LUNA 1969: L’AMERICA CELEBRA LO STORICO SBARCO
(di Cristiano Del Riccio) *
WASHINGTON - L’America celebra i 40 anni dallo sbarco sulla Luna con una raffica di iniziative che hanno riportato in primo piano i tre astronauti protagonisti della storica missione dell’Apoll0 11. La più attiva, nella corsa alle celebrazioni, è stata indubbiamente la Nasa che offre sul sito web la trasmissione in ’tempo reale’ della intera missione degli astronauti Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins (che restò in orbita lunare): dal lancio ieri dell’Apollo 11 fino al ritorno con successo sulla Terra il 24 luglio.
La trasmissione consentirà di rivivere il 20 luglio il famoso ’primo pass’ di Armstrong sul nostro satellite. Per l’occasione la Nasa ha inoltre presentato una versione restaurata (con l’aiuto di una compagnia di Hollywood) delle immagini delle passeggiate lunari di Armstrong e Aldrin.
Ieri la Nasa ha diffuso muove immagini del punto di atterraggio di Apollo 11 scattate dal Lunar Reconnaissance Orbiter, che è in orbita lunare. Oggi sarà la National Symphony Orchestra del Kennedy Center di Washington a celebrare l’impresa con un concerto dedicato ai temi musicali di film come ’Guerre Stellari’, ’Star Trek’ e ’E.T.’.
Il giorno dell’anniversario, lunedì 20 luglio, la Nasa terrà una conferenza stampa a Washington con la partecipazione di Aldrin (di gran lunga il più attivo tra i tre membri dell’ Apollo 11) e di altri famosi astronauti come James Lovell (Apollo 8 e 13), Thomas Stafford (Apollo 10) e Eugene Cernan (Apollo 10 e 17). Sempre lunedì Aldrin ed altri astronauti, insieme ad alcuni dirigenti della Nasa, parteciperanno ad un dibattito al Newseum sul futuro della esplorazione spaziale, un tema che sta particolarmente a cuore all’ente spaziale Usa ancora alla ricerca di una missione definita dopo il completamento della Stazione Spaziale Internazionale.
La sera dl 20 luglio i tre astronauti dell’Apollo 11 parteciperanno, insieme a numerosi altri colleghi, ad un ricevimento per celebrare l’anniversario della storica missione e per conferire un premio postumo al presidente John Kennedy (Ambassador of Exploration award) che lanciò in un famoso discorso la sfida allo sbarco sulla Luna entro gli anni ’60.
Per l’occasione la tv cable HBO ha rimesso in vendita la sua miniserie ’Dalla Terra alla Luna’, prodotta dall’attore Tom Hanks, che comprende dodici ore di materiale sull’intero programma spaziale, dalle capsule Mercurio fino alle missioni Apollo. I media americani sono pieni di interviste a celebrità per sapere dove erano quando Armstrong sbarcò sulla Luna. Una delle risposte più insolite giunge dall’ex-candidato alla Casa Bianca John McCain: "Nel 1969 ero prigioniero dei vietnamiti - ha spiegato - Seppi che avevamo conquistato la Luna solo un anno e mezzo dopo".
IL CIELO NON E’ VUOTO, MA NEMMENO E’ OCCUPATO DALL’IMPERATORE COSTANTINO E DAL SUO ESERCITO!!!
La Fenomenologia dello Spirito... dei “Due Soli”. Ipotesi di rilettura della “Divina Commedia”..
Federico La Sala
#SIDEREUS NUNCIUS (#GALILEO GALILEI, 1610): #APOLLO 11 E L’#ALLUNAGGIO DEL 1969, QUELL’#ATTIMO STORICO IN CUI L’#UOMO MISE PIEDE SULLA #LUNA. Un saluto e un #omaggio a #Tito Stagno...
Televisione.
Morto Tito Stagno, raccontò lo sbarco sulla Luna
Aveva 92 anni, fu giornalista, telecronista sportivo e conduttore televisivo
DIRedazione Internet (Avvenire, martedì 1 febbraio 2022)
E’ morto all’età di 92 anni Tito Stagno, storico giornalista della Rai.l suo nome resta legato per sempre alla sera del 20 luglio 1969, quando raccontò ai telespettatori lo sbarco sulla Luna.
’Ha toccato! Ha toccato in questo momento il suolo lunare’’: la storia dell’allunaggio è tutta in quella frase che Tito Stagno pronunciò mentre, dalle cuffie in cui sentiva il dialogo tra gli astronauti e la centrale di Houston, ascoltò i tecnici Nasa dire ’Reached Land’. Oltre 25 ore di trasmissione, dallo studio 3 di via Teulada, in collegamento con Houston dove c’era Ruggero Orlando, per coinvolgere gli italiani in quell’attimo storico in cui l’uomo mise piede sulla Luna. Una veglia rimasta nell’immaginario collettivo, che il giornalista ricordava spesso con nostalgia ma anche con una punta di amarezza, in quanto gli ricordava "una stagione di entusiasmi, di coraggio, di desiderio di conoscenza che si rivelo’ poi troppo breve’’. Nato a Cagliari il 4 gennaio 1930, mezzobusto tv negli anni ’60 e ’70, Stagno si era appassionato alla vicenda dello Sputnik, lanciato nel 1957: "Me ne occupai io e da allora quel settore in ascesa divenne un po’ il mio’’, raccontava. E definiva "leggenda" la storia del battibecco avuto con Ruggero Orlando proprio durante la storica telecronaca dell’allunaggio. ’’Eravamo molto molto amici: comunque, anche per motivi tecnici, io diedi la notizia 20 secondi prima di lui’’.
Tito Stagno è stato anche inviato speciale al seguito delle grandi personalità del Novecento e responsabile della Domenica Sportiva, dal 1976 al 1995. Si è raccontato nell’autobiografia "Mister Moonlight - Confessioni di un telecronista lunatico", scritta con Sergio Benoni, edita da Minimum Fax, "l’avventurosa biografia di un ragazzino della provincia italiana del dopoguerra che passa i pomeriggi al cinema e che all’improvviso si trova catapultato sul palcoscenico della storia, e qui si gioca la vita. Con tutta la consapevolezza che non basta essere testimoni del proprio tempo ma bisogna esserne, con curiosità e coraggio, protagonisti".
#COSMOTEANDRIA E #ANTROPOLOGIA.
L’#autodeterminazione, la #libertà
di disporre di sé,
è
dell’#uomo come della #donna,
ma l’#Europa
pensa come se vivesse
in una #terra piatta,
nel suo #mare nostrum.
Non ha ancora visto
il #Sorgere della Terra,
La nonna nello spazio
di Massimo Gramellini (Corriere della Sera, 20 luglio 2021).
Oggi, a bordo del razzo privato in viaggio di piacere verso le stelle, ci sarà anche una donna di 82 anni. Dimentichiamo per un attimo che il proprietario del razzo è Jeff Bezos, il signor Amazon, il massimo del genio ma non proprio della simpatia, considerando che in Europa paga meno tasse di un fruttivendolo. E ammettiamo che l’idea di imbarcare l’arzilla signora sia un’astuta mossa di marketing. Resta una bella storia che parla alla fantasia di ciascuno di noi.
Da bambina Wally Funk giocava con gli aeroplanini, da adolescente era capace di costruirli, da ragazza prese il brevetto di pilota e a ventidue anni partecipò al programma della Nasa per portare in orbita la prima donna astronauta, ma l’atmosfera terrestre era ancora solcata da troppi pregiudizi e il programma svanì dopo che Wally aveva già superato le selezioni. Non per questo perse il celebre sorriso: si limitò ad abbassare leggermente la cilindrata dei suoi sogni, occupandosi di voli civili. Ma i desideri, cantava Battiato, non invecchiano quasi mai con l’età. E dieci anni fa, quando aveva già passato i settanta, l’aviatrice Wally comprò un biglietto per un volo suborbitale della Virgin che non decollò mai.
Oggi è il suo momento, finalmente. Sarà seduta accanto a un diciottenne e la suggestione epica avanza inesorabile: il passato e il futuro che scappano insieme da un mondo in fiamme ricordano Anchise e Ascanio in fuga da Troia. Chissà come si sentirà Jeff Bezos nei panni di Enea.
DELLA #astronave
#ARGO (#DIVINA COMMEDIA)
PIù CHE DELL’#AMAZON
DI #BEZOS.
#Virgilio/#Enea (trovata nella #Virgo la vera #Madre) fa autocritica:
"«[..] io dico d’Aristotile e di Plato/ e di molt’altri»;
e qui chinò la fronte,/e più non disse"
(Pg III, 43-45).
FLS
#EDUCAZIONE CIVICA
#EDUCAZIONE SESSUALE.
#Memoria della
#Legge di #Apollo
(#Eschilo):
«non è la madre la #generatrice di quello che è chiamato suo figlio;
ella è la nutrice del germe in lei inseminato.
Il #generatore è colui che la feconda».
