2009, Galileo di nuovo al confino *
Per decisione dell’Unesco, il 2009 sarà l’Anno Internazionale dell’Astronomia. L’Italia è al centro di questa impresa culturale per due motivi essenziali. Primo: l’Onu ha scelto il 2009 perché si compiranno 400 anni da quando Galileo Galilei divenne il primo uomo che abbia scrutato il cielo con un telescopio. Secondo: l’Anno dell’astronomia forse non si celebrerebbe se l’astrofisico Franco Pacini, già direttore dell’Osservatorio di Arcetri, non avesse usato il suo prestigio scientifico internazionale per promuovere l’iniziativa.
Ora la grande macchina è partita. Basta visitare il sito www.astronomy2009.org per vedere quante iniziative si preparano, dagli Stati Uniti al Giappone, dalla Gran Bretagna all’India.
Una per tutte: si distribuiranno migliaia di telescopi a basso costo con le stesse caratteristiche di quello di Galileo per mostrare al maggior numero possibile di persone ciò che vide lo scienziato pisano nelle sue osservazioni del 1609-1610: crateri, montagne e pianure sulla Luna; le fasi di Venere, a dimostrazione che orbita intorno al Sole; Giove e i suoi quattro satelliti maggiori, perfetta miniatura del sistema copernicano; il Sole e le sue macchie, altro duro colpo alla catto-aristotelica incorruttibilità dei cieli; la Via Lattea, risolta in migliaia di stelle; Saturno, che apparve a Galileo come tre stelline a contatto, non potendo il suo rozzo cannocchiale mostrare gli anelli.
Che farà l’Italia per l’Anno mondiale dell’astronomia, visto che tutto è partito di qui? Purtroppo la risposta è: poco, perché il governo precedente non ha disposto specifici finanziamenti e quello in carica deve ancora accorgersi dell’evento. È sicuro, invece, ciò che non si farà. Franco Pacini aveva un sogno: restaurare «Il Gioiello», la villa dove Galileo visse gli ultimi anni confinato dal Sant’Uffizio, e aprire un museo dell’astronomia nella vicina Torre del Gallo, un castello restaurato nel 1902 dall’antiquario Stefano Bardini. Ora, dopo anni di questue, il restauro del «Gioiello» è un fatto acquisito, e lo sarebbe stato anche a prescindere dall’Anno dell’astronomia, ma il museo non si farà perché la Torre del Gallo anziché nelle mani pubbliche del Comune di Firenze è finita in quelle private di un ricco americano.
L’Osservatorio di Arcetri, la villa «Il Gioiello» e la Torre del Gallo sorgono in una località collinare chiamata Pian dei Giullari, nome quanto mai adatto a una presa in giro. Però c’è poco da scherzare. I fatti dimostrano che di Galileo, fondatore di quel metodo scientifico che è la Carta costituzionale della Ragione, poco importa ai nostri politici. E passi: fin qui siamo ancora nell’ambito delle nobili rimembranze (ma per celebrare un Carducci o un Fogazzaro i soldi sarebbero arrivati...). Il grave è che senza finanziamenti in Italia si mancherà anche il vero obiettivo del 2009, che non è solo celebrare uno degli scienziati più grandi, ma rendere i cittadini consapevoli del patrimonio culturale che l’astronomia rappresenta.
In meno di un secolo, mentre i filosofi passavano dall’idealismo di Benedetto Croce al recupero di Parmenide ad opera di Emanuele Severino (bella conquista!), gli astronomi hanno scoperto che l’universo è nato 14 miliardi di anni fa e da allora non ha fatto che espandersi; che gli elementi chimici di cui siamo fatti non si formarono nel Big Bang ma per fusione termonucleare dentro le stelle; che l’universo finora osservato - la materia che emana luce - è appena il 4 per cento del cosmo. Il resto è fatto di materia ed energia oscure: un enigma che darà lavoro alle prossime generazioni di scienziati. Non solo: mentre queste conoscenze si imponevano con la forza delle osservazioni e degli esperimenti, come Galileo ha insegnato, dodici uomini sbarcavano sulla Luna e decine di sonde spaziali trasformavano pianeti e satelliti del sistema solare in un capitolo della geografia, rivelando all’uomo la straordinaria unicità e fragilità del pianeta Terra.
Ecco: l’Anno internazionale dell’astronomia si propone di far conoscere queste cose, di farci riflettere sul senso della vita nell’immensità dell’universo, di sprovincializzare la nostra visione del mondo. Ma chi lo spiegherà a chi ci governa?
IL 2009 SARA’ L’ANNO MONDIALE DELL’ASTRONOMIA **
Accogliendo la risoluzione avanzata dall’UNESCO nel dicembre 2005, l ’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 2009 Anno Internazionale dell’Astronomia: IYA2009: International Year of Astronomy - 2009
Il primo promotore della risoluzione, fin dal 2003, è stato proprio il nostro Paese
Il coordinamento internazionale dell’iniziativa è affidato ad UNESCO che sarà affiancato dall’Unione Astronomica Internazionale (IAU) e dall’European Southern Observatory (ESO).
In ogni nazione partecipante è stato designato un “nodo” nazionale. Nel caso dell’Italia l’incarico di stabilire e favorire collaborazioni fra Enti, Università, Science Centers, Società scientifiche e di appassionati, in vista delle manifestazioni ed eventi del 2009, è affidato ad INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica)
Le iniziative previste a livello mondiale sono molte. Fra queste spiccano le cerimonie di apertura e chiusura dell’Anno. Quella di apertura, 12 gennaio 2009, si terrà presso la Sede UNESCO di Parigi.
Nel 2009 ricorre anche il IV° Centenario del primo utilizzo del cannocchiale nell’osservazione del cielo, dovuto a Galileo Galilei. Il IV° Centenario verrà celebrato grazie al Comitato dei Beni Culturali già attivo da oltre un anno. Fra Comitato IV° Centenario e Anno dell’Astronomia sono previsti, nella rispettiva autonomia, scambi di informazioni ed eventuali iniziative comuni per una positiva sinergia
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GALILEO GALILEI (Wikipedia)
GALILEO GALILEI:«Aristotele fu un uomo, vedde con gli occhi, ascoltò con gli orecchi, discorse col cervello. Io sono un uomo veggo con gli occhi, e assai più che non vedde lui: quanto al discorrere, credo che discorresse intorno a più cose di me; ma se più o meglio di me, intorno a quelle che abbiamo discorso ambedue, lo mostreranno le nostre ragioni, e non le nostre autorità» (Un nuovo paradigma antropologico: la decisiva indicazione di Elvio Fachinelli).
LA VIA DI KANT: USCIRE DALLA CAVERNA, E NON RICADERE NELL’ILLUSIONE DI “DIO” CONCEPITO COME “UOMO SUPREMO”.... *
Un piccolo grande passo
di Roberto Mussapi (Avvenire, mercoledì 6 marzo 2019)
«Solo un piccolo passo per un uomo, ma un passo da gigante per l’umanità!». Si avvicina il cinquantenario di uno dei più grandi trionfi umani: lo sbarco sulla Luna. Mentre avveniva compivo diciassette anni: non male come regalo di compleanno.
La frase che sarebbe rimasta leggendaria di Neil Armstrong mi commosse, come commosse il mondo, ma confesso che non la compresi bene. La seconda parte chiara: evidente che quel momento siglava un passo enorme per l’umanità, che dalla sua nascita scruta e interroga il nostro satellite notturno, custode e ispiratore del sogno. Ma non comprendevo perché definire "piccolo", per un uomo, quel primo passo sulla nuova terra sognata.
Ora credo di avere capito. Per immedesimazione, mettendomi nei panni di Armstrong, come fa un attore.
La terra vista dall’alto... E la mia gamba, che piccola cosa! Il mio piedino, dopo questo viaggio nello spazio immenso... Che esserino io sono, qui nell’infinità dell’universo. Il mio passo è piccolo perché io sono piccolo. Ma io non sono solo io, io sono l’umanità. Io sono parte del coro e degli atomi di tutti gli uomini, dal primo apparso sulla terra a tutti quelli che si susseguono, in ogni parte del mondo e in ogni tempo. Il mio piccolo passo è un grande passo dell’umanità, a cui appartengo.
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Sul tema, nel sito, si cfr.:
RIVOLUZIONE COPERNICANA. "Vicisti, Galileae" (Keplero, 1611).
UNESCO: IL 2009 ANNO INTERNAZIONALE DELL’ASTRONOMIA. Che farà l’Italia? Galileo di nuovo al confino!?!
LA VIA DI KANT: USCIRE DALLA CAVERNA, E NON RICADERE NELL’ILLUSIONE DI “DIO” CONCEPITO COME “UOMO SUPREMO”. Note per una rilettura della “Storia universale della natura e teoria del cielo”
LA LUCE, LA TERRA, E LA LINEA DELLA BELLEZZA: LA MENTE ACCOGLIENTE. "Note per una epistemologia genesica"
Federico La Sala
IL «CASO GALILEO»: LA «VITA DI GALILEO» DI PIO PASCHINI ... *
Pubblicato l’epistolario che ricostruisce la personalità del grande storico friulano
Paschini, ovvero la verità, sempre
di Stefano Damiani *
Iniziativa dell’Istituto a lui intitolato. Emergono la novità e il rigore del suo metodo basato sulle fonti, ma anche l’amarezza per la censura della sua «Vita di Galileo»
IL RITRATTO DI UNO storico, ma anche uomo, sacerdote e insegnante, che ha fatto della lettura fedele delle fonti la base del suo lavoro di ricerca della verità, tra successi, battaglie ed anche qualche amarezza. Così la figura dello storico friulano Pio Paschini emerge dal suo epistolario che è giunto in questi giorni a pubblicazione e che sarà presentato martedì 5 giugno nella sala Paolino d’Aquileia, a Udine. Ad impegnarsi nell’impresa l’Istituto «Pio Paschini» per la Storia della Chiesa in Friuli, che appunto dal grande storico prende il nome e che, come spiega il presidente dell’Istituto, Cesare Scalon, ha scelto di celebrare in questo modo i suoi 40 anni di attività.
Curata da Michela Giorgiutti ed edita da Forum nella collana di «Fonti per la storia della Chiesa in Friuli. Serie moderna e contemporanea», la pubblicazione consta di due volumi che contengono un’antologia di 922 testi, 491 selezionati tra quelli inviati da oltre millecinquecento corrispondenti e 431 fra missive e responsive intercorse con il friulano Giuseppe Vale, confratello, amico e confidente. Allegato ai volumi, c’è un cd rom con i regesti di tutte le 5.029 lettere dell’epistolario.
Nato a Tolmezzo nel 1878 e morto a Roma il 14 dicembre del 1962, mons. Pio Paschini è stato insegnante nel Seminario di Udine dal 1901 al 1913, docente di Storia ecclesiastica al Pontificio Seminario Romano Maggiore e, dal 1932 al 1957, Magnifico rettore della Pontificia Università Lateranense. Enorme la sua produzione scientifica (sono circa 500 i titoli della sua bibliografia) che ruota attorno a due filoni principali: la storia del Friuli e la storia del Cinquecento religioso in Italia.
L’epistolario fa luce sull’intera parabola umana e scientifica dello storico, dalla prima lettera, del 1898, all’ultima, scritta pochi mesi prima di morire, nel 1962. I testi delle lettere si trovano in diversi Archivi e Fondi archivistici. Come spiega la curatrice Michela Giorgiutti, la maggior parte delle lettere è conservata nella Biblioteca «P. Bertolla» del Seminario Arcivescovile di Udine, dov’è arrivata grazie ad alcune donazioni, la prima quella della sorella di Paschini, Anna; altre due recentissime, ovvero il nucleo «Caterina Moretti», dal nome della governante di Paschini a Roma, e il nucleo «Annapia Mazzanti», dal nome dell’erede di una cugina di Paschini.
«Le lettere sono rivolte ai corrispondenti più vari - prosegue Giorgiutti - oltre agli interlocutori di ambito locale, come gli arcivescovi Zaffonato, Nogara, Rossi, gli storici e archeologi, come Giovani Battista Brusin e Piersilverio Leicht, ci sono anche personalità di livello internazionale: i futuri papi Angelo Roncalli e Giovanni Battista Montini, storici del calibro di Agostino Gemelli o Louis Duchesne. In esse - prosegue Giorgiutti - emerge una prospettiva completa sui caratteri del Paschini storico, ma anche uomo e sacerdote, facendoci cogliere i riflessi del mondo ecclesiastico in cui viveva e della realtà politica del suo tempo: la Prima Guerra Mondiale, che descrive dai racconti dei seminaristi al fronte e che lo lascia sbigottito, il fascismo, che guarda con distacco, il dopoguerra, la ricostruzione».
Che personalità di Paschini emerge dalle lettere? «Sfaccettata - risponde mons. Sandro Piussi, direttore della Biblioteca “P. Bertolla” e degli Archivi e Biblioteche storiche dell’Arcidiocesi di Udine, il quale ha scritto la prefazione e seguito la ricerca -. Ci sono le lettere del periodo giovanile quando egli ha dovuto superare le critiche per la sua nuova impostazione di ricerca che mirava al vero, perché utilizzava documenti e fonti, senza volersi piegare a dimensioni tradizionaliste e apologetiche relativamente alle origini Marciane del Cristianesimo aquileiese. Ci sono poi le lettere legate alla costruzione di quel monumento che è la sua “Storia del Friuli”. Dalle lettere dei suoi interlocutori emerge poi il riconosci- mento che gli veniva attribuito a livello internazionale in virtù del metodo storico critico».
L’epistolario, infine, ci restituisce anche informazioni sull’episodio che più fece soffrire il Paschini, ovvero il cosiddetto «Caso Galileo». Nel 1942, infatti, il Paschini ricevette dalla Pontificia Accademia delle scienze l’incarico di scrivere una vita dello scienziato. L’opera venne bloccata dal Sant’Uffizio perché considerata troppo dura nel condannare l’azione svolta dai Gesuiti contro Galileo. L’autore però non ebbe mai chiarimenti su tale insabbiamento.
Il testo venne poi pubblicato nel 1964, due anni dopo la morte di Paschini, a sua firma, ma non nella versione originale, bensì con numerose modifiche del gesuita Edmond Lamalle, che ne stravolsero il senso. E proprio in questa versione l’opera venne citata negli atti del Concilio Vaticano II, in particolare nella «Gaudium et Spes», ed utilizzata paradossalmente, ricorda il prof. Gianpaolo Romanato che su questo tema interverrà alla presentazione, «proprio nel punto in cui si afferma che la Chiesa ha sempre sostenuto la libertà di ricerca e che nella tradizione ecclesiastica non ci sono mai stati interventi censori».
La questione venne portata alla luce per la prima volta in un convegno dedicato a Paschini nel 1978 a Udine, in cui il bibliotecario Pietro Bertolla denunciò le interpolazioni che erano stati apportate al testo originale nella pubblicazione.
Ne nacque un «Caso Galileo», successivamente ripreso, ricorda Piussi, «da Paolo Simoncelli con un’impostazione molto combattiva e polemica, e dopo, nel 2012, da Mario Sensi, docente alla Pontificia Università Lateranense, il quale ha evidenziato le carenze del “Galileo” di Paschini, dovute al non essere egli un professionista della Scienza, cosa che lo stesso autore, per altro aveva ammesso». In sostanza, Sensi evidenziò come il giudizio di Paschini sulla vicenda della condanna di Galileo fosse in un certo senso antistorico.
In ogni caso, le critiche alla validità scientifica dell’opera nulla tolgono alla scorrettezza del comportamento che fu tenuto nei confronti dello storico friulano, «al quale - evidenzia Piussi - per vent’anni non fu data ragione della mancata pubblicazione». E proprio l’epistolario dà testimonianza dell’amarezza con cui lo storico visse questa vicenda.
In una lettera del 1946 a Giovanni Battista Montini, allora sostituto alla Segreteria di Stato, così Paschini si esprime: «In tutte le mie pubblicazioni mi sono proposto di procedere colla più assoluta imparzialità, e perciò mi è riuscito di sommo stupore e disgusto che mi sia rivolta ora l’accusa di non aver fatto altro che l’apologia di Galileo. Essa intacca infatti la mia probità scientifica di studioso e di insegnante, il quale in tutto il corso della sua attività pubblicitaria e scolastica può dire di essersi sempre proposto come dovere lasciar parlare la verità e di liberarla da ogni ingombro creato dall’ignoranza o dallo spirito di parte». STEFANO DAMIANI
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Presentazione i due volumi de «L’epistolario di Pio Paschini (1898-1962)» saranno presentati martedì 5 giugno, alle ore 18, nella sala Paolino di Aquileia, in via Treppo 5/B, a Udine. Dopo il saluto delle autorità interverranno Bernard Ardura, presidente del Pontificio Comitato di Scienze storiche, Andrea Zannini, del- l’Università di Udine, Gianpaolo Romanato, dell’Università di Padova. Nel corso della presentazione Fabiano Fantini leggerà alcuni brani dell’epistolario.
La pubblicazione, edita da Forum, è promossa dall’«Istituto «Pio Paschini per la Storia della Chiesa in Friuli» nella collana «Serie moderna e contemporanea». «Nel 1978, in occasione del convegno di studio nel centenario della nascita di Pio Paschini - scrive, nella premessa ai volumi, il presidente dell’Istituto, Cesare Scalon - l’allora arcivescovo di Udine, Alfredo Battisti, propose di creare un Istituto di Fonti e ricerche di Storia ecclesiastica friulana a lui intitolato. La scelta era motivata per il “suo coraggioso tentativo di conciliare cultura e fede, ma anche per il suo validissimo contributo di ricerca sulle origini e sulla storia della Chiesa di Aquileia”.
Per ricordare i suo quarant’anni di vita - continua Scalon - l’Istituto aveva pensato in un primo momento a una riedizione della “Vita di Galileo”, ripulita dai tagli e dalle manipolazioni che il testo aveva subito. La proposta fu però accantonata in considerazione del fatto che gli interventi censori erano ormai noti agli studiosi e che una riedizione della “Vita” non avrebbe offerto alcun contributo originale alla ricerca storica. Nacque allora l’idea di questo “Epistolario”».
«L’ampia selezione delle lettere in ordine cronologico - conclude Scalon - ripercorre l’itinerario scientifico, la carriera accademica ed ecclesiastica del protagonista e al tempo stesso fa emergere in modo inconfondibile i tratti della sua personalità di uomo, di studioso e di sacerdote».
* LA VITA CATTOLICA, 30- 05.2018
Sul tema, in rete, si cfr.:
PIO PASCHINI (Marino Zabbia - Dizionario Biografico degli Italiani - 2014)
Federico La Sala
Lettere. Raccolto e pubblicato il monumentale epistolario di uno tra i maggiori studiosi di storia della Chiesa: le osservazioni sulla Curia, le notizie sul Friuli, il caso Galileo
Quei giudizi pungenti di Pio PASCHINI
di GIANPAOLO ROMANATO (Avvenire, 24.07.2018)
Il cardinale Tisserant? «Un francese fanatico politicante. Un contadino vestito da festa». Il Sacro Collegio? «Non brilla certo per persone colte». Padre Gemelli? «Non vede che quanto interessa la sua Università». Sono alcuni dei giudizi impietosi che si possono leggere nell’epistolario di Pio Paschini, appena pubblicato a Udine in due tomi di oltre mille pagine complessive (L’epistolario di Pio Paschini (1898-1962), Forum, pagine 1.198, euro 48,00).
Tra i maggiori studiosi di storia della Chiesa della prima metà del Novecento, Paschini contribuì in maniera decisiva a trasformare la storiografia ecclesiastica da strumento apologetico-difensiva in disciplina scientifica.
Era nato a Tolmezzo nel 1878, aveva studiato e insegnato nel seminario di Udine e al suo Friuli rimase sempre tenacemente attaccato (quando poteva, scriveva in friulano), anche se dal 1912 alla morte, avvenuta nel 1962, visse sempre a Roma, dove, fra molteplici incarichi e docenze, fu rettore dell’Università Lateranense, fondatore e primo presidente del Pontificio comitato di scienze storiche, direttore dell’Enciclopedia Cattolica.
Nel 1978 il vescovo di Udine Alfredo Battisti ne ha voluto onorare la memoria intitolando al suo nome l’Istituto storico - appunto Istituto Pio Paschini - fondato in diocesi, al quale si devono numerose importanti pubblicazioni e ora questo monumentale epistolario curato da Michela Giorgiutti (un migliaio di lettere trascritte e oltre cinquemila regestate in un cd annesso), che copre tutta la prima metà del Novecento.
Le lettere più significative (circa metà di quelle pubblicate) sono indirizzate a Giuseppe Vale, un sacerdote amico d’infanzia del Paschini. Sono due friulani - e i friulani, notoriamente, non hanno peli sulla lingua - che dialogano in totale confidenza, sapendo di potersi fidare ciecamente l’uno dell’altro.
Ne escono un’infinità di informazioni di prima mano sull’Italia del tempo (il fascismo, la guerra, la ricostruzione, la politica) e sul Friuli. Ma soprattutto possiamo leggervi fiondate di straordinario interesse sull’ambiente curiale romano nel quarantennio dei due pontefici Pio, XI e XII. Vale, che scrive da Udine, informa l’amico di quanto accade in Friuli, mentre Paschini, che gli risponde da Roma, lo aggiorna sulle piccole e grandi vicende vaticane e romane.
Ci sono personaggi che il nostro storico proprio non sopporta. Uno di questi è il cardinale Giuseppe Pizzardo, esponente di spicco della curia di papa Pacelli: «Non ne ha mai azzeccata una», scrive nel 1939, raccontando della sua nomina a prefetto della Congregazione dei seminari. Quando poi si diffonde la voce che sia prossimo un concistoro, cioè un’infornata di nuovi cardinali, i suoi commenti sono al vetriolo. Se sfugge il «bramato cardinalato», ci sono prelati che ci fanno «una malattia».
«Questi eminentissimi - scrive - vivono con la testa nei loro capricci», soprattutto se sono stati a capo di nunziature. «Tutti questi nunzi a spasso, che valgono quel che valgono» mirano «al cardinalato come ad una pensione». Paschini osserva queste ossessioni per la carriera e il potere (qui a Roma, osserva, «il potere è una croce che tutti o quasi portano volentieri») e se la ride con il suo amico: «Lasciamoli friggere nel loro grasso e stiamo un poco alla finestra a vedere».
Da storico esperto non può fare a meno di confrontare il presente con il passato: «Una volta, nel disprezzato Cinquecento, si trovavano in buon numero cardinali di valore e di virtù; non so se possa dire altrettanto (almeno per il valore) di quelli di oggidì, sebbene siano in numero tanto maggiore e se qualcuno se ne può trovare, sono di statura assai minore di quelli». Ma lo studioso friulano sapeva distinguere, non faceva di tutto un fascio.
Quando morì il cardinale Ermenegildo Pellegrinetti, già nunzio in Iugoslavia, le sue parole sono di tutt’altro tenore: «Era tanto una brava persona, molto alla mano e molto colta, sapeva il fatto suo in campo di storia».
È inevitabile che un personaggio tanto ruvido («sto diventando sempre più selvaggio», ammette) di carriera ne abbia fatta poca, come gli rimproverava la sorella Anna, che visse sempre con lui: divenne vescovo in extremis, due mesi prima di morire.
E i papi? Di fronte alle somme chiavi cede qualche volta a benevola ironia, indicando il pontefice come «il principale», ma non gli viene mai meno né il rispetto né la sincera devozione. Per Pio XI e Pio XII, i papi sotto i quali compì il suo servizio, i giudizi positivi si sprecano, con dovizia di informazioni sulla salute (apprendiamo da queste lettere che il declino fisico di Pio XI fu lungo e penoso, sopportato con stoicismo da Achille Ratti), sugli spostamenti, sui ritmi di lavoro.
L’operato di Pacelli a favore di Roma negli anni tragici della guerra sono qui documentati con larghezza di informazioni e notizie inedite. Ci sono poi numerose lettere di due futuri pontefici, Angelo Roncalli e Giovanni Battista Montini, che gli dimostrano la massima considerazione, pienamente ricambiata da Paschini.
Non manca un riferimento a Ernesto Buonaiuti, il sacerdote modernista mai pentito, che si spense nel 1946. La sua morte senza sacramenti colpì dolorosamente quel prete all’antica che era Paschini. Questo il suo triste commento: «Se il Signore non gli ha usato misericordia all’ultimo momento, c’è tutto da temere per la sua salute eterna».
Pescando qua e là nel pozzo senza fondo di queste lettere si trovano poi innumerevoli notizie e valutazioni sulla situazione politica, anche in rapporto alla sorte del Friuli, a lungo in bilico, dopo la Seconda guerra mondiale, fra Italia e Iugoslavia. Paschini si esprime con distacco rispetto al fascismo, mostra piena fiducia nella Democrazia Cristiana e in De Gasperi, disistima e disprezzo per la sinistra, in particolare per Togliatti e Nenni.
Al referendum del 1946 votò per la monarchia, «solo in odio alla repubblica, troppo bramata dagli estremi e che non mi pare promettere alcunché di buono».
L’epistolario paschiniano permette poi di fare finalmente luce sull’increscioso episodio - di cui fu la vittima incolpevole - della biografia di Galileo, come chiarisce nella prefazione a queste lettere Sandro Piussi. Alla fine del 1941 l’Accademia Pontificia delle Scienze, attraverso il suo presidente Agostino Gemelli, gli commissionò, in vista del terzo centenario della morte di Galileo Galilei, uno studio storico-biografico sullo scienziato pisano volto a far luce sui torti e le ragioni del celebre processo.
