubblicana era riuscita a sedurre agitando le bandierine dei "valori", morali, patriottici, militari. Ha vinto addirittura nel West, dove il rude cowboy immaginario ha da tempo lasciato le prateria ai nuovi americani dei sobborghi, della tecnologia, dei diritti. Ha vinto perché è il segno, e il volto, dell’America nuova, contro un partito vittima del proprio successo con un’America Vecchia che esiste sempre meno, persino nella Florida dei vecchi.
Ci sarebbero infinite ragioni di rancore, voglie di conti da saldare, paure per l’immaginario "radicalismo marxista" di un ultra liberal, che si rivelerà molto più probabilmente come un centrista moderato al massimo con qualche istinto blandamente socialdemocratico, ma se ci fossero state voglie di rese dei conti, le avrebbero spente, prima che la notte degenerasse in un giorno di mazzieri, le avrebbero subito spente le parole proprio dei due protagonisti, uniti da uno stesso filo: io ho perso, ora deve vincere l’America e l’America è colui che è stato eletto. Io ho vinto "ma dovrò governare anche per coloro che hanno perso", come ha detto Obama. E le braci accese da secoli si sono spente e raffreddate anche in quel parco di Chicago dove i figli degli hippies e dei sessantottini piangevano abbracciando i vecchi poliziotti in pensione che il sindaco Daly aveva mandato a sprangare a sangue i loro padri e le loro madri, nell’estate del 1968.
Non c’è niente di diverso, nella Washington dove esco dopo il voto. I giovanotti di colore che mi riempiono il sacchetto del supermercato sono gli stessi di ieri e non sono diventati presidenti degli Stati Uniti né direttori del negozio alle 23 e 30 di martedì, quando uno come loro è diventato il Capo dello Stato ed è probabilmente soltanto la mia immaginazione di cronista che vede nei clienti che spingono il carrello e li ringraziano un’ombra di rispetto in più, come se trattarli male, da oggi, potesse scatenare sull’uomo bianco sgarbato con il garzone nero la furia del nuovo governo federale e un immediato accertamento fiscale.
Eppure tutto è diverso, come se vivessimo in una "primavera americana" che ancora non si vede, ma si sente. Guido l’auto nel centro di Washington, la capitale molto "romana", molto sorniona e cinica, che aspetta l’arrivo del nuovo Cesare, il 20 gennaio prossimo, e delle sue centurie, senza scomporsi, sapendo che sopravviverà anche a questo ribaltone storico, culturale, morale come ha saputo sopravvivere ai sudisti che la bombardavano, ai mercenari inglesi che la invasero e ai dementi di Al Qaeda che le schiantarono un Boeing 757 di linea contro il Pentagono, senza che il cuore della città perdesse un colpo. E’ questo, il momento della transizione da un imperatore all’altro, avvenuto 41 volte in 220 anni per 43 presidenze, nel quale si vede la magnificenza civile della nazione. Non si sentono urla e grida, non ci sono vincitori che insolentiscono i trombati, o sconfitti che digrignano i denti, anche grazie alla stangata senza equivoci di Obama, e del partito democratico, che ha conquistato seggi e allargato la maggioranza al Congresso, Camera e Senato, costruendo un "monocolore" democratico nel cuore del governo nazionale come non si vedeva da decenni.
Il sovrano deposto dalla Costituzione e bocciato dal voto, Bush, che è il vero sconfitto come ammettono anche i suoi ultimi supporter come Bill Kristol o Fred Barnes, i boia chi molla della destra estrema, si fa vedere sul pronao della Casa Bianca semplicemente per congratulare colui che da 21 mesi va ripetendo che proprio Bush è stato una catastrofe, per dire che lui è da questo momento a disposizione del successore, che Obama ha ragione quando dice che l’America è la nazione dove tutto è possibile e i messi del nuovo Cesare avranno libero accesso e saranno d’ora in poi, giorno dopo giorno fino alla inauguration fra 70 giorni, messi al corrente di tutti gli affari di Stato.
Chi oggi attraversa questa capitale lubrificata dall’esperienza delle transizioni e dal senso di responsabilità nazionale e internazionale che porta sulle spalle, non può non ricordare come la trovò trent’anni or sono, e cerca invano i segni delle lingue di fuoco che annerivano la facciata degli edifici del centro, all’incrocio della 14esima strada e della F Street, a 100 metri dalla Casa Bianca, dove l’insurrezione del ghetto nero arrivò con la armi, le fiaccole, le spranghe in mano, fermato dalla Guardia Nazionale in assetto di guerra, dopo la notizia dell’assassinio di Martin Luther King, nel 1968.
Gli edifici affumicati, che contemplavo dalla finestra dell’ufficio nel palazzo della stampa, sono stati abbattuti, ci sono shopping center, caffetterie, condomini di lusso, negozi di chincaglieria costosa. Soltanto i vecchi, gli ultimi lustrascarpe ricordano ancora la sommossa di Washington e lustrascarpe rimangono, anche ora che un brother, un fratello di sangue, dormirà nella casa che loro avrebbero voluto mettere a sacco. Il primo giorno del resto della nostra vita, come vuole un detto americano, è un giorno normale, pacifico, qualsiasi, dopo una notte che avrebbe potuto, altrove, scatenare piazze e furori.
Questa "primavera di Washington", che fiorisce in autunno, fa piangere in silenzio, compostamente, come ha pianto ieri notte Colin Powell, che si era esposto per dare la propria investitura a Obama e fa piangere coloro che in buona fede, avendo ascoltato le farneticazioni della cacciatrice di alci, rivelatasi una prevedibile zavorra dopo la fiammata di curiosità iniziali, davvero crede che dal 20 gennaio prossimo gli Usa diverranno gli "Ussa", gli "Stati Uniti Socialisti d’America" e Obama porterà via il negozio di souvenir o la cassetta delle spazzole ai lustrascarpe, mentre i "neri" la faranno da padroni, vendicandosi dei padroni.
E tutto quello che è successo è che la mappa elettorale dell’America torna finalmente a corrispondere alla propria diversità, come la faccia di chi l’ha disegnata, ha il volto di una nazione che riassume in sé il dna del mondo. E se la nonna di Obama non lo ha visto vincere per 24 ore, Ted Kennedy è riuscito a resistere al male che lo sta uccidendo, per vedere il ritorno dell’America che finalmente i suoi fratelli avrebbero riconosciuto.
* la Repubblica, 6 novembre 2008
Sull’argomento, si cfr. anche:
"CHANGE WE NEED". BARACK OBAMA, SULLE ALI DELLO SPIRITO DI FILADELFIA E DI GIOACCHINO DA FIORE, HA GIA’ PORTATO GLI U.S.A. FUORI DAL PANTANO. - per leggere l’art., cliccare sul rosso).
Sul tema - indicazione n. 4, nel sito, si cfr. l’ "anticipazione":
Una scuola a pezzi. Quei ragazzi che non hanno futuro
Un mondo in cui ciascuno ha rinunciato a offrire e a prendere alcunché. Studenti somari e razzisti. Professori presi da incombenze burocratiche
di Michele Serra (la Repubblica 25.09.2008)
Se il discorso sulla scuola ha assunto, in Italia, toni aspri e quasi vocianti, è perché parlando di scuola si parla dei giovani e dunque si evoca il futuro, che è il più disturbante dei concetti in tempi di declino sociale come questo. E poi perché la parola scuola chiama in causa un "pacchetto di crisi" fin troppo denso: la crisi dell’autorità, quella della cultura come cardine della persona, quella degli adulti incerti depositari di ancora più incerte "regole".
In Francia ha avuto grande successo il romanzo di un giovane insegnante, François Bégaudeau, che ha ispirato il film vincitore della Palma d’oro a Cannes. Il titolo originale del libro era Entre les murs, dentro i muri, perfettamente indicativo dell’atmosfera claustrofobica che lo pervade. Il titolo italiano, meno severo, è La classe (Einaudi Stile libero, pagg. 228, euro 16), e sembra quasi voler riportare questo desolato best-seller in una letteratura "di genere", sulla scia fortunata del primo Starnone e dell’ultimo Pennac. Con eventuale ammicco a un sottogenere pop, quello del computo allegro degli svarioni studenteschi, tipo Io speriamo che me la cavo o il vecchio classico per ragazzi francese La fiera delle castronerie. Ma attenzione: i circa vent’anni che separano la generazione di Starnone e Pennac (diciamo, per comodità, quella "sessantottina") da quella di Bégaudau sono un vero e proprio baratro.
