[...] Iscritto per la prima volta al Pci nel 1956, Della Mea aveva sempre seguito con attenzione il dibattito interno alla sinistra italiana. Nel 2007, in una dura requisitoria contro l’allora presidente della Camera Fausto Bertinotti, aveva scritto: "Noi siamo stati l’etica della sinistra, quella che è stata distrutta nel nome della ragione di partito. E’ questo l’errore più grave che non abbiamo saputo o voluto vedere". In una delle ultime interviste, rilasciata a Liberazione il 15 maggio scorso, Della Mea aveva svolto una riflessione sugli obiettivi comuni della sinistra italiana: "Credo sia molto importante combattere a fondo contro il berlusconismo, perché è trasversale, tocca tutti, sia a destra che a sinistra. C’è bisogno di politica vera, fatta per strada, che venga fuori dalle proprie stanze". [...]
IVAN DELLA MEA E L’INTERNAZIONALE DI FRANCO FORTINI (Incidenze).
Studioso del folk era stato direttore dell’Istituto De Martino
Addio a Ivan Della Mea,
militante della canzone italiana
Scrittore e giornalista aveva collaborato con il Manifesto e l’Unità
AUDIO: L’Internazionale di Della Mea
MILANO - Era uno dei militanti della canzone italiana. Ivan Della Mea è morto la notte scorsa all’ospedale San Paolo di Milano. Aveva 69 anni. Cantautore, poeta e scrittore nato a Lucca il 16 ottobre 1940, si era presto trasferito a Milano dove, insieme a Gianni Bosio, fu tra i fondatori del Nuovo Canzoniere Italiano, il cenacolo di artisti e intellettuali che ha segnato lo sviluppo della canzone di protesta italiana.
Nella lunga carriera di Ivan Della Mea musica e militanza nelle forze della sinistra sono unite sin dall’inizio. Le sue prime incisioni compaiono in Canti e inni socialisti, compilation prodotta nel 1962 per il 70° anniversario del Partito Socialista Italiano. La tradizione politica del folk italiano è stata sempre la sua costante ispirazione, sin dai primi lavori. Come Ballate della piccola e della grande violenza, lp uscito per l’etichetta discografica Dischi del Sole, la stessa di Giovanna Marini e Paolo Pietrangeli.
Negli anni ’60 le canzoni di Della Mea e degli altri esponenti del Nuovo Canzoniere fanno da colonna sonora alle proteste degli studenti e degli operai. Del 1972 una delle sue canzoni più famose, Ballata per Ciriaco Saldutto, è dedicata a uno studente torinese morto suicida dopo essere stato bocciato.
La ricerca musicologica lo porta a confrontarsi anche con la composizione in dialetto. Sua la celebre El me Gatt, considerata una delle più importanti canzoni di protesta italiane.
La passione per la ricerca musicale lo porta negli anni ’90 a dirigere l’Istituto De Martino, una delle istituzioni più prestigiose dell’antropologia musicale italiana.
Artista a tutto tondo, Ivan Della Mea ha avuto anche esperienza cinematografiche e letterarie. Nel 1969 partecipa alla scrittura della sceneggiatura di Tepepa, cult movie dello spaghetti western interpretato da Tomas Milian e Orson Welles.
Con Roberto Benigni partecipa nel 1979 a I Giorni Cantati di Paolo Pietrangeli. Tra le sue opere letterarie Il sasso dentro del 1990 e Sveglia nel buio del 1997. Per Jaca Book era uscita quest’anno la sua autobiografia Se la vita ti da uno schiaffo. Giornalista pubblicista ha curato rubriche per L’Unità e per Liberazione e ha collaborato a lungo con il Manifesto.
Iscritto per la prima volta al Pci nel 1956, Della Mea aveva sempre seguito con attenzione il dibattito interno alla sinistra italiana. Nel 2007, in una dura requisitoria contro l’allora presidente della Camera Fausto Bertinotti, aveva scritto: "Noi siamo stati l’etica della sinistra, quella che è stata distrutta nel nome della ragione di partito. E’ questo l’errore più grave che non abbiamo saputo o voluto vedere". In una delle ultime interviste, rilasciata a Liberazione il 15 maggio scorso, Della Mea aveva svolto una riflessione sugli obiettivi comuni della sinistra italiana: "Credo sia molto importante combattere a fondo contro il berlusconismo, perché è trasversale, tocca tutti, sia a destra che a sinistra. C’è bisogno di politica vera, fatta per strada, che venga fuori dalle proprie stanze".