Marte, un successo il volo del drone-elicottero Ingenuity
La prima immagine, in bianco e nero
di Redazione ANSA *
E’ stato un successo il volo su Marte del drone-elicottero Ingenuity della Nasa: è la prima dimostrazione della possibilità del volo controllato su un pianeta diverso dalla Terra e apre nuovi scenari per il futuro dell’esplorazione marziana.
Nella notte gli ingegneri del Jet Propulsion Laboratory (Jpl) della Nasa avevano inviato i comandi per il volo al drone-elicottero per le 9,31 italiane di oggi e più di tre ore più tardi i dati sono arrivati a Terra.
Il centro di controllo ha ricevuto anche la prima immagine, in bianco e nero. L’ha scattata lo stesso drone, catturando la sua ombra sul suolo marziano durante il volo di circa 40 secondi nel quale si è sollevato di tre metri. L’immagine è stata scattata dalla telecamera di bordo che in modo autonomo ha tracciato il suolo durante il volo. Anche il rover Perseverance ha ripreso il volo di Ingenuity, in un breve video inviato al centro di controllo della missione.
Il segnale è stato trasmesso da Ingenuity al rover Perseverance, che il 3 aprile scorso aveva rilasciato il drone sulla superficie marziana, dopo averlo portato con sé nel lungo viaggio dalla Terra; dal rover il segnale è stato trasmesso alla sonda della missione Mars 2020 che si trova nell’orbita marziana, che poi lo ha inviato sulla Terra.
Il volo di Ingenuity è avvenuto in modo completamente automatico. Come previsto è durato circa 40 secondi e il drone si è sollevato di circa tre metri, per atterrare sulle sue quattro zampe. Quindi il veicolo si è messo a riposo per ricaricare le batterie.
Altri voli in programma
“Questo è solo il primo grande volo", ha detto la responsabile della missione di Ingenuity, MiMi Aung, paragonando la portata del primo volo di un drone-elicottero su un altro pianeta a quella del primo volo dei fratelli Wright. Un’analogia che la Nasa ha sottolineato da subito, considerando che a bordo del drone c’è un piccolo frammento di tela dell’ala dell’aereo dei fratelli Wright.
Ulteriori dati e nuove immagini del primo volo di Ingenuity sono attesi nell’arco dei prossimi tre giorni marziani, ognuno dei quali dura circa 40 minuti in più rispetto al giorno terrestre. Sulla base di questo materiale, rileva la Nasa, si prevede di organizzare un secondo volo sperimentale non prima del 22 aprile. Se il drone elicottero supererà anche questo secondo test, il gruppo di lavoro responsabile della missione metterà a punto le caratteristiche ottimali per ulteriori voli.
* ANSA, 20 aprile 2021 (ripresa parziale).
Tecnologia.
Abitare nello spazio non è più fantascienza
Colonizzare la Luna e costruire in orbita sono ricerche ormai all’ordine del giorno. Vittorio Netti: «Una sfida non solo tecnologica, ma di pensiero architettonico»
di Silvia Camisasca (Avvenire, venerdì 19 febbraio 2021)
«La terra è la culla dell’umanità, ma nessuno può vivere in una culla per sempre »: furono le parole con cui nel 1890 Konstantin Ciolkovskij, scienziato russo e inventore della missilistica, motivò la scelta di dare vita nel suo appartamento al primo laboratorio di aerodinamica. Accolto ai consessi internazionale dallo scetticismo di colleghi, che in lui vedevano una mente folle quanto basta, non cessò di esporre le sue teorie visionarie su stazioni spaziali e razzi che avrebbero solcato lo spazio siderale e portato a spasso nel cosmo l’umanità. Autodidatta, costretto ad abbandonare la scuola a 14 anni a causa della scarlattina che gli procurò la sordità, elaborò, ispirato dai romanzi di Jules Verne, la “torre orbitale”, ovvero l’ascensore spaziale ormai parte dell’immaginario collettivo. Ma “il sognatore di Kaluga”, nelle parole di Nikolai Rynin, era un matematico e fisico estremamente rigoroso: lui, per primo, calcolò, infatti, la velocità necessaria ad un veicolo spaziale per vincere l’attrazione gravitazionale terrestre e raggiungere le stelle.
Come lui, nella storia si incontrano altre figure - Leonardo Da Vinci, Nikola Tesla, Wernher Von Braun - capaci di viaggiare nel tempo guidati dalla potenza di un’immaginazione incontenibile. Lo stesso Von Braun, già inventore del razzo che portò i primi astronauti sulla luna con il programma Apollo, racconta, in Progetto Marte, il suo piano per colonizzare il pianeta rosso per mezzo di una flotta di astronavi, mascherandolo da romanzo di fantascienza. L’ex scienziato nazista, divenuto padre del programma spaziale americano, descriveva in ogni dettaglio le vite dei neocoloni, immaginando giganteschi razzi riciclabili e basi sotterranee brulicanti di una nuova generazione di scienziati, ingegneri e biologi. La premessa è di straordinaria attualità in questo particolare passaggio storicamente delicatissimo per tutte le dinamiche inerenti lo spazio, ingegneria ed economia incluse, ma, soprattutto, relative alla possibilità di una permanenza prolungata e sostenibile in un “altrove”, oltre il pianeta Terra.
Vittorio Netti
Vittorio Netti - Sicsa
«Immaginare il futuro, anche con voli pindarici della mente, è fondamentale per costruirselo - esordisce Vittorio Netti, ricercatore al Sicsa (Sasakawa International Center for Space Architecture) di Houston, e Ph.D. candidate in Ingegneria e Scienze Aerospaziali al Politecnico di Bari - È come tracciare una rotta, attraverso acque ignote, per arriva a destinazione, anche se ancora nessuna la vede». Al Sicsa, il più avanzato centro di ricer- ca al mondo di ingegneria aerospaziale, vengono studiate soluzioni e tecnologie per la prossima generazione di missioni spaziali con equipaggio umano, perché vivere e abitare oltre il pianeta Terra non è più oggetto di pertinenza della fantascienza: «Da oltre 20 anni non viviamo interamente sullo stesso pianeta. Un certo numero di esseri umani occupa costantemente la ISS in orbita dal 2000 - ricorda Netti - e dal 2017 con il lancio del programma Artemis della Nasa, dopo 50 anni, si sta pianificando il ritorno dell’uomo (e della prima donna) sulla Luna. Questa volta, però, per restarci». La road map, del resto, è già definita: si articolerà in tre fasi e procederà con la prima missione esplorativa nel 2024 e l’installazione delle strutture permanenti dal 2028.
Se passeggiare sul suolo lunare è già parte delle nostre conquiste, come specie, l’impresa, mai tentata prima, di abitarci stabilmente comporta una serie di sfide incredibilmente ardue. A cominciare dal dovere fare i conti con il fattore umano, con una fisiologia e psicologia messe a dura prova dall’ambiente lunare: uno spazio assai ostico, che costantemente incrina l’equilibrio psicofisico ed emotivo umano: radiazioni, pressione, mancanza di ossigeno, microgravità. Nulla di quello che c’è lì fuori è compatibile con la vita, perlomeno quella umana, nulla favorisce il benessere della persona». Per garantire la permanenza in un contesto così avverso, gli habitat spaziali, come la ISS, devono riprodurre microecosistemi contenenti tutto quanto necessario a sostenere gli astronauti, limitando il più possibile i rifornimenti dalla Terra. I sistemi di sostentamento vitale (Eclss nel gergo Nasa) sono attualmente in grado di riciclare una percentuale notevolissima di tutto ciò che è a bordo, ovvero la quasi totalità dell’acqua (90%) e il 40% dell’ossigeno.
Gli Eclsss sono addirittura osservabili come modelli virtuosi di economia circolare, e sulla Luna la loro efficienza potrebbe essere anche superiore; inoltre, l’inesorabile consumo di risorse potrebbe essere rifornito dall’impiego dei materiali locali, il cui ricorso è già al vaglio non solo per l’ambiente lunare. Allo studio, infatti, ci sono soluzioni per utilizzare la sabbia lunare (regolite) e l’acqua dei giacimenti polari per la costruzione delle basi di superficie, nella stessa maniera in cui qui impastiamo cemento e malta. «Costruire sulla Luna significa reinventare l’architettura, non solo le tecniche costruttive» puntualizza Netti, ricordando che nel 1960, agli albori dei programmi di esplorazione spaziale umana, la Nasa reclutò un team multidisciplinare di artisti, designer e architetti per immaginare il futuro dell’uomo nello spazio: lo scopo consisteva nel visualizzare e concretizzare quanto, fino ad allora, era stato solo teorizzato dagli scienziati e, in un certo senso, viveva limitatamente alla dimensione dell’immaginazione.