La scuola raccontata da Starnone e Pennac è ancora un lascito, seppure residuo, dell’umanesimo. L’ironia amara, lo sguardo smagato su ragazzi e adulti lascia ancora intatta l’illusione di un passaggio di consegne, di un apprendistato, più ancora che alla cultura, alla civiltà e forse alla vita. Leggendo Bégaudeau, la sua stagnante, ossessionata trascrizione di un dialogo impossibile, ci si ritrova piuttosto immersi in una post-scuola, una scuola svuotata di sé nella quale ciascuno ha rinunciato a offrire o prendere alcunché, e insegnanti frustrati oppure inaciditi, e alunni maneschi e rincoglioniti dal consumismo, trascorrono un intero anno rimanendo fermi al punto di partenza, senza procedere di un passo verso quel percorso scolastico che, burocrazia a parte, è pur sempre la ragione di un anno di lavoro e di vita. Un anno: per un adolescente un’enormità, un tempo immenso di crescita e di occasioni, che nella scuola di Bégaudeau diventa però un tempo puntiforme, una spirale viziosa che lascia ciascuna delle due parti, ragazzi e professori, nella propria inerte impotenza.
La staticità del libro è prima di tutto stilistica. La povertà verbale è il frutto evidente di un accurato lavoro letterario, imitativo della supposta povertà della realtà scolastica e soprattutto del linguaggio dei liceali. Il battito delle frasi è quello di un rap, concetti mozzi e ripetuti, sguardi veloci sui marchi delle felpe come principale identità degli studenti, niente che sembri portare a qualcosa o allontanarsi da qualcos’altro. Il tutto contrappuntato dalle conversazioni vaghe e strascicate della sala professori, perse tra qualche incombenza burocratica e rivendicazioni "sindacali" striminzite sull’efficienza della macchinetta del caffè. Oppure ? in un rigurgito di "autorità" che è anche il massimo exploit dell’impotenza ? dalle delibere di espulsione che, a raffica, colpiscono gli studenti più insopportabili. Il genere della Classe, dunque, non è tanto il "romanzo scolastico", quanto il no-future. La mancanza di movimento. La perdita di direzione. La sensazione di ultima spiaggia.
Appesantita, per giunta, dall’onnipresenza (anche lei ossessiva) di una multiculturalità descritta come un ingovernabile equivoco, un ginepraio di pregiudizi e diffidenze che l’io narrante, il giovane prof Bégaudeau, affronta con una stizza inconsolabile (forse la stizza dei "politicamente corretti" sconfitti dall’evidenza), masticando come un fiele il nodo di una diversità babelica, inconciliabile, sorda ai richiami della tolleranza e della comprensione. Tanto che la pagina più potente e liberatoria del romanzo è un secco sfogo nel quale il professore dà del pezzo di merda, in massa, all’intero corpo studentesco, affogando dentro la sua rabbia anche le deboli tracce di umanità che è riuscito a scorgere nei singoli studenti, infine rinnegati anche dal docente, perfino dal docente, che li caccia volentieri nel girone infernale della Massa Amorfa, più interessata alle felpe e ai telefonini che alla propria decenza mentale.
Insomma: un libro terribilmente doloroso, di accurato pessimismo, con la patina di "divertente", evocata in copertina nell’edizione italiana, che si lacera dopo poche pagine. Resta da riflettere sul grande successo, in Francia, di un romanzo così implacabile, che non lascia spiragli, non concede alibi né agli adulti né ai ragazzi, i primi visti come neghittosi sorveglianti del nulla, i secondi come insorvegliabili somari, razzisti, ottusi, consumisti bulimici, potenziali violenti che stazionano "dentro i muri" come cavie in una gabbia, e senza neanche la discutibile soddisfazione di essere cavie di un esperimento. Perché un esperimento non c’è.
Se questa è davvero la scuola, in Francia e qui da noi, ovunque nell’Occidente spento di energie e debole di identità, viene da dire che hanno ragione i restauratori politici che, a furor di popolo, vogliono tornare ai vecchi metodi: al posto del ministro Gelmini, sorvolerei sulla natura letteraria del lavoro di Bégaudeau e inserirei il suo romanzo in ogni dossier ministeriale che voglia liquidare tutte le esperienze pedagogiche dell’ultimo mezzo secolo e riportare Legge e Ordine tra i banchi.
A me, piuttosto, è venuta voglia, come antidoto, di rileggere Starnone e Pennac, oppure gli interventi di Marco Lodoli su questo giornale, nei quali la percezione del disastro sociale e scolastico non è certo attenuata, ma lo sguardo di chi lo osserva è ? non so come dirlo altrimenti ? umanamente partecipe. Dev’essere una questione di generazione, Régaudeau e il suo rap disperato sono probabilmente più sintonici con i tempi, e magari i ragazzi di oggi possono davvero leggere "divertendosi" un libro che li raffigura come ectoplasmi nevrastenici, come nullità ringhiose, e però lo fa con il ritmo giusto, riconoscibile, se posso dire: alla moda.
Ma se non si riesce più a trovare, o almeno a cercare il bandolo di un significato, di un destino, di un rapporto di emulazione e sfida tra adulti e ragazzi, allora hanno ragione i vecchi reazionari quando dicono "ci vorrebbe una bella guerra ogni tanto", a raddrizzare la gioventù, a selezionarla meglio di un sette in condotta o di una bocciatura. Ecco, "La classe" è un libro post-scolastico e pre-bellico: arrivato in fondo al viaggio, anzi al non-viaggio, un lettore disposto al paradosso pensa che l’anno prossimo quelle truppe di giovani felpate e smidollate, per ritrovare nerbo e disciplina, e magari dotarsi di un concetto di Patria che rimedi alle vaghezze del multiculturalismo, non dovrebbero più rientrare a scuola, ma in caserma. Dev’essere per questo che giovani ministri (poco più anziani di Bégaudeau) tendono a confondere scuola e caserma.
CITTADINANZA E COSTITUZIONE (Cliccare sul rosso, per leggere i testi integrali.
" (...) E considero positiva e importante la decisione annunciata dal ministro Gelmini di avviare - nel primo e nel secondo ciclo di istruzione - la sperimentazione di una nuova disciplina dedicata ai temi "Cittadinanza e Costituzione". Mi auguro che si consolidi una concreta e impegnativa scelta in questo senso.
Perché, cari ragazze e ragazzi, e cari insegnanti, la Costituzione costituisce la base del nostro stare insieme, come italiani, nel rispetto di tutte le diversità, le esigenze e le opinioni, ma nel comune rispetto di principi e regole fondamentali.
Lo stesso senso della Patria che ci unisce, che ci deve unire, trova il suo ancoraggio, nel presente storico che viviamo, negli indirizzi e nelle istituzioni della solenne Carta entrata in vigore sessant’anni orsono (...) (Sito del Presidente della Repubblica).
MA...L’"ORA DI COSTITUZIONE" NON C’E’ PIU’!!! (ESECUTIVO NAZIONALE DI PROTEO FARE SAPERE)
Discorso pronunciato da Piero Calamandrei al III Congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale (Adsn), a Roma l’11 febbraio 1950
Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura.
Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di stato per dare la prevalenza alle sue scuole private.
Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina. L’operazione si fa in tre modi: ve l’ho già detto: rovinare le scuole di stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico.
Pubblicato nella rivista Scuola Democratica, 20 marzo 1950
Dopo la pausa del fine settimana, domani torna la protesta in tutta Italia
E sui cellulari degli studenti romani delle superiori rimbalza un messaggino
Scuole, la protesta corre via sms
"Vediamoci lunedì per occupare"
Davanti Montecitorio studenti e professori di Fisica terranno lezione all’aperto
L’Udu: "Proseguire fin quando gli articoli 6 e 66 della 133/08 verranno abrogati"
ROMA - "Vediamoci domani davanti scuola per occupare". E’ l’sms che sta girando in queste ore sui telefonini degli studenti romani delle superiori. Sia nella capitale che nel resto della penisola molti istituti sono già occupati. Ma dopo le mobilitazioni di studenti e professori delle università e delle scuole ’di ogni ordine e grado’, culminate nella partecipazione al corteo dei sindacati autonomi di venerdì scorso, sempre più istituti e atenei in tutta Italia si stanno organizzando per opporsi alla riforma Gelmini.