* la Repubblica, 14 giugno 2009
CESARE BERMANI RICORDA IVAN DELLA MEA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 giugno 2009 col titolo "Le provocazioni di un bastian contrario" e il sommario "Sinistra italiana. Piccole e grandi storie. Dalla Milano anni ’50 e ’60 all’Amendoleide"]
Con Ivan se ne va una fetta importante della vita di tanti compagni. Difficile, direi impossibile, comprimere in poche righe una personalita’ cosi’ complessa come la sua. Ivan e’ legato agli anni piu’ belli della mia vita, gli anni 1962-1969 che segnarono lo svilupparsi della ricerca sul campo del canto sociale italiano e della realta’ di base, il decollo del Nuovo Canzoniere Italiano, spettacoli come Bella ciao e Ci ragiono e canto, infine lo sfociare di tutto questo nella cultura del Sessantotto. Sia Ivan che io avevamo gia’ alle spalle una milizia nella Federazione Giovanile Comunista, in quegli anni pervasa da un desiderio d’autonomia rispetto al Partito degli adulti. Credo pero’ che sia stato l’incontro con Gianni Bosio a determinare su che binari si sarebbero incanalate le nostre vite. Gianni fu per entrambi un "padre". Grazie a lui io divenni, credo, uno "storico", e Ivan il cantante che meglio e piu’ degli altri assimilo’ il progetto politico-culturale del gruppo, in particolare il rapporto tra grande e piccola storia, leit motiv dell’opera di Bosio. Ivan giunse nel gruppo con una drammatica testimonianza autobiografica, cantata con impegno di liberazione, che forse non ha mai completamente raggiunta tanto traumatica era stata la sua esperienza infantile e adolescenziale. La prima volta che comunico’ la sua storia familiare riusci’ a cantarla solo con la schiena voltata agli ascoltatori e con la faccia rivolta al muro. Poi di quella sua tragedia parlo’ sempre poco, se non in questi ultimi anni, ma riusciva a farlo solo scherzandoci su, come soltanto riuscivano a raccontare certi reduci dai campi di sterminio.
Pochi giorni fa mi disse che finalmente era riuscito a scriverne estesamente in Se la vita ti da’ uno schiaffo, pubblicato dalla Jaca Book. Non potei fare a meno di dirgli: "Ce l’hai fatta finalmente!". Quel lungo poemetto in musica che ce lo fece conoscere, pregno di un’intensita’ sofferente, lo intitolo’ poi La grande e la piccola violenza. Anticipava di un buon decennio il "personale-politico" e se da esso una morale se ne poteva trarre era che la grande violenza del fascismo aveva generato tante "piccole violenze" quotidiane, tra cui quella generata dal comportamento violento di suo padre nei confronti di sua madre.
Del sodalizio di quei primi anni con Ivan ricordo in particolare uno spettacolo sperimentale che curammo assieme, Altri vent’anni, andato in scena il 18 marzo 1966, critico verso le politiche culturali della sinistra dalla Liberazione in poi. Notavamo allora come l’abbandono del concetto stesso di "cultura di classe" tendesse a sospingere le organizzazioni di sinistra "nella direzione della propagazione della cultura oggi piu’ confacente alla societa’ dei consumi e alla forza ideologica che, pur sotto svariate tendenze partitiche si avviava a esserne la coerente espressione politica, ossia la socialdemocrazia". E affermavamo come non ci sembrasse percio’ "un aspetto negativo il progressivo svuotamento di tali organizzazioni, il loro abbandono da parte della classe; negativo e’ semmai che stentino a sorgerne di nuove e intimamente diverse".
Tanto per ricordare che certi problemi dell’oggi hanno radici lontane. Quindi, la sinistra italiana, nella quale abbiamo sempre militato in questo o quel raggruppamento, c’e’ tuttavia sempre andata anche molto stretta. Da cui un nostro permanente essere critici nei suoi confronti e la fama - debbo dire piu’ che meritata - di essere dei rompiballe e dei "provocatori".
Molte canzoni e atteggiamenti di Ivan furono infatti espressione di voluta, anche se non sempre ponderata, provocazione politica verso prassi che non si riusciva piu’ ad accettare. Da Nove maggio, che stigmatizza il fatto che Longo e Parri fossero stati nella celebrazione del Ventennale della Liberazione di due mesi prima a fianco di Andreotti, che Ivan canto’ perche’ Cossutta gli aveva detto di non farlo in uno spettacolo abbinato proprio a un comizio di Luigi Longo, all’"Amendoleide", cantata in una sezione del Pci romano: "Amico mio di Roma / stanotte ho fatto un sogno / tu eri al governo / leggevi l’Unita’. / Ma poi mi son svegliato / e ho letto sul giornale / che alle ultime elezioni / a noi e’ andata male".
