IN PRINCIPIO ERA IL BEL CANTO...

MUSICA E POESIA. LA NASCITA DEL LINGUAGGIO E LE STRUTTURE BASILARI DELLA METRICA DI OGNI LINGUA. Un intervento di Robert C. Berwick e una nota di Massimo Piattelli Palmarini sul lavoro di Morris Halle - a cura di Federico La Sala

domenica 19 ottobre 2008.
 

Pubblichiamo l’intervento "I canti dell’Eden e il linguaggio dei geni" che Robert C. Berwick, membro del Mit di Boston terrà oggi alle 21 a "BergamoScienza" nell’ Auditorium; la rassegna, arrivata alla VI edizione, alla quale hanno partecipato tra gli altri Marcello Coradini, Vincenzo Balzani, Luciano Maiani, Mark Clampin, John Banville, Leslie Robertson, si conclude domani con James Turrel che parlerà di "Scienza e Arte" nel Centro Congressi.

-  L’uomo cantava come un fringuello
-  La nascita del linguaggio

-  Era un’abilità usata nel corteggiamento e avrebbe poi influenzato la parola
-  Per Darwin i nostri avi utilizzavano la voce per produrre cadenze musicali ovvero un canto

di Robert C. Berwick (la Repubblica, 18.10.2008)

Come si è evoluto il linguaggio umano? Dare risposta a questa domanda è un’ardua impresa. Sin dai tempi di Darwin, i teorici dell’evoluzionismo hanno fatto ricorso ad un parallelismo per dare una spiegazione dei fatti. A cosa può essere paragonato il linguaggio? Nessuna altra specie animale è dotata di linguaggio, malgrado il tentativo fatto dai film di Walt Disney. Altre specie animali ricorrono a sistemi di comunicazione diversi dal linguaggio umano. Il linguaggio può essere utilizzato per comunicare, proprio come ogni altro aspetto del nostro agire: lo stile nel vestire, la gestualità e via dicendo.

Tuttavia, l’uso del linguaggio ha, per lo più, una connotazione «interna», ovvero è al servizio del nostro pensiero. E’ alquanto difficile, infatti, trattenersi dal parlare tra sé e sé in ogni momento di veglia e, persino, di sonno. Solo gli esseri umani possono fare con le parole cose stupefacenti: «Cosa quasi inconcepibile, la pistola che ora fissava era impugnata da un enorme albino dai lunghi capelli bianchi». Questo componimento non avrebbe mai potuto essere l’opera di primati intenti a battere sui tasti di una macchina da scrivere. E’ tratto da Il Codice da Vinci di Dan Brown. Se poi vogliamo definirlo un buon linguaggio, è un’altra storia.

E’ interessante notare come quanto scritto da Darwin più di cento anni fa sull’origine del linguaggio in L’origine dell’Uomo e la Selezione Sessuale sia corretto e confermato da due recentissime scoperte; la prima di carattere genetico condotta sull’uomo e sui fringuelli e la seconda, di carattere linguistico, attinente il linguaggio e il ritmo.

Darwin sosteneva che: «qualche antico progenitore dell’uomo. utilizzava la voce in larga misura per produrre vere e proprie cadenze musicali, ovvero un canto. Questa abilità, per lo più impiegata durante il corteggiamento, avrebbe influenzato il linguaggio... e il suo reiterato utilizzo avrebbe agito sul cervello... la formulazione di un pensiero lungo e complesso non può più prescindere dall’ausilio delle parole, siano essere pronunciate o taciute, proprio come una lunga equazione non può prescindere dall’utilizzo dei numeri».

Come apparirà chiaro a tutti coloro che hanno una goccia di sangue italiano nelle vene, Darwin intendeva proporre l’idea che l’Opera stesse all’origine del linguaggio. Nell’Atto Primo darwiniano, le «cadenze musicali» attiravano la femmina verso il maschio. Quanto più piacevole il canto, quanto più numerosa la prole: il Bel Canto portava ad una migliore. ehm sapete cosa intendo! La «cadenza musicale» formava il sistema linguistico di «input e output», proprio come la stampante di un computer ci consente di visualizzare ciò che abbiamo scritto. Nel Secondo Atto darwiniano, questa «stampante del linguaggio» ha dato impeto allo «sviluppo del cervello» in relazione all’utilizzo delle parole per la formazione di «lunghe e complesse serie di pensieri».