Il ministro, che oggi è stata rinfrancata dagli applausi dei ragazzi del "movimento studentesco padano" riuniti a Milano, domani sarà in visita al rettorato dell’università di Palermo. Ed è tornata a dire: "Nessun taglio, solo razionalizzazioni". Troverà comunque ad accoglierla un corteo di protesta degli studenti, per ribadire il no al decreto di riforma dell’Università. La manifestazione partirà da viale delle Scienze e si concluderà davanti allo Stera, la sede del Rettorato a piazza Marina. Per martedì 21 è stato indetto un altro corteo e dovrebbero essere sospese le lezioni in tutte le facoltà.
A Parma sono in programma due assemblee per gli studenti: la prima domani dalle 11 alle 13 nella Facoltà di Psicologia e la seconda martedì alle 18 nella facoltà di Lettere. A Pisa per il 23 ottobre alle 15 è indetta una manifestazione cittadina. Nella città toscana da una settimana studenti, ricercatori e docenti si riuniscono in assemblea permanente nel’aula filologia 8, presso il cubo 28B.
Una manifestazione di protesta contro la riforma della scuola si svolgerà domani mattina a Reggio Calabria nei pressi del liceo scientifico ’Leonardo Da Vinci’. L’iniziativa è organizzata dagli studenti della Federazione Giovanile dei Comunisti Italiani e del movimento Taglia La Gelmini.
A Roma niente protesta nel fine settimana all’Università La Sapienza: si è di-soccupato venerdì sera, per ri-occupare lunedì mattina, quando si terranno assemblee in tutte le facoltà per pianificare le prossime giornate di protesta. E seguendo l’esempio di altri colleghi in diverse città italiane, domani, gli studenti del dipartimento di Fisica, insieme con alcuni docenti, faranno lezione all’aperto sotto Montecitorio, per dare seguito, si spiega in un comunicato, "alla straordinaria settimana di mobilitazione alla Sapienza".
I tagli alla scuola arrivano anche sui banchi del consiglio comunale di Reggio Emilia. Infatti, domani, saranno all’esame dell’assemblea di sala del Tricolore, due mozioni di iniziativa popolare, ognuna sottoscritta da oltre 300 cittadini, proposte da un gruppo di coordinamento di insegnanti e genitori.
A Napoli, domani mattina, assemblea nella sede della facoltà di Sociologia della Federico II. Poi, martedì, gli universitari hanno organizzato un corteo che sfilerà per le strade del centro storico. Sempre martedì, la Sinistra democratica darà vita a un’assemblea pubblica "contro la distruzione della scuola pubblica e dell’Università".
"Lo stato di agitazione diffuso evidenzia la volontà di non fermarsi in questa mobilitazione che si espande e cresce di forza ogni giorno sempre di più - spiega una nota dell’Unione degli universitari -. Vogliamo proseguire questo percorso fino a quando gli articoli 6 e 66 della legge 133/08 verranno abrogati".
"Io non difendo la scuola così com’è. Ma è intollerabile e inaccettabile che in un Paese come l’Italia si possano tagliare 8 miliardi per l’istruzione e pensare a classi separate", ha detto Walter Veltroni, ospite del programma condotto da Fabio Fazio Che tempo che fa (stasera su Rai Tre), rispondendo alle domande sulla riforma del ministro Gelmini. In particolare la proposta di istituire classi separate per i bambini stranieri rappresenta, per il segretario del Pd, uno dei tanti "piccoli slittamenti che progressivamente ci portano a ben altro. Resta importante garantire la sicurezza dei cittadini e anche l’integrazione".
* la Repubblica, 19 ottobre 2008
"Polizia contro le occupazioni"
Scuola, linea dura di Berlusconi. Gli studenti: non ci fermerà
di Carmelo Lopapa (la Repubblica 23.10.2008)
ROMA - Manda un avviso ai «naviganti». Che poi sarebbero studenti, famiglie, insegnanti e anche ai mezzi di informazione. «L’ordine deve essere garantito, lo Stato deve fare lo Stato». Le proteste e le occupazioni di questi giorni contro il decreto Gelmini e la riforma della scuola, frutto della strumentalizzazione «della sinistra e dei centri sociali», devono cessare. E il provvedimento del governo non sarà ritirato, tutt’altro. Silvio Berlusconi prova a liberarsi dall’assedio della piazza, dei coertei, delle assemblee e delle lezioni per strada. E trasforma la contestazione del mondo della scuola in un problema di ordine pubblico.
Poche ore prima di imbarcarsi sul volo che lo porterà per alcuni giorni in Cina, convoca il ministro dell’Interno Roberto Maroni. Con lui vorrebbe concordare le modalità di utilizzo delle forze di polizia per sgomberare scuole e atenei, girargli «istruzioni dettagliate su come intervenire». Poi, nel faccia a faccia pomeridiano col capo del Viminale per un’ora a Palazzo Grazioli, le cose andranno diversamente. Nessun piano di sgomberi, per ora. Sta di fatto che l’annuncio - fatto in conferenza stampa al fianco della ministra nel mirino Mariastella Gelmini - ha l’effetto di una carica di dinamite. Cortei e proteste anche non autorizzate da Roma a Milano. Altre occupazioni annunciate per oggi in mezza Italia. L’opposizione che si mobilita e accusa il premier di agire da «provocatore», di «soffiare sul fuoco», di meditare una «strategia della tensione». Il clima politico si surriscalda al punto da indurre il Quirinale a intervenire e lo stesso fa il presidente dei vescovi Angelo Bagnasco: «I problemi complessi non si risolvono con soluzioni semplici, servono moderazione ed equilibrio».
All’incontro con la stampa organizzato nel giro di poche ore per porre un argine al dilagare della protesta, Berlusconi si presenta con un minidossier di undici pagine sulla scuola e «tutte le bugie della sinistra». Lui, ex «studente modello e diligentissimo» che certo non avrebbe «mai occupato» una scuola, giudica semplicemente «falsi i messaggi dei leader della sinistra che sgambettano in tv» e che starebbe dietro la protesta coi centri sociali. E siccome «la realtà di questi giorni è ben altra di quella raccontata dai mezzi di informazione, ma è fatta di aule piene di ragazzi che intendono studiare», ecco la stretta, la svolta rigorista. «Non consentirò l’occupazione di università e di scuole, perché non è dimostrazione di libertà e democrazia, ma pura violenza nei confronti degli altri studenti, delle famiglie e nei confronti dello Stato». E preannuncia l’incontro che di lì a qualche ora avrebbe avuto a Palazzo Grazioli col ministro dell’Interno Maroni: «Gli darò istruzioni dettagliate su come intervenire attraverso le forze dell’ordine». Polizia in azione, dunque, anche se dall’altra parte della barricata dovessero esserci, come ci sono, gli insegnanti. Linea dura anche sul decreto: «Sulla riforma della scuola andremo avanti», avverte in risposta a Veltroni che lo aveva invitato a ritirarlo. «Non retrocederò di un centimetro, avete 4 anni e mezzo per farci il callo». Alla Gelmini rimprovera sorridendo di aver sbagliato a parlare di maestro unico, «meglio dire prevalente», poi elenca una per una le «bugie» di sinistra e occupanti e pregi della riforma. Che intanto procede a gonfie vele in Parlamento. Respinte ieri al Senato dalla maggioranza le otto pregiudiziali costituzionali sollevate dalle opposizioni, la riforma viaggia verso il voto finale previsto per mercoledì prossimo.
L’ultima parola del premier è per la manifestazione del Pd del 25 ottobre. «È una possibilità della democrazia ed anche noi ne usufruimmo - riconosce a distanza al Veltroni che più volte glielo ha ricordato in questi giorni - Ma noi manifestammo contro la pressione fiscale del governo Prodi. La loro è solo contro il governo e non ha proposte».