Da quell’esperienza sono nate alcune tra le più suggestive creazioni delle sfere di Bernal e dei Cilindri di O’Neill, fino ad allora solo costrutti teorici di gigantesche città orbitanti capaci di sfruttare la propria rotazione per generare una gravità simile a quella terrestre. Dall’altra parte della cortina di ferro, l’architetto russo Galina Balašova disegnava stazioni spaziali per l’agenzia sovietica. La capacità di architetti e designer di visualizzare il futuro è da allora diventata un requisito fondamentale per le agenzie spaziali e, più recentemente, anche per le aziende private di settore: alla fine degli anni ’80, l’architetto della Nasa Gary Kitmacher disegnò “ISS cupola”, la più grande finestra della Stazione Spaziale dalla quale è possibile osservare la Terra, e tutt’oggi uno dei luoghi preferiti dagli astronauti, davanti alla quale passare il poco tempo libero sulla ISS. Trent’anni dopo, Axiom space, azienda di Houston autorizzata dalla Nasa a costruire la prima stazione spaziale commerciale, chiamò il designer Philippe Stark per progettarne gli interni, mentre le navette private di SpaceX inaugurarono il turismo dei privati nello spazio, portandovi la prima generazione di astronauti non professionisti e non incaricati dai governi: questo, come intuibile, apre le porte di una rivoluzione senza precedenti nell’industria di settore.
Quelle basi marziane e flotte di navi passeggeri che fanno la spola tra la Terra e i corpi celesti del sistema solare immaginate da Von Braun non sono più un sogno lontano: la soglia di una rinnovata era dell’esplorazione spaziale chiama una generazione di professionisti a disegnare le carte nautiche del contemporaneo “passaggio a Nord Ovest”. Tornano le parole che l’astronomo e astrofisico Carl Sagan scrisse in Cosmos: «L’esplorazione è nella nostra natura. Abbiamo iniziato come vagabondi e siamo ancora vagabondi. Siamo rimasti abbastanza a lungo sulle rive dell’oceano cosmico. Siamo finalmente pronti per salpare verso le stelle».
09/11/2020*
Biden e Harris, parole sulle “ali dell’aquila”
di Annamaria Parente
Parole dolci, concilianti, di unità, d’amore, quelle pronunciate dai primi discorsi di Joe Biden e Kamala Harris, presidente e vicepresidente degli Stati Uniti d’America. Parole che sono sintomo di un linguaggio di distinzione netta rispetto al populismo.
Joe e Kamala hanno usato il vocabolario della politica, della buona politica fatta di mediazione alta, di rispetto dell’avversario, di inclusione, di speranza.
Il linguaggio del populismo, al contrario, è intriso di individuazione costante di un nemico, di parole “ tranchant”, dure, lontane dalla “dolcezza” della comprensione dell’altro.
E se il linguaggio forma e informa il pensiero possiamo dire che la sfida americana è stata molto di più della contesa tra democratici e repubblicani. La vittoria di Biden e Harris ha dimostrato che esiste ancora, non solo in America, lo spazio per una democrazia matura, consapevole e informata, volta al bene delle “ persone”.
La posta in gioco delle elezioni americane del resto è nelle prime parole di Kamala a Wilmington nel Delaware quando la prima vicepresidente donna della storia ha affermato che la democrazia non è per sempre, ma va continuamente costruita e curata.
E il concetto di “guarigione” pronunciato da Joe si riferisce senza dubbio all’impegno che il neo presidente avrà per mettere sotto controllo il virus, ma è anche metafora della determinazione del quarantaseiesimo presidente degli Stati Uniti nell’allontanare il male delle divisioni, della “guerra perenne” contro qualcuno o qualcosa del discorso pubblico di Trump.
Biden si adopererà per consolare le famiglie delle vittime del Covid e anche per assicurare le cure per il cancro e lo farà sulla base della scienza. Anche qui notiamo il ripristino virtuoso di alleanza forte tra scienza e politica, unica strada per vincere la terribile epidemia e impostare nuovi percorsi per la ripresa economica, ambientale e occupazionale.
Indicazioni preziosissime e confortanti anche per noi italiani ed europei per superare il coronavirus in maniera ordinata, scientifica e razionale. Siamo certi che non assisteremo più con la nuova presidenza americana ad apparizioni pubbliche senza mascherine, infrangendo il rispetto delle regole.
Kamala con le sue note sulla democrazia, sulla lotta al razzismo, sulla decenza ha impresso la sua forza da vicepresidente. La Harris, di origine indiana, ha ricordato che le donne sono la dorsale della democrazia e che sua nonna le ha insegnato che se una donna può essere la prima ad arrivare non deve essere l’ultima.
Tale frase è molto evocativa ed educativa anche per i nostri giovani e le nostre giovani ragazze. Su questo aspetto possiamo riscoprire anche altri ingredienti della buona politica, l’esempio e il costruire possibilità per tutti e tutte per portate la speranza “sulle ali dell’aquila”.
Con queste ultime parole di un canto liturgico, ispirate dal salmo 90 della Bibbia, Biden ha chiuso il suo primo discorso da presidente eletto.
* Fonte: www.huffingtonpost.it, 09.11.2020 (ripresa parziale, senza immagine).
50 anni dallo sbarco sulla Luna, cos’è successo durante il primo allunaggio dell’Apollo 11
Era il 20 luglio 1969, erano le 20:17:40 in Italia, quando Armstrong e Aldrin atterrarono sul suolo lunare: l’Eagle ha raggiunto la Luna, missione completa. Vediamo insieme cos’è successo negli ultimi prima dell’allunaggio avvenuto 50 anni fa e quali sono stati gli imprevisti che hanno rischiato di far saltare la missione Apollo 11.
di Zeina Ayache *
Immaginiamoci di essere tornati al 20 luglio 1969, da ormai quattro giorni, gli astronauti americani sono in viaggio nello spazio verso la Luna, orma manca davvero pochissimo al momento in cui l’Eagle si prepara ad atterrare sul suolo lunare. Sono passate 102 ore e 45 minuti da quando, il 16 luglio 1969, il comandante Neil Armstrong, il pilota del modulo lunare Edwin ‘Buzz’ Aldrin e il pilota del modulo di comando Michael Collins sono stati lanciati nello spazio a bordo dell’Apollo 11 per l’impresa che ha cambiato la storia dell’essere umano. Vediamo cos’è successo il giorno dello sbarco sulla Luna.
L’allunaggio, l’Apollo 11 tocca il suolo lunare. È il 19 luglio, gli astronauti sono in volo da ormai 75 ore e 50 minuti quando finalmente iniziano le prime manovre per entrare nell’orbita lunare: ci si prepara per avvicinarsi al suolo lunare. La missione sta andando per il verso giusto.
20 luglio 1969, un saluto a Collins, si va sulla Luna. Sono le 12:52:00 UTC (le 14:52 in Italia) del 20 luglio 1969, è giunto il momento di prepararsi: Armstrong e Aldrin salutano Collins, che resta a bordo del modulo di comando dell’Apollo 11, per entrare a bordo nell’Eagle, il modulo lunare Apollo.
The Eagle has wings! Mentre Collins si appresta ad iniziare le sue 30 orbite lunare in solitudine, in attesa del ritorno sperato dei colleghi, prima di tornare sulla Terra, Armstrong e Aldrin sistemano le ultime cose all’interno dell’Eagle prima di esclamare la celebre frase ‘The Eagle has wings!’ (L’Aquila ha le ali!). L’Eagle però aveva messo ‘troppe’ ali e la sua traiettoria verso le superficie lunare si sposta e il punto di atterraggio si allontana di qualche miglia. Mancano 5 minuti alla discesa, siamo a 1800 metri dalla superficie lunare quando scattano alcuni allarmi: il software progettato da Margaret Hamilton entrò in funzione e riuscì a risolvere i bug permettendo l’allunaggio.
L’allunaggio, 20 luglio 1969. Ormai ci siamo, gli astronauti stanno raggiungendo il suolo lunare: sono le 22:17 in Italia, 20:17:40 UTC, sono passate 102 ore 46 minuti e 02 secondi. “ Tranquility Base here. THE EAGLE HAS LANDED” (Houston, qui Base della Tranquillità. L’Eagle è atterrato), con queste parole Armstrong conferma che l’Eagle è atterrato, l’allunaggio è riuscito. L’essere umano è atterrato sul suolo lunare.
* Fonte: Fanpage-Scienze, 20 luglio 2019.
L’episodio.
Così l’astronauta Aldrin fece la comunione sulla Luna
Fervente cristiano presbiteriano, Buzz ottenne una dispensa per portare con sé e prendere l’eucaristia. E ringraziò Dio pochi minuti prima di scendere sul suolo lunare
di Piergiorgio Pescali (Avvenire, mercoledì 17 luglio 2019)
Tra i tanti aneddoti relativi al primo sbarco sulla Luna uno è particolarmente curioso e poco noto: la comunione di Buzz Aldrin che, oltre ad essere astronauta, era un fervente presbiteriano appartenente alla Chiesa di Webster, in Texas. Fu lo stesso pastore della sua parrocchia, Dean Woodruff, a concedergli una speciale dispensa per poter portare con sé l’eucaristia e comunicarsi da solo.