Il suo modo d’essere lo portava a coniugare comunismo e anarchia, ateismo e cristianesimo, facendolo stare con naturalezza dalla parte di tutti gli sfruttati e di tutti gli emarginati, sino a rivendicare il "diritto alla follia". Ne L’estremista canta: "Rileggo Pasolini / il suo demofascismo / e’ oggi la cultura / cresciuta a maggioranza / e contro Cristo avanza / un clericofascismo / per il diverso e l’altro / c’e’ zero tolleranza / Rileggo anche Basaglia / e sono nei suoi matti / e sono nei migranti /e in tutti i mentecatti".
Ivan e’ stato parte fondamentale della colonna sonora di una generazione di militanti perche’ le sue canzoni erano sempre il portato di una ricerca continua delle trasformazioni e di una poetica apparentemente semplice ma che solo lui ha saputo mettere in pratica: "La realta’ si impara dove la realta’ si fa e cosi’ la vita e cosi’ il mondo". Questo gli ha permesso di creare veri gioielli come El me gatt, Ballata per l’Ardizzone, Io so che un giorno, Mio Dio Teresa tu sei bella, Creare due, tre, molti Vietnam, la canzone che piu’ incarna lo spirito del ’68. E gli ha permesso di essere il cantore della Milano degli anni Cinquanta e del "lungo Sessantotto", quella che forse solo il suo amico Primo Moroni conosceva meglio di lui.
Ma ecco, per esempio, come e’ nata una sua ballata. Nel 1973 lui e Clara vennero a trovarmi a Zaccheo, in Abruzzo, dove passavo le vacanze. L’8 agosto andammo a registrare alla festa di San Donato a Castiglione Messer Raimondo. Dalla processione e dai suoi canti Ivan trasse spunto per quella sua bellissima ballata che e’ Compagno ti conosco dove si interroga sul simbolismo religioso e laico.
Dal 1996 Ivan ha anche fatto il presidente dell’Istituto Ernesto de Martino. Recentemente aveva chiesto di essere sostituito per motivi di salute. Avrebbe dovuto starsene un po’ tranquillo ma non ce l’ha fatta a pensionarsi. E’ sempre stato goloso di esperienze e ha sempre ingurgitato la vita tutta quanta. A settant’anni non si cambia. Cosi’ e’ morto sul campo, in piena attivita’.
E’ soprattutto gratitudine che il ricordo personale di Ivan Della Mea puo’ ispirare. Quella per le sue canzoni indimenticabili che hanno segnato il passo di diverse generazioni verso un cielo bianco di carta; quella per la passione politica che e’ riuscito a contagiare senza mai fare prediche o astrazioni; quella piu’ forte di tutte, forse, per essere sempre stato, nelle sue parole, nelle musiche e negli scritti, un uomo intero, quasi fosse lui per molti di noi quel omm. Che a fianco alla politica e alla ragione ha sempre sostenuto le ragioni del cuore. Anche nel senso piu’ privato. Tanto che le sue canzoni cominciarono a entrare come corpi "clandestini" (come De Andre’ del resto) prima ancora del ’68 nelle aule severe dei licei. E a venir cantate come un linguaggio altro e nuovo, che pure riusciva a esprimere qualcosa che pareva altrimenti inesprimibile. O cara moglie raccontava di scioperi e padroni e crumiri, ben prima dell’autunno caldo, ma attraverso la ricaduta dentro un universo familiare che poteva davvero essere familiare a chiunque. E dopo pochi anni, quando la lotta politica aveva dilagato nelle scuole e nelle piazze, Ivan Della Mea scrisse per Angela il piu’ bello e caloroso e vissuto degli inni all’amore. Un uomo formidabile Della Mea, un cantautore che piu’ cantava il valore della politica, piu’ allargava il cuore verso la pienezza dell’esistenza. Suo fratello Luciano dava la forza del ragionamento dentro acque che si intorbidavano sempre piu’ senza quasi ce ne accorgessimo; lui Ivan faceva di ogni canzone (e quante ne ha fatte divertenti) una smorfia allegra. Con voli improvvisi di delicatezza degni di un grande retore del passato. La Gelmini avrebbe ancora molto da imparare se riuscisse ad ascoltare fino in fondo la Ballata di Ciriaco Saldutto. Noi per fortuna lo terremo sempre nel cuore e nella memoria.