Paschini, pur consapevole di avventurarsi in un terreno a lui quasi sconosciuto, lavorò alacremente e consegnò tre anni dopo il lavoro finito. Dall’Accademia delle Scienze il voluminoso manoscritto passò al Sant’Uffizio e si arenò. Inutili le proteste e le rimostranze di Paschini, in queste lettere minuziosamente documentate, soprattutto nei confronti di Padre Gemelli (di qui la disistima nei suoi confronti). Inutile anche l’intervento in suo favore di Montini, qui pure documentato. Alcuni giudizi dell’autore parvero inopportuni e il testo della biografia fu accantonato.
Ma dopo la morte del Paschini, nel 1964, durante il Concilio Vaticano II, lo studio fu frettolosamente recuperato e venne pubblicato, purtroppo con innumerevoli censure e modifiche, tali da svisare o da capovolgere, nei punti essenziali, il giudizio di chi lo aveva scritto.
Nulla però avvertiva il lettore che quel libro non corrispondeva all’originale di Paschini. Solo il confronto fra il manoscritto, conservato insieme con le lettere nella biblioteca capitolare di Udine, e il testo a stampa, permise, nel corso di un convegno svoltosi a Udine nel 1978, nel centenario della sua nascita, di documentare l’increscioso episodio e il torto fatto allo studioso. Inutile aggiungere che la vicenda ebbe una scia di polemiche storiografiche che non giovarono certamente alla credibilità di chi aveva provocato il caso. La pubblicazione di queste lettere permette ora, almeno, di restituire a Paschini la sua piena onorabilità di studioso e di storico.
Pio Paschini storico e biografo
E papa Paolo VI su Galileo
di Gianni Gennari (Avvenire, giovedì 26 luglio 2018)
Qui martedì Romanato (p 20: «Quei giudizi pungenti di Pio Paschini») sulle Lettere dello storico, rettore dell’Ateneo Lateranense e direttore dell’Enciclopedia Cattolica (1878-1962), ove trovi lucidità del ricercatore e vivacità del polemista, stimato da alunni e docenti del tempo. Di lui, e del suo coraggio quasi prepotente, racconti dei giorni di guerra. Quando su Roma suonavano le sirene per l’invito ai rifugi la sua reazione imperturbabile continuando la lezione: "Tirate le tende!". Romanato per Paschini ricorda anche la vicenda Galileo. Ho davanti a me il suo libro "Vita e Opere di Galileo Galilei" (Herder, 1965, II Edizione) introdotto da Michele Maccarrone. In copertina la firma del cardinal Vincenzo Fagiolo (1918-2000) che me lo ha donato, e quel libro ha un segreto, qui ieri accennato da Romanato. Nel 1964 in Concilio si preparava la Gaudium et Spes e, per il testo sulla vicenda Galileo, Paolo VI in persona chiese alla Commissione se non si poteva segnalare "almeno un libro" cattolico che rispettasse persona e genio di Galilei. Imbarazzo...
Maccarrone timidamente ricordò che uno c’era, scritto da Paschini, anni 40, subito bloccato in bozze dalla censura del Sant’Uffizio. Paolo VI lo volle stampato ed edito immediatamente dalla Pontificia Accademia delle Scienze e al n. 36 della GS fece aggiungere in nota citazione del libro, l’anno dopo ristampato dalla Herder ora nelle mie mani. Libero, Paschini, e capace di individuare i rischi del carrierismo clericale attorno a lui nella Curia del tempo e attorno a noi come sempre: sarebbe piaciuto a papa Francesco. Posso ricordare che qui nel corso degli anni ho già rievocato più volte la figura e l’opera di Paschini, uomo schietto, storico consumato, prete, professore, capace di libertà e di verità insieme... Riposi in pace. In compagnia di Galileo Galilei.
DELLA TERRA, IL BRILLANTE COLORE....
L’uomo della Luna Buzz Aldrin al Wired Next FesT: “Dobbiamo continuare a esplorare o moriremo”
Ospite del terzo giorno di Wired Next Fest, il secondo uomo ad aver calpestato il suolo lunare ha espresso idee piuttosto precise sul nostro futuro spaziale
Il video del lancio dell’Apollo 11 dalla piattaforma 39 del Kennedy Space Center emoziona a 48 anni di distanza: la partenza, l’allunaggio, il ritorno. Al Wired Next Fest 2017, Buzz Aldrin lo guarda con la stessa emozione di una sala gremita di persone lì per incontrarlo. “L’ho visto miliardi di volte - commenta l’ex astronauta - ma è meraviglioso ricordare quello che è successo. Mi riporta a rievocare quei giorni, pensando a chi ci ha spianato la via perché potessimo arrivare lì. Sia chiaro, sono anche andato al Polo Nord. Ho visto il Titanic sott’acqua. Ho visitato il Polo Sud. Sono disposto ad andare ovunque per essere utile agli altri. Al mio Paese, certo, ma in fondo all’Umanità. Dobbiamo esplorare o morire”.
Risponde così Aldrin a chi gli chieda perché uno dei prime due uomini ad aver messo piede sulla Luna, il 20 luglio 1969, non sembri fermarsi mai. Battezzato Edwin Eugene Aldrin Jr., il futuro Buzz - nome acquisito legalmente nel 1988 - è nato a Montclair, nel New Jersey, il 20 gennaio del 1930.
Figlio di un pioniere dell’aeronautica, Edwin Eugene Sr., si è presto rivelato degno erede dei genitori e per più di un motivo: il cognome della madre, Marion, era Moon.
“Un segno del destino”, ama scherzare lui - come nella recente biografia No Dream Is Too High - per quanto sul futuro delle missioni spaziali abbia idee precise e piuttosto serie: “Non credo oggi gli americani sarebbero grandi sostenitori dell’idea di tornare sulla Luna e men che meno ne sarebbero finanziatori entusiasti.
Credo tuttavia sarebbero felici di appoggiare una coalizione di stati che perseguisse questo obbiettivo. E magari volesse andare oltre, da Marte a Saturno “.
Sentirlo dire da uno dei protagonisti della cosiddetta Space Race, una competizione dal senso ben più che tecnologico, ha ancora più senso: “Quando nel 1961 John Fitzgerald Kennedy promise che entro la fine del decennio un uomo sarebbe andato e tornato dalla Luna non esistevano piani definiti per farlo, non c’era una strategia. Si andava di pari passo con la tecnologia in una corsa contro l’Unione sovietica la cui vittoria finì per richiedere troppe energie”.
Che la Storia abbia insegnato davvero? “Esatto. Anche per non sprecare risorse economiche preziose, oggi dovremmo agire da consulenti. Nessuno che si occupi di sviluppare lander spaziali o lanciatori dovrebbe essere troppo in concorrenza con gli altri. Qualcuno dovrà raccontare ai nostri leader quali strategie perseguire e gli obbiettivi dovranno essere raggiunti tutti insieme: ovviamente, negli Stati Uniti, quel consigliere si chiamerà Buzz“.
Non c’è ombra di indecisione quando l’uomo che con Neil Armstrong condivise anche l’addestramento a West Point parla. “Mi piacerebbe riferirmi non solo al mio presidente, ma anche ad altri 40 o 50 astronauti che immagino già nati: la collaborazione sarà fondamentale per allestire una squadra internazionale di esploratori del cosmo. Sia chiaro, occorreranno persone di un’età giusta, sufficientemente mature per prendere la più importante decisione della loro vita: diventare pellegrini che entrino nella storia. I primi uomini a raggiungere un altro pianeta. E non per una visita: immaginate una squadra internazionale che fra partenza, viaggio e permanenza in attesa dell’equipaggio successivo, rimanga via dalla Terra una decina d’anni. E che solo al ritorno sarà in grado di capire l’importanza di quanto fatto. Perché è al ritorno che si capiscono certe cose”.
Evidente si riferisca a se stesso: “Voglio essere utile. In passato ho dovuto affrontare momenti di depressione. Mio nonno si è suicidato, mia madre ha fatto lo stesso prima che partissi verso la Luna e io ho avuto problemi con l’alcol. Così non si può essere utili agli altri. Ed è fondamentale che lo siamo. Credo che in fondo un astronauta faccia questo”.
Un volo logico azzardato per quanto legittimo visto il personaggio: “Occorre che un astronauta combatta le cosiddette paludi della vita. E non solo in senso metaforico: dall’allunaggio in poi, questioni economiche e conflitti hanno parzialmente rallentato il nostro obiettivo: lavorare per il nostro futuro. Occorre si ricominci, dobbiamo abituarci a lavorare insieme per oltrepassare i nostri confini“.
Scuse a Galileo, la Chiesa ci ripensa
Censurato il gesuita che difende la scienza
di Riccardo Chiaberge (il Fatto-Saturno, 10.02.2012)
EPPUR SI MUOVE. Sì, ma all’indietro, come i gamberi. Sulle scuse a Galileo la Chiesa ci ripensa, e vent’anni dopo la storica svolta di Wojtyla (31 ottobre 1992) nel mondo cattolico tornano ad affiorare malumori e contrasti. L’organo dei gesuiti “La Civiltà Cattolica” ha respinto un articolo sull’argomento di padre Ennio Brovedani, che dello scienziato pisano è appassionato studioso e che nel maggio del 2009 promosse un memorabile convegno a Firenze con i massimi esperti mondiali, atei e credenti, alla presenza di Giorgio Napolitano. Ordinaria amministrazione, si dirà. La censura, nel clero e nei suoi organi di stampa, è cosa di tutti i giorni. Ma il caso Brovedani fa più scalpore del solito, per il tema e la statura del personaggio.
E POI OGNI PAGINA di “Civiltà Cattolica” è sottoposta al vaglio preventivo della Segreteria di Stato, sicché dietro la bocciatura qualcuno intravede la manina del Cardinal Bertone. A quanto pare, insomma, il Vaticano che benedice il tecnico Monti (già studente modello di un liceo dei gesuiti) non ha ancora digerito, dopo ben quattro secoli, il tecnico Galileo.
Ma ecco i fatti. Nell’aprile scorso escono gli atti del Convegno fiorentino (editi da Olschki) e “Civiltà Cattolica” invita padre Ennio, presidente della Fondazione Stensen e animatore dell’iniziativa, a scrivere un saggio che riassuma i risultati salienti di quei cinque giorni di discussione. Lui ci lavora a lungo, e per essere tranquillo manda il testo in lettura ad alcuni dei partecipanti, tra cui il filosofo superlaico Paolo Rossi Monti (che ci ha lasciati, a ottantotto anni, il 14 gennaio), e tutti apprezzano l’equilibrio della sua sintesi. Confortato da questi pareri, Brovedani manda il pezzo alla rivista dei gesuiti, ma - sorpresa! - nel rivedere le bozze ci trova dei tagli che non gli sembrano casuali, o dovuti a pure ragioni di spazio.
Salta per esempio un passo sul significato attuale della condanna di Galileo nel quadro dei rapporti Stato-Chiesa, che ribadiva «il rispetto dovuto alla libertà di coscienza e all’autonomia e responsabilità personali, che dal punto di vista antropologico e teologico, rappresentano la manifestazione più alta della dignità e creaturalità umane». La libertà di coscienza più importante della Verità di cui il papa si proclama unico custode? Zac! Lo storico Alberto Melloni, alla luce del Concilio, metteva in guardia dal rischio che «la mentalità che aveva presieduto all’errore del 1633 si riproponesse su temi nuovi» come la contraccezione? Zac.
Una bella sfoltita anche al discorso di padre Coyne, ex-direttore dell’Osservatorio vaticano, che si soffermava un po’ troppo sulle liti tra i membri della commissione di studio istituita da Giovanni Paolo II e presieduta dal Cardinale Poupard (quello, per intenderci, che avrebbe poi celebrato le nozze Briatore-Gregoraci, alla presenza di Berlusconi): non per niente i lavori durano undici anni, e il documento finale è zeppo di reticenze e di omissioni. Il fatto che le conclusioni vengano affidate a un discorso solenne del Papa, nota il sacerdote-astronomo, genera «profondi contrasti e perplessità» all’interno della Commissione. Zac.
Più avanti, citando ancora Coyne, Brovedani scrive che «l’ammonizione del Card. Bellarmino avrebbe giocato un ruolo chiave nella condanna di Galileo nel 1633. Quali sarebbero state - si chiede - le conseguenze se, in questo caso, invece di esercitare la sua autorità la Chiesa avesse sospeso il giudizio? ». Che domande. Ri-zac! Le forbici dei gesuiti non risparmiano neppure il paragrafo finale sui modi per prevenire nuovi “casi Galileo”: sparisce il cenno alla «crescente interculturalità e interreligiosità» della civiltà contemporanea, termini espunti dal dizionario ratzingeriano.
Già così, erano censure pesanti. Ma da buon servitore di Cristo, padre Ennio si era ormai rassegnato a inghiottirle, quando qualcuno dalla redazione lo allertò che la faccenda non finiva lì, e che ulteriori modifiche e tagli sarebbero stati richiesti dalla Segreteria di Stato. Beh, questo è troppo, protesta Brovedani. Cosa diranno quelli che hanno letto e approvato il testo originale? E poi, che c’è di male nel mio articolo, peraltro sollecitato da voi? Errori dottrinali? Espressioni offensive verso la Chiesa o il Papa? Niente di tutto questo. E il Convegno non era stato salutato come un’anticipazione del “Cortile dei Gentili”, lo spazio comune tra atei e credenti voluto dal Cardinale Ravasi?
Fiato sprecato. I guardiani della “Civiltà Cattolica” non si lasciano commuovere. Confabulano a lungo e alla fine decidono che, onde evitare incidenti, è meglio soprassedere. Quell’articolo non uscirà mai. E dire che il nuovo direttore della rivista dei gesuiti, il 45enne Antonio Spadaro, insediato da pochi mesi, ha fama di innovatore. Un cyber-teologo onnipresente sul Web, con blog su Flannery O’Connor e la rivista online “Bombacarta”. «Il cristiano - sostiene - è chiamato a compiere un’opera di mediazione tra il Logos e la cultura digitale». Evidentemente, ci sono mediazioni che non riescono neanche a lui.
La verità è che per la Chiesa di Ratzinger il caso Galileo non è affatto chiuso. Sarebbe troppo comodo relegarlo in un lontano passato, “contestualizzarlo” nel quadro di un’epoca di conflitti religiosi esasperati, come se non avesse più nulla da insegnarci. Il rischio dello scontro scienza-religione è sempre in agguato, specialmente con gli sviluppi vertiginosi delle tecnologie biomediche, l’ingegneria genetica, la ricerca sulle staminali, la fecondazione assistita, che vanno a intaccare i capisaldi della filosofia naturale cattolica. E mentre il biologo miscredente (e grafomane) Edoardo Boncinelli ci spiega che La scienza non ha bisogno di Dio (Rizzoli, quattro miliardi di anni di evoluzione in 164 pagine) e nessuno lo censura, uomini di fede come padre Brovedani si sforzano di conciliare il Vangelo con la libertà di ricerca. E per questo vengono ridotti al silenzio.
Proprio ieri, intervenendo al convegno della Cei su “Gesù nostro contemporaneo” presso l’Università della Confindustria a Roma, l’arcivescovo di Milano Angelo Scola ha detto che «ogni censura fatta alla storia è condannata a fallire, proprio perché è una sorta di attentato oggettivo contro la libertà». Perfetto, eminenza. Provi a dirlo al suo collega Bertone.
Nuove e antiche censure
di Massimo Firpo
in “Il Sole 24 Ore” - Domenicale - del 12 febbraio 2012
Davvero clamorosa la censura perpetrata dalla «Civiltà cattolica», la rivista dei gesuiti sottoposta al controllo diretto della Segreteria di Stato vaticana, ai danni di un articolo commissionato dalla rivista stessa al presidente della Fondazione Stensen dei gesuiti di Firenze, padre Ennio Brovedani. Questi aveva ricevuto qualche mese fa l’incarico di presentare i risultati di un importante congresso di studi su il "Caso Galileo", una rilettura storica, filosofica e teologica, inaugurato alla presenza del presidente della Repubblica nel 2009, con la partecipazione di alcuni dei massimi studiosi mondiali.
Le equilibrate riflessioni del padre Brovedani erano state sottoposte a non pochi tagli, ovviamente sui punti più sensibili di un nervo perennemente scoperto dell’identità storica della Chiesa. Perché, come tutti sanno, Galileo aveva avuto ragione e Bellarmino (anzi, san Roberto Bellarmino, proclamato dottore della Chiesa nel 1931) aveva avuto torto; lo scienziato aveva visto giusto nel capire il linguaggio della natura, mentre il teologo aveva grossolanamente sbagliato nel capire il linguaggio della Bibbia. Questione molto delicata, perché il suo errore era diventato verità di fede. Insomma un brutto pasticcio, dal quale si credeva che la Chiesa fosse venuta fuori (sia pure con tenaci ambiguità) con il perdono chiesto da papa Giovanni Paolo II in occasione dell’Anno giubilare tertio adveniente millennio per i soprusi dell’Inquisizione contro la libertà di coscienza proclamata dal Concilio Vaticano II.
Perché allora tornare a esercitare l’autoritarismo censorio sulla stessa questione sulla quale quattro secoli fa lo stesso autoritarismo censorio aveva clamorosamente fallito? Molte sono le risposte, a cominciare dal fatto che le questioni scientifiche sono tornate al centro dell’interesse della Chiesa per le loro implicazioni morali: fecondazione assistita, staminali, accanimento terapeutico eccetera.
L’esperienza suggerirebbe di tenersene lontani, ma la pervicace volontà dei teologi di avere l’ultima parola in quanto detentori della verità sembra dura a morire. C’è poi il bisogno di controllare la storia, perché per un cristianesimo che ha eretto la propria storia a fonte della Rivelazione è difficile distinguere tra l’infallibilità della Chiesa in quanto tale e la fallibilità degli uomini che la governano.
E c’è infine il fatto che quella libertà di coscienza che è iscritta a lettere di fuoco nella vicenda galileiana, la cui affermazione sembrava essere una conquista del Vaticano II, è oggi messa in discussione. Certo, affermare tale principio costituì a suo tempo una svolta storica, un cambiamento radicale, segnato anche dall’ecumenismo, dal dialogo interreligioso, dalla nuova liturgia della messa eccetera, che vede oggi una vistosa marcia indietro che coinvolge non solo i conservatori più chiusi e intransigenti, ma investe i vertici stessi della gerarchia ecclesiastica. Il problema è quindi grave e serio.
Proprio per questo merita riassumere brevemente un episodio raccontato da Paolo Simoncelli in un libro apparso nel 1992 con il titolo di Storia di una censura. «Vita di Galileo» e Concilio Vaticano II. Vi si narra la vicenda di una biografia del grande scienziato pisano, che nel 1942 il presidente dalla Pontificia Accademia delle Scienze, padre Agostino Gemelli, affidò a monsignor Pio Paschini, un dotto e probo studioso di storia ecclesiastica, che lavorò intensamente durante la guerra, tanto da poter spedire il "manoscritto definitivo" al cardinal Giovanni Mercati all’inizio del ’45.
Poi tutto si incagliò: l’opera non piacque alla congregazione del Sant’Ufficio né a padre Gemelli, che lasciò senza risposta una vibrata lettera per chiedere spiegazioni inviatagli da Paschini dopo un anno esatto di assoluto silenzio. Questi si rivolse allora a Giovan Battista Montini, il futuro Paolo VI, allora sostituto alla segreteria di Stato, che gli lesse il documento fattogli avere dai supremi custodi della fede in cui, oltre a insistere sul consunto argomento che le prove addotte a favore della centralità del sole nel Dialogo sopra i massimi sistemi presentavano qualche falla, si dichiarava inopportuna la pubblicazione di un libro giudicato come nulla più che un’"apologia di Galileo".
Per bocca dell’allora assessore e in futuro onnipotente cardinale Alfredo Ottaviani, il Sant’Ufficio giunse al punto di proporre al povero Paschini di pagargli il manoscritto, e fece orecchio da mercante alla sua disponibilità di attenuare i giudizi meno benevoli sugli avversari di Galileo. Fu Montini a fargli pervenire un assegno di 20.000 lire «come supplemento a quanto Le è stato corrisposto» per le spese da lui sostenute e «a saldo» del lavoro.
E non era finita lì, anzi il peggio doveva ancora venire. Paschini morì nel 1962 e due anni dopo il suo libro uscì postumo per ricomparire poi ancora l’anno dopo con una Nota introduttiva del gesuita belga Edonde Lamalle che aveva avuto l’incarico di rivedere quel «manoscritto definitivo» per aggiornarlo sulla base dei «progressi della ricerca» intervenuti nel frattempo. Dettagli eruditi, spiegava Lamalle, che invece vi esercitava una costante censura, con piccoli e grandi cambiamenti, tutt’altro che «interventions très discrètes» (tra l’altro volti anche ad attenuare le brutte figure dei suoi antichi confratelli gesuiti), in cui si attribuivano a Paschini pagine intere che Paschini non aveva mai scritto, si modificavano e talora si rovesciavano i suoi giudizi. Fino all’indecenza di trasferire in nota il giudizio conclusivo dell’autore sulla condanna di Galileo, facendolo tuttavia accompagnare dalle parole: «Nessuno storico serio potrebbe ancora sottoscrivere semplificazioni di questo genere». Si attribuiva così a Paschini la puntigliosa condanna di quanto egli aveva scritto e pensato. L’ignominiosa censura diventava così consapevole falsificazione.
Un antico proverbio recita tuttavia che il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi, ed ecco che nella costituzione Gaudium et spes approvata dal Concilio Vaticano II il 7 dicembre di quello stesso 1965 in cui tale scempio vedeva la luce, si proclamava infine l’irrinunciabile principio della libertà di coscienza come diritto inviolabile di ciascuno: «Ci sia concesso deplorare - vi si può leggere - certi atteggiamenti mentali, che talvolta non mancano nemmeno tra i cristiani, derivati dal non aver sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza e che, suscitando contese e controversie, trascinarono molti spiriti a tal punto da ritenere che scienza e fede si oppongono tra loro». Questo testo reca una nota che, a riprova di tale inviolabile principio, rinvia alla Vita di Galileo di monsignor Pio Paschini come a un testo esemplare. Peccato che fosse un falso storico.
E la rivolta di Galileo scongelò il cosmo dai rigori di Tolomeo
L’alba di una nuova visione del mondo
di Sandro Modeo (Corriere della Sera, 26.01.2011)
Al momento di scrivere il Sidereus Nuncius (prima edizione marzo 1610), Galileo ha quasi cinquant’anni. Come ricorda lo storico delle idee Andrea Battistini, lo scienziato - che fino a quel momento ha pubblicato solo studi minori e specialistici- teme di non poter esprimere in pieno la propria vocazione e di non poter comunicare i risultati delle proprie scoperte. Schiacciato dalle continue richieste dei committenti della Serenissima (deve occuparsi di macchine idrauliche, trapani per le viti, bussole e orologi), sente la vita sfuggirgli: quella routine alienante (il «servizio cotidiano» e la «servitù meretricia» ) gli lascia poche energie residue per dedicarsi ai «grandi e oltremodo mirabili» spettacoli del cosmo.
Scrivere il Nuncius, dunque, è il tentativo disperato (e riuscito) di ribellarsi a quella costrizione al silenzio; anche se il libro conserva tracce della sua gestazione inquieta, perché in molti punti lo scienziato evoca «l’angustia del tempo» per giustificare osservazioni a suo dire incomplete. Frutto di 55 notti trascorse al cannocchiale (strumento rivoluzionario arrivato dall’Olanda), il Nuncius è anzitutto una fitta successione di scoperte fattuali: sulla superficie della luna (che si rivela «disuguale, scabra, piena di cavità e sporgenze» e «variata da macchie, come occhi cerulei d’una coda di pavone» ); sulla grandezza variabile degli astri (che «in mezzo alle tenebre» «sono visti chiomati» , mentre la luce diurna rade loro «i crini» e li ridimensiona); sulla Via Lattea, che si spalanca per la prima volta come «una congerie di innumerevoli stelle, disseminate a mucchi» , proprio col suo «candore latteo come di nube albeggiante» ; e sui satelliti di Giove, studiati nei loro più minuti movimenti. Il tutto con l’aiuto di numerosi, fondamentali disegni esplicativi. Ma tali scoperte - enunciate, per inciso, in un latino insieme esatto e visionario, come se Galileo stesse già modulando l’ineguagliabile italiano del Saggiatore e del Dialogo - sono sconvolgenti per le loro implicazioni concettuali e cognitive, per lo shock che comportano a livello di visione del mondo.
I pochi estratti appena citati sono sufficienti a dimostrare come Galileo - al momento del Nuncius già copernicano da sette anni- non si limiti a demolire la fissità congelata del cosmo aristotelico tolemaico e il connesso, rassicurante meccano astrologico. Come non si limiti, cioè, a rivelare un universo metamorfico, discontinuo, infinito, dove nulla è centro e tutto è periferia; ma tolga anche all’assetto cosmico la sua eleganza stilizzata, perché è vero (come scriverà nel Saggiatore) che il linguaggio della natura ha per caratteri «triangoli, cerchi ed altre figure geometriche» , ma tali caratteri sono avvolti da una materia fisico-biologica molto più ribelle e instabile di quanto sembri (come dimostrano proprio le scabrosità lunari). Ed è vero che la vita si regge su leggi e simmetrie, ma entro un costante agguato caotico.
Oltre che diffidenze e calunnie (sia da parte di accademici che di ecclesiastici, in primis gli scienziati famuli della corte medicea, in cui Galileo sta per trasferirsi), il successo del Nuncius innesca anche un certo immaginario fantascientifico, per esempio sulla pluralità dei mondi abitati.