Cosa possiede l’uomo che gli altri animali non hanno? Consideriamo un ingrediente come il controllo vocale, benché alcuni fringuelli siano degli eccellenti cantori. Un secondo ingrediente potrebbe essere l’intelligenza. Nuove evidenze suggeriscono che gli uccelli siano molto più intelligenti di quanto non si pensasse in passato. Un esempio, a tal riguardo, è quello della cornacchia nera che a Tokio porta le noci in corrispondenza degli incroci pedonali in attesa che il semaforo diventi «verde» e che le autovetture, schiacciandole, ne rompano il guscio. Dopodiché, la cornacchia attende che il semaforo ritorni nuovamente «rosso» e che il traffico si fermi per raccogliere in tutta sicurezza i gustosi frutti. (Questa strategia non funziona ovunque, tutte le cornacchie che hanno provato ad imitare l’esempio a Napoli non sono sopravvissute).

Dunque, gli uccelli possiedono il senso del ritmo. Gli uccelli sono intelligenti, ma non hanno il dono del linguaggio perché non dispongono di parole. Alcuni animali sono molto bravi ad assegnare nomi a determinati oggetti. Gli scimpanzé pigmei sono noti per questa abilità in quanto sono in grado di riconoscere svariate centinaia di simboli con diversi colori, forme e dimensioni proprio come i tasselli di un puzzle. Questi scimpanzé sanno assegnare nomi diversi ad oggetti diversi, proprio come noi ricorriamo a nomi diversi per identificare diversi tipi di pasta. Ma questi scimpanzé non sono dotati di linguaggio perché sono pressoché muti. Non possono cantare per salvare la loro anima. Quindi, gli uccelli sono dotati di quelle che Darwin chiamava «cadenze musicali», ma non di parole, mentre i nostri più vicini antenati possono assegnare nomi a oggetti e simboli, ma non possono cantare. Solo l’uomo possiede entrambe queste abilità, ovvero il canto e la parola. Il risultato? Il linguaggio umano.

Che entrino ora le recenti scoperte! In un modo o nell’altro, prendiamo le parole presenti nella nostra testa e le pronunciamo ad alta voce. Tuttavia, questa meccanica può incepparsi. Alcune persone, infatti, sono affette da disordini del linguaggio ereditari. Pertanto, sebbene riescano a comprendere alla perfezione una domanda come: «Dove abiti?», avranno difficoltà nel cercare di rispondere.

All’interno del loro DNA si è verificata una rottura. I ricercatori hanno riscontrato che un’anomalia genetica impedisce il normale sviluppo del cervello. Ciò danneggia il linguaggio in quanto i nervi che governano i muscoli deputati alla produzione della corretta sequenza fonica non espletano la proprio funzione. Il danno, in questo caso, non riguarda il sistema che funge da «collante» e che accorpa le parole nella nostra mente prima che esse vengano pronunciate, in altre parole il computer centrale, ma bensì la «stampante» del linguaggio. Esperimenti condotti sui fringuelli danno conferma di tutto ciò. Al termine dello scorso anno, gli scienziati sono riusciti a «simulare» in via sperimentale le problematiche dell’uomo sugli uccelli. Per fare ciò, hanno inserito copie danneggiate di un gene chiave in uccelli neonati prima che imparassero a cantare, con l’intento di perturbare il loro canto, proprio come nell’uomo.

Il linguaggio umano è anch’esso dotato di ritmo, basti pensare alla cantilena che accompagna una strofa poetica come: «Non mi dire, in tristi cifre, che la vita è un sogno vuoto» (Longfellow) o dai toni più familiari: «Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono/di quei sospiri ond’io nutriva ‘l core/in sul mio primo giovenile errore». Se analizziamo la purezza ritmica del testo poetico ecco che udiremo una serie di «accenti ritmici», uno per ciascuna sillaba. Analogamente, la parola «rima» è composta da due sillabe: ri-ma. Come si formano gli accenti ritmici? Ed ora entri la scoperta linguistica dell’MIT: tutti gli accenti ritmici delle lingue del mondo possono formarsi «incollando» le sillabe tra di loro in modo tale da formare nuove unità.