A La Sapienza la risposta degli studenti. E da Roma a Torino i rettori dicono: no ad azioni di forza
di Federica Fantozzi (l’Unità, 23.10.2008)
UNA STUDENTESSA del primo anno, schiacciata tra la folla, libera la mano intrecciata a quella dell’amica per non perdersi, e risponde al cellulare: «Era mio padre. Ha paura che ci picchino». Sui gradini dell’aula magna de La Sapienza, molte matricole con la faccia da liceali, lontane dai megafoni e certe che si tratti di «un fermento spontaneo e apolitico». Anche i ragazzi dei collettivi - Dario, Francesco, Aliosha - fiutano la trappola: «Nessuno volantini per partiti e sindacati - gridano - Questo movimento rifiuta le bandiere. Chi è venuto a mettere il cappello se ne vada».
Eppure l’avvertimento del premier sigilla insieme le anime dell’occupazione, e la giornata cambia segno. Addio workshop e riunioni: scatta l’assemblea congiunta di tutte le facoltà. Non solo Lettere, Scienze Politiche, Fisica e Chimica, quelle occupate. I ragazzi, all’aperto, ascoltano e chiacchierano di altro. Valentina frequenta Psicologia, ha le treccine e la spilla arcobaleno: «Il governo risponde con militarizzazione e sgombero. Non lo accetteremo». «Non diciamo solo no - spiega una rossa con lentiggini e occhi acquamarina, secondo anno di Lettere - Faremo proposte». Per esempio? «Più ricerca, basta con i cervelli che all’estero fanno carriera. Più elasticità nei piani di studio. No ai manuali dei titolari di cattedra: non vogliamo venerare un prof, vogliamo imparare». Mai manifestato prima? «Al liceo, contro la guerra in Iraq». Antipolitici? «Fino a un certo punto» ammette un’altra.
Il primo punto dell’assemblea è Berlusconi, con Sacconi anti-scioperi e Brunetta anti-fannulloni. La richiesta è che il rettore Guarini neghi l’ingresso alle forze dell’ordine. Lui li accontenterà: «Rispettare la libertà di espressione e l’autonomia dell’università. Qui non si è mai ricorso ad azioni di forza e non lo faremo mai». Anche da Padova e Torino arriva lo stop dei rettori alle «prove muscolari del governo».
Francesco, aria da bravo ragazzo: «È un governo illegittimo e criminale. Non abbiamo paura». Giorgio rivela con orgoglio che a Fisica hanno fatto trovare i dipartimenti «serrati con la catena» perché «occupare significa bloccare laboratori, uffici, tutto». Aiuole piene di zaini, caschi, bottigliette d’acqua. Una ragazza beve da un biberon decorato. Perché occupate? Gli stessi motivi corrono di bocca in bocca: le tasse universitarie più alte, i tagli devastanti, le università in mano alle imprese private. Come lo avete saputo? Soprattutto dai Tg e grazie al passaparola. Ora le cose vanno bene? «No, ma così andranno peggio».
Al microfono «un papà delle elementari» sommerso di applausi: «Anche noi abbiamo occupato, dormito sui tappetini per una settimana, non abbiamo retto di più con i bimbi. Ogni notte pensavamo: speriamo che parta l’università. Tolgono il futuro ai nostri figli, ai vostri fratellini». Giorgio di Ingegneria è accolto da fischi di sorpresa: «Non partecipano mai». Il più lucido è Matteo Pacini di Studi Orientali: «Vogliono che reagiamo per screditarci davanti all’opinione pubblica. Dobbiamo essere determinati e intelligenti». Propone di portare la protesta al Festival del Cinema, alla Farnesina, davanti al Senato. Si impappina: «Non intendo ma... Mi spiace dirlo... Non possiamo essere faziosi».
Raggiante Dario da Psicologia: «La mia facoltà immobile da anni si è scossa». Entusiasmo per l’annuncio che Economia ha disturbando l’inaugurazione dell’anno accademico. Emiliano partecipa da lavoratore: «Lo studio è l’unica forma di liberazione della mente». Cori di «La Sapienza/Non ha più pazienza» e «Gente come noi/Non molla mai». Un isolato petardo al grido di «noi bruciamo tutto». Dario è uno dei leader: «Preoccupati? Indignati. Parole così non si sentivano dagli anni ‘60 e qualificano l’atteggiamento del governo».
Occupazioni e cortei in tutta Italia. Lo slogan dei romani: io non ho paura
Traffico bloccato da sit-in improvvisati a Roma, Trieste e Milano.
Occupazioni a Torino e all’Orientale di Napoli
di Alessandro Capponi (Corriere della Sera, 23.10.2008)
ROMA - «Bloccare tutto, le università e le scuole, e anche le stazioni, e le città, e ovunque, davanti ad ogni portone d’ingresso delle facoltà, dobbiamo affiggere la scritta "Io non ho paura"». L’applauso, per lo studente di Fisica Giorgio Sestili, che parla alla Sapienza, ecco, l’applauso: dura minuti. «Io non ho paura», lo slogan nasce così. E in serata ecco la presa di posizione del rettore: Renato Guarini dice, semplicemente, che non autorizzerà l’ingresso della polizia perché «La Sapienza, anche nei momenti più drammatici e di maggiore tensione, non ha mai fatto ricorso ad azioni di forza».
Ma ciò che accade a Roma - nelle tre università romane - non è che un aspetto della protesta studentesca: in tutta Italia, da ieri, da quando Berlusconi ha promesso l’arrivo della polizia per sgomberare gli atenei, occupazioni e cortei si moltiplicano. Traffico bloccato da sit in improvvisati: nella Capitale, a Trieste, a Milano. A Napoli l’«Orientale è occupata », come spiega lo striscione all’ingresso. Le assemblee e i cortei non si contano. Milano, Torino, Firenze, Cagliari, Bari, Palermo, Napoli, Catania: ovunque, gli studenti si organizzano, fanno lezione all’aperto, sfilano. A Genova oggi ci sarà il funerale dell’università. Contro la legge 133, certo, ma anche per «resistere » alle «minacce del premier ». I rettori, come quello della Sapienza e quello dell’Aquila, dicono chiaramente una cosa: no alla polizia nell’università. Il 14 novembre, a Roma, manifestazione nazionale con studenti «universitari, medi e - spiega un altro dei leader della protesta, Francesco Raparelli - dell’intero mondo della formazione».
L’appello è per gli studenti di tutta Italia: «Occupate tutto». «Protestiamo in modo intelligente, come ha detto Napolitano - dice Sestili - facciamo cortei da giorni e non è successo nulla. È un movimento trasversale, qui parlano ragazzi di destra e di centro. Questa è la dismissione dell’università, ed è grave per tutti». Cartelli intorno a lui: «Blocchiamo le ferrovie», «né sapientini né manichini». Francesco, di Scienze politiche, dice che «questo governo è criminale ». A Milano cinquecento studenti fanno lezione in piazza Duomo e poi bloccano il traffico, un corteo a Trieste, un altro a Roma, uno a Bari. Il rettore della Sapienza, Renato Guarini, risponde così alle parole di Berlusconi: «Le criticità devono essere affrontate con un dialogo costruttivo, concordo con quanto detto da Napolitano.
Nella tradizione delle università europee l’ingresso delle forze dell’ordine viene autorizzato dai rettori». Lui, come detto, non ha intenzione di farlo. Per il Magnifico dell’Aquila, Ferdinando Di Iorio, le dichiarazioni del premier «sono gravissime. Non si rende conto su quale terreno si muove». La polizia dentro le università? «Qui non accadrà mai». A Firenze, in piazza della Signoria, lezione dell’astrofisica Margherita Hack che dedica poche parole al proposito di Berlusconi: «È una vergogna».
di Ezio Mauro (la Repubblica 23.10.2008)
Davanti a una protesta per la riforma della scuola che si allarga in tutt’Italia e coinvolge studenti, professori, presidi e anche rettori, il Presidente del Consiglio ha reagito annunciando che spedirà la polizia nelle Università, per impedire le occupazioni. La capacità berlusconiana di criminalizzare ogni forma di opposizione alla sua leadership è dunque arrivata fin qui, a militarizzare un progetto di riforma scolastica, a trasformare la nascita di un movimento in reato, a far diventare la questione universitaria un problema di ordine pubblico, riportando quarant’anni dopo le forze dell’ordine negli atenei senza che siano successi incidenti e scontri: ma quasi prefigurandoli.
Qualcuno dovrebbe spiegare al Premier che la pubblica discussione e il dissenso sono invece elementi propri di una società democratica, non attentati al totem della potestà suprema di decidere senza alcun limite e alcun condizionamento, che trasforma la legittima autonomia del governo in comando ed arbitrio. Come se il governo del Paese fosse anche l’unico soggetto deputato a "fare" politica nell’Italia del 2008, con un contorno di sudditi. E come se gli studenti fossero clienti, e non attori, di una scuola dove l’istruzione è un servizio e non un diritto.