Oggi, un simile slittamento è ancora più naturale, perché gli eredi del cannocchiale galileiano (i potenti telescopi, da Hubble in poi) ci permettono di scrutare l’universo sempre più lontano e - per quanto possa sembrare paradossale- sempre più indietro nel tempo. Quando infatti osserviamo stelle e galassie remote, non le vediamo come sono ora, ma come erano milioni o miliardi di anni fa.
La spiegazione di questa vertigine- abbozzata da Poe nel poema Eureka ma di fatto formulata da Einstein - dipende dalla luce, la cui propagazione non è istantanea: anche se velocissima per i nostri parametri (300 mila km al secondo), la luce impiega del tempo a trasmetterci le immagini degli oggetti da cui proviene. Se volessimo vedere le galassie come sono ora, dovremmo dunque trovarci nel futuro. Ma anche questo nuovo «annuncio sidereo» , per quanto frastornante, è destinato a essere superato - o integrato - dai successivi. Ogni acquisizione, nella scienza, è sempre la penultima.
Galileo
Ambiguità e compromessi di un grande scienziato
Due libri spiegano, tra atti e delibere del 1600, il caso dello studioso e il suo rapporto con la Chiesa
Ci sono le lettere teologiche che mostrano lo spirito e la delicatezza della vicenda
Gli scritti indicano come certe letture siano state rese possibili dal suo atteggiamento
di Piergiorgio Odifreddi (la Repubblica, 05.01.2010)
Nell’autunno del 1609 Galileo rivolse al cielo il cannocchiale, e iniziò una serie di osservazioni che sfociarono il 7 gennaio 1610 nella scoperta dei satelliti di Giove, e il successivo 13 marzo nella pubblicazione del Sidereus Nuncius. Per celebrare questi avvenimenti, che accaddero esattamente quattrocento anni fa e cambiarono la storia della scienza, il 2009 è stato proclamato Anno Mondiale dell’Astronomia. E, come si può immaginare, l’occasione è stata propizia per una rivisitazione del pensiero e delle vicende del nostro più famoso scienziato: in particolare, per tornare a meditare sul difficile rapporto fra scienza e fede, di cui il processo a Galileo costituisce sicuramente l’episodio più emblematico e significativo.
Se, dopo quattro secoli, le relazioni fra i magisteri scientifico e religioso fossero ormai normalizzate, il dibattito sarebbe puramente accademico. Ma che così non sia, è dimostrato dalla maggiore e più ufficiale manifestazione tenutasi lo scorso anno: il convegno "Il caso Galileo. Una rilettura storica, filosofica, teologica", inaugurato dal Presidente della Repubblica il 26 maggio in Santa Croce a Firenze, dove Galileo è sepolto, proseguito dal 27 al 29 al Palazzo dei Congressi, e conclusosi il 30 alla villa Il Gioiello di Arcetri, dove Galileo passò gli ultimi otto anni della sua vita agli arresti domiciliari.
Fin qui, tutto bene. Ma molte strane anomalie saltano all’occhio, non appena si viene a sapere, anzitutto, che a organizzare il convegno è stato l’Istituto Stensen, diretto dai padri gesuiti: lo stesso ordine a cui apparteneva il cardinal Bellarmino, Grande Inquisitore di Bruno e Galileo.
Poi, che fra gli enti promotori c’erano, da un lato, l’Accademia dei Lincei, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, il Museo di Storia della Scienza di Firenze, la Scuola Normale di Pisa e le Università di Firenze, Padova e Pisa, ma dall’altra il Pontificio Consiglio per la Cultura, la Pontificia Accademia delle Scienze e la Specola Vaticana. E infine, addirittura, che la conferenza stampa di presentazione del 29 gennaio era stata tenuta nella Sala Stampa Vaticana, da monsignor Gianfranco Ravasi, padre José Funes e il professor Nicola Cabibbo, che dirigono gli ultimi tre enti. Quanto al Papa, non andò all’inaugurazione, ma era stato ufficialmente invitato dal rettore di Firenze, Augusto Marinelli, a partecipare durante l’anno alle celebrazioni galileiane.
Per capire come sia stato possibile un tale "compromesso storico", che ha visto bellarminamente uniti nei festeggiamenti gli eredi degli inquisitori e quelli dell’inquisito, bisogna risalire ai fatti e alle interpretazioni: per i primi ci aiuta Scienza e religione. Scritti copernicani di Galileo, curato da Massimo Bucciantini e Michele Camerota (Donzelli, pagg. 334, euro 29), e per i secondi Galileo e il Vaticano di Mariano Artigas e Melchor Sanchez de Toca (Marcianum Press, pagg. 310, euro 22). Entrambi i volumi sono estremamente interessanti, ciascuno a modo suo: nel primo troviamo infatti gli atti dei dibattiti teologici e dei dibattimenti inquisitori che coinvolsero Galileo tra il 1613 e il 1616, e nel secondo le vicende e le delibere della commissione pontificia che rivisitò il caso tra il 1981 e il 1992.
Tra gli scritti riportati da Bucciantini e Camerota ci sono le famose «lettere teologiche» di Galileo a Benedetto Castelli, Pietro Dini e Cristina di Lorena, che i curatori ci chiedono di interpretare nel modo più generoso: tenendo cioè conto delle circostanze in cui sono state scritte, nell’infuriare della polemica e sotto la minaccia dell’Inquisizione, e prestando più attenzione alle espressioni di autonomia della scienza che a quelle di concordanza con la religione.
I documenti della commissione pontificia analizzati da Artigas e Sanchez fanno invece l’esatto opposto, soffermandosi sulla figura di un Galileo «miglior teologo dei teologi», e sottolineando la sua prematura difesa di un eliocentrismo ancora non suffragato da prove: una «tragica incomprensione reciproca», nelle parole di Giovanni Paolo II. A suo tempo padre George Coyne, direttore della Specola Vaticana e membro della Commissione, commentò negativamente questa posizione, ma in seguito fu rimosso dal suo incarico e al congresso di Firenze ha parzialmente ritrattato. Anche gli autori del libro sembrano però avere una posizione critica, stranamente avallata da una prefazione al volume di monsignor Ravasi (di cui Sanchez è il vice).
Inutile dire che visioni così contradditorie e distinte dello scienziato sono possibili soltanto perché l’ambiguità stava a monte, cioè in lui stesso. In fondo, come spiegano chiaramente Bucciantini e Camerota, Galileo non aveva né gli interessi teologici di Keplero e Newton, né l’indipendenza di giudizio di Spinoza o Voltaire: non essendo un appassionato lettore della Bibbia, credeva ancora che essa fosse degna di considerazione e di rispetto, e non gli passò mai per la mente di decostruirla o di ridicolizzarla, accontentandosi di interpretarla e di accettarla.
Per questo nelle lettere si impegolò in una discussione sul «fermati, o Sole» di Giosuè, cercando di dimostrare che nel sistema tolemaico l’esecuzione dell’ordine avrebbe accorciato il giorno, mentre era nella teoria copernicana che l’avrebbe allungato. E per questo abiurò, non solo coattamente e forzatamente dopo il processo, ma anche volontariamente e liberamente prima: oltre che nel Dialogo e nel Saggiatore, anche nella lettera del 1624 a Francesco Ingoli riportata in Scienza e religione, dove scrisse che «veramente non deve importare a un vero cristiano cattolico che un eretico si rida di lui perché egli anteponga la riverenza e la fede che si deve agli autori sacri, a quante ragioni ed esperienze hanno gli astronomi e i filosofi insieme». E’ quello che molti continuano a pensare ancor oggi, allungando la lista con i biologi. Ed è quello che fa sì che noi siamo come siamo, e non come dovremmo e potremmo essere.
L’invisibile dentro la materia
Il testo che pubblichiamo verrà letto stasera da Nicola Cabibbo al Festival della Milanesiana.
I passi della fisica dalla lezione di Colombo, alle esplorazioni di Galileo sulla ricerca del "troppo piccolo per essere visto", fino alla meccanica dei quanti
Le tecniche sperimentate nei laboratori di Frascati e quelle future di Ginevra
Le nuove infinite possibilità offerte nello studio delle particelle elementari
di Nicola Cabibbo (la Repubblica, 25.06.2009)
«Ci sono più cose nei cieli e nella terra, Horatio, di quanto sogni la tua filosofia». Con Amleto, rappresentato tra il 1599 e il 1600, siamo alla soglia della transizione dal mondo della filosofia a quello della scienza. I segnali sono nell’aria, dalla nuova astronomia di Copernico e di Tycho Brahe alla filosofia di Giordano Bruno. Per guardare in faccia l’invisibile bisognava però seguire la lezione di Cristoforo Colombo: muoversi, andare a cercare, sporcarsi le mani, passare dal pensiero all’azione.
Spetta a Galileo fare il primo passo. Galileo aveva seguito la lezione di Colombo, si era sporcato le mani per perfezionare le lenti del suo telescopio. Con la scoperta dei satelliti di Giove - le Stelle Medicee - delle montagne sulla luna, di una miriade di stelle mai viste prima, delle fasi di Venere e delle macchie solari, si era lanciato nella conquista dell’invisibile. Il telescopio di Galileo apre l’esplorazione del "grande ma troppo lontano", e pochi anni dopo, nel 1624, lo stesso Galilei inaugura la ricerca del "troppo piccolo per essere visto" con un nuovo strumento, il microscopio, che affida ai naturalisti della Accademia dei Lincei.
Dobbiamo ricordare un’altra invenzione della scuola di Galilei, il barometro di Torricelli. Al di sopra della colonnina di mercurio si forma il vuoto, e nasce così una tecnologia essenziale per i moderni acceleratori, strumento di elezione per lo studio dei nuclei e dei loro componenti elementari, ma che hanno tante applicazioni nell’industria e nella medicina.
Il telescopio e il microscopio acuiscono la vista, ma la rivoluzione si compie combinando questi strumenti con un’idea più antica: sostituire alla visione diretta quella mediata da una immagine, sia essa una pittura, una scultura, o una fotografia. Si apre così una infinità di nuove possibilità, fino ai metodi di visualizzazione usati nello studio delle particelle elementari. L’immagine può essere prodotta dalla luce visibile, ma anche da radiazione di lunghezza d’onda minore - raggi ultravioletti, raggi X, raggi gamma - o di lunghezza d’onda maggiore - gli infrarossi o addirittura le onde radio, in un radar o in un radiotelescopio. E ancora possiamo usare onde sonore, nell’ecografia, o fasci di elettroni, nel microscopio elettronico.
Una semplice spruzzata di limatura di ferro permette di visualizzare le linee di forza di un campo magnetico. Qualsiasi cosa che possa essere misurata - la pressione o l’umidità dell’atmosfera, le quotazioni della borsa, la febbre di un malato - può trasformarsi in immagine, e dato che un’immagine vale più di tante parole, la visualizzazione di dati scientifici si sta affermando come una disciplina a sé, dovunque in rapido sviluppo. La lunghezza d’onda della radiazione determina i limiti alle dimensioni degli oggetti che si possono vedere. Se la distanza tra due dettagli in un oggetto è molto minore di una lunghezza d’onda, essi rifletteranno la luce, o altra radiazione, con la stessa fase e saranno quindi indistinguibili. Con la luce visibile, ad esempio, che si estende dai 0.38 micron (millesimi di millimetro) per il violetto ai 0.75 micron per il rosso, si potranno vedere distintamente batteri, di qualche micron, ma non dei virus che sono tipicamente cento volte più piccoli. Immagini più dettagliate richiedono lunghezze d’onda più piccole. Per superare i limiti della luce visibile bisogna quindi passare alla luce ultravioletta, o ai raggi X, o a fasci di elettroni.
La ricerca del piccolo ci ha rivelato una struttura complessa. Anzitutto gli atomi, i blocchetti del grande Lego della materia. Partendo dagli atomi si formano le molecole, dalle più semplici alle più complesse, come il Dna che codifica la materia vivente, o quelle nanostrutture, assemblaggi di centinaia o migliaia di atomi che sono alla base delle più promettenti tecnologie dei materiali.
Gli atomi sono essi stessi strutture complesse, composti da elettroni che ruotano intorno a un nucleo centrale, diecimila volte più piccolo. I nuclei sono composti da protoni, dotati di una carica elettrica positiva, e neutroni, elettricamente neutri. Il nucleo più semplice, quello dell’idrogeno, contiene un singolo protone. All’estremo opposto i nuclei più pesanti, come quello dell’uranio, che contengono oltre duecento tra protoni e neutroni. A loro volta protoni e neutroni sono composti da quark, particelle che allo stato delle conoscenze sono considerate elementari, cioè non ulteriormente scomponibili.
Con gli atomi, i nuclei e le particelle elementari entriamo nel regno della meccanica quantistica, un mondo strano e diverso, in cui non possiamo guardare un oggetto senza disturbarlo. La radiazione luminosa è composta da quanti, la cui energia è inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda: a lunghezza d’onda più piccola corrisponde un’energia più elevata. Ed ecco il problema: per studiare un atomo dobbiamo usare quanti di luce la cui energia è sufficiente a disturbarne la struttura.
Nel regno dei quanti l’osservazione modifica necessariamente l’oggetto osservato. Ma c’è di più: tutte le particelle, elettroni inclusi, si comportano come onde. C’è quindi una confusione di ruoli tra l’elettrone che circola in un atomo e il quanto di luce che usiamo per osservarlo. Ambedue sono particelle che si comportano come onde, osservatore ed osservato si confondono.
Guardare una particella significa farla scontrare con altre, siano esse quanti di luce, elettroni, o anche protoni, e registrare le conseguenze dell’interazione. Tanto maggiore l’energia delle particelle, tanto minore sarà la loro lunghezza d’onda, e di conseguenza più piccoli i dettagli che potranno essere rivelati. Per massimizzare l’energia totale delle particelle che si scontrano, la soluzione più efficace è rappresentata dai collisori, macchine in cui si fanno scontrare frontalmente due fasci di particelle di alta energia.
Questa tecnica è stata sperimentata per la prima volta nei Laboratori di Frascati dell’INFN all’inizio degli anni Sessanta in una piccola macchina, ADA, realizzata sotto la direzione di Bruno Touschek, e la sua ultima espressione è LHC, il gigantesco collisore di protoni - 27 chilometri di circonferenza - che sta per entrare in funzione al CERN di Ginevra. L’energia dell’urto può trasformarsi in nuove particelle, tra cui molte che per la loro vita effimera non si trovano in natura.
Tra le scoperte più sensazionali, i quanti delle interazioni deboli, i bosoni W e Z, e tre nuovi quark, l’ultimo dei quali, il quark t (top) è la più pesante particella sinora nota, quasi duecento volte la massa di un protone.
Lo sviluppo della fisica delle particelle ha offerto il campo a una eccitante gara tra teoria ed esperimento. In molti casi la teoria ha sopravanzato l’esperimento, prevedendo ad esempio le caratteristiche e la massa dei bosoni W e Z. Altre volte l’esperimento ha portato a scoperte inattese, come quella di una asimmetria tra materia ed antimateria.
L’insieme dei fatti sinora accertati si inquadra nel cosiddetto Modello Standard, affinato e verificato con grande precisione negli ultimi decenni. Molti indizi mostrano però che il lavoro è ben lungi dall’essere completo. Il Modello Standard è ancora imperfetto, perché non comprende una corretta descrizione quantistica della forza di gravitazione. Un secondo indizio proviene dalla cosmologia: gran parte della materia nell’universo, la cosiddetta materia oscura, è composta da particelle mai osservate nei nostri laboratori. I teorici stanno mettendo a punto le possibili teorie del futuro, prima tra tutte la cosiddetta teoria delle stringhe. Ma solo l’incontro tra teoria ed esperimento, come ha insegnato Galilei, porterà un progresso decisivo, ed è quindi forte l’attesa per quanto il nuovo collisore LHC del CERN potrà rivelare.
L’attualità del caso Galileo mentre si chiude a Firenze un convegno a lui dedicato
Se la Chiesa processa gli eretici di oggi
A cento anni dalle sue scoperte, il rito accusatorio contro lo scienziato ripropone tutta la violenza contro la Ragione di cui la Fede è capace
di Adriano ProsperiRepubblica 30.5.09
L’invito a rileggere il processo a Galileo spicca nel programma del convegno fiorentino che si chiude oggi ad Arcetri. E’ un invito da prendere sul serio. La ricorrenza centenaria di quello straordinario 1609 quando Galileo passò le notti a guardare il cielo col cannocchiale ha certamente qualcosa da dire al nostro presente. Quello fu un momento altissimo della cultura italiana nella fase matura della sua egemonia europea, come documenta la splendida mostra fiorentina curata da Paolo Galluzzi. Ad esso seguì un precipitoso declino. Anche a causa di quel processo, col quale, scrisse John Milton, la censura ecclesiastica «spense l’ardore dell’ingegno italiano». Si chiudeva il processo a Galileo, si apriva quello alla Chiesa . Oggi sono le autorità della Chiesa cattolica a difendersi, parlando di un «malinteso», di una «reciproca incomprensione» (così papa Wojtyla), di un problema del rapporto «tra ragione e fede», come scrive l’attuale arcivescovo di Firenze. Fede e Ragione, Chiesa e Ricerca: grandi parole, frastornanti per chi vuol capire che cosa accadde allora. Per questo bisogna rileggere i documenti.
Davanti alle carte processuali si è presi come da una vertigine pensando alla storia che documentano e a quella che hanno creato. Una storia non di avventure, di fede e di passione, come avrebbe detto Benedetto Croce, ma piuttosto di violenze e di astuzie, di volpi e di leoni. Astuzia di Galileo, per esempio. Aveva a che fare con poteri occhiuti e sospettosi. Perciò si tutelò con ben due «imprimatur» nel pubblicare il suo Dialogo: il che mise in imbarazzo i giudici e dette al processo un andamento peculiare. Il potere gli si presentò coi modi vellutati del gesuita Bellarmino nell’incontro del febbraio 1616, quando il cardinale cercò di convincere quel brillante professore a dissimulare la sostanza della sua scoperta. Ma la violenza dei nemici - tanti, per l’odio che sempre si scatena davanti alla vera creatività - era già nell’aria se, come sembra, è autentico il discusso documento dell’intimazione del Commissario Segizzi su cui il processo del 1633 fece leva. Il processo, un testo di inesauribile fascino drammatico, all’altezza delle massime espressioni del teatro barocco, si concluse come doveva. Galileo si arrese alla forza mascherata di diritto: «Son qua nelle loro mani, faccino quello li piace».
Il fascicolo fu riposto nell’archivio del Sant’Uffizio, il carcere-tribunale più antico di tutta Italia, un vero monumento storico dell’immobilità del potere nel paese più ballerino e traballante d’Europa. Ci vollero le armate di Napoleone per farlo uscire da lì. Quello che se ne seppe fu solo la sentenza di condanna, inviata a pochi e ben mirati destinatari. In Italia i professori lessero e giurarono. Lo stesso fecero quasi tutti i loro eredi del secolo scorso, negli anni dell’abbraccio fra regime fascista e Santa Sede. Riflessi condizionati. Su questi precedenti si basano i tentativi che ancora si fanno da noi di imporre vincoli di legge a chi cura gli immigrati , i malati, i morenti.
Oggi su queste carte antiche si tenta di aprire un processo nuovo: non più quello di rito inquisitorio, della rigorosa ricerca della verità, ma quello di rito accusatorio in cui il giudice media tra due contendenti . Al posto di Galileo che voleva che la terra si muovesse c’è oggi la Scienza. Al posto di papa Barberini che la voleva immobile c’è la Fede, candida e benevolente. E’ tra questi due contendenti che si vuole cercare l’accordo. Ma, come sono in genere i patteggiamenti che nei tribunali permettono di beffare la giustizia, anche questa offerta di accomodamento sembra piuttosto truffaldina. La fede, quella con la minuscola, non c’entra, non è una istituzione, è una cosa che ha tante forme quanti sono gli esseri umani. C’entra la Chiesa come potere, quel potere che in Italia ha fatto di ogni riformatore un eretico.
La «reciproca incomprensione» è una formula adatta alle liquidazioni di incidenti automobilistici per «concorso di colpa». E la colpa di Galileo è una sola: a lui si dovette la sconfitta del sistema di potere che saldava filosofia aristotelica e geografia tolemaica nel disegno di un mondo chiuso sotto il sigillo simbolico del Libro sacro affidato da un Dio al di sopra delle nubi a un Vicedeo in terra. Quel fatto è incancellabile. Dagli orizzonti di allora il mondo si è allontanato quanto da noi si allontanano i satelliti che portano il nome di Galileo tra le stelle.
L’Archivio Segreto Vaticano rende noti i documenti originali del processo
"Il nostro contributo all’anno dell’Astronomia e alla verità storica"
L’uomo che salvò Galilei dal rogo
Quando il cardinale scrisse: "Non è un eretico". E lo scienziato fu prigioniero a vita
di ORAZIO LA ROCCA *
CITTA’ DEL VATICANO - Galileo Galilei fu salvato dal rogo grazie al deciso intervento del suo principale accusatore, il cardinale Roberto Bellarmino (1542-1621). Sembra quasi un paradosso, ma stando ai nuovi documenti che il Vaticano sta per pubblicare, il porporato durante lo storico processo a carico dello scienziato pisano (celebrato presso il tribunale del Sant’Uffizio dal 1616 al 1633) scrisse di suo pugno un documento nel quale specificava che Galilei "non è eretico", ma che le sue tesi andavano in quella direzione.
Una precisazione non da poco che bloccò di fatto la infernale macchina dell’allora giustizia papale che avrebbe portato il padre della scienza moderna quasi certamente al rogo come Giordano Bruno.
Alla fine del processo, Galilei - grazie alla forzata abiura delle sue tesi copernicane che sostenevano con assoluta certezza che è la terra a girare intorno al sole e non viceversa - fu condannato al carcere domiciliare e i suoi scritti inseriti nell’Indice dei libri proibiti e quindi vietati.
Il testo completo dell’intervento con cui fu salvata la vita di Galilei, unitamente all’intera documentazione del processo finora custodita in Vaticano, vedranno la luce per la prima volta alla fine del prossimo mese di giugno grazie alla pubblicazione del libro "I documenti vaticani del processo di Galileo Galilei" curato dall’arcivescovo Sergio Pagano, prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano.
Non è la prima volta che dal Vaticano vengono pubblicati i testi di uno dei più controversi processi della storia. Il primo papa che aprì gli archivi agli studiosi fu Pio IX nel 1877. Ma si deve a Giovanni Paolo II - confortato dall’allora cardinale Joseph Ratzinger, prefetto dell’ex Sant’Uffizio - la spinta definitiva verso la completa riabilitazione di Galileo col mea culpa del 2000. Il passo fu preceduto - a livello di studio dei testi del processo - da una prima pubblicazione curata da monsignor Pagano nel 1994. "Ma fu un lavoro non completo e fatto un po’ troppo in fretta, con poche note esplicative e qualche lacuna", ammette con prudenza il porporato.
Ora, con Benedetto XVI, i documenti custoditi da secoli in Vaticano saranno resi noti "nella loro interezza, con tutte le fonti storiche riportate alla luce con obiettività ed equilibrio". La nuova edizione - che contiene tutti i testi del processo conservati nell’Archivio Segreto Vaticano, nell’Archivio Storico della Congregazione della Dottrtina della fede e nella Biblioteca Apostolica Vaticana - "comprende tutti i documenti relativi ai dibattimenti processuali, una ventina dei quali sono nuovi, nel senso che non sono mai stati presentati al grande pubblico", anticipa Pagano. Il volume - un enorme testo di 550 pagine con 16 tavole raffiguranti le trascrizioni del dibattimento processuale e la sentenza finale - è pubblicato in coedizione dalla Collectanea Archivi Vaticani e dalla Pontificia Academia Scientiarum. Scripta varia.
"L’Archivio Segreto Vaticano - tiene a precisare il vescovo-prefetto - con questa pubblicazione, fatta nella maniera più umile rifacendosi alle fonti storiche con obiettività a rispetto della verità, ha voluto contribuire a rendere un concreto omaggio all’Anno dell’Astronomia che si sta celebrando in tutto il mondo. Un volume destinato a tutti, studiosi, ricercatori, ma anche a quanti sono amanti della verità storica".
* la Repubblica, 28 maggio 2009
Giordano Bruno può attendere
di Michele Smargiassi (la Repubblica, 28.05.2009)
La Terra, intesa come pianeta, non ha atteso il 31 ottobre 1992, giorno in cui Giovanni Paolo II riabilitò Galileo Galilei, per mettersi a girare attorno al sole: in evidente spregio ai dogmi lo faceva già da quattro miliardi di anni. Quindi non è chiaro quali benefici effetti sul pensiero umano potrebbe avere la riabilitazione di Giordano Bruno, sollecitata (per la verità senza eccessive speranze) dal fisico Nicola Cabibbo, presidente della Pontificia accademia per le scienze, in un’intervista a Famiglia Cristiana.
Le teorie sull’universo e sulla natura dell’uomo del domenicano ribelle, arso sul rogo in Campo de’ Fiori nell’anno del Signore 1600, sono ancora in buona parte indigeribili per la dottrina cristiana; ma è apprezzabile la buona volontà. Del resto, anche Charles Darwin è stato "perdonato" dal Vaticano nel ’96, ma provate a insegnare l’evoluzionismo in certe scuole cattoliche. Senza contare che una netta differenza tra lo scienziato e il filosofo esiste: se nei confronti di Darwin la reazione della Chiesa si limitò ad essere fredda, con Giordano Bruno fu invece molto, molto calda.
