Terza pagina

Sulla memoria nel presente. Riflessioni edite di Alfonso Iacono in materia filosofico-politica

martedì 28 giugno 2005.
 

È un’epoca confusa, questa. Non più difficile di quelle passate. Più confusa sì. E nella confusione accadono cose contraddittorie. Interessanti e stupide. Attraenti e ripugnanti. Nel campo dell’arte, le nuove tecnologie aiutano gli artisti a fare quello che devono fare, cioè a guardare con altri occhi e a far guardare con altri occhi. Giacomo Verde, Renzo Boldrini, Roberto Castello, quelli del Teatro di Piazza e d’Occasione e altri stanno provando a far dialogare la web cam con la narrazione, il computer con il teatro. La tensione che si crea tra tempo delle immagini elettroniche e tempo della voce narrante, tra il far vedere e il raccontare, è certamente una delle sfide più interessanti sul piano delle pratiche artistiche contemporanee. Il rapsodo e l’attore, il regista e l’autore vengono a trovarsi in una situazione sostanzialmente nuova rispetto ai canoni acquisiti nella tradizione teatrale moderna. Al Castello Pasquini di Castiglioncello, l’Associazione Armunia ha messo insieme artisti, studiosi, insegnanti e bambini a far laboratorio. I vecchi temi, le fiabe, i racconti, la tradizione orale e la tradizione scritta, si mettono insieme a fare un viaggio in cui le cose si mescolano restando se stesse. Qui la memoria resiste per la semplice ragione che è rinnovata. Il Pifferaio di Hamelin o le Storie Mandaliche acquistano una dimensione diversa, ma senza perdere i loro tratti caratteristici. Si tratta anche di un esercizio di memoria, di quell’esercizio grazie al quale, riconoscendo i tratti familiari di qualcosa che ci è noto, riusciamo a cogliere, anche proprio per questo, il mutamento di senso che le storie narrate ora comunicano. La storia è mutamento, ma il mutamento può essere colto solo se esso si produce entro luoghi della permanenza. In caso contrario, il mutamento non è più mutamento, bensì l’incessante prodursi di cambiamenti finalizzati alla conservazione di qualcosa che non muta. La differenza che il pubblicitario ci fa cogliere tra una merce e l’altra che le è concorrenziale e che le somiglia, non ha propriamente a che fare con il mutamento. Si tratta invece della differenza di quel gioco del mercato che sta condizionando tutto il nostro modo di vivere e di pensare, a cui soggiaciamo quasi senza rendercene conto. E’ il gioco del cambiamento debole, la finta orgia del nuovo, che si propone incessantemente come un valore e che, proprio a causa dell’incessantemente, si è logorato. Il conformismo oggi ha i tratti del nuovo e del cambiamento. Viviamo l’epoca della caricatura della modernità. La finta orgia del nuovo uccide la memoria. Chi si ricorda della prima guerra del Golfo? Nessuno. Ogni tanto giunge sentore di qualcosa che ancora accade in Afganistan. Ma qualcuno ha memoria di quella guerra di liberazione? E del Kossovo e della missione Arcobaleno? Tutto è nel calderone del già dimenticato. Tutto è confuso. Un tempo tornare al passato era ritenuto necessario per comprendere se stessi, ora al passato ci si va con veloci viaggi organizzati, vitto e alloggio compresi nel prezzo (vini esclusi), giusto il tempo di qualche veloce e fugace fotografia. Stiamo diventando tutti giapponesi. Americani e Inglesi hanno fatto credere che Saddam Hussein avesse le armi nucleari. Fatta la guerra, si è scoperto che forse non le aveva. Ma ormai il gioco era stato giocato. Quello che colpisce e attanaglia la mente non è il senso dell’imbroglio, ma il fatto che l’imbroglio stesso è accettato quasi come un evento naturale. Non sconvolge nessuno. E’ come la corruzione nel nostro paese: accettata ormai come parte delle cose di questo mondo. E così pure la perdita di memoria, grazie a cui gli impuniti hanno campo e gloria. Nel campo della comunicazione politica la perdita di memoria sta diventando sempre più uno strumento del fare politica. Il presidente del consiglio o il portavoce di un partito fanno una dichiarazione o rilasciano un’intervista i cui contenuti potranno essere corretti o smentiti qualche giorno dopo. Fra le parole e le cose non vi è più alcun legame. Nessuno si aspetta una corrispondenza fra esse, ma almeno un nesso dovrebbe pur esserci, e invece non c’è. Tuttavia il vero punto è che quando il politico di turno rilascia una dichiarazione, non c’è memoria. Non c’è più un filo che lega quel che aveva detto, corretto, smentito qualche giorno prima e quel che dice ora. Si ricomincia sempre da capo. E questo ricominciare da capo, questa perdita di memoria, questo frastuono di parole che cessa improvvisamente senza lasciare traccia, è l’espressione del crollo dei contenuti in favore del personaggio. L’aria di familiarità, il riconoscimento sono dati dalla fama del leader, che è sempre presente nelle case di tutti attraverso la tv. Presenze senza storia. O ci sono tutti i giorni o spariscono. Qualcuno si ricorda di Craxi e di quello che avvenne alcuni anni fa? E di Berlinguer, del Pci, delle Feste dell’Unità (quelle di allora)? Berlusconi senza dubbio rappresenta l’espressione più vivace di questa politica (che in lui acquista i contorni dell’antipolitica), ma ci si sbaglierebbe pensando che si tratti di una caratteristica sua peculiare. Oggi, la metamorfosi che consensualmente stiamo vivendo e che da cittadini ci sta trasformando in sudditi, passa per la perdita della memoria, per l’ossessionante esibizione del nuovo, per l’assoluto prevalere del fascino personale del leader sui contenuti rispetto a cui vincolare patti, programmi, progetti. Il solo accennare a queste parole, patti, programmi, progetti, provoca strane sensazioni di vecchio, di desueto, di inessenziale. Oggi si può sputtanare pubblicamente chiunque facendo riferimento a contenuti che possono essere falsificati con tranquillità per la semplice ragione che nessuno andrà a controllare le fonti. Non c’è tempo, non c’è voglia, non c’è memoria. È un’epoca confusa. Produce cose attraenti e cose ripugnanti. Vecchi conformismi sono per fortuna saltati. Ma se ne affacciano di nuovi. E la perdita di memoria facilita loro la strada. Non abbiamo più il coraggio di chiederci dove, per esempio, stia oggi il confine tra il terrorismo e la lotta di un popolo contro l’oppressione, anche perché non riusciamo a voltarci indietro per chiedercelo al tempo della Resistenza oppure al tempo della guerra del Vietnam e ci basta sapere che noi, l’Occidente, la democrazia, stiamo dalla parte giusta, quella dove sta il bene e dove non alligna il male. Ma dobbiamo domandarci: cosa vi è di democratico, di giusto, di buono in una perfetta visione del mondo dove non vi è più spazio per guardare con altri occhi?

Alfonso Iacono


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