La Nasa, timorosa che trasmettere al mondo intero un atto religioso potesse sollevare contestazioni da parte dell’opinione pubblica, vietò ad Aldrin la lettura del passo biblico che si era preparato (Giovanni, 15,5) sostituendolo con una frase il più possibile neutra: “Qui è il pilota del modulo lunare (Buzz Aldrin, ndr): vorrei approfittare di questa opportunità per chiedere ad ogni persona che ci sta sentendo, chiunque essa sia e dovunque essa si trovi, di fermarsi un momento e di contemplare ciò che è successo nelle ultime ore”.
Quando il LEM si appoggiò sulla superficie del nostro satellite, Armstrong e Aldrin dovettero aspettare circa un’ora prima di poter toccare il suolo. Fu in questo lasso di tempo che Buzz, oggi 89enne, approfittò per prendere il sacramento cristiano: mangiò il pezzo di pane e bevve il vino che aveva versato nel calice e, a microfoni spenti, lesse il passo della Bibbia che si era preparato, sotto gli occhi di Neil Armstrong, che si astenne dal convivio.
Nel 1998 sarà lo stesso Aldrin a ricordare quegli istanti: “Versai il vino nel calice che la nostra chiesa mi aveva consegnato. Con la gravità lunare, che è un sesto di quella terrestre, il vino si raccolse lentamente e con eleganza nella coppa”.
Aldrin ricordò anche che furono il pane e il vino della comunione gli alimenti umani che vennero consumati per la prima volta sulla Luna. Sebbene l’atto religioso non fosse stato pubblicizzato, ancora oggi la Chiesa presbiteriana di Webster celebra annualmente la Domenica della comunione lunare.
Nel suo libro di memorie (Magnificent Desolation, 2009) scritto a quattro mani con Ken Abraham, Aldrin scrisse che “se dovessi ripetere questa esperienza, non sceglierei di celebrare la comunione. Anche se è stata personalmente un’esperienza profonda e toccante, è pur sempre un sacramento cristiano e noi eravamo andati sulla Luna in nome di tutto il genere umano, cristiani, ebrei, musulmani, animisti, agnostici o ateisti. A quel tempo, però, non seppi pensare a null’altro di più significativo per celebrare l’enormità dell’esperienza dell’Apollo 11 che rendere grazie a Dio”.
Scienza. La Luna vista da Leonardo
Pochi hanno messo in connessione i 50 anni dell’Apollo 11 con i 500 anni del genio da Vinci che tra i primi studiò e disegnò il fenomeno della ’luce cinerea’
di Flavia Marcacci (Avvenire, martedì 19 novembre 2019)
Signora dell’anno 2019 è la Luna: si celebrano i 50 anni della conquista del suo suolo. Eventi e pubblicazioni si stanno succedendo rapidamente, ricordando quanto avvenne in quel frenetico 1969, che tra la protesta di Jan Palach e la nascita del progenitore di Internet Arpanet fu fitto di molti fatti decisivi per la grande e piccola storia. Eppure, il 20 luglio i passi silenziosi di Neil Armstrong e Buzz Aldrin sulla Luna ebbero il potere di fermare ogni altro vocio e ogni altra preoccupazione.
Il potere di vedere (video) a distanza (tele) promesso dallo strumento che stava cambiando la società, la televisione, giungeva a un impensabile lontano: la potenza della tecnica veniva consacrata, quasi riscattando i timori che era andata suscitando dopo l’esperienza atomica.
La nostra Terra deve molto alla Luna, e non a caso essa è stata nei secoli un oggetto privilegiato per la scienza, la filosofia e l’arte. Il nostro satellite è stato il più vicino tra gli oggetti lontanissimi, la porta d’accesso al cielo deputato invalicabile e tramite esso finalmente accessibile. La luna fu scrutata da Leonardo da Vinci (1452-1519), altro protagonista del 2019, poiché del genio toscano ricorrono i 500 anni dalla morte. Pochi hanno notato la convergenza tra le due ricorrenze.
Leonardo aveva disegnato il satellite terrestre, dando nota del fenomeno della ’luce cinerea’ nel Codice Leicester (foglio 2 r), come ricordava fin dagli anni Settanta il noto studioso Carlo Pedretti (1928-2018). Il fenomeno si osserva tra novilunio e prima fase e nell’ultima fase: può capitare così che la luce del Sole venga riflessa dalla Terra e vada a illuminare una piccola porzione in ombra del satellite, in modo da renderlo visibile anche all’alba. Per lo stesso fenomeno, Armstrong e Aldrin dalla Luna avrebbero potuto osservare un bel ’chiaro di Terra’, con il nostro pianeta stabile nel cielo lunare (altezza in dipendenza dalla latitudine).
A completare la spiegazione della luce cinerea fu Galileo Galilei, chiamandola anche «candore lunare» a intendere le sfumature grigiastre, talvolta tendenti al verde o all’azzurro e capaci di conferire una leggerezza impercettibile al corpo celeste. Il Pisano diede alla Luna l’altro grande merito di segnare l’inizio dell’astronomia in senso moderno (ovvero usando strumenti), quando con il ’perspicillo’ (il telescopio, da perspicio, guardare in profondità) ne scoprì cavità e valli nel 1609 poi riprodotte nei famosi disegni pubblicati nel Sidereus nuncius (1610): da allora in poi, la scienza non sarebbe più tornata indietro.
Si avviò così la pratica di descrivere la Luna: la selenografia vantò tra i suoi adepti molti italiani, che raramente trovano un posto nelle storie italiane della scienza destinate al grande pubblico. Solo dopo Galileo il noto gesuita Cristoph Scheiner, docente a Roma tra il 1624 e il 1633, propose una delle prime mappe lunari (1614); dopo di lui fu la volta del confratello Giuseppe Biancani (1620).
Furono però soprattutto il bolognese Francesco Maria Grimaldi e il ferrarese Giovanni Battista Riccioli, entrambi ancora gesuiti, ad avere il merito di produrre gran parte della nomenclatura lunare che usiamo tutt’oggi. Il loro lavoro fu pubblicato nell’Almagestum novum ( 1651) e si dice che fu merito essenzialmente di Grimaldi, il quale compì la maggior parte delle osservazioni. I diritti d’autore sono però difficili da stabilire, essendo i due strettissimi collaboratori e Grimaldi una sorta di allievo di Riccioli. Ciò che conta è che sul suolo lunare essi impressero nomi celebri, molti dei quali già adoperati poco tempo prima dagli astronomi Michael F. van Langren e Johannes Hevelius (Jan Heweliusz): i due studiosi italiani ripresero le prime nomenclature per renderle più sistematiche e razionali. I crateri, le terre e i mari lunari furono battezzati con il nome di personaggi antichi, nell’emisfero nord, e moderni, nell’emisfero sud.
Per questo motivo oggi sulle mappe lunari troviamo memoria di astronomi (da Tolomeo e Ipparco a Copernico e Biancani), di santi e sante (da san Teofilo e san Cirillo a santa Caterina da Siena), di filosofi (da Anassimandro a Platone).
Guardare alla luna, però, non era utile solo per descriverla. Si cercava di comprendere la natura dei cieli (cf. La Lune aux XVIIe et XVIIIe siècles, edited by C. Grell and S. Taussig, Brepols, Turnhout, 2013). Nel Seicento alcuni pensavano, ad esempio, che il termine ’luna’ derivasse da lucuna (lux, luce e una, una) a intendere che la Luna fosse l’unica a essere sempre illuminata dal Sole. La Luna aveva anche un ruolo sociale rilevante, perché i suoi ritmi mensili andavano calcolati insieme a quelli del Sole per ottenere il calendario: fu proprio la sfasatura tra essi che portò alla grande riforma di papa Gregorio XIII.
Oltre alla cosmologia e alla scienza calendrica, il satellite della Terra stimolava anche il mito e la poesia. Gli appellativi del nostro satellite erano così tanti che è difficile elencarli: dal greco Selene a indicarne lo splendore, all’ebraico Lebana a richiamarne la bianchezza; da Artemide, Selene ed Ecate, dee che custodivano il grembo del corpo celeste nelle sue varie fasi, fino alla dea ’triforme’ citata da Cleomede e Virgilio.
La Luna non andava soltanto descritta, ma scritta. La ricchezza delle fantasie lunari di Luciano di Samosata (II sec. d.C.) ebbe una certa fortuna in epoca rinascimentale, probabilmente avvantaggiata dalla diffusione del fascino per i mirabilia e i fatti immaginati e prodigiosi: l’Icaromenippo proponeva il viaggio di Menippo sulla Luna, per giungere da lì fino alla casa degli dei. Su tutti non si può evitare di pensare all’Astolfo sulla Luna di Ludovico Ariosto, fino alle ipotesi di John Wilkins protese all’eventualità di abitanti sulla Luna (The discovery of a world in the moone, 1638).