Una risposta a Nicola Cabibbo, convinto che nel Seicento ai teologi mancassero gli strumenti per valutare le tesi dello scienziato
La Chiesa comprese Galileo ma non fu meno colpevole
Il pentimento di oggi lascia intatte le responsabilità di ieri
di Emanuele Severino (Corriere della Sera, 27.05.2009)
Nel suo articolo «Perché i teologi non capirono Galileo» («Corriere», 6 maggio) Nicola Cabibbo sottolinea opportunamente l’insistenza di Galilei per ottenere il titolo di Filosofo e Matematico primario del Gran duca, nella Firenze dei Medici. «Non solo Matematico», scrive Cabibbo, «ma anche e anzitutto Filosofo». E altrettanto opportunamente richiama l’opposizione di Galilei alla filosofia aristotelica (che sta alla base della teologia cattolica) in nome di quella pitagorica e atomistica. Ma che cosa intende Galilei con la parola ’Filosofo’? La questione è decisiva. Solo a partire da essa si può accertare se la Chiesa del primo Seicento non abbia saputo «valutare correttamente», come sostiene Cabibbo, «l’impatto filosofico della nuova scienza».
Il pitagorismo e l’atomismo democriteo differiscono certamente dall’aristotelismo, ma con quest’ultimo hanno in comune l’essenziale. Tale tratto essenziale queste filosofie l’hanno in comune con lo stesso pensiero di Galilei. Insieme ad altri, altrettanto essenziali, esso accomuna l’intera tradizione filosofica dell’Occidente. Galilei lo indica con potenza e nel modo più esplicito.
Ad esempio verso la fine della «prima giornata» del Dialogo dei massimi sistemi. Si incomincia a introdurre, in questo testo, «una distinzione filosofica» tra l’«intensità» (ossia la qualità, il grado di perfezione) e l’«estensione » della conoscenza. Quanto all’«estensione », l’intelletto umano conosce ben poco, ma quanto all’«intensità» delle «proposizioni» esso «ne intende alcune così perfettamente, e ne ha così assoluta certezza» da eguagliare la stessa conoscenza che Dio possiede di esse. Sono le «proposizioni» delle «scienze matematiche pure, cioè la geometria e l’aritmetica, delle quali l’intelletto divino ne sa bene infinite proposizioni di più, perché le sa tutte, ma di quelle poche intese dall’intelletto umano credo che la cognizione agguagli la divina nella certezza obiettiva, poiché arriva a comprenderne la necessità, sopra la quale non par che possa esser sicurezza maggiore». In queste righe sta parlando la grande filosofia - e, propriamente, la grande tradizione del pensiero filosofico.
L’intelletto divino conosce tutte le infinite proposizioni matematiche; quello umano ne conosce «poche» («è come nullo»); ma quelle poche le conosce come sono conosciute dall’intelletto divino. I due intelletti sono uguali quanto alla «certezza obiettiva», quella cioè che non ha come contenuto qualcosa di illusorio o di probabile, ma la realtà stessa così come essa è. E perché l’intelletto umano riesce ad «agguagliare » quello divino quanto alla «certezza obiettiva »? Perché - e qui la forza filosofica del testo raggiunge il proprio culmine -, rispetto alle «proposizioni» matematiche l’intelletto umano «arriva a comprenderne la necessità, sopra la quale non par che possa esser sicurezza maggiore ».
La necessità! La filosofia nasce portando alla luce il senso della necessità - la necessità di un sapere che non possa essere smentito da alcuna potenza umana o divina - di un sapere, dunque, che eguaglia, quanto alla sua ’intensità’, lo stesso sapere di un Dio. Si dice, di Dio, che è l’Ente di cui non si può pensare uno maggiore; ma innanzitutto è la necessità a mostrarsi come la ’sicurezza’ (l’incontrovertibilità) della quale non si può pensare una maggiore e che quindi è essa a garantire la stessa sicurezza intorno all’esistenza di un Dio.
In quelle righe di Galilei sta parlando la grande filosofia perché l’affermazione che alle proposizioni matematiche compete la necessità, «sopra la quale non par che possa esser sicurezza maggiore», tale affermazione, dico, non è un’affermazione matematica, ma filosofica. Alla filosofia, non alla scienza, compete da sempre il compito di comprendere il senso della necessità e della non-necessità e di stabilire a quali conoscenze competa l’una o l’altra di queste due fondamentali categorie.
Eschilo, uno degli alti sovrani della filosofia, esprime l’intera tradizione filosofica dicendo che «la tecnica è troppo più debole della necessità»: più debole, cioè più insicura della necessità sopra la quale non può esservi sicurezza maggiore. Oggi, attraverso una grandiosa apocalisse del pensiero filosofico, si deve dire che la necessità è troppo più debole della tecnica. E nemmeno questa è un’affermazione di carattere scientifico-tecnologico. Relativamente alla convinzione che la necessità costituisca la «sicurezza maggiore», Galilei sta comunque dalla parte di Eschilo, Platone, Aristotele, Agostino, Tommaso. Per lungo tempo, fino ad Einstein compreso, la scienza starà da questa parte. Poi, anche la scienza, e anche la stessa «geometria» e «aritmetica», giungeranno a considerare le proprie «proposizioni» non come delle necessità, ma come ipotetiche, probabili, falsificabili.
E la Chiesa? La Chiesa che condanna Galilei? Bisogna proprio dire che non fu all’altezza del suo grande interlocutore e che non seppe «valutare correttamente l’impatto filosofico della nuova scienza», secondo quanto sostiene Cabibbo? La risposta va articolata. Da un lato, il senso che per Galilei compete alla necessità è quello stesso che la Chiesa tien fermo. Tra la Chiesa e il suo avversario esiste, su questo punto fondamentale, una profonda solidarietà. Sia l’una sia l’altro credono che nell’uomo sia presente un sapere necessario. Dall’altro lato, la Chiesa del XVII secolo ritiene che la necessità competa alla filosofia di Tommaso d’Aquino e quindi, da ultimo, alla sapienza filosofica greca, soprattutto a quella aristotelica, mentre per Galilei la necessità compete, nella conoscenza della natura, soltanto alla matematica.
Ma proprio per questo nella Chiesa di quel tempo ci fu chi seppe «valutare correttamente l’impatto filosofico della nuova scienza», ed ebbe anzi una comprensione di essa essenzialmente più avanzata di quella del suo pur grandissimo interlocutore. Mi riferisco al cardinale Roberto Bellarmino. Egli ebbe a possedere della scienza, matematica compresa, lo stesso concetto che la scienza ha oggi di sé stessa: di non essere un sapere necessario, ma soltanto ipotetico, probabile, falsificabile. E appunto per questo egli esorta Galileo a esporre le proprie dottrine non come un sapere necessario che costringe ’assolutamente’ a modificare la lettera delle Scritture (cioè l’affermazione del movimento del sole), ma come ipotesi che, come tali, possono convivere con quella lettera. E aggiunge che se ci fosse «vera dimostrazione» della teoria copernicano- galileana - se questa teoria apparisse cioè come una necessità - «allora bisogneria andar con molta considerazione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, e più tosto dire che non l’intendiamo, che dire che sia falso quello che si dimostra». Quel che si dimostra come necessario non può essere falso - anche se, insieme, egli dichiara di avere «grandissimo dubbio» che quella «vera dimostrazione» ci possa essere. Il dubbio da cui dev’essere afferrato chi ormai, a differenza di Galilei, si è reso conto che la scienza non può parlare ’assolutamente’.
La Chiesa che oggi si pente di aver condannato Galilei è cioè meno avanzata di quella che lo ha condannato. Questo, si capisce, guardando al puro contenuto concettuale della controversia, non al contesto storico-sociale in cui essa si è svolta.
Dibattiti
Il teorico delle particelle, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze, giudica gli errori che portarono al processo
Perché i teologi non capirono Galileo
Alla Chiesa del Seicento mancò un pensatore illuminato come Tommaso d’Aquino
di Nicola Cabibbo (Corriere della Sera, 23.05.2009)
Quando nel 1610 si spostò da Padova a Firenze presso la corte dei Medici, Galilei insistè per ricevere il titolo di Filosofo e Matematico primario del Gran duca. Non solo Matematico, come Keplero presso la corte imperiale di Praga, ma anche e anzitutto Filosofo. Questa richiesta è fondamentale per capire la vastità del progetto galileiano: una scienza che non si accontenta di esplorare e descrivere fenomeni ma aspira a una comprensione totalizzante della natura. Un tale programma diviene necessariamente una filosofia; alla sua base il famoso passo de Il saggiatore (Feltrinelli) in cui Galilei afferma che il grande libro della natura è scritto in caratteri matematici. È dalla matematica che bisogna ripartire per capire il mondo.
Gli sviluppi della scienza e delle tecniche, rappresentati da scienziati come Nicola Copernico o William Gilbert, o dai grandi scienziati- artisti-ingegneri del Rinascimento italiano, da Leonardo a Guidobaldo del Monte, non potevano essere inquadrati nella filosofia allora dominante, quella di Aristotele. In Aristotele la natura era descritta in termini di «forma» e «sostanza», concetti che non permettono di andare oltre una discussione puramente qualitativa dei fenomeni naturali. Il passaggio dal qualitativo al quantitativo richiedeva una filosofia diversa, quella di Pitagora, secondo cui tutto è numero.
Ancora oggi l’innegabile successo della descrizione matematica della natura è fonte di meraviglia. Quando nel 1960 Eugene Wigner, uno dei padri della meccanica quantistica, scrisse un saggio, ormai divenuto un classico, sulla Irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali dovette conchiudere che «we do not know why our theories work so well», non sappiamo perché la matematica funzioni così bene.
La nuova filosofia della natura si scontrava quindi con quella dominante, ma anche con il pensiero teologico che, tramite la scolastica, proprio nella filosofia di Aristotele aveva trovato le sue fondamenta razionali.
Essere contro Aristotele nel Seicento era estremamente rischioso. Come sappiamo, lo scontro portò alla messa all’indice delle opere di Copernico nel 1616 e al processo contro Galilei del 1633. Lo sviluppo delle conoscenze scientifiche che si trasformava necessariamente in filosofia della natura aveva gettato un forte sospetto di eresia su Galileo e i suoi seguaci.
Alla Chiesa mancò all’inizio del Seicento una personalità del calibro intellettuale di un Tommaso d’Aquino, che sapesse valutare correttamente l’impatto filosofico della nuova scienza, a cominciare dalle scoperte astronomiche di Galilei del 1609.
Fondamento del metodo di Galilei è un’immagine del funzionamento della natura in cui inquadrare i fenomeni particolari. Galilei è atomista convinto, vede tutta la materia come composta da particelle che si muovono nel vuoto, e questa immagine del mondo guida la sua ricerca. L’atomismo fa da sfondo agli studi sul galleggiamento, è centrale ne Il saggiatore, e ispira la discussione della resistenza dei materiali nei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze del 1637. Non soltanto il pitagorismo, anche l’atomismo si scontra con Aristotele.
Come ha dimostrato Pietro Redondi, nel suo Galileo eretico (Einaudi), l’atomismo di Galilei giocò un ruolo non indifferente dietro le quinte del processo del 1633. Galilei era convinto che tutta la materia, sia sulla terra che nei corpi celesti, obbedisce alle stesse leggi. E questa convinzione, confermata dalle sue scoperte astronomiche, lo aveva portato al sistema copernicano, secondo cui la terra gira intorno al sole e ruota su se stessa.
Un elemento essenziale del metodo di Galilei consiste nel semplificare al massimo i fenomeni che si desidera studiare, sfrondandoli per quanto possibile da effetti secondari che oscurano il risultato cercato.
Per studiare la legge che regola il moto dei corpi conviene concentrarsi su oggetti pesanti, meno influenzati dalla resistenza dell’aria. E poi conviene rallentare la velocità della caduta, studiando il rotolamento su un piano inclinato. L’ultimo passo consiste nello studiare il moto di un pendolo, che elimina l’attrito.
Affrontando lo stesso problema da più punti di vista, in condizioni sperimentali diverse - il moto di un proiettile, il rotolamento su un piano inclinato, il pendolo - Galilei arriva a isolare il cuore del fenomeno, a determinare le leggi del moto. I Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze contengono alcuni bellissimi esempi di esperimenti mentali. Si tratta di uno strumento del tutto originale, che è forse il massimo contributo di Galilei allo sviluppo delle scienze: immaginare un esperimento, anche se non facilmente realizzabile, il cui risultato è tuttavia evidente. Un esempio tra tanti: se un oggetto si muove verso il basso, il suo moto è accelerato, se si muove verso l’alto il moto è ritardato, quindi Galileo può affermare che su un piano orizzontale l’oggetto non sarebbe né accelerato né ritardato, ma si muoverebbe a velocità costante. Tanto evidente è questa conclusione che non è necessario eseguire l’esperimento. Anzi l’esperimento non riuscirebbe perché non è possibile eliminare del tutto l’attrito, ma la conclusione resta.
Esperimenti mentali di questo tipo sono alla base della scoperta della gravitazione universale di Newton - la Luna cade come una mela? - o della teoria della gravità di Einstein - che cosa succede in un ascensore in caduta libera?
La fertilità del lavoro di Galileo per lo sviluppo delle scienze è impressionante, e si sviluppa già nei decenni successivi alla sua scomparsa. Nelle ricerche di Galilei troviamo i semi della scoperta del barometro di Torricelli, o della legge della gravitazione universale di Newton.
Intorno al 1675 Giovanni Cassini e il danese Ole Rømer, che studiavano un metodo proposto da Galilei per la determinazione della longitudine, osservarono delle irregolarità nel periodo di rotazione dei satelliti di Giove. Ottennero così la prima misura della velocità della luce, rispondendo a una precisa domanda posta da Galilei nei Discorsi. È conoscendo la velocità della luce che James Bradley, studiando l’aberrazione stellare, un piccolo spostamento della posizione apparente delle stelle, potè trovare nel 1729 una dimostrazione del moto della terra intorno al sole, quella dimostrazione che Galilei aveva inutilmente cercato cent’anni prima.
Firenze Caso Galileo, si riapre la discussione sullo scienziato
Con la Chiesa ci fu «una tragica incomprensione» disse Giovanni Paolo II: un convegno dal 26 maggio farà il punto su una questione tutt’altro che chiusa. Lo inaugurerà il presidente Napolitano
DA FIRENZE ANDREA FAGIOLI (Avvenire, 14.05.2009)
Galileo e la Chiesa: il caso non è chiuso, è ancora discusso. La tensione che si trascina da quattro secoli non sembra del tutto superata nonostante il riconoscimento unanime dell’errore commesso dai giudici nel condannare lo scienziato pisano: conseguenza di una «tragica incomprensione», disse Giovanni Paolo II nel 1992.
Il tormentato ’Caso Galileo’ continua dunque a far discutere, rimanendo, come osserva Paolo Rossi, Accademico dei Lincei, ancora una tra le «questioni più scottanti» non solo della storiografia, ma anche delle ricerche e dei dibattiti filosofici e teologici contemporanei. Ed è in questo contesto che si inserisce il Convegno internazionale di studi «Il caso Galileo. Una rilettura storica, filosofica, teologica», in programma a Firenze dal 26 al 30 maggio, organizzato dall’Istituto Stensen dei gesuiti di Firenze, diretto da padre Ennio Brovedani, ideatore dell’iniziativa.
Primo appuntamento il 26 maggio nella suggestiva cornice della Basilica di Santa Croce (dove si trova la tomba di Galileo) con la cerimonia inaugurale alla presenza del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e le ’Lectiones magistrales’ di Paolo Rossi e Nicola Cabibbo (presidente della Pontificia Accademia delle scienze).
«La partecipazione del presidente della Repubblica sottolinea padre Brovedani - rivela che il Quirinale ha colto non solo il valore culturale del convegno, ma anche e soprattutto la sua alta valenza politica. La memoria del passato e la corretta contestualizzazione della vicenda galileiana contribuirà sicuramente a favorire le condizioni per un rapporto di collaborazione e serenità tra la Chiesa e le istituzioni di ricerca, soprattutto nella prospettiva delle complesse e, a volte, inedite problematiche filosofiche ed etiche sollevate dalle prospettive della ricerca bio-tecnoscientifica contemporanea».
Da mercoledì 27 a venerdì 29 il Convegno (che ha ottenuto il consenso e la partecipazione di 18 autorevoli istituzioni, rappresentative di importanti settori della vita culturale e scientifica) proseguirà al Palazzo dei Congressi (iscrizioni su www.galileo2009.org) dove interverranno i massimi esperti e studiosi mondiali della tematica (teologi, storici, filosofi): da George Coyne a Evandro Agazzi, da Nicola Cabibbo a Maurice Clavelin, da Paolo Prodi ad Adriano Prosperi, da Annibale Fantoli a Jean-Robert Armogathe, da Isabelle Pantin a Michele Ciliberto. L’evento finale si terrà sabato 30 a Villa il Gioiello ad Arcetri (Firenze), l’ultima dimora di Galileo, dove Evandro Agazzi, Paolo Galluzzi, Paolo Prodi e Adriano Prosperi si confronteranno sul caso Galileo nella contemporaneità, sui rapporti tra la Chiesa e la ricerca tecnoscientifica.
«Per la ragione moderna la condanna di Galileo conclude padre Brovedani rappresenta indubbiamente una tragedia, in considerazione soprattutto delle profonde lacerazioni che ha generato in molte coscienze. Questo Convegno potrebbe segnare in proposito una svolta storica».
Per i 400 anni dalle prime osservazioni astronomiche, Pisa rende omaggio al suo cittadino -più illustre con una mostra che indaga i rapporti tra arti figurative e scoperte scientifiche
Scienza & Arte al tempo di Galileo
di Claudio Strinati (la Repubblica, 07.05.2009)
Quadri, sculture, disegni, libri e oggetti raccontano l’influenza del grande studioso sui maggiori artisti dell’epoca
È alle origini di un modo nuovo e diverso di vedere la realtà. Che usa la pittura come strumento primo di conoscenza
Galileo Galilei nasce umanista e diventa scienziato. La mostra allestita nelle sale del Palazzo Blu di Pisa tiene nel massimo conto questo dato di fatto. Galilei fu un colto letterato e uno studioso molto partecipe della teoria delle arti, ma resta sempre un po’ difficile capire in che misura il suo essere stato un vero umanista abbia condizionato o meno il metodo scientifico messo a punto prima in un consenso larghissimo e poi in mezzo a tremende polemiche e lotte. La mostra racconta questa vicenda, di massima rilevanza nella nascita della coscienza dell’uomo moderno occidentale, perché è lecito sostenere che Galilei, insieme con gli amici della appena nata Accademia dei Lincei, sia veramente alle origini di un modo nuovo e diverso di vedere la realtà intorno a noi. Questo provocò reazioni in ogni campo del sapere basato sull’osservazione delle cose naturali. L’arte fu il terreno d’incontro con la scienza perché a quel tempo coloro che praticavano l’arte si erano spostati verso un approfondimento sempre più accentuato degli studi sulla sua stessa essenza.
Il ’500 era stato il secolo della teoria e dell’investigazione in chiave scientifica del significato e dei fini dell’arte. Gli artisti avevano sviluppato una coscienza critica e speculativa quale mai si era manifestata nel corso dei secoli precedenti. Michelangelo e Leonardo da Vinci, il Pontormo, Benvenuto Cellini, il Vasari, Federico Zuccari e tanti altri si erano distinti non solo per il loro lavoro creativo ma anche per lo sforzo di fare chiarezza sul senso e sul ruolo dell’arte nella società.
Galilei da giovane si era formato in questa direzione e terrà conto di tutto questo dibattito quando, nel 1612, scriverà al suo pittore prediletto, il fiorentino Ludovico Cardi detto il Cigoli impostosi a Roma tra i primi maestri del tempo. Intorno a questa lettera sono stati espressi numerosi pareri nel tempo e il suo contenuto è ben presente agli ordinatori della mostra. Per arrivarvi si passa attraverso un percorso che prima rievoca il momento formativo di Galilei tra Pisa, Firenze e Padova. Libri, dipinti e oggetti introducono alla conoscenza dell’arte del secondo ’500, quel "manierismo" che Galilei vede nella sua giovinezza e che respinge per accostarsi a un ideale estetico di sobrietà e magniloquenza insieme, già presente nella pittura scientifica di un grande maestro del tempo, ora giustamente riconsiderato, Jacopo Ligozzi. È l’ambiente che privilegia l’osservazione diretta della realtà e considera l’arte della pittura come strumento in primo luogo di conoscenza.
Sommo esponente di una simile mentalità fu il Caravaggio, anche lui ricordato nella mostra. Il manierismo predilesse la moltiplicazione delle immagini, la "curiosità", l’accumulo degli oggetti in una sorta di geniale dispersione che stimolò i più grandi ingegni ma saturò. La mostra ricorda questo tipo di mentalità ricostruendo i "gabinetti delle meraviglie" che sorsero presso tante corti d’Europa a dimostrazione della superiorità del sapere occidentale in grado di dominare ogni cosa e ogni evento nelle maglie di una suprema razionalità.
Galileo sovrasta questo mondo e la mostra affronta il punto culminante quando egli intesse i suoi rapporti con i grandi artisti del tempo, non solo il Cigoli ma anche altri personaggi di livello universale come il tedesco Adam Elsheimer a Roma nel primo decennio del ’600, la cui opera è stata spesso accostata alle modalità di osservazione del creato messe in atto da Galilei. Sfilano davanti ai nostri occhi i grandi "naturalisti" del ’600, dallo spagnolo Ribera, il primo a dipingere il cannochiale, a Orazio e Artemisia Gentileschi, dai grandi toscani fervidi e curiosi come Furini, Paolini, Tornioli al Guercino e a quel Justus Sustermans che lasciò un ritratto di Galilei, raffigurato in tarda età ormai cieco e stanco e pure animato da un impeto irrefrenabile da cui nessuno riuscì a farlo arretrare.
La mostra individua nel libro di Galilei Sidereus Nuncius il grande discrimine dopo il quale la scienza moderna entra a pieno titolo nel rinnovato dibattito sul ruolo e la funzione delle arti. A Cigoli, che nel suo affresco dell’"Asssunzione della Vergine" in S. Maria Maggiore a Roma, aveva raffigurato la luna proprio come la si vedeva attraverso il cannocchiale, Galilei, nella lettera del 1612, aveva ribadito l’antica idea in base a cui è la pittura l’arte principe che meglio di ogni altra ci avvicina alla realtà intesa come verità delle cose. Ritornava il sensibile scrittore che anni prima si era speso per difendere la bellezza della poesia dell’Ariosto elevandola su quella di qualunque altro.
Lo scrittore matematico
di Piergiorgio Odifreddi (la Repubblica, 07.05.2009)
Per Italo Calvino, che di certe cose si intendeva, Galileo è stato il più grande scrittore italiano. Di questa qualifica si può confutare il superlativo, ma non il sostantivo, perchè colui che è stato inconfutabilmente il più grande scienziato italiano iniziò la sua carriera come umanista: più precisamente, come "scolaro artista" dello Studio di Pisa dal 1581 al 1585. I suoi Scritti letterari contengono sonetti e canzoni, considerazioni sul Tasso e postille all’Ariosto, e addirittura la traccia di una commedia. Ma spiccano soprattutto le Due lezioni all’Accademia Fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell’Inferno di Dante, tenute nel 1588: in esse, dopo aver dichiarato che lo studio dell’Inferno è ancora più meraviglioso di quello della Natura, Galileo passa a determinare le misure di gironi e bolge in maniera scientifica, mescolando osservazione sperimentale e deduzione logica. Questo tipo di analisi matematica della letteratura rivela un Galileo in via di traghettamento dall’umanesimo alla scienza. Effettivamente, nel 1584 era stato avviato alla matematica da un amico del padre, e ne era rimasto catturato. Abbandonati l’anno dopo gli studi artistici, si era dedicato alla lettura dei classici scientifici, da Euclide ad Archimede. Diventato matematico professionista, nel 1589 Galileo ottenne un lettorato triennale a Pisa e nel 1592 la cattedra presso lo Studio di Padova ambíta da Giordano Bruno, sulla quale rimase fino al 1610. In questo periodo aderisce all’eliocentrismo.
Nel frattempo stava diventando uno scienziato maturo: in una lettera del 29 novembre 1602 a Guidobaldo del Monte enunciò la legge dell’isocronia del pendolo, che la leggenda vuole avesse intuito fin dal 1583, quand’era ancora "scolaro artista" a Pisa, osservando le oscillazioni di una lampada nel duomo. Il 10 ottobre 1604 un tal Baldassarre Capra osservò a Padova per la prima volta una "stella nuova" nella costellazione del Serpentario, che rimase visibile per circa un anno e mezzo e scatenò una diatriba sulla sua natura. Galileo tenne tre affollate lezioni in cui dimostrò che non si trattava di un fenomeno sublunare, ma celeste, andando contro la teoria aristotelica dell’incorruttibilità del cielo. In quello stesso anno fu coinvolto in una disputa di priorità col Capra, a proposito di una versione primordiale di ciò che in seguito diventerà il regolo calcolatore. Egli ne descrisse il funzionamento nel primo libro che pubblicò, Le operazioni del compasso geometrico e militare, nel 1606. Ma pochi mesi dopo il Capra rivendicò la paternità dello strumento e Galileo lo citò in giudizio. Il tribunale gli diede ragione e condannò l’avversario per plagio.