GABRIELE POLO RICORDA IVAN DELLA MEA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 giugno 2009 col titolo "Il Mea. Una vita da sovversivo narrante"]
Cantastorie, poeta, scrittore: intellettuale non "organico", bensi’ "rovesciato", per citare un libro del suo maestro, Giovanni Bosio. Questo e’ stato Luigi Della Mea, per tutti Ivan, per pochi "il Mea": l’esatto contrario di cio’ che e’ accademia o sapere separato da pratica e senso, l’opposto di impegno politico inteso come un mestiere qualsiasi. Insomma, un militante indipendente che intendeva il comunismo come ricerca e pratica della liberta’. Quella di dire e fare cose scomode, soprattutto contro il potere, contro ogni potere. Anche quello che nasce a sinistra, anche quello "tuo personale", come cantava in Lettera a Michele, all’inizio degli anni ’70, quando il "personale" non era ancora "politico", ma quando "il Mea" aveva gia’ capito tutto su come le burocrazie potevano trasformare la militanza nell’alienazione dei sovversivi.
Ecco, un sovversivo. Questo, nel profondo, era "il Mea", che ha raccontato le alienazioni e contro di esse si e’ battuto, non solo a parole, semmai usandole per costruire una narrazione comune. Quella indispensabile a capire la costrizione e a cercare di vivere la liberta’. Sovversivo con gli altri e con se stesso, contro l’ordine costituito e contro quello "nuovo" dei suoi compagni di strada. Nelle feste dell’Unita’ e nei picchetti davanti alle fabbriche, nelle canzoni e nei suoi libri. Sovversivo persino con la propria esistenza (raccontata nel libro appena uscito, Se la vita ti da’ uno schiaffo, Jaca Book), che ha sottoposto a continui stress, fino alla fine ("Mica posso stare fermo, al diavolo i medici e le loro previsioni").
Sovversivo anche con noi, con questo giornale, cui ha dato canzoni e articoli, senza accettare nessun freno. Con quella voce strana su una chitarra rappezzata, con quella scrittura unica su una tastiera da cui a volte "spariva" la punteggiatura. Sarcastico e passionale, tenero e incazzato. Mandandoti al diavolo se non riceveva risposta nel giro di qualche minuto, perche’ "tutto si puo’ sopportare, tranne il silenzio o l’indifferenza".
"Mio il dovere di proporre, tuo il potere di disporre", scriveva a premessa di ciascun articolo che spediva. "Mea, scrivi troppo. E, poi, quale potere... qui siamo tutti schiavi del poco spazio". Sbottava: "Non fare il pirla con me, per quanto poco lo spazio c’e’ e c’e’ sempre chi sceglie come usarlo". Se vale per l’avversario - pensava - vale anche per noi. Questa la lezione, che finiva col metterti al muro nel cortocircuito della partecipazione personale: "Se non capite quanto vi voglio bene, sono solo problemi vostri". Ciao "Mea", cantastorie, poeta, scrittore... compagno. Termine da maneggiare con cura, un tempo inflazionato, oggi vilipeso. Con te si poteva usare senza paura di disperderlo o prendersi in giro.
Quando mori’ Gianni Bosio, suo amico, interlocutore, maestro, Ivan Della Mea gli dedico’ una delle sue canzoni piu’ belle: Se qualcuno ti fa morto. Se qualcuno ti fa morto, diceva, un motivo c’e’: ti commemorano, ti fanno elogi e monumenti di parole, ma se ti fanno morto e’ perche’ non credono piu’ alle ragioni della tua vita. Basterebbe una canzone come questa per complicare quell’etichetta di "cantante di protesta" che Ivan Della Mea si portava appresso fin dagli anni ’50 - come se avesse da dire solo cose contro cui lottare, e non anche moltissime cose per cui vivere. Ivan ha cantato, scritto, parlato la politica e le lotte, ma soprattutto i sentimenti, i rapporti che a quelle lotte davano, e se non vogliamo farlo morto, daranno ancora un senso.
Nato in Toscana, cresciuto a Bergamo, cantava in milanese le sue canzoni rivolte a Gianni Bosio: ti ricordi, Giovanni, del quarantotto, quei bei tempi di buriana, "vegniven giu’ da la rocca de Berghem i tusan braccia’ su tucc’insema, tutt’insema cantaven, cantaven - Bandiera Rossa, Giuan, te se ricordet". Il suo comunismo cominciava - "avevo otto anni, calzettoni e due grandi occhi per guardare" - con quell’immagine di amicizia e di gioia, era quello il mondo sognato da creare. E quando poi i ragazzi sconfitti cantavano ancora Bandiera Rossa, la guerra e la rabbia che avevano negli occhi era quella di chi e’ respinto a forza in un mondo cupo di solitudine e repressione.