Se ci fosse un calcolo, le frasi di Berlusconi sembrerebbero pensate apposta per incendiare le Università, confondendo in un falò antagonista i ragazzi delle scuole (magari con il diversivo mediatico di qualche disordine) e i manifestanti del Pd, sabato. Ma più che il calcolo, conta l’istinto, e soprattutto la vera cifra del potere berlusconiano, cioè l’insofferenza per il dissenso.
Lo testimonia l’attacco ai giornali e alla Rai fatto da un Premier editore, proprietario di tre reti televisive private e col controllo politico delle tre reti pubbliche, dunque senza il senso della decenza, visto che a settembre lo spazio dedicato dai sei telegiornali maggiori al governo, al suo leader e alla maggioranza varia dal 50,17 per cento all’82,25. Forse Berlusconi vuol militarizzare anche la libera stampa residua. O forse "salvarla", come farà con le banche.
La repressione
di Michele Serra (la Repubblica 23.10.2008)
In presenza di un movimento inedito, molto composito e fino adesso pacifico, il premier non sa opporre altro che un goffo proposito repressivo
Neanche il più acerrimo detrattore del presidente del Consiglio poteva mettere in conto le desolanti dichiarazioni di ieri a proposito di scuola e ordine pubblico. L’uso della forza per reprimere i movimenti di piazza - e specialmente l’intervento della polizia nei licei e nelle università - è in democrazia materia delicatissima.
E lo è rimasta perfino negli anni di fuoco delle rivolte studentesche, quando l’ultima parola, in materia di ingresso della forza pubblica dentro i luoghi dello studio, quasi sempre spettava a rettori e presidi prima che ai questori.
Oggi, in presenza di un movimento inedito, molto composito (studenti, docenti, ricercatori, genitori: nella totalità utenti e dipendenti di un servizio pubblico) e fino adesso pacifico, il premier non sa opporre altro che un minaccioso e goffo proposito repressivo. In perfetta sintonia con la schietta invocazione di una soluzione poliziesca, Berlusconi ha snocciolato molto in breve (non ha tempo da perdere) un’analisi dei fatti di una pochezza desolante, riassumibile nella vecchia idea padronale "qui si lavora e non si parla di politica". Dimostranti e occupanti come impiccio sedizioso al corretto esercizio dello studio e di quant’altro, come se una società democratica non fosse il luogo naturale dei conflitti e della loro composizione politica, ma un’azienda di vecchio anzi vecchissimo stampo nella quale si lavora, si obbedisce e si tace. Eloquente il contrappunto del sottosegretario Sacconi, che denuncia allarmato la presenza nei cortei di studenti "politicizzati": ecco un politico che considera l’impegno politico come un’aggravante.
Si intende che Berlusconi abbia assunto queste posizioni frontali, e destinate ad accendere gli animi, perché si sente forte di un mandato popolare che, nella sua personalissima interpretazione, lo autorizza a portare a compimento i suoi propositi politici costi quello che costi, tagliando corto con le lungaggini, le esitazioni, le pratiche "consociative" e quant’altro minacci di attardare o contrastare le decisioni del governo. Ma anche ammesso che davvero l’aspettativa "popolare" predominante sia così brutale e sbrigativa, e che davvero il sessanta per cento degli italiani auspichi modi bruschi, il governo di un paese democratico ha il compito di rispettare e fare rispettare i diritti di tutti, non solo della sua claque per quanto vasta e agguerrita essa sia. Che fare di chi si oppone, come trattare quel buon quaranta per cento di italiani che ancora non ha appaltato il proprio destino, le proprie aspirazioni, il proprio modo di pensare a Silvio Berlusconi e ai suoi ministri?
E se poi il dissenso ha dimensioni di massa, e si dispiega � come in questo caso � sul terreno appassionato e vulnerabile della protesta giovanile, suscettibile di infiltrazioni di frange di violenti che non vedono l’ora di trovare un contesto favorevole, con quale smisurata irresponsabilità un presidente del Consiglio che se la passa da statista sventola per prima cosa il vecchio drappo reazionario della repressione? Gli "opposti estremismi", teoria semplificatrice ma dolorosamente verificata in passato da questo paese dai nervi poco saldi, mai avevano trovato uno dei propri espliciti agganci proprio nelle istituzioni. La vecchia ipocrisia democristiana conteneva al suo interno anche una salutare componente di senso dello Stato, e i lavori sporchi, e le maniere forti, procedevano per vie losche e sotterranee. E’ davvero un progresso scoprire, nel 2008, che è il premier in persona a invocare la maniere forti, in una sorta di glasnost della repressione? In un paese che ha pagato un prezzo spaventoso alla violenza politica e all’odio ideologico, con ancora la fresca memoria dei fatti di Genova, mentre già i titoli dei giornali di destra e alcuni slogan dei cortei di sinistra buttano benzina sul fuoco, che cosa si deve pensare di un presidente del Consiglio che divide la società in due tronconi, uno buono che lo applaude e l’altro cattivo da sgomberare con gli autoblindo?
E’ la prima volta, questa, che una delle puerili retromarce del premier ("mi hanno frainteso, non ho detto questo, sono loro che mentono") sarebbe accolta con sollievo.
Raffaele Cantone, napoletano, diventa magistrato per amore del diritto
Assegnato alla Direzione distrettuale antimafia, combatte contro la camorra casalese
Giustizia, la società con lo Stato
L’uomo della legge nella terra dei boss
Vive da anni sotto scorta. Adesso racconta in un libro la sua vita in prima linea
di ROBERTO SAVIANO *
QUALCHE volta, quando non ne posso più della mia vita blindata, sento Raffaele Cantone perché vive costantemente sotto scorta non da due anni, ma da molti di più. Cantone ha scritto un libro che racconta il suo periodo alla Dda di Napoli, intitolato Solo per giustizia. Diviene magistrato quasi per caso, dopo aver cominciato a fare pratica come avvocato penalista. Diviene magistrato per amore del diritto. Ed è proprio quel percorso che lo porta a divenire un nemico giurato dei clan. Non lo muove nessuna idea di redimere il mondo, nessuna vocazione missionaria a voler estirpare il cancro della criminalità organizzata. Lo guidano invece la conoscenza del diritto, la volontà di far bene il proprio lavoro, e anche il desiderio di capire un fenomeno vicino al quale era cresciuto. A Giugliano. Un territorio attraversato da guerre di camorra che ricorda sin da quando era ragazzo.
"C’erano periodi in cui i morti si contavano anche quotidianamente, spesso ammazzati in pieno giorno e in presenza di passanti terrorizzati. Le nostre famiglie avevano paura. Per timore che potessimo andarci di mezzo anche noi, ci raccomandavano di non andare in giro per il paese, di uscire solo quando era necessario. Quindi gran parte del tempo libero la si trascorreva a casa di qualcuno dei ragazzi della comitiva. Ma quando si spargeva la voce di un omicidio, anche noi "bravi ragazzi" spesso non resistevamo alla tentazione di andare nei paraggi per sentire chi era la vittima, a che gruppo apparteneva e soprattutto se era qualcuno che conoscevamo. Perché capita così, nella provincia: anche se si appartiene a mondi diversi, finisce che ci si conosce almeno di vista o di fama. E fu proprio un ragazzo conosciuto solo di vista una delle vittime innocenti di quella faida che sembrava eterna. Era un po’ più grande di me e i sicari lo avevano scambiato per un affiliato della parte avversa, perché gli somigliava vagamente e soprattutto perché aveva un’auto di colore molto simile. Solo dopo avergli sparato si erano accorti dell’errore e si erano fermati. Ma alcuni colpi avevano raggiunto la colonna vertebrale e paralizzandolo in tutta la parte inferiore, avevano reso il giovane invalido per il resto della vita. Ancora oggi mi capita talvolta di incontrarlo, spinto sulla sua sedia a rotelle dalla moglie che all’epoca era la sua giovanissima fidanzata".
Un uomo che si forma in una situazione del genere comprende che il diritto diviene uno strumento fondamentale per concedere dignità di vita. Una dignità basilare, quella di vivere, di lavorare, di amare. Dove la regola non soffoca l’uomo ma anzi è l’unico strumento per concedergli libertà.