Bisogna ammettere però che anche Galileo non andava troppo per il sottile quando si trattava di attribuzioni di priorità. Ad esempio, nell’offrire il cannocchiale al doge di Venezia il 24 agosto 1609, tacque di averlo costruito in seguito alle notizie della sua invenzione arrivate dall’estero. Nel frattempo Galileo aveva fatto un uso diverso della "sua" invenzione: nell’autunno 1609 puntò il cannocchiale in aria e ... apriti cielo! L’attonito scienziato scoprí che la Luna ha monti e valli, Venere fasi simili a quelle lunari, Giove quattro satelliti che gli girano attorno, Saturno strane anomalie (in seguito interpretate come i famosi anelli), il Sole ruota su se stesso, e le costellazioni e la Via Lattea sono composte di innumerevoli stelle: ce n’era abbastanza per entusiasmare il pubblico, turbare gli scienziati e terrorizzare la Chiesa.
Quegli eventi cambiarono la vita di Galileo e la storia della scienza, in un’incalzante successione di tappe: nel 1610 la pubblicazione del Sidereus Nuncius, nel 1613 la corrispondenza con padre Benedetto Castelli sul rapporto tra fede e scienza, nel 1616 il primo ammonimento del Santo Uffizio, nel 1623 la pubblicazione del Saggiatore, nel 1632 quella del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, nel 1633 il processo di fronte all’Inquisizione e l’abiura, nel 1638 la pubblicazione dei Discorsi sopra due nuove scienze, e l’8 gennaio 1642 la morte, nello stesso anno in cui nacque Newton.
COMUNICATO STAMPA
Il congresso potrebbe portare ad una svolta storica della questione: coinvolti i massimi studiosi mondiali
Galileo, Napolitano al convegno internazionale di Firenze
Il Presidente della Repubblica inaugurerà ‘Il caso Galileo’ il 26 maggio
nella basilica di Santa Croce
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano parteciperà all’inaugurazione del convegno internazionale di studi “Il caso Galileo. Una rilettura storica, filosofica, teologica”, in programma a Firenze dal 26 al 30 maggio e organizzato dall’Istituto Stensen dei gesuiti di Firenze, diretto da Padre Ennio Brovedani sj, ideatore dell’iniziativa.
Il convegno verrà inaugurato martedì 26 maggio nella basilica di Santa Croce - mausoleo dei sommi italiani, dove si trova la tomba di Galileo - con le lectiones magistrales di Nicola Cabibbo (presidente della Pontificia Accademia delle Scienze) e Paolo Rossi (Professore emerito di Storia della Scienza dell’Università degli Studi di Firenze). Oltre al Presidente della Repubblica, saranno presenti numerose autorità del mondo istituzionale italiano.
“Ritengo che, visti gli ampi strumenti che verranno messi sul tavolo, il convegno potrebbe portare realmente ad una svolta storica della complessa questione galileiana, una delle più scottanti della storia - ha detto Paolo Rossi - Il convegno affronta, con un’ampiezza finora intentata, tutti i temi essenziali: la condanna della dottrina di Copernico nel 1616 e il processo a Galileo del 1633; la genesi del “caso Galilei” nell’Italia, Francia e Inghilterra del Seicento; la storia di quel caso prima nell’Illuminismo e poi nell’Ottocento (nell’età del positivismo e del Risorgimento) e infine nel Novecento, fino a questi nostri giorni”.
“La partecipazione del Presidente della Repubblica - sottolinea P. Brovedani - rivela che il Quirinale ha colto non solo l’evidente valore culturale del Convegno, ma anche e soprattutto la sua alta valenza politica. La memoria del passato e la corretta contestualizzazione della ‘vicenda galileiana’ contribuirà sicuramente a favorire le condizioni per un rapporto di collaborazione e serenità tra la Chiesa e le istituzioni di ricerca, soprattutto nella prospettiva delle complesse e, a volte, inedite problematiche filosofiche ed etiche sollevate dalle prospettive della ricerca bio-tecno-scientifica contemporanea.”
Il convegno fiorentino ha ottenuto l’adesione e la partecipazione di 18 autorevoli Istituzioni, che si ritrovano per la prima volta insieme dopo 400 anni. Queste istituzioni, rappresentative di importanti settori della vita culturale e scientifica, sono storicamente coinvolte in una vicenda e in un evento che hanno fortemente caratterizzato l’intelligenza e la creatività italiane, innescando tuttavia tensioni mai completamente risolte nei rapporti tra la Chiesa e diversi ambiti della produzione intellettuale.
Al convegno interverranno i massimi esperti e studiosi mondiali del tema (teologi, storici, filosofi): tra gli altri, George Coyne, Evandro Agazzi, Nicola Cabibbo, Claus Arnold, Paolo Prodi, Adriano Prosperi, Annibale Fantoli, Jean-Robert Armogathe, Horst Bredekamp, Michele Ciliberto, Paolo Rossi e Paolo Galluzzi.
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ISTITUTO STENSEN
SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
Telefono: 055.576551
Fax: 055 582029
E-mail: galileo2009@stensen.org
Quattrocento anni fa inventò il cannocchiale.
Da domani al 30 agosto un viaggio nell’affascinante rapporto tra uomo e cosmo
Galileo. Il cielo in una lente
Dai papiri egizi all’Atlante Farnese: la matematica incontra l’arte
La mostra «Galileo. Immagini dell’universo dall’antichità al telescopio» è promossa dall’Ente Cassa di Risparmio di Firenze e dalla Fondazione Strozzi.
Curatore, Paolo Galluzzi, direttore del museo di Storia della scienza di Firenze. Info: www.palazzostrozzi.org, 055/2645155. Catalogo: «Giunti», 444 pagine, 38 euro
La musica
All’interno della mostra sarà presentata la prima esecuzione del canone angelico a 36 voci del frontespizio della Musurgia Universalis di A. Kircher.
Il canto celeste è il sonoro del filmato «L’armonia delle sfere»: partitura di M. Ignelzi, eseguito dal coro Vincenzo Galilei della Normale di Pisa (direttore F. Rizzi)
L’altra mostra «Il futuro di Galileo» , in corso a Padova fino al 14 giugno al Centro Culturale Altinate/San Gaetano, è dedicata alla modernità, all’innovazione e alla capacità di guardare al futuro dello scienziato. Orari: 9-19, dal martedì alla domenica. Il biglietto costa 8 euro, info: 049 2010010
di Wanda Lattes (Corriere della Sera, 12.03.2009)
Trecento pezzi in otto grandi sale. Perfino gli antichi soffitti di palazzo Strozzi sono stati colorati, rivestiti, per per fare intravedere, di colpo, il linguaggio del cielo. Trecento pezzi, oltre alle postazioni multimediali, per addentrarsi nelle più remote suggestioni degli uomini: l’amore, la paura dell’infinito.
La mostra che suggella il quarto centenario delle scoperte rivoluzionarie di Galileo Galilei ha richiesto due anni d’impegno da parte degli studiosi che Paolo Galluzzi, accademico dei Lincei, ha guidato con lo scopo di realizzare non tanto la celebrazione di un genio italiano, quanto di far intendere la cesura che agli inizi del Seicento si ebbe nel mondo della scienza e, dunque, nella vita degli uomini.
Esisteva il rischio di esporre soltanto reliquie galileiane proverbiali: il primo cannocchiale, appunti, ritratti che rievocano la celeberrima condanna per eresia, il salvataggio, la dimora dell’esilio, perfino l’autentico pezzetto di scheletro, l’osso di un dito. Ma il pericolo di una banale agiografia è stato evitato. La mostra è un viaggio (con l’accompagnamento della musica celeste che gli antichi a lungo attribuirono al movimento degli astri) nel rapporto tra uomo e cielo di cui Galileo è solo l’ultimo atto. Ecco dunque come, dai tentativi di interpretare la disposizione dei corpi celesti quale magico, diretto fattore di carattere di ciascun individuo malinconico, flemmatico o rabbioso, si sia passati all’osservazione del cosmo, al ragionamento geometrico che è base delle scienze attuali.
La prima sezione (con papiri, manoscritti e tavolette) risale agli albori dell’astronomia: Mesopotamia, Egitto. Nella seconda e nella terza si semplifica il pensiero greco ed ellenista: Platone, Aristotele, Pitagora, Tolomeo. Poi si individuano le forme del pensiero cristiano, islamico, e si arriva alla rinascita dell’astronomia con Copernico e Tycho Brahe. Fino a che non arriva Galileo che, dando le consegne a Keplero e Newton, apre alla Scienza vera e propria. I pezzi della mostra testimoniano inoltre, con coerenza, come il cielo abbia parlato all’arte.
Ecco, tra Centauri e cigni simbolici, l’Atlante Farnese, splendida statua greca portata a Roma nel 1562. Il vecchio Atlante ha sulle spalle il globo celeste con tanto di equatore, zodiaco e tutte le costellazioni. A tale capolavoro si accostano come rarità le tavolette babilonesi che rispecchiavano diari astronomici, solstizi, equinozi. E poi il globo d’argento del II secolo che in superficie squaderna le 48 costellazioni di Tolomeo. L’arazzo di Toledo è un astrolabio di stoffa variopinta che ha al centro la sfera celeste e attorno meravigliose fantasie di costellazioni. Di Botticelli è esposto un Sant’Agostino; di Rubens, un feroce Saturno. E poi un Atlante del Guercino, una Melanconia di Durer, un’Allegoria dell’aria e del fuoco firmata da Bruegel il vecchio.
Ed eccolo, infine, il simbolo e il fulcro di questa mostra e dell’anno galileiano: il cannocchiale che lo scienziato realizzò per il Granduca Cosimo II, legno, pelle, decorazioni in foglia d’oro, piccolo diaframma, bariletto per le lenti. E, accanto, il suo primo «figlio»: un suggestivo acquerello autografo della Luna, la prima fedele riproduzione dell’immagine catturata finalmente grazie allo strumento appena inventato.
Il biografo William Shea, professore all’università di Padova
«Quel genio della fisica che faceva l’oroscopo»
di Giovanni Caprara (Corriere della Sera, 12.03.2009)
«Li diciotto anni migliori di tutta la mia età». Era soddisfatto Galileo Galilei del suo soggiorno a Padova. Arrivato da Pisa nel 1592, insegnava matematica all’Università da un pulpito di legno che ancora oggi si può osservare all’ingresso dell’aula magna al Palazzo del Bo. «Però i suoi studenti erano perlopiù di medicina - racconta William R. Shea, sulla cattedra galileiana di storia della scienza all’ateneo patavino -. E non tutto comunque gli piaceva. Allora c’erano due facoltà: la più importante, giurisprudenza, aveva 28 professori e accanto esisteva quella delle arti con 19 professori. Quando, all’inizio dell’anno accademico, entravano in fila in cattedrale secondo l’ordine d’importanza, Galileo era il penultimo, seguito dalla retorica. La matematica, allora, non contava molto e il fatto certamente non lo rallegrava. In realtà era suo compito anche l’insegnamento dell’astrologia ».
La cosa all’epoca era normale e Keplero, mentre scopriva il moto dei pianeti, dibatteva, scrivendo, di influssi astrali. «Galileo faceva l’oroscopo per se stesso, per sapere come comportarsi con le due bambine e un ragazzo che aveva in casa, figli della sua compagna Marina Gamba incontrata a Venezia - aggiunge Shea -. E poi ne preparava a pagamento. Quaranta oroscopi esclusi dall’opera omnia galileiana curata dal Favaro alla fine dell’Ottocento saranno ora inseriti nella nuova edizione che stiamo preparando con il coordinamento del professor Galluzzi del Museo della storia della scienza di Firenze».
Ma che tipo di professore era il grande pisano? «Per contratto avrebbe dovuto insegnare sessanta ore all’anno, ma in una lettera rivela di farne appena la metà. Era affacendato in tante altre attività». Tra queste c’era sicuramente il lavoro con il cannocchiale.
«Con le lenti aveva dimestichezza, perché già nel 1602 ne spediva una scatola a un amico di Vicenza. All’epoca erano noti cannocchiali che ingrandivano fino tre volte utilizzando due lenti, una concava e l’altra convessa. Ma erano poco più di un gioco. Galileo, invece, nell’estate 1609 va a Murano dove eccellenti artigiani lavoravano il vetro e lì trova lenti più potenti con le quali costruisce un cannocchiale capace di ingrandire otto-nove volte, un miglioramento enorme. In realtà, però, egli non ha mai capito come funzionasse. Francesco Sagredo gli chiedeva da Venezia delle spiegazioni e Galileo rispondeva di essere troppo impegnato per inviarle. Un anno dopo Sagredo ripete la domanda e lo scienziato, ormai a Firenze al servizio del Granduca e già famoso in tutta Europa, rinvia di nuovo dicendogli che glielo avrebbe spiegato a voce alla prima occasione e non per iscritto».
Nonostante tutto, il genio si manifesta e 400 anni fa compie la storica scoperta delle lune medicee pubblicata sul «Sidereus Nuncius» che rivoluzionano l’astronomia e la scienza, mandando definitivamente in crisi la visione classica del cielo. «Tra l’altro - continua Shea - quando parte per Firenze regala al Doge della Serenissima il cannocchiale che ingrandiva solo nove volte e porta invece con sé quello da venti ingrandimenti. A Firenze non ne costruirà altri per dieci anni, finché non troverà artigiani in grado di aiutarlo. Galileo è stato un grande disegnatore della Luna: nessun altro ha raggiunto il suo livello. E non a caso. Gli piaceva moltissimo e spesso ripeteva, fin da giovanissimo, che avrebbe fatto volentieri il pittore. Modestia a parte, sapeva dipingere davvero, come dimostrano gli acquerelli lunari. La sua grandezza è stata soprattutto nell’abilità di trasportare sulla carta ciò che vedeva al cannocchiale: un’impresa tutt’ora ardua con strumenti ben più perfezionati.
Quello degli artisti, inoltre, ha sempre rappresentato per lui un’ambiente di riferimento dove contava numerosi amici, come Ludovico Cardi, detto Cigoli. E, quando occorreva, li aiutava. Della giovane pittrice Artemisia Gentileschi vendeva persino i quadri. Fra gli astronomi, insomma, rimase imbattibile per vent’anni, fino a quando il francese Claude Mellan dimostrò un’analoga abilità con la matita. Questa eccezionale capacità nel rappresentare ciò che vedeva durante le notti di osservazione dice quanto fosse forte in lui il rapporto tra arte e scienza. Non a caso era anche un fine letterato».
C’è una storia strana che riguarda la Luna. «In quegli anni - conclude William R. Shea - molti credevano, avendo letto Plutarco, che il nostro satellite naturale fosse abitato. Keplero e Cartesio ne erano convinti. All’inizio pure Galileo, che però voleva verificare. Puntò così il suo cannocchiale sui monti e sui mari lunari, ma quando si accorse che non c’erano nuvole, concluse che non potevano esistere nemmeno gli uomini».
Come migliorare un rapporto storicamente controverso
Dai suoi scritti una lezione: confrontarsi senza dogmi
di Gianfranco Ravasi S.J. (Corriere della Sera, 12.03.2009)
Era il 1939 quando Bertolt Brecht pubblicava per la prima volta il suo celebre dramma Das Leben Galilei. In realtà più che «la vita di Galileo», al famoso drammaturgo tedesco interessava il «mito» di un personaggio detestato dalla Chiesa e santificato dalla scienza. Non per nulla Brecht si accanirà attorno a quell’immagine trasformandola secondo le revisioni successive del dramma.Si delineavano, così, volti diversi del grande scienziato. Ora si rivelava come l’egoistico tutore della sua serenità personale o come l’astuto gestore della situazione, scegliendo la via della ritrattazione scandita dalla indimenticabile battuta: «Infelice quel paese che ha bisogno di eroi!». Ora, invece, si manifestava come un personaggio timoroso che tradiva la sua missione di scienziato libero, divenendo il capostipite ideale degli scienziati atomici asserviti al potere. Ora Galileo si trasformava nel combattente della libertà intellettuale, assertore della nuova fede nella scienza, convinto che «i cieli sono vuoti».
Abbiamo voluto evocare con ampiezza questo ritratto polimorfo dello scienziato toscano perché egli si è trasformato in un simbolo costantemente riportato sotto i riflettori dell’opinione pubblica come emblema dell’arduo e cruciale confronto tra scienza e fede. È proprio in questa luce che Giovanni Paolo II ha voluto che «la tragica e reciproca incomprensione » consumatasi tra la Chiesa e la scienza nell’avventura processuale che coinvolse Galileo, fosse una delle confessioni di peccato nella «giornata del perdono » del Giubileo del 2000 (...).
Effettivamente una serie di dati storici, come l’abiura forzata dello scienziato pisano, l’accanimento del Sant’Uffizio su una questione a prima vista secondaria , le successive inerzie dell’autorità ecclesiastica - che conservò nell’Indice dei Libri Proibiti le opere di Keplero, Copernico e Galileo fino al 1835 - costituiva una ferita aperta che esigeva di essere cicatrizzata (...).
Sulle macerie degli errori del passato è necessario edificare un diverso approccio tra scienza e fede, inaugurando un nuovo confronto e dialogo che neutralizzi, da un lato, la tentazione del teologo di perimetrare i campi della ricerca scientifica e di finalizzarne i risultati apologeticamente a sostegno delle sue tesi. Un dialogo che, dall’altro lato, faccia abbandonare allo scienziato l’orgogliosa autosufficienza che gli fa relegare la teologia nel deposito dei reperti di un paleolitico intellettuale.
È evidente che questo itinerario sarà tutt’altro che piano, anzi sarà irto di inceppi e di ostacoli, e teologi e scienziati dovranno tener presente il consiglio che Galileo suggeriva nel suo Saggiatore: «Quando ci si trova davanti a un ostacolo, la linea più breve tra due punti può essere anche una linea curva».
Certo è che una dose di umiltà servirà a tutti, contro ogni velleità di prevaricazione, soprattutto di fronte alla complessità e alla maestosità dell’essere e dell’esistere, proprio come ammoniva - sempre nella stessa opera Galileo - marcando in questo caso la sua personale fede limpida e intatta: «Infinita è la turba degli sciocchi, cioè di quelli che non sanno nulla; assai sono quelli che sanno pochissimo di filosofia; pochi son quelli che ne sanno qualche piccola cosetta; pochissimi quelli che ne sanno qualche particella; uno solo, Dio, è quello che sa tutto».
*Gianfranco Ravasi è arcivescovo e presidente del Pontificio Consiglio della Cultura.
*Questo testo è tratto dalla prefazione al libro di Mariano Artigas e Melchor Sánchez de Toca «Galileo e il Vaticano» (Marcianum Press 2009, 20 euro), in corso di pubblicazione Il cannocchiale
* Chi è
Galileo Galilei è nato a Pisa il 15 febbraio 1564. È stato un fisico, filosofo, astronomo e matematico. Il suo nome è legato all’introduzione del metodo scientifico (detto galileiano), al suo ruolo nella rivoluzione astronomica e al suo sostegno al sistema eliocentrico e alle teorie copernicane. Accusato di eresia dalla Chiesa cattolica, fu costretto all’abiura delle sue concezioni e a trascorrere il resto della vita in isolamento fino all’8 gennaio del 1642 quando morì ad Arcetri (Firenze). Nel 1609 Galilei costruisce il suo primo cannocchiale in legno e pelle, con lenti in vetro di Murano capaci di ingrandire otto-nove volte
In orbita il telescopio cacciatore di pianeti extraterrestri. «Non cerchiamo di trovare Et, ma la casa dove potrebbe vivere»
La Nasa alla ricerca della nuova Terra, parte Keplero
di Giovanni Caprara (Corriere della Sera, 07.03.2009)
MILANO - Per la ricerca di una nuova Terra attorno ad un’altra stella della nostra galassia Via Lattea forse è arrivato il momento tanto atteso. Salvo rinvii dell’ultimo momento, la Nasa ha lanciato questa notte da Cape Canaveral «Keplero», il primo cacciatore spaziale di pianeti extraterrestri. E’ un corposo osservatorio alto cinque metri che nasconde al suo interno un telescopio di 1,4 metri di diametro capace di convogliare la luce cosmica su una camera con 95 milioni di pixel, la più potente mai lanciata. Il tutto è stato studiato appunto per scovare intorno a stelle simili al Sole nuovi pianeti della dimensione del nostro globo azzurro sistemati nella «zona abitabile», cioè alla giusta distanza dalla stella madre per consentire un equo flusso di energia in grado di alimentare la vita. «Non speriamo di trovare Et - ha notato William Borucki del centro Ames della Nasa e coordinatore della missione - ma piuttosto la casa dove potrebbe vivere ». E questo sarebbe già un risultato straordinario. Ma l’impresa non sarà semplice.
Finora con i telescopi terrestri a partire dal 1995 si è già rilevata la presenza intorno ad altre stelle della galassia di 340 pianeti. Però nella quasi totalità sono dei giganti gassosi come Giove. Di qualcuno roccioso ci sono solo indizi e per le immagini, finora solo il telescopio orbitale Hubble è riuscito di recente a cogliere una traccia che aiuta poco gli astronomi.
Serviva proprio uno strumento concepito per l’ardua caccia e così la Nasa progettava Keplero investendo 600 milioni di dollari allo scopo di condurre il primo censimento dallo spazio di pianeti extrasolari. L’indagine riguarda solo una regione limitata della Via Lattea dove si possono scorgere le costellazioni del Cigno e della Lira, che hanno già attirato l’attenzione del cacciatori di pianeti. In questo territorio infatti hanno catturato da Terra quattro corpi «gioviani» che saranno utilizzati come campioni di riferimento per scovarne altri ma più piccoli. Il metodo sarà sempre lo stesso: cogliere una variazione nella luminosità della stella quando il pianeta le transita davanti.
Un altro metodo utilizzato da Terra con tutte le incertezze del tremolio atmosferico misura le anomalie nella posizione dell’astro causate dalla forza di gravità di un corpo che gli gira attorno.
Per conquistare qualche risultato Keplero punterà per tre anni e mezzo il suo occhio sull’obiettivo scandagliando ogni mezz’ora centomila stelle. Le probabilità di cogliere un pianeta della nostra taglia su un’orbita come quella terrestre è dell’uno per cento. Se tutto andrà come ipotizzato dagli scienziati il risultato finale dovrebbe portare alla scoperta di alcune centinaia di nuove terre. «Se invece Keplero non le troverà - aggiunge Borucki - vuol dire che i pianeti come il nostro sono davvero rari nell’universo e noi siamo forse gli unici». «Quando volavo sullo shuttle - ricorda l’ex astronauta e astrofisico Umberto Guidoni - sognavo di poter viaggiare verso un altro pianeta. Ora Keplero porterà almeno il nostro occhio».
C’è nell’Universo il libro della natura
Dal libro «Storia dell’astronomia» a cura di Michael Hoskin (Bur-Rizzoli) e appena ristampato, pubblichiamo un estratto della prefazione scritta da Margherita Hack
di Margherita Hack (Corriere della Sera, 07.03.2009)
Nel XIX secolo nasce l’astrofisica, la scienza che studia la natura fisica dei corpi celesti, la loro temperatura, densità, stato della materia, composizione chimica, le fonti dell’energia irradiata dalle stelle. La tecnologia atta ad affrontare questi problemi era nata all’inizio dell’800: era la spettroscopia, cioè l’analisi della luce bianca irradiata dalle stelle, scomponendola nelle sue componenti mono-cromatiche, ottenendo quello che si chiama lo spettro. Questo - per usare le parole di Galileo - era il libro aperto della natura. Ma bisognava imparare a leggerlo, e le chiavi per una completa lettura furono scoperte solo un secolo dopo, all’inizio del Novecento con la rivoluzione della fisica quantistica.
Un importante sviluppo tecnologico si ottenne alla fine dell’Ottocento con l’invenzione della fotografia. Prima di allora gli astronomi, che si preparavano all’osservazione di un corpo celeste o del suo spettro, dovevano invece abituare l’occhio all’oscurità, osservare, ricordare e con una debole luce disegnare quello che avevano visto; riabituarsi all’oscurità e ricominciare le osservazioni. Quindi un procedimento fortemente soggettivo, dipendente dalla memoria visiva e dall’abilità di disegnatore dell’astronomo. Con l’introduzione della fotografia le immagini erano ottenute in modo completamente oggettivo, e potevano poi essere studiate e misurate con calma a tavolino. Col primo grande telescopio moderno, il 2,50 metri di Monte Wilson si ottengono anche le prime importanti osservazioni di importanza cosmologica, che Edwin Hubble riassume nella sua legge: tutte le galassie si allontanano da noi con velocità proporzionale alla distanza, un’indicazione che l’universo è in espansione.
Nasce così la disputa fra i sostenitori delle due principali teorie cosmologiche: universo evolutivo o universo stazionario, disputa a cui pone fine nel 1965 la scoperta della radiazione fossile a 3 gradi assoluti. Intanto Karl Janski scopre casualmente, all’inizio degli anni Trenta, che la Via lattea emette onde radio, e si comincia a capire che il cielo studiato fino ad allora, attraverso la sola osservazione della luce, ci mostra un aspetto molto parziale dell’universo.
Col lancio dello Sputnik, il 7 ottobre 1957 ha inizio l’era spaziale e un decennio dopo i telescopi in orbita attorno alla Terra ci mostreranno l’aspetto dell’universo a raggi X e nell’ultravioletto, radiazioni che la nostra atmosfera assorbe completamente. Si progettano i grandi telescopi della nuova generazione, resi possibili dai progressi dell’elettronica e dell’informatica, si moltiplicano i telescopi in orbita e le sonde che vanno a scrutare da vicino i pianeti del sistema solare, o addirittura che scendono sulla superficie di Venere, di Marte e infine sul lontano satellite di Saturno, Titano. Si scoprono nuovi pianetini oltre Plutone e centinaia di pianeti extrasolari, in orbita cioè attorno a stelle diverse dal Sole, e ci si interroga sulla probabilità di vita nell’universo.