Accanto alla grande violenza della restaurazione clericale e della guerra fredda, Ivan cantava la "piccola violenza" del mondo familiare, e - come suo fratello Luciano, un altro maestro della nostra cultura e della nostra storia - ci vedeva le radici della violenza maggiore. Quando comprai titubante il suo primo disco, i suoni con cui cominciava - il rumore antimusicale di un motore di scooter - mi sconcertarono, e altrettanto mi sconcertava la sua voce non canonica e imperfetta. Ma Io so che un giorno era la piu’ acuta e poetica denuncia che avessi ancora sentito del nuovo mondo che avanzava, che ti comprava il cervello in cambio di una lavatrice, che trattava per matto chi cercava altre liberta’ (Luciano ne sapeva qualcosa), e che mascherava tutto sotto una coltre di bianco elettrodomestico e manicomiale. Il rumore, le imperfezioni, anche la qualita’ ruvida di una registrazione fatta in economia, erano tutti segni di una resistenza a quella bianca pulizia senz’anima.
Non e’ stato un cantore di vittorie, di sorti magnifiche e progressive di un comunismo portato dall’onda della storia. A ripensarci, tante delle sue canzoni parlano di sconfitte, di compagni uccisi (Serantini, Ardizzone), di lotte andate a male - e della orgogliosa determinazione a ricominciare. La sua canzone piu’ cantata, quella entrata davvero nella tradizione orale, O cara moglie, e’ la storia di uno sciopero sconfitto, di un operaio licenziato, del ricatto padronale che convince o costringe tanti operai a chinare la testa e rientrare in fabbrica - e gli scioperanti che gli gridano crumiri e venduti, ma vedono la loro umiliazione anche come un’offesa fatta a se stessi. Ma la storia e’ raccontata nel calore di una cucina operaia, condivisa con l’amore familiare, con la proiettivita’ nei confronti del figlio che si trasforma in orgoglio e insegnamento. Alla grande violenza della repressione e dei licenziamenti risponde, stavolta, la "piccola" resistenza dei sentimenti, dell’amore, della dignita’. E da qui si ricomincia, oggi come allora.
La cucina di O cara moglie e’ anche un pezzo di quel mondo popolare, "di ringhiera", in cui Ivan si e’ sempre riconosciuto. Da questo mondo viene la piu’ perfetta della canzoni, El me gatt, a questo mondo ha dedicato un disco (Ringhiera), e questo mondo frequentava in quell’"arcicorvettocheincormista’" di cui ci raccontava ogni tanto nelle sue lettere al "Manifesto", e che in cuor gli stava anche quando i discorsi che sentiva li’ dentro non gli andavano piu’ tanto bene - un po’ perche’ al cuore non si comanda, e un po’ perche’ una cosa sono i discorsi e un’altra le persone, e che se certe persone a cui si vuol bene parlano in un certo modo un motivo ci sara’ e noi dobbiamo ascoltare e capire per cambiare.
Ivan aveva fatto una vita faticosa e logorante negli ultimi anni, in continuo movimento fra Milano e Sesto Fiorentino, per tenere in vita la creatura piu’ importante e piu’ amata, sua, di Gianni Bosio, di Franco Coggiola, e di tanti che da loro avevamo imparato: l’Istituto Ernesto de Martino, il cuore della memoria e della cultura profonda di un’Italia che vogliono annullare e farci dimenticare. Era davvero un sacrificio, non solo per la fatica fisica ma anche perche’ in fondo quella di organizzatore e dirigente non era neanche la sua vocazione - ribelle fino in fondo, si adattava con sforzo generoso alle esigenze dell’organizzazione, dell’ordine, dell’amministrazione. Ma davvero non c’erano altri che potessero farlo, che rappresentassero cosi’ intensamente quella storia (comprese le divisioni, i conflitti, le riconciliazioni, gli incontri) di persone, di suoni, di parole, di carte. Anche questo era un dovere d’amore.