Poco prima era stata uccisa una ragazza di poco più di diciotto anni, figlia di un collega di suo padre. L’unica sua colpa era stata quella di essere uscita di casa nel momento sbagliato. Morì al posto di un delinquente in soggiorno obbligato che più tardi sarebbe diventato uno dei capi del clan dei Casalesi, uno dei più feroci: Francesco Bidognetti, detto "Cicciott’ ’e mezzanotte".
Quel caso non ha mai avuto soluzione giudiziaria. E lentamente il ricordo si è sbiadito. I genitori sono morti entrambi di crepacuore. Anche il penultimo omicidio dei Casalesi è avvenuto proprio a Giugliano, non lontano da dove Cantone è tornato ad abitare con la sua famiglia. Quando si sono trasferiti nella casa nuova, i vicini e i negozianti hanno organizzato una raccolta di firme per mandarli via. Qualcuno ha persino lasciato una valigia al posto dove sosta la pattuglia di vigilanza: era vuota, ma doveva simulare un ordigno.
Il libro è la storia di questa quotidianità, la quotidianità di un magistrato in terra di camorra e delle ripercussioni pesantissime che questo pone anche sulla vita dei suoi famigliari. Come quando un maresciallo che in quel periodo faceva il capo scorta vuole portarlo a vedere la partita del Napoli. Cantone, sempre attentissimo a non accettare favori, continua a rimandare sino a quando l’invito viene espresso quando c’è pure suo figlio di cinque anni che è già tifosissimo. ""Papà, mi ci porti? Andiamo a vedere la partita? Ti prego!". E allora accettai, a condizione che non piovesse". La domenica il maresciallo si presenta con una persona sconosciuta che a sua volta ha portato il figlio. "Questa sorpresa mi seccò a tal punto che fui tentato di dire che avevo cambiato idea. Ma come facevo con Enrico? Non avrebbe più smesso di piangere per la delusione".
Il giorno dopo, in Procura, chiamano Cantone chiedendogli con imbarazzo se è stato allo stadio e con chi. Perché l’amico del maresciallo è stato intercettato nell’ambito di un’inchiesta sugli affari dei Casalesi mentre assicurava uno degli indagati che a questo punto il pm sarebbe stato "avvicinabile". Non ne consegue nessun danno all’indagine, ma Cantone è furioso e sconvolto. L’unica volta che per amore di suo figlio si è sforzato di abbandonare la diffidenza che il mestiere gli ha fatto divenire seconda natura, scopre che la passione innocente di un bambino è stata strumentalizzata e abusata.
La diffidenza ha dovuto impararla presto, anni prima di entrare in antimafia. È una lezione che si iscrive nella sua carne e dentro la sua anima. "Un giorno d’inverno stavo tornando a casa nel primo pomeriggio, con l’intenzione di chiudermi nello studio e guardare con calma alcune carte. Come al solito, prima di salire, mi fermai alla cassetta delle lettere per prendere la posta. Quella volta ci trovai soltanto un foglio piegato, senza busta. E ancora adesso, quando penso al gesto automatico con cui lo aprii e vidi cosa c’era scritto, risento i brividi che mi assalirono in quel momento. Era una sorta di volantino, composto da ben due pagine. In alto c’era una mia fotografia [...] Il testo era spaventoso. Un congegno osceno orchestrato con dati reali della mia vita e con calunnie gigantesche [...] Nel volantino c’era posto per tutti i miei familiari".
Cantone corre a metterne al corrente il procuratore Agostino Cordova, capendo che l’attacco è gravissimo. Però non riesce ad immaginare la portata di quella campagna di diffamazione. Il giorno dopo il volantino arriva a tutti i colleghi, a carabinieri e polizia, a molti avvocati e politici campani, a tutte le redazioni dei giornali, al Csm, persino a Giancarlo Caselli e Saverio Borrelli. Migliaia di volantini mandati ovunque. Per distruggere un semplice sostituto procuratore che stava svolgendo un’indagine su un’immensa truffa assicurativa, seguendone le tracce per mezza Europa.
Sono pagine impressionanti perché evidenziano con estrema limpidezza come funziona la diffamazione. Non ti si attacca frontalmente, a viso aperto. Cercano di isolarti mettendo in circolazione il virus della calunnia, certi che da qualche parte l’infezione attecchisca e il contagio si propaghi. E che a quel punto il danno sarà irreparabile. ""Meglio una calunnia che un proiettile in testa" era una frase che mi fu detta come sincero incoraggiamento da più di un collega. Ma di questo, sebbene sia un’affermazione di buon senso, non ero e non sono tanto certo. Io mi sentivo come se cercassero di farmi una cosa anche peggiore che eliminarmi fisicamente. Perché si può distruggere un uomo, annientarlo, senza nemmeno torcergli un capello. E paradossalmente è molto difficile che questo accada quando si uccide veramente".
È questo uno dei punti più dolenti. La diffamazione ti lascia vivo fisicamente, ma annienta tutto quello che hai fatto. Come una sorta di bomba a neutrone che lascia intatte le cose mentre cancella ogni forma di vita. La vita morale di un uomo non può mai essere distrutta così radicalmente come dalla calunnia. Per questo anche chi è abituato a uccidere spesso la preferisce al piombo.
Quando entra alla Direzione distrettuale antimafia e gli viene assegnato il Casertano, c’è chi commenta: "Come al solito, Raffae’, t’hanno fatto?". Il che in italiano si tradurrebbe con "fregato" o forse ancora meglio con "ti hanno rifilato un pacco". "La camorra casalese veniva vista come qualcosa di molto feroce e impegnativo e al tempo stesso provinciale, di scarso prestigio".
Ma il processo Spartacus aveva segnato una svolta e il libro è un omaggio a tutti i magistrati che l’avevano istruito e a tutti quelli che, come Cantone stesso, hanno successivamente portato avanti un impegno difficilissimo: Di Pietro, Cafiero de Raho, Greco, Visconti, Curcio, Ardituro, Conzo, Del Gaudio, Falcone, Maresca, Milita, Sirignano e Roberti.
Perché in certi territori la lotta per la legalità e la giustizia è una battaglia combattuta ad armi terribilmente impari. I clan hanno danaro, armi, uomini, coperture e collusioni a non finire. Dall’altra parte i mezzi sono limitati, la mole di lavoro è talmente enorme che bisogna essere disposti a fare straordinari che per molti non sono nemmeno pagati. Tutto il successo è sulle spalle di chi continua a voler far bene il proprio lavoro: magistrati, carabinieri, poliziotti, finanzieri. Uomini che rischiano la vita per senso del dovere e magari anche per lealtà verso i superiori che hanno saputo conquistarsi la loro fiducia, una lealtà primaria da soldati in trincea, e che non vengono ricordati quasi mai. E invece il libro di Cantone gli rende omaggio e gli concede visibilità. Uomini che spesso in territori marci sono il vero argine per contrastare lo strapotere delle mafie. Cantone si sente uno di loro: non un eroe, semplicemente un magistrato che ama il suo lavoro perché ama il diritto, crede nell’accertamento della verità.
Questo per i boss è incomprensibile. Non riescono a concepire che un magistrato persegua solo la giustizia, non personalmente loro. Che non tutti gli uomini sono uguali a loro. I boss sanno che non tutti ammazzano e che non tutti resistono al carcere. Ma sono certi che tutti vogliono danaro, fama, donne e potere. E chi non lo ammette, sta dissimulando, mentendo, imbrogliando. Così la pensa Augusto La Torre, il ferocissimo quanto intelligente capo del clan di Mondragone che l’impegno di Cantone ha messo in ginocchio. È il primo a pianificare un attentato contro di lui ed è anche uno dei primi a pentirsi. Durante gli interrogatori indulge con particolare precisione sui dettagli degli omicidi che ha commesso: la prima strage di extracomunitari a Pescopagano, il gesto con cui tappa col dito lo zampillo di sangue che esce dal buco sulla fronte dell’autista di un capozona dei Casalesi, lo strangolamento con un filo della luce di un piccolo affiliato soltanto sospettato di essere un "infame", mentre il boss continua a ripetergli "non ti faccio niente, non ti faccio niente".