La Luna era in grado di evocare fantasie, sentimenti ed emozioni, attingendo da ciò che nell’essere umano vi è di più profondo. Probabilmente ne tennero conto coloro che volevano solo descriverla fino a intravedere sul suo suolo i luoghi esistenziali della crisi, della siccità, della tranquillità, della serenità e della fecondità. Per questo nelle sue regioni si trovano la ’Terra della sterilità’ e la ’Terra della Vita’, il ’Mare della Crisi’ e il ’Mare della Tranquillità’.
Dai tempi di Leonardo e della selenografia torniamo così ai nostri tempi. Proprio il Mare della Tranquillità divenne famoso cinquant’anni fa, quando allunarono nei suoi pressi gli uomini della Missione Apollo 11. La Luna, lontana, scrutata, sognata era stata raggiunta. Il satellite forniva all’umanità l’ennesimo servizio, facendosi solcare da da orme umane sui luoghi della Tranquillità, forse proprio quelli a cui ambisce più profondamente ogni anima e dove la scienza dovrebbe contribuire ad avvicinarsi.
20 luglio 1969
Il primo passo di un uomo sulla Luna
di Paolo Jedlowski (Il Mulino, 17 luglio 2019)
Estate del 1969. Verso le otto di sera del 20 luglio comincia su Rai 1 la più lunga diretta della storia della televisione italiana (25 ore). In studio coordina l’evento Tito Stagno, a Houston il corrispondente è Ruggero Orlando: è il primo sbarco dell’uomo sulla Luna. Il Lem (il modulo di allunaggio che si è staccato dalla nave madre) tocca il suolo lunare verso le dieci di sera, e Neil Armstrong compie il primo passo verso le quattro di mattina (ore italiane). Poco dopo lo segue Buzz Aldrin. Mi ricordo di essere rimasto sveglio. Avevo 17 anni e tutto allora mi divideva da mio padre. Ma lo sbarco sulla Luna lo vedemmo insieme, e con noi altre trecento milioni di persone sulla Terra. Lo sbarco del primo uomo sulla Luna fu uno dei primi e più vasti media event della storia.
Un media event, scrive l’Enciclopedia Treccani, è un “evento reale ripreso in diretta dalla Tv, capace di sconvolgere le normali routine mediali, di coinvolgere un’audience enorme, di superare la distinzione tra notizia ed evento storico, di incidere sulla cultura e l’immaginario”. È un evento che raccoglie: per un momento la popolazione del nostro pianeta - o larghe parti di essa - si fa comunità.
Le missioni Apollo (quella che portò allo sbarco era l’undicesima) corrispondevano a uno sforzo economico ed organizzativo immenso. Gran parte del loro significato era politico: negli anni della Guerra fredda, la competizione per la conquista dello spazio era parte della lotta per l’egemonia culturale sul pianeta fra Usa e Urss. I sovietici erano stati i primi a far volare un essere umano in orbita intorno alla Terra: era avvenuto nel 1961, e l’astronauta era Yuri Gagarin. Ma, facendo stanziare finanziamenti enormi, Kennedy dichiarò che gli americani avrebbero vinto la sfida. Pochi anni più tardi la bandiera a stelle e strisce era sulla Luna: era una lotta per l’immaginario e ogni successo doveva essere un evento mediale planetario.
Sono passati cinquant’anni. Uno dei due contendenti non c’è più; ma vi è al suo posto la Russia e la competizione sembra ancora aperta. Ora è una lotta per la memoria: chi è stato il primo? Nel 2013 la Russia produce Gagarin. Primo nello spazio, con la regia di Pavel Parkhomenko; nel 2018 gli Stati Uniti rispondono con Il primo uomo, con la regia di Damien Chazelle, incentrato sulla figura di Neil Armstrong. In entrambi i film il senso della sfida che allora si giocava è ben ricostruito: l’obiettivo era vincere e marcare l’immaginario collettivo. Entrambi, pur in modi diversi, tendono a suscitare un senso di orgoglio nazionale. Al termine del film su Gagarin, studenti universitari escono dalle aule e si riversano nelle strade in festa alla notizia della riuscita del volo. In quello su Armstrong, l’accento finale è più intimo: lo spettatore è trascinato in un’esperienza di solitudine e mistero.
Eccitazione per l’esplorazione, per l’incognito, e timore: credo siano le parole giuste anche per definire i sentimenti che provavo io da ragazzo. Del resto, il tema della conquista dello spazio mi aveva accompagnato lungo tutto il decennio precedente. Avevo quattordici anni, più o meno, quando appesi nella mia stanza una mappa fosforescente della Luna. E l’anno precedente era uscito 2001: Odissea nello spazio, di Stanley Kubrick: pedagogia dell’esperienza spaziale, poesia allo stato puro, e connotato da una forte componente filosofica. Davanti al monolite che è segno della presenza nell’universo di esseri diversi dall’uomo, la reazione evidenziata non è né paura né orrore (ciò che più spesso aveva caratterizzato la fantascienza precedente), ma la speranza: dall’incontro con intelligenze altre e superiori, ciò che può scaturire è una rigenerazione dell’uomo.
In quegli anni la storia sociale e quella della fantascienza furono appaiate. La fantascienza spaziale accompagnava quanto stava succedendo. Nei decenni seguenti, invece, lo spazio è sembrato uscire dal nostro immaginario. Pensiamo a Blade Runner, del 1980: accenna appena ad altri mondi, l’ambiente è la Terra, cupa, impoverita, palcoscenico di imprese senza scrupoli, desiderata solo da androidi che somigliano a lavoratori usa e getta (così li descriveva dieci anni dopo David Harvey in La crisi della modernità). La fantascienza successiva tende a presentare prospettive catastrofiche (accompagnata fra l’altro dalla presa di coscienza ecologista) o trova spunto nelle tecnologie della comunicazione: realtà virtuali, corpi e intelligenze artificiali. Lo spazio della fantascienza ora è introverso. È cambiato il clima culturale, ma è anche vero che i finanziamenti per la ricerca spaziale sono stati tagliati. L’ultima missione a portare un uomo sulla Luna è del 1972. I ragazzi delle generazioni successive alla mia non hanno avuto mappe della Luna nella stanza.
Oggi qualche cosa torna. L’interesse delle potenze della Terra per la ricerca spaziale ha ripreso a crescere, e al cinema lo spazio extraplanetario riemerge, trattato da registi di successo: Gravity, del 2013, con la regia di Alfonso Cuarón, Interstellar, del 2014, con la regia di Christopher Nolan, Il sopravvissuto (The Martian), del 2015, con la regia di Ridley Scott. In Italia, gli astronauti che partecipano a ricerche nelle stazioni spaziali che orbitano attorno alla Terra sono al centro dell’attenzione pubblica. Le foto di pianeti inviate dalle sonde fanno notizia sui giornali. Di nuovo sono in gioco interessi economici, militari, politici. Ed è in gioco che cosa immaginare.
A volte l’immaginario ha una funzione, per così dire, diversiva: invece di guardare alla realtà che inquieta, ci permette di immaginare qualcosa di più rasserenante. Ma ha anche altre funzioni. Dopotutto, agiamo sulla base di quello che sappiamo immaginare. E se lo spazio riesce a entrare nel nostro immaginario, è perché tocca qualcosa di profondo. Il cielo, in fondo, ci affascina da sempre, e visti dalla Luna sembriamo tutti abitanti del medesimo pianeta.
Nel 1969, che fosse in corso una lotta era chiaro a tutti, astronauti compresi. Ma Armstrong e Aldrin misero a fianco della bandiera americana i medaglioni con i nomi sia dei compagni della Nasa sia degli astronauti russi morti fino ad allora, nel corso della sfida.
Quanto a me e a mio padre, intorno al Sessantotto era in corso una lotta che il clima della Guerra fredda, a confrontarlo, sembra mite. A unirci, almeno nel ricordo, fu quella notte trascorsa a guardare il suolo della Luna.
Intervista.
Parmitano: «Torno nello spazio per guardare a Marte»
A colloquio con l’astronauta italiano che il 20 luglio, giorno del 50° anniversario del primo sbarco sulla Luna, partirà con una nuova missione. «Faremo esperimenti pensando all’uomo oltre la Terra»
di Antonio Lo Campo (Avvenire, domenica 23 giugno 2019)
Manca un mese al lancio della missione “Beyond” (“Oltre”), dell’Esa (l’Agenzia Spaziale Europea), previsto per il 20 luglio. Giusto nel giorno del 50° anniversario del primo sbarco sulla Luna dell’Apollo 11. A bordo della navicella Sojuz MS-13, sul sedile di sinistra sarà seduto l’astronauta italiano dell’Agenzia Spaziale Europea, Luca Parmitano, tornato in questi giorni in Italia, per anticipare la sua missione, parlare dell’anniversario del primo sbarco sulla Luna, e più in generale delle nuove frontiere che si stanno aprendo nell’ambito dell’esplorazione spaziale. Lo ha fatto in una conferenza stampa al centro Esrin dell’Esa (Agenzia Spaziale Europea). L’addestramento procede ed è alle fasi finali, assieme ai suoi due colleghi che prenderanno posto sulla Sojuz per la “Expedition 60/61”, Andrew Morgan della Nasa e Alexander Skvortsov (comandante) di Roscosmos. È la sua seconda missione di lunga durata sull’Iss dopo la missione “Volare” dell’Asi, del 2013.