Come facciamo a non "fare morto" l’indimenticabile Ivan Della Mea? A me la notizia arriva via internet mentre sono a Whitesburg, in Kentucky, e ieri ho ascoltato una giornata bellissima di musica e di condivisione, creata da Appalshop, un’organizzazione praticamente sorella del de Martino. Leggendo la notizia di Ivan ho pensato che se fosse stato qui ieri si sarebbe divertito e si sarebbe sentito a casa, non tanto per la politica felicemente obamiana (su cui sono sicuro che avrebbe avuto qualche critica) quanto perche’ quello che ha sempre cercato di fare e’ stato di tenere insieme le persone in nome di un desiderio bello e sensato, di festa e non solo di lotta. In un film prodotto da Appalshop, Sara Ogan Gunning, una delle voci piu’ grandi della canzone proletaria americana, canta in una canzone la storia della sua vita e conclude "e cantate sempre le mie canzoni". Per non fare morto Ivan Della Mea, cantiamo ancora A quel omm, La pipa di Costante, A Costabona... Ma ricordiamo anche quello che Phil Ochs diceva, in memoria di Woody Guthrie: "Oggi tutti cantano le sue canzoni, ma che senso ha cantarle senza le ragioni per cui lui le ha scritte?". Le ragioni di Ivan erano tante, qualche volta contraddittorie. Ma lo possiamo salutare con la parole che Gianni Bosio gli disse, e che lui canta, dopo una grande giornata di ricerca sul campo in Toscana: "qualcos’em fatt". Grazie a Ivan, qualcosa abbiamo fatto e molto ci resta da fare.
Fonte: La domenica della nonviolenza. 221 del 21 giugno 2009
MEMORIA. ANNAMARIA RIVERA: PER IVAN *
Se penso ad Ivan
— dice un compagno -
mi tornano in mente
i picchetti davanti alle fabbriche
e le notti e le albe operaie
punteggiate dalla sua voce.
Se penso a lui
— dice il compagno -
ancora sento
quello strano odore di ruggine
e il sapore di cattivi caffe’
e gli altoparlanti del sindacato
che alternavano Montand
con Della Mea
"Amor, dammi quel fazzolettino"
con le sue canzoni piu’ intense.
Se ci penso
— dice il compagno -
finanche i crumiri
le nostre bestie nere
acquistano un poco di dignita’
nobilitati dal mio ricordo
di quel tempo migliore.
Se penso ad Ivan
— gli rispondo -
nel mio tempo
non ci son piu’
squarci e ferite
perche’ Ivan e’ stato
la colonna sonora
che ha scandito
e dato senso
al fluire degli anni
anche anni infelici ed oscuri.
E dimora il senso
nel suo perenne cercare
e interrogare
e provare a immaginare
addirittura a vivere
l’utopia gentile ed impervia
d’un mondo dove quel che
per approssimazione
chiamammo comunismo
e’ anche rispetto e tenerezza
per le creature
umane e non umane
e’ anche ricerca e passione
della bellezza
e’ anche gusto del gesto
creatore e sovversivo
che fa cominciare ogni cosa
daccapo.
E se penso a lui
penso a una piccola utopia
realizzata
perche’ Ivan ed io
mai abbiam litigato
mai uno screzio
mai neppure un’asprezza di tono
fra due di carattere tanto spinoso
come dicono gli altri.
Se penso ad Ivan
penso a quel che ha scritto
la mia nipotina
piu’ che trentenne:
sono una che a sei anni
gia’ cantava "O cara moglie"
e i dischi di Ivan li sceglieva da sola.
Sono una che ora piange
mentre ascolta l’Internazionale
quella sua e di Fortini.
Sono una che a sei anni
da Ivan ha imparato
che cantando si puo’ dire la realta’
rispettarla per lo meno
un poco perfino cambiarla.
Forse,
caro compagno,
il nostro avvenire non e’
gia’ tutto avvenuto,
come tu temi,
se ci sono nipoti
e poi figli di nipoti
ad amare Ivan
quasi come noi
lo abbiamo amato
* NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 855 del 18 giugno 2009
[Ringraziamo Anna Maria Rivera (per contatti: annamariarivera@libero.it) per questo ricordo di Ivan Della Mea]
Ieri, domenica 14 giugno 2009, ci ha lasciato per sempre Ivan Della Mea.
La scomparsa di Ivan ci lascia sgomenti e ci addolora profondamente. Ivan era per noi un amico, un compagno, un riferimento importante per la cultura popolare. Lo ricordiamo buono, generoso, gioviale, dialogante, disponibile, riconoscente e riflessivo. Un bella persona, che ci ha insegnato tanto e che resterà per sempre nella nostra memoria.
CIAO IVAN, CHI HA COMPAGNI NON MUORE MAI!
L’Associazione la Conta si stringe, nel cordoglio più sentito e forte , alla moglie Clara, ai figli Sara e Pietro ed a tutti i loro cari. Un sentito e forte abbraccio anche a tutti dell’Istituto Ernesto De Martino e dell’ARCI Corvetto di Milano.