Questo libro ci accompagna a rivivere la meravigliosa avventura dell’umanità, dai primi passi incerti del neonato alla corsa dell’atleta maturo, utilizzando come strumento tutti i campi della fisica che possiamo sperimentare nei nostri laboratori, per leggere il libro della natura.
Galileo e le chiavi del cielo
Vetro, ferro, cuoio per viaggiare dentro l’universo
di Daniele del Giudice (la Repubblica, 22.02.2009)
L’Onu ha proclamato il 2009 Anno internazionale dell’Astronomia per ricordare le grandi scoperte dello scienziato pisano in quel passaggio cruciale che fu il 1609. Ora una mostra a Firenze permetterà di ammirare gli strumenti da lui inventati o perfezionati per potenziare il senso che gli uomini preferiscono: quello della vista, "perché procura più conoscenza e rende manifeste le differenze tra le cose"
A Venezia seppe di un occhiale di produzione olandese "col quale le cose lontane si vedevano come se fussero molto vicine", se lo procurò ma non lo trovò sufficiente: quelle macchine rozze gli sembravano giocattoli. Fu così che cominciò la sua metamorfosi da insegnante di matematica a industriale dell’ottica
Nel 1611 fabbricò un micrometro per misurare la distanza tra Giove e i suoi satelliti. Lo offrì al re di Spagna e per convincerlo che l’osservazione del pianeta era possibile anche in condizioni di instabilità, creò lì per lì un altro attrezzo: il celatone
Galileo Galilei (Pisa 1564-Arcetri 1642) pensava all’universo come a un «concetto immenso e pieno di filosofia, astronomia e geometria», come scrive nella lettera a Belisario Vinta datata 7 maggio 1610. Un immenso che l’esperienza dei sensi, sensata esperienza, può rivelare se non è «cieca» ma illuminata dalle dimostrazioni necessarie e da una teoria sulle cause dei fatti osservabili. L’universo è un immenso che tuttavia, a dispetto di questo nome, è misurabile con strumenti adeguati.
Galileo non apprezzava gli aristotelici dei suoi tempi, filosofi in libris, che davano troppa importanza all’aspetto qualitativo e osservavano la natura controvoglia come se l’osservare fosse un passatempo ozioso e inconcludente. Anziché misurare con il saggiatore, la bilancia di precisione che serve agli orefici per pesare la polvere d’oro, usavano la grossolana libra, la stadera, e con quella pesavano anche le opinioni proprie e altrui. Era il caso del gesuita Orazio Grassi che gli rivolse una Disputatio astronomica sulle comete e poi, sotto lo pseudonimo di Lotario Sarsi, gli indirizzò la Libra astronomica alla quale Galileo rispose appunto con Il Saggiatore, nel quale con bilancia squisita e giusta si ponderano le cose contenute nella Libra. Lotario Sarsi parlava di uova, fionde e Babilonesi. Galileo annotò: «Se il Sarsi vuole ch’io creda che i Babilonii cocesser l’uova col girarle velocemente nella fionda, io lo crederò, ma a noi questo non succede [...]. Ora, a noi non mancano uova, né fionde, né uomini robusti che le girino, e pur non si cuocono [...]. E poiché non ci manca altro che l’esser di Babilonia, adunque l’esser Babilonii è causa dell’indurirsi delle uova, e non l’attrizione dell’aria». Galileo non apprezzava gli aristotelici ma non poté non subire il noto assunto che apre la Metafisica: gli uomini preferiscono il senso della vista perché procura più conoscenza e rende manifeste le molte differenze tra le cose. E Galileo voleva vedere.
In gita a Venezia nel 1609 seppe di un occhiale di produzione olandese «col quale le cose lontane si vedevano come se fussero molto vicine», se lo procurò ma non lo trovò sufficiente, quelle macchine rozze gli sembravano dei giocattoli per bambini, e allora prese contatto con gli occhialai e poi con i maestri vetrai di Murano e imparò a fabbricare lenti e a combinarle tra loro nel modo più utile, sottoponendosi di buon grado ad una metamorfosi abbastanza coerente, da insegnante di matematica nell’Università di Padova - dove rimase diciotto anni, fino al 1608, insegnando con poca convinzione il sistema tolemaico - a industriale dell’ottica.
Andava a fare la spesa e nella lista (come quella annotata su una lettera di Ottavio Brenzoni del 23 novembre 1609 conservata nella Biblioteca Centrale di Firenze) scriveva ceci, farro, zucchero, pepe, chiodi di garofano e cannella, e di seguito pezzi di specchio, ferro da spianare e altri materiali utili ad allestire un laboratorio ottico. Si confezionò da sé degli "occhialetti" sempre più raffinati che ingrandivano fino a venti o trenta volte più di quelli olandesi, una lente da miope per oculare e una da presbite per obbiettivo, e il telaio in legno o in pelle.
Ne fabbricò in grandi quantità, così numerosi che qualche esemplare lo esportò; ne inviò uno all’Elettore di Colonia e questi, un uomo molto colto, dopo aver esclamato «Vicisti, Galilaee!» come l’imperatore Giuliano l’Apostata, lo prestò a Keplero. Senza quel cannocchiale Keplero non avrebbe potuto osservare le ultime novità celesti. E anche Giovan Battista della Porta, che dal 1589 tentava di costruire un cannocchiale a Venezia dopo averlo teorizzato nel Magia naturalis, riconobbe la superiorità di Galileo; se il 28 agosto 1609, in una lettera all’insigne naturalista Federico Cesi che si era fatto promotore della nomina di Galileo all’Accademia dei Lincei, aveva scritto del cannocchiale: «L’ho visto, et è una coglionaria, presa dal mio libro De Refractione», l’anno seguente dichiarò ancora a Cesi che l’invenzione era sua ma Galileo «l’have accomodata e ha trovato [�] gran cose che empiscono il mondo di stupore».
Galileo battezzò i suoi nuovi cannocchiali "telescopi" perché gli permettevano di vedere oggetti distanti, li puntò verso il cielo e osservò per la prima volta i crateri lunari, le stelle della Via Lattea, e nel 1610 i primi quattro satelliti di Giove, Cosmica Sidera, nome che in breve gli dispiacque e che sostituì con Medicea Sidera. Queste scoperte, immediatamente divulgate nel Sidereus Nuncius (Venezia 1610), le dedicò a un suo allievo, Cosimo II di Toscana. E Cosimo lo invitò a Firenze come primario matematico e filosofo del granducato, e gli permise la tanto desiderata dispensa dall’insegnamento, che Galileo non amava per nulla. Le lezioni pubbliche o private erano una schiavitù cui si piegava solo per saldare i debiti, e la presenza di dozzine di studenti in casa sua come ospiti paganti lo contrariava, violava la sua intimità.
Tanto più che proprio uno studente, tale Baldassarre Capra discepolo dell’astronomo tedesco Simon Mayr, Simone Mario, forse per compiacere il suo maestro si era dichiarato nel 1607 l’inventore del compasso geometrico e militare, uno strumento efficace in astronomia e in agrimensura come in balistica e topografia (tra l’altro permetteva di determinare con discreta esattezza l’altitudine di monti inaccessibili) al quale Galileo lavorava dal 1597 e che aveva dedicato allo stesso Cosimo II nel 1606. Il compasso sfruttava la proporzionalità tra i lati omologhi di due triangoli ed era composto di due bracci imperniati su un disco detto nocella, un quadrante, e un cursore infilato in uno dei due bracci, detto zanca, che Galileo maneggiava con le dita, ivi compreso il dito medio attualmente visibile nelle sale dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze; quel dito, esempio della venerazione tributata al Pisano quale eroe della scienza, venne tolto ai suoi resti mortali da Anton Francesco Gori nel 1737, quando la salma fu traslata al sepolcro monumentale nella Basilica di Santa Croce.
Galileo pubblicò una Difesa contro alle calunnie et imposture di Baldessar Capra Milanese, gli intentò un processo e lo vinse. Giunto a Firenze, donò la lente oculare del suo miglior cannocchiale a Ferdinando II, figlio di Cosimo, ma il giovane o chissà chi altro la ruppe accidentalmente. Allora gli fece omaggio di qualcosa di più solido, una calamita, per di più "armata" cioè imbrigliata con una fascetta di ferro posizionata in modo tale da moltiplicare la forza di attrazione del magnete; con sole sei once di peso quella calamita sollevava «quindici libbre di ferro lavorato in forma di sepolcro», come riferì il monaco Benedetto Castelli, matematico e fisico, nel suo Discorso sopra la calamita. A Cosimo il dono piacque moltissimo.
Galileo voleva guardare e misurare i triangoli, i cerchi e le altre figure geometriche che formano l’alfabeto del cosmo, tentava di decifrare il libro della natura per imparare la sua lingua e discorrere con l’universo dei rapporti di quantità che sono la sua struttura. Aveva un grande ideale che era quello della misura come criterio dell’oggettività, e non pensava piccolo o grande e vicino o lontano, ma piccolo o grande in relazione a un’unità di misura, vicino o lontano rispetto a un determinato punto, e così andava formulando il metodo della scienza moderna.
A Firenze continuò gli esperimenti sul termoscopio, progenitore dei termometri d’oggi, una piccola macchina che aveva ideato sul finire del Cinquecento, con la quale misurava le variazioni della densità atmosferica prodotte dalle variazioni di temperatura; si trattava di una caraffa di vetro con il collo molto lungo, sottile «come un gambo di grano», che lui riscaldava tra le mani e poi immergeva nell’acqua in posizione rovesciata e quando sottraeva alla caraffa il calore delle mani osservava l’acqua salire nel collo della caraffa. Continuò le osservazioni idrauliche; nel 1594 la Serenissima Repubblica di Venezia gli aveva rilasciato il brevetto per un sistema meccanico capace di azionare quattro pompe grazie al movimento di un solo asse.
Ma soprattutto continuò a studiare i periodi dei satelliti di Giove. Nel 1611 fabbricò un micrometro per misurare l’esatta distanza tra il pianeta e i suoi satelliti; offrì ripetutamente il micrometro insieme ai cannocchiali al re di Spagna (dal 1611 al 1628), e per convincerlo che l’osservazione del pianeta era possibile anche in condizioni di instabilità, ad esempio dal ponte di una nave, inventò lì per lì un altro strumento simile a una celata che per questo è conosciuto come celatone. E poiché il re di Spagna non apprezzò né il micrometro né il celatone provò con gli Stati Generali d’Olanda dove la sua proposta riscosse un certo interesse ma fu nuovamente rifiutata.
Sempre osservando i periodi dei satelliti di Giove Galileo mise a punto un proprio metodo per determinare la longitudine, dipendente dall’esatta misurazione del tempo cronologico. Era il 1637, correvano cinque anni dalla pubblicazione del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo che gli avrebbe causato il processo da parte del Sant’Uffizio, quando si accorse che due pendoli di uguale lunghezza oscillano alla medesima frequenza; applicò il pendolo all’orologio e immaginò un sofisticato congegno che illustrò nella Lettera a Lorenzo Realio. Quel congegno lo realizzò ad arte suo figlio Vincenzo Galilei, abile inventore di strumenti musicali, e una ventina d’anni più tardi, nel 1656, l’applicazione del pendolo all’orologio fu rivendicata da Christiaan Huygens, matematico, astronomo e fisico olandese autore del primo libro sulla teoria delle probabilità che non solo brevettò l’orologio a pendolo ma lo perfezionò con un bilanciere a molla, introdusse la molla a spirale negli orologi portatili e nel 1675 inventò l’orologio da taschino.
Nel 1633 fu chiamato a Roma, fu processato, e costretto ad abiurare le sue convinzioni scientifiche. Segregato ad Arcetri, l’anno seguente inviò a Leida i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze e poi si rassegnò a congedarsi poco a poco dalla sensazione che amava di più (come noi tutti, lo ha detto Aristotele) e infine morì cieco. Era stato uno dei pochi fautori di una scienza nuova, e quei pochi avevano ragione a dispetto dei molti. Come scrisse nel Saggiatore: «Poca più stima farei dell’attestazione di molti che di quella di pochi, essendo sicuro che il numero di quelli che nelle cose difficili discorron bene è minore assai che di quei che discorrono male. Se il discorrere circa un problema difficile fusse come il portare pesi, dove molti cavalli porteranno più grano che un cavallo solo, io acconsentirei che i molti discorsi facessero più che uno solo. Ma il discorrere è come il correre, e non come il portare. Ed un solo cavallo barbero correrà più che cento frisoni».
L’ipotesi scientifica era stata avanzata da Paolo Galluzzi, del Museo di Storia della Scienza
Galileo, no ad apertura tomba e niente test dna
Si oppongono i frati francescani della Basilica di S. Croce a Firenze.
Esame genetico poteva risolvere il mistero dei difetti della vista
Firenze, 18 feb. - (Adnkronos) - Per ora niente test del Dna sui resti mortali di Galileo Galilei (1564-1642), al fine di svelare i suoi presunti difetti della vista e risolvere così alcuni misteri legati all’osservazione delle macchie solari. L’ipotizzata riesumazione del corpo dello scienziato pisano, prevista nel corso del 2009, Anno Internazionale dell’Astronomia voluto dall’Unesco proprio per celebrare i 400 anni dalle scoperte galileiane con il cannocchiale, non avrà luogo.
Lo ha annunciato padre Antonio Di Marcantonio, rettore della Basilica di Santa Croce di Firenze, in occasione della presentazione del nuovo statuto della ’Fabbriceria’ dell’Opera di Santa Croce, precisando che, peraltro, finora ’’non è mai arrivata alcuna richiesta ufficiale’’ di riesumazione della salma custodita in una tomba nella chiesa cantata dal poeta Ugo Foscolo nei ’’Sepolcri’’.
’’Di fronte alla richiesta di riesumazione ho sempre affermato la mia contrarietà. A mio parere non ha senso rompere una tomba per andare a disturbare un uomo del passato’’, ha detto padre Di Marcantonio. ’’Non bisogna poi dimenticare che per una riesumazione, con apertura di una tomba storica, è previsto un lungo e complesso iter burocratico, con autorizzazioni da parte dell’autorità ecclesiastica e della Sovrintendenza’’, ha aggiunto il frate francescano che è anche consigliere dell’Opera di Santa Croce.
L’operazione scientifica sui resti di Galileo è stata prospettata di recente dallo storico Paolo Galluzzi, direttore del Museo di Storia della Scienza di Firenze, con il coinvolgimento dell’Istituto di Ottica di Firenze, l’Osservatorio di Arcetri e due oftalmologi dellUniversità di Cambridge (Gran Bretagna), tra cui Peter Watson, presidente dell’Accademia Oftalmologica Internazionale.
Dopo una complessa vicenda, Galileo Galilei riuscì ad essere sepolto, dove adesso si trova, nella Basilica di Santa Croce a Firenze la sera del 12 marzo 1737. Finalmente, dopo 95 anni trovava degna sistemazione uno dei geni dell’umanità in seguito all’intervento della massoneria fiorentina e del granduca Gian Gastone, condividendo un atto politico mirato a circoscrivere il potere della Chiesa e restituire pienezza allo Stato.
Prima, le sue spoglie erano state nascoste in una celletta del campanile perché la Santa Sede impediva una collocazione capace di magnificare l’uomo che aveva giudicato per ’’veemente sospetto d’eresia’’. Ma quando si compì il trasferimento, ci fu una sorpresa che mise a disagio le autorità convenute, incapaci di dare un’identità al ritrovamento, come dimostra un documento notarile scoperto dal professor Paolo Galluzzi.
Nella tomba oltre a Galileo e al discepolo Vincenzo Vivianic’è pure lo scheletro di una giovane donna, molto probabilmente suor Maria Celeste, figlia amata del grande scienziato pisano e morta giovanissima a 33 anni.
Quando Galileo Galilei morì nel 1642 a Firenze, nella condizione di ’’condannato dalla Chiesa’’, portò con sé nella tomba un mistero che astronomi, genetisti e oftalmologi vorrebbero sciogliere con l’esame del Dna dei suoi resti. L’astronomo pisano, che aveva posto i fondamenti della scienza moderna e aveva rivoluzionato l’astronomia grazie alle prime osservazioni con il cannocchiale, soffriva di un grave difetto alla vista.
Negli ultimi anni di vita, quasi cieco, per leggere e scrivere lo aiutava il discepolo Vincenzo Viviani. Ma, si sono sempre chiesti gli scienziati, come riuscì a vedere quelle macchie solari, i mari lunari o i satelliti gioviani che davano ragione a Niccolo’ Copernico diventando poi materia d’accusa per il Sant’Uffizio? Sin da giovane, come racconta in alcune lettere, Galileo si lamentò dei suoi problemi agli occhi.
L’ipotesi è che fosse vittima di una malattia genetica all’uvea che provoca alterazioni nella vista. Un’ipotesi che per il momento i genetisti non potranno né confermare né smentire senza l’apertura della tomba.
Una nevicata su Marte *
Nel 99esimo Sol (giorno marziano) di missione, Phoenix si è regalato uno spettacolo mai visto. Una breve nevicata mattutina, mentre il sole scivola basso all’orizzonte. A vederlo è stato il laser di costruzione canadese Lidar, un fascio verde che spazza il cielo a caccia di nuvole. Ha registrato alcune fall-streaks, "striature in movimento", cristalli di ghiaccio che cadono dalle nuvole nei -70°C dell’alba. Sul pianeta Terra la chiamiamo neve.
La scoperta è stata fatta a circa 4 km d’altezza dal punto in cui il laboratorio spaziale americano è atterrato il 26 maggio scorso. L’analisi ha dimostrato che dopo circa 20 minuti la nevicata è caduta intorno ai 2.500 metri prima di raggiungere un’atmosfera così secca da fa sì che i cristalli sublimassero nuovamente in gas, esattamente come accade al ghiaccio polare esposto all’atmosfera marziana.
25 settembre 2008 - Nuvole su Marte nelle foto scattate da Phoenix Uno spettacolo discreto e lontano 6 mesi di viaggio interplanetario che ha però scatenato l’entusiasmo del responsabile della stazione meteo di Phoenix, il canadese Jim Whiteway. "Nulla del genere è mai stato osservato al di là della Terra - ha spiegato Whiteway - e ora stiamo esplorando i terreno circostante per capire se la neve può aver raggiunto il terreno". Nei prossimi giorni il laser Lidar continuerà la sua indagine. Intanto altre tracce di acqua precipitata al suolo verranno cercate nei campioni di terreno analizzati dal laboratorio Tega (Thermal and Evolved Gaz Analyzer).
I dati, spiegano alla Nasa, mostrano la presenza di carbonato di calcio e particelle simili a terra argillosa che - almeno sulla terra - si sono formati solo in presenza di acqua allo stato liquido. Questo - secondo gli esperti - potrebbe confortare l’ipotesi di precipitazioni anche sul suolo di Marte. Dopo oltre 4 mesi di missione alle alte latitudini, si spera che Phoenix possa regalare ancora qualche importante sorpresa, prima che la primavera giunga al termine, e la sua capacità di movimento basata sull’irraggiamento dei pannelli solari sia ridotta e poi spenta dal lungo inverno.
“La Toscana rifletta più su Eluana”
di Enzo Mazzi
(pubblicato su la Repubblica-Firenze il 22 gennaio 2009) *
La Toscana ha perso l’occasione per dare alle celebrazioni galileiane quel tocco di attualità che avrebbe potuto contribuire a renderle credibili: mentre nel Cinque-Seicento dette coraggiosa ospitalità all’eretico Galileo, oggi è stata sorda di fronte al bisogno di ospitalità dell’eretica Eluana.
Che c’entra il grande scienziato con l’umile ragazza in coma da sedici anni? Non nego che l’accostamento può apparire forzato. Se però guardiamo un po’ a fondo non possiamo escludere significative analogie.
“Galileo non fa distinzione tra quello che è l’approccio scientifico ai fenomeni naturali e la riflessione sulla natura, di ordine filosofico, che esso generalmente richiama. ... Così la scienza nuova, con i suoi metodi e la libertà di ricerca che essi suppongono, obbligava i teologi a interrogarsi sui loro criteri di interpretazione della Scrittura. La maggior parte non seppe farlo. Paradossalmente, Galileo, sincero credente, si mostrò su questo punto più perspicace dei suoi avversari teologi”. L’affermazione viene nientemeno che da papa Wojtila: è parte dello storico discorso di riabilitazione fatto davanti ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze il 31 ottobre 1992.
Galileo non fu solo un innovatore in campo scientifico, fu anche un rivoluzionario nel campo etico perché portò la scienza nella vita, rese senso comune quella visione del cosmo che fino allora era rinchiusa nei testi accademici, avvicinò il cielo alla terra, legò in una visione cosmica unitaria i vari elementi astrali che la cultura del sacro voleva divisi, obbligò la teologia a svincolarsi da una lettura sacrale e dogmatica della Bibbia. E pagò di persona fino al rischio della vita il coraggio delle sue convinzioni etiche.
Eluana ha compiuto una rivoluzione etica assai simile e la sta pagando di persona insieme a suo padre. Anche lei ha avvicinato il cielo alla terra, ha riunito in sé la vita alla sua finitezza, ha riconosciuto il carattere sacro della propria vita in quanto parte della sacralità di un tutto in divenire che comprende finitezza e morte, ha affermato concretamente per sé e per tutti noi il diritto costituzionalmente garantito a rifiutare l’obbligo di un determinato trattamento sanitario che lei non considera rispettoso della sua persona. Mia figlia - ha testimoniato in sostanza Beppino Englaro - aveva un senso del morire come parte del vivere e non avrebbe accettato di essere una vittima sacrificale di una concezione sacrale della morte come realtà separata e opposta alla vita. Può darsi che sfugga la pregnanza di un simile messaggio. Ma è proprio lì in quell’angoscioso intreccio di vita/morte che si radica da sempre ed oggi in modo particolarmente intenso la spinta della trasformazione creatrice.
Mi sembra di poter affermare che quanto papa Wojtya dice di Galileo vale anche per Eluana: la lucida consapevolezza di lei testimoniata oggi dal padre, portata con forza dentro la società, testimoniata a prezzo dell’accusa di omicidio, legittimata dalla magistratura, obbliga la teologia dogmatica e l’etica tradizionale a interrogarsi. E soprattutto aiuta tutti noi, la società intera, nella nostra ricerca esistenziale, spirituale e religiosa.
La Toscana non ha avuto il coraggio che ebbe nel Cinquecento. E ora celebra l’eretico di ieri ma rifiuta aspetti profondi del suo messaggio di liberazione. Non ce lo meritavamo. Forse c’è ancora tempo per un ripensamento e per affrontare con più coraggio traguardi etici futuri.
Enzo Mazzi
Firenze 22 gennaio 2009
Il labirinto dell’universo
Quel che resta ancora da decifrare
Pubblichiamo un intervento di Piergiorgio Odifreddi che domani sarà al Festival delle Scienze per presentare il concerto "Helicopter", musiche di Karlhein Stockhausen
di Piergiorgio Odifreddi (la Repubblica, 17.01.2009)
Quale popolo, o quale cultura, non ha avuto la pretesa di spiegare l’intero universo? Ma quale popolo, o quale cultura, ha avuto gli strumenti per farlo? Gli antichi si sono dovuti accontentare della poesia, e agli albori del pensiero occidentale gli Ionici e gli Eleatici si cimentarono in svariati poemi invariabilmente intitolati Sulla natura, iniziando una tradizione che continuò coi fisici posteriori, da Empedocle e Anassagora a Democrito ed Epicuro, e culminò nel De rerum natura di Lucrezio.
Nonostante le loro grandiose visioni letterarie, indotte dai loro frammenti o dedotte dai loro canti, quei poemi lasciarono la natura delle cose velata come la ninfa Calipso, in attesa di essere svelata da strumenti più perspicaci delle parole. Dal telescopio, ad esempio, che esattamente quattrocento anni fa, nella primavera del 1609, Galileo puntò verso il cielo per ricavarne le visioni annunciate l’anno seguente nel Sidereus Nuncius. O dal microscopio, che fu invece Robert Hooke a usare in maniera analoga per ottenere visioni altrettanto sorprendenti del microcosmo, annunciate a loro volta nel 1665 dalla sua Micrografia.
Naturalmente, gli strumenti sono necessari per espandere i sensi oltre le loro limitatissime estensioni, e renderli più adeguati all’osservazione dell’universo in grande e in piccolo. Ma le osservazioni non sono sufficienti per descrivere, e meno che mai per spiegare, ciò che viene osservato: è necessario sostenerle ed esprimerle con un pensiero e un linguaggio adeguati, spesso di nuovo conio.
Un esempio superficiale sono appunto le parole «telescopio» e «microscopio», che suggeriscono direttamente la visione (skopein) lontana (tele) o in piccolo (micro) permessa da quegli strumenti: esse furono inventate da due membri dell’Accademia dei Lincei, rispettivamente Giovanni Demisiani nel 1611 e Johann Faber nel 1625, per sostituire gli inadeguati termini «cannone» (o «cannocchiale») e «occhiolino» usati da Galileo.
Un esempio profondo sono invece i concetti e i risultati della nuova matematica del Seicento, principalmente la geometria analitica di Cartesio e l’analisi infinitesimale di Leibniz e Newton, che permisero a quest’ultimo di organizzare le osservazioni e le intuizioni di Galileo e di Keplero in una coerente teoria meccanica, codificata nel 1687 nei monumentali Principi matematici della filosofia naturale: un’opera che, fin dal suo programmatico titolo, affida al linguaggio matematico il compito di descrivere il pensiero sulla natura.