I fringuelli possiedono la medesima «struttura ritmica». Proprio come quando battiamo il tempo con il piede a ritmo di musica, così l’uomo o gli uccelli parlano o cantano senza incespicare. Questa è l’origine del linguaggio. Tutti gli animali esposti ad un apprendimento vocale ricorrono a questo sistema per formare ritmi in assenza di parole, contrariamente a quello che fanno «discenti» privi di apprendimento vocale come gli scimpanzé. Gli scimpanzé possono fare ricorso alle parole, ma non hanno ritmo e non dispongono di un «collante». In assenza di quest’ultimo ingrediente, pertanto, non possono sviluppare il linguaggio in quanto incapaci di generare nuove frasi, o parti di esse, utilizzando frammenti di parole. Per generare un vero linguaggio occorrono parole, ritmo e un «collante». In questa prospettiva, la vera essenza della specie umana si è caratterizzata attraverso il canto e le parole, ovvero con l’Opera. Ma gli italiani lo sapevano già da tempo!


Parla Morris Halle, l’ideatore della fonologia moderna
-  che ha appena terminato un saggio con Nigel Fabb
-  sull’universalità della lirica

-  Così funziona la mente dei poeti

-  Le strutture basilari della metrica sono comuni a tutte le lingue

-  di Massimo Piattelli Palmarini (Corriere della Sera, 18.10.2008)

Quando iniziai a studiare l’inglese a scuola, la professoressa ci disse che ogni parola dell’inglese ha la sua particolare pronuncia e che bisognava impararla parola per parola. C’era in questo una certa saggezza pratica, ma anche il riflesso di un antico modo di studiare la fonologia che Morris Halle e Noam Chomsky hanno sbaragliato nel 1968 con il loro monumentale saggio The Sound Pattern of English (ormai abbreviato da anni tra i linguisti con la sigla Spe). Non più regole e regolette, ma eleganti principi di livello molto astratto. Su questa base si è sviluppata la fonologia moderna. Si sono, infatti, scoperte delle scansioni mentali distinte, un po’ come dei conta-secondi, attivi nella nostra mente, che ritmano in tempo reale un tic tac per le sillabe, uno per i fonemi, uno per la metrica, uno per i morfemi (in italiano, parti delle parole come «ndo», «ito», «ato» ecc).

Come le pecorelle, questi suoni vanno a due a due o a tre a tre, a seconda della lingua. Poi questi gruppi sono a loro volta ulteriormente, mentalmente, raggruppati a due a due, o a tre a tre. Si noti, non a quattro a quattro o a cinque a cinque. In astratto la mente potrebbe fare anche questo, ma non lo può fare in concreto, non la mente umana così com’è costruita.

L’importanza di questo lavoro la lascio valutare da Marina Nespor, fonologa internazionalmente nota, docente all’Università di Milano Bicocca: «Quel libro, sul sistema che determina la forma sonora delle parole inglesi, ha più di ogni altro cambiato la concezione di come i suoni sono organizzati nelle lingue naturali». Di Morris Halle mi dice: «È a buon diritto considerato l’ideatore della fonologia moderna».

Prima di dare la parola allo stesso Halle, di cui mi professo discepolo e di cui mi onoro di essere amico, voglio riportare un consiglio che per anni dava ai migliori studenti di linguistica del Mit Samuel Jay Keyser, allora capo del dipartimento di cui Halle e Chomsky erano i membri più prominenti: «Cercate di essere come Morris». Halle, che fece assumere al Mit l’allora giovanissimo Chomsky, non si offendeva affatto quando Keyser poi aggiungeva: «Soprattutto non cercate di essere come Noam, perche nessuno può essere come Noam».

Con un ex allievo del Mit, Nigel Fabb, ora professore a Glasgow, Halle ha appena pubblicato alla Cambridge University Press un altro approfondito lavoro, Meter in Poetry, sulla metrica nella poesia. Passando ad un attento setaccio poesie in ben 15 lingue, dall’italiano all’arabo, dall’inglese al greco, di poeti che spaziano da Dante a Montale, da Verlaine ad Aristofane, senza omettere i salmi dell’Antico Testamento, Halle e Fabb hanno messo in evidenza le strutture comuni, ciò che le poesie ci rivelano sull’organizzazione della mente umana.