I funerali di Ivan si svolgeranno martedì 16 giugno 2009, alle 11,00 all’ARCI Corvetto - Via Oglio, 21 a Milano
Ciao,
Di seguito riportiamo il messaggio di Stefano Arrighetti, Presidente dell’Istituto Ernesto De Martino
Ciao Ivan
Questa notte intorno alle 1.30 è morto improvvisamente Ivan Della Mea, all’Ospedale San Paolo di Milano dove era stato ricoverato d’urgenza dopo un malore. Aveva 68 anni, era nato a Torre Alta di Lucca nel 1940. Viveva a Milano con la sua compagna Clara Longhini e aveva due figli, Sara e Pietro. Da tempo aveva problemi di salute. Impossibile dire nelle poche righe di un comunicato la vita e la storia di Ivan Della Mea. Forse basta solo ricordare quello che aveva fatto in questo ultimo scorcio di vita: aveva ideato una ricerca con l’ARCI di Firenze sulla storia della case del popolo; il 25 aprile aveva suonato per la Festa della Liberazione a Fosdinovo (Carrara) dai compagni degli Archivi della Resistenza; era stato a Sesto Fiorentino all’Istituto Ernesto de Martino, che aveva diretto per 13 anni, per la conferenza stampa della rassegna InCanto; il 12 maggio aveva presentato l’ultimo numero della rivista “il de Martino”, ad Acquanegra sul Chiese, paese natale di Gianni Bosio; il 28 maggio aveva suonato a Brescia per ricordare la strage di Piazza della Loggia; sabato 30 maggio era stato con Paolo Pietrangeli e Paolo Ciarchi a Montevarchi a cantare per il ’68; il 3 giugno aveva scritto un appello al voto per Rifondazione comunista; venerdì 12 giugno il suo ultimo articolo su “il Manifesto” dal titolo “Brucia compagno brucia”. Pochi mesi fa Ala Bianca aveva distribuito una “Antologia” con molte delle sue canzoni più belle ed è appena uscito per la Jaka Book l’ultimo libro di Ivan Della Mea, la sua autobiografia: “Se la vita ti dà uno schiaffo”, il racconto della sua infanzia e la storia della sua famiglia, un testo di grande spessore narrativo e di forte impatto emotivo. Una dura resa dei conti con la vita e con la morte che suona, purtroppo, come l’epitaffio nella vita di un grande artista e di un grande compagno comunista.
A Clara, Pietro e Sara e a tutti i familiari va l’abbraccio più forte di tutti i compagni dell’Istituto Ernesto de Martino.
Saluteremo Ivan martedì 16 giugno alle ore 11 presso il Circolo ARCI Corvetto in via Oglio, 21, a Milano.
Stefano Arrighetti, Presidente dell’ Istituto Ernesto de Martino
Villa San Lorenzo al Prato - Via degli Scardassieri, 47
50019 Sesto Fiorentino (Firenze) Tel: 055-4211901 Fax: 055-4211940
Web: http://www.iedm.it
Email: iedm@iedm.it
http://it.wikipedia.org/wiki/Ivan_Della_Mea
http://www.ildeposito.org/archivio/autori/autore.php?id_autore=25
È morto Ivan Della Mea il cantautore del lavoro
di Stefano Miliani *
Nel 1966 Ivan Della Mea scrisse una canzone che iniziava così: “O cara moglie stasera ti prego, / di’ a mio figlio che vada a dormire / perché le cose che io ho da dire / non sono cose che deve sentire. / Proprio stamane là sul lavoro, / con il sorriso del caposezione / mi è arrivata la liquidazione, / mi han licenziato senza pietà. / e la ragione è perché ho scioperato”. Ve la riportiamo perché a 69 anni, all’ospedale San Paolo di Milano, il cantautore nonché poeta, scrittore, uomo appassionato del destino degli uomini, un battagliero sostenitore degli ideali di giustizia sociale, uomo di sinistra, è morto nella notte tra sabato e domenica.
Se n’è andato un artista completo, dotato di una capacità rara di cogliere la realtà: lo dimostrò “O cara moglie” che ha accompagnato il ’68, le lotte degli anni Settanta e che risuona sorprendentemente, o forse amaramente, attuale nell’Italia dei precari di oggi. Fino all’anno scorso scriveva di tanto in tanto per l’Unità.
Ivan Della Mea è stata una delle figure più importanti di una cultura ancorata alle ragioni di chi lavora o di ha perso o cerca il lavoro. E un musicista autentico: rileggeva in chiave attuale la tradizione e il folk virandola come pochi sanno fare al nostro tempo. Spesso con ironia e con umorismo.