L’idea non era nuova, perché già Pitagora aveva intuito il legame fondamentale tra natura e matematica. Ma per lui il rapporto era indiretto e veniva mediato dalla musica, i cui rapporti armonici potevano essere da un lato descritti da rapporti numerici, e dall’altro generati da rapporti fisici: nel senso, ad esempio, in cui un intervallo di ottava corrisponde al suono di due corde di lunghezza una doppia dell’altra, o di due martelli di peso uno doppio dell’altro. Le metafore fondamentali del pitagorismo si rifanno dunque alla musica, e cantano l’Armonia del Mondo o la Musica delle Sfere.
Fu Galileo a introdurre nel 1623, in una famosa pagina del Saggiatore, una metafora nuova e più consona allo spirito della nuova scienza: l’immagine, cioè, della matematica come linguaggio in cui è scritto «questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’Universo)». Un’immagine, questa, che è singolarmente simmetrica, persino nella struttura tipografica, a quella altrettanto famosa di Borges nell’apertura del suo racconto La Biblioteca di Babele: «L’universo (che altri chiama la Biblioteca)».
Nei suoi quattro secoli di vita, la scienza moderna si è impegnata a fondo nella decifrazione del grande libro della Natura, armata degli strumenti tecnologici e matematici che le permettono di leggerlo e di comprenderlo. E ha raggiunto successi memorabili, coronati nell’Ottocento dall’elettromagnetismo di Maxwell e l’evoluzionismo di Darwin, e nel Novecento dalla relatività di Einstein, la meccanica quantistica di Heisenberg e Schrödinger, la quantoelettrodinamica di Feynman, Schwinger e Tomonaga, l’unificazione elettrodebole di Glashow, Salam e Weinberg, la quantocromodinamica di Gross e Wilczek, la scoperta della struttura del Dna di Watson e Crick, la decodifica del codice genetico di Nirenberg e la sequenziazione del genoma umano di Collins e Venter.
Anzi, le comprensioni globali e di dettaglio sono state così profonde, e le loro ricadute tecnologiche e culturali così diffuse, che la nostra può a buon diritto esser definita l’Era della Scienza. Semmai, viene da chiedersi che cosa rimanga ancora da decifrare e da capire, prima di poter chiudere il grande libro e riporlo nello scaffale. E la risposta potrebbe essere, in ordine decrescente di grandiosità: i tre grandi problemi dell’origine dell’Universo, della vita e della coscienza.
Non sorprendentemente, questi sono esattamente i tre momenti sui quali si concentra l’interesse degli spiriti religiosi, che si accontentano al riguardo dell’uniforme pseudospiegazione dell’intervento divino: «pseudo», perché in fondo postulare che Dio è la causa di qualcosa non è altro che un modo diverso di dire che non sappiamo quale ne sia la causa, e non aggiunge assolutamente nulla di preciso e utile alla sua conoscenza. Anche se, come notò Russell nell’Introduzione alla filosofia matematica, «postulare ciò che desideriamo ha molti vantaggi: gli stessi del furto nei confronti del lavoro onesto».
La scienza non si accontenta, dunque, e continua il suo onesto lavoro verso la soluzione di quei tre problemi, che appare sempre più a portata di mano. L’origine dell’Universo attende la formulazione definitiva della Teoria del Tutto, in grado di coniugare la cosmologia relativistica e l’atomismo quantistico, e il suo miglior candidato sembra essere la popolare teoria delle stringhe di Witten.
Sull’origine della vita non c’è una proposta che goda di un analogo consenso, ma l’esistenza di molte alternative dimostra che il problema è maturo per una soluzione. Tra l’altro, proprio lo scorso 8 gennaio Tracey Lincoln e Gerald Joyce hanno pubblicato su Science l’annuncio della scoperta di enzimi dell’Rna che si replicano autonomamente: un esempio di qualcosa che non è ancora vita, ma ne ha già alcune proprietà tipiche.
Quanto all’origine della coscienza, la relativa novità delle neuroscienze e dell’informatica lascia prevedere un cammino ancora lungo, ma già promettente. E tutti insieme questi sviluppi permettono agli scienziati di continuare a professare il motto del grande matematico David Hilbert, che sta inciso sulla sua tomba: Wir müssen wissen, Wir werden wissen, «Dobbiamo sapere, e sapremo».
Ansa» 2009-01-15 19:08
ECCO L’ANNO INTERNAZIONALE DELL’ASTRONOMIA, NEL SEGNO DI GALILEO
A Parigi l’inaugurazione ufficiale dell’Anno Internazionale dell’Astronomia (Iya2009), organizzato da Unesco e Unione Astronomica Internazionale (Iau) e dedicato ai 400 anni delle prime osservazioni con il telescopio fatte da Galileo Galilei nel 1609.
Obiettivo dell’Iya2009, il cui slogan e’ ’’L’Universo, a voi scoprirlo’’ è avvicinare il maggior numero di persone all’astronomia, con centinaia di eventi organizzati a livello mondiale, nazionale e locale.
Pacchetto di celebrazioni anche in Italia organizzate dalle regione Toscana.
Aprira’ i battenti giovedi’ prossimo, 15 gennaio, all’Auditorium
Festival Scienza: l’Universo in primo piano nella kermesse di Roma
Molti gli argomenti approfonditi dagli esperti: le esplorazioni spaziali, i quanti, i buchi neri, la percezione dello spazio e del tempo, ma anche il ruolo della scienza, i doveri della politica, il rapporto con la religione
Roma, 12 gen. (Adnkronos)- Al via la quarta edizione del Festival delle Scienze di Roma che quest’anno sara’ dedicata all’Universo. Primo appuntamento dell’Anno Internazionale dell’Astronomia, il festival delle scienze della Capitale, che aprira’ i battenti giovedi’ prossimo, 15 gennaio, nella Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica, segnera’ il via anche alle celebrazioni dedicate a Galileo Galilei. Puntando lo sguardo alla grande opera dello scienziato pisano, nel quarto centenario delle prime osservazioni astronomiche realizzate con un semplice cannocchiale.
E furono proprio quelle osservazioni che consentirono a Galilei di verificare, attraverso fondamentali scoperte scientifiche, quali la natura montuosa della Luna, i quattro satelliti di Giove e stelle prima sconosciute, la validita’ del sistema copernicano, rivoluzionando il modo in cui, fino ad allora, l’uomo aveva interpretato la propria posizione nell’universo.
La quarta edizione del Festival delle Scienze, promossa dalla Regione Lazio e sostenuta da Filas, la Finanziaria laziale di sviluppo, e’ realizzata dalla Fondazione Musica per Roma in collaborazione con Codice.Idee per la cultura e con il Planetario e Museo Astronomico di Roma diretto da Vincenzo Vomero. Curano la direzione scientifica Vittorio Bo e Telmo Pievani. La kermesse romana sara’ inaugurata da Piero Marrazzo, Presidente della Regione Lazio, Gianni Borgna e Carlo Fuortes, rispettivamente Presidente e Amministratore delegato della Fondazione Musica per Roma, Vittorio Bo, Direttore scientifico, e Flaminia Sacca’, Presidente della Filas.
Parte ventisei secoli fa la strada che ci ha portato ad aprire la storia dell’uomo alla conoscenza scientifica. E parte da un uomo che viveva in una citta’ greca sulla costa dell’odierna Turchia. Un uomo che ebbe un’idea prodigiosa e stupefacente, partendo da una domanda al tempo stesso semplice e tra le piu’ complesse dell’epoca. "E se il cielo sopra la nostra testa continuasse anche sotto i nostri piedi? E se la Terra non fosse che un grosso sasso che galleggia nello spazio, sospesa sul nulla?" si chiese quell’uomo che si chiamava Anassimandro e viveva nella citta’ di Mileto. L’idea, nuova nella storia del mondo per tutte le civilta’ del pianeta, era, come ci e’ stato confermato poi, oltre due millenni e mezzo piu’ tardi, giusta. Una delle idee piu’ audaci, piu’ rivoluzionarie e piu’ portentose dell’intera storia del pensiero umano.
"Ma Anassimandro di Mileto -sottolineano gli organizzatori del festival delle Scienze di Roma- ci ha lasciato un’eredita’ ancora piu’ importante di questa grandissima idea. Ha mostrato che la realta’ non e’ come ci appare, che possiamo avere idee sbagliate sul mondo, e che se partiamo da una serena consapevolezza della nostra profonda ignoranza, attenta osservazione e intelligente riflessione possono permetterci di liberarci da qualcuno degli innumerevoli pregiudizi che impastoiano i nostri pensieri: possiamo, insomma, vedere piu’ lontano". Ed e’ stato facendo cosi’ che Anassimandro ha iniziato un’immensa e affascinante avventura: la strada della conoscenza scientifica.
"Nonostante l’opposizione insidiosa e persistente, dei molti che hanno sempre pensato di essere gia’, proprio loro, a conoscere tutta la ’verita’’, la strada -continuano gli organizzatori della kermesse scientifica della Capitale- e’ continuata, e continua". Seguendo questa strada, dunque, l’uomo ha imparato che la Terra e’ una sfera, poi che gira su se stessa vorticosamente e corre intorno al Sole. Che Terra e Sole si attirano come la Terra attira i sassi, che lo spazio e’ curvo, che tutti gli oggetti sono fatti di atomi, che il calore e’ il rapido movimento di questi atomi, che ci sono cento milioni di stelle nella nostra galassia e cento milioni di galassie nel cielo che vediamo. Che l’universo era nel passato una palla di fuoco esplosa in un gigantesco scoppio 14 miliardi di anni fa.
La quarta edizione del Festival delle Scienze di Roma diventa per questo un appuntamento importante per comprendere, insieme ad alcuni dei protagonisti delle scoperte piu’ importanti, cosa sappiamo e cosa invece ci e’ ancora totalmente oscuro dell’universo in cui viviamo.
Una conoscenza che la kermesse di Roma cerchera’ di portare al grande pubblico, attraverso conferenze, Lezioni magistrali, aperitivi scientifici. Un vortice di appuntamenti e confronti dal carattere anticipatorio fra i nomi eccellenti della scienza, dell’astrofisica, dell’astronomia, della cosmologia insieme e importanti filosofi, astronauti, letterati, artisti su che cos’e’ l’Universo, l’origine della vita nell’Universo, l’esistenza di Universi paralleli. E non e’ tutto.
Gli incontri fra esperti punteranno anche ad approfondire le esplorazioni spaziali, il mistero dei quanti, i buchi neri, il cambiamento della percezione dello spazio e del tempo, il ruolo della scienza, i doveri della politica, il rapporto con la religione.
A discutere di tutto cio’ saranno scienziati e appassionati di scienza, a partire, fra gli altri, dal premio Nobel per la Fisica George F. Smoot. Con lui alla kermesse parteciperanno Enrico Bellone, Giovanni Bignami, Roberto Buonanno, Giovanni Caprara, Gabriele Catanzaro, Marco Cattaneo, Sylvie Coyaud, Marcello Coradini, Paolo De Bernardis, Francesco De Martini, Claudia Di Giorgio, Mauro Dorato, Enrico Flamini, Luigi Foschini.
E ancora. negli incontri in programma prenderanno la parola anche Giangiacomo Gandolfi, Giancarlo Ghirardi, Giulio Giorello, Stefano Giovanardi, Umberto Guidoni, Margherita Hack, Scott Hubbard, David Kaiser, Antonio Lazcano, Anna Lombardi, Jean Pierre Luminet, Gianluca Masi, Armando Massarenti, Fulvio Melia, Piergiorgio Odifreddi, Ruggero Pierantoni, Tommaso Pincio, Radhika Ramachandran, Giovanni Renzo, Carlo Rovelli, Leonard Susskind, Max Tegmark, Alexander Vilenkin, Vincenzo Vomero.
Il 2009 sarà l’Anno internazionale dell’astronomia
Grazie, Galileo
di José G. Funes
Gesuita Direttore della Specola Vaticana *
"Gli uomini hanno delle stelle che non sono le stesse. Per alcuni, quelli che viaggiano, le stelle sono delle guide. Per altri non sono che delle piccole luci. Per altri, che sono dei sapienti, sono dei problemi": ha ragione il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry. Molte volte per noi astronomi i pianeti, le stelle, le galassie sono dei punti interrogativi, dei "problemi" che chiedono una risposta impegnativa, ragionevole, scientifica. Forse il piccolo principe ha seguito qualche corso di astronomia. Perché questa è l’immagine diffusa dello scienziato: un uomo serio, che parla di cose difficili, incomprensibili per tutti tranne che per i suoi colleghi. I quali, a loro volta, pongono altre domande alle quali è difficilissimo dare una risposta.
Credo che il piccolo principe sarebbe felice di sapere che il 2009 sarà l’Anno internazionale dell’astronomia, dichiarato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per celebrare il quattrocentesimo anniversario delle prime osservazioni astronomiche che Galileo Galilei realizzò nel 1609 puntando il suo cannocchiale verso il cielo su iniziativa dell’Unione internazionale di astronomia - della quale la Santa Sede fa parte come Stato membro dal 1932 - e dell’Unesco. In Italia, paese promotore dell’iniziativa, questa è nota anche come Anno galileiano.
Alcuni grandi interrogativi che l’umanità si pone da secoli saranno riproposti e approfonditi per l’occasione da molti astronomi, i quali si impegneranno - pur nei limiti dell’operare scientifico - a elaborare risposte sempre più esaustive e soddisfacenti. Forse questo Anno servirà a convincere tutti cittadini del mondo che le stelle non vanno guardate solo come delle piccole luci, ma come delle amiche. "Quando tu guarderai il cielo, la notte, allora sarà per te come se tutte le stelle ridessero", ci ricorda ancora il piccolo principe.
L’astronomia ha avuto un ruolo di rilievo in quasi tutte le culture, ispirando le domande più profonde dell’uomo. Dal canto suo, la Chiesa ha sempre compreso l’importanza di questa scienza, incoraggiandola e promuovendola. Si pensi, solo per ricordare un esempio poco conosciuto, che nelle "riduzioni" del Paraguay, in particolare in quella dei Santi Cosma e Damiano, il gesuita argentino Buenaventura Suárez (1700-1750) era stato in grado di allestire un vero e proprio osservatorio astronomico nel mezzo della foresta tropicale. Riuscendo, con strumenti che si era fatto portare dall’Europa e altre apparecchiature costruite grazie all’aiuto dei guaraní, a compiere osservazioni e costruire delle tabelle astronomiche.
Proprio mentre sta per iniziare questo Anno internazionale, è inevitabile che si riproponga una delle questioni che ha segnato in questi secoli il dibattito sul rapporto tra fede e scienza: qual è la posizione della Chiesa in relazione al caso Galileo? Non posso rispondere da esperto, né da persona neutrale. Appartengo alla Chiesa. E conosco quanto basta per rendermi conto che la complessità di questo argomento impedisce probabilmente di arrivare a conclusioni chiare e distinte. Penso che il caso Galileo non si potrà mai chiudere in un modo soddisfacente tutti. Io credo che l’umanità e la Chiesa debbano essergli riconoscenti per il suo impegno a favore del copernicanesimo e della Chiesa stessa. Il drammatico scontro di alcuni uomini di Chiesa con Galileo ha lasciato delle ferite che ancora oggi sono aperte. La Chiesa in qualche modo ha riconosciuto i suoi sbagli. Forse si poteva fare meglio: sempre si può far meglio.
Un primo aspetto del caso Galileo riguarda l’ermeneutica biblica. Recentemente Benedetto XVI ha ricordato ai partecipanti alla plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze che "Galileo vedeva la natura come un libro il cui autore è Dio così come lo è delle Scritture". Un secondo aspetto del conflitto fu pastorale. Credo che Giovanni Paolo ii abbia dato qui una regola d’oro che dobbiamo sempre avere presente, avvertendo i teologi che è un dovere "tenersi regolarmente informati sulle acquisizioni scientifiche per esaminare, all’occorrenza, se è il caso o meno di tenerne conto nella loro riflessione o di operare delle revisioni nel loro insegnamento".
Per chi ha fede, la storia non è solo storia della scienza ma storia di salvezza. Da questo punto di vista dobbiamo ringraziare Dio per i nostri peccati che ci permettono di far esperienza della sua misericordia. È proprio questo che la Chiesa celebra quando canta l’Exultet nella veglia pasquale: O felix culpa. In questo senso io spero che ciò che fu - e che forse ancora è - un terreno di conflitto possa diventare un terreno di incontro, di dialogo.
Qualcuno potrà dire che questo è un atteggiamento un po’ ingenuo. Ma non dobbiamo smettere di sognare. Se lo facessimo, quel giorno smetteremmo di essere umani. Sarebbe ingiusto dire che la Chiesa si è impegnata per le scienze solo dopo Galileo: egli stesso è la prova di questo impegno, già allora plurisecolare. Forse non ci sarebbe stato Galileo senza la Chiesa cattolica. E forse non ci sarebbe stata una Specola Vaticana senza Galileo.
DIBATTITO
Il cardinale Bertone: «Le lacune dei teologi dipendevano dalla mentalità dell’epoca, lo scienziato era un uomo di fede»
Galileo e Chiesa processi finiti
Ravasi: ripubblichiamo tutte le fonti della diatriba col Vaticano
Amaldi: tra i ricercatori c’è una «trascendenza orizzontale».
Guarguaglini: sulle domande ultime la risposta è religiosa
DA ROMA GIOVANNI GRASSO (Avvenire, 27.11.2008)
Galileo Galilei fu un grandissimo scienziato e contemporaneamente un uomo con profondo senso religioso. A dimostrazione che il rapporto tra scienza e fede è perfettamente componibile senza strappi o lacerazioni. È quanto ha detto, in sintesi, il segretario di Stato vaticano, cardinal Tarcisio Bertone, che è intervenuto ieri al convegno « La scienza 400 anni dopo Galileo Galilei. Il valore e la complessità etica della ricerca tecnoscientifica contemporanea», promosso dalla Finmeccanica presso il complesso monumentale del Santo Spirito.
« In questi ultimi anni - ha detto Bertone - ci sono stati interventi chiarificatori che, se hanno con grande sincerità posto in luce lacune di uomini di Chiesa legati alla mentalità dell’epoca, hanno permesso al tempo stesso di far risaltare la ricca personalità di questo scienziato che con il cannocchiale astronomico scoprì che la Terra non è il centro di tutti i movimenti celesti. Quel che mi pare debba essere sottolineato è che Galileo, uomo di scienza, ha pure coltivato con amore la sua fede e le sue profonde convinzioni religiose. Galileo Galilei è un uomo di fede che vedeva la natura come un libro il cui autore è Dio ». E ha citato a questo proposito un famoso scritto di Galileo in cui lo scienziato affermava: « L’intenzione dello Spirito Santo essere d’insegnarci come si vada al cielo, e non come vada il cielo » . Distinzione dei piani, dunque, ma non contrasto, anzi necessità di collaborazione. E, in particolare negli ultimi anni, che hanno conosciuto uno sviluppo tecnico e scientifico senza precedenti, « sono apparse problematiche di carattere etico e filosofico a motivo del crescente impatto antropologico e sociale di esso. Ecco perché - ha spiegato ancora il cardinal Bertone - si impone oggi un’attenta e profonda riflessione sulla natura, sulle finalità e sui limiti della ricerca tecnica e scientifica » e, in definitiva, anche « un rinnovamento morale se si vuole che le risorse scientifiche e tecniche siano messe a servizio dell’uomo » .
Oggi, infatti, per il segretario di Stato « da un lato si avverte l’insorgere di problematiche etiche complesse e inedite, in ragione di un divario che va allargandosi tra i rapidi sviluppi della ricerca scientifica e la disponibilità di strumenti e metodi di valutazione etica adeguati. Dall’altro siamo di fronte allo smarrimento delle leggi morali ereditate dalla tradizione, e questo facilmente degenera in assenza di leggi, come si è visto nella recente bufera finanziaria quando tutti hanno fatto appello a regole precise » .
Non diverso il pensiero del presidente e amministratore delegato di Finmeccanica, Pier Francesco Guarguaglini, che ha ricordato che « ciò che guida gli scienziati, tanto nella verifica empirica che nella formulazione teorica, è la ricerca della verità. E tuttavia - ha aggiunto - tutti gli scienziati di ogni settore, nello sviluppo e nell’applicazione della tecnologia, si prefiggono anche l’obiettivo di raggiungere un progressivo miglioramento delle condizioni di vita dell’uomo » .
Ma, ha avvertito Guarguaglini, « la scienza non ha né il compito né la possibilità di fornire una risposta alle domande basilari dell’uomo; domande la cui risposta è da cercare altrove, in un’indagine parallela e contigua al cammino della scienza » . E, dunque, il preteso contrasto tra scienza e fede « oggi si rivela velleitario e anacronistico » . Occorre piuttosto « definire con chiarezza i campi propri di ciascuna di queste discipline, dall’altro riconoscere l’innegabile relazione che c’è tra mondo spirituale, aspirazione alla libertà e conoscenza scientifica della verità ».
Monsignor Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e della Pontificia Commissione per i Beni culturali della Chiesa, si è detto ottimista: dopo secoli di sterili contrapposizioni, « è ora giunto il momento di guardare al futuro dei rapporti tra scienza e fede con ottimismo, perché, come diceva Giovanni Paolo II, la scienza può purificare la fede dalla superstizione e la fede può purificare la scienza dal dogmatismo. Scienziati e teologi devono guardare reciprocamente uno nel terreno dell’altro per cercare dei punti di intersezione. Per conservare la propria identità è necessario abbandonare gli integrismi e l’arroganza che genera radicalismo perché la verità non è appannaggio soltanto di uno dei due campi, la verità si conosce anche attraverso la poesia, l’arte, la musica e la fede ». Quanto a Galileo, Ravasi ha detto: « È importante ritornare sulla sua storia e auspico che l’Archivio segreto del Vaticano ripubblichi tutti i materiali inerenti al suo processo, e che magari Finmeccanica ne sostenga la pubblicazione ».
Un grande fisico, come Ugo Amaldi, ha raccontato invece come lui ha risolto il nodo che sembra da sempre opporre scienziati credenti e scienziati atei: immaginando cioè una linea di confine che includa i problemi scientifici « lasciando al fuori tutte le domande non scientifiche ». Chi nega che esista « un progetto divino sulla natura » compie in realtà secondo Amaldi « un passo di trascendenza orizzontale » che non è giustificato « dal solo sapere scientifico ma è influenzato dal vissuto personale e da considerazioni filosofiche e sapienziali, che si trovano al di fuori del confine ».
Mentre « non è sostanzialmente diverso il comportamento di colui che, guidato dalla sua diversa esperienza esistenziale e dalla sua ragione filosofica e ragionevolezza sapienziale, uscendo dal confine del sapere scientifico compie un passo di trascendenza verticale scegliendo, ad esempio, un’opzione religiosa o filosofica che privilegia la centralità dell’uomo nella natura » . E, dunque, la metafora del confine « mostra che, comunque e sempre, l’intelletto compie un passo di trascendenza: alcuni scelgono la trascendenza orizzontale, altri la trascendenza verticale, e le motivazioni stanno tutte al di fuori del confine del sapere scientifico ».
All’incontro di Finmeccanica che anticipa le celebrazioni galileiane, previste per il 2009 - ovvero a 400 anni dalla prima volta che Galileo puntò il telescopio sul cielo di Padova - hanno preso parte anche padre George V. Coyne, presidente emerito della Specola vaticana, il matematico Edoardo Vesentini e Riccardo Chiaberge, direttore del supplemento culturale domenicale del Sole 24 Ore.
Il Papa i nell’Angelus parla della figura del grande scienziato perseguitato
Nessun accenno alle polemiche: "La sua opera non era contro la fede
Galileo, l’omaggio di Ratzinger
"La scienza ci insegna la natura"
"Galileo e gli altri scienziati ci hanno insegnato le leggi della natura e l’opera di Dio". Non accenna alle polemiche che lo hanno direttamente coinvolto, né alle scuse della Chiesa al grande scienziato del Seicento, ma Benedetto XVI sfrutta una occasione astronomica - il solstizio d’inverno - e la ricorrenza simbolo della cristianità - il Natale - per riaffermare la riabilitazione di uno dei simboli dei periodi bui della della Chiesa.
"Il fatto che proprio oggi, 21 dicembre, in questa stessa ora, cade il solstizio d’inverno - dice il Papa - mi offre l’opportunità di salutare tutti coloro che parteciperanno a vario titolo alle iniziative per l’anno mondiale dell’astronomia, il 2009, indetto nel quarto centenario delle prime osservazioni al telescopio di Galileo Galilei". Pur senza accennare alla riabilitazione decisa da Papa Wojtyla, Ratzinger ha ricordato che la sua ricerca non era contro la fede ma finalizzata a comprendere meglio le leggi della Natura creata da Dio. "Se i cieli narrano la gloria di Dio, anche le leggi della natura, che nel corso dei secoli tanti uomini e donne di scienza ci hanno fatto capire sempre meglio, sono un grande stimolo - a scandire - a contemplare con gratitudine le opere del Signore".