Parmitano, nel corso della seconda parte della “Expedition”, della durata di sei mesi, sarà il primo italiano a comandare la base orbitante. Un ruolo di prestigio...
È certamente un ruolo importante, che mi fa sentire orgoglioso. Non tanto per me, quanto perché questo è un altro risultato importante per l’Italia e l’Europa in ambito spaziale. Non sarò là a dare indicazioni, ma a facilitare il lavoro dei miei compagni. Mi piace paragonare questo ruolo a quello del capitano di una squadra sportiva, dove tutti cooperano per il bene comune. Il comandante parla direttamente e costantemente con il suo staff a terra, e deve sapere assegnare al proprio equipaggio i ruoli più adatti per ognuno in modo da ottimizzare l’andamento della missione.
Dopo le due “passeggiate spaziali” della precedente missione, ne ha in programma anche per questa?
Sono previste alcune attività extra-veicolari, all’inizio e poi verso la fine della nostra missione, prevista a gennaio 2020, per andare a sostituire alcune batterie poste all’esterno della stazione, sul traliccio, con batterie di nuova generazione. Non è previsto per adesso che debba compierne anch’io, ma sono comunque addestrato, come anche i miei compagni di missione, per poter eventualmente uscire all’esterno anche in questa missione.
L’incidente capitato nel corso della sua passeggiata del 16 luglio 2013, ha portato a lei e più in generale ai progettisti, nuove idee?
È stata un esperienza preziosa per far fronte a inconvenienti, che nelle missioni spaziali vanno comunque messi in preventivo. Più in generale è servito a riprogettare il sistema di raffreddamento dello scafandro e del casco per renderlo più sicuro. Ha avuto paura? Non è vero che non ne abbiamo... Però riusciamo a gestirla e a controllarla al meglio, grazie all’addestramento. La durata? Per una missione spaziale come la nostra, la preparazione dura da due a tre anni.
Perché ha scelto il nome “Beyond” (“Oltre”) per questa sua nuova missione? Vede anche qualcosa che va davvero oltre, anche dal lato spirituale?
Perché quello che svolgiamo in orbita non è per gli astronauti o per il programma della Stazione Spaziale, ma è per tutti. Ed è l’unica strada per noi per imparare ciò di cui abbiamo bisogno in termini di scienza e tecnologia, proprio per andare oltre. E poi perché con la nostra missione svolgeremo esperimenti che guardano “oltre la Terra”, riguardanti le future missioni sulla Luna e Marte. Questa è la ragione, dove poi però ciascuno è libero di guardare davvero anche ben oltre questi confini...
La sua missione prenderà il via il 20 luglio, nel giorno dei 50 anni dal primo sbarco sulla Luna. Immagini straordinarie...
Sono le uniche sino a oggi ad avere portato gli astronauti oltre l’orbita terrestre e verso un altro corpo celeste. Quelle imprese e quegli uomini sono dei miti per tutti noi, anche se non le abbiamo vissute in presa diretta.
Di quelle imprese lunari, ce n’è una che l’ha colpito in modo particolare?
Sarebbe troppo facile dire proprio l’Apollo 11, perché dal punto di vista storico è stata, e resta, quella maggiormente ricordata e celebrata, come è giusto che sia. È stato il primo allunaggio, con maggiori rischi, ma sarebbe riduttivo nei confronti di tutte le altre missioni. Non ho una missione preferita, e le ritengo tutte importanti. Ogni esperienza ha un suo grande valore assoluto, imprescindibile da ciò che è successo. Già prima dell’Apollo 11 erano stati raggiunti risultati incredibili. Con Apollo 8, ad esempio, quando gli astronauti hanno lasciato per la prima volta la “culla” della Terra, per spingersi al di là dell’orbita bassa terrestre, per arrivare quasi a sfiorare la superficie lunare per poi rientrare. Fu, per la prima volta, il viaggio più lungo mai compiuto dall’uomo. Apollo 9 è la missione che per chi, come me, arriva dall’ambiente della sperimentazione e del collaudo, è il top perché fu carica di sperimentazioni uniche e del tutto nuove. Per la prima volta tutte le componenti dell’astronave e la manovre necessarie per i viaggi sulla Luna venivano sperimentate, e quindi quella missione ebbe un valore assoluto, perché molti di quei test e tecnologie testate con Apollo 9 sono state indispensabili per proseguire con le successive
Apollo 13 fu quella del dramma nello spazio, con il ritorno degli astronauti sani e salvi ma dopo tanta paura. Rivede un po’ quella missione con il suo problema, serio, alla tuta spaziale?
Sì, quella missione Apollo la sento a me personalmente vicina, perché un incidente così grave e così lontano dalla Terra, con difficoltà di comunicazione, con necessità di utilizzare il genio dei tecnici a terra, l’inventiva e la creatività degli astronauti a bordo per tornare salvi da un sistema in così grave avaria, un po’ mi ricordano il mio addestramento e la situazione che ho vissuto io nello spazio, quando ci fu l’avaria della mia tuta spaziale. Un problema che per me, così come all’epoca, serve per migliorare il sistema e renderlo più sicuro.
Passo di pace e di sogno
di Roberto Mussapi (Avvenire, sabato 30 marzo 2019)
«È un grande onore essere sulla Luna a rappresentare non solo gli Stati Uniti, ma gli uomini di pace di tutte le nazioni, gli uomini con una visione del futuro...». È il 20 luglio 1969, 22,30 ora italiana. Cinquant’anni fa, tra poco. Neil Armstrong è stato il primo uomo a sbarcare sulla Luna. Seguito dal suo compagno Aldrin. Hanno camminato, un po’ gattonando, hanno infisso a fatica, dato il suolo sabbioso, la bandiera a stelle e strisce.
Va in onda una conferenza stampa, il presidente Nixon elogia l’impresa e gli astronauti. Nixon non ha alcun merito in quella magnifica avventura, sognata da noi umani sin dalle origini, voluta, sostenuta, profetizzata da John Kennedy, che - in un discorso in cui la politica della polis greca si fonde con la mistica - aveva assicurato che gli americani sarebbero giunti sulla Luna, e ritornati, incolumi, prima della fine del decennio. Decennio del Sessanta, quello in cui moriva assassinato, John Kennedy, non il suo sogno e la sua profezia. Scommessa azzardata, avrebbero commentato gli scienziati della Nasa: ma era una visione.
A Nixon, che non ha meriti nell’impresa, ma certo ne gioisce, da presidente americano, l’astronauta Armstrong risponde che non ha toccato il suolo della Luna come americano, ma come uomo, a nome di tutti gli uomini che cercano la pace e sono capaci di sogno.
8 marzo, verso la prima passeggiata spaziale di sole donne
Protagoniste due astronaute e una donna controllore di volo
di Redazione ANSA *
La giornata della donna quest’anno ha un sapore particolare sulla Stazione spaziale internazionale (Iss) perché fervono i preparativi per la prima passeggiata spaziale della storia completamente al femminile: programmata per venerdì 29 marzo, avrà come protagoniste due astronaute della Nasa, Anne McClain e Christina Koch, che usciranno dalla Stazione spaziale per circa sette ore supportate da Terra da Kristen Facciol, controllore di volo donna dell’agenzia spaziale canadese Csa, pronta a seguire le operazioni dal Johnson Space Center della Nasa a Houston. Lo ha rivelato lei stessa con un tweet.
"Ho appena scoperto che sarò alla console per dare supporto alla prima passeggiata spaziale tutta al femminile con @AstroAnnimal e @Astro_Christina e non posso trattenere la mia eccitazione!!!!", ha scritto ai suoi follower.
La prima attività extraveicolare (Eva) di sole donne cadrà a quasi 35 anni di distanza dalla prima passeggiata spaziale al femminile: fu compiuta il 25 luglio 1984 dalla russa Svetlana Savitskaya, uscita dalla stazione spaziale sovietica Salyut 7 per tre ore e 35 minuti. Da allora diverse donne hanno camminato nello spazio, compresa l’astronauta dei record Peggy Wilson, che nella sua lunga carriera ha condotto ben dieci Eva.
Entrambe le sue ’eredi’, McClain e Koch, arrivano dalla classe di candidati astronauti selezionata dalla Nasa nel 2013 e composta per metà proprio da donne. McClain è già a bordo della Iss da dicembre per la spedizione 58, mentre la collega Koch arriverà il 14 marzo.