Era nato a Lucca il 16 ottobre 1940, poi andò a Milano e qua, nel 1962, fondò con Gianni Bosio il Nuovo Canzoniere Italiano, formazione essenziale del folk. Ma prima di passare a tempo pieno alla musica fece ogni tipo di lavoro: operaio, scaricatore, fattorino, barista, correttore di bozze.
Ha scritto canzoni e ballate, talvolta in dialetto milanese, senza abbandonarsi alle mode. Ha avuto come compagni di viaggio artisti come Giovanna Marini e Paolo Pietrangeli. E nel 1966 pubblicò per la neonata etichetta musicale «I dischi del sole» il suo primo disco, «Io so che un giorno»: primo capitolo di una narrazione che non ha mai risparmiato critiche a una società che divideva privilegi e fatica. Ivan Della Mea contestava il potere ingiusto, la società capitalista, ma non risparmiava critiche alla sua amata sinistra, quando lo riteneva necessario: anni fa non esitò a scrivere una lettera a Bertinotti in veste di segretario di Rifondazione dicendo in sostanza che la sinistra aveva perso la sua strada, che stava tradendo se stessa accecata dal potere. Lui non ebbe mai benefici dal potere. E “Comunista”, per Ivan Della Mea, non era una parolaccia o un passato da dimenticare.
Di grande umanità e artista versatile, ha inciso dischi come “Il rosso è diventato giallo”, “Se qualcuno ti fa morto”, “La nave dei folli”, “La piccola ragione di allegria”. Tra i libri, perché scriveva molto bene, la sua bibliografia indica “Fiaba d’orso, di bagatto di un giorno centenario» (1984), «Il sasso dentro” (1990), “Se nasco un’altra volta ci rinuncio” (1992, primo Premio Forte dei Marmi« per il libro più divertente dell’anno»), “Un amore di luna” (1994). Infine, a ricordarne la versatilità, va detto che lavorò un paio di volte anche per il cinema: con Franco Solinas scrisse il soggetto dello spaghetti-western «Tepepa» (1969), dieci anni dopo parteciò al film di Paolo Pietrangeli “I giorni cantati” con Roberto Benigni, Melato e Giovanna Marini.
* l’Unità, 14 giugno 2009
Il cordoglio del club Tenco di Sanremo
Addio a Ivan Della Mea, la sinistra piange il poeta del popolo
Ivan Della Mea (Facebook) ultimo aggiornamento: 14 giugno, ore 14:38
Milano (Adnkronos) - E’ morto nella notte a Milano, a 69 anni. Personaggio simbolo della canzone militante italiana, fu tra i fondatori del Nuovo canzoniere Italiano
Milano, 14 giu. (Adnkronos) - E’ morto a Milano, nella notte, Ivan Della Mea (nella foto) musicista e scrittore. Della Mea è stato trasportato all’ospedale San Paolo di Milano per un malore, ma i medici non hanno potuto fare nulla per salvarlo.
Direttore dell’Istituto Ernesto De Martino e uno dei personaggi simbolo della canzone militante italiana, Della Mea era nato 69 anni fa a Torre Alta di Lucca e viveva a Milano.
Tra i titoli della sua discografia il ’Rosso è diventato giallo’, ’Se qualcuno ti fa morto’, ’Fiaba grande’ e ’La nave dei folli’. A Milano insieme a Gianni Bosio fu tra i fondatori del Nuovo canzoniere Italiano.
Nel 1969 scrive insieme a Franco Solinas il soggetto dello Spaghetti-western ’Tepepa’, con protagonista Tomas Milian e la partecipazione di Orson Welles. Ivan Della Mea lascia la sua compagna e due figli.
Al cordoglio della cultura italiana per la scomparsa di Ivan Della Mea si unisce il Club Tenco di Sanremo, che lo ricorda fra i primi artisti vicini e solidali nella battaglia per una canzone di qualità e di spessore.
Ospite già nel 1977 della ’’Rassegna della canzone d’autore’’, Ivan Della Mea ’’è stato un caso esemplare, forse unico, di rigore intellettuale e di lucidità artistica espressi anche con il semplice mezzo della canzone, una canzone comunque sempre legata alle realtà vive del nostro tempo e ai sentimenti veri e profondi del vivere quotidiano. Una pietra miliare della canzone italiana, che non sarà dimenticata’’.
’’La sinistra piange un cantore di lotte e di passioni, un poeta del popolo, convinto, impegnato, civicamente militante - lo ricorda Marco Rizzo, europarlamentare comunista uscente - Un uomo libero che ha messo in musica e parole la storia dei nostri drammi e delle nostre speranze collettive’’.