E proprio nei primi mesi di quest’anno Galileo fu di nuovo al centro della polemica con il Vaticano: nella protesta che in gennaio portò una parte dei docenti dell’Università La Sapienza di Roma a opposrsi alla presenza del Papa all’inaugurazione dell’anno accademico, molti accusarono di oscurantismo Ratzinger per aver definito nel 1990, quando era cardinale, "equo" il processo di Galilei. Un punto su cui il Vaticano rispose puntigliosamente: "Fu invece proprio il cardinale Ratzinger, da prefetto della Congregazione per la dottrina della fede - risposero in sintesi da San Pietro - il primo ad affiancare il Papa nel processo che cancellò l’antica condanna ecclesiale". Affermazioni a cui seguì un atto piccolo, ma simbolico: l’entrata in Vaticano della figura dello scienziato attraverso una statua nei giardini vaticani, presso la Casina di San Pio V, dietro al Cupolone.
Galileo è tornato a essere nuovamente "figlio legittimo" della Chiesa cattolica il 31 ottobre del 1992, dopo ben 359 anni, 4 mesi e 9 giorni dalla condanna "al silenzio" inflitta allo scienziato pisano il 22 giugno 1633 dal Sant’ Uffizio. Una condanna decisa nel vano tentativo di tappare la bocca al fondatore dell’astronomia e della fisica moderne, accusato di aver sposato quelle tesi copernicane che, in contrapposizione alle autorità ecclesiastiche di allora, sostenevano che è la Terra, insieme agli altri pianeti, a girare intorno al sole, e non viceversa. Galileo Galilei, come si sa, per salvarsi fu costretto a pronunciare la storica "abiura" davanti al tribunale vaticano, diventando automaticamente l’esempio tangibile di una delle più grandi ingiustizie perpetrate dalle autorità ecclesiastiche. La riabilitazione avvenne con una storica ammissione pubblica dell’errore in una solenne cerimonia, presenti i membri della Pontificia accademia delle scienze, presieduta da Giovanni Paolo II.
* la Repubblica, 21 dicembre 2008
Un anno per Galileo L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha consacrato il 2009 all’astronomia
Sono molti i grandi interrogativi sull’universo e sulla materia
Ma un’indagine rivela che molti ragazzi non sanno perché il giorno si alterna con la notte
di Franco Pacini (la Repubblica 27.12.2007)
Ironia del destino: nello stesso giorno in cui i giornali riportavano la notizia che circa metà della popolazione italiana ignora che l’alternanza giorno-notte è dovuta alla rotazione della Terra, le agenzie di stampa riferivano che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, sollecitata dal nostro paese, ha proclamato il 2009 «Anno Mondiale dell’Astronomia».
Si tratta di un evento particolarmente significativo anche perché la data si lega al 400mo anniversario delle prime osservazioni di Galileo con un cannocchiale. Queste mostrarono che la Terra non è il solo mondo nell’universo ma ne esistono tanti altri. Fra il 1609 e il 1610, nello spazio di pochi mesi, Galileo poté osservare le montagne della Luna, i crateri, i deserti. Seguirono poi le osservazioni dei satelliti di Giove, le fasi di Venere, le protrusioni laterali intorno a Saturno, quelle che sappiamo essere gli anelli. Non vi è dubbio che queste scoperte siano state una pietra miliare nello sviluppo della civiltà umana.
Proprio per questa grande rilevanza scientifica e storica, l’Assemblea Generale della Unione Astronomica Internazionale (IAU) aveva approvato nel 2003, all’unanimità, la proposta dello scrivente (allora Presidente della IAU) di richiedere alle Nazioni Unite la proclamazione di un Anno Mondiale dedicato all’Astronomia. In occasioni precedenti la stessa cosa era stata fatta per la Matematica (2000) e per la Fisica (2005, centesimo anniversario della teoria della relatività).
Contestualmente la Unione Astronomica Internazionale chiese al Governo Italiano di presentare formalmente la proposta alle Nazioni Unite. Il lungo processo di approvazione, condotto con intelligenza dalla nostra diplomazia, si è ora concluso positivamente. Negli anni scorsi, l’Accademia Americana delle Scienze ha notato che in questi ultimi decenni il susseguirsi di importanti scoperte astronomiche è pari solo a quello verificatosi nell’epoca di Galileo. Gli astronomi di oggi sono infatti impegnati nel cercare risposta alle domande fondamentali sull’Universo. Come nascono, vivono e muoiono stelle e pianeti? Come funziona il Sole? Come sono nate le Galassie? Come è nato e come finirà l’Universo? Come è nata e quanto si è diffusa la vita nel cosmo?
Nell’arco del secolo che si è appena concluso sono stati raggiunti risultati fondamentali relativi alla vita e alla morte delle stelle. Si e capito per esempio che gli elementi chimici presenti oggi nel cosmo sono il prodotto di trasformazioni nucleari che liberano energia e consentono al Sole e alle altre stelle di brillare per miliardi di anni, formando elementi sempre più complessi. In questo modo si sono formati anche gli elementi chimici che formano il nostro corpo, all’interno di stelle successivamente esplose. Il materiale espulso e poi servito a formare nuove generazioni di stelle e pianeti e, in ultima analisi, noi stessi. Lo studio delle stelle e della evoluzione cosmica ci dice in sostanza che noi siamo davvero «polvere di stelle».
Non meno impressionante e stata la scoperta che l’Universo e costituito soprattutto di materia invisibile, di un tipo sconosciuto alla fisica di oggi. La sua esistenza ci viene rivelata solo dalla attrazione che essa esercita sulla materia ordinaria circostante. Si tratta di uno dei grandi misteri della scienza, oggetto di studi e ardite speculazioni ai confini fra la fisica e la astrofisica.
Che dire poi della esplorazione del sistema solare, di pianeti come Marte particolarmente simili alla Terra, alla ricerca di indizi che possano far pensare alla esistenza di fenomeni biologici? La recente scoperta di molti pianeti intorno a stelle lontane incoraggia a pensare che tali fenomeni possano essere relativamente comuni nell’Universo.
Il fascino di una scienza che più di tutte colpisce il grande pubblico può quindi fungere da cavallo di Troia per il sapere scientifico in genere, specie fra i giovani. Val la pena ricordare proprio l’esplicito invito di Galileo affinché gli scienziati comunichino i risultati dei loro studi utilizzando un linguaggio che tutti possono capire e non solo il latino dei «dotti».
Oltre che realizzare insieme un programma di eventi internazionali coordinati dalla IAU, i differenti paesi elaboreranno un proprio programma nazionale. Le celebrazioni non dovranno essere limitate a mostre, convegni, eventi vari, ma è importante che in questa occasione si possano realizzare infrastrutture destinate a far parte del patrimonio del Paese, secondo la falsariga seguita negli anni scorsi per ricordare la scoperta dell’America.
In tal modo questo evento potrà dare un forte contributo alla conoscenza della scienza contemporanea, un’esigenza ribadita recentemente da un apposito gruppo di lavoro interministeriale sulla diffusione della cultura scientifica, presieduto da Luigi Berlinguer. Nel contesto dell’Anno dell’Astronomia è particolarmente importante che si realizzi anche il progetto per un «Museo dell’Universo» sul colle di Arcetri (Firenze), dedicato alla didattica e divulgazione dell’astronomia e alla esplorazione spaziale.
Il Museo dell’Universo, la casa dell’esilio di Galileo e i moderni enti di ricerca già presenti verrebbero a formare sul colle di Arcetri una suggestiva «Città di Galileo» valorizzando insieme la scienza contemporanea e una fondamentale eredità storica.
Per sostenere questo progetto è stato costituito un Comitato Promotore comprendente altissime figure della società civile e della scienza e sono state identificate possibili sorgenti di finanziamento privato. C’è da augurarsi che l’approvazione dell’Anno dell’Astronomia da parte delle Nazioni Unite coincida con l’effettivo varo del progetto.
Alcune settimane fa, ad Atene, l’Unione Astronomica ha tenuto un affollato convegno preparatorio per presentare e discutere le attività durante l’Anno dell’Astronomia. Le idee sono tante e affascinanti, tutte rivolte a far conoscere al grande pubblico le più recenti scoperte sull’universo. Purtroppo il confronto ha mostrato che l’Italia è in grave ritardo rispetto a molti altri paesi per insufficienza di finanziamenti e carenze organizzative.
Sarebbe triste se il ritardo nei finanziamenti o una visione dell’evento puramente celebrativa dovessero lasciare l’Italia sostanzialmente ai margini del grande evento che il nostro paese ha avuto la capacità di promuovere.
Leopardi figlio di Galileo
Un libro di Gaspare Polizzi sul legame tra lo scienziato e il poeta
di Pietro Greco *
C’è un filo rosso che lega la storia della grande letteratura italiana, da Dante a Galileo fino a Giacomo Leopardi. Questo filo rosso - anzi questa «vocazione profonda» - diceva Italo Calvino, è la filosofia naturale. Qui tre grandi - e poi lo stesso Calvino - hanno considerato «l’opera letteraria come mappa del mondo e dello scibile».
Cosicché tra la grande letteratura e la scienza, in Italia, non c’è mai stata quella separazione denunciata cinquant’anni fa da Charles Percy Snow nel suo famoso libro sulle «due culture». Ma c’è stata una reciproca influenza? Quanto la figura di Dante ha contato per Galileo? E quanto Galileo ha pesato su Leopardi?
Alla prima domanda si può rispondere di sì: chi è venuto dopo si è lasciato influenzare dal grande che lo ha preceduto. Basti ricordare, per quanto riguarda Galileo, che la sua carriera accademica è iniziata virtualmente nel 1588, con le "Due lezioni all’Accademia Fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell’Inferno di Dante", il ventiquattrenne figlio del musicista Vincenzio dimostra di essere sia un valente matematico che un profondo conoscitore del Sommo Poeta.
Per quanto riguarda l’influenza che lo stesso Galileo avrà su Leopardi abbiamo prove meno evidenti. Nelle sue opere il poeta nato a Recanati non cita spesso lo scienziato nato a Pisa. Eppure è possibile dimostrare che «la figura e l’opera di Galileo [hanno un ruolo decisivo] sulla filosofia di Leopardi e sul suo stile». L’affermazione è di Gaspare Polizzi. E gli argomenti, solidi e documentati, a favore della sua impegnativa tesi sono contenuti nel libro, «Galileo in Leopardi» (pagine 220, euro 22,00) che lo storico della scienza in forze all’università di Firenze ha da poco pubblicato presso la casa editrice Le Lettere.
Gaspare Polizzi ha passato in rassegna con grande rigore tutta l’opera di Leopardi alla ricerca di tracce, dirette o indirette, che riconducono a Galileo. Giungendo, a nostro avviso, a tre conclusioni di grande rilievo e a una considerazione che riteniamo di stringente attualità.
La prima conclusione finora niente affatto scontata è che, malgrado il nome dell’"Artista Toscano" (le definizione è del poeta John Milton) ricorra relativamente poco negli scritti di Leopardi - tranne in quelli resi pubblici della "Crestomazia della Prosa" e in quelli inediti dello "Zibaldone" - la presenza di Galileo nel pensiero e persino nello stile del poeta di Recanati non solo c’è, ma è addirittura decisiva.
Leopardi, infatti, non solo ha letto Galileo e le opere su Galileo. Ma lo considera: il più grande fisico di tutti i tempi; un filosofo di primaria importanza nella storia del pensiero umano; e, insieme a Dante, appunto, il più grande rappresentante della letteratura italiana. Galileo è «per la sua magnanimità nel pensare e nello scrivere» un (forse "il") modello per Leopardi.
La seconda conclusione documentata da Gaspare Polizzi è che Giacomo Leopardi, pur conservando, questa sintonia di fondo con Galileo, modifica e aggiorna e affina nel tempo i suoi giudizi sullo scienziato toscano. Gaspare Polizzi è così abile da mostrarci come Leopardi scopre nel tempo Galileo. Quali opere legge. E da quali è particolarmente colpito.
La terza conclusione è che, per quanto grande e addirittura decisiva sia l’influenza che Galileo esercita su Leopardi, l’epistemologia del poeta di Recanati non si esaurisce totalmente in quella dello scienziato pisano. Anzi, vi sono talvolta delle differenze. Entrambi, certo, considerano lo studio della natura, attraverso certe dimostrazioni e sensate esperienze, il nuovo modo, superiore, di filosofare intorno ai fatti del mondo fisico. Ed entrambi credono nella "potenza della ragione", capace di leggere il libro della natura e superare le false credenze degli antichi. Tuttavia Leopardi insiste molto più di Galileo sui limiti della conoscenza umana anche sui fatti della natura e, dunque, sulla relatività delle verità scientifiche. Ha un’attenzione per la matematica e per il suo valore epistemologico molto meno marcata dello scienziato toscano. E, più di Galileo, focalizza la sua attenzione sulla complessità del mondo. Anzi, per dare risalto a questa sua visione molto articolata del mondo fisico - dove piccole cause all’apparenza insignificanti possono produrre grandi effetti - Leopardi non esita a "tirare" fino a distorcere il pensiero di Galileo.
Galileo, dunque, ha una grande influenza su Leopardi. Ma, come sempre accade con i giganti che salgono sulle spalle di giganti, Leopardi ha una lettura critica e personale di Galileo.
C’è, infine, una ultima considerazione che ci propone il libro di Gaspare Polizzi e che ha un qualche riverbero nell’attualità. Nei suoi scritti Leopardi mostra una certa riluttanza a parlare della teoria copernicana e opera delle censure abbastanza sistematiche sul "processo a Galileo". Uno dei motivi, scrive Polizzi, è da attribuire al conflitto a distanza con il padre intorno alla legittimità della proposta galileiana. Ma, probabilmente, c’è anche una certa ritrosia - forse un vero e proprio timore - del giovane di Recanati ad assumere posizioni non conformi alla lettura che la Chiesa cattolica a due secoli di distanza fa del «processo a Galileo».
* l’ Unità, Pubblicato il: 29.04.08, Modificato il: 29.04.08 alle ore 19.49
TELESCOPIO GLAST A CACCIA DELL’UNIVERSO INVISIBILE *
ROMA - Grandissime attese dall’Italia per il telescopio spaziale Glast, lanciato dalla base statunitense di Cape Canaveral (Florida) con un razzo Delta II. Glast (Gamma-ray Large Area Space Telescope)’ lo strumento il più potente che abbia mai esplorato su larga scala le grandi esplosioni dell’universo, invisibili all’occhio umano in quanto emettono raggi gamma, la più potente forma di energia nello spettro elettromagnetico.
Costato complessivamente 690 milioni di dollari, Glast è un progetto della Nasa e del Dipartimento per l’Energia degli Usa, al quale l’Italia contribuisce attraverso Agenzia spaziale Italiana (Asi), Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) con le sezioni di Bari, Padova, Perugia, Pisa, Roma, Trieste e Udine.
Gli altri partner del progetto sono Francia, Germania, Giappone e Svezia. "L’Italia ha un ruolo di primo piano. Fornisce infatti tutta la strumentazione", osserva il presidente dell’Asi, Giovanni Bignami. Glast è infatti il fratello maggiore del piccolo satellite italiano Agile ed entrambi sono basati sulla stessa tecnologia, anche se Glast ha un campo visivo decisamente più ampio: "é ottenuto mettendo 16 piccoli Agile uno di fianco all’altro" e "riprenderà le osservazioni dove Agile le ha lasciate", aggiunge. Proseguirà così su larga scala la caccia ai cosiddetti "Ugo", che sta per Unidentified Gamma Object (Oggetti gamma non identificati), che si stima possano essere almeno 200.
Finora ne è stato scoperto con sicurezza solo uno, la pulsare Geminga, dallo stesso Bignami e da Patrizia Caraveo. Anche per il presidente dell’Infn, Roberto Petronzio, Glast é un occhio speciale capace di osservare cose che l’occhio non può percepire: vede la luce come se avesse una retina speciale". Una retina che l’Infn ha avuto un ruolo di primo piano nel costruire e che molto probabilmente farà di Glast un apripista in un campo di frontiera come quello delle astroparticelle, a metà fra l’astrofisica e la fisica delle particelle. Le attese per questa missione sono grandi anche per il presidente dell’Inaf, Tommaso Maccacaro: "poter rilevare la radiazione gamma, ossia la più energetica dello spettro elettromagnetico significa poter studiare un indicatore dei processi più violenti dell’universo".
Glast, prosegue , potrà farlo con un’efficienza unica "grazie al suo enorme campo visivo e alla capacità di tenere sotto controllo una grandissima parte del cielo. Siamo ansiosi di cominciare a ricevere i dati". Una volta in orbita, Glast dispiegherà i pannelli solari e le antenne, quindi comincerà la fase di test degli strumenti: il Lat (Large Area Telescope), progettato dalla sezione dell’ Infn di Pisa, e il Glast Burst Monitor (Gbm), responsabile del quale è Patrizia Caraveo, dell’Inaf. Si ritiene che fra 90 giorni sarà pronto per le cui analisi contribuirà il centro dati scientifici dell’Asi.
* Ansa » 2008-06-11 19:06
RICERCA DI PARTNER PER LA INIZIATIVA - FIRENZE-MARZO 2009 -SETTIMANA DELLA SCIENZA
Titolo del Progetto “SCIENZA - ARTE : CONTAMINAZIONE NARRATIVA e TEATRALE” Sintesi dell’iniziativa e obiettivi specifici: ... EGOCREANET, www.egocreanet.it , e collaboratori del gruppo ON-NS&A , organizzeranno per la settimana della Scienza del Marzo 2009, un programma dibattito ed incontri sul tema “SCIENZA - ARTE : CONTAMINAZIONE NARRATIVA e TEATRALE” , che si terra nel quadro delle manifestazioni dell’anno in cui ricorre il quarto centenario della composizione del Sidereus Nuncius (1609), di Galileo Galilei. Infatti la lungimiranza e quindi la attualita’ di Galileo consiste non solo nella osservazione astronomica capace di cambiare la visione del modo a lui contemporaneo, ma inoltre, nell’ aver ideato le modalita’ ancora oggi decisive, adeguate a favorire la condivisione della innovazione scientifica in relazione al contesto culturale nel quale l’ innovazione cognitiva viene condivisa dalla gente, mediante la narrazione ed il dialogo. Ricordiamo infatti come “Dialogo sui Massimi Sistemi”, pubblicato a Firenze (1632), sia stato impostato come discussione tra tre attori Salviati ,Sagredo e Simplicio, creati dalla fantasia di Galileo. Partendo da tali rimembranze il suddetto Progetto di dialoghi ed incontri verra’ finalizzato a condividere modalita’ di espressione innovativa in relazione al tema : SCIENZA//ARTE e CONTAMINAZIONE NARRATIVA e TEATRALE . Pertanto abbiamo inizialmente recentemente sperimentato presentando al pubblico tale strategia di contaminazione tra Teatro e Scienza , finalizzata a moltiplicare l’ attenzione alla cultura scientifica partendo dalle piu’ radicate tradizioni Galileiana , con l’ opera intitolata : “DIALOGO sui Massimi Sistemi Contemporanei” (www.egocreanet.it - Poggibonsi(SI) il 01/Giu/2008 ) con la collaborazione del Festival “Libera Tutti” organizzato dalla associazione Nausika : http://www.narrazioni.it/.
Descrizione sintetica del Progetto.
Il Progetto “SCIENZA - ARTE : CONTAMINAZIONE NARRATIVA e TEATRALE” e’ indirizzato a favorire la condivisione e lo sviluppo ella cultura scientifica coniugando scienza ed arte come e’ stato congeniale nella radicata tradizione del Rinascimento Fiorentino . Tale tradizione oggigiorno assume un nuovo rilievo strategico per migliorare la formazione e l’ impegno culturale e scientifico dei giovani e dei cittadini tutti nel favorire un ampio e duraturo impatto della scienza e della innovazione al tessuto sociale e produttivo del territorio ,rafforzando contemporaneamente il ruolo internazionale per Firenze e la Toscana. Vedi promozione internazionale della iniziativa in : (http://www.wbabin.net/manzelli4.pdf)
Il seminario organizzativo che si terra’ in presenza , (previsto per marzo 2009 el quadro delle iniziative per la Settimana azionale della Scienza - sede proposta ,presso la Tribuna di Galileo in Firenze) , sara’ attuato nell’ambito di una attivita’ quadrimestrale (Gennaio - Aprile 2009) di aperto dialogo in rete promosso da EGOCREANET/ON-NS&A mediante web - liste di discussione e blog . Il dialogo “ON-LINE”, avra’ come specifico obiettivo, lo studio delle strategie attualmente ritenute piu’ consone per favorire la crescita del settore delle produzioni ad elevata affidabilita’ ed impatto ambientale, basate sugli sviluppi delle ricerca Scientifica e Tecnologica, al fine di rafforzarne la catena del valore aggiunto, con il decisivo contributo proveniente dalla condivisione sociale ed culturale delle cognizioni scientifiche che sono alla base delle nuove attivita’ produttive e di comunicazione.
SCOPI specifici del DIALOGO SUL TEMA della CONTAMINAZIONE TRA SCIENZA ed ARTE.
Particolare attenzione in tale contesto sara’ data allo studio ed alla disseminazione delle migliori pratiche esistenti a riguardo della contaminazione tra scienza arte e narrativa teatrale finalizzate a :
1) realizzare le forme comunicative multimediali capaci di trasmettere concettualita scientifiche avanzate con modalità espressive e comunicative trans-disciplinari , accessibili, attrattive e motivanti il pubblico.
2) selezionare e promuovere strategie di disseminazione virtuale di esperimenti mentali curiosi ed affascinanti, troppo spesso trascurati a causa di pregiudizi relativi ad una presunta difficoltà di comprensione di modelli di pensiero scientifico che presentano complessita’ interpretativa.
3) Sviluppare criteri e metodi di narrativa teatrale animazione di percorsi formativi adatti a stimolare la attenzione e la curiosita’ e le emozioni degli studenti sul futuro della scienza nel quadro dello sviluppo della società della conoscenza
4) Incoraggiare il dialogo tra i cittadini al fine di promuovere una loro cittadinanza attiva ,selezionando e divulgando le loro idee in proposito delle sfide chiave nelle quali la scienza ha una ampia ripercussione sulla qualita’ della vita futura.
ARTICOLAZIONE DELL FASI DI ATTIVITA’ Quadrimestrale ( 01-Genn - 30 Aprile -2009 )
a)Venerdi 16 Gen./ 2009 I* Incontro del Comitato dei Partner ON-NS&A organizzato da EGOCREANET , per la Definizione di un apposito Dialogo ON -LINE , tramite WEB-Site e di u n Forum di Discussione e di una Newletter (12-persone rappresentanti di ciascun partner ) -
b)Lunedi 16/FEB/2009 Pre-riunione organizzativa del comitato scientifico ed organizzatore per la definizione delle relazioni al KEY meeting in Presenza nel quadro delle iniziative par la settimana nazionale della scienza 2009 )
c)Venerdi’ 20 Marzo /2009 Key Meeting , sul tema : “SCIENZA - ARTE : CONTAMINAZIONE NARRATIVA e TEATRALE” precedentemente descritto nelle sue linee generali; valutazione intermedia vista in relazione alle esigenze di mettere a fuoco in modo puntuale le successive iniziative per gli anni 2009/2010 le ricadute in termini di cost- benefici scientifici e culturali dell’ intera progettazione promozionale. ( previsti - 100 partecipanti)
d)Giovedi 16 Aprile 2009 ( in data da definire) , II* Incontro del Comitato del Comitato dei partners ON-NS&A organizzato da EGOCREANET allargato a nuove presenze , (Previste 15 persone) e nuova valutazione della progettazione vista anche in funzione delle scadenze dei Bandi Europei ed Internazionali
e)Lunedi 30 Aprile Riunione del Direttivo della Associazione EGO-CreaNET per la Chiusura del Progetto e predisposizione della relazione e del Bilancio finale Economico e /culturale, ed infine per attivare una ampia comunicazione e divulgazione dei risultati. (5-Persone) .
Numero e caratteristiche dei destinatari del progetto
I destinatari del Progetto EGOCREANET/ON-NS&A sul tema - SCIENZA - ARTE : CONTAMINAZIONE NARRATIVA e TEATRALE”, sono preferenzialmente i cittadini , gli studenti ed i docenti delle scuole ed i ricercatori delle Universita’ Pubbliche e Private e delle Imprese del territorio Regionale Toscano
RISULTATI ATTESI- Il Progetto EGOCREANET/ON-NS&A si propone di aggregare quanti riterranno di essere interessati a promuovere in Progetto transdisciplinare di contaminazione tra “scienza arte”, nel quadro di una programmazione di iniziative di TEATRO-SCIENTIFICO. Il principale risultato atteso e’ pertanto sara’ la co-organizzazione di una impresa di network cooperativo, capace di progettare iniziative di condivisione e sviluppo dei saperi tra scienza e societa’ , anche allo scopo di formare attori creativi capaci di elaborare e promuovere geniali soluzioni culturali e scientifiche, che accomunino la produzione di settori avanzati (bio-tecnologie, nanotecnologie, innovazione e gestione della comunicazione , ecc..) , mediante la progettazione di attivita socio culturali multimediali da estendere ad un confronto internazionale in modo che possano divenire complementari allo sviluppo duraturo dei sistemi di produzione nella economia del sapere. Infatti come risultato finale il Programma EGOCREANET/ON-NS&A intende contribuire a stimolare la creatività e la capacità d’innovazione:anche in Europa in modo da co-organizzare un programma pluri-annuale di iniziative sul tema “SCIENZA - ARTE : CONTAMINAZIONE NARRATIVA e TEATRALE” di livello Territoriale/ Nazionale ed Europeo , entro un comune impegno programmato al fine di favorire lo sviluppo della societa’ della Europea della conoscenza . N.B. : L’anno 2009 è proclamato dalla Comunita Europea "Anno europeo della creatività e dell’innovazione".Vedi: http://eacea.ec.europa.eu/citizenship/index_en.htm