«In tutte le lingue e le culture - mi dice Halle - troviamo la poesia metricamente organizzata. E troviamo che ogni metrica è basata su gruppi di due o di tre sillabe, cioè in ciò che tradizionalmente si chiamano "piedi", con variazioni che vengono ampiamente sviluppate nel nostro libro. Semplificando un po’, i piedi sono a loro volta raggruppati in coppie o in triplette, chiamate "metra" e questi di nuovo in coppie o triplette chiamate "cola"» (in italiano tradotto dalla Nespor come «diastichi»).

In tanta uniformità, esistono anche vari gradi di libertà, e così le metriche variano nel tempo e nelle lingue. Halle mi spiega che, essenzialmente, oltre alla scelta tra gruppi di due e gruppi di tre, i gradi di libertà ulteriori sono di due tipi: il bordo ( edge) del verso dal quale far partire il raggruppamento (da destra o da sinistra) e la posizione di un elemento principale, la «testa», di nuovo dall’estremo destro o dall’estremo sinistro. In sostanza, ogni poeta, in ogni epoca ed in ogni lingua, ha cinque opzioni possibili per ogni unità, cinque per le sillabe, cinque per i piedi e così via per i metra e i cola.

Qualche scoperta inattesa? «Sì, nella poesia delle lingue neo-latine (italiano, francese, spagnolo, portoghese) le sillabe sono sempre e solo raggruppate a due a due, partendo dal bordo destro del verso e la testa del piede è sempre a destra. In inglese, russo e tedesco, invece, si hanno più variazioni. Oltre alle coppie si hanno triplette, si parte anche da sinistra, oltre che da destra ». Molte interessanti similitudini sussistono tra l’organizzazione della metrica in poesia e il modo in cui le diverse lingue assegnano l’accento tonico. Di nuovo coppie e triplette e di nuovo «teste» posizionate verso destra o verso sinistra.

Nessuna eccezione? Halle è molto fiero di aver trovato un’eccezione in alcuni salmi dell’Antico Testamento. «In essi si ha una conta diretta del numero di sillabe, non un raggruppamento in coppie o triplette. Il Salmo 137, per esempio, ha i seguenti numeri di versi: sette ripetuto cinque volte, poi cinque, sei, sette, otto, poi otto e cinque che si alternano quattro volte, poi in decrescendo otto, sette, sei, cinque, poi infine di nuovo sette ripetuto cinque volte. Ho pensato che questo corrispondesse a una struttura visiva, in particolare architettonica. E ho scoperto che il secondo Tempio di Gerusalemme, distrutto dai romani sotto Vespasiano, aveva due ali, un tetto, e un porticato con quattro colonne. La stessa struttura del salmo» (vedi figura).

Due domandine finali. Cosa ci insegna tutto questo sulla mente umana? «La capacità di raggruppare in coppie e triplette e poi, di nuovo, ricorsivamente, raggruppare il risultato in altre coppie o triplette è una proprietà universale della nostra mente. E così la capacità di designare elementi prominenti, le teste, e poi mantenere questa prominenza di nuovo ricorsivamente. Questa ricorsività è fondamentale anche in sintassi, come da anni sottolineato da Chomsky. Qualunque buona teoria della mente umana dovrà spiegare questi fatti».

Trattare la poesia in questo modo non è un po’ riduttivo? Halle risponde piuttosto seccato: «Quando Pitagora dimostrò il suo teorema non "ridusse" l’ipotenusa ai cateti, ma capì una proprietà vera dei triangoli rettangoli che nessuno aveva prima notato. Quando noi ora mostriamo che ogni metrica poetica consiste in questi raggruppamenti ripetuti in coppie o in triplette non "riduciamo" i versi a niente altro. Rendiamo esplicita una proprietà che era rimasta fino ad ora implicita».

Proprio da Halle ho imparato perché in inglese l’accento della parola comparable è sulla o, non sulla prima a, e di Arabic è sulla prima a, non sulla seconda, e perché noi italiani sbagliamo sempre, molto prevedibilmente, tanti accenti delle parole inglesi. Come per la poesia, il segreto sta nella sillabificazione e nel raggruppamento delle sillabe. Per questo la mia professoressa delle medie aveva torto come fonologa, ma ragione come praticona della lingua.


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