LA VIA DI KANT: USCIRE DALLA CAVERNA, E NON RICADERE NELL’ILLUSIONE DI “DIO” CONCEPITO COME “UOMO SUPREMO”.... *
Un piccolo grande passo
di Roberto Mussapi (Avvenire, mercoledì 6 marzo 2019)
«Solo un piccolo passo per un uomo, ma un passo da gigante per l’umanità!». Si avvicina il cinquantenario di uno dei più grandi trionfi umani: lo sbarco sulla Luna. Mentre avveniva compivo diciassette anni: non male come regalo di compleanno.
La frase che sarebbe rimasta leggendaria di Neil Armstrong mi commosse, come commosse il mondo, ma confesso che non la compresi bene. La seconda parte chiara: evidente che quel momento siglava un passo enorme per l’umanità, che dalla sua nascita scruta e interroga il nostro satellite notturno, custode e ispiratore del sogno. Ma non comprendevo perché definire "piccolo", per un uomo, quel primo passo sulla nuova terra sognata.
Ora credo di avere capito. Per immedesimazione, mettendomi nei panni di Armstrong, come fa un attore.
La terra vista dall’alto... E la mia gamba, che piccola cosa! Il mio piedino, dopo questo viaggio nello spazio immenso... Che esserino io sono, qui nell’infinità dell’universo. Il mio passo è piccolo perché io sono piccolo. Ma io non sono solo io, io sono l’umanità. Io sono parte del coro e degli atomi di tutti gli uomini, dal primo apparso sulla terra a tutti quelli che si susseguono, in ogni parte del mondo e in ogni tempo. Il mio piccolo passo è un grande passo dell’umanità, a cui appartengo.
*
Sul tema, nel sito, si cfr.:
RIVOLUZIONE COPERNICANA. "Vicisti, Galileae" (Keplero, 1611).
UNESCO: IL 2009 ANNO INTERNAZIONALE DELL’ASTRONOMIA. Che farà l’Italia? Galileo di nuovo al confino!?!
LA VIA DI KANT: USCIRE DALLA CAVERNA, E NON RICADERE NELL’ILLUSIONE DI “DIO” CONCEPITO COME “UOMO SUPREMO”. Note per una rilettura della “Storia universale della natura e teoria del cielo”
LA LUCE, LA TERRA, E LA LINEA DELLA BELLEZZA: LA MENTE ACCOGLIENTE. "Note per una epistemologia genesica"
Federico La Sala
DELLA TERRA, IL BRILLANTE COLORE. E’ la Giornata del volo umano nello spazio...
E’ la Giornata del volo umano nello spazio
Feste e appuntamenti in tutto il mondo, dagli Usa all’Antartide *
Basi lunari e colonie marziane, fino al più vicino turismo spaziale: la Giornata internazionale del volo umano nello spazio 2018 si festeggia all’insegna di grandi cambiamenti all’orizzonte. Numerosi gli appuntamenti in tutto il mondo, dagli Stati Uniti al Sudan e al Nepal fino all’Antartide, dove si sono mobilitate le americane Palmer Station e South Pole. Decine gli appuntamenti anche in Europa. In Italia i Planetari di Lecco e Cagliari sono già pronti con eventi dedicati agli astronauti.
Voluta dalle Nazioni Unite attraverso il suo ufficio per gli affari spaziali (Unoosa), la Giornata del volo umano nello spazio celebra il volo di Yuri Gagarin, che il 12 aprile 1961 diventava il primo uomo a raggiungere l’orbita e ad ammirare la Terra come nessuno l’aveva mai vista.
"Vedo la Terra circondata da foschia. Mi sento bene. Com’è bello", erano state le prime parole di Gagarin dallo spazio, a bordo della capsula Vostok. Segnavano l’inizio di un’avventura cominciata nell’allora segretissima base russa di Baikonur, nel Kazakhstan, dove ancora oggi continuano a partire le Soyuz, le navette russe che dopo l’uscita di scena dell’americano Space Shuttle sono oggi le uniche in grado di portare equipaggi umani in orbita. Da allora i primati si sono susseguiti uno dopo l’altro: il 18 marzo 1965 il sovietico Aleksej Leonov era il primo a ’passeggiare’ fra le stelle, mentre il 20 luglio 1969 l’americano Neil Armostrong lasciava sul suolo della Luna l’impronta del celebre "piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità".
Nel 1971 l’uomo ha avuto la prima casa tra le stelle, con la stazione spaziale sovietica Saljut, cui ne sono seguite ben dieci, di cui due ancora attive: la Stazione Spaziale Internazionale (nata dalla collaborazione fra Nasa, Russia, Europa, Canada e Giappone) e la cinese Tiangong, rientrata a Terra fuori controllo all’alba di Pasquetta, fortunatamente sull’oceano Pacifico. Adesso si guarda al futuro anche grazie all’arrivo delle aziende private che collaborano con la Nasa e, dopo i voli commerciali che apriranno le porte al turismo spaziale, i prossimi obbiettivi ambiziosi guardano alla Luna e a Marte.
* ANSA, 12 aprile 2018 (RIPRESA PARZIALE, SENZA IMMAGINI).
DELLA TERRA, IL BRILLANTE COLORE....
L’uomo della Luna Buzz Aldrin al Wired Next FesT: “Dobbiamo continuare a esplorare o moriremo”
Ospite del terzo giorno di Wired Next Fest, il secondo uomo ad aver calpestato il suolo lunare ha espresso idee piuttosto precise sul nostro futuro spaziale
Il video del lancio dell’Apollo 11 dalla piattaforma 39 del Kennedy Space Center emoziona a 48 anni di distanza: la partenza, l’allunaggio, il ritorno. Al Wired Next Fest 2017, Buzz Aldrin lo guarda con la stessa emozione di una sala gremita di persone lì per incontrarlo. “L’ho visto miliardi di volte - commenta l’ex astronauta - ma è meraviglioso ricordare quello che è successo. Mi riporta a rievocare quei giorni, pensando a chi ci ha spianato la via perché potessimo arrivare lì. Sia chiaro, sono anche andato al Polo Nord. Ho visto il Titanic sott’acqua. Ho visitato il Polo Sud. Sono disposto ad andare ovunque per essere utile agli altri. Al mio Paese, certo, ma in fondo all’Umanità. Dobbiamo esplorare o morire”.
Risponde così Aldrin a chi gli chieda perché uno dei prime due uomini ad aver messo piede sulla Luna, il 20 luglio 1969, non sembri fermarsi mai. Battezzato Edwin Eugene Aldrin Jr., il futuro Buzz - nome acquisito legalmente nel 1988 - è nato a Montclair, nel New Jersey, il 20 gennaio del 1930.
Figlio di un pioniere dell’aeronautica, Edwin Eugene Sr., si è presto rivelato degno erede dei genitori e per più di un motivo: il cognome della madre, Marion, era Moon.
“Un segno del destino”, ama scherzare lui - come nella recente biografia No Dream Is Too High - per quanto sul futuro delle missioni spaziali abbia idee precise e piuttosto serie: “Non credo oggi gli americani sarebbero grandi sostenitori dell’idea di tornare sulla Luna e men che meno ne sarebbero finanziatori entusiasti.
Credo tuttavia sarebbero felici di appoggiare una coalizione di stati che perseguisse questo obbiettivo. E magari volesse andare oltre, da Marte a Saturno “.
Sentirlo dire da uno dei protagonisti della cosiddetta Space Race, una competizione dal senso ben più che tecnologico, ha ancora più senso: “Quando nel 1961 John Fitzgerald Kennedy promise che entro la fine del decennio un uomo sarebbe andato e tornato dalla Luna non esistevano piani definiti per farlo, non c’era una strategia. Si andava di pari passo con la tecnologia in una corsa contro l’Unione sovietica la cui vittoria finì per richiedere troppe energie”.
Che la Storia abbia insegnato davvero? “Esatto. Anche per non sprecare risorse economiche preziose, oggi dovremmo agire da consulenti. Nessuno che si occupi di sviluppare lander spaziali o lanciatori dovrebbe essere troppo in concorrenza con gli altri. Qualcuno dovrà raccontare ai nostri leader quali strategie perseguire e gli obbiettivi dovranno essere raggiunti tutti insieme: ovviamente, negli Stati Uniti, quel consigliere si chiamerà Buzz“.
Non c’è ombra di indecisione quando l’uomo che con Neil Armstrong condivise anche l’addestramento a West Point parla. “Mi piacerebbe riferirmi non solo al mio presidente, ma anche ad altri 40 o 50 astronauti che immagino già nati: la collaborazione sarà fondamentale per allestire una squadra internazionale di esploratori del cosmo. Sia chiaro, occorreranno persone di un’età giusta, sufficientemente mature per prendere la più importante decisione della loro vita: diventare pellegrini che entrino nella storia. I primi uomini a raggiungere un altro pianeta. E non per una visita: immaginate una squadra internazionale che fra partenza, viaggio e permanenza in attesa dell’equipaggio successivo, rimanga via dalla Terra una decina d’anni. E che solo al ritorno sarà in grado di capire l’importanza di quanto fatto. Perché è al ritorno che si capiscono certe cose”.