Eppure, ragiona Raffaele Cantone con amarezza, il clan che pareva sconfitto si riforma. Meno potente, ma il territorio riprende a sottomettersi. La camorra non è possibile sconfiggerla soltanto con indagini e processi, sequestri e arresti. Raffaele Cantone oggi non lavora più alla Dda, è diventato giudice al massimario della Cassazione. Ma ha voluto dare un altro strumento per sconfiggere le mafie. Un libro in cui si racconta come si arriva a diventare uno dei principali nemici dei clan e come è fatta la vita di chi li combatte: solo per giustizia.
(2008 by Published by arrangement with Roberto Santachiara Literary Agency)
* la Repubblica, 26 ottobre 2008.
PER UN TEMA SU:
LA COSTITUZIONE, LE REGOLE DEL GIOCO, E IL GIOCO SPORCO DEI MENTITORI ISTITUZIONALI ....
IL MOVIMENTO DEL MONDO DELLA SCUOLA E LA "RICETTA DEMOCRATICA" DI COSSIGA. Una nota di Matteo Bartocci - e una petizione per un appello al Presidente Napolitano (per leggere l’art., <- cliccare sul rosso).
.Le due prove più impegnative Montale, "Ripenso il tuo sorriso" e la Costituzione
.Attualità: condizione femminile e morti bianche. Ecco il documento del ministero
"Ossi di seppia", donne e Costituzione
Tutti i contenuti dei temi *
Ecco una piccola guida alle tracce della prima prova. Tipologia A: Montale. Tipologia B: Ambito artistico letterario: La percezione dello straniero nell’arte e nella letteratura. Ambito Socio - economico: Il lavoro e la sicurezza sul lavoro. Ambito Storico - letterario: i 60 anni della Costituzione. Ambito tecnico scientifico: Scienze e tecnologia. Tipologia C: La Donna nell’900. Tipologia D: Comunicare le emozioni con i nuovi mezzi di comunicazione.
Tipologia A (analisi del testo letterario). La traccia da analizzare è Ripenso il tuo sorriso, da Ossi di Seppia di Eugenio Montale .
"Ripenso il tuo sorriso, ed è per me un’acqua limpida
scorta per avventura tra le petraie d’un greto,
esiguo specchio in cui guardi un’ellera i suoi corimbi;
e su tutto l’abbraccio di un bianco cielo quieto.
Codesto è il mio ricordo; non saprei dire, o lontano,
se dal tuo volto si esprime libera un’anima ingenua,
o vero tu sei dei raminghi che il male del mondo estenua
e recano il loro soffrire con sé come un talismano.
Ma questo posso dirti, che la tua pensata effigie
sommerge i crucci estrosi in un’ondata di calma,
e che il tuo aspetto s’insinua nella memoria grigia
schietto come la cima di una giovinetta palma..."
1)Comprensione del testo: dopo una prima lettura riassumi brevemente il contenuto informativo della lirica in esame.
Le domande:
2) Analisi del testo:
a) Nella prima strofa il poeta espone, in una serie di immagini simboliche, da una parte la visione della realtà, dall’altra il ruolo salvifico e consolatorio della figura femminile. Individua tali immagini e commentale
b) Nel verso due ricorre l’allitterazione della r, quale aspetto della realtà sottolinea?
c) Prova a spiegare in che senso il portare con sé la sofferenza del male del mondo puo essere come dice il poeta "talismano" per un ’anima e come questa condizione possa essere altrettanto serena che quella di un’anima ingenua e non toccata dal male.
d) Nell’ultima strofa ricorrono espressioni relative sia alle condizioni interiori del poeta sia alla "pensata effige" della donna. Le prime sono riconducibili al motivo dell’inquietudine, le seconde a quello della calma. Commenta qualche espressione a tuo parere più significativa, relativa a entrambi i motivi e in particolare il paragone presente nell’ultimo verso. Analizza la struttura metrica, le scelte lessicali e la struttura sintattica del testo e spiega quale rapporto si può cogliere tra le scelte stilistiche ed il tema rappresentato.
3) Interpretazione complessiva e approfondimenti: sviluppa con osservazioni originali anche con riferimento ad altri testi il tema del ruolo salvico e consolatorio della figura femminile. In alternativa inquadra la lirica di montale nel contesto del tempo.
Tipologia B: (saggio breve o articolo di giornale)
Ambito artistico-letterario. La traccia chiede di analizzare la percezione del diverso nell’arte e nella letteratura, da Omero nell’Odissea, passando per Manzoni, Baudelaire e Pirandello.
Ambito storico-letterario. La traccia chiede un’analisi sui sessant’anni della Costituzione.
Ambito socio-economico. La traccia chiede di affrontare il tema caldo della sicurezza sul lavoro: "Il lavoro tra sicurezza e produttività".
Ambito tecnico-scientifico. Il tema è il rapporto tra scienza e società: "Quale idea di scienza nello
Sviluppo tecnologico della società umana".
Tipologia C (tema di argomento storico). Il soggetto è l’evoluzione della condizione femminile.
"Cittadinanza femminile e condizione della donna nel divenire del ’900. Illustra i più significativi mutamenti intervenuti nella condizione femminile sotto i diversi profili( giuridico, sociale, culturale) e spiega le cause e le conseguenze. Puoi anche riferirti a figure femminili di particolare rilievo".
Tipologia D (tema generale). Dalle lettere agli Sms. Una traccia viene dedicata ai cambiamenti nella comunicazione delle emozioni e alle ripercussioni dei nuovi linguaggi sulla società.
"Comunicare le emozioni. Un tempo per farlo si scriveva una lettera, oggi un sms o una mail. Così idee e sentimenti viaggiano attraverso abbreviazioni, in maniera veloce e funzionale. Non è possibile definire questo cambiamento in termini qualitativi, si può però prendere atto della differenza delle modalità di impatto che questa nuova forma di comunicazione ha sulle relazioni tra gli uomini. Quanto quella di ieri era una comunicazione anche fisica, fatta di scrittura, impronte, odori e attesa, tanto quella di oggi è impersonale e immediata. Discuti la questione proposta illustrandone, sulla base delle tue conoscenze ed esperienze, gli aspetti che ritieni più significativi".
Quasi mezzo milione di studenti tra sui banchi per la prova di italiano
Scelti i maggiori temi di attualità: paura dello straniero, morti bianche e art.24
Tema: Montale, Costituzione
e condizione femminile
ROMA - Montale, la condizione della donna, la Costituzione e lo straniero nell’arte, sono queste le tracce della prova di italiano di quest’anno. Quasi mezzo milione gli studenti di tutta Italia che si stanno sedendo sui banchi per la prima prova degli esami di maturità, il tema di italiano, uguale per tutti gli indirizzi. Ancora una volta sono gli istituti tecnici quelli con il maggior numero di candidati (37,8%), seguiti dai licei scientifici con il 21,5.
Le modalità. Gli studenti avranno 6 ore a disposizione per terminare il proprio compito. Per la prova d’italiano sono confermate le tipologie adottate negli anni scorsi e dunque gli studenti possono scegliere tra l’analisi di un testo letterario, la produzione di un saggio breve o di un articolo di giornale (questi due scelti tra i diversi ambiti di riferimento: storico-politico, socio-economico, artistico-letterario, tecnico-scientifico), il tema di argomento storico o di attualità. I candidati potranno consultare il dizionario di italiano e non potranno uscire prima di tre ore dalla dettatura del tema. Cellulari, videotelefonini, palmari, pc portatili e qualsiasi dispositivo a luce infrarossa o ultravioletta sono severamente messi al bando e qualsiasi collegamento delle scuole con internet stamani sarà disattivato.
Le tracce. La scelta di Montale per la traccia di italiano soprende tutti i totomaturità, dato che era già uscito nel 2004. Irrompono nella prova i maggiori temi di attualità: la condizione della donna nel ’900, la paura dell’altro e le morti bianche. Una traccia dedicata alla Costituzione, chiede di analizzare l’articolo 24.
* la Repubblica, 18 giugno 2008.
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ROMA - Il ministero della Pubblica Istruzione ha diffuso, confermando le indiscrezioni online già dalle 8.36, le tracce della prima prova scritta degli esami di Maturità.