Evidente si riferisca a se stesso: “Voglio essere utile. In passato ho dovuto affrontare momenti di depressione. Mio nonno si è suicidato, mia madre ha fatto lo stesso prima che partissi verso la Luna e io ho avuto problemi con l’alcol. Così non si può essere utili agli altri. Ed è fondamentale che lo siamo. Credo che in fondo un astronauta faccia questo”.
Un volo logico azzardato per quanto legittimo visto il personaggio: “Occorre che un astronauta combatta le cosiddette paludi della vita. E non solo in senso metaforico: dall’allunaggio in poi, questioni economiche e conflitti hanno parzialmente rallentato il nostro obiettivo: lavorare per il nostro futuro. Occorre si ricominci, dobbiamo abituarci a lavorare insieme per oltrepassare i nostri confini“.
Il presidente alla Naacp, la più antica associazione per i diritti dei neri
"Non voglio che i nostri figli aspirino solo di diventare rapper o giocatori di basket"
Obama ai giovani afroamericani
"Studiate per diventare giudici"
dal nostro inviato ANGELO AQUARO *
NEW YORK - Quando Barack Obama si è ribellato, finalmente, all’ultimo padrone, quel tele-prompter, il gobbo, che gli confeziona i discorsi più convincenti, la gente, la sua gente giù in platea, è esplosa in un boato: "Guido per Harlem", ha urlato andando a braccio "scendo per il South Side di Chicago, vedo tutti quei ragazzi buttati agli angoli delle strade, e allora dico: potrei essere io, lì, ma grazie a Dio è andata diversamente". Grazie a Dio, e per volontà della nazione.
Nella sala dell’Hilton Hotel, addobbata di festoni e palloncini per i cent’anni del Naacp, la più antica associazione per i diritti civili, Obama riscopre l’orgoglio nero. "Noi lo sappiamo: anche se la crisi economica colpisce gli americani di ogni razza, tra gli afroamericani ci sono più disoccupati". Boato. "Sembra un sermone", chioserà il New York Times, e infatti i delegati cominciano a fargli eco con il classico "amen" delle funzioni religiose: l’origine del blues. Se ne accorge, Obama. "Ehi", scherza "ho creato un angolo della preghiera".
In campagna elettorale, nei primi cento giorni, il presidente non aveva mai esaltato le sue origini. Anzi. Ora gli analisti sottolineano che mai come adesso, stretto tra la crisi, le riforme che reclamano nuove tasse e le critiche per la scelta della latina Sotomayor alla Corte Suprema, il presidente ha bisogno del sostegno della comunità nera, magari nella forma lobbistica che il Naacp, 300 mila iscritti e 30 milioni di budget, può garantire. "Make no mistake", dice il presidente: non facciamo errori, non illudiamoci. "Il dolore della discriminazione è ancora sentito in America". Dice cose di sinistra, Obama. Parla di responsabilità. "Allontanate dai nostri figli l’Xbox, metteteli a letto presto. Non possono tutti aspirare a essere il prossimo Le Bron o Lil Wayne", dice, additando i due miti, del basket e del rap, dei giovani.
"Io voglio che i nostri figli aspirino a diventare scienziati e ingegneri dottori e insegnanti, non solo giocatori di basket e rappers. Io voglio che i nostri figli aspirino a diventare giudici della Corte Suprema. Io voglio che aspirino a diventare presidente degli Stati Uniti". In sala c’è ancora chi urla "Amen".
* la Repubblica, 18 luglio 2009
Ricorrenza
L’uomo, la Luna e l’inno sofferto di Padre Turoldo
di Marco Roncalli *
«Bellissima cosa e mirabilmente piacevole, vedere il corpo della Luna... », quando, quattro secoli fa, puntato il cannocchiale a contemplarla con nuovi occhi, Galileo Galilei scriveva nel «Sidereus Nuncius» queste righe, i suoi avversari parlavano di un’allucinazione: più o meno come quelli che continuano a dubitare del primo allunaggio, quarant’anni fa, vedendo in esso il «primo assaggio di realtà virtuale» .
Sgombrato il campo dalle teorie dei complotti a colpi di effetti speciali, resta il fatto che l’inizio della colonizzazione umana del cosmo, cominciata con il satellite vicino alla Terra, avvenne nel clima di guerra fredda tra Urss e Usa con investimenti pazzeschi a sostegno di una sfida che esigeva la vittoria e per gli americani ancor più che la guerra in corso nel Vietnam.
E così finì che persino l’astro irraggiungibile cantato nei secoli da Saffo a Leopardi, o da Rabindranath Tagore a Federico García Lorca, venne addirittura calpestato da due coraggiosi astronauti - Neil Armstrong e Buzz Aldrin - che consegnarono agli Usa con il loro balzo sul suolo lunare il ruolo di prima potenza mondiale.
Oggi però rivedere le sequenze filmate di quel repertorio provoca, oltre alle emozioni di ieri, qualche interrogativo in più che nell’ubriacatura del revival di questi giorni non sempre ha trovato... spazio. E non ci riferiamo al fatto che lassù l’uomo, nonostante progressi tecnologici incredibili e il perdurante bisogno di possibili fonti energetiche, non ha voluto rimetterci piede. Né alla crisi economica globale che farebbe sembrare assurda un’altra simile assai onerosa conquista, ritenuta ambigua già quatto decenni fa da chi anelava pane per gli affamati invece che pietre seppure lunari («Non credere, America, che ti si possa perdonare / perché sei approdata sulla Luna: / altri comporranno infiniti pena / all’avvento dell’era nuova. / Non io, pur commosso e lacerato a un tempo / dal rimorso di essere uno dei tuoi: / non io, che sarei maledetto, soffocando / la consapevole impotenza degli umili...» , scrisse padre Davide Turoldo nella sua elegia per il 21 luglio 1969).
No. Piuttosto, ci riferiamo ad alcune immagini. Una fra tutte quella dell’astronauta che posa la bandiera a stella e strisce sulla luna e che - indirettamente - suggerisce l’idea di chi fissa la sua sovranità, quasi a rivendicare un dominio, benché il diritto aerospaziale lo escluda nettamente. Infatti - ed è anche questo il bello della luna -, il Trattato del ’ 67, l’Outer Space Treaty, afferma cose poco note, ma assai interessanti. Ad esempio che « lo spazio extra atmosferico, ivi compresa la luna, [...] può essere esplorato e liberamente, senza alcuna discriminazione » (articolo 1). Anzi dice di più: «Anche realizzando una base lunare permanentemente abitata si potrà al massimo rivendicare la propria sovranità entro la base stessa» (articolo 2).
E non è finita; ecco cosa recita l’articolo 4: « Sono vietati sui corpi celesti l’apprestamento di basi e installazioni militari, di fortificazioni, la sperimentazione di armi di qualsiasi tipo e l’esecuzione di manovre militari » . Mi chiedo perché certe regole che valgono sulla luna non debbano valere su questa terra dove, fra l’altro, sarebbe quanto meno più facile o frequente il poterle applicare. Me lo chiedo ingenuamente pensando che da noi viene respinto chi calpesta il patrio suolo anche se fugge dal suo Paese solo per sopravvivere e, in fin dei conti... non vuole mica la luna.
* Marco Roncalli (Avvenire, 17 Luglio 2009)
Sassi poetici e lo sbarco sulla luna
di Jovanotti *
Si avvicina l’anniversario dello sbarco sulla luna. 40 anni. Qui in Usa non sembrano particolarmente caldi su questa ricorrenza. Io forse lo sono in modo esagerato perché quella notte davanti alla tv con Tito Stagno è il mio primo ricordo in assoluto. Di solito un bimbo ricorda una scena vaga, una stanza, una scarpa, la fantasia di un tessuto, una spiaggia con un secchiello, un riflesso di sole mentre sta prendendo la pappa, invece il mio primo ricordo è quello: gli astronauti che toccano e Tito Stagno che dice «ha toccato, ha toccato». Forse qui non la sentono così forte perché in fondo è stato un fallimento: la luna è un sasso freddo.
Di un sasso freddo gli americani non sanno cosa farsene. A me invece piace proprio perché è un sasso freddo, mi piace pensare che l’umanità si è fatta un gran mazzo per arrivarci e poi lassù non c’è niente di interessante da fare o da prendere. Questa è la più grande lezione che ci ha offerto la pallida luna, la graziosa luna, il sasso desertico che ci gira intorno. Perché il viaggio è tutto, lo spazio che ci divide dalla luna è il vero tesoro, è la sua luce riflessa il vero sole della nostra anima, del nostro desiderio più profondo, lo specchio del nostro limite infinito.
La luna ha conservato il suo carisma rispendendo a casa gli astronauti con un sacchetto di sassi e nulla più. Sassi poetici. Per questo andrebbe festeggiato in grande stile l’anniversario, sarebbe la vera festa dell’essere umano. Io sono di quella generazione che quando si era bambini si pensava «voglio fare l’astronauta», adesso che sono diventato più o meno adulto lo penso più o meno ancora.
* l’Unità, 18 luglio 2009