Analisi di un testo letterario. Argomento di Letteratura è l’undicesimo canto del Paradiso (versi 43-63 e 73-87), in cui Dante, nel cielo del Sole, incontra San Tommaso d’Aquino che gli narra la vita di San Francesco e ne esalta l’opera. La prima domanda richiede al candidato d’individuare nei versi proposti le tre parti della ricostruzione dell’evento: l’ambiente geografico, la scena iniziale della dedizione di San Francesco alla vita religiosa e l’effetto di trascinamento sugli altri. Poi, viene richiesta una parafrasi distinta delle tre parti, in non più di venti righe complessive.
La seconda domanda pone allo studente sei questiti di analisi del testo: rilevare la frequenza dei nomi di luogo e dei termini geografici e climatici, commentare il ruolo del Sole, interpretare l’espressione con la quale Dante indica la posizione topografica di Assisi. Ancora, viene richiesto un commento sull’utilizzo dell’uso della forma locale antica del nome di Assisi, cioè "Ascesi". Segue una domanda sulla particolare terminologia con cui viene illustrata la povertà come ideale di vita e, infine, un commento sui termini con i quali Dante descrive l’ardore ascetico che genera foga e concitazione di movimenti.
La terza parte della traccia ha richiesto allo studente di esprimere le proprie considerazioni sull’importanza degli ordini regligiosi, francescano e domenicano, nella storia della Chiesa e nella diffusione del messaggio evangelico nel mondo. Un Dante molto criticato e senza dubbio inaspettato, perché era stato proposto già agli esami di due anni fa: nelle previsioni, pochi ipotizzavano sarebbe uscito anche quest’anno.
Saggio breve o articolo di giornale di argomento storico-politico. Il tema di carattere storico-politico verteva sulla nascita della Costituzione repubblicana: "Il laborioso cammino della dittatura ad una partecipazione politica compiuta nell’Italia democratica". Proposti testi dello storico Norberto Bobbio (da "Profilo ideologico del Novecento"), del giurista Piero Calamandrei (Discorso all’Assemblea Costituente del 4 marzo ’47 e "Costruire la democrazia. Premesse della Costituente"), Poi, ancora, "La Storia politica e sociale" da "Storia d’Italia, volume IV" dello storico Ernesto Ragionieri e "Gli anni della Costituente, fra politica e storia" dello storico Pietro Scoppola.
Saggio breve o articolo di giornale di argomento socio-economico. Anche in questo caso, la traccia, trapelata già dalle prime ore del mattino, è stata confermata dal Ministero. Titolo, "Alle basi della convivenza civile e dell’esercizio del potere: giustizia, diritto, legalità". Proposti numerosi brani: dalla "Politica" di Aristotele (libro I) a "Dei delitti e delle pene" di Cesare Beccaria (capitolo II); da "Giustizia politica" del filosofo tedesco Otfried Höffe a "I metodi dell’etica" del filosofo inglese Henry Sidwick; da "Una teoria della giustizia" del filosofo contemporaneo John Rawls a "La Giustizia" del giurista e politico Giorgio Del Vecchio fino a "Diaologo intorno alla Repubblica" dello storico Norberto Bobbio e del docente di Teoria politica Maurizio Viroli.
Saggio breve o articolo di giornale di argomento artistico-letterario. Titolo della traccia, "I luoghi dell’anima nella tradizione artistico-letteraria". Al candidato sono stati proposti alcuni documenti dal "Canzoniere" di Petrarca (CXXVI), da "Giulietta e Romeo" di Shakespeare (atto III, scena III), da "I Sepolcri" di Ugo Foscolo. Ancora, da "L’Infinito" di Giacomo Leopardi, dai "Promessi Sposi" di Alessandro Manzoni ("Addio, monti sorgenti dalle acque"), da "Myricae" di Giovanni Pascoli, dai "Malavoglia" di Verga. Proposti anche alcuni stralci di opere contemporanee: "L’Isola di Arturo" di Elsa Morante, "Ragazzi di Vita" di Pier Paolo Pasolini, "La collina" (dall’"Antologia di Spoon River") di Masters. A corredare i testi, anche l’opera pittorica "Il violinista sul tetto" di Marc Chagall.
Saggio breve o articolo di giornale di argomento tecnico-scientifico. La traccia verte sulla nascita della scienza moderna, partendo dalla frase di Galileo Galilei "Sensata esperienza e dimostrazione certa". Oltre al "Saggiatore", vengono proposti brani del matematico Ivar Ekeland ("Il migliore dei mondi possibili. Matematica e destino"), dei fisici Albert Einstein e Leopold Infeld ("L’evoluzione della fisica"), del filosofo e matematico ingliese Alfred North Whitehead ("La scienza e il mondo moderno"). Ancora, dello storico e filosofo della Scienza Alexandre Koyré ("Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione"), del fisico e chimico Ilya Prigogine e della filosofa Isabelle Stengers ("La nuova alleanza: metamorfosi della scienza") e, infine, del filosofo e storico Paolo Rossi "I filosofi e le macchine".
Tema di argomento storico. L’argomento storico, anche qui un po’ a sorpresa, verteva sulla fine del colonialismo moderno e l’avvento del neocolonialismo tra le cause del fenomeno dell’immigrazione nei paesi euiropei. La traccia richiedeva al candidato di illustrare le conseugenze della colonizzazione nel cosiddetto Terzo Mondo, soffermandosi sulle ragioni degli imponenti flussi di immigrati nell’odierna Europa e sui nuovi scenari che si aprono nei rapporti tra i popoli.
Tema di ordine generale. Confermate anche qui le voci di corridoio: il tema di ordine generale prendeva spunto da un brano del sociologo Giuseppe Tamburrano: "L’industrializzazione ha distrutto il villaggio, e l’uomo, che viveva in comunità, è diventato folla solitaria nelle megalopoli. La televisione ha ricostruito il ’villaggio globale’, ma non c’è il dialogo corale al quale tutti partecipavano nel borgo attorno al castello o alla pieve. Ed è cosa molto diversa guardare i fatti del mondo passivamente, o partecipare ai fatto della comunità" (da "Il cittadino e il potere", in "In nome del Padre"). La traccia chiedeva di discutere l’affermazione citata, precisando se in essa potesse ravvisrasi un senso di nostalgia per il passato l l’esigenza di inteessere un dialogo meno formale con la comunità circostante.
(20 giugno 2007) Torna su
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Da maturanda di ritorno dalla seconda prova di matematica vi dico di non sottovaluatare alcun quesito,anche perchè valgono tutti alla stessa maniera!
Per quanto riguarda le tracce di ieri, della prova di italiano, io ho scelto l’ambito tecnico scientifico e vi dico che non c’era differenza con gli altri ambiti: ognuno aveva un diverso campo di approfondimento e soprattutto aveva le proprie difficoltà! C’era il documento di Bill Gates che con il resto dei documenti non sembrava avere affinità,come anche quello di Lucrezio tratto dal De Rerum Natura!!Tutto sta nel sapersi rimoboccare le maniche ed avere un pò di fiducia nelle proprie capacità! Spero che sia filato tutto liscio come sempre ed auduro a tutti i maturandi della classe di ferro dell’89 ( mitica! ) di stringere ancora per poco i denti.. Maturità,non ci spaventi!
Si vede che sei proprio maturo. Complimenti per il linguaggio. Noi abbiamo dato una notizia, sulla base delle informazioni in nostro possesso. Auguri, comunque. In bocca al lupo.
Enrico Ciccozzi
ragazzi uno scoop per la terza prova!!!
PEREPERE’ E LE SUGGESTIONI DI MONTESACRO: si tratta di un libro appartenente alla letteraura romano-nomentano-cristiana dei primi anni del nuovo millennio... Lo conoscete l’autore? Si tratta di Tonino de Giussani; spero che abbiate potuto affrontare e discutere a riguardo perchè già da qualche anno raccoglie consensi ed è recensito dai migliori critici italiani. Non aggiungo altro e vi invito a fare una rapida ricerca su internet. Provate, cercate e studiate, potrebbe capitare anche a voi..a me uscì due anni fa una domanda proprio su un’altra sua opera..anche all’orale me lo chiese il presidente della commissione intervenendo alla mia discussione...e ahimè non risposi correttamente...se ci penso ancora mi mordo le dita per non averlo approfondito a suo tempo...! non fate il mio stesso errore!
in bocca al lupo!
ad maiora!
ecco ora ricordo anche un’altra delle sue opere che mi venne chiesta: "Alla fiera di Mastr’andrè"
di nuovo in bocca al lupo!